La riforma del
titolo V della Costituzione e, in particolare, il novellato articolo 117,
colloca la materia della "produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia" tra le competenze concorrenti; lo Stato stabilisce
i principi generali della materia,
mentre alle Regioni spetta legiferare sulle norme di dettaglio.
La necessità di
armonizzare le nuove competenze regionali con la dimensione nazionale delle
politiche energetiche e le relative interdipendenze comunitarie ed
internazionali ha dato luogo ad una prima fase di applicazione del nuovo
assetto della governance del settore
che è stata segnata da incertezze interpretative e da una forte conflittualità
nel rapporto tra lo Stato e le Regioni, come testimoniato dal sensibile e significativo
aumento dei ricorsi dinanzi alla Corte Costituzionale e dalla conseguente
funzione di "supplenza" che ha dovuto assumere la giurisprudenza
della Corte Costituzionale.
Le Regioni hanno
infatti ripetutamente impugnato davanti alla Corte Costituzionale i
provvedimenti legislativi adottati dal Parlamento, ritenendo che essi
contenessero disposizioni aventi carattere di dettaglio e quindi incompatibili
con il nuovo assetto costituzionale.
Il legislatore
statale ha, invece, seguito una linea interpretativa che ha posto in primo
piano, nella concreta definizione dei propri ambiti di intervento, le cd.
materie “trasversali” ricomprese
nelle competenze statali esclusive di cui all’art. 117, primo comma, della
Costituzione.
Particolarmente
significativo, in questo senso, l’articolo 1 della legge di riordino del
settore energetico (v. capitolo Riordino
del settore energetico) ove si afferma che la legge medesima, oltre
a porre, nell’ambito dei principi derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali, “i principi fondamentali in materia energetica,
ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione”, detta, altresì,
disposizioni che contribuiscono a garantire:
§
la tutela della concorrenza;
§
la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
§
la tutela dell’incolumità e della sicurezza
pubblica;
§
la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
In tal modo, come si legge nel citato articolo 1 della legge n. 239 del
2004, il legislatore statale tende a di garantire “l’unità giuridica ed
economica dello Stato e il rispetto delle autonomie regionali e locali, dei
trattati internazionali e della normativa comunitaria”.
In questo contesto
la Corte costituzionale ha avuto modo di intervenire definendo le linee di una
giurisprudenza che ha assunto una portata non limitata al settore dell’energia,
costituendo invece un asse importante di orientamento nella ricerca di un
equilibrio tra i diversi livelli di governo rispetto alle materie di
legislazione concorrente.
In particolare, la
Corte, con la sentenza n. 6 del 2004, relativa al contenzioso
costituzionale sorto tra Stato e Regioni relativamente alle disposizioni
contenute nel decreto legge n. 7 del 2002, convertito dalla legge n. 55 del
2002, recante "Misure urgenti per
garantire la sicurezza del settore elettrico nazionale", ha sciolto
alcuni dubbi interpretativi relativi al rapporto fra le competenze legislative
e le funzioni amministrative dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali in
materia di energia, con particolare riferimento alle procedure di
autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti.
Segnatamente, la
Corte, nel dichiarare infondati i ricorsi delle Regioni Umbria, Basilicata e
Toscana avverso il citato decreto legge n. 7 del 2002 - adottato dal Governo al
fine di consentire che i processi di costruzione di nuove centrali e di
ampliamento di quelle già esistenti potessero avviarsi nonostante gli
impedimenti frapposti dalle autorità locali competenti a rilasciare le
autorizzazioni - ha confermato il proprio indirizzo giurisprudenziale in base
al quale per giudicare della legittimità costituzionale della norma impugnata
bisogna non già considerare la conformità
rispetto all'articolo 117 Cost., bensì valutarne la rispondenza da un lato ai
criteri indicati dall'articolo 118 Cost. per la allocazione e la disciplina
delle funzioni amministrative, dall'altro al principio della leale
collaborazione..
Nella sentenza
citata (v. scheda Giurisprudenza
costituzionale - Sentenza n. 6/2004) la Corte, riprendendo nella
sostanza l’orientamento della sentenza n. 303 del 2003, oltre a confermare,
almeno in parte, la tendenza ad una interpretazione restrittiva delle materie
“trasversali” di competenza esclusiva statale, ha chiarito come nelle materie
di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell'art. 118, primo
comma, Cost., la legge possa attribuire allo Stato funzioni amministrative,
nonché organizzarle e regolarle, al fine di renderne l'esercizio raffrontabile
a un parametro legale.
In tale prospettiva,
precisa la Corte, i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il
normale riparto di competenze legislative contenuto nel nuovo Titolo V e
possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell'interesse pubblico
sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata,
non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto
di costituzionalità, sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione
interessata.
Secondo tale
indirizzo giurisprudenziale, nell’identificazione di un preciso fondamento
costituzionale per l’attribuzione delle competenze nel settore energetico al
livello statale, assumono, quindi, una peculiare valenza gli accordi, le intese e le altre forme di
concertazione e di coordinamento orizzontale delle rispettive competenze, che
assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso
strumenti di leale collaborazione.
Con altre sentenze (nn. 7 e 8 del 2004) la Corte è stata
chiamata invece a pronunciarsi su questioni
di legittimità costituzionale sollevate in via principale dal Governo avverso leggi regionali.
In particolare, con la sentenza
n. 7 del 2004, la Corte ha dichiarato non fondata la questione sollevata
dal Governo avverso la legge n. 32 della Regione Piemonte, recante disposizioni
sulle procedure di formazione del Piano regionale energetico-ambientale.
Ad avviso del
Governo, la legge, prevedendo la possibilità per la Regione di emanare linee
guida per la progettazione tecnica degli impianti di produzione, di
distribuzione ed utilizzo dell’energia, avrebbe arrecato pregiudizio alla
compatibilità, da un punto di vista tecnico, della rete regionale di
distribuzione dell’energia elettrica con la rete nazionale e le altre reti
europee.
Al riguardo, la
Corte ha ritenuto legittima la legge
regionale sul presupposto che le norme tecniche da essa poste si conformino
a quelle stabilite dal Gestore nazionale della rete, le quali non esauriscono i
criteri di progettazione tecnica degli impianti. Conseguentemente, la regione può
legittimamente adottare ulteriori criteri per la progettazione degli impianti
che si aggiungano, rispettandole, alle regole tecniche individuate dal Gestore
nazionale. In questo senso la salvaguardia
delle esigenze di unitarietà della rete è garantita dal rispetto delle regole
poste a livello centrale.
Più di recente, con la sentenza
n. 383 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata sui ricorsi
promossi dalla Regione Toscana e dalla Provincia autonoma di Trento avverso numerose
disposizioni del decreto legge 29 agosto 2003, n. 239, recante misure urgenti
per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale (convertito con
modificazioni, dalla legge n. 290 del 2003), e della legge di riordino del
settore energetico (legge 23 agosto 2004, n. 239).
La sentenza, molto
articolata (v. scheda Giurisprudenza
costituzionale - Sentenza n. 383/2005), decide ben 22 punti di
impugnazione delle disposizioni del D.L., accogliendo
i motivi di ricorso, con conseguente dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle disposizioni del D.L., su 11 di tali punti.
In due casi la dichiarazione di incostituzionalità consegue al
riconoscimento della natura di dettaglio
delle disposizioni del D.L., non idonee come tali ad integrare gli estremi
di principi fondamentali in materia di legislazione concorrente.
Il filo conduttore della sentenza è tuttavia la ricognizione, ai sensi
dei principi affermati nella precedente sentenza n. 6/2004, dei requisiti
necessari ad assicurare in concreto, in relazione alle fattispecie concrete
oggetto di impugnazione, la
partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione.
In questa ottica la Corte ha dichiarato incostituzionali numerose
disposizioni del D.L. n. 239/2003, per la parte nella quale non prevedono che i poteri attribuiti agli organi statali
debbano essere esercitati d’intesa, a seconda dei casi, con la Conferenza
Unificata Stato regioni e Stato-città di cui all’art. 8 del D.Lgs. 28 agosto
1997, n. 281, oppure direttamente con le Regioni e le Province interessate.
Particolare rilievo assume poi la definizione da parte della Corte delle
caratteristiche che le intese in
questione debbono assumere, con la
sottolineatura del carattere necessariamente paritario delle stesse.
A questo proposito si ritiene opportuno riportare un passo della
motivazione della sentenza:
“Nell'attuale situazione, infatti, come questa Corte ha più volte
ribadito a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 (cfr., da ultimo, le sentenze
n. 242 e n. 285 del 2005), tali intese costituiscono condizione minima e
imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa
statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la
conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia
di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con
decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve
escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volontà della
Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato,
il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che,
viceversa, non può strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere
unilaterale.
L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo
ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale
collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà
certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di
procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale
nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l'intesa, ma tali
procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della
posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a
questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni”.
La sentenza n. 383/2005 rappresenta ad oggi il punto di riferimento di
una giurisprudenza che cerca di definire forme e modalità di una leale e
proficua collaborazione tra i diversi livelli di governo in materia energetica,
nell’ambito del riparto di competenze disegnato dal nuovo titolo V della
Costituzione.
Occorre tuttavia considerare anche che la legge costituzionale di riforma della Parte seconda della Costituzione (approvata in seconda deliberazione dalla Camera il 20 ottobre 2005 e dal Senato il 16 novembre 2005[1]) prevede una significativa modifica di tale riparto di competenze.
Il testo della legge, che sarà sottoposta al referendum popolare previsto dall’art. 138, secondo comma, della Costituzione, introduce infatti una distinzione tra “produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, di esclusiva competenza statale, e “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, ricompresi invece tra le materie di legislazione concorrente.