La legge obiettivo – Disciplina speciale di VIA

La valutazione di impatto ambientale (VIA) per le grandi opere rimane incardinata all’interno del decreto legislativo n. 190 del 2002 (art. 3, comma 3, e artt. da 17 a 20), come recentemente modificato dal decreto legislativo n. 189 del 2005. In esso, in conformità alle previsioni della legge delega n. 443 del 2001[1], è previsto uno snellimento delle procedure di autorizzazione che precedono la realizzazione di un'opera.

Si ricorda, infatti, che, fino all’approvazione della nuova procedura, la VIA comportava un significativo allungamento dei tempi delle decisioni. A fronte di tale situazione, il decreto legislativo n. 190, approvato con le modifiche richieste dal Ministero dell’ambiente, ha definito nuove regole per i procedimenti di VIA delle opere strategiche, ai fini di accelerare l’iter della loro realizzazione, garantendo, nel contempo, l’inserimento dei progetti nel contesto ambientale e territoriale, anche attraverso un consenso allargato delle decisioni che riguardano i seguenti aspetti:

§         la VIA viene istruita sul solo progetto preliminare;

§         viene istituita una Commissione speciale – ora sostituita con il decreto legislativo n. 152 del 2006 da un’unica Commissione tecnico-consultiva, articolata per settori operativi, di cui uno per la VIA speciale[2] – che provvede all’istruttoria tecnica del progetto;

§         la valutazione sulla compatibilità ambientale dell’opera viene emessa dai Ministeri dell’ambiente e dei beni culturali sulla base di un parere espresso dalla Commissione e trasmesso al Ministero delle infrastrutture. Nel caso di dissenso, l’adozione del provvedimento di compatibilità ambientale viene demandato al Consiglio dei Ministri;

§         l’approvazione del progetto preliminare e della VIA diviene di competenza del CIPE[3].

 

Pertanto, con le norme contenute nel decreto legislativo n. 190, rispetto all’ordinario iter autorizzatorio previsto dalla legge quadro n. 109 del 1994[4], il rilascio dei provvedimenti di VIA e di intesa Stato-Regioni sulla localizzazione dell’opera viene anticipato - come già dispone la lett. b) del comma 2 dell’art. 1 della legge delega n. 443 del 2001 - alla fase della progettazione preliminare, rispetto a quella della progettazione definitiva.

Viene altresì anticipata alla fase della progettazione preliminare l'individuazione di un esatto limite di spesa, comprensivo, eventualmente, delle misure compensative dell'impatto territoriale a favore delle comunità locali.

Il progetto preliminare dovrà, pertanto, essere integrato, nel caso l’opera si soggetta a VIA, oltre e rispetto a quanto previsto dal comma 3 dell'art. 16 della legge quadro n. 109 del 1994, con l’esatta individuazione dei connotati principali dell’opera, dei limiti di spesa, compresi quelli per le eventuali opere compensative dell'impatto territoriale e dallo studio di impatto ambientale (SIA).

 

La norma ha carattere particolarmente innovativo rispetto alla disciplina vigente, infatti l'art. 16, comma 3, della legge quadro relativo al contenuto del progetto preliminare e gli artt. 18 e segg. del regolamento di attuazione n. 554 del 1999, prevedono che il progetto preliminare debba essere corredato semplicemente da uno studio di prefattibilità ambientale (art. 21 del regolamento) e da un calcolo sommario della spesa (art. 23 del regolamento), mentre è il progetto definitivo - di cui al successivo comma 4 dell'art. 16 della legge quadro - a comprendere, ove previsto, lo studio di impatto ambientale (art. 29 del regolamento), insieme alla stima sommaria dei costi dell'intervento.

 

Al fine di accelerare il procedimento di approvazione del progetto preliminare, viene escluso – in tale fase - il ricorso alla conferenza di servizi[5], come altrimenti disposto dall'articolo 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Per quanto riguarda poi la titolarità dell’approvazione del progetto preliminare, essa viene conferita al CIPE, con il consenso, ai fini della intesa sulla localizzazione delle opere, dei Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate, che si pronunciano sentiti i comuni nel cui territorio verrà realizzata l’opera. La pronuncia dovrà intervenite nei termini previsti anche in mancanza del parere dei comuni interessati[6].

Tali norme hanno la finalità di ridurre la frammentazione decisoria nella fase iniziale dell'intervento, conferendo al CIPE i poteri autorizzatori precedentemente dispersi tra una pluralità di soggetti politici, amministrativi e tecnici.

Infatti l'approvazione del progetto preliminare determina - ove necessario ai sensi delle vigenti norme – l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa Stato-Regione sulla sua localizzazione, comportando l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti.

Quanto all’accertamento di compatibilità ambientale, la sua anticipazione alla fase preliminare costituisce l’elemento maggiormente caratterizzante dell’intero intervento normativo in tema di VIA. In proposito, si segnala che in materia sono emerse due differenti tendenze:

§         la prima propone la VIA come processo che si intreccia con tutti i livelli della progettazione (e che – con la “VAS” – si estende anche alla fase della programmazione delle opere pubbliche e alla stessa pianificazione territoriale). La VIA è vista, in questo caso, come intervento dell’autorità ambientale, con proprie prescrizioni, in tutte le successive fasi di progettazione e di realizzazione dell’opera;

§         la seconda tendenza concepisce, invece, la procedura di VIA come semplice premessa per il momento dell'autorizzazione.

Tale secondo indirizzo viene recepito dal decreto legislativo n. 190 del 2002; tuttavia, con le modifiche apportate dal successivo decreto legislativo n. 189 del 2005, l’azione di verifica ambientale viene prevista anche nelle successive fasi di definizione tecnica del progetto e di realizzazione dell’opera, coerentemente con il primo dei due indirizzi citati.

 

Al riguardo si segnala anche una recente pronuncia - n. 5118 - della Sezione I del TAR del Lazio del 31 maggio 2004, ove si legge che “Gli artt. 3 e 18 del decreto legislativo n. 190 del 2002, nella parte in cui raccomandano la VIA al progetto preliminare delle opere da essi regolate, e non al progetto definitivo (come la normativa nazionale prevede per la generalità dei lavori), non contrastano con la direttiva comunitaria 85/337 del 27 giugno 1985, in quanto questa non opera distinzioni formali tra i livelli di progettazione ma pone una questione sostanziale di necessità di esame e valutazione dei fattori da essa presi in considerazione (siccome suscettibili di ripercuotersi sull’ambiente) prima che vengano iniziati i lavori, ed in definitiva rimette a ciascuno Stato membro la scelta della fase procedurale cui avere riguardo, con l’unico limite che ai fini della VIA siano effettivamente disponibili gli elementi conoscitivi prescritti”.

D’altro canto, può osservarsi che la collocazione della VIA nella fase preliminare della progettazione, se da un lato consente di garantire meglio il controllo sui tempi dell’iter procedurale, dall’altro tende – oggettivamente – a circoscrivere l’oggetto della valutazione alle sole opzioni di fondo operate dal progetto (localizzazione dell’intervento, impatto generale sulle risorse ambientali e territoriali), escludendone invece la specifica elaborazione tecnica e progettuale, propria della fase definitiva della progettazione. Inoltre, quanto alla previsione di misure di compensazione e mitigazione, la progettazione preliminare consente una individuazione ancora molto generale di tali misure, laddove è principalmente la progettazione definitiva che sembra poter consentire una valutazione concreta degli effetti (soprattutto cumulativi) che possono determinarsi dalla effettiva realizzazione del progetto.

Il sommarsi e l’interagire delle modifiche negli assetti territoriali e nell’uso delle risorse ambientali possono, infatti, produrre effetti di dimensioni rilevanti, che possono non essere visibili nella fase preliminare del progetto in cui non sono ancora state precisate tutte le scelte tecniche e dimensionali di una determinata opera che si intende realizzare.

Il raggiungimento, quindi, di un livello adeguato di compatibilità complessiva – territoriale – dell’opera è un risultato che può essere ottenuto solamente affiancando l’azione di verifica ambientale anche nelle successive fasi di definizione tecnica del progetto e di realizzazione dell’opera.

A tali fine il legislatore ha apportato alcune modifiche alla procedura di VIA con il decreto legislativo 17 agosto 2005, n. 189, in particolare precisando:

§         il contenuto del SIA (studio di impatto ambientale);

§         la verifica di ottemperanza prevista sul progetto definitivo.

 

In merito al contenuto del SIA (art. 18), con il quale ha inizio la procedura di VIA, ne viene indicato analiticamente un contenuto minimo e precisate - nell’art. 4 dell’allegato tecnico - le relative modalità di redazione e pubblicazione.

 

Merita qui un cenno il contenuto dell’art. 4 dell’allegato tecnico – introdotto dal decreto legislativo n. 189 del 2005 - che fa riferimento, per la redazione e la pubblicazione del SIA, alle norme tecniche vigenti: DPCM n. 377 del 1988 e DPCM n. 348 del 1999. L’art. 4 prevede, inoltre, per i progetti soggetti a VIA nazionale, che il SIA debba uniformarsi al D.M. 1 aprile 2004 che ha indicato le linee guida per l'utilizzo di sistemi innovativi per l'abbattimento e la mitigazione dell'inquinamento ambientale, alle quali il proponente deve attenersi nella redazione dei progetti al fine di garantire una migliore qualità ambientale dei progetti stessi.

Si ricorda, infine, che l’art. 51 del decreto legislativo n. 152 del 2006 “Norme in materia ambientale”, ha previsto l’emanazione di norme tecniche integrative della disciplina di VIA per la redazione dei SIA e la formulazione dei giudizi di compatibilità in relazione a ciascuna categoria di opere, e la contestuale vigenza, fino alla loro emanazione, delle norme tecniche attualmente vigenti (DPCM n. 377 del 1988)[7].

 

Deve far parte del SIA anche una relazione di compatibilità ambientale sui metodi di previsione utilizzati per la VIA e delle misure previste per evitare, ridurre ed eventualmente compensare effetti negativi rilevanti del progetto sull'ambiente, nonché un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse ed indicare le eventuali difficoltà riscontrate, al fine di non ostacolarne la conoscenza da parte del pubblico.

Il controllo ambientale anche nelle successive fasi di definizione tecnica del progetto e di realizzazione dell’opera, è garantito dalla nuova Commissione tecnico-consultiva (art. 20, commi 4 e seguenti) che deve:

§         verificare e comunicare al Ministero dell'ambiente eventuali difformità tra il progetto definitivo e quello preliminare e di esprime al Ministero (entro 60 giorni da tale presentazione);

§         esprimere un parere di ottemperanza del progetto definitivo alle prescrizioni del provvedimento di compatibilità ambientale e dell'esatto adempimento dei contenuti e delle prescrizioni di cui al decreto di compatibilità ambientale.

Nel caso in cui si registri una sensibile difformità del progetto definitivo dal preliminare, vengono previste particolari norme di tutela che prevedono, la possibilità, per il Ministro dell'ambiente nel caso in cui ritenga che le varianti apportate abbiano un significativo impatto ambientale e sempre previo parere della Commissione, di richiedere l’aggiornamento del SIA, che può riguardare anche la sola parte di opera interessata dalla variante. Qualora si riscontri un mancato adempimento dei contenuti e delle prescrizioni del provvedimento di compatibilità ambientale, il Ministro dell’Ambiente, previa diffida a regolarizzare, dà notizia dell'inottemperanza in sede di Conferenza di Servizi, al fine dell'eventuale rinnovo dei l'istruttoria.

Inoltre, nel caso in cui si registri una violazione degli impegni assunti o modifiche al progetto che comportino significative modifiche dell’impatto ambientale, la Commissione ha l’obbligo di riferire al Ministro dell’ambiente che può ordinare al soggetto gestore l’adeguamento dell’opera e, se necessario, richiedere al CIPE la sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari di cui agli artt. 8 e 9 della legge n. 349 del 1986[8]. Tale facoltà è prevista anche per le variazioni progettuali intervenute nella fase di progettazione esecutiva.

 

Da ultimo sono state aggiunte, sempre dal decreto legislativo n. 189 del 2005, alcune disposizioni volte al agevolare la Commissione tecnico-consultiva nella sua opera di verifica dei progetti, mediante la trasmissione al Ministero dell’ambiente, prima dell’inizio dei lavori, di una serie di dati essenziali (data di inizio dei lavori; progetto esecutivo corredato dai documenti previsti compresa la relazione relativa all’attestazione della rispondenza del progetto esecutivo al progetto definitivo e le eventuali varianti progettuali). La Commissione può, infine, essere consultata da parte dei soggetti esecutori dell’opera, in merito all’interpretazione del provvedimento di compatibilità ambientale.

Logicamente le nuove norme relative al SIA ed alla verifica di ottemperanza non vengono applicate qualora la VIA venga espressa su progetti definitivi.

 



[1] L’art. 1, comma 2, alinea, della legge delega, nel definire l’oggetto stesso delle delega, adopera la seguente formulazione: “un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1, a tal fine riformando le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale, limitatamente alle opere di cui al comma 1 e comunque nel rispetto del disposto dell’art. 2 della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, come modificata dalla direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 e introducendo un regime speciale […]”. Ulteriori richiami alla procedura di VIA sono poi rinvenibili – fra i criteri e principi direttivi della delega – alla lett. b) e c) (dello stesso comma 2).

[2] Per un approfondimento delle norme relative alla nuova Commissione si veda la scheda Il riordino del diritto ambientale – Novità in materia di VIA, VAS e IPPC.

[3]     Ai sensi del successivo art. 4, lo stesso organo è titolare della approvazione del progetto definitivo, mentre l’approvazione del progetto esecutivo e delle varianti è rimessa al soggetto aggiudicatore (vedi: art. 9, comma 3, lettera b).

[4] Occorre sottolineare che, nell’esercizio della delega conferita dall’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004) per il recepimento delle direttive quadro in materia di appalti (2004/17/CE e 2004/18/CE), il Governo, nel riscrivere l’intera legge Merloni (v. capitolo La riforma della “legge Merloni” e scheda Il Codice dei contratti pubblici) ha provveduto, ai fini di un coordinamento delle norme esistenti per la creazione di un testo unico degli appalti, a trasporre nel cd. codice appalti approvato con il decreto legislativo n. 163 del 2006 (in particolare nella Parte II, Titolo III, Capo IV, comprendente gli articoli 161-194) anche la disciplina speciale prevista per le cd. opere strategiche dal d.lgs. n. 190/2002 (di cui è prevista l’abrogazione da parte dell’art. 256 del citato codice).

[5] In merito all’esclusione della Conferenza di servizi da tale fase dall’approvazione dei progetti preliminari, il TAR del Lazio, Sezione I, nella sentenza n. 5118 del 2004 (sulla quale ci si soffermerà più ampiamente in seguito), sottolinea che “in tema di infrastrutture strategiche, ai sensi del decreto legislativo n. 190 del 2002, la previsione dell’art. 3 di tale fonte, che esclude le conferenze di servizi dall’approvazione dei progetti preliminari delle opere soggette alla relativa disciplina speciale, essendo stata collocata ad apertura dello stesso comma, il 5, che si occupa principalmente della partecipazione al procedimento delle autonomie regionali e comunali, deve essere riferita anche ai segmenti procedurali che attendono a tale partecipazione”.

[6] Al riguardo si segnala che nella pronuncia del TAR del Lazio da ultimo citata si afferma che la previsione dell’art. 3, comma 5 secondo la quale “la pronuncia dei presidenti delle regioni per l’intesa sulla localizzazione debba essere resa nel termine necessario prescritto di novanta giorni anche ove i comuni interessati non siano tempestivamente espressi, pur permettendo di prescindere dall’acquisizione delle osservazioni invano richieste a tali enti è manifestamente inidonea a ledere le prerogative riconosciute nel nuovo assetto costituzionale agli enti locali, poiché a questi è comunque normativamente assicurata la possibilità di una partecipazione attiva al procedimento (laddove, per converso, se la disciplina positiva imponesse di attendere comune e senza limiti di tempo un’espressa presa di posizione da parte loro, sarebbe un simile assetto a presentare seri profili di incompatibilità con la Carta, per il fatto di sancire un’incongrua subordinazione degli interessi statali a quelli locali e di violare il canone del buon andamento)”.

[7] Per un approfondimento della disciplina transitoria si veda la scheda Il riordino del diritto ambientale – Novità in materia di VIA, VAS e IPPC.

[8] Si ricorda che il comma 3 dell’art. 8 della legge n. 349 del 1986 prevede che in caso di mancata attuazione o di inosservanza da parte delle regioni, delle province o dei comuni, delle disposizioni di legge relative alla tutela dell'ambiente e qualora possa derivarne un grave danno ecologico, il Ministro dell'ambiente, previa diffida ad adempiere entro congruo termine, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio di opere, di lavoro o di attività antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti. Ai sensi del successivo comma 4, per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, il Ministro dell'ambiente si avvale del nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri, nonché del Corpo forestale dello Stato, degli appositi reparti della Guardia di finanza e delle forze di polizia. Il comma 3 del successivo art. 9 prevede l’ipotesi di poteri sostitutivi del Ministro dell’ambiente in caso di persistente inattività degli organi regionali nell'esercizio di funzioni delegate in materia ambientale.