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Si riprende la discussione.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2599)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Constato l'assenza dell'onorevole Porfidia, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbieri. Ne ha facoltà.
EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, mentre lei dava la parola al collega Porfidia, mi è stato detto di consegnare il testo del mio intervento, per la sua pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna. Io non lo farò, perché l'argomento del quale ci stiamo occupando è molto serio ed interessa centinaia di persone del nostro Paese e, quindi, credo non sarebbe serio trattare questa situazione come è stato fatto in altri casi.
A nome del gruppo dell'UDC, esprimo vivo compiacimento per l'accoglimento delle proposte emendative che hanno soppresso i commi 3 e 4 dell'articolo 1 del disegno di legge in esame, ridefinendo le procedure di formulazione e deliberazione degli statuti con la partecipazione, ancorché in forma riduttiva, degli organi statutari degli enti interessati.
La formulazione del disegno di legge avrebbe decretato la fine dell'autonomia degli enti nazionali di ricerca vigilati dal MUR con un danno irreversibile per la ricerca pubblica italiana.
Do atto alla relatrice e al presidente della Commissione e al Governo, se mi ascolta e non perde tempo a parlare con l'onorevole Quartiani... Sottosegretario Modica, durante le fase delle dichiarazioni di voto bisogna che lei sia abitui ad ascoltare chi ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto...!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 12,05)
EMERENZIO BARBIERI. Dicevo che do atto alla relatrice, al Governo e al presidente Folena del risultato positivo raggiunto. Non a caso, lo giudico positivo su questo versante, al punto tale che preannunzio che il gruppo dell'UDC si asterrà in sede di votazione.
Nutro, però, forti perplessità sul disegno di legge nel suo complesso e durante la fase dell'esame degli emendamenti ho avuto modo di evidenziare gli aspetti più critici. Oltre al rischio di cancellazione dell'autonomia, alle contraddizioni relative al rapporto tra statuti e decreti delegati e alle procedure di approvazione degli stessi, sono emersi, infatti, ulteriori aspetti critici che mi preme sottolineare in questa sede, in quanto, purtroppo, permangono nel testo.
Il primo è la mancanza di un disegno strategico del Governo, che non ha aggiornato il Programma nazionale della ricerca, il PNR, adempimento da espletare annualmente (non ho bisogno di ricordarlo ad una persona competente com'è il sottosegretarioPag. 23Modica; ciò è previsto dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 204 del 1998) e non ha esposto analiticamente gli interventi che intende realizzare. Il Governo, a norma di legge, opera sulla base del Programma nazionale della ricerca che costituisce il punto di sintesi degli interventi nazionali, in coerenza con le azioni dell'Unione Europea.
Il Piano nazionale della ricerca è il quadro di riferimento per gli interventi regionali ed è il parametro utilizzato dal Ministro per l'approvazione dei piani di attività di tutti gli enti e per l'assegnazione delle relative risorse. Non ho la minima ombra di dubbio che su questi concetti sarà d'accordo anche l'onorevole Zaccaria che ascolta con molta attenzione questa dichiarazione di voto.
Il Governo, pur essendo tenuto annualmente all'aggiornamento del piano, a tutt'oggi opera sulla base del Programma nazionale della ricerca 2005-2007, varato dalla Ministra Moratti e approvato dal CIPE.
Il piano, sottosegretario, non solo non prevede il riordino degli enti nazionali, ma presuppone come funzionanti ed operativi gli attuali enti, con assetti organizzativi e missioni ridelineate a seguito, come ha giustamente ricordato nella discussione sulle linee generali il collega Garagnani, di un lungo iter a partire dalle linee guida varate dal Governo ed approvate dal CIPE nel 2002.
Eppure, il Governo, in alcuni casi, ha inciso direttamente sugli assetti organizzativi degli enti nazionali ancor prima di fissare gli obiettivi, come ricordato nel suo intervento di lunedì dalla collega Filipponio Tatarella che ha richiamato giustamente la vicenda del decreto-legge, cosiddetto milleproroghe, con il quale è stato bloccato il processo di rinnovamento delle direzioni degli istituti del CNR, con una sospensione per decreto-legge delle procedure di selezione. Segnalo, il sottosegretario Modica lo sa, che la maggior parte dei direttori è a capo della stessa struttura in maniera continuativa da dieci, vent'anni.
Tutto ciò, in un quadro confuso, sul quale il disegno di legge sottoposto all'Assemblea rischia di contribuire negativamente. Infatti, come è emerso dal dibattito, il disegno di legge è inadeguato, in quanto limita la sua azione di riordino agli enti vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca. Per questo motivo, l'intervento si pone in aperta contraddizione con l'obiettivo perseguito da anni di razionalizzare e coordinare l'intervento pubblico in materia, come stabilisce il decreto legislativo n. 204 del 1998 che, a mio giudizio, costituisce una pietra miliare dell'ordinamento vigente approvata in attuazione delle azioni di semplificazione, decentramento e coordinamento previste dalla legge Bassanini; parlo di provvedimenti proposti da Governi di centrosinistra.
Tale limite è stato indicato tempestivamente nell'iter di approvazione del disegno di legge sin dal suo esame in Commissione al Senato. L'unica apertura è stata l'accoglimento da parte del Governo di un ordine del giorno in Commissione al Senato, che poteva però trasformarsi in una modifica del testo.
Una nuova riforma a costo zero, in coincidenza con ulteriori tagli alla ricerca pubblica, rischia di portare il sistema al collasso. Oltre alle belle parole sull'importanza della ricerca, prima di prevedere interventi, occorrerebbe valutare la situazione tra impegni assunti e risultati conseguiti. Dovendo fare un sommario bilancio, a fronte di importanti impegni, nel programma elettorale dell'Unione si parla di investimenti in ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico (obiettivo Lisbona). Nel DPEF, per gli anni dal 2007-2011, il Governo espone la volontà di effettuare «investimenti in ricerca, sviluppo e capitale umano». Nei famosi dodici punti enunciati prima del voto di fiducia da Prodi, il Presidente del Consiglio rinnova l'impegno forte per ricerca e innovazione.
Fra le cinque priorità stabilite dal Governo con l'accordo sull'utilizzo del «tesoretto», si ribadisce l'intenzione di rendere disponibili i fondi per l'innovazione e la ricerca scientifica. In tutti i documentiPag. 24che ho richiamato, inoltre, si espone la priorità della soluzione del problema del precariato.
I fatti, per gli enti di ricerca, vanno però in tutt'altra direzione e sono stati drammaticamente negativi: riduzione delle risorse per gli effetti del cosiddetto «taglia spese» applicato anche agli enti di ricerca; riduzione delle disponibilità per effetto degli accantonamenti indisponibili a gravare sul fondo ordinario di finanziamento degli enti di ricerca (la relatrice e il rappresentante del Governo sanno bene che questi dati corrispondono al vero); riduzione delle disponibilità per il vincolo del 95 per cento delle risorse trasferite nell'anno precedente come riferimento per i bilanci di previsione per il 2007; stanziamenti in finanziaria insufficienti per la stabilizzazione dei precari; recupero solo parziale nel riparto del «tesoretto» degli accantonamenti indisponibili.
Nonostante tale difficile quadro, si procede speditamente, riformando gli enti con «clausola di invarianza»: una contraddizione in termini, questa, che è stata puntualmente individuata nel suo parere condizionato dalla Commissione bilancio.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
EMERENZIO BARBIERI. Concludo, signor Presidente e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto, poiché credo che ciò sia importante.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
EMERENZIO BARBIERI. Aggiungo solo che la modifica degli assetti organizzativi degli enti comporta, nella migliore delle ipotesi, conseguenze economiche negative per l'instabilità del sistema che diventa inaffidabile per i costi che qualsiasi riorganizzazione comporta.
In conclusione, il disegno di legge al nostro esame presenta molte ombre e parecchie luci: credo però che l'astensione del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) consenta al Governo ed alla maggioranza di terminare un percorso positivo con l'altro ramo del Parlamento, cioè con il Senato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Porfidia. In via del tutto eccezionale e considerate le motivazioni accidentali della sua precedente temporanea assenza, ne ha facoltà.
AMERICO PORFIDIA. La ringrazio, signor Presidente.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo sviluppo della ricerca scientifica costituisce uno degli elementi strategici per lo sviluppo del Paese. Nello svolgere tale considerazione, non si può, tuttavia, prescindere dalla consapevolezza del cattivo stato di salute di alcuni enti e della necessità di cogliere le opportunità che l'Europa, con il settimo Programma quadro, offre alla ricerca.
Sappiamo bene che la situazione della ricerca in Italia è critica e che si impone, dunque, un'azione costruttiva, se si ha l'intenzione di affrontare davvero le contraddizioni e le inquietudini che animano tale mondo. Il dato scoraggiante è che nel nostro Paese esistono laboratori e centri di ricerca dotati di una strumentazione obsoleta e che si trovano su territori assolutamente inadeguati. Inoltre, gli scienziati - questo è un aspetto su cui dovremmo davvero riflettere - sono costretti a confrontarsi continuamente con finanziatori privati, anzi, direi, attualmente soprattutto con finanziatori privati; tali finanziatori, però, specialmente quando si tratta di imprese, troppe volte non sono in sintonia né hanno la giusta considerazione della ricerca pubblica. D'altra parte, in Italia non vi sono posti di lavoro a tempo indeterminato in questo settore, come accade invece negli altri Paesi.
Ci troviamo, dunque, in una situazione che, se da un lato vede un numero di addetti per abitante notevolmente inferiori in Italia rispetto agli altri Paesi, dall'altroPag. 25lato è caratterizzata dall'ottimo livello di produttività dei ricercatori italiani: nonostante, infatti, le difficoltà ed i limiti di natura economica, tale livello risulta altissimo e la ricerca appare qualificata ed autorevole. Ciò vuol dunque dire - lo riconoscono moltissimi altri Paesi - che i ricercatori italiani sono fra i migliori del mondo.
Il provvedimento al nostro esame, che punta sulla ricerca per uscire dal rischio di un declino che incombe, ci appare dunque assolutamente necessario.
Gli elementi di valutazione sul provvedimento all'esame sono per noi molteplici. Apprezziamo, anzitutto, il giusto equilibrio tra l'autonomia statutaria degli enti e la delimitazione dei confini entro cui tale autonomia si esplica, rappresentati dall'attività di programmazione e di controllo delle istituzioni. Il controllo si esplica con una verifica dei risultati. Quindi, l'autonomia di metodi e di procedure dei tempi degli enti è bilanciata dal fatto che obiettivi e risultati sono stabiliti, nel disegno di legge al nostro esame, dal Governo e dallo stesso verificati. Il Governo, controllato dal Parlamento, funge da filtro, salvaguardando l'interesse pubblico rispetto a qualsivoglia spinta corporativa. Gli obiettivi specifici sono fissati, come detto, dal Governo. Del resto, gli enti pubblici di ricerca hanno lo scopo di promuovere la ricerca al fine del progresso della scienza e per la pubblica utilità, ed è giusto che i soldi pubblici, quando vengono erogati, servano per potenziare l'azione generale dello Stato. Gli enti in parola sono tenuti a raggiungere, quindi, gli obiettivi strategici fissati dal Governo e non a compiacere soltanto mere curiosità o interessi individuali.
Il primo elemento fortemente innovativo è rappresentato, a mio giudizio, dall'autonomia statutaria, da intendersi come un atto di grande fiducia dello Stato verso la ricerca ed il ruolo fondamentale che essa assume nel nostro territorio e nel nostro Paese. Il secondo elemento riformatore consiste nella valutazione dell'attività degli enti, ai risultati dei quali vanno collegati i finanziamenti. Infatti, è previsto l'affidamento all'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca (ANVUR) del compito di valutare l'attività degli enti di ricerca, mentre spetta al Governo, in seguito a tale passaggio, valutare, appunto, i finanziamenti (e ciò sta ad indicare, in merito al provvedimento in discussione, per quanto ci riguarda, proprio un principio di chiara trasparenza e meritocrazia).
Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dai criteri di nomina dei presidenti e di parte dei consigli di amministrazione. Anzitutto, ci compiacciamo del fatto che è cominciata una riduzione del numero dei partecipanti ai consigli di amministrazione (e ciò costituisce già uno dei primi esempi innovativi della strategia politica del Governo). I presidenti ed i membri di nomina governativa dei consigli di amministrazione sono individuati nell'ambito di rose di candidati, proposte da appositi comitati nominati dal Governo, ma rappresentativi della comunità scientifica.
Elementi di ulteriore positiva valutazione sono rappresentati dall'identificazione di alcuni enti che hanno bisogno di un input maggiore, quelli, cioè, del settore dell'ottica e della fisica della materia. Si registra, inoltre, una grande apertura nei confronti dei ricercatori, con il riferimento alla Carta europea, per valorizzare la loro professionalità ed autonomia. Cito, al riguardo, solo alcuni esempi: gli enti devono offrire condizioni di lavoro che consentano ai ricercatori di conciliare famiglia, lavoro, figli e carriera e devono riconoscere loro la necessità di essere rappresentati negli organi decisionali, ma, soprattutto, il provvedimento in esame prevede un input notevole per una maggiore stabilità degli stessi, in modo che anche le condizioni di lavoro risultino migliori.
Prendiamo atto, pertanto, che il disegno di legge in discussione pone indubbiamente gli enti della ricerca pubblica in condizioni migliori rispetto al passato e, soprattutto, nella condizione di instaurare una maggiore cooperazione scientifica e tecnica con enti ed istituzioni degli altri Paesi. Tuttavia, siamo consapevoli che l'attivitàPag. 26di ricerca dipende attualmente, in misura preponderante, da finanziamenti esterni che ne possono condizionare, in parte, la libertà e l'indipendenza. Pertanto, appare sempre più necessario, a nostro giudizio, l'impegno dello Stato da un punto di vista economico - che deve essere evidenziato già dalla prossima legge finanziaria -, affinché la ricerca, che è una delle priorità assolute del nostro ordinamento, possa conseguire i risultati e gli obiettivi che il Governo e i cittadini si aspettano.
Sulla base di tali considerazioni, il gruppo Italia dei Valori annuncia il proprio voto favorevole sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Schietroma, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, il disegno di legge delega sul riordino degli enti di ricerca, che ci accingiamo a votare, è un primo fondamentale passo per superare quel vero e proprio stato di minorità, in Europa e nel mondo, in cui attualmente il nostro Paese si trova in tema di ricerca. È noto, infatti, come la situazione della ricerca in Italia appaia ormai critica sino al punto che le nostre giovani menti ci lasciano, preferendo altre nazioni del mondo. Oggi si impone un'azione costruttiva per potere concretamente affrontare la sfida dell'innovazione e della competizione internazionale. Un sistema pubblico di ricerca di eccellenza e in contatto con il mondo produttivo è una scelta fondamentale per nuovi processi di sviluppo. Questa azione, che è diretta a mantenere la qualità del sistema pubblico di ricerca e ad avvicinarlo al sistema produttivo, è un obiettivo che ci prefiggiamo.
Il provvedimento in esame conferisce una delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di promuovere, rilanciare e razionalizzare il settore della ricerca e di garantire maggiore autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati del Ministero dell'università e della ricerca.
Il disegno di legge delega è stato presentato dal Ministro dell'università e della ricerca limitatamente agli enti sui quali esso esercita la diretta vigilanza, in coerenza con la delega contenuta nel decreto fiscale collegato alla manovra finanziaria del 2006. A quest'ultima il Governo non ha dato seguito, accogliendo l'ordine del giorno riferito all'atto Senato n. 1132, che impegnava l'Esecutivo a non procedere con regolamenti di delegificazione, bensì a presentare, in alternativa, un disegno di legge delega che ora è oggetto della nostra discussione. Si è dunque ritenuto necessario invitare il mondo della ricerca stesso ad assumersi le proprie responsabilità attraverso una autonomia che dovrà, comunque, essere valutata ed assunta in base a norme ben precise, contenute nel disegno di legge in esame, che ne evitano l'autoreferenzialità. Resterà quindi la presenza maggioritaria di componenti di nomina governativa nel consiglio di amministrazione, pur risultando chiaro che tali membri saranno espressi dalla comunità scientifica, che indicherà terne di nomi all'interno delle quali il Ministro dovrà scegliere in maniera motivata.
Con questo disegno di legge si è previsto, quindi, il riconoscimento agli enti dell'autonomia statutaria. Si tratta, pertanto, di un atto di fiducia nella ricerca pubblica italiana non universitaria, perché voglio ulteriormente chiarire che si tratta di enti di ricerca, non di università. Dicevo che la ricerca pubblica ormai è in grado di dotarsi di proprie autonomie, di proprie autonome norme statutarie, come l'università, contribuendo a coinvolgere l'intera comunità della ricerca pubblica nella responsabilità strategica che essa ha per lo sviluppo del nostro Paese.
Altra fondamentale novità del provvedimento in esame è il riferimento alla Carta europea dei ricercatori. Infatti, secondo quest'ultima gli enti devono offrirePag. 27condizioni di lavoro che consentano, sia alle donne sia agli uomini, di conciliare famiglie e lavoro, figli e carriera.
Debbono riconoscere la necessità che i ricercatori siano rappresentati negli organi decisionali e debbono garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell'instabilità, ma debbono anzi operare per migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori stessi. Sono, quindi, tre passaggi estremamente impegnativi, che disegnano un mondo della ricerca dove il ruolo dei ricercatori sia anche quello di decidere del futuro del proprio lavoro, ovviamente in un contesto di piena autonomia scientifica garantito dalla stabilità del rapporto di lavoro. È proprio la Carta europea che offre oggi la fondamentale possibilità di non limitarsi a sole misure prescrittive, ma di costruire politiche attive per le pari opportunità, garantendo ai nostri ricercatori la possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro, così come è auspicabile che sia per tutte le lavoratrici ed i lavoratori italiani.
Arriviamo, quindi, al provvedimento in esame, onorevoli colleghi, alla luce di un lungo approfondimento, anche critico, che ha registrato il contributo utile e positivo di molti colleghi dell'opposizione, di colleghi della maggioranza, della relatrice, onorevole Ghizzoni, del presidente della nostra Commissione, onorevole Folena. Il provvedimento incide, come abbiamo avuto modo di constatare, su temi, come la libertà di ricerca, che contribuiranno a delineare una riforma che concorrerà allo sviluppo del sistema nazionale di ricerca, proprio perché si ispira ai principi di autonomia statutaria, di valutazione dei risultati conseguiti e di responsabilità dello Stato nel coordinamento e nella legittimazione del settore.
Infine, onorevoli colleghi, desidero davvero concludere affermando che risulta di tutta evidenza l'auspicio dell'approvazione del provvedimento in esame, che, per la sua portata innovatrice, consentirà ai settori della ricerca di avere regole durature e una maggiore autonomia dalla politica, ma consentirà soprattutto alla comunità scientifica italiana di essere protagonista sia a livello europeo sia internazionale. Tali motivi mi inducono, per nome e per conto del gruppo Popolari-Udeur, ad annunciare il nostro voto favorevole al provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, sarò molto breve. Intervengo per annunciare il nostro voto di astensione, così come ha fatto precedentemente l'onorevole Barbieri. La ricerca, cari colleghi, è una dimensione qualificante per un Paese come l'Italia. Non possiamo non ricordare che attorno a tale questione si è sviluppato nel corso dei mesi passati, durante il dibattito sulla legge finanziaria per il 2007, un confronto polemico sui tagli alla ricerca all'interno del Governo e anche del Parlamento. L'onorevole Mussi, Ministro dell'università e della ricerca, manifestò in un certo momento la sua intenzione di dimettersi. La Rosa nel Pugno e noi cavalcammo questa battaglia e ci ponemmo il problema di evitare che i tagli venissero praticati. Anche grazie a tale battaglia, quei tagli vennero quantomeno attenuati nel testo finale del maxiemendamento.
Cito tale argomento perché è evidente che non si può parlare di ricerca esclusivamente in termini ordinamentali di riforma dello statuto, pensando di fornire un contributo per il rilancio degli enti di ricerca, senza sapere che, poi, tali enti e la ricerca nel suo complesso hanno bisogno di sostegno, sia pubblico sia privato.
Certamente un intervento per il riordino degli enti di ricerca era forse inevitabile e il Governo ha avvertito questa necessità. Tuttavia dobbiamo partire da un presupposto: il testo, così come era stato licenziato dal Senato, conteneva un'ispirazione inaccettabile, di forte accentramento dei poteri, che passavano dai singoli enti di ricerca al Governo centrale. Infatti la Commissione ha avvertito il bisogno di intervenire per modificare il comma 3 e il comma 4 dell'articolo 1 che postulavano questo accentramento, di attenuarlo e diPag. 28rilanciare un'idea, seppur limitata, di autonomia statutaria dei singoli enti. Ricordo che il testo trasmesso dal Senato conteneva una evidente contraddizione tra la lettera a) del comma 1 dell'articolo 1, in cui si riconosce l'autonomia degli enti, così come sancito dall'articolo 33 della Costituzione e anche dalla Carta europea dei ricercatori, e i commi 3 e 4 così come erano formulati, che invece attribuivano il potere di elaborazione e di approvazione degli statuti, e anche di intervento diretto sui consigli degli enti, al Ministro dell'università e della ricerca, sentite le Commissioni parlamentari. Si è compiuta un'operazione di ribaltamento dell'ispirazione del provvedimento, così come era stato licenziato dal Senato, e la Commissione, all'unanimità, ha avvertito l'esigenza di intervenire attenuando, quanto meno, questa ispirazione centralistica. Per tali motivi oggi esprimiamo queste considerazioni - che sarebbero state ben diverse se il testo da votare fosse stato quello licenziato dal Senato - di parziale soddisfazione per le modifiche apportate e di astensione sul disegno di legge così emendato e sottoposto all'approvazione di questo ramo del Parlamento
Devo sottolineare che si interviene per la terza volta nell'arco di quindici anni sugli enti di ricerca e che già durante la scorsa legislatura il Ministro Moratti aveva sottoposto all'approvazione del Parlamento un disegno di legge da lei presentato sull'argomento. Nonostante questi emendamenti (il «maxiemendamento», chiamiamolo così, sui commi 3 e 4 proposto dalla Commissione è certamente quello più rilevante, dato che interviene sul testo licenziato dal Senato), permangono alcune perplessità per quanto riguarda la mancanza di fiducia nell'autonomia reale degli enti di ricerca, i quali vengono ancora lasciati sotto controllo per ragioni di legittimità, si dice, ma anche di merito a giudicare dalla proposta emendativa fatta dalla Commissione. Vi è un'esigenza di azzeramento dei vertici degli enti di ricerca e un'esigenza, a mio parere eccessiva, di controllo politico da parte del Governo su tali enti.
Queste sono le tre obiezioni che noi rivolgiamo al provvedimento, sia pure con gli apprezzamenti che ci sentiamo di fare per la buona volontà che la Commissione ha avvertito l'esigenza di manifestare, rendendosi conto che, così come ci era stato consegnato dal Senato, questo provvedimento sarebbe stato forse anche incostituzionale, se si considera la differenza tra lo spirito dell'articolo 33 della Costituzione e il testo, così come ci era stato proposto (Applausi dei deputati del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nell'annunciare il voto favorevole del gruppo dei Verdi sul disegno di legge delega sul riordino degli enti di ricerca, credo che vada preliminarmente dato atto a questo Governo di aver posto la ricerca tra le priorità irrinunciabili. Va riconosciuto al Ministro Mussi il merito di aver affrontato una materia così delicata quanto importante con uno spirito nuovo e più attento alle reali e concrete esigenze italiane.
Prima di proseguire nel mio intervento vorrei fare una premessa. Oggi si è ascoltato, credo con una certa confusione, un dibattito incentrato sul tema - lo ripeto - del riordino degli enti di ricerca; perciò, come è stato sottolineato dal sottosegretario, dalla relatrice e da alcuni componenti della Commissione, oggi non affrontiamo la materia della riforma dell'università, che rappresenta un altro tema fondamentale per il Paese, ma che, in questo momento, non ha niente in comune con la riforma degli enti di ricerca.
La riforma dell'università è un tema che si sta affrontando con l'obiettivo di rendere più competitive le università italiane; in particolare, per quanto riguarda la tematica dei ricercatori - ma di quelli operanti all'interno dell'università: bisogna evitare di fare confusione - è stato emanatoPag. 29un regolamento che prevede nuove modalità di reclutamento. Quindi, bisogna sgombrare il campo dagli equivoci, perché se si confondono i temi spesso non si comprende l'oggetto delle nostre discussioni.
Tornando al tema, tutti noi conosciamo i problemi che affliggono la ricerca scientifica, che purtroppo in Italia, più che in altri Paesi, negli ultimi anni sembra accusare difficoltà legate all'organizzazione, alla gestione delle risorse umane e al rispetto dell'indipendenza degli scienziati. Insomma, il cattivo stato della salute dei centri di ricerca è dinanzi agli occhi di tutti. Quindi vi è la necessità di avere maggiori risorse e di razionalizzarle.
Il disegno di legge delega si prefigge oggi di riconoscere il primato della ricerca scientifica attraverso una maggiore autonomia degli enti di ricerca; autonomia dai condizionamenti politici e dalle logiche spesso di spartizione e, purtroppo, anche clientelari.
Ci troviamo di fronte ad un testo che è stato sensibilmente migliorato e reso più puntuale e, a tal proposito, esprimo un ringraziamento per il lavoro svolto dalla Commissione, dalla relatrice, dall'onorevole Sasso e da tutte le persone che sentono fortemente il valore di questa riforma degli enti di ricerca. Il lavoro è stato svolto in modo puntuale, superando tutti i dubbi sollevati da alcuni colleghi in ordine ad una presunta genericità della delega.
L'Assemblea ha giustamente respinto la questione pregiudiziale, ma con senso di responsabilità e spirito di collaborazione si è provveduto a rendere ancora più puntuale e specifica la delega legislativa in materia di formulazione e deliberazione degli statuti, stabilendo che tale compito sia attribuito agli organi statutari competenti dei singoli enti interessati e con successiva emanazione, previo controllo, da parte del Ministro dell'università e della ricerca, sentite le Commissioni parlamentari competenti.
Positiva è anche la previsione secondo cui, in sede di prima attuazione, la formulazione e la deliberazione degli statuti avverrà ad opera dei consigli scientifici di ciascun ente, integrati da cinque esperti di alto livello scientifico, peraltro senza alcun compenso o indennità. In questo modo si raggiunge l'obiettivo di rendere il testo della legge delega ancora più aderente al dettato costituzionale in materia di autonomia della ricerca e degli enti relativi, assicurandosi, nel contempo, l'assoluto valore scientifico dei soggetti preposti alla redazione degli statuti, anche nella fase di prima attuazione.
Deve essere valutato positivamente, nell'ambito del processo di riordino degli organi statutari, il fatto che i comitati di selezione, nominati dal Governo, i quali dovranno proporre le rose dei candidati per i consigli di amministrazione degli enti pubblici nazionali di ricerca, dovranno prevedere la presenza di esponenti della comunità scientifica nazionale ed internazionale e di quanti sono stati eletti dai ricercatori in organismi degli enti, ove esistenti. Si tratta, infatti, di un aspetto molto importante.
Positive, infine, anche le modifiche riguardanti le modalità di adozione degli schemi dei decreti legislativi, che dovranno essere corredati da relazioni tecniche sugli effetti finanziari delle disposizioni e che dovranno poi essere trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per i necessari pareri.
La ristrutturazione forse non sarà indolore - di questo ne siamo sicuri - e forse non piacerà a chi desidera il mantenimento dello status quo, ma credo che soddisfarà i tanti scienziati che reclamano, da decenni, una maggiore libertà di azione da assurdi anacronistici ostacoli al loro operato. È importante snellire, velocizzare e ridurre la burocrazia che circonda la scienza e in questo disegno di legge delega tanti sono i punti che possono essere condivisi anche dall'opposizione, in nome del rilancio della ricerca scientifica in Italia.
Per queste ragioni credo si debba guardare a tale provvedimento con spirito costruttivo e con maggiore fiducia perché la ricerca può, oggi, rappresentare per l'Italia un fattore di sicura ripresa sulPag. 30piano economico ed il disegno di legge è certamente inteso a favorire la produttività e la qualità della ricerca scientifica svolta.
Sulla base di tali considerazioni, annuncio, come ho già preannunciato dianzi, il voto favorevole del gruppo dei Verdi sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
PAOLA GOISIS. Signor Presidente, il disegno di legge in esame su cui dobbiamo esprimere il nostro voto contiene una delega al Governo per il riordino degli enti pubblici di ricerca, prevedendo il riconoscimento dell'autonomia statutaria degli enti di ricerca, ferma restando la responsabilità del Governo nell'indicare missione ed obiettivi di ricerca degli stessi in raccordo con il Programma nazionale della ricerca. Il provvedimento in esame prevede altresì l'istituzione dell'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca con il compito di valutare i risultati dell'attività degli enti di ricerca riferendone periodicamente al Governo ed assegnando dei finanziamenti statali in relazione agli esiti di tale valutazione. Prevede, inoltre, il riordino degli organi statutari secondo linee di indirizzo precise - che non elenco -; l'adozione di misure organizzative tese a valorizzare la professionalità e l'autonomia dei ricercatori, nonché il ruolo dei consigli scientifici; la promozione dell'internazionalizzazione dell'attività di ricerca, nonché della collaborazione con le attività svolte dalle regioni in materia di ricerca scientifica e tecnologica; infine, il sostegno all'innovazione nella produzione.
Il problema, però, è costituito dal contributo. La Corte dei conti afferma che il contributo alla ricerca propositiva è diminuito del 25 per cento. Voglio ricordare che l'allora Ministro Moratti aveva cercato di promuovere una maggiore capacità di effettuare ricerca attraverso l'aumento degli investimenti nei programmi di ricerca di interesse nazionale e attraverso agevolazioni fiscali, come ad esempio, la detassazione degli investimenti in ricerca e sviluppo e delle spese sostenute per stage aziendali destinati a studenti di corsi ed istruzione secondaria o universitaria, prevedendo incentivi proprio per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero. Addirittura, la legge finanziaria per il 2006 aveva incluso spese per le quali poteva valere la deducibilità ai fini dell'IRAP, nonché la destinazione di una quota pari al 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche alla ricerca scientifica e all'università, nonché alla ricerca sanitaria. La medesima legge finanziaria aveva anche previsto uno strumento importantissimo, ovvero la totale deducibilità dal reddito delle società, senza limite di importo, per i fondi trasferiti per il finanziamento alla ricerca. Invece, come dicevamo, il comma 520 dell'articolo unico della legge finanziaria per il 2007 ha destinato, per l'anno 2007, 20 milioni di euro (che diventeranno 30 milioni nel 2008) per la stabilizzazione dei titolari di contratto a tempo determinato in servizio presso gli enti pubblici di ricerca. L'attenzione, a nostro avviso, verso questo mondo è molto blanda e leggera. Possiamo dimostrare ciò sottolineando che tali risorse, purtroppo, sono sufficienti a stabilizzare solo 500-700 contrattisti.
Si tratta, quindi, di somme estremamente inadeguate rispetto al numero dei contrattisti triennali che lavorano presso gli enti pubblici di ricerca, pari ad alcune migliaia. La legge finanziaria per il 2007 non ha affrontato il problema dell'elevato numero di assegnisti di ricerca, di borsisti e di altre forme di precariato che da anni perdurano, appunto, nella precarietà, a causa del blocco delle assunzioni negli enti di ricerca e delle inadeguate piante organiche degli enti stessi. Il problema del precariato negli enti di ricerca, purtroppo, presenta due aspetti critici: da un lato, la perdurante incertezza ed instabilità che i ricercatori e i tecnologi precari subiscono in termini di danno morale, economico, nonché di impedimento di progressione diPag. 31carriera; dall'altro lato, il pericolo per gli enti di ricerca di dover diminuire i relativi progetti qualora i precari storici - che sono fonte di conoscenza, di lavoro e di esperienza - dovessero trovare altri sbocchi lavorativi più stabili, magari all'estero.
I ricercatori propongono da tempo forme di lavoro a tempo determinato per laureati già in possesso di esperienza almeno triennale nella ricerca (acquisita anche attraverso il dottorato di ricerca), per i quali si è esplicitamente prevista la possibilità di stabilizzazione dopo una rigorosa valutazione della qualità dell'attività svolta. In tal modo, si potrebbe consentire ai precari di partecipare allo svolgimento di piani di ricerca pluriennali, come periodo di prova per l'assunzione a tempo indeterminato.
Vorremmo che ci si adoperasse affinché il trend negativo, che purtroppo perdura da anni, possa essere invertito, attraverso la concessione di maggiori risorse per il sostegno delle attività ordinarie degli enti. Occorre, perciò, prevedere il «disaccantonamento» delle risorse assegnate al Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, definendo, attraverso l'utilizzo di adeguate risorse finanziarie, un piano di assorbimento di tutto il personale assunto a tempo determinato che ha già superato una valutazione concorsuale comparabile a quella richiesta per l'assunzione a tempo indeterminato ed avente titolo alla stabilizzazione, come previsto nella legge finanziaria per il 2007.
Bisognerebbe, inoltre, aprire tavoli di trattative con tutti i soggetti interessati, affinché essi sostengano le assunzioni in questo settore, anche al fine di eliminare le inevitabili disparità di trattamento tra gli aventi diritto, generate, purtroppo, dalle ridotte risorse finanziarie per il 2007. Occorrerebbe, altresì, ampliare il disposto dei commi 651 e 652 dell'articolo unico della legge finanziaria per il 2007, al fine di realizzare un piano pluriennale di assunzione di ricercatori nei prossimi cinque anni, definendo una normativa generale per i concorsi che assicuri l'omogeneità di valutazione della qualità scientifica. Sarebbe necessario, inoltre, realizzare una strategia di ampio respiro, sostenuta dalla disponibilità delle risorse economiche necessarie per risolvere il problema del precariato ed attrarre giovani ricercatori, evitando, così, che le risorse investite nella formazione - la cui finalità dovrebbe essere l'inserimento dei più meritevoli presso l'ente stesso - si disperdano, insieme alle forze e alle energie stesse.
In un intervento precedente ho parlato del timore che la sinistra, purtroppo, dimostra spesso nei confronti degli incentivi e dei finanziamenti privati, i quali, però, saranno necessari ed insostituibili se lo Stato ed il Governo non risolveranno queste problematiche e non assegneranno finanziamenti e risorse alla ricerca.
I nostri giovani sono costretti ad andare all'estero: io ho una figlia che sta per laurearsi e sarà costretta ad andarvi, perché la ricerca, purtroppo, non dà alcuna possibilità occupazionale, dopo tanti anni di studio, di lavoro e di utilizzo di energie. Non è un caso, d'altra parte, se le università pubbliche italiane sono premiate con sei premi Nobel, mentre le otto università private americane citate nell'ordine del giorno Poretti n. 9/2599/23 - sul quale anch'io ho apposto la mia firma - sono state premiate con ben centocinque premi Nobel!
Ciò significa che, se non si considera il finanziamento alla ricerca come elemento prioritario, è inutile effettuare tanti riordini, proclami ed interventi di riorganizzazione. Secondo noi, in questo modo si getta solo fumo negli occhi degli italiani, facendo credere alle nostre regioni che lo Stato si preoccupi della ricerca. Purtroppo, ricerca, cultura e scuola non costituiscono le priorità di questo Governo e di questa sinistra. Ciò premesso, quindi, il voto della Lega Nord non può che essere contrario (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, dichiaro il voto favorevole del gruppo SinistraPag. 32Democratica Per il Socialismo europeo. Oggi ci accingiamo a votare un testo importante. Non so se è il miglior testo possibile, ma so sicuramente che è un segnale decisivo, importante e richiesto dal mondo della ricerca: si riconosce l'autonomia statutaria agli enti di ricerca, così come è previsto per le università.
È un testo importante, signor Presidente, perché è stato ampiamente discusso in Commissione. Vi è stata una discussione vera, sincera, sentita e soprattutto leale, in cui il Governo ha accolto molti degli emendamenti che sono stati formulati dalle diverse forze politiche.
Per questo motivo, spiace molto che in questa Assemblea componenti di altri gruppi politici, che non hanno partecipato al lavoro e al dibattito in Commissione, abbiano posto dei temi assolutamente, come si dice in termini tecnici, ultronei rispetto al dibattito, dando vita ad una discussione che credo sia stata anche un po' surreale, cioè fuori testo.
Ho trovato anche molto singolari alcuni interventi dell'opposizione relativi al testo in esame, nei quali si parlava di statalismo e di volontà di intervenire per condizionare la ricerca. Questo provvedimento, invece, signor Presidente, va in senso opposto.
Trovo singolare, inoltre, che tali interventi siano pervenuti proprio da quelle forze che, con il riordino operato nella scorsa legislatura, hanno reso i consigli di amministrazione degli enti di ricerca pletorici e spesso incapaci di funzionare. Sono state create inutili gerarchie - si sa che la ricerca non funziona con le gerarchie, essendo di natura orizzontale - e paralizzanti burocrazie.
Il provvedimento in esame pone problemi più generali, come il rapporto tra politica e ricerca o, meglio, tra libertà della ricerca e responsabilità della politica. Mi auguro che la politica intervenga sempre meno a definire modalità di organizzazione e gestione.
In questo testo vi è una direzione di marcia, ma bisognerà continuare. Mi auguro che in un futuro non troppo lontano siano solo le comunità scientifiche a decidere completamente anche delle loro forme di organizzazione e di direzione.
Peraltro, sicuramente resta - e deve restare - la responsabilità della politica nell'indicare linee strategiche di indirizzo per il mondo della ricerca pubblica, come avviene in tutti i Paesi del mondo, anche nei famigerati Stati Uniti. Credo che si tratti di una questione sulla quale la comunità scientifica e la politica dovranno continuare a lavorare.
Vi è un altro tema polemico sollevato e ripreso da molti ordini del giorno: la necessità di riordinare tutti gli enti di ricerca, non solo quelli vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca.
Mi auguro che vi sia un riordino complessivo, ma soprattutto che si avvii un coordinamento tra tutti gli enti che svolgono ricerca, perché la ricerca ha appunto bisogno di cooperazione, reciprocità ed obiettivi comuni.
A proposito dell'autonomia statutaria, la condizione per garantire l'autonomia degli enti è proprio il ruolo - ribadito nel testo in esame - dell'Agenzia per la valutazione: è un elemento decisivo per l'autonomia, che la rende possibile, ma dobbiamo anche sapere che tutto ciò avrà efficacia se si avvierà quel processo a cui accennavo prima, se veramente ognuno avrà la forza e l'azzardo di cambiare, di passare dalla cultura dell'adempimento a quella del risultato: è un processo del quale, mi auguro, il testo in esame possa indicare la direzione.
Certo, il mondo della ricerca ha sofferto negli ultimi anni, soprattutto per la riduzione degli investimenti. Ho ascoltato qui un dibattito - anche a proposito dell'ultimo ordine del giorno presentato - che davvero non condivido: come si fa ad affermare che la sinistra è contraria agli investimenti privati? Il problema è un altro: dove sono tali investimenti privati nel mondo dell'università e della ricerca? Abbiamo un sistema produttivo, signor Presidente, che ancora troppo poco incorpora, nella cosiddetta società della conoscenza, l'innovazione, la ricerca, la tecnologia,Pag. 33l'innovazione di prodotto nelle sue linee produttive. Questo è il problema che il Paese ha di fronte.
Penso che dovremmo ribaltare un vecchio modo di pensare, che afferma che se il PIL del Paese non cresce non possiamo investire nella ricerca: forse è vero il contrario. Se investiamo nella ricerca, se abbiamo la convinzione di investire nella ricerca, forse il prodotto interno lordo del Paese ricomincerà a crescere.
Credo che avesse ragione Paolo Sylos Labini, quando affermava che l'investimento nella ricerca è utile se produce nel tempo, se è un investimento di lunga durata. Però va anche sottolineato che nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria vi è un'inversione di tendenza rispetto all'investimento nella ricerca, e così sarà nella redistribuzione del cosiddetto extragettito. Sono segnali importanti: non si sta solo restituendo all'università e al mondo della ricerca ciò che era stato tolto, ma si stanno operando anche scelte significative.
Quando, nel corso del dibattito, ho sentito parlare del riferimento alla Carta europea dei ricercatori - che è presente nel testo ed è un elemento molto importante - ho ascoltato anche gruppi politici, come la Lega Nord, affermare che uno dei problemi della ricerca è costituito dalla precarietà dei ricercatori. Mi auguro che nelle prossime scadenze, nei prossimi dibattiti, nelle prossime prese di posizione, nei prossimi disegni di legge, il gruppo della Lega Nord sia accanto a noi quando porremo - lo faremo presto anche in Commissione - la questione del superamento del precariato nella ricerca, perché si tratta effettivamente di un problema che mette in discussione l'efficacia e la produttività della ricerca.
In Italia, in Europa e oserei dire nel mondo, abbiamo la necessità di attrarre i migliori talenti e i migliori giovani talenti alla ricerca, e alcuni degli ostacoli a ciò sono appunto la precarietà e i bassi salari.
Molti colleghi, prima di me, hanno analizzato gli aspetti più positivi del presente disegno di legge e il fatto che con il testo in esame, profondamente modificato sia alla Camera sia al Senato - e devo dare atto al Governo, in particolare al sottosegretario Modica, di avere interloquito con grande convinzione con il Parlamento - molto è stato cambiato.
Molto è stato migliorato e soprattutto la linea, la caratteristica di questo provvedimento si colloca nella volontà di restituire alla comunità scientifica la forza, la capacità di decidere del proprio lavoro e del proprio operato. C'è ancora molta strada da fare ma un altro aspetto importante del provvedimento che volevo sottolineare sono le norme antidiscriminatorie.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ALBA SASSO. Qualcuno affermava che non ve ne fosse bisogno, invece ritengo che ce ne sia bisogno perché le ricercatrici sono tante e brave ma nelle posizioni apicali sono sempre di meno.
Mi auguro che il ministro Mussi voglia accogliere nella formulazione dei decreti legislativi tutti i contributi critici e meno critici che sono venuti dal dibattito.
Concludo con un'affermazione che ho gia pronunciato in Assemblea nei giorni passati: la spinta alla conoscenza non si può fermare, è nelle cose, non si può fermare né per legge né per precetto, ma si possono garantire al mondo della ricerca più risorse, semplificazione normativa, libertà dalla burocrazia, autonomia, autonomia e ancora autonomia. Quello che rappresenta il disegno di legge è un obiettivo non trascurabile (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Turci. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, intervengo per esprimere il voto favorevole del gruppo della Rosa nel Pugno. Condividiamo gli orientamenti e i criteri di delega contenuti nel disegno di legge e, in particolare, consideriamo importantePag. 34il riferimento e l'utilizzazione dell'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca e anche che si preveda che i finanziamenti a questi enti di ricerca siano assegnati in relazione alle risultanze del lavoro di ricerca dei singoli enti sulla base delle verifiche di tale agenzia. Ci sembra importante l'inserimento di un criterio meritocratico di cui certo non si può dire che vi siano grandi casi di applicazione nella vita del nostro mondo della ricerca e dell'università. È un indirizzo che non possiamo che appoggiare.
Sottolineo, signor sottosegretario, che abbiamo votato a favore anche del primo ordine del giorno posto in votazione questa mattina nel quale si prevedeva che, anche nel trattamento economico dei singoli ricercatori, si incominciassero ad applicare criteri meritocratici. È un principio a cui tengo in modo particolare perché - voglio ricordare - sono il presentatore di una proposta di legge sull'inserimento di criteri di valutazione nella pubblica amministrazione proprio per superare in generale, tanto più necessariamente nel mondo della scuola e della ricerca, la prassi di appiattimento ugualitaristico assolutamente inaccettabile che finisce per scoraggiare il migliore e premiare i peggiori. Se cominciamo dall'università, dai centri di ricerca, forse questo esempio potrà scendere per i rami della pubblica amministrazione fino ad arrivare a compiti meno strategici.
Richiamo inoltre l'attenzione del sottosegretario che non ho capito perché si sia «impuntato» nel non accettare l'ultima riformulazione dell'ordine del giorno della collega Poretti n. 9/2599/23, là dove, togliendo il riferimento a pubblici e privati, si chiedeva semplicemente di incoraggiare la possibilità di ricorrere ad incentivi fiscali per il finanziamento da parte dei privati della nostra università. Ritengo che sia un'esigenza che abbiamo di fronte e che dovremmo cominciare - salvo inserire adeguati criteri di valutazione del merito anche per i centri di ricerca privati - a superare la contrapposizione nel mondo della ricerca tra ricerca pubblica e privata. Sono contrapposizioni che mi paiono residui ideologici passatisti - lo dice una persona con una storia di sinistra - alla luce soprattutto dei ritardi in tanti campi della nostra ricerca scientifica e del ritardo del posizionamento complessivo dell'Italia tra i paesi avanzati nel campo della ricerca. Se non ci liberiamo di questi tabù, di questi residui passatisti non andremo da nessuna parte e perciò avrei preferito un atteggiamento diverso da parte del sottosegretario su tale questione.
Tuttavia, ciò non fa venire meno l'apprezzamento di un orientamento complessivo di riforma degli enti di ricerca e anche della loro riformulazione in termini di materie di competenza, sui quali era intervenuto negativamente il precedente Governo (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filipponio Tatarella. Ne ha facoltà.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, il voto del gruppo Alleanza Nazionale non sarà a favore del provvedimento in esame, e forse si obietterà che è ovvio, ma non sono ovvie le ragioni di tale decisione.
Non voteremo a favore del provvedimento perché - come già ho avuto occasione di affermare nei giorni precedenti - questa legge non era necessaria e forse è bene che si cominci a prendere in considerazione che si deve legiferare solo quando è veramente necessario. In tal modo si comincerebbe ad evitare, e comunque a ridimensionare, quel fenomeno dell'elefantiasi legislativa - che già conosciamo e nel quale già ci troviamo - e più che altro si ricomincerebbe a restituire alle leggi e alle norme la loro costitutiva certezza.
Non voteremo a favore di questo disegno di legge perché esso presenta ancora gravi lacune, ma una di esse, per me, è essenziale. Non farò come i precedenti oratori, ovverosia non mi riferirò a quanto non è realizzato con tale provvedimento, però intendo affermare che quanto è sfuggito nella realizzazione del provvedimentoPag. 35è il cogliere l'occasione per considerare ab imis la grande problematica della ricerca. Francamente ciò rappresenta il vero problema.
D'altra parte, se è questo il vero problema, con il disegno di legge in esame apriremo una strada perché si possa cogliere questa occasione.
Non voteremo a favore del provvedimento più che altro perché con esso abbiamo disegnato una mappa, ma la selva sarà esplorata dalla successiva decretazione, ed allora su ciò non ci sentiamo di fare un'apertura di credito, poiché non abbiamo alcuna certezza che la decretazione successiva andrà nell'unica direzione possibile - come dicevo poco fa - ovverosia quella del bene degli enti e della ricerca, considerando la situazione davvero daccapo e dal suo fondamento. Non siamo certi che le weltanschauungen non prevarranno sul bene essenziale della ricerca.
Tuttavia, il nostro voto non sarà contrario, almeno per due motivi, forse tre.
Prima di tutto perché il disegno di legge, come è noto, è stato molto migliorato proprio con il contributo decisivo - del resto lo si può verificare dagli atti dell'iter legislativo - dell'opposizione e specificamente di Alleanza Nazionale, dunque non possiamo smentire noi stessi. In questo modo - come è già stato affermato - i punti di criticità contenuti nel presente disegno di legge, essenzialmente nei commi 3 e 4 dell'articolo 1, sono stati superati.
Non voteremo contro anche per un'altra ragione, per una sorta di riconoscimento nei confronti del sottosegretario Modica e della relatrice Ghizzoni, i quali hanno voluto aprire, non alle nostre ragioni, ma - direi - alle altre obiettive ragioni da noi rappresentate.
Abbiamo apprezzato ciò e d'altra parte questa apertura ha dato degli esiti assolutamente fecondi, che stanno sotto gli occhi di tutti, e si tratta dunque di un altro motivo per cui non voteremo contro il provvedimento in esame.
Ora, è ovvio che ci rimane una sola possibilità, astenerci: è esattamente quello che faremo. Dichiariamo il nostro voto di astensione e tale astensione ha due significati, il primo dei quali è il fatto che non potevamo, per i motivi che abbiamo già detto, votare a favore perché non condividiamo totalmente il provvedimento in esame e, inoltre, abbiamo difficoltà a fidarci e ad affidarci completamente ora, a priori, alla decretazione futura. Tra l'altro, però, la nostra astensione significa pure un'apertura di credito alla futura decretazione e così la maggioranza ha immediatamente la possibilità, un'occasione per dimostrare di meritarsi questa apertura di credito. Infatti, il provvedimento in esame adesso sarà trasmesso al Senato: ebbene, gli aspetti che non sono stati migliorati alla Camera, possono essere subito migliorati al Senato.
Come dicevo, abbiamo fatto tale apertura di credito, abbiamo contribuito a stabilire i principi generali su cui si fonderà la futura decretazione: ora vediamo cosa riuscirete a fare, se il bene della ricerca sarà doverosamente l'unico oggetto e l'unico fine dei futuri provvedimenti. Noi vigileremo, come sempre, ma, se possibile, questa volta ancora di più (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Simone. Ne ha facoltà.
TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che sul testo in esame sia stato svolto davvero un ottimo lavoro in VII Commissione. Si tratta di un testo molto importante e molto atteso da parte della comunità scientifica e degli enti di ricerca. Dunque, il passaggio di oggi è davvero significativo nella direzione di garantire autonomia statutaria agli enti di ricerca pubblici, così come già previsto per l'università, nella salvaguardia di un principio essenziale che è quello della libertà e dell'autonomia della ricerca scientifica. In Commissione è stato fatto un buon lavoro, come è stato ricordato anche ieri durante la discussione generale e in sede di illustrazione degli emendamenti. VaPag. 36dato atto alla maggioranza e all'opposizione insieme, alla relatrice, al presidente della Commissione e al Governo di aver svolto un lavoro minuzioso, puntuale, anche leale e di confronto.
Infatti, il testo trasmesso dal Senato presentava aspetti deboli, a volte anche molto confusi, che avevano suscitato perplessità e critiche, per quanto ci riguarda anche condivisibili, da parte del mondo scientifico e delle organizzazioni sindacali su alcuni aspetti. Il Senato ci aveva consegnato - vorrei ricordarlo - un testo nel quale, a regime, gli statuti degli enti dovevano essere emanati con decreto del Ministero dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti. E in sede di prima applicazione della norma, secondo quel testo, il Governo avrebbe dovuto nominare una o più commissioni composte da esperti per la formulazione degli statuti.
In Commissione, anche sulla spinta - mi sia concesso - degli emendamenti presentati dal mio gruppo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, che individuavano interventi migliorativi su tali questioni, è stato osservato che le norme così formulate negavano di fatto il principio dell'autonomia e anche il sottosegretario Modica lo aveva rilevato. Tale principio, però, costituiva da questo punto di vista il cardine del provvedimento in esame e, quindi, doveva essere tutelato e garantito dal disegno di legge di delega oggi alla nostra attenzione per la votazione finale.
Gli emendamenti presentati dal gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea riguardavano questa specifica questione, cioè i principi di autonomia contenuti nella delega, nonché l'aspetto non secondario - lo vorrei sottolineare - di una più ampia garanzia di rappresentanza della comunità scientifica interna agli enti di ricerca, a partire, naturalmente, da chi svolge attività di ricerca e lavora in condizioni - è stato sottolineato in questa sede - spesso precarie, con poche risorse. Per tale motivo, questo lavoro va valorizzato, va sostenuto e va riconosciuto, anche in termini di partecipazione e di rappresentanza.
Si è intervenuti con proposte emendative anche su tali aspetti, su cui vi erano oggettivamente delle correzioni da apportare. I nostri emendamenti sono stati assorbiti da quelli presentati dalla Commissione, anche a seguito alla proposta di riformulazioni intervenute in Assemblea nella discussione di ieri.
L'emendamento 1.100 della Commissione, in particolare, riassume il senso di quello presentato dal gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea. Riformulando l'articolo 1 del provvedimento, esso prevede un meccanismo in base al quale, a regime, gli statuti verranno formulati ed approvati dagli organi statutari degli enti. Il Ministero si limiterà ad effettuare un controllo di legittimità e di merito che sarà sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti. Infine, lo statuto verrà emanato dall'ente di ricerca medesimo.
Tale proposta stabilisce che, in sede di prima attuazione della norma, i consigli scientifici degli enti, integrati da cinque rappresentati della comunità scientifica, nominati dal Governo, effettueranno la prima proposta dello statuto.
Riteniamo che i principi di autonomia, cui fa riferimento in primis il provvedimento in discussione, con tale intervento, siano ampiamente garantiti e che sia stato svolto un buon lavoro di correzione, rispetto al testo trasmesso dal Senato.
Vorrei, altresì, aggiungere che, dal punto di vista della rappresentanza, come affermato in precedenza, per quanto riguarda, ad esempio, la composizione dei comitati che selezioneranno le rose di esponenti entro cui verranno individuati i presidenti ed i componenti dei consigli di amministrazione, rispetto alla stesura formulata al Senato, è stata apportata, sulla base di un emendamento presentato dal nostro gruppo, una modifica che tende ad inserire una clausola di salvaguardia - se vogliamo utilizzare questi termini - che garantisce alla comunità interna, alla comunità scientifica, nonché alle commissioni scientifiche un ruolo importante in questo percorso.Pag. 37
Tale clausola, quindi, garantisce una più ampia rappresentanza, a partire dai rappresentanti eletti dai ricercatori, e costituisce sicuramente un antidoto efficace nei confronti di quei corporativismi - che non giovano alla qualità, all'efficacia del nostro sistema pubblico dell'università e della ricerca - che proprio l'autonomia statutaria, come sancito finalmente dal provvedimento in discussione, tende a mettere in discussione ed a superare.
Vorrei sottolineare un'ultima questione di merito. Con un ordine del giorno accolto dal Governo, abbiamo segnalato l'esigenza - poi condivisa dalla maggioranza e dalla relatrice - di estendere i principi di autonomia (previsti nel provvedimento in discussione, per gli enti di ricerca vigilati dal MUR) anche a tutti gli altri enti di ricerca pubblici. Esiste, infatti, l'esigenza di non creare una frammentazione e una divaricazione fra i vari enti - a livello di funzionamento, di modalità organizzative e di autonomia - ma, al contrario, di rafforzare quegli elementi di coordinamento, di armonizzazione, di programmazione comune ed i principi di autonomia condivisi (anche dalla nostra Costituzione) e di estendere, quindi, i citati principi e meccanismi a tutti gli enti di ricerca.
Vorrei ricordare che l'ordine del giorno accolto dal Governo si muove in tale direzione. Pertanto, con un successivo provvedimento utile fra quelli che verranno posti all'attenzione del Parlamento, si lavorerà per garantire tale estensione.
A mio avviso, pertanto, sul piano del merito vi sono molti elementi in termini di avanzamento e miglioramento nei processi di democratizzazione, di autonomia e di rappresentanza, maggiormente ampia e partecipata da parte del mondo scientifico; elemento di salvaguardia fondamentale della libertà della ricerca e della sua autonomia.
Tuttavia, vorrei aggiungere alcuni elementi di rammarico a tali considerazioni, soprattutto, in relazione alla discussione che si è svolta in merito agli ordini del giorno. A tal proposito, vorrei richiamare, in particolare, due ordini del giorno, il primo presentato da esponenti di Forza Italia e dei Verdi ed il secondo presentato da parte di esponenti del gruppo parlamentare della Rosa nel Pugno.
PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere.
TITTI DE SIMONE. Innanzitutto, mi dispiace che non vi sia stata una partecipazione di tali gruppi alla discussione che si è svolta in Commissione, perché sarebbe stata opportuna. Inoltre, vi sono elementi di impostazione ideologica che non condividiamo. Si tratta di un'impostazione per certi versi anche liberista che nasconde elementi di ipocrisia (come è stato detto al collega Burgio): intervenire, infatti, in termini di privatizzazione o di elementi che tendono alla privatizzazione costituisce un danno per la qualità della nostra ricerca pubblica che deve essere libera e autonoma da interessi privati e di mercato, in particolare.
Inoltre, vi è un elemento di demagogia che va superato: le università private nel nostro Paese vivono di finanziamenti pubblici. Tale elemento va detto e chiarito. Mi rivolgo ai colleghi della Rosa nel Pugno: è necessario fare chiarezza sulle relative posizioni.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TITTI DE SIMONE. Sto per concludere. Quando facciamo riferimento agli interventi privati, bisogna tenere conto che le università private vivono di finanziamenti pubblici. Qualora si voglia affrontare il problema delle imprese, è necessario far presente che sono queste ultime a non investire sufficientemente nelle imprese sulla ricerca e sull'innovazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TITTI DE SIMONE. Ritengo che quanto affermato da chi difende la formazione pubblica e la laicità e che, in questa sede, ha svolto, invece, un ragionamento teso unicamente agli interessi del privato ePag. 38della privatizzazione della ricerca, presenti un elemento di demagogia e di ipocrisia di fondo che non può essere accettato.
Per tali considerazioni complessive, preannunzio l'espressione del voto favorevole sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, vorrei svolgere solo poche considerazioni in quanto è stato già detto molto e si corre il rischio di ripetersi. In conclusione, vorrei far presente che, dall'ultimo intervento della collega De Simone - non me ne voglia -, che ha sempre opinioni chiare e ben delineate, si evince la strana anomalia che ha presieduto al dibattito svoltosi in Commissione e in aula sul provvedimento in discussione. Si tratta di una strana anomalia, determinata da mezzi riconoscimenti, modifiche parziali ed atteggiamenti che, sinceramente, non capisco.
Ci troviamo in presenza - è bene dirlo una volta per tutte - di un provvedimento che ha preteso di cancellare, con una superficialità degna di migliore causa, tre significativi atti emanati dal Governo Berlusconi e dall'allora Ministro Moratti, i quali riordinavano il Consiglio nazionale delle ricerche, l'Agenzia spaziale italiana, l'Istituto nazionale di astrofisica e l'Istituto nazionale di ricerca metrologica.
Come già affermato nel mio intervento introduttivo e lo ribadisco adesso, non si è considerato che tali provvedimenti - che, all'epoca ebbero il sostanziale nulla osta dell'opposizione, oggi maggioranza - necessitavano e necessitano ancora di un periodo di transizione.
Nell'ambito di ogni discussione e valutazione, al di là di timidi emendamenti, ritengo che la volontà consociativa, nonostante tutto, prevalga sempre in Parlamento. Si tratta di una specie di ossessione della scena politica italiana, sia a livello nazionale che locale, che impedisce un autentico dibattito e bipolarismo.
Ritengo che quando si è di fronte a comportamenti che diversificano in profondità l'atteggiamento o l'opinione di un Governo rispetto a quello precedente, modifiche marginali, che non risolvono il problema fondamentale della diversità di approccio, non hanno assolutamente senso.
In questa sede, è abbastanza ridicolo esprimersi con cauti distinguo - non me ne vogliano i colleghi - in merito ad un provvedimento che è accolto parzialmente o meno. Vi è una richiesta fondamentale che l'attuale minoranza ha avanzato ed è l'illustrazione chiara dei criteri sulla base dei quali il Governo si è mosso, prescindendo totalmente dall'operato del Governo precedente. In merito a ciò, non è stato fatto nulla e non è stato detto nulla; pertanto, credo di dover confermare la valutazione contraria espressa all'inizio dal gruppo di Forza Italia, ulteriormente motivata da una sorta di commedia delle parti che abbiamo riscontrato anche in questa sede.
Quali sono gli elementi fondamentali, oltre quelli che ho già citato, che confermano il nostro atteggiamento politico di netta contrarietà al provvedimento in esame? Intanto, non basta modificare i commi che hanno definito in termini diversi l'autonomia statutaria degli enti: troppo poco, a nostro modo di vedere, perché permangono finalità oggettivamente diverse.
Manca, poi, una strategia globale; ad esempio - è emerso anche dalla risposta del Governo nei confronti di molti ordini del giorno - è assente una valutazione sugli obiettivi della ricerca italiana e, soprattutto, sull'apporto dei privati. Manca questa dimensione strategica che deve essere finalizzata ad alcuni obiettivi anche con la volontà di sburocratizzare questi enti ed organismi, esprimendo un giudizio sull'operato passato e sulle prospettive future, in riferimento alle esigenze della comunità scientifica e del mondo imprenditoriale e della ricerca; altro punto sul quale vogliamo sviluppare il nostro dibattito e sul quale abbiamo notato una certa latitanza ed un certo imbarazzo da parte della maggioranza.Pag. 39
Non si può fare ricerca, se non ci si collega direttamente con il mondo produttivo tout court e se non si è sensibili alle esigenze di quel mondo, non per fare l'interesse della grande impresa, ma perché quel mondo, dai lavoratori dipendenti agli operatori, a tutta una serie di figure professionali fino all'imprenditore, necessita di strumenti che devono operare in sinergia.
Manca però, a questo punto, anche un approfondimento sul ruolo delle regioni e degli enti locali che, in modo surrettizio, a suo tempo, furono inserite nella competenza della ricerca scientifica. Io stesso, come dissi all'inizio, ho molte riserve sulla possibilità che tutte le regioni riescano a realizzare qualche obiettivo in un settore delicato come questo. Occorre, invece, dare prevalenza all'interesse dello Stato, all'interesse nazionale, ponendo in essere, attraverso anche la Conferenza Stato-regioni, azioni sinergiche con quelle delle regioni, soprattutto con quelle più sviluppate e più popolose - mi vengono in mente quelle del Nord - che, disponendo di una ricca rete produttiva, di un tessuto produttivo particolarmente vivace e operoso, possono produrre di più in tale settore. Ovviamente, ciò non deve avvenire a discapito delle altre regioni che però sono prive di un apparato produttivo, per cui si avverte anche la necessità di diversificare l'approccio a queste tematiche, tenendo in considerazione le diverse aree territoriali.
Si tratta però di un discorso che ci porterebbe lontano ma che dobbiamo sviluppare e lo dico a coloro che, in ogni momento, parlano di federalismo e poi non ne traggono le conseguenze. Tutto però - lo ripeto - è subordinato all'interesse nazionale ed alla necessità di definire un quadro prioritario degli enti di ricerca.
Cosa dire, poi - e chiudo - sulla governance degli enti di ricerca, ancora non ben definita? Ho visto i punti in cui si fa riferimento agli statuti ed alla loro stesura da parte dei consigli scientifici di ciascun ente. Nonostante queste timide modifiche, non riesco a liberarmi dal sospetto, che è quasi certezza, che il Governo voglia mantenere la sua presenza, che va al di là della sua necessaria competenza, sugli enti di ricerca per condizionarli in ogni modo e a seconda delle circostanze.
Un minimo di stabilità deve essere garantita: non a caso abbiamo fatto riferimento all'Istituto italiano di tecnologia - insisto su questo fatto - che ha dato prove splendide; è stato riconosciuto unanimemente dalla comunità scientifica; gode di attestati di fiducia da una serie di organismi. Anche di fronte a questa realtà, il Governo si nasconde dietro la possibilità di incorporare questo Istituto, modificandone la sua natura, in un altro ente, venendo ovviamente meno, a mio modo di vedere, al dovere che compete al medesimo: mi riferisco al fatto di dover riconoscere nei fatti, non solo a parole, quelle realtà che eccellono nel nostro Paese.
Do atto ai colleghi che si sono attivati per cercare di introdurre alcuni miglioramenti in un testo che, di per sé, ha il vizio di origine di volere tranciare con un colpo netto tutta l'esperienza pregressa: di fronte a ciò, permane la nostra netta contrarietà, perché, ripeto, mancano i presupposti anche per un parere cautamente positivo, di fronte alla volontà di introdurre elementi di novità che non abbiamo ancora visto chiaramente segnati, solo delineati a parole, ma che lasciano alquanto perplessi sul futuro di tali enti di ricerca.
Avevamo nel passato attuato un indirizzo di riordino ben preciso, assumendoci la responsabilità, definendo anche i tempi di realizzazione e di transizione. Oggi, non abbiamo di fronte una proposta altrettanto concreta e alternativa, soltanto la volontà di troncare con il passato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tessitore. Ne ha facoltà.
FULVIO TESSITORE. Signor Presidente, il provvedimento in esame che ci accingiamo a votare è di certo un provvedimento urgente che sconta una serie assai grave di errori risalenti in prevalenzaPag. 40alla scorsa legislatura. Come vede, onorevole Garagnani, non mi sottraggo e non sarò reticente nella valutazione.
Ho vissuto nell'altro ramo del Parlamento quel periodo di vita politica e devo, purtroppo, constatare che oggi ci troviamo di fronte alle conseguenze negative - non voglio dire le macerie - provocate da scelte legislative sbagliate nel metodo più ancora che nella sostanza. Da ciò in prevalenza deriva l'urgenza del provvedimento in esame. Non si esitò, anche grazie alla legge sullo spoil system, che, pur prodotto della sinistra, non esito a definire sbagliata, a procedere ad un commissariamento generalizzato degli enti di ricerca, ad iniziare dal CNR, per attuare un'ennesima riforma degli enti. Ho ancora vivo il ricordo di due audizioni al Senato dell'allora commissario del CNR e del commissario dell'Istituto italiano di tecnologia che mi dettero chiara la sensazione dell'improvvisazione, la quale nascondeva una scelta ben precisa che, tuttavia, era surrettiziamente avanzata.
Si trattò, infatti, della volontà di smantellare una precedente riforma che richiedeva modificazioni anche radicali, ma non certo una sostituzione completa solo perché era cambiata una maggioranza di Governo. Tant'è che, nella sostanza, si conservava, pur se potenziata e unilateralizzata, la scelta di privilegiare criteri produttivistici (come si vede, sono estremamente chiaro), i quali, certamente importanti in sé, sono però, se assolutizzati, incompatibili con la ricerca scientifica e, specie, con la ricerca di base, che non è solo di ambito umanistico, ignorando o fingendo di ignorare che anche lo sviluppo e il potenziamento della ricerca applicata non hanno forza espansiva se viene depressa la ricerca fondamentale.
In tale direzione andò, per esempio, l'accorpamento di istituti di grande tradizione che avevano rappresentato momenti di alto rilievo per l'autorevolezza della ricerca italiana nel mondo; potrei fare esempi sia nell'ambito tecnologico che nell'ambito umanistico: ricordo, per esempio, l'Istituto Papirologico Girolamo Vitelli.
Sia chiaro: non nego l'opportunità - o, se si vuole, la necessità - del rapporto fra ricerca e sistema produttivo ed industriale. Quel che non è accettabile è la subordinazione della ricerca scientifica a questa esigenza, che implica - fra l'altro - l'agonia e la scomparsa della ricerca libera ed individuale, che spesso non è meno rilevante dell'altra, poiché è sorretta dalla forza della fantasia e dell'inventiva. In proposito, desidero citare le parole di un testimone insospettabile, il Primo Ministro del Governo di destra francese, Fillon; questi, lo scorso 3 luglio, ha dichiarato: «Io non sarò fra coloro che sacrificano la ricerca fondamentale con il pretesto che essa è improduttiva nel breve termine, ma, all'opposto, favorirò l'evoluzione dei nostri grandi organismi pubblici».
Nello stesso senso, considero grave lo smantellamento generalizzato della rilevanza dei consigli scientifici a vantaggio dei consigli di amministrazione: ne è esempio, ancora una volta, il Consiglio nazionale delle ricerche, nel quale, per tale via, si è rafforzata la burocratizzazione a tutto danno della ricerca. Si è giunti infatti a regolare la vita degli istituti in base al criterio delle commesse. In proposito, mi domando quale possa essere, ad esempio, la commessa conseguita dall'edizione critica di Giambattista Vico (non lo dico perché sono uno studioso di ambito umanistico o perché ho diretto per molti anni l'istituto del Consiglio nazionale delle ricerche a ciò dedicato): ricordo anzi, a scanso di equivoci, che quelle edizioni sono state assunte come testi base per le traduzioni di Vico, ad esempio, negli Stati Uniti e in Giappone, che pure mi pare siano Paesi di alta ed avanzata ricerca applicata. Ancora una volta, però, il discorso concerne tutta la ricerca di base: e si badi che non sto cedendo alla concezione retorica di un paleo-umanista.
Ci troviamo in una fase in cui si lamenta - proprio da parte delle forze politiche e culturali della destra, forse con qualche enfatizzazione - la crisi dei valori etici considerati la base del vivere civile. Mi domando allora come si possa contestare la centralità della ricerca di basePag. 41(quella che è improduttiva a breve termine). Ma, anche su questo punto, il discorso è ben più ampio, se è vero com'è vero che lo stato attuale della ricerca è caratterizzato dall'interazione fra i saperi positivi di diversi ambiti. È vero o non è vero che un ruolo determinante è oggi svolto dalla biotecnologia e dalla bioetica? Se così è, è evidente la - direi - «costretta» urgenza di una riforma degli enti di ricerca che, tuttavia, risponda a criteri di sistematicità ed organicità - come precedentemente non è stato - e che soprattutto sia consapevole della straordinaria trasformazione culturale in atto: una trasformazione di categorie epistemologiche, di concetti etici, di valori comportamentali. Vorrei però in proposito aggiungere anche un altro dato a proposito del gioco al massacro della ricerca italiana: se è vero che l'Italia si colloca ad uno degli ultimi posti quanto a finanziamenti della ricerca - in un precedente intervento ho esposto i termini della consistenza di tale finanziamento - è vero anche che essa si colloca ai primi posti quanto a risultati.
Direi il falso se dicessi che il provvedimento che ci accingiamo a votare è il migliore possibile: debbo però osservare che, specie a seguito delle modifiche apportate dalla Camera dei deputati, esso contiene una serie di elementi positivi, che potranno essere efficaci, in particolare, se la delega sarà esercitata dal Governo con piena consapevolezza delle questioni in essere, molte delle quali sono emerse nel corso delle nostre discussioni. Nella direzione giusta vanno taluni principi, che richiamo rapidamente: la centralità del merito scientifico nella scelta dei direttori degli organi; la valorizzazione dei consigli scientifici e il rispetto delle professionalità; l'internazionalizzazione; la sinergia con il sistema produttivo e, in special modo, con il sistema della ricerca universitaria (cui fa riferimento un ordine del giorno, sottoscritto dalla collega Sasso e da me, che il Governo ha accolto), anche allo scopo di evitare duplicazioni, sperperi e parcellizzazione; il contrasto delle duplicazioni (che è avvenuto attraverso molti istituti nazionali di ricerche ed attraverso l'Istituto italiano di tecnologia).
Le motivazioni ora riassunte giustificano il voto favorevole del gruppo dell'Ulivo, che intende sollecitare la maggiore condivisione della riforma con le forze dell'opposizione anche in sede di monitoraggio parlamentare delle norme delegate, onde evitare l'errore del succedersi e sovrapporsi di riforme «fasulle» ad ogni cambio di maggioranza, condizione, questa, davvero infelice per la ricerca scientifica e per il Paese tutto.
Voglio concludere parafrasando, ancora una volta, Fillon - pur se nel farlo non sono sospettabile di eccessive simpatie - e dirò, allora, che per riformare, come è necessario, gli enti di ricerca e, quando sarà il momento, l'università, dobbiamo saper ricordare ed utilizzare tutta la nostra tradizione spirituale, filosofica e scientifica e tutta la nostra ambizione repubblicana e democratica, altrimenti il fallimento è sicuro, come purtroppo è accaduto altre volte.
PRESIDENTE Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, preannunzio il mio voto contrario sul provvedimento in esame, pieno di buoni propositi, come quello di favorire la ricerca applicata in Italia.
Chiariamo subito un concetto: la ricerca applicata non esiste, esiste l'applicazione della ricerca e l'applicazione della ricerca può anche non avvenire nell'immediato. Guai a far mancare i fondi, pubblici o privati, ad una ricerca che non produce immediatamente i suoi frutti! Sarebbe come far mancare i mezzi ad un bambino! I nostri figli ci chiedono da mangiare e da bere anche se non producono niente, ma nel bambino di oggi c'è lo scienziato, il filosofo, il medico, l'ingegnere di domani.
Ho sentito parlare di una strategia per attrarre capitali stranieri alla ricerca italiana: mi chiedo come ciò sia possibile, dalPag. 42momento che abbiamo approvato leggi che limitano la libertà di ricerca in Italia, sotto l'influsso mai chiarito di un rapporto fra Stato e Chiesa cattolica! Nel 1870, quando entrarono a Roma, i bersaglieri non portarono solo le bandiere dello Stato italiano, ma quelle della libertà, della fede nel progresso e della libertà della scienza.
Credo che quei bersaglieri debbano tornare a Porta Pia, altrimenti non vi sarà più futuro per la ricerca in Italia (Applausi di deputati del gruppo La Rosa nel Pugno)!
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Signor Presidente, intervengo brevemente per rivolgere un saluto al personale dell'amministrazione che ci ha accompagnato in questo percorso legislativo con la consueta perizia. Voglio soprattutto ringraziare, oltre il sottosegretario Modica per la sua disponibilità, anche i colleghi e le colleghe della VII Commissione e, in particolare, le colleghe (chi ha partecipato ai lavori del Comitato dei nove comprende il senso delle mie parole). Signor Presidente, nel conseguimento dell'esito finale del provvedimento al nostro esame molto peso ha avuto, infatti, il pragmatismo femminile, e credo che le colleghe siano concordi con me.
PRESIDENTE. È un buon precedente per gli altri provvedimenti legislativi.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Rivolgo, inoltre, un ringraziamento a tutti colleghi ed al presidente Folena, perché credo che si sia aperta una via interessante per trovare soluzioni condivise, signor Presidente.
Desidero, infine, rivolgere un ringraziamento a tutti i colleghi, perché nessuno si è sottratto a trovare tenacemente una soluzione condivisa sui punti di maggiore criticità del provvedimento al nostro esame, nonostante vi siano state - e vi siano - diverse, ed in alcuni casi lontanissime, visioni generali sulla ricerca pubblica e sulla sua missione. Questa consapevolezza e questo atteggiamento consapevole di collaborazione assunto da tutti - che non è, onorevole Garagnani, una parte in commedia - ha permesso di giungere ad una ampia convergenza su alcune proposte emendative migliorative del provvedimento, che prevedono una definizione dell'autonomia statutaria in coerenza piena al dettato costituzionale. Si è trattato di una assunzione di responsabilità che gioverà al settore della ricerca pubblica, ponendolo nelle condizioni di prefigurare ed adottare un assetto ed un sistema di governo più efficaci per assolvere alla sua missione istituzionale.
È un'assunzione di responsabilità, che dimostra quanto l'abbandono della polemica politica fine a se stessa consenta di prefigurare riforme di respiro ampio, che forniscano veri meccanismi di innovazione, di sviluppo sociale ed economico al Paese; che abbiano soprattutto la forza intrinseca, come diceva l'onorevole Tessitore, di superare le alternanze dei singoli Governi insomma; che diano certezza e stabilità al nostro Paese, e tutti sappiamo bene di quanta certezza e stabilità abbia bisogno l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Verdi).