Nella materia ambientale, l’VIII Commissione ha condotto nel
corso della XIV legislatura cinque
indagini conoscitive, tutte concluse con l’approvazione di distinti
documenti[1].
Tali indagini riguardavano i seguenti argomenti:
§ le strategie nazionali per il raggiungimento degli obiettivi definiti dal protocollo di Kyoto;
§ il sistema di gestione amministrativa degli enti parco nazionali;
§
la sicurezza ambientale dei siti e degli
impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e
radioattivi;
§ la valutazione degli effetti dell'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici;
§ la programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua sul territorio nazionale.
L’indagine conoscitiva, deliberata dalla Commissione nella
seduta del 17 luglio 2001 e conclusa il 10 luglio 2002 con l’approvazione del Doc. XVII, n. 4, traeva origine anche dagli aspetti
problematici e dagli sviluppi emersi in ambito internazionale in merito alle
modalità di attuazione del Protocollo di Kyoto del 1997. Essa era
finalizzata ad esaminare ed eventualmente definire strategie nazionali per il conseguimento degli obiettivi definiti dal
protocollo di Kyoto, nonché ad approfondire le ragioni dell'incremento di
emissioni di gas serra registrato in Italia nel periodo 1990-1998, al fine di
individuare possibili misure di intervento alternative.
Sulla base degli elementi emersi nel corso delle numerose audizioni svolte, la Commissione ha evidenziato l'esigenza che l'Italia muova i suoi passi di avvicinamento agli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, secondo una strategia che tenga conto specificamente delle caratteristiche del nostro sistema sociale ed economico-produttivo. A tal fine, ha individuato quattro linee direttrici sulle quali impostare le future azioni di politica nazionale per l'individuazione di strategie nazionali volte al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto:
§ la previsione di meccanismi (di carattere economico, fiscale e simili) per ridurre la produzione nazionale di gas serra, soprattutto nel settore dei trasporti e della produzione dell’energia;
§ la predisposizione di interventi diretti ad incrementare ed a valorizzare i «serbatoi» per l'assorbimento dei gas serra (sinks), ovvero di nuove piantagioni forestali ed attività agroforestali, al fine di assorbire il carbonio atmosferico;
§ il finanziamento e la valorizzazione di progetti di ricerca volti all'introduzione e al potenziamento di meccanismi maggiormente «ecocompatibili», con particolare riferimento alle fonti di energia alternativa;
§ l’adozione di politiche di comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini alle tematiche ambientali e, in particolare, ad una logica di risparmio energetico.
Nel corso di svolgimento dell'indagine, è stato
definitivamente approvato il progetto di legge di ratifica del Protocollo di
Kyoto (legge 1° giugno 2002, n. 120), recante, oltre che la mera ratifica
del medesimo Protocollo, anche specifiche disposizioni finalizzate al
raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Sul punto,
vedi il capitolo Tutela dell’aria e protocollo di Kyoto
e, più specificamente, la scheda Attuazione del
Protocollo di Kyoto.
L’indagine conoscitiva, deliberata nella seduta del 26 giugno 2002, si è conclusa il 15 ottobre 2003 con l’approvazione del DOC.XVII, n. 9. Finalità dell'indagine consisteva nel verificare le reali prospettive di crescita degli Enti parco nazionali, valutando in particolare le problematiche connesse al relativo sistema di gestione. Nel corso dell’indagine si sono svolte numerose audizioni e sono state effettuate cinque missioni di studio presso diversi enti parco.
Sulla base degli elementi raccolti, la Commissione ha riconosciuto che il sistema dei parchi nazionali ha in sé tutte le potenzialità per garantire un miglioramento dell’efficienza della gestione amministrativa, anche al fine di rendere gli enti parco sempre più idonei a rispondere, da un lato, alle esigenze di tutela e salvaguardia del territorio e, dall’altro, alla valorizzazione, anche economico-produttiva, delle aree protette, nonché allo sviluppo delle popolazioni e delle comunità che insistono sul territorio.
Tuttavia, si sono evidenziati diversi elementi problematici attinenti alla gestione degli enti. Tra questi, particolare attenzione è stata dedicata alla presunta incapacità di spesa per investimenti da parte degli Enti parco, confermata dall’esistenza di notevoli giacenze di cassa. Tale dato è stato ricondotto a vari fattori, tra i quali i meccanismi di finanziamento delle attività degli enti parco contemplati dall’articolo 4 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette). Sebbene tale disposizione sia stata abrogata dal d. lgs. 112 del 1998 (cd. “riforma Bassanini”), si è ritenuto che tale sistema di attribuzione delle risorse (sulla base di programmi triennali) continui a produrre effetti negativi sul piano pratico, con particolare riferimento alla realizzazione di investimenti pregressi. Al fine di potenziare la capacità di spesa degli enti parco, si sono prospettati sia il ricorso a strumenti di autofinanziamento (ovvero a forme di finanziamento intese come sistemi di reperimento di risorse attraverso l'esercizio di attività di impresa rigorosamente eco-compatibile e funzionale alle stesse popolazioni residenti), sia l’opportunità di riformare la normativa di contabilità del settore, in modo da garantire agli enti parco la possibilità di programmare tempestivamente e in modo efficiente gli interventi da porre in essere.
L'indagine ha quindi permesso di
evidenziare la necessità di una più efficace gestione amministrativa degli enti parco nazionali. Si è ritenuto
che tale obiettivo possa essere perseguito anche attraverso il passaggio da una «gestione per atti» a una
«gestione per risultati», in linea con quanto previsto dal decreto
legislativo n. 165 del 2001, e valutando
la possibilità di prevedere la soppressione delle comunità montane nelle aree
in cui insiste un Ente parco e nelle quali, dunque, si crea spesso una
sovrapposizione di competenze.
Al fine poi di migliorare l’efficienza della
programmazione, è emersa la necessità, per gli enti che ancora non li
abbiano adottati, di dotarsi in tempi congrui dei piani del parco, che costituiscono uno strumento essenziale per lo
svolgimento delle attività del parco. Poiché peraltro la mancata approvazione
da parte delle regioni dei piani del parco già approvati dai diversi enti parco
ne paralizza in misura significativa l’attività programmatoria, si ritiene
necessario attivare i poteri sostitutivi
previsti dalla legge n. 394 del 1991 o, in alternativa, modificare tale normativa in modo da
consentire agli enti parco di dotarsi rapidamente dei previsti piani.
Con riferimento, infine, a proposte di carattere più strettamente
operativo, la Commissione ritiene opportuno valutare la possibilità del passaggio del Corpo Forestale sotto la
vigilanza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio in
relazione ai CTA (Coordinamenti territoriali ambientali), nonché del passaggio delle riserve naturali dal Corpo
forestale agli Enti parco, in modo da sfruttare più efficientemente le
potenzialità di tali risorse, anche a scopi di parziale autofinanziamento degli
enti stessi.
(Per una disamina degli interventi normativi che hanno
riguardato i parchi, anche successivi alla conclusione dell’indagine
conoscitiva, vedi il capitolo Aree protette).
L’indagine conoscitiva è stata deliberata dalla Commissione
nella seduta del 30 ottobre 2002 e si è conclusa il 13 marzo 2004 con
l’approvazione del doc. XVII, n. 5. L’indagine era finalizzata ad una ricognizione della situazione delle
strutture nucleari e dei rifiuti radioattivi, al fine di valutare i rischi
per l'ambiente e per la salute dei cittadini e di valutare gli interventi sino
ad ora posti in essere per fronteggiare tali rischi e quelli eventualmente
attuabili.
Nel corso dell’indagine si sono svolte le audizioni di rappresentanti del Governo, delle organizzazioni sindacali e di Confindustria, oltre che di rappresentanti dell’APAT, dell’ENEA e della SOGIN.
Nel documento conclusivo, la Commissione, preso atto che la
gestione dei rifiuti radioattivi costituisce una priorità per la sicurezza ambientale del nostro Paese, ritiene di
assoluta urgenza la realizzazione di un
deposito unico nazionale, all'interno del quale allocare i rifiuti radioattivi
e da collocare in un sito da individuare da parte dei competenti organi
istituzionali nel più breve tempo possibile. La Commissioni rileva inoltre la
necessità dell’adozione di ulteriori misure di sicurezza, anche in relazione ai
rischi provenienti da fattori esterni, e si sofferma sulla necessità di
incentivare la formazione di giovani ingegneri nucleari.
Successivamente all’approvazione di tale documento, è stato
emanato il decreto-legge 14 novembre
2003, n. 314, che prevedeva la realizzazione del deposito nazionale e individuava
la localizzazione del deposito in un’area compresa nel territorio comunale di
Scanzano Jonico in provincia di Matera. A seguito delle manifestazioni popolari
seguite alla pubblicazione del decreto, le disposizioni che indicavano il sito
sono state espunte dal testo in sede di conversione (legge 24 dicembre 2003, n.
368). Successivamente, tali disposizioni sono state ulteriormente modificate
dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 di riordino del settore energetico. Sulla
materia, vedi il capitolo Scorie nucleari.
L’indagine conoscitiva, deliberata dalla Commissione nella
seduta del 27 maggio 2003, si è conclusa il 24 marzo 2004 con l’approvazione
del Doc. XVII, n. 12. L’obiettivo dell’indagine consisteva nell'acquisire
ulteriori specifiche conoscenze sulla valutazione
degli effetti dell'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici. Nel corso dell’indagine, si sono svolte numerose audizioni
di soggetti pubblici e privati, attraverso le quali la Commissione ha acquisito
un quadro complessivo delle questioni di carattere scientifico-sanitario e di
natura giuridica-amministrativa.
Nel documento conclusivo la Commissione dà conto, da un lato, della parziale attuazione della legge n. 36 del 2001 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) operata dal Governo con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri dell’8 luglio 2003 (relativi rispettivamente ai campi elettrici e magnetici generati a frequenze comprese tra 100 khz e 300 Ghz e alla frequenza di rete (50 Hz) generata dagli elettrodotti), con i quali sono stati determinati i limiti di esposizione ai campi, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità; dall’altro, di due successive sentenze della Corte costituzionale (nn. 303 e 307 del 2003), che hanno fissato ulteriori criteri di valutazione in ordine alla questione dell'esposizione ai campi elettromagnetici, con riferimento anche alle problematiche emerse dopo l'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione. (Sul tema vedi il capitolo Inquinamento elettromagnetico).
La Commissione, oltre a evidenziare l’opportunità di un accurato monitoraggio a livello governativo sull'attuazione della legge, ha espresso l’auspicio che il Governo valuti la possibilità di completare l'attuazione della legge-quadro, con riferimento in particolare alla determinazione di limiti specifici per le lavoratrici ed i lavoratori professionalmente esposti, alla costituzione del catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e delle zone territoriali interessate (ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 36 del 2001) ed alle etichettature degli apparecchi e dei dispositivi, in particolare di uso domestico, individuale o lavorativo, generanti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (ai sensi dell'articolo 12 della stessa legge).
Ad oggi, la legge quadro non ha ricevuta completa
attuazione. Si segnala tuttavia che nel frattempo è intervenuta sulla materia
la direttiva 2004/40/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi
derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz).
Tale direttiva è inclusa nell’Allegato B della legge comunitaria 2005 (legge 25
gennaio 2006, n. 29), per cui il Governo è delegato ad adottare, entro il 23
agosto 2007, un decreto legislativo che ne assicuri il recepimento nei termini
previsti dalla direttiva stessa (30 aprile 2008).
L’indagine conoscitiva, deliberata dalla Commissione nella
seduta del 22 dicembre 2004, si è conclusa lo scorso 28 settembre con
l’approvazione del Doc. XVII, n. 15. Le finalità dell'indagine consistevano in
una disamina del sistema delle
competenze e delle iniziative in materia di gestione dei corsi d'acqua,
così come definiti ai sensi della “riforma Bassanini” (decreto legislativo n.
112 del 1998), e delle relative opere
idrauliche. Nel corso dell’indagine è emerso - a fronte del variegato
panorama normativo che disciplina l’assetto delle competenze in materia di
programmazione e gestione delle opere idrauliche –l'esigenza di maggiore coordinamento e integrazione tra i
soggetti preposti ai vari livelli, nonché l’opportunità di una semplificazione delle procedure per
l’approvazione dei piani e dei programmi. Tra gli elementi problematici
evidenziati, si è inoltre segnalata la questione della costante riduzione degli stanziamenti statali per la difesa del suolo,
concentrati su investimenti una tantum,
in occasione delle emergenze, piuttosto che sulla programmazione ordinaria e si
è dedicata particolare attenzione alla questione
del rilancio del Po.
Nel documento conclusivo, la Commissione prospetta diverse soluzioni
(tra le quali, in primo luogo il recepimento
della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23
ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di
acque) e sottolinea l’opportunità di tener conto degli elementi emersi
nel corso dell’indagine e delle soluzioni individuate in sede di attuazione della
“delega ambientale” (legge n. 308 del 2004). In proposito, si osserva che con
il decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, recante Norme in materia ambientale,
viene effettivamente data attuazione alla suddetta direttiva, attraverso in
particolare la modifica del modello
amministrativo di governo dei bacini idrografici istituito nel 1989 dalla
legge quadro in materia di difesa del suolo (legge n. 183/89). A tal fine,
vengono soppresse le vecchie autorità di bacino (che secondo la legge potevano
essere di livello nazionale, interregionale e regionale, a seconda delle
caratteristiche geografiche dei bacini) e vengono invece istituiti otto
distretti idrografici che coprono l’intero territorio nazionale, governati
secondo un modello amministrativo unico (artt. 63 e 64).
Un intero paragrafo del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva è infine dedicato alla questione del rilancio del Po. In esso in particolare la Commissione manifesta un orientamento nettamente favorevole al contenuto e allo spirito del Protocollo d'intesa per la tutela e la valorizzazione del territorio e la promozione della sicurezza delle popolazioni della valle del Po, sottoscritto nel maggio 2005 dall'Autorità di bacino e dai Presidenti delle tredici province rivierasche, in tal modo evidentemente esprimendo una chiara indicazione politica verso lo sviluppo del Po come grande arteria navigabile, inserita nel sistema dei corridoi intermodali.
[1]
Per completezza, si ricorda che la Commissione ambiente, in congiunta con la
Commissione trasporti, ha svolto inoltre l’indagine conoscitiva sullo stato e
sulle prospettive di sviluppo del settore autostradale (conclusa l’11 gennaio
2006 con l’approvazione del documento Doc. XVII, n. 17), sulla quale si rinvia
al capitolo Viabilità stradale a autostradale.