L’articolo 119, comma
sesto, della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, stabilisce che le regioni, i comuni, le province e le città metropolitane
possono ricorrere all’indebitamento solo
per finanziare spese di investimento; è espressamente esclusa ogni garanzia
dello Stato sui prestiti da essi contratti.
La nuova formulazione dell’articolo 119 ha notevolmente
condizionato l’applicazione della normativa vigente in materia, che invece ammetteva
la possibilità di indebitamento anche per il finanziamento, ad esempio, di
alcuni debiti fuori bilancio, ovvero, nel caso degli enti locali in condizioni
di dissesto finanziario, la possibilità di accensione di mutui per il ripiano
dei debiti pregressi, con la contribuzione statale sul relativo onere.
Dopo un primo, parziale, intervento della legge finanziaria
per il 2002 volto a risolvere alcune situazioni specifiche, la legge
finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002), ai fini dell’attuazione della
richiamata disposizione costituzionale, ha introdotto una norma che sancisce la
nullità degli atti degli enti locali
e delle regioni che contraggano mutui per spese diverse da quelle
d’investimento, in violazione quindi dell’articolo 119 della Costituzione,
prevedendo altresì la disapplicazione, in attesa dell’attuazione del Titolo V
della Costituzione, delle disposizioni del Testo Unico dell’ordinamento degli
enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) che disciplinano l’assunzione di mutui per il
risanamento finanziario dell’ente locale dissestato.
Con la legge
finanziaria per il 2004, il legislatore è intervenuto nella materia
ribadendo il vincolo all’indebitamento per le sole spese di investimento e elencando espressamente, al fine di
evitare ogni ambiguità nell’interpretazione dell’articolo 119, quali operazioni costituiscono indebitamento e
quali operazioni possono configurarsi come investimenti
(v. scheda Regole per il ricorso all’indebitamento).
Con la legge
finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004) sono state introdotte numerose
disposizioni volte al contenimento dell’indebitamento degli enti locali.
In particolare, attraverso la novella all’articolo 204 del
testo unico sugli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000), è stata limitata
la possibilità di indebitamento degli enti locali riducendo dal 25 al 12% delle entrate relative ai primi tre titoli
dell’entrata, l’entità delle spese per
interessi che rappresentano il livello massimo di indebitamento degli enti
locali come risultante non soltanto dall’accensione di mutui ma anche da
qualunque altra forma di finanziamento reperibile sul mercato cui l’ente possa
accedere.
E’ consentito agli enti che a quella data abbiano registrato
livelli di indebitamento più alti dei limiti consentiti, una progressiva
riduzione nel tempo dell’entità del debito medesimo.
Ulteriori disposizioni sono volte a ridurre la spesa per
interessi a carico della finanza pubblica attraverso la conversione in titoli obbligazionari o la rinegoziazione dei mutui degli enti territoriali in presenza di
condizioni di mercato che rendano tali operazioni vantaggiose.
Infine, va segnalata l’introduzione della facoltà per gli
enti locali di finanziarsi anche attraverso lo strumento dell’apertura di credito.
In questo modo gli enti locali si trovano ad avere la
possibilità, come avviene ordinariamente per le imprese private, di ottenere da
parte delle banche l’apertura di una linea di credito da cui effettuare tiraggi
in rapporto alle proprie esigenze di finanziamento.
L’apertura di credito viene pertanto ad aggiungersi alle
tradizionali fonti di finanziamento degli investimenti degli enti locali,
rappresentate dai mutui e dall’emissione di titoli obbligazionari.
Per un approfondimento sul tema, si rinvia alla scheda Limiti all’indebitamento enti locali.
Ulteriori modifiche hanno inoltre interessato la disciplina
relativa all’ emissione di titoli
obbligazionari e operazioni in strumenti
finanziari derivati da parte degli enti territoriali (v. scheda Titoli obbligazionari e derivati).