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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Dichiarazioni del ministro dell'interno sui pericoli sanitari collegati all'immigrazione - n. 2-00190)
PRESIDENTE. L'onorevole Bucchino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00190 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
GINO BUCCHINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, non è la prima volta, purtroppo, che gli immigrati presenti nel nostro paese vengono identificati come «un pericolo sanitario». Solo qualche mese or sono, l'allora ministro della salute Francesco Storace avanzava addirittura la proposta di screening sanitari obbligatori per tutti gli immigrati al momento del loro arrivo in Italia. Sappiamo, invece, che le condizioni degli immigrati sono abbastanza buone e tendono a sovrapporsi quasi perfettamente alle patologie della popolazione italiana. L'immigrato che arriva in Italia gode di buona salute; non è vero che arrivano i «derelitti»; non emigra infatti mai la parte malata della popolazione ma la parte che, nell'intraprendere questo lungo viaggio, ha più possibilità di riuscita. Non solo: ad emigrare è anche la parte che ha studiato di più.
Le proposte concernenti le visite mediche agli immigrati che arrivano in Italia non avevano e non hanno alcun senso e la proposta dell'ex ministro Storace non solo non stava in piedi ma rivelava anche, purtroppo, una radicata e diffusa forma di preconcetto e stigma. Gli immigrati - lo ribadisco - arrivano in Italia generalmente sani; semmai, si ammalano dopo sei mesi o un anno per le condizioni di vita disagiate, perché non hanno un posto dove dormire, perché si alimentano in maniera non adeguata.
Bene, l'era Storace è finalmente passata, ma non dobbiamo tenere abbassata la guardia perché, a conferma dei diffusi preconcetti - che forse appartengono anche al nostro DNA, e che continuerebbero, se non eliminati, ad alimentare la mala pianta della xenofobia -, anche questo Governo, purtroppo, è inciampato in un piccolo incidente. Un incidente che deve però essere chiarito ora con forza e senza lasciare dubbi, per eliminare sul nascere pericolosi allarmismi e per confermare lo spirito di tolleranza e di solidarietà, come pure la profonda convinzione che gli immigrati danno e possono dare colore e calore alla nostra Italia e che i loro figli rappresentano una risorsa ed un arricchimento che ci fa sperare bene per il futuro della nostra nazione.
Secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, alla fine del 2005 gli immigrati con regolare permesso di soggiorno erano 3 milioni 35 mila, ai quali si deve aggiungere un numero di immigrati, cosiddettiPag. 57irregolari, compreso tra i 300 ed i 600 mila. Una strana coincidenza, ma che ci fa anche sorridere e riflettere - e che io non potevo, come parlamentare eletto all'estero, non sottolineare -, si ravvisa nella circostanza che il numero degli immigrati regolari in Italia ha quasi raggiunto quello degli emigrati italiani nel mondo. E, al pari degli italiani emigrati, che hanno fatto grande l'Italia ed i paesi che li hanno accolti, sono sicuro che anche gli immigrati in Italia - dei quali un milione 200 mila hanno già maturato cinque anni di soggiorno, e sono quindi pronti per godere anch'essi dell'acquisita maturità politica partecipativa - faranno grande con la loro presenza il nostro paese.
Specificando meglio le perplessità che ci hanno indotto a presentare questa interpellanza per stimolare una precisazione da parte del Governo, facciamo riferimento all'intervento del signor ministro dell'interno il quale, riferendo dinanzi alla Commissione affari costituzionali del Senato in merito alla riforma della legge cosiddetta Bossi-Fini, ha dichiarato: «Non è possibile eliminare i CPT» - centri di permanenza temporanea - «e lasciare per la strada chi sbarca, anche perché c'è un'emergenza sanitaria con casi di lebbra, tbc e scabbia». La dichiarazione è stata riportata dal Corriere della Sera del 28 settembre 2006, mentre l'edizione dello stesso giorno de La Stampa riporta la ulteriore dichiarazione secondo la quale gli immigrati «sono un pericolo sanitario» e quindi «serve una verifica».
I pregiudizi di cui parlo, che vedono gli stranieri come inevitabili portatori di rischi per la salute della collettività, sono tali e tanto rilevanti da essere stati riassunti nella definizione di «sindrome di Salgari», coniata dalla Caritas di Roma più di venti anni or sono per riferirsi all'immaginario riguardo alle patologie che presentano gli immigrati e che non corrispondono ad una verifica reale.
Vale la pena ricordare che Emilio Salgari è autore di romanzi che hanno come protagonisti personaggi ambientati in mondi esotici, descritti in maniera particolareggiata e affascinante. Si tratta di personaggi e luoghi entrati nelle case degli italiani attraverso la versione televisiva e che, all'epoca, hanno contribuito a sviluppare il loro immaginario sui luoghi esotici. Di fatto, però, Salgari non ha mai visitato quei paesi, e le sue descrizioni sono frutto solo delle cose che aveva letto, amalgamate alla sua fervida fantasia.
I pregiudizi riguardo al «pericolo sanitario» sono, purtroppo, fortemente radicati, nonostante svariati studi epidemiologici sottolineino, da tempo, che il rischio di importazione di malattie infettive ricollegabile all'immigrazione è trascurabile. Gli esperti parlano, addirittura, di «effetto migrante sano», vale a dire di una forma di selezione naturale all'origine, per cui decide di emigrare, come dicevamo, solo chi è in buone condizioni di salute.
Una volta in Italia, gli immigrati vedono progressivamente depauperare il loro patrimonio di salute, a causa della continua esposizione ai fattori di rischio della povertà - come la precarietà alloggiativa, il sovraffollamento, la scarsa tutela sul lavoro ed una alimentazione carente -, ai quali si aggiungono sia il disagio psicologico legato allo sradicamento culturale, sia le difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari.
Gli studi epidemiologici di cui sto parlando sono confermati anche dall'analisi dei ricoveri, che evidenzia un basso impatto del fenomeno migratorio sui servizi ospedalieri per motivi essenzialmente riconducibili ad eventi fisiologici, come il parto, o accidentali, come i traumi.
In questi ultimi anni, il livello di sviluppo raggiunto dai sistemi informativi sanitari ha portato ad un crescente impiego dei dati amministrativi nelle valutazioni epidemiologiche; in particolare, la banca dati delle schede di dimissione ospedaliera è quella che, a tutt'oggi, offre maggiori garanzie in termini di completezza e disponibilità di variabili per la identificazione degli stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria.
Nel 2003, i ricoveri di cittadini stranieri avvenuti in Italia presso strutture ospedaliere pubbliche e private sono stati 365.729, pari al 3 per cento della ospedalizzazionePag. 58complessiva del nostro paese. La quasi totalità delle dimissioni è stata effettuata da reparti per casi acuti.
La causa più frequente di accesso al ricovero ordinario tra gli uomini è rappresentata da traumatismi; nelle donne, invece, la causa più frequente di ricovero ordinario è costituita dalla gravidanza e dal parto, con una percentuale pari al 55 per cento.
Nonostante l'aumento degli stranieri, sia per immigrazione, sia per nascita, i risultati dell'analisi di tali schede confermano un impatto relativamente modesto della presenza straniera sull'assistenza ospedaliera, che è di poco inferiore al 3 per cento. Si delinea, quindi, il profilo di una popolazione che, rispetto a quella residente, accede alle strutture ospedaliere soprattutto, come dicevamo, per motivi legati ad eventi fisiologici, come il parto, o accidentali, come i traumi.
È vero che emergono alcune aree critiche per la salute degli immigrati, come, ad esempio, la tubercolosi e l'AIDS. Nel primo caso, la criticità è legata non tanto ai rischi di propagazione in forma epidemica alla popolazione ospitante, quanto, piuttosto, alle difficoltà di gestione dei casi in termini di adesione alle cure e di possibilità di seguire i pazienti nel tempo. Per quanto riguarda l'AIDS, un recente studio dell'Istituto superiore di sanità e dell'Agenzia di sanità pubblica del Lazio ha segnalato come la diffusione della malattia in Italia tra la popolazione straniera non sia allarmante; anzi, negli ultimi anni i casi sono addirittura in diminuzione.
I veri motivi che determinano la criticità dell'AIDS, e che potrebbero contribuire a causare un aumento del rischio di contrarre l'infezione da HIV, sono soprattutto, se non esclusivamente, legati alla difficoltà di accesso ai servizi sanitari per la diagnosi ed il trattamento della malattia, ai differenti modelli socio-culturali e linguistici, alla limitata protezione sociale e legale, al timore di essere rimpatriati (perché non in regola) ed alla difficoltà di accesso alle informazioni sulla prevenzione.
Tra il 1992 e il 2003 sono stati diagnosticati in Italia circa 40 mila casi di AIDS tra i maggiorenni, di cui poco più di 2.800 hanno riguardato stranieri; esattamente, quindi, l'1 per cento, come gli italiani.
Peculiarità della popolazione immigrata è che questa si trova spesso di fronte ad ostacoli di natura linguistica, culturale, socio-economica, che nel caso particolare dell'HIV impediscono l'applicazione di valide misure di prevenzione e cura dell'AIDS, e rendono quindi questa popolazione altamente vulnerabile al contagio e alle complicanze connesse con l'esordio della malattia.
Di conseguenza, è importantissimo compiere sforzi per garantire agli immigrati l'accesso ai servizi socio-sanitari, al fine di offrire terapie adeguate, in un'ottica di promozione della diagnosi precoce e di strategie di prevenzione.
L'idea, quindi, che i CPT (centri di permanenza temporanea) possano rappresentare una risposta all'emergenza sanitaria degli immigrati, trasformandosi in luoghi impropri di degenza o di cura, non appare assolutamente sostenibile; ciò, anche in considerazione del fatto che da più parti vengono segnalate situazioni di estremo degrado all'interno dei centri, in grado di determinare, o comunque di aggravare, le condizioni di salute delle persone ivi dimoranti.
In base alle considerazioni esposte, chiediamo se il ministro sia in possesso di informazioni differenti, rispetto a quelle che emergono dalla letteratura scientifica, in merito a eventuali pericoli sanitari collegati all'immigrazione. Inoltre, chiediamo: quali sono i motivi che hanno indotto il ministro ad usare toni così allarmistici? Quali sono le azioni e le iniziative che il ministro interpellato intende adottare per promuovere l'accoglienza, l'inserimento sociale e la garanzia di diritti primari, primo fra tutti quello della vita e della salute degli immigrati?
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
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MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Bucchino per l'illustrazione della sua interpellanza urgente.
Riguardo alla conclusione della sua introduzione voglio solo dire che il Governo ed il ministro dell'interno intendono riorganizzare e proporre al paese una disciplina sull'immigrazione in grado di accompagnare la richiesta di regolarità proveniente dall'immigrato, riconoscendo a quest'ultimo anche opportunità e diritti, oltre che doveri.
Le dico questo avendo riguardo alle ampie riflessioni che lo stesso ministro Amato ha condiviso nelle aule parlamentari - e non solo -, grazie alle quali risulta evidente lo spirito con il quale egli, in modo responsabile e godendo di ampia fiducia e condivisione, sta gestendo i fenomeni migratori.
Le sue riflessioni, onorevole Bucchino, prendono spunto da dichiarazioni che il ministro Amato svolse in ordine ai possibili riflessi di natura sanitaria connessi al fenomeno migratorio.
Per ciò che concerne la tutela dei diritti primari vorrei dirle, al riguardo, che le considerazioni del ministro dell'interno sono state estrapolate da un contesto di riflessione ben più articolato, e consueto, sul tema della gestione dei flussi migratori, dal quale risulta evidente il loro effettivo significato. In particolare, quelle dichiarazioni si inserivano nell'ambito di una valutazione sulla gestione dei centri di permanenza temporanea. Lei saprà che il ministro, al riguardo, ha nominato una commissione che sta concludendo in questo mese di dicembre la sua attività di elaborazione di un'analisi, di una proposta in merito ai centri. Si è fatto questo per approfondire ulteriormente il tema delle condizioni nelle quali gli immigrati sono ospitati in questi centri, ma anche per avviare una riflessione, che s'intende condividere con il Parlamento, sull'esistenza, sull'organizzazione, sul senso di questi centri.
L'obiettivo del ministro è quello di riuscire ad istituire delle strutture di accoglienza vere e proprie che siano finalizzate ad assicurare agli immigrati l'assistenza necessaria e le pratiche sanitarie indispensabili a garantire la loro salvaguardia e la loro salute.
La tutela della salute psicofisica degli ospiti dei centri di permanenza temporanea e di assistenza, questo vale per tutte le altre tipologie di centri per gli immigrati, è un principio essenziale costituzionalmente protetto a cui si adeguano rigorosamente le cosiddette linee guida per la gestione dei centri che furono emanate con decreto del ministro dell'interno in data 8 gennaio 2003.
In quel decreto si prevede che nel testo di ogni convenzione stipulata per la gestione dei centri sia prevista, tra le prestazioni di assistenza alla persona, l'assistenza sanitaria espletata in apposito ambulatorio attrezzato, inserito all'interno del centro, con presidio medico e infermieristico costituito da pronto soccorso, con attrezzato dispensario di medicinali, servizi ambulatoriali, smaltimento dei rifiuti speciali, presenza di ambulanza nelle ventiquattr'ore all'occorrenza, nel caso di presenze che superino le 500 unità.
Il rapporto tra il numero di operatori e il numero di ospiti è proporzionale al numero delle presenze quotidianamente registrate; deve essere garantito dall'ente gestore, altrimenti gli viene applicata una penale. A titolo di esempio si va da un minimo di un ambulatorio con infermieri professionali e presidio medico di 6 ore al giorno per centri fino a 50 ospiti fino ad arrivare alla presenza di un'ambulanza e di un presidio medico nell'arco delle ventiquattr'ore nei casi dei centri con maggiori presenze. Nell'ottica di promuovere la difesa della salute degli ospiti extracomunitari, nonché indirettamente degli stessi operatori, è previsto che, ad ogni nuovo ingresso nei CPTA sia seguita una visita medica accurata al fine di verificare l'eventuale presenza di patologie pregresse in atto e fornire, se del caso, opportuno soccorso sanitario.
A tal fine, il paziente, qualora se ne palesi l'esigenza, viene sottoposto a visitePag. 60specialistiche presso strutture ospedaliere esterne e poliambulatori dell'ASL territorialmente competenti.
Inoltre, all'atto della prima visita di ingresso nel centro viene redatta apposita scheda sanitaria individuale che sarà conservata negli uffici dell'ente gestore con le dovute accortezze in materia di custodia previste dalla legge sulla privacy.
Nell'eventualità di situazioni emergenziali dal punto di vista sanitario, il personale medico infermieristico dell'ente gestore può essere validamente integrato da quello appartenente alla Polizia di Stato.
A testimonianza delle iniziative assunte per assicurare un elevato livello qualitativo del servizio di assistenza sanitaria offerto agli immigrati irregolari, ospiti delle strutture di accoglienza o di trattenimento, citerei anche il caso del centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa (non più centro di permanenza temporanea, ma centro di accoglienza).
In tale struttura, che viene quasi giornalmente utilizzata, sia pure per breve tempo, da centinaia di persone, opera un'equipe socio-sanitaria di elevata professionalità, con specifica competenza nel settore della medicina dell'emigrazione.
L'attuale convenzione per la gestione del centro di Lampedusa prevede il dimensionamento del presidio medico infermieristico quotidianamente assicurato che, nel caso di 500 ospiti, impone la presenza per le ventiquattr'ore di un medico del servizio ambulatoriale con infermieri professionali ed ambulanza.
Inoltre, la prefettura di Agrigento ha stipulato fin dal 2004 un'apposita convenzione con l'associazione Medici senza frontiere che autorizza quest'ultima ad effettuare un primo triage sanitario all'atto dello sbarco dei migranti.
Tale assistenza, se del caso, prosegue con l'ausilio del personale medico e paramedico dell'ente gestore anche all'interno della struttura. Nel caso in cui gli operatori, il personale medico e paramedico accertino particolari patologie diagnostiche non curabili presso il centro, verranno avviati immediati contatti con il poliambulatorio di Lampedusa, l'unico presidio sanitario pubblico dell'isola cui è demandata l'ulteriore decisione di carattere sanitario di profilassi igienico-infettivologica che, nello scorso mese di maggio, è stato, tra l'altro, potenziato con l'apertura di un servizio di pronto soccorso, dotato di personale specializzato per l'emergenza e di attrezzature idonee.
Lo stesso direttore generale dell'ASL 6 di Palermo ha evidenziato che il relativo presidio sanitario è dotato di laboratorio di analisi cliniche in grado di eseguire gli esami ematochimici di routine e repertarli in 24 ore e che sono stati richiesti kit per la diagnosi rapida di eventuali sospetti casi di malattie infettive riguardanti gli immigrati irregolari che giungono a Lampedusa.
Per quanto riguarda il problema squisitamente di ordine sanitario, vorrei premettere che nel caso degli immigrati clandestini l'attenzione verso determinate patologie piuttosto che altre è correlata a considerazioni di carattere statistico ed epidemiologico, che attengono principalmente al maggiore o minor grado di esposizione al contagio nei paesi di origine ed al rischio di prolungata esposizione durante il viaggio e nel paese di arrivo a condizioni di disagio, stress e degrado igienico in grado di favorire lo sviluppo della morbosità.
Per quanto riguarda la tubercolosi, nel nostro paese il tasso grezzo annuale di incidenza della malattia riferito all'anno 2004 è pari a 7 casi ogni 100 mila abitanti, al di sotto del limite che definisce la classificazione di paesi a bassa prevalenza. Dal sistema di notifiche delle malattie infettive del Ministero della salute si rileva, sempre nello stesso anno di riferimento, che la percentuale di casi notificati in cittadini non italiani è stata del 30 per cento.
È necessario, per una lettura corretta dei dati, considerare il grado di endemia della tubercolosi nel paese di provenienza, considerare anche il periodo di tempo trascorso dalla data di distacco dal paese di origine: il rischio maggiore di sviluppare la tubercolosi si verifica durante i primi due anni dalla data di immigrazione.Pag. 61
Come per la popolazione in generale, anche per gli immigrati l'intervento più efficace è rappresentato dalla diagnosi tempestiva, dal trattamento efficace e dalla ricerca dei casi di contatto.
Sottolineo l'importanza degli interventi di prevenzione descritti nelle linee guida nazionali per il controllo della tubercolosi ed anche l'opportunità di predisporre programmi che consentano di migliorare l'offerta delle azioni di controllo, utilizzando tutte le occasioni di contatto con le strutture sanitarie quali, ad esempio, l'accesso alle strutture ambulatoriali, il ricovero ospedaliero ed il rilascio di certificazioni sanitarie.
Gli interventi preventivi, svolti in collaborazione con le associazioni di volontariato e con i rappresentanti delle comunità, devono essere rivolti particolarmente a quei gruppi di immigrati, che, a seguito del disagio sociale, in cui si vengono a trovare nel paese di arrivo, permangono in condizioni di alto rischio di contrarre l'infezione tubercolare e, quindi, di sviluppare la malattia stessa.
Tra le azioni prioritarie individuate dal centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie del Ministero della salute sono previste la promozione di iniziative per supportare l'attenzione al problema della TBC nei gruppi a rischio, la prevenzione ed il controllo della tubercolosi nelle persone immigrate da paese ad alta endemia ed in altri gruppi di popolazione ad elevato rischio di sviluppare la malattia, ad esempio persone con infezione HIV.
Per quanto concerne la prevenzione e il controllo dell'infezione da HIV-AIDS che, come noto, presenta attualmente tassi di incidenza notevolmente più alti in alcuni paesi dell'Africa subsahariana, il nostro paese ha condiviso il programma di azione per la lotta all'AIDS, da intraprendere in Europa, stabilito dalle dichiarazioni di Dublino e di Vilnius, in occasione delle rispettive conferenze ministeriali del 23-24 febbraio 2004 e del 16-18 settembre 2004.
Tale programma ha individuato, tra l'altro, i gruppi vulnerabili e alcune strategie chiave per il contenimento dell'epidemia, tra cui educazione sanitaria, informazione, offerta attiva del test HIV volontario, l'adeguato trattamento, nonché la necessaria collaborazione fra istituzioni e la cooperazione internazionale.
Dai dati forniti dal centro operativo AIDS (COA), dell'Istituto superiore di sanità, relativi alla distribuzione percentuale dei casi cumulativi di AIDS per nazionalità anagrafica, nel periodo 1994-2005, si rileva che il 6 per cento sono casi registratisi in cittadini stranieri; inoltre, nel periodo 2000-2005, si evidenziano tassi di variazione percentuale, che, pur continuando ad assumere valori positivi, registrano una sensibile riduzione rispetto al periodo immediatamente precedente.
Credo che sia possibile procedere nel senso di una ulteriore riduzione, continuando a garantire l'assistenza e la cura alle persone migranti e sviluppando le indicazioni del nuovo piano sanitario nazionale, quali: il potenziamento dell'attività di prevenzione per gli adolescenti e i giovani adulti; la promozione delle capacità professionali degli operatori sanitari nelle aree geografiche a più alto afflusso di immigrati; la conoscenza e il superamento dei nodi critici che, all'interno del sistema sanitario nazionale, possano ridurre l'accesso degli immigrati ai percorsi di prevenzione, diagnosi e cura delle infezioni da HIV-AIDS e delle malattie sessualmente trasmesse.
È prioritario affrontare fattivamente le problematiche connesse alla prevenzione, attraverso un approccio transculturale ed interattivo, che consenta di raggiungere e dialogare efficacemente con le comunità migranti, anche utilizzando canali come i mediatori culturali e le associazioni maggiormente rappresentative.
PRESIDENTE. L'onorevole Bucchino ha facoltà di replicare, per dieci minuti.
GINO BUCCHINO. Signor Presidente, la ringrazio...
PRESIDENTE. Anche per un tempo minore, s'intende...
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GINO BUCCHINO. Signor Presidente, parlerò per molto meno di dieci minuti! La ringrazio, signor sottosegretario, per la puntuale e cortese risposta, che mi trova decisamente soddisfatto, soprattutto per le sue parole di attenzione forte al problema, perché ha usato anche il nuovo termine «centri di accoglienza», non più di centri di permanenza temporanea, che ci evocano anche tristi ricordi.
Certamente, un conto è la tutela sanitaria degli immigrati che bussano alle nostre porte, altro conto è diffondere nel paese grida di allarme, cosa che mi sembra chiaramente, dalle sue parole precise, non essere avvenuta, perché le parole del ministro sono state estrapolate da un certo contesto. Certamente, è molto importante lavorare in maniera estremamente seria e con molta attenzione per sradicare la mala pianta della xenofobia che ancora esiste in Italia. Ribadisco pertanto che la mia non era certo un'intenzione di attaccare il Governo, ma voglio dire che l'incidente nel quale è incorso, anche attraverso l'interpretazione estrapolata delle parole pronunciate, è servito a stimolare questa precisazione positiva e non poteva essere diversamente, considerata l'attenzione che è propria del nostro DNA, fatta tutta di solidarietà nei confronti degli immigrati, ai quali, è nostra convinzione, deve essere offerta la garanzia di percorsi di integrazione pieni e dignitosi.
Desidero solo rilevare, ancora una volta, che gli immigrati, soprattutto in condizioni di irregolarità, invece di essere rischio di diffusione di malattie, sono essi stessi ad essere esposti a quelle che la stessa Organizzazione mondiale della sanità definisce come diseguaglianze evitabili dello stato di salute, che li rendono quindi vulnerabili ed a maggior rischio di ammalarsi. Su tali diseguaglianze si può, e si deve, intervenire ed esse riguardano, come tutti sappiamo, le situazioni di povertà, di emarginazione sociale e di degrado ambientale in cui gli immigrati spesso si trovano a vivere. Gli sforzi del nostro paese e del nostro Governo devono essere, dunque, mirati a migliorare la politica - come lei stessa ha detto, signor sottosegretario, e la ringrazio - dell'accoglienza, a favorire l'integrazione, per garantire a tutti, regolari e non, l'accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari.
È vero: come abbiamo già detto, gli immigrati teoricamente godono degli stessi diritti sanitari degli italiani e la nostra legge, e di ciò ce ne facciamo vanto, da questo punto di vista è certamente tra le più avanzate del mondo, poiché equipara l'immigrato con regolare permesso di soggiorno al cittadino italiano. Nella realtà, tuttavia, esiste una diseguaglianza nell'accesso ai servizi, perché spesso vi è mancanza di conoscenze da parte dell'immigrato ed una grave carenza anche da parte dell'operatore nell'agire in un contesto interculturale o multiculturale che, quindi, deve giustamente essere filtrato da mediatori culturali. Manca, quindi, nella realtà, una seria politica dell'integrazione e persiste una forte precarietà per l'immigrato, come testimonia anche un'area critica importante, ossia quella della tutela del lavoro. L'attuale normativa, che prevede un legame troppo stretto tra il contratto di lavoro e il permesso di soggiorno, pone i lavoratori stranieri in una condizione di ricattabilità, a volte estrema: lo testimonia purtroppo, anche in questi giorni, l'alto numero delle vittime di incidenti sul lavoro che riguarda proprio la popolazione immigrata.
Anche a ciò, dunque, oltre al concentrarsi degli immigrati nelle lavorazioni più pericolose, è dovuto il rischio molto maggiore di incidenti sul lavoro. Tale dato costituisce un'assoluta emergenza per la salute della popolazione ospite. È necessaria, dunque, oltre ad una seria campagna di educazione per sradicare definitivamente i diffusi preconcetti sui timori di malattie di importazione, una seria politica di attenzione socio-sanitaria, ai fini della protezione della salute di questi nuovi compagni di strada, che hanno scelto di portare le loro energie e le loro competenze nel nostro Paese per aiutarci a costruire l'Italia del futuro. La tutela della salute dei cittadini stranieri necessita di politiche attive che promuovano dunque l'accoglienza, come lei stessa diceva.Pag. 63
Anche per questo motivo è stato raccomandato ed accolto dal Governo - nella fattispecie dal ministro della salute Livia Turco, al cui nome, insieme quello del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è legata la migliore legge nei confronti degli immigrati - il suggerimento che venga istituita presso il Ministero della salute una commissione tecnica, in realtà già esistente, ma che era stata accantonata durante gli anni sterili del Governo Berlusconi. Tale commissione è finalizzata al monitoraggio dell'applicazione delle normative nazionali, specie per quanto riguarda l'accessibilità ai servizi e la fruibilità delle prestazioni. Essa è stata già costituita e si riunirà il prossimo 12 dicembre.
È necessario tornare, in conclusione, a parlare di sanità dell'immigrazione, con l'attenzione e la competenza che merita un processo su cui il nostro paese gioca una buona parte del suo futuro.