Con i due decreti dell’8 luglio 2003 il Governo ha dato attuazione all’articolo
4, comma 2, lettera a), della legge
22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici),
attraverso la determinazione dei valori
limite (cioè dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione
e degli obiettivi di qualità) per la protezione della popolazione dai
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Alla data di inizio della XV
legislatura non risulta ancora attuata la lettera b) della medesima disposizione, relativa alla fissazione dei valori
limite per i lavoratori e le lavoratrici
professionalmente esposti.
Può essere utile richiamare le principali finalità perseguite dalla legge quadro, approvata al termine della XIII legislatura:
§ la predisposizione di una disciplina unitaria,
applicabile a tutte le fonti di inquinamento elettrico e magnetico;
§ l’inserimento della tutela dall’inquinamento
elettromagnetico all’interno di una cornice sistematica che disciplini il
riparto di competenze fra i diversi soggetti pubblici coinvolti;
§ la fissazione di nuovi valori limite, e, in
particolare: dei limiti di esposizione
(ai fini della tutela della salute da effetti acuti), dei valori di attenzione (che non devono essere superati negli ambienti
abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate) e degli obiettivi di qualità (per la
localizzazione di nuovi impianti, l’incentivazione delle migliori tecnologie
disponibili e la progressiva mitigazione dell'esposizione);
§ la programmazione degli opportuni interventi di
risanamento dei siti.
In tale contesto, l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge individua tra le
competenze statali la determinazione dei limiti di esposizione all’elettrosmog e
la definizione delle tecniche di rilevazione, “in considerazione del preminente
interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee”.
Il successivo comma 2 demanda la definizione di tali limiti a due DPCM, da
emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, volti a
fissare i valori limite rispettivamente per la popolazione (lettera a) e per i lavoratori e le lavoratrici
professionalmente esposti (lettera b).
Nonostante l’ambito di applicazione della legge n. 36/2001 fosse esteso a tutti gli impianti, i sistemi e le apparecchiature suscettibili di comportare l'esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz (articolo 2), i citati DPCM hanno distinti campi di applicazione. L’uno riguarda infatti i campi generati da sorgenti fisse con frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (impianti radioelettrici) ovvero i campi ad alte frequenze[1]; l’altro si riferisce invece ai campi generati da elettrodotti (frequenza di rete di 50 Hz), ovvero ai campi a basse frequenze.
La ragione della predisposizione di due distinti decreti risiede
probabilmente, oltre che nelle differenze tecnologiche delle due tipologie di
impianti, anche nella differente disciplina recata dalla normativa previgente.
Si richiamano in proposito:
§
con riferimento
ai campi ad alte frequenze, il DPR n. 381 del 1998 e l’articolo 2 del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, nonché –
per le procedure autorizzative – il decreto legislativo n. 198 del 2002 (cd
“decreto Gasparri”), dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 303 del 2003, su cui
si rinvia alla scheda La legge obiettivo – Giurisprudenza costituzionale;
§
con riferimento
ai campi a basse frequenze, il D.P.C.M. 23 aprile 1992 e il D.P.C.M. 28
settembre 1995.
Nel merito, i due DPCM introducono valori limite complessivamente più restrittivi rispetto a quelli contemplati sia dalle disposizioni previgenti sia dalle norme comunitarie e internazionali.
Con specifico riferimento alle norme previgenti, si osserva che:
· per gli elettrodotti vengono assunti come limiti generali quelli prima previsti per le esposizioni prolungate;
· per le alte frequenze vengono confermati i valori fissati dal DM n. 381/1998.
Per quanto riguarda le norme internazionali, può essere utile richiamare le Guidelines for limiting exposure to time-variyng electric, magnetic and electromagnetic fields (up to 300 GHz), emanate nel 1998 dall’ICNIRP (International Commission Non Ionizing Radiation Protection), il quale costituisce il principale riferimento mondiale in tema di protezione dagli effetti delle radiazioni non ionizzanti. Nel citato documento si stabiliscono i criteri per limitare l’esposizione della popolazione e dei lavoratori in modo da ottenere la massima protezione contro gli effetti negativi noti sulla salute umana.
A livello comunitario, infine, la disciplina di riferimento è costituita dalla Raccomandazione 1999/519/CE[2], con la quale il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri l’adozione dei limiti proposti dall’ICNIRP, pur lasciando agli Stati medesimi la facoltà di fornire un livello di protezione più elevato di quello indicato nella raccomandazione stessa[3].
La seguente tabella illustra i valori limite adottati con i citati DPCM e li confronta con le norme internazionali:
Basse frequenze
Area/Paese |
Riferimento normativo |
Note |
Applicazione dei limiti |
Induzione magnetica B (µT) |
Campo elettrico E (V/m)[4] |
Unione
Europea |
Raccomandaz.
1999/519/CE |
Raccomandazione
non prescrittiva |
Per
esposizioni prolungate |
100 |
5.000 |
Italia |
DPCM
23 aprile 1992 |
Limiti
aventi valore legale |
Per
l’intera giornata |
100 |
5.000 |
|
|
|
Per
poche ore al giorno |
1.000 |
10.000 |
|
DPCM 8
luglio 2003 |
Limiti
aventi valore legale |
Limiti
di esposizione |
100 |
5.000 |
|
|
|
Valori
di attenzione |
10 |
5.000 |
|
|
|
Obiettivi
di qualità |
3 |
5000 |
Alte frequenze[5]
|
Intensità
di campo elettrico E (V/m) |
Intensità
di campo magnetico H (A/m) |
Densità di
potenza D (W/m2) |
|||
|
900 MHz |
1800 MHz |
900 MHz |
1800 MHz |
900 MHz |
1800 MHz |
ICNIRP |
41,25 |
58,3 |
0,11 |
0,16 |
4,5 |
9 |
Racc. 99/519/CE |
41,25 |
58,3 |
0,11 |
0,16 |
4,5 |
9 |
Italia (valori
di attenzione[6]) |
20 (6) |
20 (6) |
0,05 (0,016) |
0,05 (0,016) |
1 (0,1) |
1 (0,1) |
Fonte: Elaborazione Servizio
studi su dati tratti dal sito internet dell’OMS: www.who.int/docstore/peh-emf/EMFStandards/who-0102/Worldmap5.htm.
Il grafico seguente evidenzia come la normativa italiana sia più
restrittiva rispetto ai valori limite indicati dall’ICNIRP, praticamente a
tutti gli intervalli di frequenza considerati.
Occorre infine segnalare che, per talune sorgenti e per particolari frequenze, i due DPCM non fissano esplicitamente limiti ma semplicemente contengono un rinvio ai limiti contemplati dalla Raccomandazione 1999/519/CE. Ciò potrebbe – secondo alcuni – comportare “una disparità d’impostazione delle procedure di misura e di verifica del rispetto dei limiti”[7].
L’emanazione dei citati DPCM è avvenuta in un contesto
caratterizzato da due importanti novità
normative, incidenti, sia pure in modo differente, sull’attuazione della
legge n. 36/2001:
§
l’entrata in vigore
della riforma del Titolo V della
parte seconda della Costituzione, che in particolare, attribuisce allo Stato la
competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
§
la statuizione
con il cd. “decreto Gasparri”
(decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198) di nuove regole - sia pure
relativamente ai soli impianti di telecomunicazioni – per il rilascio delle
autorizzazioni all’installazione degli impianti[8].
In tale complesso panorama normativo, si è prodotto un significativo contenzioso tra Stato e Regioni dinanzi alla Corte costituzionale. Quest’ultima è stata chiamata a giudicare, da un lato, su ricorsi dello Stato contro leggi regionali che hanno determinato propri valori-limite, al di fuori quindi di un quadro unitario; dall’altro su ricorsi delle regioni contro il “decreto Gasparri” che avrebbe disposto le procedure di autorizzazione, non solo in contrasto con quanto definito dalla legge n. 36 del 2001, ma anche in contrasto con le competenze legislative costituzionalmente assegnate alle regioni in materia di urbanistica, governo del territorio e tutela della salute.
Con riferimento al primo profilo, la Corte costituzionale, pur non pronunciandosi sul merito dei ricorsi, ha dichiarato illegittimo per eccesso di delega il “decreto Gasparri” (sentenza n. 303 del 2003)[9]. Con riferimento al secondo profilo, ha chiarito che “il sistema complessivo delineato dalla legge-quadro in materia prevede che sia lo Stato competente a fissare i valori-soglia in materia di emissioni elettromagnetiche, mentre le Regioni assumono un ruolo centrale nella determinazione della disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti” e, conseguentemente, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte quelle disposizioni regionali, che travalicavano l’ambito delle competenze regionali così circoscritto (sentenza n. 307 del 2003) (v. scheda Inquinamento elettromagnetico – Giurisprudenza costituzionale).
Come già detto, la legge quadro, ad oggi, non ha ricevuto
completa attuazione, non essendo in particolare ancora stato emanato il DPCM
contemplato dall’articolo 4, comma 2, lettera b), relativo alla fissazione dei valori limite per i lavoratori e le lavoratrici professionalmente
esposti. Si segnala tuttavia che nel frattempo è intervenuta in materia la direttiva 2004/40/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sulle
prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici
(campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz). Tale direttiva è inclusa
nell’Allegato B della legge comunitaria 2005 (legge 25 gennaio 2006, n. 29),
per cui il Governo è delegato ad adottare, entro il 23 agosto 2007[10], un decreto legislativo
che ne assicuri il recepimento nei termini previsti dalla direttiva stessa (30
aprile 2008).
La direttiva 2004/40/CE fissa valori limite di esposizione[11] e valori di azione[12] nonché obblighi a carico dei datori di lavoro, fra i quali l’individuazione dell'esposizione, la valutazione e la misurazione dei campi elettromagnetici; prevede inoltre disposizioni miranti ad eliminare o a ridurre i rischi da esposizione a campi elettromagnetici e impone obblighi di informazione e formazione dei lavoratori, della loro consultazione e partecipazione, nonché di sorveglianza sanitaria.
La questione del completamento dell’attuazione della legge
quadro è posta anche nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla valutazione degli effetti dell'esposizione
ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici deliberata dalla
Commissione ambiente nella seduta del 27 maggio 2003 e conclusa il 24 marzo
2004 con l’approvazione del Doc. XVII, n. 12. In tale documento, la Commissione, oltre
a evidenziare l’opportunità di un accurato monitoraggio a livello governativo
sull'attuazione della legge, ha espresso l’auspicio che il Governo valuti la
possibilità di completare l'attuazione della legge-quadro, con riferimento in
particolare alla determinazione di limiti specifici per le lavoratrici ed i
lavoratori professionalmente esposti, alla costituzione del catasto nazionale
delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici e delle zone territoriali interessate (ai sensi dell'articolo
7 della legge n. 36 del 2001) ed alle etichettature degli apparecchi e dei
dispositivi, in particolare di uso domestico, individuale o lavorativo,
generanti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (ai sensi
dell'articolo 12 della stessa legge). (Su tale indagine conoscitiva, vedi il
capitolo Ambiente -Attività conoscitiva).
[1] In questa definizione sono compresi sia gli impianti radiotelevisivi che quelli di telecomunicazioni.
[2]
Raccomandazione del Consiglio, del 12
luglio 1999, relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai
campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz.
[3] Si ricorda inoltre che, nel novembre 1994, il CENELEC (Comité Européen de Normalisation Electrotecnique) aveva approvato le linee guida sperimentali relative all’esposizione umana applicabili agli intervalli 0 – 10 kHz e 10 kHz – 300 GHz. Tali norme, che fissavano valori limite coerenti con le linee guida ICNIRP, sono state pubblicate in Italia dal CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) nel maggio 1995 e successivamente ritirate dopo la pubblicazione della citata raccomandazione.
[4] Volt/metro (V/m) 1 kV = 1000 V.
[5]
A causa della difficoltà di effettuare paragoni puntuali – derivante
principalmente dai diversi intervalli di riferimento considerati dalle differenti
normative – il confronto viene effettuato in corrispondenza delle due frequenze
puntuali considerate di consueto nella letteratura scientifica come tipiche
della telefonia mobile (900 Mhz - ripetitori per cellulari e 1800 Mhz – dual band), anche in considerazione
della loro presenza ormai capillare sul territorio.
[6] Gli obiettivi di qualità coincidono, nel DPCM 8 luglio 2003 relativo alle alte frequenze, ai valori di attenzione.
[7] V. Giampietro, Campi elettromagnetici: applicazione nazionale dei limiti europei, in Ambiente, consulenza e pratica per l’impresa, n. 2/2004.
[8] Tale provvedimento di fatto derogava all’art. 8, comma 1, lettera c) della legge n. 36 del 2001, che assegna alle regioni la competenza a definire “le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti”.
[9] Vedi la scheda La legge obiettivo – Giurisprudenza costituzionale.
[10]
Vale a dire entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, pubblicata nella
G.U. n. 32 dell'8 febbraio 2006 – S.O. n. 34.
[11] Limitazioni all’esposizione a campi elettromagnetici direttamente basate su effetti sanitari accertati e su considerazioni biologiche. Il rispetto di questi limiti assicura che i lavoratori esposti siano protetti da tutti gli effetti nocivi noti.
[12]
Parametri direttamente misurabili a cui si devono intraprendere una o più delle
misure specificate nella direttiva. Il rispetto di questi valori assicura il
rispetto dei pertinenti limiti di esposizione.