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Discussione della proposta di legge: Buemi ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall'Assemblea il 18 luglio 2006) (A.C. 525-bis); e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella (A.C. 372-662/bis-663/bis-665/bis-1122/bis-1266/bis-1323/bis-1333/bis) (ore 9,37).
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 525-bis ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Buemi.
ENRICO BUEMI, Relatore. La ringrazio, signor Presidente.
Svolgerò alcune brevissime considerazioni.
Anzitutto, voglio rivolgere un particolare ringraziamento al Governo, e in particolare al ministro Mastella e al sottosegretario Li Gotti, per i puntuali dati forniti alla Commissione giustizia ed al sottoscritto, che hanno consentito una corretta valutazione nell'impostazione del testo da sottoporre all'esame di questa Assemblea. Un testo che mi pare abbia ricevuto, quanto meno nella discussione svoltasi stamani, l'apprezzamento della maggioranza dell'Assemblea.
Voglio aggiungere, rivolgendomi non tanto ai colleghi quanto ad alcuni mezzi di informazione che oggi parlano dell'argomento, che il testo in esame non è del ministro Mastella: il Governo ed il ministro della giustizia non hanno proposto a questa Assemblea alcun tipo di testo; come Pag. 42già è stato dichiarato a suo tempo, la responsabilità dell'iniziativa è da attribuirsi solo al Parlamento. Si tratta, infatti, di proposte legislative di iniziativa parlamentare di esponenti sia della maggioranza sia dell'opposizione, tra le quali è stato adottato un testo base, ora sottoposto all'Assemblea per una sua valutazione più puntuale. Quindi, non esiste alcuna iniziativa del Governo; peraltro, la particolare necessità di una maggioranza qualificata per l'approvazione del provvedimento impone che l'iniziativa non sia espressione della maggioranza di Governo dovendo, invece, risultare da una maggioranza più ampia e, possibilmente, non politica.
Lo stato di illegalità che esiste nelle nostre carceri deriva in primo luogo dal sovraffollamento; non vengono rispettati i requisiti standard. Requisiti fissati sia dal legislatore parlamentare sia da quello derivato, il Governo, che ha emanato i provvedimenti regolamentari. Uno Stato che non è in grado di rispettare le leggi che autonomamente si è dato è uno Stato che vive in una situazione di legalità; ebbene, a tale illegalità il provvedimento di indulto tende a porre rimedio immediato.
Ma il rimedio certamente deve tenere conto anche di altre e diverse esigenze, dall'elevata sensibilità sociale dell'opinione pubblica in materia di reati alla particolare gravità di talune ipotesi di reato che richiedono una loro esclusione dall'ambito di applicazione del provvedimento di clemenza. Di qui, il regime delle esclusioni, che derivano da un principio di ragionevolezza e di equilibrio: se il legislatore ha fissato il massimo di pena previsto per l'applicazione dell'indulto, ulteriori ipotesi di esclusione devono derivare da situazioni eccezionali; altrimenti, non si comprenderebbe perché, avendo il legislatore fissato la pericolosità di un reato mediante la dimensione della pena, poi, invece, si effettuino valutazioni ulteriori in un numero di fattispecie di reato particolarmente ampio.
Dunque, le esclusioni hanno tenuto conto di questi aspetti; anzi - e mi rivolgo ai colleghi intervenuti sulla materia -, alcuni reati sono rimasti inclusi nell'ambito di applicazione del provvedimento di clemenza e sono dunque rimasti senza una particolare menzione che ne evidenziasse l'esclusione perché non esiste, almeno stando ai dati fornitici dal ministero, alcuno stato di detenzione in funzione di quei reati. Infatti, francamente, non mi pare che alcuni reati rappresentino quella pericolosità sociale richiamata dalle preoccupazioni espresse da alcuni colleghi intervenuti stamani, perché in stato di detenzione non vi sono persone che abbiano commesso tali reati o i casi sono limitati, configurando ipotesi particolarmente residuali.
Le questioni che, invece, si pongono in termini estremamente seri sono altre; il nostro sistema carcerario manca l'obiettivo principale, ovvero la finalità rieducativa della pena. Non vi sono spazi rispondenti agli standard, non vi sono spazi per il lavoro: con riferimento ai dati forniti sui 10 mila e più detenuti che svolgono attività di lavoro, ebbene si tratta, in buona parte, di attività di tipo domestico, pulizie, piccole manutenzioni e cucine. Però, non vi è, in maniera significativa, alcuna attività produttiva nelle nostre carceri perché non vi sono spazi adeguati, e non perché non vi siano le volontà.
Gli spazi si ricavano, in primo luogo, ripristinando condizioni di non affollamento delle carceri. Non ci sono spazi adeguati per l'attività formativa, non ci sono possibilità di recupero di alcune strutture carcerarie perché la condizione di sovraffollamento impedisce l'inizio di attività di riqualificazione edilizia degli immobili. Soltanto in alcune realtà si possono attivare principi di rotazione che consentano di recuperare in maniera progressiva gli spazi che sono destinati ai detenuti.
Manca, inoltre, in maniera particolarmente significativa, il personale del trattamento. Questo è certamente un problema di spazi, ma anche un problema di organici e di risorse da destinare. Manca il personale per la medicina penitenziaria. Dobbiamo tenere presente una circostanza, vale a dire che, dopo le otto di sera, nelle nostre carceri si muore più Pag. 43facilmente che altrove, e non perché si svolgano attività illegali o sanzionabili dal punto di vista penale. La ragione è la mancanza del servizio. Perciò, la valutazione della pericolosità di uno stato di malattia, dalle otto di sera alle otto del mattino seguente, è affidata non ad un medico ma al personale di vigilanza. Infatti, in molti nostri istituti di pena, in particolare in quelli di minori dimensioni, non c'è un medico di guardia in servizio all'interno dell'istituto di pena. Sono queste le situazioni che ci fanno ritenere che un provvedimento di carattere eccezionale sia assolutamente indispensabile.
Come ultima considerazione, signor Presidente, intendo riferirmi alla richiamata questione degli extracomunitari e degli stranieri, in genere, presenti nelle nostre carceri. Nei nostri istituti di pena, gli stranieri hanno diritto al medesimo trattamento garantito agli italiani. Nello stesso tempo, però, il provvedimento che mette fine alla pena, o indulto, essendo condizionato alla restituzione del detenuto al paese d'origine, non può intervenire in base a semplice volontà unilaterale dell'Italia. Deve perfezionarsi attraverso accordi bilaterali, che - come i colleghi sanno perfettamente - necessitano di un certo tipo di preparazione e anche della volontà dei paesi di provenienza dei detenuti di accoglierli nuovamente e in maniera rispondente ai principi posti dal diritto internazionale. In altri termini, non devono essere eseguite le pene di morte e il trattamento, riguardo alle persecuzioni politiche, deve essere conforme alla normativa internazionale.
Tali questioni, dunque, ci fanno ritenere questo provvedimento particolarmente meritevole di approvazione e spero che la successiva fase di valutazione delle proposte emendative ci conduca ad una sua rapida approvazione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo è stato chiamato in causa da alcune osservazioni dell'onorevole Consolo. Formulando una domanda interlocutoria, l'onorevole Consolo ha osservato che, dinanzi ad una popolazione carceraria destinata ad aumentare e che si è effettivamente accresciuta negli ultimi anni, si risponde non con l'indulto ma costruendo un maggior numero di istituti carcerari. L'onorevole Consolo ha chiesto al Governo di fornire, eventualmente, dati rispetto a questo inquietante interrogativo. Il Governo, però, ha già fornito questi dati alla Commissione giustizia della Camera, della quale l'onorevole Consolo è un componente.
I dati sono stati forniti, quindi, alla sua attenzione. Da essi risulta che, con gli istituti carcerari attualmente in fase di realizzazione, si prevede la possibilità, in tempi mediamente brevi, di aumentare la capacità di contenimento della popolazione carceraria di 5 mila unità, rispetto agli attuali 42 mila posti.
Salva la realizzazione di nuovi istituti carcerari che, finanze permettendo, potranno essere realizzati, quelli che, invece, sono già a livello di realizzazione o comunque ad uno stadio molto avanzato di studio, consentiranno di creare esattamente 1.800 nuovi posti (quelli in via di completamento) e ulteriori 5.000 nuovi posti (quelli in via di studio, già avviato ed ultimato), per un totale di 7.800 posti che il Governo ritiene, nell'arco di un biennio - questa è la previsione - di poter realizzare.
Si è chiesto come mai non sia stato emanato un decreto - visto che il Governo è ricorso a tale strumento per altre questioni - per stabilire la possibilità di detenzione in condizione di reciprocità con altri paesi. È ovvio considerare che questa non è materia che si possa regolamentare con un decreto, nel senso che sono necessari accordi bilaterali. Anche questo dato è stato fornito in Commissione giustizia - quindi, anche all'onorevole Consolo - e sono attualmente in atto, nel senso che sono stati aperti negoziati - poi sospesi dal precedente Governo - con la Colombia, il Brasile, l'Argentina e il Marocco, oltre quelli già conclusi. Con questi Pag. 44quattro paesi c'è un negoziato aperto, sospeso dal precedente Governo, quindi, si tratterà di riprendere quanto è già previsto.
Si chiede altresì come mai il Governo non abbia proceduto ad accompagnare questa proposta di indulto - l'onorevole Buemi ha comunque già chiarito che la proposta di indulto non è del Governo - con un provvedimento a favore delle vittime del dovere. Probabilmente, il Governo esaminerà anche questo aspetto, ma non è ovviamente nella proposta di indulto, di iniziativa parlamentare, che poteva inserirsi tale aspetto. Così come si fa carico al Governo della mancata risposta alla possibilità di condizionare l'indulto all'obbligo di risarcimento del danno, oppure la possibilità di concessione dell'indulto dopo aver espiato i due terzi della pena. Anche in questi casi, non si tratta di risposte che poteva dare il Governo, nel momento in cui la proposta è d'iniziativa parlamentare e dunque il Governo non può dare risposte in questa direzione.
Così come si assume - di questo si fa carico il Governo in senso politico - che si tratta di un colpo di spugna: su questo aspetto il Governo intende invece fare un minimo di chiarezza. Il provvedimento di indulto non è un colpo di spugna. Più tecnicamente, si può definire un colpo di spugna il provvedimento di amnistia, che è un fatto estintivo del reato. Essendo invece l'indulto un fatto ablativo di parte della pena, non è un colpo di spugna, nel senso che le condanne rimangono, così come la pena. Il beneficio riguarda una parte della pena, quella condonata, nel senso che per una condanna a 20 anni di carcere, 17 anni vanno espiati mentre gli ultimi 3 anni ricadono nell'indulto. Si dice, quindi, che l'indulto produce i suoi effetti nel tempo, nel senso che fra 15 anni ci sarà qualcuno che potrà godere dell'indulto concesso oggi, cioè, quando maturerà un residuo di pena tale da rientrare nell'indulto medesimo. Quindi, l'indulto non fa uscire oggi i detenuti: oggi si fanno uscire quei detenuti che hanno già maturato un residuo di pena inferiore o contenuto nella misura dell'indulto proposto.
Si è anche osservato che il Governo non avrebbe fornito i dati per differenziare la popolazione carceraria composta da imputati e quella composta da condannati.
Anche in questo caso si tratta di un dato che l'Esecutivo ha fornito; in particolare, la richiesta fu formulata di martedì e già il mercoledì successivo il Governo fornì articolate risposte. Proprio in Commissione, si diede atto della quantità di dati che l'Esecutivo era stato in grado di fornire nel giro di poche ore.
Da tali dati emerge che la popolazione carceraria oggi è rappresentata: per il 61,9 per cento, da condannati a pena definitiva; per il 2 per cento da internati, il cui presupposto è sempre la definitività della pena; per il 36,1 per cento da detenuti in attesa di sentenza definitiva. Di questo 36,1 per cento, il 57,3 per cento è costituito da detenuti giudicabili, il 29,4 per cento è rappresentato da detenuti giudicati in primo grado ed appellanti, il 13,3 per cento è costituito da detenuti giudicati in primo grado, giudicati in grado d'appello e ricorrenti in Cassazione
Quindi, i numeri della popolazione carceraria sono ben noti, così come sono altamente noti i dati forniti dal Ministero e richiamati da una osservazione dell'onorevole Costa. Quest'ultimo, infatti, ha chiesto se il Governo si sia posto il problema di valutare l'incidenza sulla popolazione carceraria del decreto finalizzato alla regolarizzazione di 350 mila stranieri.
L'Esecutivo non ritiene che il suddetto decreto abbia alcun nesso con il problema della popolazione carceraria. Infatti, prospettare un simile accostamento costituisce un fatto che, oltre ad essere ingiustificato, è anche fuorviante. Dai dati forniti risulta che la popolazione carceraria rappresentata da stranieri è sicuramente elevata rispetto ai numeri. Tuttavia, il dato che deve far riflettere è rappresentato dal fatto che, per i reati di fascia bassa, l'incidenza sulla popolazione globale carceraria dei detenuti non italiani è del 40 per cento. Man mano che si aumenta la fascia di gravità dei reati, arrivando all'ultima fascia - quella di maggiore gravità e incidenza sociale del crimine -, l'incidenza Pag. 45degli stranieri sul totale della popolazione carceraria è del 3 per cento. Si tratta di un dato fornito dal Ministero, che dunque avrebbe consentito il richiesto approccio organico che l'onorevole Costa ha rimproverato al Governo. I dati forniti consentono, appunto, un approccio organico, analitico e non generalistico.
Arrivo alla conclusione, signora Presidente, onorevoli deputati. Su questo punto vorrei esprimere l'idea del Governo. Si è un po' equivocato il problema della natura della pena. C'è un certo andazzo, anche giuridico, che porta a ritenere la pena finalizzata alla rieducazione. Noi sappiamo che, per il principio costituzionale, la pena è afflittiva e deve tendere alla rieducazione. Ovviamente, è la parola stessa «pena» che ha un contenuto di afflittività. Diversamente, la Carta costituzionale avrebbe parlato di misure: le misure restrittive devono tendere alla rieducazione.
Nel momento in cui si parla di pena, si parla di afflittività. La pena deve tendere alla rieducazione. Allora, il problema riguarda la modalità della pena. L'assurdo che si sta verificando nel nostro paese è che la parte afflittiva rimane integra, ossia la pena intesa come privazione della libertà. La modalità della pena, ossia la parte che deve tendere alla rieducazione, è stata stravolta, perché la modalità della pena nelle carceri, così come si sta realizzando nel nostro paese, è esattamente il contrario di quanto afferma la Costituzione.
Si salva, quindi, il primo aspetto, ossia la quantità della pena-parte afflittiva, e si incide sulle modalità della pena, che diventano da rieducative ad afflittive, esattamente il contrario di ciò che dice la nostra Carta costituzionale.
È chiaro che tutti quanti noi dobbiamo lavorare e impegnarci per rispettare in pieno il principio costituzionale: afflittività della pena e funzione di rieducazione della stessa. Sicuramente, la modalità della pena, caratterizzata, in modo particolare, da condizioni carcerarie insostenibili, costituisce il contrario di ciò che afferma la Costituzione.
Sappiamo che l'indulto non risolve questi problemi. Sappiamo benissimo che non li risolve, ma l'indulto non è una misura eccezionale. Nel 1990 si disse: mai più un indulto, mai più un atto di clemenza, ma dobbiamo anche dire che ciò è contrario al principio della nostra Costituzione, che prevede gli atti di clemenza. Mai e poi mai il Parlamento potrà dire «mai più» rispetto a qualcosa che è prevista dalla Costituzione. Mi sembra un'aberrazione.
Gli atti di clemenza sono previsti dalla Costituzione e la previsione costituzionale è stata ulteriormente rafforzata proprio nel momento in cui si è stabilita una maggioranza qualificata per approvare l'atto. Ciò significa che il principio costituzionale è stato fatto salvo. La maggioranza qualificata ha modificato i numeri per l'approvazione, ma il principio è stato fatto salvo.
Se il principio è fatto salvo, non deve essere considerato uno strappo. L'atto di clemenza non può essere considerato uno strappo e, rispetto ad esso, mi pare che tutti i gruppi non hanno espresso una pregiudiziale. La differenza all'interno di alcuni gruppi si è contrassegnata esclusivamente su alcune qualità dell'indulto e su alcune esclusioni oggettive dallo stesso, oppure sulla quantità. Ma non mi sembra che da parte di alcun gruppo vi sia stata una pregiudiziale sull'atto di clemenza.
Questo è un segnale estremamente positivo da parte del Parlamento. Forse i gruppi di Alleanza nazionale e della Lega hanno assunto posizioni più dure, ma il gruppo di Alleanza nazionale ha tenuto a specificare che, comunque, c'è un dibattito interno allo stesso partito.
Ciò significa che sul provvedimento in esame è aperta una discussione, come si diceva, già avviata in Commissione, che il Governo si augura continuerà a svolgersi in quest'aula con il contributo di tutte le forze politiche.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 17 con la discussione generale sul Documento di programmazione economico-finanziaria Pag. 46relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011.
La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 17.