Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Mancati controlli nei confronti di una giornalista che ha indossato il velo islamico integrale - n. 2-00263)
PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00263 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, è di queste settimane un dibattito, a volte anche surreale, sulla questione del velo islamico e sulla questione più generale dell'ostentazione dei simboli religiosi. A fronte dell'interpellanza che sto per esporre, tale dibattito diventa ancora più surreale ed anche esilarante. Il tema non è, in questo caso, quello della legittima, anche dal punto di vista costituzionale, libertà di manifestazione delle proprie opinioni religiose, ma come queste si concilino con i principi ed i valori del nostro ordinamento giuridico.
Nel caso in esame, si riporta un'inchiesta pubblicata sul quotidiano La Stampa di domenica 26 novembre 2006, realizzata da una giornalista molto brava, tale signora Francesca Paci, dal titolo: «Invisibile per un giorno e nascosta dal niqab. Coperta da capo a piedi, all'aeroporto nessun controllo». L'articolo commenta, fotograficamente, la giornata di questa signora, vestita alla maniera islamica con un velo integrale e documenta come l'interessata si sia mossa nell'aeroporto di Fiumicino.
Ha fatto la carta d'imbarco, esibendo un documento, ma senza essere identificata dagli addetti che presumo appartengano ad Alitalia; ha fatto il controllo al metal detector, anche questo è documentato fotograficamente, con il velo integrale, senza essere identificata e per di più - a detta della giornalista - passando con una borsa piena di tutto ciò che, secondo le nuove disposizioni antiterrorismo, è vietato portare nel bagaglio a mano. È stata in una circoscrizione del comune di Roma, dove le avrebbero rilasciato un certificato di nascita e di residenza senza essere identificata. Avrebbe infine passeggiato indisturbata in piazza Colonna e attorno a palazzo Chigi alla presenza di forze dell'ordine senza essere identificata. Tralascio la parte singolare di un incontro con un ministro della Repubblica che le avrebbe assicurato che non ci sarebbe stata nessuna legge sul velo islamico, dimenticando che esistono norme - come quella che noi citiamo del 1975 - che contemperano l'esercizio della libertà religiosa e, quindi, l'ostentazione dei simboli religiosi con l'esigenza della tutela di un interesse importantePag. 12come quello della sicurezza pubblica che obbliga a sottoporsi comunque all'identificazione.
A fronte di tutto questo non abbiamo riscontrato alcuna reazione né da parte del Governo né da parte specificatamente del Ministero dell'interno rispetto ad un fatto che riteniamo molto grave, non per la circostanza che la signora camminasse per strada ostentando un simbolo religioso che rispettiamo - anzi, abbiamo anche sottolineato come i cittadini di Roma siano stati molto disponibili con questa signora dimostrando in questo modo grande tolleranza e un sentimento di integrazione -, ma per la mancata applicazione di norme che sono presenti nel nostro ordinamento ormai da più di trent'anni e che sono a presidio della tutela e della sicurezza nazionale. Aggiungo che è evidente che questa circostanza rileva l'assoluta assenza delle forze dell'ordine e la gravità del comportamento di alcuni dipendenti di Alitalia e della società preposta al controllo cui sono sottoposti tutti i cittadini italiani - e giustamente anche i parlamentari - per quanto riguarda il transito delle persone ed il bagaglio (cosa che noi accettiamo volentieri). E a fronte di ciò non si è sollevata, in queste settimane, neanche una voce di stupore e di meraviglia rispetto alla mancata applicazione di una norma che - ripeto - contempera esattamente nel nostro ordinamento due interessi costituzionalmente garantiti, cioè la libera manifestazione del proprio credo religioso e, quindi, anche l'ostentazione dei relativi simboli, con l'obbligo necessario che grava su tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla religione che professano, di essere identificati, perché ciò ovviamente è posto a tutela della sicurezza nazionale.
Noi chiediamo al ministro dell'interno di sapere innanzi tutto se sia stato verificato che i fatti riportati in maniera circostanziata e documentata anche da fotografie sono veri; gradirei inoltre conoscere se sia stata avviata un'indagine o un'attività di accertamento e se intenda adottare provvedimenti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alessandro Pajno, ha facoltà di rispondere.
ALESSANDRO PAJNO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, in relazione ai fatti citati nell'articolo «Invisibile per un giorno» richiamato dagli onorevoli D'Alia e Volontè sono stati svolti accertamenti approfonditi dai quali è risultato che effettivamente la giornalista de La Stampa è partita dall'aeroporto di Torino Caselle coperta da un velo islamico integrale.
Devo innanzitutto precisare che i controlli ai varchi centrali di quell'aeroporto sono affidati ad un istituto di vigilanza privata e che i dipendenti dello stesso istituto hanno dichiarato che in quell'aeroporto il transito di donne islamiche velate non ha carattere di eccezionalità Di conseguenza, non sembra condivisibile quanto affermato dalla giornalista sulla riluttanza del personale ad effettuare controlli accurati perché intimidito dalla diversità.
L'ufficio di polizia di frontiera ha riferito che le guardie giurate addette ai varchi di controllo avevano notato, nella particolare circostanza, la presenza tra i passeggeri di una donna velata e che le stesse guardie erano anche pronte a chiedere l'intervento di operatrici di polizia per effettuare controlli sulla persona, qualora si fossero resi necessari a seguito dell'attivazione del sistema di allarme delle apparecchiature. Le guardie giurate, tuttavia, hanno fatto presente che il passaggio della donna attraverso il metal detector non aveva determinato alcun segnale e, pertanto, non si era proceduto ai controlli sulla persona che, peraltro, quando non vi sia attivazione del sistema di allarme, di norma sono svolti a campione, secondo percentuali prestabilite. Anche il controllo radiogeno del bagaglio a mano della passeggera non avrebbe fatto rilevare la presenza di oggetti vietati. L'ufficio di polizia di frontiera di Torino ha segnalato anche che provvederà a contestare, in via amministrativa, alla società di vigilanza privata l'inosservanza dellePag. 13norme del programma nazionale di sicurezza emanato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile in quanto, nel corso delle procedure espletate nella fase di imbarco, il personale di detta società di gestione, pur richiedendo la carta di identità, non avrebbe invitato la passeggera a rimuovere il velo. L'addetta al controllo si sarebbe giustificata, riferendo di avere raggiunto la certezza sull'identità della persona attraverso la attenta verifica del documento di riconoscimento e l'osservazione della parte scoperta del viso (sembra, infatti, che la giornalista avesse occhi e naso parzialmente visibili). La società di handling dell'aerostazione di Torino Caselle è stata sollecitata anche a prestare la massima attenzione nei controlli, richiedendo opportunamente l'intervento delle Forze di polizia.
Per quanto riguarda i fatti accaduti a Roma, l'ufficio di polizia di frontiera di Fiumicino ha precisato di non avere particolari elementi di informazione relativamente al transito della giornalista in quell'aeroporto anche perché, per i voli che si muovono su tratte nazionali, non sono effettuati controlli di sicurezza o di frontiera sui passeggeri in arrivo.
Informo, inoltre, che all'ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi non risulta che una persona coperta dal niqab, o da altro manto nero, si sia avvicinata al personale della Polizia di Stato in servizio presso gli ingressi della sede del Governo. Neppure dalla lettura dell'articolo o dalle fotografie contenute sembrerebbe potersi evincere che il comportamento della donna fosse tale da potere destare qualche ragionevole preoccupazione.
Quanto all'episodio avvenuto all'interno di un ufficio comunale romano, comunico che l'impiegato del comune in servizio presso lo sportello del rilascio dei certificati anagrafici ricorda di aver notato la presenza di una donna vestita con indumenti islamici e con il volto parzialmente coperto. La stessa donna era munita di un documento di riconoscimento esaminato attentamente dall'operatore, al quale sarebbe sembrato di riconoscere le sembianze di tale persona senza bisogno di richiedere di scoprire del tutto il viso. Aggiungo, infine, che l'ufficio di gabinetto del Ministero dell'interno, fin dall'anno 2004, in risposta a specifici quesiti formulati da alcuni prefetti in ordine al problema delle persone che circolano in luogo pubblico con il volto coperto dal burqa ha precisato che, in tali situazioni, l'attivazione dei poteri di identificazione da parte del personale di polizia sembrerebbe potersi validamente esplicare alla luce di circostanza ambientali tali da costituire giustificato motivo di allarme. Un accertamento condotto in assenza di concreto interesse pubblico alla conoscenza dell'identità della persona potrebbe apparire, infatti, come inutilmente vessatorio.
PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di replicare.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, evidentemente devo dichiarare la mia insoddisfazione, anche se ringrazio il sottosegretario Pajno per la sua sensibilità e per la compiutezza della sua risposta. Non sono soddisfatto poiché, come è emerso dalla ricostruzione effettuata, i fatti sono veri e sono gravi. In particolare, sono gravi con riferimento al comportamento della società di vigilanza e con riferimento al controllo che la polizia di frontiera deve effettuare su questo personale che svolge funzioni sussidiarie di sicurezza molto delicate e importanti e sono gravi anche al di là della circostanza che il bagaglio a mano fosse o meno sensibile al controllo effettuato.
In ogni caso, la circostanza in sé avrebbe dovuto indurre ad applicare la procedura standard messa in atto nei confronti di tutti i cittadini italiani, che, quindi, non ha alcun carattere discriminatorio. Mi riferisco all'identificazione del soggetto e al controllo sul bagaglio a mano. Tale procedura, lo ripeto, viene applicata, giustamente, nei confronti di tutti e sempre.
Si tratta di fatti gravi su cui mi auguro il Governo voglia intervenire con maggiore durezza, affinché non si verifichino più, non costringendoci a tornare sull'argomento.Pag. 14
Sono fatti gravi con riferimento al comportamento tenuto da parte della circoscrizione romana. Infatti, quando si richiedono determinati documenti, come un certificato di residenza o di nascita, vi è l'obbligo di effettuare l'identificazione e l'annotazione del soggetto richiedente. Si tratta, infatti, di dati sensibili che devono essere trattati avendo la certezza dell'identità del soggetto richiedente. Quindi, è grave che questo fatto si sia verificato ed è grave che nessuno abbia provveduto all'identificazione.
È ulteriormente grave la circostanza segnalata relativamente al fatto che non risulti alcun comportamento del tipo citato innanzi a Palazzo Chigi. Infatti, la documentazione fotografica pubblicata da La Stampa localizza questa signora che passeggia esattamente di fronte a Palazzo Chigi, in piazza Colonna, che ferma dei passanti o quant'altro. Quindi, vi sarebbe stato, in base alla legge n. 152 del 1975, l'obbligo dell'identificazione.
È grave che si dia un'interpretazione che non ha nulla a che vedere con la tutela della libertà religiosa, per evitare la discriminazione rispetto all'ostentazione del simbolo religioso, ossia che si teorizzi che il processo di identificazione venga attuato in base ad una valutazione assolutamente discrezionale e di circostanze ambientali. Mi dispiace che il Ministero abbia dato questo tipo di interpretazione. Ciò, infatti, non aiuta né i processi di integrazione degli islamici o di altre confessioni religiose, né il sistema della sicurezza. Al contrario, quanto accaduto rende ancor più inquietante l'opinione dei cittadini rispetto a questo tema e, quindi, non svolge neanche una funzione pedagogica.
Credo che su questo tema il Governo debba, con maggiore determinazione (mi si passi il termine non polemico nei confronti del sottosegretario Pajno), con maggiore serietà ed approfondimento, riconsiderare l'applicazione di norme che hanno retto e reggono nel nostro ordinamento da più di trent'anni, che sono a presidio della tutela dell'incolumità pubblica e che garantiscono i diritti di libertà religiosa, come tutti vogliamo.
Mi auguro vi sia un'inversione di rotta totale, perché altrimenti dovremmo ritornare su questo argomento. Ci riteniamo insoddisfatti e, aggiungo, fortemente - lo ripeto: fortemente - preoccupati.