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Allegato B
Seduta n. 205 del 17/9/2007
TESTO AGGIORNATO AL 18 SETTEMBRE 2007
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanze:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
Luigi Giampaolino, presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ha affermato quanto segue nella sua relazione annuale per il 2006: «La spesa soltanto per beni e servizi della Pubblica amministrazione in Italia ammonta a circa l'8 per cento del Pil. Studi a campione riferiti al periodo 2000-2005, rilevando variazioni significative nei prezzi pagati dalle diverse Pubbliche amministrazioni, hanno calcolato che se tutte le Pubbliche amministrazioni pagassero lo stesso prezzo, portando le meno "virtuose" al livello delle più "virtuose", si potrebbe ottenere un risparmio di circa il 20 per cento: vale a dire un punto e mezzo circa del Pil. Se l'8 per cento del Pil speso per beni e servizi ammonta a circa 117 miliardi di euro (dato riferito al 2005), i conti sono presto fatti: il risparmio potrebbe superare i 20 miliardi di euro l'anno e tali cifre sono, di proposito, sottostimate» -:
quali azioni e provvedimenti urgenti s'intendano adottare per realizzare l'obiettivo indicato dal presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che consentirebbe di abbattere di oltre 20 miliardi l'anno, tenendo conto anche dei lavori pubblici, la spesa della Pubblica amministrazione;
quali osservazioni siano pervenute dalla citata Autorità al fine di migliorare la normativa vigente con l'obiettivo di ridurre la spesa pubblica, di rendere più trasparenti le procedure nella stipulazione dei contratti pubblici e di contrastare gli accordi collusivi fra imprese rilevati in numerose gare;
se non si ritenga opportuno rafforzare e ampliare gli attuali poteri sanzionatori dell'Autorità nei confronti delle stazioni appaltanti, delle imprese e delle società di attestazione.
(2-00713)
«Turco, D'Elia, Beltrandi, Mellano, Poretti».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere - premesso che:
da tempo è in atto secondo i sottoscrittori del presente atto una vera e propria demonizzazione della Legge 30/2003 - cosiddetta Legge Biagi - accusandola di ogni male esistente nel mercato del lavoro e confondendo dolosamente il tema della flessibilità con quello della precarietà, nascondendo, nel contempo, tutti i notevoli aspetti positivi in termini di emersione del lavoro nero e di forte espansione del numero degli occupati, ma anche la necessità del completamento della normativa - come previsto dal Libro Bianco; del Prof. Biagi nel campo cruciale degli ammortizzatori sociali;
anche recentemente abbiamo assistito ad inqualificabili attacchi secondo i sottoscrittori del tanto incivili quanto grossolani e menzogneri, non soltanto nei confronti delle normative in vigore ma anche delle persone stesse dei Prof. Biagi e Treu, rei, anche secondo esponenti della estrema sinistra, di essere gli autori di norme che favorirebbero i fenomeno delle cosiddette «morti bianche» ovvero delle morti sul lavoro;
dal Rapporto Inail 2006 si rileva il numero fortunatamente esiguo di incidenti mortali tra le categorie di lavoratori «atipici»
(interinali, parasubordinati) e la loro scarsa incidenza (2,46 per cento) sul totale dei casi mortali accaduti nel 2006;
anche dall'indagine Inail - Gruppo «nuovi flussi» (rapporto Inail 2006) - realizzata su di un campione di 1.511 casi di infortuni sul lavoro mortali negli anni 2004-2006 - l'incidenza di casi mortali tra i lavoratori nella condizione di parasubordinato e interinale si fermava al 2,1 per cento del totale, mentre era di ben il 5,5 per cento tra il personale definito «irregolare»;
secondo i dati Eurostat relativi ai tassi di incidenza standardizzati per 100 mila occupati nell'Unione Europea tra il 1995 e il 2004, degli incidenti sul lavoro con esito mortale, la media italiana, nel periodo anteriore alla stagione delle riforme del mercato del lavoro e cioè dal 1995 al 1997, era di 4,4 (morti per 100 mila occupati) contro quella dell'Unione Europea a 15 del 3,6 cioè 80 morti all'anno in più (su 10 milioni di occupati) della media europea;
sempre secondo l'Eurostat la media italiana nel periodo 2002-2004 (quindi in piena attuazione delle riforme Treu/Biagi) scendeva drasticamente al 2,5, allo stesso livello della media europea;
dal confronto delle serie storiche (fonte Inail) di due periodi di 9 anni - prima e dopo la stagione delle riforme del mercato del lavoro - si rileva che la media di infortuni sul lavoro mortali in Italia era stata di 1.752 nel periodo 1989-1997 e di 1.410 nel periodo 1998-2006. Quindi con una riduzione di 342 eventi mortali all'anno pari ad una contrazione del 19,5 per cento, proprio nel periodo di attuazione delle riforme Treu/Biagi; e tutto ciò malgrado l'aumento di 2.7 milioni di nuovi occupati tra il 1997 e il 2006 -:
quali misure, anche di tipo informativo volte al ristabilimento della verità fattuale presso l'opinione pubblica, il Governo intenda prendere e quali considerazioni stringenti e definitive intenda svolgere su un tema così delicato.
(2-00717)
«Turco, D'Elia, Beltrandi, Mellano, Poretti».
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
contestualmente alla presentazione di questo atto di sindacato ispettivo è stato presentato a Milano, in una conferenza stampa, un Libro bianco in ordine all'assassinio del giornalista Walter Tobagi, avvenuto il 28 maggio 1980;
il libro bianco denuncia le responsabilità di coloro che non hanno impedito l'assassinio del giornalista del Corriere della Sera, pur essendo noti, sei mesi prima, sia gli esecutori dell'assassinio sia il loro progetto criminale, come pienamente dimostrato dagli autori del libro Le Carte di Moro, perché Tobagi, Roberto Arlati Renzo Magosso - con introduzione di Giorgio Galli, edito da Franco Angeli - le cui tesi sono state ampiamente riprese in una interpellanza e in una interrogazione a risposta immediata, a prima firma dell'interpellante, presentate alla Camera dei deputati nella XIV legislatura, rispettivamente il 10 dicembre 2003 e il 15 giugno del 2004;
l'interrogazione a risposta immediata, discussa in Aula il 16 giugno 2004, richiama i contenuti dell'interpellanza del 10 dicembre 1993, articolata su una ampia sintesi del volume di Arlati e Magosso, e cita il libro di Giorgio Galli intitolato Piombo Rosso, con riferimento in particolare al fatto che i due libri «hanno esposto approfondito e svelato profondi interrogativi e gravi contraddizioni in ordine all'omicidio del giornalista Walter Tobagi ed alle cause, alle lacune ed alle omissioni che nei mesi precedenti lo hanno reso possibile, nonostante precisi dati informativi in possesso di ufficiali del nucleo antiterrorismo dell'Arma dei carabinieri» e, fra questi, in primo luogo di «una nota redatta dal sottufficiale dei carabinieri, in codice denominato "Ciondolo"»;
come sottolineato nell'interrogazione a risposta immediata, «i fatti e le testimonianze pubbliche - ad esempio la conferenza stampa che ha avuto luogo alla Camera dei deputati nel dicembre del 2003 per la presentazione del volume di Arlati e Magosso e il 3 giugno 2004 a Milano per la presentazione del volume di Giorgio Galli - hanno evidenziato gravi profili decisionali e operativi in ordine sia all'Arma dei carabinieri, nel suo ruolo di polizia giudiziaria e in attività di antiterrorismo, sia alla Procura della Repubblica di Milano che ha avuto la responsabilità delle indagini», con i magistrati Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, i cui interventi presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia, in ordine al materiale rinvenuto nel covo delle Br di via Monte Nevoso a Milano, sono ripresi nel libro di Arlati (che era ufficiale dei Carabinieri, fra i componenti del nucleo antiterrorismo di Milano) e di Magosso;
nella discussione in Aula alla Camera dell'interrogazione a risposta immediata, del tutto reticente è stata la risposta del Governo - con l'allora Ministro per i rapporti con il Parlamento Giovanardi - contraddistinta, ad avviso dell'interrogante, da un sostanziale disprezzo per la ricerca della verità sull'assassinio di Tobagi, in risposta alle opinioni espresse dall'interpellante secondo il quale a distanza di ventiquattro anni dall'assassinio di Walter Tobagi, persistono e «sono ricorrenti gli interrogativi sulle gravi omissioni da parte di ufficiali dei carabinieri dell'epoca, i quali nascosero e non diedero seguito ad una nota informativa preventiva» in base alla quale «già nel dicembre del 1979, sei mesi prima dell'omicidio, i nomi dei terroristi che stavano progettando l'assassinio di Tobagi erano noti, ma nulla, assolutamente nulla, venne fatto per impedirne la morte»;
la risposta del Governo, in Aula alla Camera il 16 giugno del 2004, non è stata soltanto reticente ma - come riportato nel resoconto della replica - a giudizio dell'interpellante «semplicemente indecente», e, in alcuni punti di assoluta importanza nella ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, palesemente falsa, in primo luogo laddove il Ministro Giovanardi ebbe ad affermare che «nessuno ha mai indicato alle forze di polizia ed ai carabinieri i nomi degli assassini»;
una risposta peraltro che ha evidenziato - ad avviso dell'interpellante - il ruolo istituzionalmente assente del Governo di allora, il quale, disse il Ministro Giovanardi «non ha potuto fare altro che raccogliere nuovamente dalla Procura di Milano, dai magistrati, sulla base di dichiarazioni rese in passato e di quelle di oggi, la loro volontà di non spiegare nuovamente cose già chiarite in tutte le sedi competenti», come se inesistente o smentita fosse la testimonianza del sottufficiale dei Carabinieri del nucleo antiterrorismo di Milano, nome in codice «Ciondolo», ribadita in quei giorni con una intervista al settimanale Gente, il quale, come già citato, «sette mesi prima aveva fornito ai suoi ufficiali superiori i nomi di coloro che stavano progettando l'assassinio»;
il Governo di allora inoltre nulla ha affermato in merito alle deviazioni eversive che attraverso la loggia P2 emersero anche nell'Arma dei carabinieri, per esplicita ammissione di alti ufficiali dell'Arma, ad esempio del generale Bozzo, all'epoca diretto superiore del capitano Arlati e principale collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale - come riportato nella interpellanza del 10 dicembre 2003 - «il 21 gennaio 1998, alla Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, affermò l'esistenza di "contrasti molto seri" fra il nucleo antiterrorismo dei Carabinieri e l'Arma di Milano che impedirono una completa ed efficace perquisizione della base di via Monte Nevoso e rivelò l'esistenza di forme di inquinamento e di pressioni da parte degli uomini dei Carabinieri legati alla P2. Dissi chiaramente al generale Dalla Chiesa, all'inizio del 1980, che eravamo stati tagliati fuori a Milano, dalle indagini sul terrorismo. Feci
notare - aggiunse il generale Bozzo - che ormai i capitani Ruffino e Bonaventura - che fu responsabile dello spostamento delle carte dell'onorevole Aldo Moro, scoperte nel covo milanese di Via Monte Nevoso - rispondevano praticamente solo ai colonnelli Mazzei e Panella, poi risultati iscritti alla loggia P2»;
i fatti, le responsabilità dell'Arma nell'azione di polizia giudiziaria, le gravissime deviazioni istituzionali ad opera della loggia P2, la gestione dei pentiti non esclusivamente nelle operazioni antiterrorismo - come l'assassinio Tobagi evidenzia emblematicamente - allora e nel corso di questi anni, non hanno avuto alcun esito sotto il profilo giudiziario;
fa eccezione - paradossalmente - la causa per diffamazione nei confronti del giornalista Renzo Magosso, il cui processo ha in programma il 20 settembre la sua udienza conclusiva;
l'onorevole Franco Corleone - sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001 - in un articolo apparso sul quotidiano Il Riformista il 10 luglio 2007, scrive: «Dopo 27 anni questa vicenda non è ancora storia ma rimane cronaca. Il 28 maggio, in occasione dell'anniversario, la morte di Tobagi è stata rievocata in tono rituale, mentre invece attende ancora giustizia. D'altronde, la ferita è aperta da tutti i punti di vista. Infatti, nel silenzio più assoluto, presso il Tribunale di Monza è in corso un nuovo processo. In realtà, il procedimento penale vede come imputato il giornalista Renzo Magosso, autore del volume Le Carte di Moro. Perché Tobagi querelato dal generale Ruffino e dalla sorella del generale Bonaventura»;
la querela è relativa ad un articolo del settimanale Gente del 17 giugno 2004 in cui il giornalista Renzo Magosso ha intervistato il sottufficiale dei Carabinieri, Dario Covolo, che «dichiarava di aver presentato sei mesi prima del delitto una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l'azione criminosa e che i suoi superiori la chiusero in un cassetto»;
nell'articolo Corleone fa riferimento ai volumi di Ugo Finetti, Il caso Tobagi, di Paolo Franchi e Ugo Intini, Le parole di piombo, di Daniele Bianchessi, Walter Tobagi, e inoltre alle inchieste di Giovanni Minoli in alcune trasmissioni RAI de La storia siamo noi, ai numerosi giornalisti che in questi anni «hanno riportato i nuovi elementi emersi dall'inchiesta di Magosso, alle parole dell'allora direttore del Corriere della Sera, Stefano Folli, che il 28 maggio 2004 a Milano, in occasione della cerimonia di commemorazione di Tobagi ha detto: "noi pensiamo che si debba approfondire la vicenda in tutti i suoi aspetti e nello stesso momento noi rispettiamo le acquisizioni fatte dalla magistratura, che ha fatto indagini in tutte le direzioni. Ma riteniamo che non si tratti di una storia che possa considerarsi completamente chiusa"»;
«Nessuno - osserva Corleone, nell'articolo del 10 luglio 2007 - è sotto accusa, solo Magosso è sotto processo per una intervista. La cosa ha dell'incredibile, eppure non suscita scandalo. Le udienze finora si sono svolte nel silenzio più assoluto. Mi sono chiesto la ragione della latitanza dell'Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa. Qui non è in gioco una difesa corporativa ma l'essenza della libertà di stampa e del diritto-dovere dell'informazione. La giurisprudenza della Cassazione è chiara sul punto, ma la solitudine di Magosso pone un problema politico [...] Renzo Magosso da imputato si è trasformato in accusatore. Ha rivendicato la sua amicizia con Tobagi e il suo impegno perché l'oblio non nasconda le ragioni occulte che hanno determinato quella tragedia. Magosso, peraltro, ha riferito in aula una circostanza inedita e clamorosa: venti giorni dopo il delitto, nel giugno 1980, il generale Dalla Chiesa incontrò l'allora direttore del Corriere Franco Di Bella e gli disse chiaramente che a uccidere Tobagi era stato Marco Barbone, figlio di un alto dirigente dell'Editoriale. Di Bella chiese a Magosso, che lavorava al quotidiano L'Occhio, e che seguiva le indagini sul terrorismo, di accertare quanto ci fosse di vero. Magosso si
rivolse all'allora capitano Bonaventura che confermò la circostanza, aggiungendo: "Abbiamo la certezza, la notizia arriva da Varese". Va chiarito che Rocco Ricciardi, l'informatore citato da Dario Covolo, abitava proprio nel varesotto. Ebbene, il 25 settembre, a poche ore dall'arresto di Barbone, Magosso scrisse su L'Occhio, il tabloid della Rizzoli diretto da Maurizio Costanzo, che era stato il killer di Tobagi e fece esplicito riferimento a Varese. Solo il 10 ottobre "in maniera inaspettata e clamorosa" come riferiscono gli atti processuali, Barbone confessò di aver ucciso Tobagi. Magosso dunque non si era sognato nulla. E questa sembra proprio la riprova che nella vicenda ci sia ancora moltissimo da chiarire»;
gli interrogativi che Corleone pone nell'articolo sono i medesimi che motivarono gli atti di sindacato ispettivo presentati dall'interpellante con l'adesione dei parlamentari Ugo Intini, Alfredo Biondi, Pisapia e Bielli: «Perché non fu salvato Tobagi? Fu solo sciatteria e insipienza, o ebbe un ruolo la P2? Fu decisivo l'utilizzo dei pentiti e un indecente rapporto di scambio? Dopo l'uccisione di quattro br in via Fracchia a Genova faceva comodo una ripresa del terrorismo in cui la vittima sacrificale poteva ben essere un riformista socialista, magari vicino alla direzione del maggiore quotidiano italiano?»;
«Barbone - afferma inoltre Corleone nell'articolo citato - venne prontamente scarcerato, grazie alla collaborazione con i magistrati, che portò all'arresto di decine di suoi ex compagni. La sua ex fidanzata non venne neppure inquisita, nonostante avesse partecipato al progetto di sequestrare lo stesso Tobagi. Ora il processo contro il giornalista Magosso rischia di trasformarsi, al di là della volontà dei giudici, nella identificazione di un capro espiatorio che sia di monito per chi volesse insistere nel non rassegnarsi a una verità di comodo»;
quest'ultimo grave interrogativo è ripreso da Corleone in un successivo articolo da egli firmato e pubblicato sempre su Il Riformista il 12 settembre 2007: «anche un cieco si accorgerebbe del fine oggettivamente intimidatorio di colpire anche simbolicamente un giornalista impegnato da anni nella ricerca della verità di una tragedia legata alla dolorosa storia d'Italia con l'imputazione di non aver garantito la completezza dell'informazione e l'oggettività dei riscontri»;
«Grazie alla sensibilità di Franco Abruzzo - scrive Corleone in riferimento al precedente articolo del 10 luglio 2007 - il testo pubblicato da Il Riformista è stato inviato via e-mail a migliaia di giornalisti. Così l'11 luglio a Monza si respirava un'aria diversa per quella che si è rivelata un'udienza sconvolgente. Ho avuto la netta impressione che nessuno si aspettasse la presenza come testimone di Dario Covolo (questa è la vera identità di Ciondolo), ma la sorpresa si è tramutata in un imbarazzante disagio di fronte alla sicurezza e alla determinazione con cui ha risposto alle domande degli avvocati e del pubblico ministero»;
«Dario Covolo - afferma Corleone nell'articolo del 12 settembre 2007 - ha confermato che sulla base delle informazioni di Rocco Ricciardi, informatore e infiltrato nei gruppi dell'autonomia della zona di Varese, presentò al capitano Ruffino un primo appunto il 13 dicembre 1979 in cui si parlava di Tobagi. Nella relazione consegnata ai suoi superiori, il carabiniere riferisce che, secondo Ricciardi, vi era un progetto di attentato contro il giornalista, che doveva avvenire vicino alla casa di Tobagi (come quasi sei mesi dopo effettivamente avvenne). L'informativa di Ciondolo specifica che Tobagi era "vecchio obiettivo delle Fcc (Formazioni comuniste combattenti, ndr)". E in effetti lo stesso Ricciardi assieme ad altri militanti delle Fcc (tra cui Caterina Rosenzweig), nel febbraio 1978 aveva effettuato un tentativo di sequestro di Tobagi, in quel caso fallito. Covolo - aggiunge Corleone - non si limita a confermare il contenuto dell'appunto reso noto nel dicembre 1983 da alcuni deputati socialisti e confermato nella sua veridicità
dall'allora Ministro dell'interno Oscar Luigi Scalfaro - (come riportato nell'interpellanza del 10 dicembre 2003, in risposta scritta ad un'interrogazione parlamentare, il 19 dicembre 1983 l'allora Ministro dell'interno Scalfaro, conferma l'esistenza di una nota "redatta da un sottufficiale dell'Arma il 13 dicembre 1979" e afferma: "Va rilevato che l'attività dell'Arma dei carabinieri in tutte le vicende surriferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all'autorità giudiziaria, dalla quale dipende", ndr) - che innescò una violenta polemica tra L'Avanti!, il quotidiano del Psi, e la Procura di Milano e Bettino Craxi, all'epoca Presidente del Consiglio dei ministri»;
Covolo, scrive Corleone, aggiunge: «Ci sono degli appunti successivi a questo, dove si fa nome e cognome di quelli che devono ammazzare. Mi si fa il nome e si dice: "guarda che il gruppo che sta operando dovrebbe essere la Caterina (Rosenzweig, ndr) e il suo fidanzato, il suo convivente Barbone Marco". Non mi si fanno i nomi degli altri però quei nomi vengono fatti in successivi appunti». «La conclusione di questa parte della deposizione - osserva Corleone - è drammatica: io non so onestamente cosa venne fatto. "Io so che a un certo punto ebbi un grosso diverbio con il capitano Ruffino quando ammazzarono Tobagi, da solo nel suo ufficio [...] per questa relazione, su questo proposito"»;
nel corso della deposizione, riferisce Corleone nell'articolo del 12 settembre 2007, su domanda del pubblico ministero di Monza, Covolo conferma le frasi virgolettate presenti nell'intervista di Magosso, sopra citata: «Nessuna incertezza nel riconoscere le affermazioni come proprie e implicitamente la correttezza del giornalista»;
«dopo aver ricevuto una ovvia risposta negativa alla domanda sul fatto che fossero state fatte fotocopie dei rapporti successivi a quello citato, il pm, dottor Pepè - scrive Corleone - dimenticando che il processo è per querela contro un giornalista per avere pubblicato una intervista di una persona protagonista dei fatti, si impegna impropriamente nel cercare di incrinare la credibilità del teste, contrapponendo alle dichiarazioni di Covolo, ribadite e rafforzate in aula pochi minuti prima, quelle processuali di Rocco Ricciardi e di Barbone che negano rispettivamente di avere fatto i nomi e di avere ipotizzato l'omicidio prima del 28 marzo 1980. Covolo sarcasticamente ha chiesto di essere messo a confronto!» ed ha rivendicato la sua ricostruzione «indipendentemente dalle versioni dei colpevoli di gravi delitti e il diritto a dire la sua verità»;
fra gli aspetti, egualmente gravi, dei fatti e delle responsabilità che hanno preceduto e determinato l'assassinio di Walter Tobagi, appare più che motivata, secondo Corleone e ad avviso dell'interpellante, una maggiore attenzione del ruolo di Ricciardi, infiltrato e confidente, la cui collaborazione «prosegue nel tempo, anche dopo l'omicidio Tobagi»;
Covolo ha confermato il proprio racconto il 23 luglio 2007 nel corso di un incontro al Centro San Fedele di Milano: dibattito al quale ha preso parte anche l'interpellante, l'ex capitano Arlati, e Sergio Segio, secondo il quale, ad avviso di Corleone, nonostante fosse stato fatto identificare da Ricciardi come uno dei capi di Prima Linea, egli ed altri furono lasciati liberi di operare;
giovedì 20 settembre avrà luogo l'ultima udienza del processo in cui è imputato il giornalista Renzo Magosso - al quale il 23 luglio, riferisce Corleone, «l'associazione lombarda giornalisti, con David Messina, ha finalmente manifestato solidarietà» - mentre le verità e gli interrogativi che a trenta anni di distanza dall'assassinio di Walter Tobagi ancorché negati si rafforzano nelle loro motivazioni, nella consapevolezza che la memoria di
Walter Tobagi richieda una verità piena e accertata -:
nel pieno rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, e delle vicende processuali richiamate, quale sia l'opinione che il Governo ha dei fatti che sono stati documentati negli anni dalle fonti citate in premessa, con dati testimoniali e riferimenti ad atti parlamentari e fonti pubbliche, fra le quali da ultimo la deposizione di Covolo al processo in atto a Monza;
quali iniziative il Governo intenda eventualmente assumere, a prescindere dall'esito del processo in cui è imputato il giornalista Renzo Magosso, in riferimento alla tutela della libertà di stampa e della ricerca della verità avverso ogni possibile omissione.
(2-00721) «Boato, Buemi».
Interrogazioni a risposta orale:
TURCO, D'ELIA, BELTRANDI, MELLANO e PORETTI. - Al Presidente del consiglio dei Ministri, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. - Per sapere - premesso che:
sulla base degli ultimi dati dell'Istat sul lavoro nero, nel 2004 il tasso di irregolarità nel lavoro, calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro, era pari al 13,4 per cento, corrispondente a 3.269 unità di lavoro;
il tasso d'irregolarità si concentra nell'agricoltura (33 per cento), nei servizi (14,6 per cento) e nelle costruzioni (12,4 per cento) e, per quanto riguarda la ripartizione territoriale, al Sud (22,8 per cento) e al Centro (12,3 per cento);
il maggior numero di lavoratori irregolari si registra nei servizi con 2.321 unità di lavoro (72 per cento delle Ula irregolari totali) e nel Mezzogiorno con 1.534 unità di lavoro (48 per cento delle Ula irregolari totali);
dall'attività svolta dagli ispettori del Ministero del lavoro e della previdenza sociale è emerso che:
a) nei primi sei mesi del 2007, per ogni cento aziende ispezionate, ben sessantatre sono state trovate irregolari, variando la fattispecie dal cosiddetto «lavoro nero» a irregolarità di minore entità;
b) dai dati complessivi diffusi dal Ministero del lavoro in seguito all'attività ispettiva svolta risulta che, il numero delle aziende risultate non in regola con la vigente normativa, è pari a 102.379 unità e che tale quantità è superiore del 22,94 per cento rispetto ad analoga attività ispettiva svolta nel primo semestre dell'anno 2006;
c) che il numero dei lavoratori irregolari accertati dalle ispezioni è pari 136.200 individui, con un incremento rispetto al primo semestre dell'anno 2006 del 50,11 per cento;
d) che di questi lavoratori irregolari ben 62.271 sono lavoratori cosiddetti «totalmente in nero», con un incremento rispetto al primo semestre dell'anno 2006 pari all'8,88 per cento;
e) dai risultati dell'attività ispettiva il recupero dei contributi e premi evasi è cresciuto del 15,66 per cento rispetto al primo semestre dell'anno 2006;
numerosi economisti e giuslavoristi sostengono che fra le cause del lavoro irregolare, soprattutto nel Mezzogiorno, quella che incide maggiormente è l'incompatibilità dei livelli salariali minimi stabiliti dai contratti collettivi nazionali con il costo della vita, con i livelli di produttività e di redditività delle imprese del sud e con i costi aggiuntivi che devono sostenere le aziende nel Mezzogiorno per carenza d'infrastrutture e per l'alto tasso di criminalità;
la pratica d'integrare il sussidio di disoccupazione con il lavoro irregolare, soprattutto per la cassa integrazione e la mobilità che prevedono generose integrazioni al reddito di lunga durata, appare
sempre più diffusa in assenza di una effettiva integrazione fra le politiche passive - i sussidi di disoccupazione - e le politiche attive, cioè il complesso integrato di servizi personalizzati che aiuti il lavoratore a essere più occupabile e, quindi, a trovare più velocemente un nuovo posto di lavoro, oltre che rendere difficoltoso lavorare in modo irregolare -:
per quali ragioni la rilevazione dell'Istat sul lavoro irregolare non è stata più aggiornata dal 2004;
se l'incremento dei lavoratori irregolari accertati dalle ispezioni è un sintomo dell'aumento del tasso d'irregolarità oppure della maggiore incisività dell'azione ispettiva;
se non si ritenga opportuno prevedere, con apposita normativa, deroghe ai livelli salariali minimi stabiliti dai contratti collettivi nazionali in presenza di accertate condizioni di svantaggio rilevate in determinate aree del paese per specifici settori produttivi, anche sulla base degli indicatori del costo della vita, della produttività e della redditività;
se non si ritenga utile sperimentare, nella contrattazione integrativa, schemi retributivi che mettano in relazione il salario alla produttività, prevedendo variazioni sia in positivo che in negativo a partire da una componente fissa della retribuzione;
se non ritenga urgente vincolare, con opportune politiche di welfare to work, la erogazione di tutti i sussidi di disoccupazione alla effettiva sottoscrizione da parte del lavoratore che ha perso il lavoro di un patto di servizio che lo vincoli a determinate attività formative e d'orientamento e all'obbligo di accettazione delle proposte di lavoro da parte dei servizi per l'impiego pubblico e privato, attraverso un'organica riforma degli ammortizzatori sociali (per una riqualificazione della spesa pubblica in grado di promuovere un incremento generale della ricchezza del Paese, contestualmente alla riduzione del debito pubblico).
(3-01216)
FABRIS, SATTA, DEL MESE, GIUDITTA, ROCCO PIGNATARO, D'ELPIDIO, PICANO, AFFRONTI, CAPOTOSTI, ADENTI, MORRONE, LI CAUSI, CIOFFI e ROSSI GASPARRINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
in data 14 settembre 2007 il settimanale L'Espresso ha pubblicato un servizio, che gli interroganti giudicano diffamatorio, relativo al viaggio compiuto dal Ministro della giustizia, il senatore Mario Clemente Mastella, al Gran Premio di Monza con un volo di Stato, definendolo «un viaggio privato a carico del contribuente», e pubblicando numerose fotografie che mostrano chiaramente l'identità dei soggetti presenti, ivi compresi gli uomini della scorta del Guardasigilli;
le notizie apparse su detto settimanale ed il modo con il quale dette notizie sono state pubblicate dal settimanale stesso pongono il Ministro della giustizia sotto una luce accusatoria di inaudita gravità, sollevando numerose polemiche che hanno avuto una strumentalizzazione mediatica abnorme, caratterizzata da inopinati e ingiustificabili attacchi politici che hanno fatto leva in modo palesemente arbitrario sul diffuso malcontento popolare nei confronti dei costi e dei privilegi della classe politica;
nella circostanza di cui alle premesse precedenti il Ministro della giustizia non ha affatto abusato del denaro pubblico, ma anzi ne ha consentito un risparmio, in quanto il volo di Stato era stato programmato per il Vice Presidente del Consiglio, l'onorevole Francesco Rutelli, in partenza da Napoli dopo la chiusura della Festa della Margherita;
il Ministro della giustizia, come il Vice Presidente del Consiglio, erano stati entrambi invitati a Monza dall'organizzazione ufficiale per la premiazione dei vincitori della gara;
il servizio elicottero-navetta Linate-Monza utilizzato dal Ministro della giustizia
è lo stesso di cui hanno usufruito centinaia di ospiti della società di gestione dell'autodromo;
le condizioni di sicurezza in cui devono svolgersi i viaggi del Ministro della giustizia sono stabilite al massimo livello, cosiddetto L1, dall'Ufficio centrale sicurezza del Ministero dell'interno, un livello di sicurezza imposto alle alte cariche dello Stato e a pochissimi Ministri, tra cui appunto quello della giustizia, in considerazione della delicatezza del suo ruolo e dei pericoli cui è esposto a causa delle sue funzioni -:
quante e quali personalità del mondo politico e istituzionale abbiano viaggiato nelle ultime tre Legislature usufruendo di velivoli di Stato, per quali destinazioni, con quanti e quali accompagnatori abbiano viaggiato, e quali siano stati i costi relativi;
se non si ritenga, alla luce delle polemiche emerse a seguito del servizio pubblicato dal settimanale L'Espresso, di abolire in via definitiva i voli di Stato, quantificando a tal fine il costo che lo Stato dovrebbe sostenere per consentire gli spostamenti delle autorità istituzionali della Repubblica in condizioni di totale sicurezza, anche avuto riguardo alle procedure di sicurezza prescritte dal Ministero dell'interno per garantire l'incolumità di dette autorità;
come si valuti il fatto che la zona militare dell'aeroporto di Linate sia stata violata, considerato che degli individui hanno avuto la possibilità di effettuare foto e filmati all'interno di un'area militare protetta che avrebbe dovuto essere preclusa a chiunque, trovandosi nelle condizioni di avvicinarsi ad una distanza tale da poter costituire, in altre circostanze, un serio pericolo per l'autorità pubblica;
come si valuti la pubblicazione, da parte de L'Espresso, delle foto degli agenti di sicurezza del Guardasigilli, resi così facilmente riconoscibili mettendo a repentaglio la loro incolumità personale, e quali garanzie si ritenga di poter adottare per asseverarne l'incolumità;
quali siano i giornalisti che negli ultimi anni hanno partecipato a missioni ufficiali e se sia stato mai richiesto un rimborso delle somme erogate per consentire il trasporto di ospiti e giornalisti con voli di Stato;
se, in particolare, e con quali modalità le testate giornalistiche abbiano mai erogato denaro per consentire agli esponenti della stampa di essere ospitati da voli di Stato.
(3-01220)