Titolo V e norme di attuazione

Profili generali del nuovo Titolo V

L’8 novembre 2001 entrava in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla quale il 7 ottobre si era svolto con esito favorevole il referendum previsto dall’art. 138 Cost..

Tra gli aspetti innovativi della complessa riforma costituzionale, con particolare riguardo a quelli più direttamente afferenti il riparto delle competenze tra Stato e autonomie territoriali, si possono innanzitutto ricordare l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.)[1], nonché l'inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, che comporta, ai sensi del nuovo art. 117 Cost.:

§         un primo elenco di materie la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma) che cessa così di essere soggetto a competenza generale per divenire soggetto a competenza enumerata;

§         un secondo elenco di materie – che la stessa norma costituzionale definisce “di legislazione concorrente” – in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117, terzo comma);

§         una norma di chiusura, secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle Regioni (competenza generale “residuale”: art. 117, quarto comma).

Il sistema di riparto delle competenze normative è completato dal principio di attribuzione della potestà regolamentare, che vede una riduzione della competenza statale, ampliandosi quella delle Regioni e degli enti locali: allo Stato spetta emanare i regolamenti nelle materie riservate alla sua competenza esclusiva, salva la possibilità di delega alle Regioni, mentre alle Regioni spetta la potestà regolamentare in ogni altra materia (e quindi anche in quelle di competenza concorrente). Ai comuni, alle province, alle città metropolitane spetta la potestà regolamentare per la disciplina riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze loro attribuite.

Per quanto concerne i criteri per il riparto delle funzioni amministrative di cui all’art. 118 Cost., la riforma del titolo V ha stabilito in via generale l’attribuzione delle funzioni amministrative presso il livello di governo più vicino al cittadino, e dunque, in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, mirando a superare con ciò il principio del parallelismo tra attribuzione di funzioni legislative e attribuzione di funzioni amministrative[2] (che invece ispirava la precedente formulazione del primo comma dell’art. 118 Cost.)[3]. Inoltre, ha stabilito che comuni, province e città metropolitane siano titolari di una serie di funzioni proprie (anche se esse non sono definite dalla Costituzione) e delle ulteriori funzioni ad esse attribuite dalle leggi statale e regionale[4].

Ulteriore rilevante aspetto è costituito dall’attribuzione alle Regioni, ed altresì agli enti locali, dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost.). Tra i principali elementi di novità, figura anche la specificazione della potestà tributaria degli enti territoriali, con la facoltà di stabilire ed applicare tributi propri; la  compartecipazioni a tributi erariali, esplicitamente in base alla riferibilità del relativo gettito al rispettivo territorio; l’istituzione, rimessa alla legge statale, di un fondo perequativo destinato ai territori con minore capacità fiscale; la precisazione secondo la quale il complesso delle risorse derivante dalle entrate e dai tributi propri, dalle compartecipazioni ai tributi erariali e dalle disponibilità assicurate dal fondo perequativo debbono consentire agli enti territoriali di finanziare “integralmente” le funzioni pubbliche loro attribuite. La disposizione costituzionale delimita poi la possibilità dello Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali a favore di singoli enti territoriali: infatti, le finalità che possono giustificare la destinazione di tali risorse e l’effettuazione di tali interventi sono indicate nella promozione dello sviluppo economico, nella coesione e la solidarietà sociale, nella rimozione degli squilibri economici e sociali, nell’“effettivo esercizio dei diritti della persona”, ovvero nel provvedere a “scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni” (degli enti territoriali)[5].

Peraltro, le disposizioni in materia di autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali di cui all’art. 119 non hanno sinora trovato piena attuazione legislativa (al riguardo, si rinvia ai capitoli Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale e Verso il federalismo fiscale) nonché, per alcune rilevanti precisazioni della giurisprudenza costituzionale, alla scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale).

Di particolare rilievo, sempre in correlazione con l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni, anche la soppressione del visto sulle leggi regionali e dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e degli enti locali[6] prevedendosi comunque – a date condizioni – un generale potere sostitutivo del Governo, nonché la possibilità per lo Stato e le Regioni di ricorrere alla Corte costituzionale per l’instaurazione in via principale del giudizio di legittimità costituzionale avverso leggi, rispettivamente, regionali e statali, in condizioni (processuali) di sostanziale parità (artt. 120, secondo comma e 127 Cost.)[7].

Con specifico riguardo all’esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato (art. 120 Cost.)[8], rispetto agli organi delle Regioni, delle città metropolitane e dei comuni, la nuova disciplina ha previsto che tali poteri siano attivabili quando si riscontri da parte di questi enti il mancato adempimento di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Si demanda alla legge dello Stato il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione[9].

 

L’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha posto, sin dall’inizio della legislatura, la pressante esigenza – accentuata dall’assenza di una disciplina transitoria – di introdurre norme e prassi che adeguassero l’ordinamento della Repubblica al nuovo quadro costituzionale e ne rendessero in concreto applicabili le disposizioni, anche in considerazione di alcuni nodi interpretativi di immediata evidenza.

 

Ai principali aspetti delle norme di attuazione adottate in sede di legislazione ordinaria (nonché ad alcune procedure parlamentari ad hoc) sono destinati i paragrafi seguenti.

Si fa presente fin d’ora che un rilevante contributo per la soluzione di questioni interpretative emerse nell’applicazione del nuovo Titolo V - che hanno comportato un notevole incremento del contenzioso Stato-Regioni - è stato offerto dalla giurisprudenza costituzionale in materia, per i cui orientamenti di carattere generale si rinvia alla scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale.

Per quanto riguarda invece le iniziative di rango costituzionale volte a modificare le linee della riforma o ad inserirla in un più ampio disegno di revisione in senso “federalista” – iniziative che hanno trovato esito nelle rilevanti innovazioni introdotte dalla legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione – si rinvia al capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica.

L’attuazione nella legislazione ordinaria (legge “La Loggia”): aspetti generali

Sul piano della legislazione ordinaria, all’esigenza di “attuare e chiarire” la riforma del Titolo V si è inteso far fronte, principalmente, attraverso la L. 131/2003[10] (c.d. legge “La Loggia”). La legge reca, in particolare, disposizioni concernenti:

§         l’esercizio della potestà legislativa regionale e della potestà normativa degli enti locali;

§         la partecipazione delle Regioni in materia comunitaria[11] e l’attività internazionale delle Regioni;

§         le procedure per il conferimento delle competenze amministrative ai diversi livelli di governo e il loro esercizio;

§         l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, co. 2°, Cost.;

§         l’adeguamento delle norme di procedura dei giudizi di legittimità costituzionale alle previsioni di cui ai nuovi artt. 123, co. 2°, e 127 Cost.;

§         l’istituzione, in luogo del Commissario di Governo, di un Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie;

§         l’applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale.

Di seguito vengono illustrati i contenuti essenziali della legge.

Vincoli alla potestà legislativa regionale e alla potestà normativa degli enti locali

In materia di esercizio della potestà legislativa regionale, la legge “La Loggia” interviene, con l’articolo 1, in merito all’attuazione dei commi primo e terzo dell’art. 117 Cost., al fine di precisare la portata del limite del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, nonché i limiti propri della potestà legislativa concorrente, e l’operatività del meccanismo della “cedevolezza”.

Vincoli internazionali e comunitari

L’art. 117, co. 1°, Cost., nel testo vigente, indica quali limiti alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, oltre al rispetto della Costituzione, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

 

Una parte della dottrina ha ritenuto che la disposizione costituzionale riformata introdurrebbe un nuovo vincolo per la legislazione statale: quest’ultima, infatti verrebbe sottoposta ai “vincoli” derivanti “dagli obblighi internazionali”, con riflessi sul piano della sovranità dell’ordinamento italiano e in aperto contrasto con una consolidata giurisprudenza costituzionale (vedi infra). Da parte di altri si esclude, invece, ogni ipotesi di automatica “costituzionalizzazione” dei trattati internazionali, poiché il significato dei “vincoli” di cui al primo comma dell’art. 117 Cost. va ricercato altrove, ovvero nelle disposizioni che la Costituzione dedica ai rapporti con l’ordinamento internazionale (artt. 10 e 11 Cost.). Secondo tale interpretazione, il nuovo primo comma dell’art. 117 avrebbe l’esclusiva finalità di equiparare le posizioni della legge statale e della legge regionale sotto il profilo del rispetto dei vincoli derivanti da tali trattati.

Gli “obblighi internazionali” come limite al legislatore sarebbero infatti una novità solo per il Parlamento statale. Il limite era già esplicito in vari statuti speciali e veniva applicato anche all’esercizio della potestà legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario.

 

Il comma 1 dell’articolo 1 appare orientato a chiarire la portata della disposizione, specificando che costituiscono “vincoli” quelli derivanti dalle seguenti fonti:

§         le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all’art. 10 Cost.[12];

§         gli accordi di reciproca limitazione della sovranità, di cui all’art. 11 Cost.[13];

§         l’ordinamento comunitario[14];

§         i trattati internazionali[15].

 

Si osserva in proposito che:

§         l’art. 117, comma primo, non rinvia ad alcun tipo di legge l’attuazione della norma da esso recata, che appare dunque immediatamente e direttamente prescrittiva nei confronti sia del legislatore statale sia di quello regionale.

§         al pari dell’art. 117, primo comma, Cost., anche il comma 1 in esame non incide unicamente sulla funzione legislativa (piena o concorrente) delle Regioni – come potrebbe desumersi dalla rubrica dell’articolo – ma anche su quella dello Stato;

§         i vincoli all’esercizio della funzione legislativa (statale e regionale) ordinaria vengono specificati dal comma in esame, con una fonte – quindi – equiordinata;

Alla luce di tali osservazioni andrebbe considerato che il comma in esame non sembra poter legittimamente vincolare l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni[16], se non nei limiti in cui esso risulti idoneo ad orientare l’interpretazione dell’art. 117, primo comma, Cost., nella direzione più conforme al complessivo quadro costituzionale (senza, ovviamente, poterne limitare la portata).

La reciproca “cedevolezza” delle norme vigenti

Il comma 2 dell’articolo 1 contiene due disposizioni in qualche modo simmetriche, volte a regolare – mediante il meccanismo della “cedevolezza” - il passaggio dal precedente all’attuale assetto delle potestà legislative con riguardo agli effetti delle vigenti disposizioni normative statali sulle materie (divenute) regionali, e viceversa. Il comma dispone che:

§         le disposizioni statali vigenti nelle materie divenute di competenza regionale esclusiva e concorrente (quest’ultima salvo per quanto concerne i princìpi fondamentali) continueranno ad applicarsi fino a quando saranno sostituite (nelle singole Regioni) dalle nuove disposizioni regionali;

§         le disposizioni regionali vigenti nelle materie divenute di competenza esclusiva statale continueranno ad applicarsi fino a quando saranno sostituite dalle nuove disposizioni statali.

Nel solo primo caso, relativo alle disposizioni statali vigenti, si fa salva la disposizione di cui al comma 3 (vedi infra), il quale individua i princìpi fondamentali che delimitano l’esercizio della potestà legislativa concorrente delle Regioni in quelli espressi, nonché in quelli desumibili dalla legislazione vigente.

 

Il riferimento al comma 3 sembra poter significare che, nelle materie di legislazione concorrente, anche al sopraggiungere della legislazione regionale sostitutiva della previgente legislazione statale, quest’ultima manterrà la sua vigenza limitatamente ai princìpi fondamentali in essa presenti, sia in forma espressa sia in quanto desumibili da disposizioni di dettaglio.

Nel riferirsi a “disposizioni normative”, il comma sembra trovare applicazione tanto per le disposizioni legislative che per quelle regolamentari. Va ricordato, al riguardo, che il sesto comma dell’art. 117 Cost. assegna la potestà regolamentare allo Stato sulle sole materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (salva delega alle Regioni), alle Regioni sulle altre.

 

Va inoltre segnalato che la norma sancisce l’applicabilità sia delle norme vigenti al momento dell’entrata in vigore della L.Cost. 3/2001 di riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, sia delle norme entrate in vigore successivamente a tale data (l’8 novembre 2001) e sino alla data di entrata in vigore della legge “La Loggia”.

 

La conformità al dettato costituzionale della prima tra le due fattispecie sembra pacifica: il nuovo art. 117 Cost., ridefinendo il quadro delle competenze legislative, assume infatti rilievo ai fini del legittimo esercizio della relativa potestà, ma non incide sulla legittimità delle leggi approvate in vigenza del precedente ordinamento.

La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale appare chiaramente orientata nel senso che le norme approvate prima dell’entrata in vigore della riforma costituzionale – per il principio di continuità dell’ordinamento – non sono divenute incostituzionali a seguito del sopravvenire di questa[17].

Peraltro la disposizione in esame, con la seconda fattispecie, fa salva l’applicabilità delle norme (statali o regionali) adottate, al di fuori dei limiti di competenza sanciti dalla Costituzione, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo titolo V e fino all’entrata in vigore del testo di legge in esame. In virtù della prevalenza delle norme costituzionali sulle norme di legge, non sembra che tale disposizione possa comunque porre al riparo da giudizi di legittimità costituzionale eventuali disposizioni legislative intervenute in vigenza del nuovo assetto costituzionale delle competenze e in violazione del medesimo.

L’introduzione nel testo dell’inciso che fa salvi gli “effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale” sembra evidenziare che future sentenze della Corte costituzionale potranno ben dichiarare norme statali e regionali incostituzionali, senza che a ciò osti la statuizione della continuità di applicazione, sancita nel testo qui in esame.

Benché nulla il testo disponga espressamente, potrebbe dal suo tenore desumersi, a contrario, che il meccanismo della normazione statale “cedevole” nei confronti della successiva legislazione regionale non potrà essere adottato in futuro dallo Stato per legiferare su materie estranee alla propria competenza (lo stesso divieto vale, reciprocamente, per le Regioni).

Potestà legislativa concorrente e princìpi fondamentali

Per quanto attiene alla  individuazione dei princìpi fondamentali in materie di competenza concorrente, la legge “la Loggia”, sempre all’articolo 1, ha stabilito  che:

§         il legislatore regionale esercita la propria della potestà legislativa concorrente nell’ambito dei princìpi fondamentali “espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (comma 3): il testo riconosce dunque alle Regioni la possibilità di esercitare immediatamente la loro potestà legislativa concorrente, pur in assenza di leggi statali recanti i princìpi fondamentali, desumendosi tali princìpi dal complesso della legislazione statale vigente nelle relative materie. Tale scelta normativa riflette l’orientamento giurisprudenziale e legislativo consolidatosi in costanza del previgente art. 117 Cost., che appare confermato, all’indomani della riforma, dalla giurisprudenza costituzionale.

 

Successivamente alla riforma del Titolo V, infatti, la sentenza della Corte costituzionale n. 282/2002[18] ha affermato che, se “la nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie [di potestà concorrente] e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina”, “ciò non significa però che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”.

Quanto poi all’inciso “in difetto”, presente nella formulazione del comma 3 dell’articolo 1 in esame, esso potrebbe favorire un’interpretazione secondo la quale solo nell’ipotesi in cui non sia stata approvata una “legge cornice” in una delle materie di cui all’articolo 117, comma terzo della Costituzione, il legislatore regionale debba rinvenire i princìpi fondamentali “impliciti” nella legislazione di settore; e, per converso, quando vi sia una “legge cornice” il legislatore regionale dovrebbe avere a riferimento solo tale fonte e non potrebbe essere vincolato anche ad altri princìpi desumibili aliunde nella legislazione statale. Tale principio di esclusività a vantaggio della “legge cornice” (ove presente) sembrerebbe confermato anche dal successivo comma 4 (vedi infra), ove si prevede, tra i princìpi di delega, per l’appunto, quello dell’“esclusività”.

 

§         il Governo è delegato ad emanare, ai sensi dei commi 4-6 dell’articolo 1  - entro un termine attualmente individuato nell’11 giugno 2006[19] - uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la ricognizione dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni. Ciò avviene “in sede di prima applicazione, per orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali”.

 

La norma di delega è stata oggetto di esame da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 280 del 2004), la quale, puntualizzando la natura meramente ricognitiva della delega, si è pronunciata nel senso di una “lettura minimale” della stessa: si tratta “di un quadro ricognitivo di principi già esistenti, utilizzabile transitoriamente fino a quando il nuovo assetto delle competenze legislative regionali, determinato dal mutamento del Titolo V della Costituzione, andrà a regime”, cioè fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali. La Corte si è spinta ad affermare che “è soltanto un quadro di primo orientamento destinato ad agevolare – contribuendo al superamento di possibili dubbi interpretativi – il legislatore regionale nella fase di predisposizione delle proprie iniziative legislative, senza peraltro avere carattere vincolante e senza comunque costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali” [20].

 

La norma di delega ha previsto una complessa procedura per l’adozione dei decreti legislativi delegati[21]

 

La procedura si articola nei seguenti passaggi:

§         la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri;

§         il concerto con i ministri interessati;

§         un primo parere della Conferenza Stato-Regioni (per il quale non è posto alcun termine, a differenza di quanto previsto per le Camere);

§         un primo parere delle Camere (Commissioni parlamentari competenti per materia e Commissione parlamentare per le questioni regionali), da rendersi entro 60 giorni dall’assegnazione alle competenti Commissioni parlamentari;

§         il riesame da parte del Governo;

§         il parere definitivo della Conferenza Stato-Regioni, da rendersi entro 30 giorni dalla ritrasmissione del testo eventualmente modificato dal Governo o corredato delle sue osservazioni;

§         il parere definitivo delle Camere (espresso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali), da rendersi entro 60 giorni dalla ritrasmissione del testo.

La disposizione individua anche i parametri ai quali il parere parlamentare deve conformarsi: esso infatti dovrebbe rilevare la presenza di disposizioni che costituiscano princìpi fondamentali innovativi (e non meramente ricognitivi), ovvero che non costituiscano princìpi fondamentali (perché, ad esempio, norme di dettaglio)[22].

 

Quali princìpi di delega, il comma 4 indica i seguenti: esclusività[23]; adeguatezza[24]; chiarezza; proporzionalità[25]; omogeneità[26].

I criteri direttivi cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega sono elencati nelle lettere da a) ad e) del comma 6, e richiedono:

§         che il Governo, nella sua opera ricognitiva, proceda per settori organici della materia e utilizzi criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni attinenti alla materia stessa[27], in modo in modo da salvaguardare la potestà legislativa che la Costituzione riconosce alle Regioni in base al terzo comma dell’art. 117[28],

§         che abbiano considerazione prioritaria, ai fini dell’individuazione dei princìpi fondamentali, le disposizioni statali rilevanti per garantire l’unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria e la tutela dell’incolumità e della sicurezza pubblica[29]; quale ulteriore priorità, è richiesto il rispetto dei princìpi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti concessori o autorizzatori.

§         che abbia considerazione prioritaria il nuovo sistema di rapporti istituzionali derivante dagli articoli 114, 117 e 118 Cost.; tale criterio dà emersione, nell’opera di ricognizione dei princìpi fondamentali vigenti, alla c.d. “pari ordinazione” degli enti costitutivi della Repubblica (art. 114), nonché ai nuovi criteri di riparto delle competenze legislative ed amministrative, che si saldano con il principio di sussidiarietà (v. supra)

§         che abbiano, infine, “considerazione prioritaria” gli obiettivi generali assegnati alla legislazione regionale, in base al principio di pari opportunità espresso dal settimo comma dell’art. 117 Cost.[30], e dal primo comma dell’articolo 51 Cost[31].

§         il coordinamento formale delle disposizioni di principio e la loro eventuale semplificazione[32].

La delega in questione risulta allo stato esercitata solo con riguardo ad un ambito limitato di materie:

§         “professioni” (D.Lgs. 30/2006);

§         “armonizzazione dei bilanci pubblici” (D.Lgs. 170/2006);

§         “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (D.Lgs. 171/2006).

Risulta in corso di adozione il decreto legislativo concernente la materia “governo del territorio”.

Si ricordano infine due ulteriori deleghe legislative, recate dalla legge in esame:

§         la prima (articolo 2), avente ad oggetto l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., nonché l’adeguamento al nuovo Titolo V delle disposizioni vigenti in materia di enti locali, non ha trovato attuazione entro il termine per l’esercizio, fissato da ultimo al 31 dicembre 2005;

§         la seconda (articolo 3) per l’adozione - entro un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1 – di testi unici meramente compilativi delle disposizioni legislative vigenti non aventi carattere di principio fondamentale nelle materie di legislazione concorrente[33].

La potestà normativa degli enti locali

L’articolo 4 dà attuazione alle disposizioni costituzionali in materia di potestà normativa di comuni, province e città metropolitane recate negli articoli 114, comma secondo, e 117, comma sesto, della Costituzione.  In tali disposizioni:

§         i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono riconosciuti come enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione (art. 114, comma secondo);

§         si attribuisce la potestà regolamentare ai diversi enti territoriali secondo il seguente criterio di riparto (art. 117, comma sesto):

-       allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni;

-       alle Regioni in ogni altra materia;

-       a Comuni, Province e Città metropolitane, in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Anche nel caso dell’articolo in commento, come già per il precedente art. 1, non si rinviene nelle disposizioni costituzionali citate un rinvio ad una legge dello Stato per l’attuazione delle disposizioni stesse.

Il comma 1, che richiama l’assegnazione a Comuni, Province e Città metropolitane della potestà normativa secondo i princìpi fissati dalla Costituzione, specifica che tale potestà normativa consiste nella potestà statutaria e in quella regolamentare.

L’esercizio di tale potere normativo è esteso, anche alle forme associative tra gli enti locali, individuate specificamente nelle Unioni di comuni, Comunità montane e isolane (comma 5)[34].

Vengono poi individuati i limiti e il contenuto necessario dello statuto adottato dall’ente locale (o dalle forme associative tra enti locali) nell’esercizio della propria autonomia normativa (comma 2)[35].

Sotto il primo profilo, la disposizione precisa che lo Statuto deve essere adottato in armonia con la Costituzione[36], nonché in armonia con i princìpi generali in materia di organizzazione pubblica; nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione. Tale lett. p) affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

Il contenuto proprio dello statuto[37] comprende i seguenti oggetti:

§         i princìpi di organizzazione e di funzionamento dell’ente[38];

§         le forme di controllo, anche sostitutivo;

§         le garanzie delle minoranze;

§         le forme di partecipazione popolare.

Alla potestà regolamentare degli enti locali è rimessa la disciplina dell’organizzazione dell’ente, nel rispetto delle norme statutarie[39] (comma 3)[40]. Sembra essere pertanto confermata la compresenza, in materia di organizzazione e funzionamento dell’ente locale, dello statuto, che detta i princìpi in materia (in armonia con la Costituzione, e con i princìpi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto della legge statale di cui s’è detto), e dei regolamenti, i quali dettano la disciplina di dettaglio, nel rispetto delle norme statutarie.

Alla potestà regolamentare degli enti locali è altresì riservata la disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle proprie funzioni, nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità[41].

 

Tale competenza regolamentare è già direttamente contemplata dall’articolo 117, comma sesto, Cost. (richiamato dalla disposizione in esame accanto agli art. 114 e 118 Cost.), a norma del quale “I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”; rispetto a tale formulazione, il comma 4 in esame reca l’ulteriore ambito di competenza relativo alla “gestione” delle funzioni stesse.

Va inoltre sottolineato che la richiamata disposizione costituzionale, individuando uno specifico ambito di competenza regolamentare degli enti locali, se da un lato sembra confermare le indicazioni già esistenti a livello di legislazione ordinaria – a partire dalla legge n. 142/1990, fino al testo unico degli enti locali – dall’altro lato conferisce a tale sfera di competenza un’espressa garanzia costituzionale, come espressione del principio di autonomia di cui all’articolo 114, comma secondo, Cost.

Ciò sembra sancire una sorta di “riserva di regolamento” a favore degli enti locali, con la conseguenza che altre fonti dell’ordinamento non potrebbero regolare gli aspetti riservati a tale fonte senza configurare una violazione della competenza così stabilita.

 

Il principio di cedevolezza viene infine applicato agli ambiti di competenza normativa degli enti locali, in quanto l’articolo in esame (comma 6) dispone che, fino all’adozione dei regolamenti degli enti locali, si applicano le vigenti norme statali e regionali[42], fermo restando quanto previsto dal presente articolo. La dizione “norme” statali e regionali comprende sia quelle di rango primario, che quelle di rango secondario, ossia i regolamenti statali e regionali.

Partecipazione in materia comunitaria e attività internazionale delle Regioni

L’articolo 5 (comma 1) della L. 131/2003 reca disposizioni concernenti la partecipazione delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano alla formazione degli atti comunitari e dell’Unione europea (c.d. “fase ascendente”), in attuazione dell’articolo 117, quinto comma, della Costituzione[43].

L’articolo in esame non concerne l’attuazione da parte delle Regioni degli atti comunitari (c.d. “fase discendente”), che viceversa è oggetto della legge n. 11 del 2005, di riforma della legge c.d.”La Pergola”. Peraltro, tale riforma interviene anche sulla partecipazione degli enti territoriali alla fase ascendente, definendo in dettaglio tale partecipazione[44] (v. scheda La legge n. 11 del 2005).

L’articolo in esame precisa che Regioni e Governo “concorrono direttamente”, (formula che sembra ampliare il “partecipano” previsto dal testo costituzionale), anche se il concorso diretto si concretizza poi nella medesima partecipazione.

La partecipazione è, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio medesimo nonché della Commissione, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni. Sono previsti due limiti per le decisioni assunte in tale sede, vale  dire la garanzia dell’unitarietà della rappresentanza e della designazione del Capo delegazione, rappresentante unitario, da parte del Governo. Un ulteriore limite attiene alla particolarità delle Autonomie speciali: nelle delegazioni del governo deve essere presente almeno un rappresentante di tali autonomie.

Per le materie spettanti alla competenza “residuale” delle Regioni ex art. 117, quarto comma Cost., si prevede una particolare procedura per la designazione del Capo delegazione, che prevede un accordo generale di cooperazione tra Stato e Regioni, stipulato in sede di Conferenza Stato-Regioni. “In attesa o in mancanza dell’accordo”, il Capo delegazione è designato dal Governo[45].

Il comma 2 dell’articolo 5 prevede poi che nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni o delle Province autonome. Mentre in tal caso si configura quindi una mera facoltà, il Governo è invece tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.

 

Il comma è riferibile alla procedura del ricorso per annullamento di atti di istituzioni comunitarie diversi dai pareri, prevista nell’articolo 173 del Trattato istitutivo delle comunità europee, divenuto l’articolo 230 del testo consolidato[46].

Con riguardo all’ambito applicativo, si osserva che l’articolo fa riferimento alle “materie di competenza legislativa (delle Regioni), mentre il testo costituzionale (art. 117, quinto comma) si riferisce semplicemente alle “materie di competenza” (dizione che appare indicare un ambito più ampio).

 

La stessa formulazione “materie di [loro] competenza legislativa” è utilizzata anche dall’articolo 6, relativo all’attuazione dell’art. 117, quinto e nono comma[47], in materia di accordi internazionali. Tale articolo autorizza infatti le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano[48]:

§         appunto, nelle materie di propria competenza legislativa (v. supra), a provvedere direttamente all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali ratificati[49], dandone preventiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, i quali, nei successivi trenta giorni dal relativo ricevimento, possono formulare criteri e osservazioni (comma 1, che si ricollega all’art. 117, primo comma Cost.);

§         a concludere, con enti territoriali interni ad altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale, dandone comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali ed al Ministero degli affari esteri, ai fini delle eventuali osservazioni di questi ultimi e dei Ministeri competenti, da far pervenire entro i successivi trenta giorni. Decorso  tale termine, le Regioni e le Province autonome possono sottoscrivere l’intesa. Si esclude espressamente che, con gli atti relativi alle attività sopra indicate, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possano esprimere valutazioni relative alla politica estera dello Stato, ovvero che possano assumere impegni dai quali derivino obblighi od oneri finanziari per lo Stato o che ledano gli interessi degli altri soggetti “costitutivi” della Repubblica ex art. 114, primo comma Cost. (comma 2, che si ricollega all’art. 117, nono comma Cost.);

§         a concludere con altri Stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale[50]. Anche in tal caso è previsto un meccanismo per garantire la preventiva, tempestiva comunicazione al Ministero degli affari esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri, anche per consentire al Ministero degli affari esteri di indicare principi e criteri da seguire nella conduzione dei negoziati[51] (comma 3, che si ricollega all’art. 117, nono comma Cost.).

Ulteriori disposizioni prevedono l’intervento del Ministro degli affari esteri per garantire – tramite un’interazione con la Regione o Provincia autonoma interessata – che siano considerate questioni di opportunità derivanti dalle scelte e dagli indirizzi di politica estera dello Stato. In caso di dissenso può chiedere che la questione sia rimessa al Consiglio dei ministri che, con l’intervento del Presidente della Giunta regionale o provinciale interessato, delibera sulla questione.

Per i casi di inadempienza (comma 1) o di violazione degli accordi (comma 3), ferma restando la responsabilità delle Regioni verso lo Stato, si applicano le disposizioni relative ai poteri sostitutivi (di cui all’articolo 8, commi 1, 4 e 5) in quanto compatibili.

Con riguardo alle Regioni a statuto speciale, si ricorda che anche il successivo articolo 11 (vedi infra) dispone, al comma 3, in materia di rapporti internazionali e comunitari di tali Regioni (e delle province autonome), prevedendo che le norme di attuazione dei rispettivi statuti possano recare disposizioni specifiche per la disciplina delle attività regionali.

Norme per l’esercizio di funzioni amministrative

L’articolo 7 della L. 131/2003, intervenendo in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione (v. supra), prevede che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, debbono provvedere a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (comma 1).

In correlazione con il disposto costituzionale che attribuisce tali funzioni in via generale ai Comuni, l’articolo stabilisce che sono attribuite agli enti posti a livello territorialmente superiore (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto) quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio (sostanzialmente ribadendo la formulazione dell’art. 118, primo comma Cost.).

La disposizione non si limita a riconfermare il dato costituzionale, ma sembra specificarlo, allorché richiama, ai fini della valutazione sulle esigenze di unitarietà di esercizio, motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero motivi funzionali o economici o esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale.

Si stabilisce esplicitamente che debbano essere rispettate, anche ai fini dell’assegnazione di ulteriori funzioni, le attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi.

Inoltre Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane sono tenute a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (c.d. “orizzontale”).

Una norma di chiusura afferma che tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

 

Con riguardo ai principi espressamente indicati dall’art. 118, comma 1, primo periodo, riprodotti nella disposizione di legge qui in esame[52], si ricorda che:

§         il principio di sussidiarietà: in base ad esso la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita “ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati” [53]. In tale definizione si ritrovano le due articolazioni del principio di sussidiarietà: il principio di sussidiarietà verticale, in virtù del quale l’esercizio delle funzioni e dei servizi deve essere dislocato ad un livello di governo più vicino ai cittadini utenti, restando la possibilità di intervento dei livelli superiori di governo limitata ai casi di esercizio a livello unitario; il principio di sussidiarietà orizzontale, in base al quale sono demandate a soggetti pubblici solo ciò che non può essere utilmente svolto dai soggetti privati;

§         il principio di differenziazione: concerne l’allocazione delle funzioni  che deve avvenire “in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi”[54];

§         il principio di adeguatezza: l’amministrazione destinataria del conferimento di funzioni amministrative deve essere idonea, sotto il profilo organizzativo, “a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni”[55].

 

Successive disposizioni stabiliscono, per le finalità poc’anzi enunciate, e comunque, ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse:

§         la stipula di accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire;

§         la presentazione al Parlamento, da parte del Governo[56], uno o più disegni di legge collegati, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi[57]. Nel corso della XIV legislatura non sono stati peraltro presentati disegni di legge di tale genere;

§         una disciplina transitoria, che consente, sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell’approvazione dei disegni di legge citati, di avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa[58], presentando uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che tengano conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità, nonché delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come approvato dalle risoluzioni parlamentari. Sugli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, deve essere acquisito il parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall’assegnazione[59]. Anche con riferimento a questi atti, si fa presente che nel corso della XIV legislatura la disposizione non ha avuto concreta applicazione;

§         un’articolata disciplina delle funzioni della Corte dei conti, a fini di coordinamento della finanza pubblica: in particolare, la Corte è tenuta a verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti territoriali[60], nonché (tramite le sezioni regionali di controllo) il rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni[61]. Le Regioni[62] possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Disposizioni ulteriori riguardano la possibilità di integrare le medesime sezioni regionali di controllo con due componenti di designazione regionale, nonché i requisiti e lo status di tali componenti[63].

Per ulteriori elementi in materia di trasferimento delle risorse alle Regioni e agli enti locali, si rinvia ai capitoli Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale e Verso il federalismo fiscale).

I poteri sostitutivi

L’articolo 8 della L. 131/2003 detta norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione (v. supra), il quale richiede espressamente l’adozione di una legge dello Stato che individui le procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi.

Va ricordato che la disciplina dei poteri sostitutivi nel contesto del novellato titolo V Cost. si accompagna all’abrogazione delle disposizioni costituzionali che prevedono forme di controllo preventivo sugli atti legislativi e amministrativi delle Regioni e sugli atti dei comuni[64].

Il testo in esame non precisa il contenuto specifico dei presupposti che condizionano l’esercizio concreto dei poteri sostitutivi del Governo, limitandosi  a far riferimento ai casi ed alle finalità previsti dall’articolo 120 della Costituzione.

Dalla lettera dell’articolo 120, secondo comma della Costituzione, potrebbero ricondursi alla categoria dei “casi” le ipotesi di:

§      mancato rispetto di norme e trattati internazionali;

§      mancato rispetto della normativa comunitaria;

§      pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica.

Le altre ipotesi delineate dal medesimo comma secondo potrebbero, invece, inquadrarsi nel criterio teleologico delle “finalità”: il potere sostitutivo può, infatti, essere esercitato “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Il comma 1 dell’articolo 8 delinea un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.

La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti” dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa[65].

Viene individuata una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sul cui tronco si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate[66].

Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei Ministri, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario[67] [68]. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento

Si tenga presente che il successivo articolo 10 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale[69].

Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

Per quanto riguarda il potere sostitutivo in materia comunitaria, l’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.

La particolarità della disciplina specifica di cui al comma 2[70] attiene alla fase della proposta: si specifica, infatti, che nei casi in cui si renda necessario esercitare il potere sostitutivo al fine di porre rimedio ad una violazione della normativa comunitaria, il potere di proposta spetti al Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, unitamente al Ministro competente per materia.

È stato conseguentemente abrogato l’articolo 11 della L. 86/1989 (c.d. “legge La Pergola”)[71], che dettava la disciplina vigente in tema di procedure per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei casi di inadempimenti agli obblighi comunitari da parte di Regioni e province autonome.

Peraltro, è stata successivamente approvata la legge n. 11 del 2005, di riforma della “legge La Pergola”, la quale dispone anche, in attuazione all’art. 117, quinto comma Cost. (v. supra), sotto il profilo della disciplina delle modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempimento degli obblighi comunitari[72]. Sul punto, v. scheda La legge n. 11 del 2005.

La legge “La Loggia” prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (Comuni, province o Città metropolitane)[73].

In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione[74] e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

 L’articolo 8 prevede poi  una  “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998[75]: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.

 

Il comma 4 dell’articolo 8 in esame non fa alcun riferimento alla natura dei provvedimenti in questione e – quindi – trattandosi di provvedimenti adottati dal Consiglio dei ministri potrebbe trattarsi anche di decreti-legge. Tuttavia, la previsione secondo cui la Conferenza Stato-Regioni (o quella Stato-città) può chiedere il riesame dei provvedimenti stessi dovrebbe far propendere per un’interpretazione che individui la natura amministrativa o - al più - regolamentare dei “provvedimenti sostitutivi d’urgenza” qui disciplinati: altrimenti la possibilità di “riesame” da parte del Governo del provvedimento emanato non apparirebbe compatibile con l’istituto del decreto-legge e la sua conversione in legge come delineati dalla Costituzione. Va poi osservato che il comma 4 configura regole procedurali ridotte, rispetto a quelle recate dal comma 1: il “peso” del principio di “leale collaborazione”, richiesto dall’art. 120 della Costituzione, appare infatti minore[76].

Si segnala che il medesimo articolo 8 (comma 5) impone, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi, il criterio della proporzionalità degli stessi in rapporto alle finalità perseguite. Si ricorda che il criterio della proporzionalità è stato già individuato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di poteri sostitutivi statali[77].

Infine, l’articolo 8 (comma 6) stabilisce che il Governo possa promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire:

§         l’armonizzazione delle rispettive legislazioni[78];

§         il raggiungimento di posizioni unitarie;

§         il conseguimento di obiettivi comuni.

 

Nei casi in cui il Governo promuova tali intese, per il loro raggiungimento non si applicano – per espressa esclusione della disposizione in esame – i commi 3 e 4 dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i quali individuano due meccanismi che consentono al Governo, quando non sia stato possibile giungere ad un’intesa in sede di Conferenza, di provvedere comunque[79].

L’esclusione dell’applicazione di queste due specifiche disposizioni dell’articolo 3 del d.lgs. n. 281/97 da un lato sembra indicare come necessario il positivo conseguimento di un’intesa, dall’altro riconduce le intese di cui qui si tratta nell’alveo della procedura delineata, appunto dal citato articolo 3, richiedendo, quindi, che esse si perfezionino “con l’espressione dell’assenso del Governo e dei presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano” (articolo 3, comma 2, D.Lgs. 281).

 

Da ultimo, l’articolo 8 (sempre comma 6) esclude espressamente che nelle materie per le quali si configura una competenza legislativa regionale, sia concorrente che residuale (art. 117, terzo e quarto comma), lo Stato possa adottare gli atti di indirizzo e di coordinamento[80].

 

La formulazione utilizzata potrebbe indurre a ritenere che invece nelle altre materie, ossia in quelle di legislazione esclusiva dello Stato (di cui al secondo comma dell’articolo 117) essi possano essere adottati. La disposizione svolgerebbe, inoltre, se interpretata in questo senso, la funzione di fornire la “copertura legislativa” che la costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha richiesto – nel vigore del testo costituzionale precedente la riforma del 2001 – per escludere che atti governativi di indirizzo e coordinamento di natura non legislativa configurassero conflitti di attribuzione.

Peraltro, va ricordato sono state da più parti sollevate perplessità[81] sulla permanenza, nel nuovo assetto costituzionale delineato dalla riforma del Titolo V, di un generale potere di indirizzo e coordinamento dello Stato (fatti salvi i casi specificamente previsti dall’art. 118, comma terzo), in particolare essendo venuto meno l’espresso riferimento all’interesse nazionale, del quale il potere di indirizzo e coordinamento rappresentava (secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale) il “risvolto positivo”[82].

La Corte costituzionale ha avviato un indirizzo giurisprudenziale che sembra consentire allo Stato, in relazione alle materie rientranti, a titolo sia residuale che concorrente, nella competenza regionale, soltanto l’adozione di atti di mero coordinamento tecnico[83].

La recente giurisprudenza costituzionale esclude poi la possibilità per lo Stato di adottare regolamenti quali atti di indirizzo e coordinamento, in particolare in forza del combinato disposto dei “nuovi” artt. 117 e 118 Cost.[84]

I ricorsi alla Corte costituzionale

L’articolo 9 della L. 131/2003 apporta alcune modifiche alla procedura dei giudizi di legittimità costituzionale[85], al fine di adeguarla al nuovo testo degli articoli 123, secondo comma (come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 1999) e 127 della Costituzione (modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001). Le modifiche riguardano principalmente:

§         la promozione della questione di legittimità costituzionale nei confronti degli statuti regionali, che prima della legge n. 1 del 1999 non era prevista in quanto gli statuti erano approvati con legge statale (comma 1): la questione può, a norma del secondo comma dell’articolo 123 della Costituzione, essere promossa entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione.

§         la promozione della questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali successivamente alla loro pubblicazione, dal momento che è venuto meno il controllo preventivo del Governo dopo la modifica dell’articolo 127 Cost. (comma 1); il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale della legge regionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione. La questione di legittimità costituzionale è sollevata, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, anche su proposta della Conferenza Stato-Città e autonomie locali, dal Presidente del Consiglio dei ministri mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e notificato, entro i termini previsti dal medesimo articolo, al Presidente della Giunta regionale.

§         la questione di legittimità costituzionale delle leggi statali, che può essere promossa dal Presidente della Giunta regionale, previa deliberazione della stessa Giunta ed anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali, organismo da istituirsi in ogni Regione ai sensi del comma 3 dell’art. 123 Cost. (comma 2); il ricorso è diretto alla Corte costituzionale e notificato al Presidente del Consiglio dei ministri (anche in questo caso, entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto impugnati);

§         la promozione della questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali da parte di un’altra Regione, disciplinata dall’articolo 33 della legge n. 87 del 1953: viene eliminato il riferimento alla legge costituzionale n. 1 del 1948 e sostituito da quello all’articolo 127 della Costituzione (comma 3);

§         l’indicazione di un termine di novanta giorni per la fissazione da parte della Corte costituzionale dell’udienza di discussione dei ricorsi di legittimità costituzionale, e la previsione di termini abbreviati qualora la Corte ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini[86]  (comma 4);

§         l’obbligo, da parte delle Regioni, di assicurare la pronta reperibilità degli atti contenenti la pubblicazione degli statuti e delle leggi regionali (comma 5);

§         la regolazione della trattazione dei ricorsi per conflitto di attribuzioni proposti prima della data di entrata in vigore (8 novembre 2001) della legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001 (comma 6)[87].

Il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie

L’articolo 10 della legge “La Loggia” prevede che, in ogni Regione a statuto ordinario, il prefetto preposto all’ufficio territoriale del Governo avente sede nel capoluogo della Regione svolga le funzioni di rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie[88], sostanzialmente attribuendogli le funzioni già esercitate dal Commissario del Governo (con l’eccezione di quelle soppresse con la riforma del titolo V della Costituzione[89]).

Il nuovo titolo V non richiede peraltro espressamente un intervento del legislatore ordinario in materia, in quanto si limita a non prevedere più né la figura del Commissario del Governo né le funzioni a questi attribuite[90]; è stato  peraltro ritenuto necessario un adeguamento della legislazione ordinaria alle modifiche costituzionali intervenute sul punto[91].

L’articolo, nel disciplinare la figura del Rappresentante dello Stato, reca anche disposizioni di attuazione parziale di alcune disposizioni del Titolo V[92].

Infatti, al Rappresentante dello Stato (prefetto) competono in particolare attività volte ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione ed il raccordo tra le istituzioni dello Stato presenti sul territorio, la promozione dell’attuazione di intese e del coordinamento nelle materie di cui all’art. 118, terzo comma[93], l’esecuzione di provvedimenti adottati dal Consiglio dei Ministri nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione,  nonché un insieme di attività volte alla raccolta di dati ed alla tempestiva informazione degli organi statali di volta in volta competenti, in specie per le finalità di cui agli articoli 123 e 127 della Costituzione (ricorso del Governo avverso statuti e leggi regionali)[94].

Nell’esercizio delle sue funzioni il rappresentante dello Stato si avvale a tale fine delle strutture e del personale dell’ufficio territoriale del Governo.

Applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale

A parte alcune disposizioni ad hoc, presenti nei precedenti articoli della legge, l’articolo 11 della L. 131/2003 dispone in via generale sull’applicazione della riforma alle Regioni a  statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione dell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale così dispone: “Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

In primo luogo, l’articolo 11 (comma 1) conferma, per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, che restano ferme le disposizioni previste dai rispettivi statuti speciali, dalle norme di attuazione degli statuti, dall’articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001, limitandosi sostanzialmente a rinviare ad altre norme.

Si prevede poi che le Commissioni paritetiche previste dagli statuti delle Regioni a statuto speciale possano proporre l’adozione delle norme di attuazione occorrenti all’esercizio delle ulteriori funzioni amministrative[95], in relazione alle ulteriori materie spettanti alla competenza legislativa di tali Regioni e province autonome, in forza del richiamato articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Le norme proposte possono riguardare anche la disciplina delle attività di competenza regionale in materia di rapporti internazionali e comunitari (comma 3 – v. supra art. 5)

 

Relativamente alle ulteriori materie spettanti alle competenze legislative delle Regioni a statuto speciale, si deve fare riferimento, come s’è detto, all’articolo 10 della stessa legge costituzionale n. 3 del 2001, che delimita l’applicabilità della riforma in relazione alle parti che prevedono “forme più ampie di autonomia”.

Come da più parti è stato riconosciuto, il problema dell’identificazione delle materie “ulteriori” sulle quali si possa esplicare la potestà legislativa delle Regioni differenziate non è di facile soluzione. Da un lato, l’estensione pura e semplice alle cinque Regioni speciali del riparto effettuato dal nuovo articolo 117 (alcune materie di spettanza statale, altre a legislazione concorrente Stato - Regioni, le residuali alle Regioni) non sembra compatibile con il regime speciale. D’altra parte il nuovo sistema di riparto risponde ad una logica assai diversa da quella sottesa alla formulazione degli statuti speciali, ognuno dei quali contiene un elenco di materie sulle quali le rispettive Regioni possono esercitare una potestà legislativa esclusiva, elenchi più o meno ampi di quello recato dall’articolo 117 nella formulazione originaria, valido per le Regioni a statuto ordinario.

La giurisprudenza costituzionale pare conservare un orientamento sostanzialmente prudente, che sembra rifiutare un’interpretazione estensiva dell’art. 10 della L.Cost. 3/2001, con i conseguenti rischi di “demolizione” degli statuti speciali, e quindi di incertezza circa l’estensione dell’autonomia legislativa delle Regioni stesse.

Particolarmente significativa appare la sent. 213/2003 nella quale era stata impugnata una legge della Provincia di Bolzano per violazione dell’art. 117 Cost.: la Corte critica il fatto che il ricorso governativo non chiariva in alcun modo perché non dovesse considerarsi applicabile lo Statuto speciale del Trentino Alto-Adige (stante il fatto che la violazione dell’art. 117 Cost. avrebbe dovuto essere dimostrata in forza dell’art. 10, L.Cost. 3/2001, ciò che nella specie non era avvenuto)[96].

Nella sent. 314/2003 si legge poi testualmente che “l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 configura un particolare rapporto tra norme degli Statuti speciali e norme del Titolo V della seconda parte della Costituzione, un rapporto di preferenza, nel momento della loro ‘applicazione’, in favore delle disposizioni costituzionali che prevedono forme di autonomia ‘più ampie’ di quelle risultanti dalle disposizioni statutarie. Condizione, dunque, dell’operatività di tale rapporto tra fonti è che il loro contenuto, con riferimento all’autonomia prevista, si presti a essere valutato comparativamente, secondo una scala omogenea di grandezze”.

Per quanto attiene all’individuazione dei limiti della potestà legislativa, nella sent. 274/2003, che chiarisce anche la portata di precedenti pronunce, la Corte ha affermato che, in forza dell’art. 10 della L.Cost. 3/2001, il limite delle “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” di cui all’art. 3 dello Statuto sardo non si può ritenere più applicabile alla potestà esclusiva della Regione. Diversamente, infatti, “se […] il vincolo di quel limite permanesse pur nel nuovo assetto costituzionale, la potestà legislativa esclusiva delle Regioni (e Province autonome) sarebbe irragionevolmente ristretta entro confini più angusti di quelli che oggi incontra la potestà legislativa ‘residuale’ delle Regioni ordinarie”, dato che per quest’ultima “valgono soltanto i limiti di cui al primo comma dello stesso articolo (e, se del caso, quelli indirettamente derivanti dall’esercizio da parte dello Stato della potestà esclusiva in “materie” suscettibili, per la loro configurazione, di interferire su quelle in esame) “.

Sempre in forza dell’art. 10 della L.Cost. 3/2001, la Corte ha chiarito che per tutte le competenze legislative delle Regioni ad autonomia particolare che trovino un fondamento nello Statuto speciale il parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative conserva la sua validità, mentre, per quelle riconosciute a tali Regioni in forza dello stesso art. 10, il trasferimento delle funzioni ha luogo, ex art. 11 della L. 131/2003, attraverso modalità previste dalle norme di attuazione e con l’indefettibile partecipazione della Commissione paritetica (sent. 236/2004). Viceversa, la stessa sentenza ha chiarito che la disciplina del potere sostitutivo dello Stato di cui all’art. 120 Cost. trova applicazione anche alle Regioni ad autonomia particolare ma solo dopo che le norme di attuazione degli Statuti speciali abbiano provveduto a trasferire alle stesse le ulteriori funzioni “attratte” in forza del nuovo Titolo V.

Attuazione nelle procedure parlamentari

Sul piano della procedura parlamentare, le due Camere hanno da subito affrontato l’esigenza di dare immediata attuazione al nuovo disposto costituzionale verificando in itinere la “base” costituzionale di tutti i progetti di legge al proprio esame. La Giunta per il regolamento della Camera ha affidato tale compito alla Commissione affari costituzionali, nell’esercizio della sua funzione consultiva che ha esteso, in via sperimentale, anche agli emendamenti presentati in Assemblea; analogo orientamento ha assunto la Giunta per il regolamento del Senato.

Non ha invece trovato attuazione – malgrado l’attività istruttoria svolta in tale direzione su iniziativa delle Giunte per il Regolamento delle due Camere – l’art. 11 della legge costituzionale di riforma, che avrebbe consentito l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie regionali e locali e l’attribuzione a tale Commissione del potere di incidere significativamente, con i propri pareri, sull’iter di approvazione delle leggi statali riguardanti le materie di competenza legislativa concorrente e l’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali.



[1]     Sono testualmente individuati, quali enti costitutivi della Repubblica: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. L’ordine con il quale gli enti costitutivi sono richiamati dalla disposizione costituzionale – partendo dai comuni per arrivare sino allo Stato – dichiaratamen-te si propone di valorizzare gli enti più vicini al cittadino, in coerenza con il principio di sussidiarietà (inteso in senso “verticale”), enunciato dall’art. 118, co. 1°, come modificato dalla stessa L.Cost. 3/2001.

[2]     Peraltro, una certa attenuazione – almeno quanto agli effetti – del pieno superamento di tale principio sembra desumersi dalla concreta applicazione della riforma, nonché da una certa  giurisprudenza costituzionale (v. in part. il filone originato dalla sent. 303/2003; per approfondimenti sul punto, v. scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale).

[3]     Tale parallelismo era già stato di fatto superato dalla L. 59/1997, che aveva previsto un ampio deferimento di funzioni amministrative alle Regioni e agli enti locali anche nelle competenze riservate alla potestà legislativa dello Stato. La legge aveva anche stabilito quali princìpi fondamentali per il deferimento di funzioni gli stessi princìpi recepiti dall’articolo in esame: sussidiarietà (si tratta della c.d. “sussidiarietà verticale” che impone l’esercizio delle funzioni amministrative, ove possibile, da parte dell’ente più vicino ai cittadini); adeguatezza; differenziazione.

[4]     Si ricorda in proposito che il co. 2° dell’art. 117 attribuisce (lett. p)) alla legge statale la competenza esclusiva in materia, fra l’altro, di disciplina delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

[5]     Infine, l’ultimo comma dell’art. 119, oltre a limitare la facoltà di indebitamento degli enti territoriali esclusivamente al finanziamento delle spese di investimento, comunque escludendo garanzie da parte dello Stato per i prestiti contratti, rimette ad una legge dello Stato l’individuazione dei princìpi generali di attribuzione del patrimonio dei comuni, delle province e delle città metropolitane, oltre che delle Regioni. Ulteriori novità derivano poi dal riparto di competenze legislative di cui all’art. 117 Cost., in specie dalla collocazione del “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” tra le materie riservata alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni (co. 3°).

[6]     Nell’art. 127 è stato soppresso infatti l’istituto del visto governativo sulle deliberazioni legislative della Regione, mentre l’art. 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001 ha abrogato il primo comma dell’art. 125 Cost., in materia di controllo di legittimità e di merito degli atti della Regione da parte di organi statali, e l’art. 130 Cost., che prevedeva il controllo sugli atti dei comuni da parte di organi della Regione.

[7]     Attualmente il ricorso dello Stato è possibile avverso la “legge regionale” in quanto tale, definitivamente approvata, mentre il testo costituzionale previgente contemplava il ricorso in via preventiva alla Corte costituzionale avverso le “deliberazioni regionali” (impedendo la promulgazione e, dunque, l’entrata in vigore della legge regionale). In base alla formulazione del nuovo art. 127, resta peraltro una differenza riguardo alle ragioni che possono legittimare il  ricorso (in quanto il Governo può ricorrere “qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione” , mentre la Regione può ricorrere quando “ritenga che una legge […] dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza”, accezione considerata più restrittiva anche dalla più recente giurisprudenza costituzionale).

[8]     A parte i limiti, già noti, alla potestà legislativa e amministrativa delle Regioni a tutela della libertà di movimento dei cittadini e delle cose nel territorio nazionale.

[9]     Si ricorda che tale nuova disciplina dei poteri sostituitivi dettata dall’art. 120 va integrata con il disposto dell’art. 126 Cost., come modificato dall’art. 4 della LCost. 1/1999, relativo ai casi di scioglimento del consiglio regionale e di rimozione del presidente della Regione. Tale disciplina prevede che, con decreto motivato del Presidente della Repubblica, abbiano luogo lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del presidente della Regione che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono essere disposti anche per ragioni di sicurezza nazionale. I relativi decreti devono essere adottati sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali.

[10]    L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[11]    Ulteriori disposizioni in materia sono state introdotte dalla L. 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, sulla quale v. capitolo La legge n. 11 del 2005.

[12]    Il primo comma del quale recita: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

[13]    Il quale recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

[14]    Il testo originario recava la dizione “appartenenza dell’Italia all’Unione europea e alle Comunità europee”. La riformulazione dell’inciso, operata dal Senato in sede referente, riproduce il disposto costituzionale ed appare quindi meramente ricognitiva.

[15]    In una formulazione antecedente a quella definitivamente approvata, si faceva riferimento ai soli trattati internazionali “ratificati a seguito di legge di autorizzazione”. Tale formulazione, che appariva basata su una lettura sistematica del testo costituzionale, escludeva che costituissero vincolo alla funzione legislativa gli obblighi derivanti da atti internazionali definiti senza intervento del Parlamento (quelli derivanti da accordi conclusi dal Governo in forma semplificata). Si ricorda che, ai sensi dell’art. 80 Cost., “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”.

[16]    Quanto a quella statale, è ben noto che una legge ordinaria posteriore può derogare alla precedente.

[17]    La Corte ha chiarito in più occasioni il punto (sentenze nn. 376, 422 e 524 del 2002). In particolare:

§          l’incidenza di nuove norme costituzionali, in termini di modifiche delle competenze rispettive di Stato e Regione, è suscettibile di tradursi solo in nuove e diverse possibilità di intervento legislativo della Regione o dello Stato, senza che però venga meno, in forza del principio di continuità, l’efficacia della normativa preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all’epoca della sua emanazione (sent. 376/2002, in riferimento alla sent. 13/1974);

§       il rinnovato assetto delle competenze legislative può essere fatto valere dallo Stato e dalle Regioni tramite nuovi atti di esercizio delle medesime, attraverso i quali essi possono prendere ciò che la Costituzione dà loro, senza necessità di rimuovere previamente alcun impedimento normativo. Perciò, le norme che definiscono le competenze legislative statali e regionali contenute nel nuovo titolo V potranno, di norma, trovare applicazione nel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato contro leggi regionali e dalle Regioni contro leggi statali soltanto in riferimento ad atti di esercizio delle rispettive potestà legislative, successivi alla loro nuova definizione costituzionale (sent. 422/2002).

[18]    Cui hanno fatto seguito altre pronunce nello stesso senso.

[19]    Il termine, originariamente fissato in un anno dall’entrata in vigore della legge, è stato modificato da successivi interventi legislativi (in primo luogo,  dalla L. 140/2004, di conversione del D.L. 80/2004 recante disposizioni urgenti in materia di enti locali), divenendo di tre anni (scade dunque l’11 giugno 2006).

[20]    sulla questione specifica sottoposta a giudizio, la Corte ha affermato che:

§       l’ampia delega di cui all’art. 1, commi 4, 5, 6, della L. 131/2003 (in materia di ricognizione dei princìpi fondamentali in tutte le materie di legislazione concorrente) ha carattere non innovativo rispetto al sistema legislativo previgente, tale, quindi, da giustificare una lettura “minimale” di essa; spetta infatti al Parlamento la definizione di nuovi princìpi ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. ;

§          la delega legislativa in questione ha quindi carattere meramente “transitorio”, mirando alla predisposizione di un quadro ricognitivo di princìpi già esistenti, destinata a valere solo fino all’entrata in vigore delle nuove “leggi cornice”;

§          è quindi incostituzionale il comma 5 dello stesso art. 1, in quanto consente al Governo l’esercizio di un’attività delegata riguardo all’individuazione delle disposizioni interferenti con materie di legislazione concorrente che ricadono però principalmente nella competenza esclusiva dello Stato, carente di princìpi e criteri direttivi specifici;

§          è altresì incostituzionale anche il successivo comma 6 laddove, nell’indicare i princìpi e criteri della delega in questione, si riferisce ai “settori organici della materia” nonché ai criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni e da quelle “affini, presupposte, strumentali e complementari”.

[21]    Procedura aggravata rispetto a quella delineata, in via generale, dall’art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400. 

[22]    I rilievi della Commissione parlamentare per le questioni regionali producono uno specifico effetto procedurale sull’attività successiva del Governo nelle sue vesti di legislatore delegato, conducendolo a dover optare tra le seguenti alternative:

§       espungere dal testo definitivo le disposizioni costituenti nuovi princìpi o non costituenti principio;

§       modificarle secondo le indicazioni della Commissione;

§       conservare ugualmente le disposizioni oggetto del rilievo, ma trasmettendo ai Presidenti delle Camere una relazione che motivi la difformità rispetto al parere parlamentare.

[23]    Il principio in questione potrebbe riallacciarsi alla previsione di cui al comma 3 (vedi supra): potrebbe cioè essere inteso nel senso che le disposizioni dei decreti legislativi si pongono, in forza del principio in commento, come unica fonte individuante i princìpi (tutti i princìpi) della materia, escludendo che altre disposizioni a natura potenzialmente generale o di principio possano essere considerati princìpi fondamentali ex articolo 117, terzo comma, Cost.

[24]    Il principio di adeguatezza ricorre in alcune disposizioni di legge, principalmente a presidio del conferimento di funzioni amministrative (si veda ad es. l’art. 4 della L. 59/1997 , l’art. 31 del D.Lgs. 112/1998 e da ultimo, anche l’art. 118, primo comma, Cost.) ed è volto a ponderare l’idoneità delle amministrazioni come parametro per il trasferimento di funzioni, nel senso di prevederlo solo ove vi siano le condizioni per il loro concreto esercizio. Il significato del principio in questa sede potrebbe essere inteso quale mirante all’individuazione di quelle sole disposizioni di legge che presentino requisiti idonei a qualificarle “princìpi fondamentali”;

[25]    Si tratta di un principio già utilizzato dalla legislazione vigente, la cui portata non è meglio precisata dal testo in esame

[26]    La L. 59/1997 ha previsto il principio di omogeneità sia per il decentramento delle funzioni (art. 4), per il quale opera nel senso che il conferimento deve tenere conto delle funzioni già esercitate, con la conseguente attribuzione di funzioni e compiti omogenei allo stesso livello di governo, sia per il riordino delle amministrazioni centrali dello Stato (articolo 12, comma 1, lett. g)), per il quale opera in merito alla scelta di modello organizzativo (direzioni generali o struttura dipartimentale). Nella delega in esame il principio potrebbe essere inteso nel senso che i criteri in base ai quali il Governo individua i princìpi fondamentali nell’ambito delle singole discipline di settore siano applicati in modo omogeneo, individuando così disposizioni di pari “livello”.

[27]    Il criterio ricalca, solo in parte, ed in un contesto tutt’affatto differente, quello recato dall’art. 3, primo comma, lett. a), della legge delega 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica Amministrazione), la quale – nel momento di primo avvio delle Regioni a statuto ordinario – prevedeva il trasferimento delle funzioni amministrative.

[28]    Dal dibattito parlamentare si evince che si intendeva in tal modo prescrivere che le disposizioni di principio desunte dalla legislazione vigente debbano avere un contenuto normativo tale da postulare anche l’intervento legislativo delle Regioni. Si ricorda in proposito che in passato la giurisprudenza della Corte costituzionale, per discernere se una determinata norma costituisse o meno principio fondamentale di una materia a legislazione concorrente, ha fatto spesso leva sul criterio che la disposizione in questione richiedesse disposizioni di dettaglio e non fosse – “autoapplicativa”, tradendo, in quest’ultimo caso, la sua natura sostanzialmente di dettaglio.

[29]    Il criterio enunciato si riallaccia in maniera quasi testuale al contenuto dell’art. 120, secondo comma, Cost., il quale disciplina il potere sostitutivo statale (v. infra)

[30]    A norma del quale: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

[31]    Il quale, enunciato il principio della parità di accesso agli uffici ed alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, nella sua formulazione più recente statuisce espressamente che “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

      Il criterio direttivo sopra indicato potrebbe essere inteso nel senso che il legislatore delegato debba individuare, tra i princìpi fondamentali della legislazione statale vigente, quelli che non si pongano in contrasto con le finalità ora richiamate, che le Regioni sono tenute a perseguire per espressa previsione costituzionale. 

[32]    Tale criterio sembra esprimere il carattere ricognitivo della delega conferita (sottolineato, come s’è detto, anche dalla corte costituzionale).

[33]    La disposizione stessa precisa che i d.lgs. possono apportare le sole modifiche, di carattere esclusivamente formale, necessarie ad assicurarne il coordinamento nonché la coerenza terminologica. Si richiede l’acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, nonchè delle competenti Commissioni parlamentari e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Decorsi trenta giorni dall’assegnazione, i decreti legislativi possono essere emanati anche in mancanza del parere parlamentare.

[34]    La disciplina delle forme associative tra enti locali si rinviene nel capo V, articoli da 30 a 34, del testo unico sugli enti locali, approvato con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. In tale disciplina sono presenti anche, tra le principali forme associative tra enti locali, i consorzi di enti locali, non espressamente citati dalla norma in esame.

[35]    Con la riforma del titolo V, e in particolare attraverso la modifica dell’art. 114 Cost., è stato per la prima volta dato rilievo costituzionale agli statuti degli enti locali.

[36]    Si ricorda che l’identico limite dell’armonia con la Costituzione è previsto dall’art. 123 Cost. con riferimento agli statuti delle Regioni di diritto comune. A tal riguardo, in riferimento al valore prescrittivo del vincolo dell’”armonia con la Costituzione”, la Corte costituzionale ha recentemente osservato che questo non depotenzia ma “rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito” (sent. 302/2002).

[37]    Attualmente, il testo unico sugli enti locali sopra richiamato disciplina all’art. 6 il contenuto degli statuti comunali e provinciali, individuando anche oggetti ulteriori rispetto a quelli qui considerati.

[38]    Identica locuzione è contenuta nell’art. 123 Cost. con riferimento agli Statuti delle Regioni di diritto comune.

[39]    Tale vincolo risulta già presente nella legislazione in materia di enti locali, a partire dalla legge n. 142 del 1990  fino al testo unico degli enti locali, che lo prevede espressamente all’art. 7.

[40]    La dizione “organizzazione degli enti locali” richiama quella presente nel già citato art. 6 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, il quale afferma che è lo statuto a determinare “le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio”; e, subito dopo, che “lo Statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell’ente” (articolo 6, comma 2). Tali norme generali, affidate dal testo unico allo statuto sono poi integrate da quelle di dettaglio affidate ai regolamenti (articolo 7 del testo unico), che vengono adottati dal Consiglio, fatta eccezione, come si dirà, per quello sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi.

[41]    l’obbligo posto a carico della legislazione statale o regionale di assicurare i requisiti minimi di uniformità della potestà regolamentare locale, non sembra rinvenirsi espressamente nel novellato testo costituzionale. Esso va comunque conciliato con il rispetto dei princìpi costituzionali di autonomia degli enti locali (artt. 114 e 117, sesto comma, Cost.) e di differenziazione (art. 118, primo comma, Cost.).

[42]    La disposizione in commento sancisce il principio di “cedevolezza” (v. supra, sub articolo 1) delle norme statali e regionali nei confronti dei regolamenti degli enti locali, secondo un meccanismo di successione delle fonti elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con riferimento alla legislazione concorrente di Stato e Regioni.

[43]    Si ricorda che ai sensi dell’articolo 117, comma quinto, Cost. “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”.

[44]    sia prevedendo la trasmissione di progetti di atti normativi a Regioni, province autonome, enti locali e loro associazioni rappresentative, sia prevedendo forme di raccordo con il Governo in sede di definizione della posizione dell’Italia in sede europea. V. in particolare art. 5 della legge n. 11 del 2005.

[45]    Si prescrive che comunque dall’attuazione dell’articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

[46]      Art. 230: “La Corte di giustizia esercita un controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi.

      A tal fine la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del presente trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere, proposti da uno stato membro, dal Consiglio, dalla Commissione”.

[47]    L’articolo 117 della Costituzione prevede in proposito che:

§          “le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, […] provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza” (quinto comma);

§          “nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato” (nono comma).

[48]    Una “norma di chiusura” stabilisce che resta fermo che i Comuni, le Province e le Città metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro attribuite, secondo l’ordinamento vigente, comunicando alle Regioni ed alle amministrazioni competenti ogni iniziativa.

[49]    Si noti che la formulazione adottata non specifica il riferimento ai trattati internazionali ratificati con la dizione “a seguito di legge di autorizzazione” (sul punto v. anche supra, con riguardo all’   art. 1, comma 1 della medesima legge “La Loggia”).

[50]    Ciò, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato.

[51]    Al Ministero degli affari esteri, sentita la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, ed accertata l’opportunità politica e la legittimità dell’accordo, compete altresì conferire i pieni poteri di firma previsti dalle norme del diritto internazionale generale e dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata ai sensi della legge 12 febbraio 1974, n. 112. Gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri sono nulli.

[52]    Peraltro già introdotti nell’ordinamento vigente dall’articolo 4, comma 3, della legge n. 59 del 1997.

[53]    Art. 4, co. 3, lett. a), L. 59/1997

[54]    Art. 4, co. 3, lett. h), L. 59/1997

[55]    Art. 4, co. 3, lett. g), L. 59/1997

[56]    Su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati

[57]    Ciascuno dei predetti disegni di legge deve essere corredato da idonea relazione tecnica e non deve recare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Si precisa che tali disposizioni si applicano fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (non ancora adottate).

[58]    Con le modalità previste al numero 4) del punto II dell’Acc. 20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, Regioni ed enti locali.

[59]    Ulteriori disposizioni riguardano la proroga del termine, nonché la possibilità di adottare comunque i decreti, in assenza dell’espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni. I decreti sono adottati con il concerto del Ministro dell’economia e delle finanze e devono conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario nelle parti in cui essi formulano identiche condizioni. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali possono provvedere all’esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite. Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente articolo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale.

[60]    In relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea

[61]    Resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità.

[62]    A determinate condizioni, anche Comuni, Province e Città metropolitane.

[63]    Lo status è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della Regione.

[64]    La legge costituzionale n. 3 del 2001, infatti, sopprime dal testo dell’art. 127 Cost. l’istituto del visto governativo sulle deliberazioni legislative della Regione e abroga il primo comma dell’art. 125 Cost., in materia di controllo di legittimità e di merito degli atti della Regione da parte di organi statali, e l’art. 130 Cost., che prevede il controllo sugli atti dei comuni da parte di organi della Regione.

[65]    Un esempio, in questo senso potrebbe essere costituito dall’adozione del bilancio annuale da parte dell’ente territoriale nel termine previsto dalla legge. Dalla formulazione della norma nel suo complesso parrebbe interpretato restrittivamente l’ambito oggettuale dei poteri governativi disciplinati dall’articolo 120 della Costituzione, escludendo l’ipotesi di sostituzione dell’organo nel complessivo esercizio delle sue funzioni, ed avendo a riferimento – appunto – il compimento di singoli atti “dovuti o necessari”.

[66]    La definizione delle procedure per l’esercizio del potere sostitutivo, come si è detto, è espressamente demandata dall’articolo 120, secondo comma, Cost., alla legge, che deve definire “procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”. In merito si ricorda che, in materia di poteri sostitutivi, il principio di leale collaborazione “impone” - secondo la Corte costituzionale - “di non procedere alla sostituzione stessa, se non previa adozione di quelle misure (informazioni attive e passive, sollecitazioni ed altre) che per i momenti, i livelli, le modalità, siano idonee a qualificare l’intervento sostitutivo come necessitato dall’inerzia del soggetto di autonomia e in pari tempo come riferibile all’applicazione del detto principio e non ad emulatività o a prevaricazione” (sentenza n. 294 del 1986).

[67]    La procedura ora ricordata, ricalca, con alcune modifiche, quella disciplinata dall’articolo 5 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59. In particolare, la legge in esame si differenzia dall’articolo 5 del d.lgs n. 112 quanto ai presupposti, che sono da quest’ultimo espressamente e specificamente individuati, mentre gli aspetti procedurali sono pressoché identici.

[68]    L’iniziativa si formalizza dunque nella proposta del Ministro competente per materia, mentre al Presidente del Consiglio dei ministri spetta la fissazione di un termine congruo, per l’adozione degli atti dovuti o necessari da parte dell’ente interessato. L’inutile decorso del termine porta all’esercizio del potere sostitutivo; titolare del quale è, ai sensi dell’art.120, secondo comma, il Governo. In tema di titolarità in capo al Governo del potere sostitutivo si ricorda la sentenza n. 177 del 1988 della Corte costituzionale.

[69]    Mentre l’ipotesi della nomina di un commissario è nota nella legislazione vigente e costituisce, anzi, l’ordinaria esplicazione dei poteri sostitutivi ex art. 5 del D.Lgs. 112/1998, innovativa è la previsione della adozione da parte dello stesso Consiglio dei ministri dei provvedimenti necessari, che il D.Lgs. 112/1998 prevede  con riferimento alle ipotesi di urgenza.

[70]    procedura e natura degli “atti e provvedimenti” sono quelli di cui al comma 1

[71]    L. 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[72]    V. in particolare artt.  11, co. 8, 16 co. 3 e 13 co. 2  della legge n. 11 del 2005.

[73]    Sono peraltro fatte salve le competenze della Regioni a statuto speciale.

[74]    Tale disposizione potrebbe implicare che nel procedimento di nomina siano coinvolti gli enti territoriali sovraordinati rispetto a quello interessato dal provvedimento sostitutivo.

[75]    L’articolo 5, comma 3, citato, recita: “In casi di assoluta urgenza, non si applica la procedura di cui al comma 1 e il Consiglio dei Ministri può’ adottare il provvedimento di cui al comma 2, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro competente. Il provvedimento in tal modo adottato ha immediata esecuzione ed e’ immediatamente comunicato rispettivamente alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata “Conferenza Stato-Regioni” e alla Conferenza Stato-Citta’ e autonomie locali allargata ai rappresentanti delle comunità’ montane, che ne possono chiedere il riesame, nei termini e con gli effetti previsti dall’articolo 8, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59”. Quest’ultimo recita: “3. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l’osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all’esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 entro i successivi quindici giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi”.

[76]    Rispetto al testo del citato art. 5 del D.Lgs. 112/1998, può osservarsi che vi sono alcune differenze:

§          l’ente territoriale non è avvertito ex ante (come già nel d l.vo 112, art. 5) e neppure appare, nella procedura del comma 4, avvertito ex post (è destinataria di comunicazione solo la Conferenza). Nella disciplina dell’articolo 5 del d.lgs. n. 112/98 e dell’articolo 8, comma 3, della legge n. 59/97 i provvedimenti adottati in via d’urgenza sono sottoposti all’esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 8 citato (ossia la Conferenza Stato-Regioni, la Regione interessata e la Commissione parlamentare per le questioni regionali);

§          il Governo non sembra tenuto al riesame a seguito della richiesta dell’ente. Nella disciplina dell’articolo 5 del D.Lgs. 112/1998 e dell’articolo 8, comma 3, della L. 59/1997 il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi”.

[77]    nella sent. n. 177/1988 la Corte costituzionale ha affermato che “l’esercizio del controllo sostitutivo nei rapporti tra Stato e Regioni (o province autonome) deve essere assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i predetti rapporti” (…) “E fra queste garanzie deve considerarsi inclusa l’esigenza del rispetto di una regola di proporzionalità tra i presupposti che, nello specifico caso in considerazione, legittimano l’intervento sostitutivo e il contenuto e l’estensione del relativo potere, in mancanza della quale quest’ultimo potrebbe ridondare in un’ingiustificata compressione dell’autonomia regionale (v. sentt. nn. 177 e 294 del 1986)”.

[78]    L’espressione “armonizzazione” è largamente usata nei testi normativi comunitari, riferita alle legislazioni degli Stati che fanno parte dell’Unione europea. In generale, l’espressione utilizzata nel Trattato è ‘ravvicinamento delle legislazioni’; di solito l’espressione “armonizzazione” viene utilizzata in ambiti molto specifici. Peraltro, l’espressione si ritrova anche, in tempi abbastanza recenti, in alcune fonti di rango primario dell’ordinamento interno, attinenti per lo più a discipline con elevato contenuto “tecnico” (D.lgs. 314/1997; D.lgs. 507/1993; D.L. 331/1993, D.lgs. 282/1992).

[79]    il citato comma 3 stabilisce, infatti, che quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-Regioni in cui l’oggetto è posto all’ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provveda con deliberazione motivata. Il comma 4, invece, stabilisce che in caso di motivata urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l’osservanza delle disposizioni del medesimo articolo 3: i provvedimenti adottati sono sottoposti all’esame della Conferenza Stato-Regioni nei successivi quindici giorni. In questi casi, il Consiglio dei Ministri è tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato-Regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive.

[80] di cui all’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all’articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

      L’articolo 8 della legge n. 59/97 richiamato dispone che, salvo il caso dell’urgenza, gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, nonché gli atti di coordinamento tecnico, sono adottati previa intesa con la Conferenza o con la singola Regione interessata; qualora entro quarantacinque giorni dalla prima consultazione l’intesa non sia stata raggiunta, gli atti sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali (che lo esprime entro trenta giorni dalla richiesta).

      Nel quadro del generale “decentramento amministrativo” operato dal decreto legislativo n. 112 del 1998 (adottato, come è noto, proprio in attuazione della delega a tal fine conferita dalla medesima legge n. 59 del 1997) il potere di indirizzo e coordinamento relativo alle funzioni e ai compiti conferiti alle Regioni e agli enti locali è stato espressamente conservato in capo allo Stato dall’articolo 4 del d.lgs. n. 112 (richiamato dalla disposizione in commento), il quale richiama, per il suo esercizio, le procedure di cui all’articolo 8 l. n. 59 ora ricordato.

[81]    Cfr., in particolare, l’indagine conoscitiva della 1a Commissione permanente del Senato sugli effetti nell’ordinamento della riforma costituzionale del titolo V. Accanto alla ragione principale indicata nel testo, elementi di perplessità derivano anche dal venir meno della possibilità dello Stato di intervenire con strumenti non legislativi nelle materie regionali, nonché, a contrario, dall’articolo 118, comma terzo, che prevede in alcune specifiche materie un’ipotesi di coordinamento tra Stato e Regioni (dalla previsione, appunto, di specifici casi deriverebbe l’inesistenza nel nuovo sistema costituzionale di un potere generale di indirizzo e coordinamento dello Stato nei confronti delle funzioni amministrative degli altri enti).

[82]    Si vedano, ad esempio, le sentenze n. 150 del 1982, n. 340 del 1983, n. 177 del 1986 e 242 del 1989.

[83]    V. sentt. 376/2003; 17/2004.

[84]    V. in part. la sent. 329/2003. Di tale possibilità si era peraltro dubitato anche prima dell’entrata in vigore della L.Cost. 3/2001.

[85]    Disciplinata dagli articoli 31, 32, 33 e 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale.

[86]    trascorso il termine di cui all’articolo 25, d’ufficio può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 40. In tal caso l’udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall’udienza di discussione

[87]    il ricorrente deve chiedere la trattazione del ricorso, con istanza diretta alla Corte costituzionale e notificata alle altre parti costituite, entro quattro mesi dal ricevimento della comunicazione di pendenza del procedimento effettuata a cura della cancelleria della Corte costituzionale; in difetto di tale istanza, il ricorso si considera abbandonato ed è dichiarato estinto con decreto del Presidente.

[88]    Il provvedimento di preposizione all’ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, d’intesa con il Ministro per gli affari regionali.

[89]    relative al controllo preventivo sulle leggi regionali, nonché al coordinamento dell’attività statale con quella regionale.

[90]    La riforma costituzionale del titolo V ha abrogato gli articoli della Costituzione che prevedevano la figura del Commissario del Governo in un quadro di “alleggerimento” dei vincoli alla potestà legislativa e all’attività amministrativa delle Regioni, e, in particolare, in collegamento con la soppressione dell’istituto del visto come strumento di controllo preventivo dello Stato sulla legislazione regionale.  Il tema è stato dibattuto nel corso dell’indagine conoscitiva sugli effetti delle revisioni del titolo V della Costituzione, svolta dalla Commissione affari costituzionali del Senato all’inizio della XIV legislatura. In tale contesto sono state anche avanzate perplessità sulle ragioni della soppressione di tale figura, nonché sui reali effetti di tale misura nell’ambito dell’assetto ordinamentale e organizzativo dello Stato.

[91]    A fini di ulteriore coordinamento, si ricorda peraltro che il Commissario del Governo resta citato nel nuovo titolo V della Costituzione, all’articolo 123, secondo comma, modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, ove si esclude la necessità dell’apposizione del suo visto per l’emanazione dello statuto delle Regioni a statuto ordinario.

[92]    Specificamente: dell’articolo 118, terzo comma della Costituzione (comma 2, lettera c)), dell’articolo 120, secondo comma (comma 2, lettera d)) e dell’articolo 9 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nella parte in cui prevede l’abrogazione delle disposizioni della Costituzione disciplinanti i controlli sugli atti amministrativi regionali (comma 9).

[93]    Immigrazione; ordine pubblico e sicurezza, con riguardo alla polizia amministrativa locale; tutela dei beni culturali.

[94]    L’articolo prevede ulteriori compiti, tra cui si fa altresì presente l’indizione delle elezioni regionali e la determinazione dei seggi consiliari e l’assegnazione di essi alle singole circoscrizioni, nonché l’adozione dei provvedimenti connessi o conseguenti, fino alla data di entrata in vigore di diversa previsione contenuta negli statuti e nelle leggi regionali.

[95]    le norme di attuazione proposte devono avere ad oggetto la definizione dei beni e delle risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative da trasferire, per l’esercizio, appunto, delle ulteriori funzioni amministrative.

[96]    nello stesso senso, si vedano anche le sentt. 312 e 314/2003