La riforma della “legge Merloni”

Gli interventi principali in materia di appalti pubblici realizzati nel corso della XIV Legislatura sono riportabili a tre atti normativi:

§      la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (“legge obiettivo”) che ha introdotto una disciplina speciale e derogatoria per tutte le opere di carattere strategico, e su cui si rinvia al capitolo La legge obiettivo;

§      l’articolo 7, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166, che ha recato una lunga serie di modifiche;

§      altre modifiche introdotte nel corso della legislatura, all’interno di leggi finanziarie e di altri “provvedimenti omnibus” e con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30;

§      il decreto legislativo recante “Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture”, emanato in attuazione della delega recata dagli articoli 1, 2 e 25 del decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria per l’anno 2004), recante delega al Governo per il recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (non pubblicato in GU alla data di chiusura della XIV Legislatura).

 

L’articolo 7 della legge n. 166 del 2002

Con il comma 1, articolato in ben 26 lettere, l’articolo 7 del “collegato infrastrutture” (AC 2032 – AS 1246) ha apportato una prima serie di modifiche -alcune delle quali non secondarie - alla normativa in materia di appalti di lavori pubblici che era stata sostanzialmente unificata nel 1994 nella cd “legge Merloni” (legge 11 febbraio 1994, n. 109).

Prima di esporre sinteticamente le novità normative introdotte, è opportuno ricordare che tali innovazioni – sin dal momento del loro varo – venivano assunte dal legislatore come parziali e destinate ad essere integrate da un successivo intervento normativo di vera e propria revisione della legge n. 109 del 1994. Il comma 1 dell’art. 7, infatti, significativamente è introdotto dalla seguente espressione: “Nelle more della revisione della legge quadro sui lavori pubblici, anche allo scopo di adeguare la stessa alle modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:”.

I principali aspetti su cui la legge n. 166 è intervenuta sono:

§      il regime delle concessioni, procedendo ad una marcata flessibilizzazione dell’istituto della concessione di lavori pubblici e ad un allentamento dei relativi vincoli normativi;

§      il sistema di qualificazione delle imprese;

§      la soppressione dei principali vincoli al ricorso all’appalto integrato, modalità di affidamento che, nell’impostazione tradizionale della “legge Merloni” aveva carattere eccezionale, in quanto fra gli elementi costitutivi di tale impostazione vi era proprio la separazione fra fase della progettazione e fase della realizzazione;

§      l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti di incarichi di progettazione fiduciari, anche in questo caso in controtendenza rispetto ad una delle linee direttrici della “legge Merloni” (mantenimento della progettazione all’ionterno delle amministrazioni);

§      l’innalzamento delle soglie per la trattativa privata;

§      la procedura per il project financing, che è stata modificata nel tentativo di render più agevole il ricorso a questa forma di finanziamento delle opere pubbliche.

 

Più in dettaglio, relativamente alla concessione di lavori pubblici (disciplinata dall’art. 19, commi 2-2 quater della legge n. 109) le nuove norme hanno fatto venire meno due importanti limiti, che avevano probabilmente rappresentato il principale ostacolo al diffuso ricorso a tale forma contrattuale:

§      il limite di durata dei trenta anni della concessione stessa (comma 2 bis). Ai sensi delle nuove disposizioni introdotte nel 2002, l'amministrazione aggiudicatrice, al fine di assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario, “può stabilire che la concessione abbia una durata anche superiore a trenta anni, tenendo conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo […] sull'importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni del mercato”;

§      il tetto del 50% quale componente monetaria del corrispettivo (elemento “prezzo”) della concessione. Si ricorda, infatti, che la legge del 1994 aveva previsto un principio generale secondo il quale il corrispettivo della concessione doveva consistere unicamente nel diritto del concessionario a gestire funzionalmente e sfruttare economicamente l’opera per la durata della concessione. Tuttavia, a tale principio, potevano fare eccezione ipotesi circostanziate (esistenza, nell’ambito della concessione, di prezzi o tariffe amministrate) e comunque nell’ambito di un tetto del 50% dell’importo totale dei lavori. Con le modifiche introdotte dalla legge n. 166 del 2002 non viene meno il principio generale, ma la deroga a tale principio viene ammessa non solo in presenza di ipotesi definite, ma ogniqualvolta risulti “necessario” ai fini del perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario; inoltre, viene meno anche il tetto del 50%: al suo posto viene previsto che la definizione della componente “prezzo” sia definita in sede di gara.

 

Il sistema di qualificazione delle imprese (art. 8 della legge n. 109) è stato modificato estendendo la durata della qualificazione da parte delle SOA[1] dai tre anni originariamente previsti, fino a cinque (con verifica entro il terzo anno del mantenimento dei requisiti)[2];

 

Per quanto riguarda l’appalto integrato di progettazione ed esecuzione, la “legge Merloni” – nella sua impostazione originaria – lo ammetteva solo in ipotesi particolari e appositamente predeterminate (lavori per i quali la componente impiantistica e tecnologica incideva per più del 50% sul valore dell’opera, lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici). Le modifiche introdotte nel 2002 lo ammettono invece sempre per i piccoli lavori sotto i 200.000 euro e per quelli maggiori, superiori ai 10 milioni. A questo ampliamento della possibilità di ricorso all’appalto integrato ha corrisposto anche la introduzione di norme specifiche finalizzate a garantire, comunque, la qualità della progettazione: infatti, il comma 1 ter ha disposto l’obbligo per l’impresa che partecipa alla gara per l’appalto integrato di possedere i requisiti di progettazione indicati nel bando o di avvalersi di un progettista qualificato; un secondo obbligo consiste nel divieto di ribassare le spese di progettazione.

 

Per quanto riguarda gli incarichi di progettazione fiduciari, con il “collegato infrastrutture” è stata innalzata da 40.000 a 100.000 euro la soglia di ammissibilità. Altre disposizioni – in materia di progettazione – hanno mirato ad incentivare le aggregazioni stabili fra professionisti: sono stati infatti riconosciuti i consorzi anche in questo settore (lettera g-bis) del comma 1, dell’art. 17), in analogia a quanto previsto dalla stessa legge per gli affidamenti dei lavori. Inoltre, ai fini della qualificazione di tali consorzi, è stato introdotto anche un meccanismo premiante (stessa lettera g-bis) del comma 1, dell’art. 17). Infine, sempre in tema di progettazione, è stata abrogata una disposizione che vietava alle società di ingegneria di assumere incarichi di progettazione di importo inferiore ai 200.000 euro[3].

 

In materia di procedure di gara sono state introdotte modifiche che semplificano la licitazione privata[4] (art. 23 della legge n. 109). Inoltre, per i lavori al di sotto dei 100.000 euro è stato completamente liberalizzato il ricorso alla trattativa privata (art. 24 della legge n. 109), peraltro già previsto dalla legge n. 109 in una serie di ipotesi tassativamente elencate.

 

In materia di project financing, le modifiche alla legge quadro introdotte dall’art. 7 della legge n. 166, hanno riguardato la procedura per il project financing, raddoppiando le scadenze entro le quali il promotore può presentare proposte all’amministrazione e ampliando la tipologia dei soggetti abilitati ad asseverare i piani economico-finanziari. Un’altra significativa modifica è consistita nell’introduzione del principio della prelazione a favore del promotore (art. 37-ter): il promotore, infatti, potrà comunque adeguare la propria offerta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente, e in questo caso sarà il promotore stesso ad aggiudicarsi la concessione (su questo argomento, v. anche le schede Il project financing e Libro verde sui partenariati pubblico-privati);.

 

Altre modifiche alla legge quadro, introdotte dall’art. 7 della legge n. 166, hanno riguardato: l’incentivazione dell’aggregazione fra imprese e in particolare dei consorzi stabili (modifiche all’art. 12 della legge n. 109); la procedura di verifica delle offerte anomale (art. 21): le modifiche sono state introdotte per adeguare la normativa alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 27 novembre 2001 nelle cause riunite C-285/99 e C-286/99; l’alleggerimento delle funzioni del responsabile del procedimento nelle procedure di programmazione (art. 14); la maggiore definizione di norme acceleratorie dei giudizi amministrativi in caso di contenzioso (art. 31 bis), in particolare in  materia di accordo bonario, laddove viene previsto che – in determinate ipotesi - la lite sia affidata ad una commissione mista composta da rappresentanti dell’appaltatore e rappresentanti della pubblica amministrazione.

Altre modifiche alla “legge Merloni” approvate nel corso della legislatura

Dopo questa prima serie di modifiche, ma prima della riforma complessiva (e conseguente abrogazione della legge n. 109 del 1994) sono state varate ulteriori modifiche alla legge quadro.

 

In primo luogo va ricordato – per l’organicità dell’intervento – il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30, recante Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, con il quale si è dato vita ad una organica disciplina speciale sugli appalti di lavori relativi a beni culturali (che, precedentemente, era ricavabile solo da alcune norme sparse, sia di carattere legislativo, sia regolamentare). In riferimento ai soli lavori in oggetto vengono normati aspetti generali e comuni della disciplina dei lavori pubblici, quali la qualificazione dei soggetti esecutori, gli appalti misti, le modalità di progettazione e i criteri di aggiudicazione dei lavori, le soglie per l’affidamento a trattativa privata, l’ammissibilità delle varianti.

La specialità della disciplina è (quasi sempre) connessa:

§         alla opportunità di valorizzare le competenze tecniche e le precedenti esperienze nella specifica tipologia di intervento da parte dei soggetti esecutori, e prevedere la possibilità che le amministrazioni aggiudicatrici dettino specifiche prescrizioni tecniche e in generale controllino e verifichino il rispetto di requisiti qualitativi in tutto l’iter amministrativo;

§         alla esigenza di permettere alle amministrazioni aggiudicatrici un maggiore spazio (rispetto a quanto previsto dalle norme ordinarie) nella scelta dei soggetti esecutori e una maggiore flessibilità dell’intero procedimento amministrativo.

Inoltre, vengono introdotte disposizioni particolari che riguardano solo i lavori su beni culturali o che assumono in tale settore un rilievo primario, quali la sponsorizzazione, le ipotesi di affidamento congiunto insieme a lavori afferenti ad altre categorie di opere, le coperture assicurative.

Il contenuto del decreto legislativo n. 30 è stato successivamente trasfuso nel “Codice dei contratti pubblici” (decreto legislativo n. 163 del 2006) su cui si rinvia alla scheda Il codice dei contratti pubblici)

 

Si ricordano poi una serie di interventi puntuali, introdotti in atti normativi di valenza più generale. In primo luogo, le modifiche recate dalla legge finanziaria per il 2004 (art. 4, commi 146 e 147 della legge 24 dicembre 2003, n. 350), relative allo svincolo della garanzia fideiussoria che l'esecutore dei lavori è obbligato a costituire, specificando che essa è svincolata progressivamente “a misura dell’avanzamento dell’esecuzione, nel limite massimo del 75 per cento dell’iniziale importo garantito”. La modifica inserita ha mirato sostanzialmente a superare il sistema previgente basato su successive soglie rigidamente definite normativamente. Le nuove norme hanno previsto, infatti, con formula più flessibile, che lo svincolo avviene “progressivamente” e “a misura dell’avanzamento dell’esecuzione”, e hanno fissato, per l’importo svincolabile, il limite massimo del 75 per cento dell’iniziale importo garantito (con corrispondenza, in questo caso, a quanto già previsto dalle norme vigenti). Inoltre è stato chiarito che la procedura di svincolo si riferisce non alla “cauzione definitiva” (a cui invece faceva riferimento il testo previgente della legge n. 109) ma, più correttamente, alla “garanzia fideiussoria”, eliminando, in tal modo, possibili ambiguità della formulazione previgente dell’art. 30.

Si ricordano, inoltre, altre modifiche alla “legge Merloni” introdotte dalla legge finanziaria per il 2005: all’art. 1, comma 550 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha introdotto una disciplina derogatoria del sistema del prezzo chiuso, precedentemente previsto dall’art. 26 della legge n. 109 del 1994. Con le norme introdotte si è inteso consentire una forma di revisione dei prezzi qualora il prezzo di singoli materiali di costruzione subisca variazioni superiori al 10%. La modifica normativa – determinata dal considerevole aumento dei prezzi dell’acciaio – ha reintrodotto nell’ordinamento una disciplina per la revisione dei prezzi simile a quella prevista dell’art. 33 della legge n. 41 del 1986 (che era stata abrogata dal comma 2 dell’art. 26 della “legge Merloni”), nonché dall’art. 1664 del codice civile. Secondo la nuova disciplina, la compensazione viene calcolata sulla base della percentuale eccedente il 10%. Il prezzo di riferimento dei materiali di costruzione e la relativa variazione percentuale, da utilizzare come base per valutare la necessità di una revisione, sono indicati annualmente con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Le norme introdotte specificano che il citato decreto annuale faccia riferimento ai “materiali di costruzione più significativi”, lasciando alla discrezionalità del Ministero la valutazione su quali siano i materiali la cui variazione di prezzo può attivare la nuova procedura di revisione. Inoltre, si precisa che la compensazione viene determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 10% al prezzo dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente, nelle quantità accertate dal direttore dei lavori.

Si ricordano, poi, le modifiche recate dall’art. 5 del decreto legge n. 35 del 2005 (“decreto competitività”)[5]. Le modifiche hanno toccato diversi aspetti.

Il comma 4 dell’art. 5 ha introdotto una disposizione di non facile interpretazione in materia di project financing. Tale comma dispone che, per la realizzazione di infrastrutture con modalità di project financing possano essere destinate anche le risorse costituenti “investimenti immobiliari degli enti previdenziali pubblici”. La disposizione sembrerebbe finalizzata ad introdurre la possibilità di ampliare le forme di utilizzo degli investimenti immobiliari degli enti previdenziali ammesse dalle norme vigenti. Infatti, ai sensi della normativa vigente (articolo 11 del D.Lgs. 104 del 1996) tali investimenti, fatti salvi i piani di investimento già stabiliti e gli acquisti di immobili adibiti a uso strumentale, sono realizzati esclusivamente in via indiretta, in particolare tramite la sottoscrizione di quote di fondi immobiliari e partecipazioni minoritarie in società immobiliari, nel rispetto delle disposizioni previste da specifiche norme in materia di impiego di parte dei fondi disponibili per finalità di pubblico interesse.

Una seconda serie di modifiche alla normativa sui lavori pubblici (anche se non in forma di novella della legge n. 109) è stata introdotta dai commi 12-12 quinquies, dello stesso articolo 5, in tema di risoluzione del contratto di appalto disposta dalla stazione appaltante ai sensi degli articoli 118, 119 e 120 del D.P.R. n. 554 del 1999 (comma 12) e di risoluzione del contratto per grave inadempimento del medesimo (commi 12 bis-12 quater). Queste ultime norme hanno introdotto (anche in questo caso, senza ricorrere alla novellazione della legge n. 109) una procedura derogatoria ed integrativa delle norme vigenti in tema di fallimento dell’appaltatore e di risoluzione del contratto per grave inadempimento del medesimo, recate dall’art. 10, comma 1-ter, della legge n. 109 del 1994. La nuova normativa dispone che, in deroga alla disciplina ordinaria, l’interpello progressivo dei partecipanti alla gara possa proseguire, in ordine di graduatoria, fino al quinto classificato. Inoltre, in caso di fallimento o di indisponibilità di tutti i soggetti interpellati, le stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento del completamento dei lavori mediante procedura negoziata senza pubblicazione di bando, in deroga alla normativa vigente.

Infine, i commi 16 sexies e 16 septies dello stesso art. 5 sono intervenuti in materia di arbitrato nei lavori pubblici. La prima innovazione (comma 16-sexies), formulata come novella all’articolo 32, comma 2, della “legge quadro” sui lavori pubblici, consiste in una riforma della disciplina della nomina del terzo arbitro (basata sulla competenza della Camera arbitrale istituita presso l’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici) e disponendo invece che anche la nomina del terzo arbitro possa essere concordata fra le parti e che solo laddove manchi l’accordo fra le parti a tale nomina debba procedere la suddetta Camera. Fuori dalla novella (comma 16-septies) è stata invece introdotta una norma transitoria, volta a disciplinare le procedure arbitrali in corso o già definite prima dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 6337 del 17 ottobre 2003, sentenza aveva prodotto una situazione di incertezza in merito alla disciplina applicabile alle situazioni pregresse.

Altre modifiche (volte a superare una procedura d’infrazione[6]) sono state introdotte dall’art. 24 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (“comunitaria 2004”). Le modifiche hanno riguardato molteplici aspetti:

§      rapporti fra certificazione di qualità e qualificazione per la partecipazione ad appalti di lavori;

§      contratti misti;

§      progettazione e direzione dei lavori;

§      procedure di collaudo;

§      disciplina del promotore;

§      svincolo delle garanzie e coperture assicurative

In materia di rapporti fra certificazione di qualità e qualificazione per la partecipazione ad appalti di lavori, la modifica ha eliminato uno dei benefici[7] previsti (dall’art. 8 della “legge Merloni”) a favore delle imprese “certificate”, in quanto tale beneficio veniva a costituirsi come norma contrastante con la direttiva 93/37/CEE che impone la netta separazione tra la fase della qualificazione e quella della valutazione dell'offerta.

In materia di contratti misti (con novelle recate all’articolo 2, comma 1, della legge quadro sui lavori pubblici e al comma 3, dell’articolo 3 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 sugli appalti pubblici di servizi) è stata disposta l’applicazione del criterio dell’accessorietà dei lavori rispetto a quello, previgente, della prevalenza economica. Si ricorda, in proposito, che la Commissione europea aveva più volte rilevato[8] come, ai fini della determinazione della regole applicabili a un appalto misto di lavori e servizi, occorresse individuare l’oggetto principale del contratto, mentre la prevalenza economica delle prestazioni – a norma del diritto comunitario - non è che uno degli elementi che possono contribuire all'individuazione di tale oggetto principale.

I commi 5 e 6 dell’articolo 24 della legge comunitaria hanno poi novellato, rispettivamente, l’articolo 17, comma 12, e l’articolo 30, comma 6-bis, della legge quadro, in relazione all’affidamento di incarichi inferiori alla soglia comunitaria. Si tratta, in particolare, degli incarichi di progettazione o di direzione dei lavori, e degli incarichi per la validazione dei progetti. Le modifiche consistono nel superamento della mera discrezionalità da parte dell’amministrazione aggiudicatrice nella scelta del soggetto affidatario e nell’introduzione di una formula che – pur non prescrivendo l’adozione di una specifica procedura – fa comunque riferimento ai principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.

Il comma 7 dello stesso articolo, attraverso la sostituzione del comma 14 dell’art. 17 della legge n. 109 del 1994, obbliga alla previa indicazione nel bando di gara dell’affidamento diretto della direzione dei lavori al progettista incaricato, qualora l’importo complessivo delle due attività superi la soglia di applicazione della direttiva comunitaria.

Lo stesso articolo 24 (comma 8) abroga i commi 8, 9, 10 ed 11 dell’articolo 188 del regolamento attuativo della “legge Merloni” (D.P.R. n. 554 del 1999), che consentivano la scelta diretta dei collaudatori esterni da parte delle amministrazioni aggiudicatrici senza prevedere la pubblicazione né di un bando di gara né altre forme di pubblicità.

In tema di project financing, sono stati aggiunti alcuni periodi all’articolo 37-bis, comma 2-bis, della legge n. 109 del 1994, disponendo che venga data un’idonea pubblicità alla possibilità per il promotore di godere del diritto di prelazione nei confronti degli altri concorrenti (si ricorda che tale diritto è stato introdotto dalla legge n. 166 del 2002, come riportato sopra).

Infine, è stata introdotta una disposizione che impone alle stazioni appaltanti, al momento dell’aggiudicazione definitiva, di informare i concorrenti non aggiudicatari, provvedendo quindi allo svincolo delle garanzie provvisorie eventualmente prestate da questi soggetti per la partecipazione alla gara.

 

Infine, anche la finanziaria per l’anno 2006, legge 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 207, ha recato una norma di interpretazione autentica  dell’articolo 18, comma 1, della “legge Merloni”. La norma di interpretazione autentica prevede che la quota non superiore all’1,5% dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro (che – secondo le norme vigenti - può essere ripartita tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori) è comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione.

La stessa legge, inoltre, è reintervenuta in materia di arbitrati (art. 1, commi 70 e 71). La disciplina era stata – come si è sopra ricordato - già modificata dall’art. 5, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35. Con le modifiche introdotte dal decreto legge n. 35 era stato introdotto l’obbligo del versamento di una quota del valore della controversia pari all’1/10.000 al momento del deposito del lodo da parte degli arbitri alla camera. Con le modifiche introdotte dalla finanziaria per il 2006 (comma 70), il rapporto su cui viene calcolata la quota del valore da versare viene definito nell’ 1/1.000. La norma va letta in connessione con un’altra disposizione – recata dal comma 67 dello stesso articolo 1 della legge n. 266 - che ha introdotto norme relative all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, riconoscendole autonomia organizzativa e finanziaria, e stabilendo una serie di nuove prescrizioni in materia di copertura dei costi relativi al funzionamento della stessa Autorità. Questa, oltre a determinare annualmente l’ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, ne stabilisce le modalità di riscossione. Si prevede, inoltre, che l’Autorità possa individuare quali servizi siano erogabili a titolo oneroso, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo dei servizi stessi.

Infine, con il comma 71 è stato disposto che gli importi dovuti alla camera arbitrale per la decisione delle controversie di cui all’art. 32 della legge n. 109 vengano versati direttamente all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, al fine di evitare che le somme in questione vengono prima assegnate al bilancio dello Stato e successivamente trasferite all’Autorità.

Il codice dei contratti pubblici

La riforma della “legge quadro” si è poi compiuta con le ulteriori modifiche sostanziali e la trasfusione della normativa sui lavori pubblici (con conseguente abrogazione della legge n. 109) in un atto normativo più ampio e complesso.

Gli articoli 1, 2 e 25 della legge 18 aprile 2005, n. 65, hanno disposto infatti una delega al Governo finalizzata al recepimento di due importanti direttive comunitarie intervenute nell’anno 2004 in materia di contratti pubblici: la direttiva 2004/17/CE (che ha coordinato le procedure in materia di appalto degli enti erogatori di acqua ed energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali) e la direttiva 2004/18/CE (che ha coordinato le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi).

In merito al recepimento delle due direttive, si sono confrontate in Parlamento due opposte visioni.

La prima, rappresentata soprattutto dai gruppi di opposizione, era finalizzata ad evitare che, in sede di recepimento delle direttive, il Governo utilizzasse la delega per procedere ad una vera e propria riforma della normativa sui lavori pubblici (o meglio, ad un completamento della riforma, vista l’entità delle modifiche operate con la legge n. 166 del 2002 e con i successivi interventi sopra ricordati). Rischi in tal senso venivano intravisti non solo nelle ripetute dichiarazioni di rappresentanti del Governo in tal senso, ma nella stessa espressione che introduce le novelle elencate all’art. 7 della legge n. 166.

A questo indirizzo è sembrato aderire, in una prima fase, lo stesso Governo, durante l’esame, in sede referente e in aula, del disegno di legge comunitaria, recate la delega.

Invece, con la presentazione al Parlamento – il 17 gennaio 2006 - dello schema di decreto legislativo attuativo della delega (Atto del Governo n. 606) che recava il titolo Codice dei contratti pubblici di lavori, forniture, servizi, si è appalesata una volontà diversa del Governo, quella cioè di procedere ad una riforma sostanziale della normativa sugli appalti pubblici, e segnatamente di quella in materia di appalti di lavori (e quindi ad una riforma radicale della “legge Merloni”, che infatti viene integralmente abrogata dallo schema di decreto e sostituita da un insieme di norme sicuramente innovative dell’ordinamento precedente).

I termini di questa dialettica tra maggioranza e opposizione sono facilmente ricostruibili attraverso la consultazione dei resoconti delle sedute della VIII Commissione (soprattutto quelle del 15 e del 22 febbraio). Uno dei temi di questa dialettica è stato quello della idoneità di una disposizione di delega formulata in termini di (mero) recepimento di due direttive comunitarie, rispetto ad un intervento di sostanziale revisione delle norme in materia di appalti di lavori.

Al fine di chiarire questo punto, può essere utile ricordare che le due direttive (soprattutto la 2004/18/CE) presentano numerosi aspetti innovativi della disciplina comunitaria degli appalti pubblici. In primo luogo esse procedono alla unificazione di tutte le norme comunitarie in materia di appalti pubblici (precedentemente distinte in tre filoni: forniture, servizi e lavori), separando i contratti pubblici ordinari da quelli riguardanti i cd “settori speciali” (disciplinati dalla direttiva 2004/17/CE). Fra le principali novità della nuova disciplina comunitaria, si segnalano le soglie di applicazione più elevate, l’introduzione del dialogo competitivo, delle aste elettroniche, dei sistemi dinamici di acquisto, degli accordi quadro, la possibilità di partecipare alle gare con le holding.

Pertanto, appare oggettivamente problematica la possibilità di isolare specifiche previsioni comunitarie che non trovano riscontro nel diritto interno e circoscrivere ad esse il recepimento.

Infine, occorre ricordare che – in base a un principio generale di armonizzazione del diritto comunitario con il diritto nazionale degli stati membri - con il 1° febbraio 2006 sono comunque entrate in vigore – a prescindere dall’emanazione di atti di recepimento nazionali e in tutto il territorio degli Stati membri - le due direttive comunitarie limitatamente a quelle disposizioni considerate immediatamente applicabili (self executing). Tra queste sono incluse – ad esempio - le disposizioni che stabiliscono gli importi delle soglie al di sopra delle quali trova piena applicazione la normativa comunitaria.

Pertanto, pur dovendosi riconoscere che alcune formulazioni della disposizione di delega appaiono riduttive rispetto al testo poi elaborato dal Governo[9], sembra tuttavia ragionevole che un certo riordino della materia fosse, nel caso, inevitabile.

Il Codice (in data successiva alla fine della XIV legislatura, cioè il 2 maggio 2006) è stato pubblicato in GU: decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

Molte sono le novità introdotte dal Codice (sia in materia di appalti di lavori, sia in materia di appalti di servizi e forniture), sulle quali si rinvia alla scheda Il codice dei contratti pubblici.

Non hanno invece trovato accoglimento i richiami formulati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con l’Atto di segnalazione AS336, del marzo 2006, in tema di percentuali obbligatorie di lavori da affidare a terzi da parte del concessionario, e più in generale in tema di concorrenza nel settore delle concessioni di lavori pubblici. Sul punto, si rinvia alla scheda Affidamento di lavori nelle concessioni.



[1] Gli organismi di attestazione istituiti dalla “legge Merloni”.

[2] Tale modifica ha comportato la necessità di disporre una proroga delle attestazioni già rilasciate (decreto legge 26 aprile 2004, n. 107) e una modifica del regolamento che disciplina la qualificazione delle imprese (DPR 30 aprile 2000, n. 34) operata dal DPR 10 marzo 2004, n. 93.

[3] Si ricorda che già numerose sentenze (a partire dalla n. 432/99 del TAR Molise) avevano censurato tale divieto, in quanto incompatibile con il diritto comunitario. Conseguentemente a questa convergente giurisprudenza, le stazioni appaltanti avevano iniziato a disapplicare il divieto.

[4] La licitazione privata è stata introdotta per la prima volta dalle legge n. 109 del 1994 ed è utilizzabile solo per lavori di importo inferiore ai 750.000 euro. Essa si basa su un meccanismo di inviti a rotazione che vengono effettuati dai soggetti appaltanti scegliendo nell’ambito di elenchi di fiducia (preventivamente definiti). Gli elenchi devono essere costituiti comunque attraverso forme di pubblicizzazione previste dalla legge.

[5] Convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[6] Procedura d’infrazione n. 2001/2182.

[7] Il beneficio consisteva nella previsione che - in caso di appalto concorso - le stazioni appaltanti prendevano in considerazione la certificazione del sistema di qualità, ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema, in aggiunta agli elementi variabili (indicati al comma 2 dell'articolo 21 della stessa “legge Merloni).

[8]     Procedura di infrazione 2001/2182 e parere motivato del 15 ottobre 2003.

[9] In particolare, la lettera a) del comma 1, dell’art. 25 della legge n. 62 del 2005 reca l’espressione “compilazione di un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive […]”: com’è noto, il concetto di “compilazione” è, in questo contesto, di solito contrapposto a quello di “innovazione” normativa.