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Si riprende la discussione.
(Ripresa della discussione)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Incostante. Ne ha facoltà.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente della Camera dei deputati, onorevoli colleghe e colleghi, nel suo discorso, signor Presidente del Consiglio dei ministri, lei ha detto dei suoi impegni e di quelli che il suo Governo intende assumersi per il rilancio e la crescita dell'Italia. Ha enunciato opportune e condivisibili analisi e strategie per la crescita del paese come sistema, per il nord come per il sud, in un quadro di rafforzamento dell'Europa, in uno scenario di competizione globale rilanciando una politica per il Mediterraneo.
In queste sue analisi e nella sua proposta, il Mezzogiorno non ci appare più come la locomotiva lenta da trascinare, magari con politiche assistenziali, verso il nord Europa, ma come la piattaforma necessaria per l'Italia e l'Europa per connettersi alle realtà più dinamiche del commercio internazionale. Il modificarsi delle convenienze logistiche a livello mondiale e ciò che questo comporta potrebbe, infatti, mettere fine all'emarginazione del sud dell'Europa e del suo fulcro: il Mediterraneo.
Per mettere a frutto ciò che oggi è un puro vantaggio potenziale è urgente varare politiche selettive, volte a concentrare risorse, un nuovo corso per il Mezzogiorno. Cogliere queste opportunità è primario interesse nazionale ed è ciò che può fare del Mezzogiorno un'area elettiva dello sviluppo del sistema Italia. Per questo occorre una leale cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali.
Oggi, è il tempo di unire l'Italia con strategie differenziate certamente, ma si ha bisogno di fare sinergia. Per questa e per altre ragioni non meno fondate contrastiamo il disegno costituzionale varato dal centrodestra. Lo stesso federalismo richiede grandi convergenze tra Stato e regioni.
Occorre fare «massa critica», utilizzare in modo coerente risorse comunitarie, statali e regionali, orientare le risorse locali. Per il Mezzogiorno non occorrono interventi, ma politiche strutturali di intervento, basate su alcune opzioni come qualità della spesa, selettività, innovazione, e prioritarie in alcuni settori quali infrastrutture, ricerca, politiche fiscali di vantaggio che, auspico, potremo forse ridiscutere con l'Unione europea e che potrebbero fare del Mezzogiorno una delle realtà più dinamiche d'Europa.
Penso alla valorizzazione dei giacimenti culturali, storici, ambientali a disposizione dell'Italia, dell'Europa, del mondo. Penso a politiche di innovazione nella pubblica amministrazione, perché questo è ancora uno dei divari tra il sud e il resto del paese. Penso a politiche di coesione, perché lo sviluppo non sia solo crescita economica senza qualità civile, ma crescita del capitale sociale. Penso alla necessità che siano avviate da subito serie, durevoli, competenti e articolate politiche di contrasto alla criminalità organizzata, condizione indispensabile per allargare l'economia legale. La criminalità organizzata non è una problematica locale; è un fenomeno internazionale e cerca di intercettare l'economia legale del paese. Grandi proventi delle organizzazioni criminali presenti nel Mezzogiorno si investono nelle regioni ricche. È, quindi, interesse comune, di noi tutti, contrastare e sconfiggere la criminalità. Nel Mezzogiorno essa ha una sua Pag. 32specificità: è pervasiva, diffusa, controlla il territorio, cerca di infiltrarsi nella pubblica amministrazione, lavora per acquisire fette di mercato nel commercio, nel patrimonio immobiliare, nelle imprese, nella speculazione finanziaria.
Diciamo con forte convinzione che lo Stato ha la responsabilità di utilizzare mezzi e uomini in modo adeguato e qualificato, e professionalità sofisticate, se si vuole contrastare la criminalità sul terreno dell'economia, dei patrimoni, della finanza. Per questo motivo e per tante altre ragioni siamo convinti che ripartire dal Mezzogiorno possa rappresentare una svolta di enormi proporzioni da tanti punti di vista per la vita del paese.
Penso, non da ultimo, signor Presidente, al nostro patrimonio più grande: mi riferisco ai giovani, quel capitale umano costretto ad essere, talvolta, fuori dal mercato del lavoro, attratto dal mercato nero, costretto non per scelta, ma per destino ad emigrare. Così viene scoraggiato, tanto da non cercare nemmeno più il lavoro. Ciò riguarda soprattutto le giovani donne del sud.
Signor Presidente, i giovani vivono in gran parte nel Mezzogiorno. Napoli è la città più giovane d'Europa. I giovani del sud, i giovani d'Italia, vorrebbero guardare al futuro con speranza e fiducia. Con il loro voto hanno dimostrato consenso alla coalizione di centrosinistra e si aspettano un cambiamento. Ma tutti - centrosinistra e centrodestra, Governo e opposizione - dovremmo sentire una grande responsabilità. Non c'è futuro di un paese che non si fondi su quello che i padri e le madri lasciano ai loro figli e che i loro figli potranno e sapranno coltivare con le loro mani.
Signor Presidente, sono convinta che il suo Governo cercherà di fare scelte appropriate all'altezza di questa sfida, così come sono convinta che questo Parlamento si sforzerà di farsi guardare dai giovani con l'interesse, l'attenzione e il rispetto che merita per il contributo che saprà dare (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dei Popolari-Udeur e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, in quanto nuovo parlamentare italiano eletto all'estero sono rimasto alquanto scioccato, stamattina, non soltanto dalla mancanza di rispetto per i senatori a vita da parte dell'onorevole Bricolo, ma anche per l'allusione che gli immigrati di origine islamica sono delinquenti, stupratori, e via dicendo. Vorrei ricordare che in quest'aula vi sono almeno due colleghi di origine e di formazione culturale e religiosa islamica. Quindi, per favore, un po' di rispetto per la diversità.
Mi fa piacere notare che un punto fermo del programma di Governo sia la lotta alla precarietà. Ebbene, in quanto italiano all'estero, ci tengo a far notare che tale precarietà ha fatto sì che tanti giovani di talento siano stati costretti ad emigrare all'estero anche a causa delle politiche sbagliate di precedenti Governi. Facciamo sì che questi giovani siano incentivati a tornare qui in Italia ed a dare il loro contributo al paese. In particolare, signor Presidente, dobbiamo combattere la precarietà all'estero assicurando fondi regolari e duraturi per i corsi di lingua e cultura italiana nel mondo: non si può continuare con la politica dei finanziamenti ad intermittenza.
In secondo luogo, cerchiamo di dare un po' di stabilità economica e di lavoro a chi, come ad esempio il personale a contratto negli istituti italiani di cultura, ha il compito delicato di farsi portavoce all'estero della straordinaria ricchezza storica, linguistica e culturale dell'Italia.
Infine, bisogna assicurarsi che la politica assurda ed ingiusta della RAI, che oscura all'estero programmi sportivi e culturali, cessi immediatamente. Oggi gli italiani all'estero devono sorbirsi gli schiaffi morali e gli sfottò dei loro colleghi stranieri grazie alla tragicommedia calcistica denominata «calciopoli» che si sta evolvendo giorno dopo giorno con colpi di scena quotidiani. Signor Presidente, cerchiamo di dare una piccola grande gioia ai Pag. 33connazionali all'estero facendo sì che fra meno di tre settimane essi possano godersi i campionati mondiali di calcio in TV, alla RAI TV. Grazie e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Peretti. Ne ha facoltà.
ETTORE PERETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, abbiamo ascoltato con grande attenzione le comunicazioni programmatiche del Presidente del Consiglio e, nella parte che riguarda la politica economica e sociale, le abbiamo trovate alquanto generiche, spesso ambigue, in ogni caso inadatte alle esigenze di un paese che comincia ad intravedere i primi segnali di ripresa, ma che si porta dietro, da decenni, carenze e limiti che lo rendono vulnerabile.
Non che ci aspettassimo un programma con il dettaglio delle misure per il rilancio dell'economia e la tenuta dei conti pubblici, ma certo uno sforzo in più per dare un'idea compiuta e credibile di politica economica da un Governo che si presenta con grande baldanza e sicurezza di sé forse era lecito attenderlo.
Del resto, era difficile pensare che il Governo che sta per nascere, retto da una maggioranza politica così eterogenea, dove la componente massimalista e radicale risulta prevalente, potesse esprimere un compiuto e chiaro programma di riforme. Le prime contrapposizioni tra ministri su argomenti cruciali come quello delle infrastrutture fanno presagire un defatigante esercizio di disciplina interna e di sintesi da parte del premier ed un accidentato percorso parlamentare. Ma tant'è.
Nell'attesa di conoscere le proposte sui capitoli più importanti dell'azione di Governo ci limiteremo ad alcune osservazioni su tre argomenti che, molto probabilmente, saranno oggetto dei primi provvedimenti, vale a dire il cuneo fiscale sul lavoro, le infrastrutture ed i conti pubblici, che non esauriscono certo l'elenco delle priorità, ma che saranno la cartina di tornasole per valutare l'efficacia dell'azione di Governo.
Innanzitutto, il cuneo fiscale sul lavoro: lei, signor Presidente del Consiglio, prevede di ridurlo del 5 per cento a beneficio delle imprese e dei lavoratori in modo da stimolare contemporaneamente investimenti e consumi. Ottimi propositi, ma misure inefficaci. Lei non può far finta di non sentire le critiche che si sono levate dal suo stesso schieramento (e che condivido) circa l'inutilità di questo provvedimento perché gli effetti degli sgravi rischiano di andare a beneficio delle produzioni a più alta intensità di lavoro piuttosto che a quelle che contengono maggiori tassi di sviluppo tecnologico.
E poi non è detto che lo sgravio venga utilizzato dalle imprese per ridurre i prezzi dei prodotti anziché per aumentare i margini di profitto.
E ancora, non è stata definita la platea dei beneficiari. È presumibile che il Governo subirà una pressione tale che questa platea dovrà essere necessariamente allargata a dismisura, a tutti i settori e a tutte le imprese, con una ulteriore polverizzazione dei benefici.
In queste condizioni, l'intervento rischia di risultare del tutto simbolico e privo di effetti reali, sia in termini di aumento della produttività e di competitività del sistema produttivo, sia in termini di redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori. Senza contare che il costo, stimato in dieci miliardi di euro, è del tutto insostenibile per le nostre finanze.
Riguardo alle infrastrutture, la contrapposizione tra il ministro delle infrastrutture e quello dei trasporti non lascia spazio ad equivoci. Nel Governo si fronteggiano due visioni di economia, due sistemi produttivi, due idee diverse di società. Le infrastrutture, la logistica ed i trasporti rappresentano, insieme all'energia, i fattori esterni all'impresa che più incidono sulla sua capacità di competere. Sarebbe il caso che il Governo indicasse con chiarezza le proprie intenzioni, opera per opera, in maniera tale da fugare ogni dubbio circa la volontà di proseguire nel rafforzamento delle nostre reti di trasporto.Pag. 34
Lo stesso discorso vale per l'energia. Vi sono decine di progetti fermi, spesso per l'opposizione degli enti locali, per lo più enti locali dello stesso colore dell'attuale maggioranza. Credo che ora, almeno, possa finire la finzione e l'ipocrisia del mancato dialogo tra centro e periferia per giustificare il diniego, spesso solo di principio, alle autorizzazioni a costruire i nuovi impianti, che sono indispensabili per diversificare fonti e fornitori e calmierare così, almeno in parte, il costo dell'energia.
Infine, sui conti pubblici, il Governo riconosce che tanta parte delle difficoltà della nostra finanza pubblica sono dovute ad un prolungato periodo di bassa crescita. Finalmente, verrebbe da dire. Noi, da parte nostra, riconosciamo le difficoltà incontrate dal precedente Governo nel calmierare la crescita della spesa, soprattutto di quella sanitaria, cosa che ci ha obbligato ad intervenire con misure straordinarie, spesso al limite della sostenibilità etica, ma sempre salvaguardando la sostenibilità sociale.
Non vi saranno scorciatoie, né misure miracolistiche. O si sarà in grado di selezionare la spesa, richiamando tutti a comportamenti responsabili, oppure non vi sarà alcuna possibilità di rientrare nei parametri europei. E questo anche se la ripresa economica, che è mancata al Governo precedente, dovesse aiutare quello che si sta insediando.
Concludo, signor Presidente, rivolgendo gli auguri di buon lavoro al Presidente del Consiglio e chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Peretti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, signori del Governo, del programma presentato in Parlamento mi piace innanzitutto richiamare l'obiettivo dichiarato dal Presidente Prodi di far tornare il Parlamento ad essere, come lui ha detto, la naturale sede del confronto democratico tra maggioranza ed opposizione.
Si tratta di un proposito da condividere ed anche da elogiare, ma anche di una promessa impegnativa, soprattutto in considerazione del fatto che stiamo assistendo da tempo (e nella precedente legislatura ne abbiamo avuto ripetute, umilianti riprove) ad una deriva dirigista, sottilmente neoautoritaria, che relega il Parlamento al ruolo di acritica ratifica di decisioni prese altrove, in ciò assecondando pericolose involuzioni culturali in atto non solo nel nostro paese, e, sul piano più strettamente istituzionale, provocando una sostanziale mortificazione delle aule parlamentari, giustamente ricordate nel loro dover essere come il luogo del rispetto reciproco e dell'attenzione alle proposte che si avanzano per il bene comune.
Così facendo - così come dichiarato - io penso che, oltre a rientrare nei canoni del dettato costituzionale, si potrà contribuire a ricostruire nel paese un clima sociale più positivo in cui venga bandita la radicalizzazione dello scontro e sia recuperato quello stile di autentica gentilezza democratica che costituisce, diciamo così, forse il fondo dei nostri sogni, ma che rappresenta anche il presupposto per l'affermarsi di una cittadinanza più matura e, più concretamente, anche ai fini del possibile rilancio della nostra economia, per la capitalizzazione delle straordinarie risorse umane e professionali di cui è ricca la nostra comunità nazionale.
Che la ripresa economica debba rientrare, peraltro, tra le prime nostre preoccupazioni e tra le prime preoccupazioni del Governo è del resto obiettivo, prima che condivisibile, necessitato ed improcrastinabile. È piuttosto curioso che si senta dire dall'attuale opposizione come si deve fare, dopo che, per cinque anni, ci si è esercitati a fare esattamente l'opposto.
Comunque, la condizione è quella che è; anzi, se sono vere le cose che annuncia il ministro dell'economia, temiamo di essere precipitati nella situazione di circa quindici anni fa. Considerata la situazione reale del nostro paese, se recuperassimo Pag. 35tutti una sincera tensione per il bene dell'Italia, piuttosto che attardarci in regressive polemiche di stampo politicista e mediatico (come succede tutti i giorni), dovremmo puntare ad un comune salto di qualità nella verità del dibattito politico ed insieme impegnarci, maggioranza e minoranza, pur nella fisiologica distinzione ruoli, per il superamento di quelle che oramai sono strutturali difficoltà che caratterizzano la condizione dell'Italia in questa contingenza storica.
Comunque sia, signori del Governo, al perseguimento di questi obiettivi e di altri anch'essi meritevoli, mi appare improntato il programma che ci è stato sottoposto; ragione per cui, convintamente, io esprimo la mia fiducia per la sua realizzazione. Con altrettanta fiducia (ad un tempo frammista di comprensibili, opposti sentimenti di speranza, ma anche di disincanto, di scetticismo, oserei dire), penso che i cittadini italiani si pongano in attesa di fatti che risultino significativi.
In gioco vi sono il miglioramento del tenore di vita medio della popolazione, oggi non solo peggiorato, ma anche eccessivamente divaricato tra i pochi che sono diventati più ricchi e i molti che sono diventati più poveri.
In gioco vi è anche il superamento di una condizione di precarietà del lavoro all'insegna di una rinnovata protezione sociale, da realizzare secondo canoni non irrigiditi e, meno che mai, parassitari; il rilancio di una politica industriale che, grazie a lungimiranti misure innovative in tema di processi e di prodotti, ci faccia recuperare gli spazi perduti a livello di mercato mondiale e, last but not least, come dicono gli inglesi, l'ammodernamento della nostra pubblica amministrazione da rimotivare ad un protagonismo fatto di maggiore efficienza e di maggiore efficacia, in definitiva fattore di giustizia ed equità, anche attraverso (e penso che sia fondamentale) un prezioso recupero, da parte dei milioni di lavoratori che in essa operano, dell'orgoglio della funzione pubblica.
A conclusione di questo mio intervento, signori rappresentanti del Governo, mi preme formulare due rapidissime osservazioni che ineriscono a problemi di metodo.
La prima riguarda l'opportunità di rilanciare la concertazione sociale, nella convinzione che essa potrà servire a conseguire i difficili risultati dapprima accennati. Mi conforta in questa convinzione il successo realizzato tanti anni fa nella lotta alla grave inflazione che attanagliava il paese e che riuscimmo ad ottenere anche grazie alla meritoria procedura della concertazione sociale. Chiudo con una seconda battuta sull'esigenza di un'adeguata comunicazione ai cittadini italiani di quello che facciamo e di quello che faremo, signor Presidente del Consiglio, memori anche di quello che è successo nel 1996...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LINO DUILIO. La ringrazio per tutto questo e formulo i migliori auguri di buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Deputato Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, una volta stabilito chi ha vinto e chi ha perso le elezioni, occorrerà che vi sia una maggioranza ed un'opposizione. Nessun inciucio: chi ha più numeri vince e, anche se questi numeri sono risicati, solo una delle parti ha l'onore e l'onere di governare il paese. Nessun dialogo, quindi, ma sana dialettica.
Perché la gente non capirebbe! Perché si andrebbe ad inficiare il sistema bipolare! Perché non si potrebbe esprimere un giudizio di merito o di demerito comportamentale delle parti politiche! L'opposizione deve proporre la sua politica. Le due politiche, quella della maggioranza e quella dell'opposizione, verranno giustapposte la battaglia è lì. Lì si vedrà la coerenza e, soprattutto, la coesione delle coalizioni.
Vorrei introdurre due argomenti: il primo, tratto dal suo programma elettorale, è la giustizia.Pag. 36
Certo è che basiamo le nostre concezioni su sponde separate da un abisso. Per lei, «nell'ultimo quinquennio si è assistito ad un intenso, spregiudicato e arrogante attacco alla libertà e all'autonomia della giurisdizione». Per me, l'attacco all'autonomia è iniziato circa trent'anni fa. Ma entrambi riteniamo che sia un valore l'autonomia della giurisdizione.
Autonomia non può che essere intesa come criterio di non assoggettabilità della magistratura a nessun potere, ma soltanto alla legge. Ciò garantisce che non vi sia una giurisdizione della maggioranza contro la minoranza o, peggio, come accade ora, della minoranza contro la maggioranza, ma una giurisdizione uguale per tutti.
Autonomia, ancora, deve essere intesa anche come una «svincolatezza» del singolo giudice all'interno della magistratura stessa. Il singolo giudice potrà giudicare, vincolato solo dalla legge, secondo i criteri dettati dalla scienza giuridica. Però, fino a quando in magistratura vi saranno correnti cui è demandato il criterio per assegnare i posti di dirigenza degli uffici giudiziari, non si potrà avere un'indipendenza reale, interna del giudice che, per fare carriera, dovrà riverire la politica del parlamentino, che ha intrecci e collateralismi con la politica partitica.
Mi indichi - se ne è capace - un ufficio di alta dirigenza giudiziaria che non scaturisca da lottizzazioni interne al Consiglio superiore della magistratura. Se facessi alcuni nomi, a tutti balzerebbe agli occhi che taluni magistrati sono più organici all'interno dei partiti di quanto non lo siano deputati che siedono in quest'aula. Alcuni magistrati hanno inteso la propria attività di giudice solo come un cursus honorum che permette di accedere alla carica di deputato o di ministro.
Questa è la reale sfida che lancio, cioè quella di attuare una reale indipendenza della magistratura in una logica di separazione dei poteri.
Questa separazione rende inaccettabile che la politica faccia delle leggi ad personam, invadendo così il campo giurisdizionale, come rende altrettanto inaccettabile che parti politiche siano sconfitte per l'esistenza di processi che, spesso, si basano su imputazioni inventate, ad orologeria e, quindi, a fini diversi dalla giurisdizione.
Il potere deriva dal popolo. Se il magistrato vuole fare politica, si faccia eleggere dal popolo e vada a casa, se il popolo non gli dà il proprio consenso. Se così non è, come la Costituzione afferma, creiamo un sistema che impedisca alla magistratura di essere funzionale alla politica, se non addirittura organica.
Signor Presidente, la seconda questione che le sottopongo e per la quale le chiedo risposte in sede di replica è la considerazione che lei, come logico, ha messo in primo piano il suo programma, attorno al quale ha cercato ed ottenuto il consenso di un insieme di partiti. Constato che la sua coalizione comprende partiti come la Liga veneta e la lega Alleanza lombarda, determinanti per la sua vittoria. Orbene, ho visto come sono stati retribuiti, e cioè con l'attribuzione di posti di sottosegretari nel suo Governo, ma non ho visto nel suo programma alcuna proposizione che riguardi l'indipendenza del Veneto o della Lombardia.
Mi dica, la prego - se ne è capace -, come attuerà l'indipendenza del Veneto, poiché in mancanza appare evidente che è stata attuata la coalizione solo al fine di vincere, in barba a quelle migliaia di persone, essenziali per la sua vittoria, che hanno creduto che lei attuasse la loro politica, facendo sopportare agli italiani un Governo politicamente minoritario.
Infine, devo ringraziarla per la festa che ha indetto in piazza Santi Apostoli alle ore 18. Non mi sono mai divertito tanto (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bafile. Ne ha facoltà.
MARIZA BAFILE. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghe e colleghi, con l'attuale legislatura l'Italia, per la prima volta, ha aperto le sue porte all'estero. Pag. 37Oggi, dodici deputati e sei senatori provenienti da altri paesi siedono tra i banchi del Parlamento: un passo importante, ma solo se valorizzato e vissuto con la serietà che merita. Deve servire, innanzitutto, a far capire quanto sia cambiato il mondo dell'immigrazione, per creare un'Italia allargata, basata su iniziative concrete e non su demagogie distorte e lontane dalla realtà.
Parlo a nome dei cinque deputati del gruppo de L'Ulivo, ed innanzitutto desidero esprimere a nome di tutti noi un ringraziamento al Presidente Napolitano per le parole che ha rivolto ai connazionali all'estero nel messaggio al Parlamento e alla nazione. Grazie, Presidente!
Esprimo, altresì, preoccupazione per la responsabilità che tutti noi abbiamo assunto con i nostri elettori. Onorevole Prodi, pur sottolineando il rammarico per l'assenza nel suo discorso programmatico di un approfondimento del tema riguardante gli italiani all'estero, confidiamo nella serietà del suo impegno per affrontare e risolvere con la dovuta determinazione le problematiche più urgenti che elencherò rapidamente: potenziamento, riforma e rilancio della rete consolare, per rendere un servizio più efficace ai nostri connazionali e offrire un'immagine più dignitosa dell'Italia all'estero; assegno di solidarietà, come misura di emergenza per i nostri anziani meno fortunati; immediata sanatoria per le pensioni INPS relativa alla campagna di verifica dei redditi degli ultimi anni, misura questa già richiesta anche da COMITES e CGIE; rilancio di una seria politica della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, da realizzare mediante una legge quadro di riforma del settore; ampio spazio allo strumento delle borse di studio e sostegno alle scuole italiane all'estero; promozione della riforma degli istituti di cultura e della legge n. 153 del 1971 e sostegno parallelo ad iniziative per far conoscere la cultura degli italiani all'estero in Italia; interventi immediati per sostegno, qualificazione e sviluppo dell'intero sistema informativo italiano all'estero, salvaguardando la presenza dell'attività degli strumenti esistenti; recupero dei tagli effettuati ai quotidiani italiani all'estero e raddoppio dei contributi per i periodici; miglioramento della presenza e della qualità di RAI International, favorendo l'informazione di ritorno; attuazione delle deliberazioni scaturite dalla seconda Conferenza Stato-regioni e dal Consiglio generale degli italiani all'estero; sostegno alle piccole e medie imprese italiane all'estero attraverso la promozione di scambi economici e commerciali con partner italiani; indizione in tempi brevi della Conferenza dei giovani italiani nel mondo, sistematicamente rinviata dal precedente Governo.
Noi eletti all'estero siamo anche una finestra verso la parte di mondo costituita dalle rispettive circoscrizioni, per cui l'esperienza di vita nei nostri paesi può e deve rappresentare un arricchimento per l'Italia, nazione che deve riconquistare nel mondo un ruolo dignitoso ed elevato.
Lei, Presidente del Consiglio, nella sua dichiarazione programmatica ha espresso la volontà di mettere al centro dell'azione dell'Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici. Ha anche detto che l'Italia sceglierà l'Europa ed il processo di integrazione europea come ambito essenziale della politica italiana, ma che non guarderà solo all'Europa. Ha sottolineato che il suo Governo si farà parte attiva per rilanciare una politica per il Mediterraneo, che rinsalderà il legame con il continente latino-americano, concentrerà la propria responsabilità verso i paesi dell'Africa e consoliderà e arricchirà su un piano di mutuo rispetto e di reciproca dignità la storica alleanza con gli Stati Uniti d'America.
Ha riconosciuto anche che il mondo sta cambiando e che bisogna rompere l'indifferenza di quella fascia di persone che si occupano di difendere il benessere residuo invece di costruire per sé e per la collettività occasioni di sviluppo e di crescita.
Ecco, all'interno di questi punti programmatici, può essere essenziale il nostro apporto. Tutti noi eletti all'estero....
PRESIDENTE. La invito a concludere.
Pag. 38MARIZA BAFILE. .... siamo espressione di un mondo che si muove e vibra fuori dai confini italiani. Parlare dei connazionali che vivono all'estero, valorizzare le potenzialità umane che sono scaturite dalla vecchia valigia di cartone, restituire alla parola immigrazione una giusta valenza positiva che significa mescolanza di razze e culture, solidarietà, crescita collettiva, significherà restituire all'Italia il ruolo che merita in un contesto internazionale ed aprire nuove strade ai valori della tolleranza, dell'accoglienza, della giustizia, del rispetto delle differenze dell'amicizia tra popoli...
PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo!
MARIZA BAFILE. Concludo, signor Presidente. La nostra presenza nel Parlamento italiano deve essere valorizzata in questo senso. Siamo persone con chiara coscienza politica e sociale, siamo orgogliosa parte del mondo della nostra emigrazione e vogliamo contribuire a costruire un'Italia senza confini per lanciare il segno di un mondo senza confini. Siamo lo specchio dell'altra Italia, quella che ha costruito, quella che ha partecipato e partecipa alle lotte politiche in altre nazioni, quella che è morta e scomparsa per mano dei dittatori. Rinnoviamo a lei, Presidente Prodi, la fiducia che ieri ha ispirato la nostra compagine elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dei Verdi e dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Soro. Ne ha facoltà.
ANTONELLO SORO. Signor Presidente, colleghi, desidero anzitutto, onorevole Prodi, esprimerle il nostro favore e il nostro sostegno, un sostegno non timido né incerto, perché il suo Governo possiede nel programma, nella struttura e nell'orizzonte politico una risposta adeguata alle attese degli italiani.
Abbiamo avvertito nel suo discorso programmatico il contenuto di una politica che abbiamo concorso a disegnare, per la quale abbiamo ottenuto il mandato dagli elettori. Abbiamo ritrovato, nello stile sobrio ed insieme rigoroso delle sue parole, l'ambizione che noi condividiamo di governare l'Italia nel segno dell'equilibrio e della tolleranza, consapevoli dei doveri e dei vincoli derivati dal compiuto dispiegarsi del sistema bipolare, che rende possibile una sicura scelta della coalizione di Governo. Questa scelta si è manifestata con chiarezza, nonostante la pessima legge elettorale che noi non abbiamo voluto e che pensiamo debba essere profondamente cambiata. Proprio in ragione di questa consapevolezza, riteniamo debba essere nostro dovere principale, dovere di chi ha responsabilità di Governo, ricercare con il dialogo, con l'esercizio del confronto parlamentare, la ricomposizione di un tessuto unitario e condiviso di regole e di valori, a partire dallo sforzo, nel quale tutti dobbiamo impegnarci, di un reciproco riconoscimento dei diversi ruoli di rappresentanza vera e legittima del popolo italiano.
Dobbiamo abbandonare la consuetudine demonizzatrice, rimuovendo le categorie del bene e del male assoluto come fattori di separazione dei due schieramenti in campo. Questo è un impegno ineludibile per consolidare e accrescere il carattere virtuoso del sistema bipolare italiano, per rinnovare nell'unità la nostra democrazia. Questo confronto avrà un senso, se riusciremo a rivolgerlo per intero verso il futuro dell'Italia, sfuggendo alla tentazione di prolungare una lunga e non sempre commendevole campagna elettorale e se sapremo tutti vincere la tentazione di vivere questa legislatura come una rivalsa.
Ci presentiamo a questo appuntamento con la consapevolezza dei problemi che sono aperti nel paese, in questo Parlamento e nel sistema politico italiano. Sappiamo che ci aspetta, signor Presidente, una prova difficile ed insieme esaltante. Dobbiamo dimostrare che è possibile governare l'Italia, servendo l'interesse generale del paese e che è possibile coniugare Pag. 39la ripresa della nostra economia con l'ampliamento dei diritti di cittadinanza e della coesione sociale.
Condividiamo la linea di politica economica enunciata, perché non è derivata dal desiderio o dalle emozioni, ma è fondata sulle condizioni reali della nostra economia in rapporto al campo aperto della competizione globale.
Non ci appassiona rinnovare in questa occasione una disputa semantica sulla natura del declino dell'economia italiana. Tuttavia, credo, signor Presidente, che abbiamo un dovere di lealtà verso gli italiani nella segnalazione onesta e franca dello stato del paese, nel momento in cui ne assumiamo la responsabilità di guida, un dovere di verità che è anche un segno di responsabilità. L'Italia esce pesantemente penalizzata dal processo di formazione dei nuovi equilibri nei mercati internazionali, portandosi dentro un ciclo negativo che dura ormai da troppi anni per essere considerato congiunturale.
Le condizioni dell'economia reale in un quadro di finanza pubblica critico ci impongono di spingere per un innalzamento non banale del grado di produttività media dell'intera società italiana, dalla scuola alla giustizia, dalla pubblica amministrazione alla sanità, dal sistema delle infrastrutture alla gestione dei beni culturali e all'organizzazione delle amministrazioni locali.
Questa scelta comporta riforme importanti, molto importanti. Tali riforme non saranno possibili se non riusciremo a stimolare un clima di forte responsabilità morale e civile per il quale ogni italiano si senta partecipe di un disegno che non può essere lasciato alla responsabilità di alcuni.
Condividiamo, signor Presidente, la sua l'idea secondo la quale da subito occorre dare segnali evidenti della volontà di cambiare passo e di affrontare, con l'intenzione di scioglierli, i nodi che inibiscono la capacità competitiva del nostro paese.
La nostra missione, la missione del Governo di centrosinistra, è quella di portare l'Italia fuori dal guado, di arrestare il declino e far ripartire la crescita secondo una chiara direzione di marcia. Dobbiamo fare presto e fare bene per rimettere in sintonia l'agenda del Governo con quella degli italiani.
Sappiamo che esistono in Italia, nel nord e nel sud, ragioni serie di disagio, che sono vissute come una questione di cittadinanza incompiuta o compressa. Le modificazioni profonde del sistema economico, dell'architettura sociale, dei modelli culturali e delle opportunità di relazione sostengono e alimentano questa domanda.
Questo sentimento di cittadinanza incompiuta disegna una nuova domanda politica, dagli esiti non sempre contenibili, nel solco della tradizionale competizione politica, certamente non estranea alle motivazioni di voto di molti elettori dell'una e dell'altra coalizione. Dobbiamo ricercare una nuova e più ragionata comprensione di questa domanda, fuggendo entrambe le tentazioni presenti: quella di assecondare gli umori e cavalcare le pulsioni populiste, e quella, altrettanto pericolosa, di sottovalutarne la portata.
Il futuro dell'Italia si gioca sulla ricucitura del rapporto fra politica e morale, sulla capacità della politica di riconquistare la fiducia dei cittadini nel merito, senza inganni e suggestioni e sulla espressione di un progetto alto e ambizioso, in un paragone teso fra le nostre idee e i nostri comportamenti.
Noi pensiamo che il dovere della politica e insieme il suo rischio stiano nella ricerca di una prospettiva culturale e istituzionale fondata sulla libertà, non per paura del futuro, ma per la capacità di prepararlo e regolarlo, per accrescere il ruolo della società civile nello Stato e per rendere la società italiana più forte e più libera, sullo sfondo di istituzioni capaci di offrire a tutti pari opportunità.
All'interno di questa prospettiva si intrecciano il destino di questo Governo e quello del partito democratico. Gli elettori hanno indicato, con una chiarezza che non lascia adito a interpretazioni, quale debba essere l'approdo di questa nostra lunga transizione, per dare alla politica italiana un soggetto che abbia la forza di fare scelte difficili e che sappia governare Pag. 40una società competitiva e solidale. Si tratta di una forza che nessuno nella coalizione del centrosinistra può avere da solo, una forza che sappia dare stabilità alla democrazia bipolare, sottraendola alla deriva personalistica e populista, che costituisce il tarlo delle moderne democrazie occidentali.
Tra Margherita e Democratici di sinistra si è formata, nel corso di molti anni, dentro il Parlamento, nelle regioni e nelle città, una progressiva convergenza politica su scelte comuni che esprimono uno stesso progetto riformista, declinato al futuro per rispondere alle sfide del XXI secolo, avendo alle spalle, non rinnegate, ma acquisite e presupposte, le migliori tradizioni della cultura politica maturata nel XX secolo.
Il nuovo riformismo dell'Ulivo ha davanti a sé le nuove linee di faglia che dividono il campo della politica della società e nasce dall'ambizione di offrire una risposta alla domanda generata dall'estensione planetaria dell'economia e dell'informazione, dei nuovi conflitti aperti tra gli interessi e tra le culture che si fronteggiano nel nostro tempo.
Noi vogliamo costruire un grande partito democratico, italiano ed europeo, che abbia come riferimento primario di base associativa la grande platea di elettori che nell'ottobre scorso hanno investito Romano Prodi della responsabilità di leadership e ne hanno condiviso la proposta. Ciò per consolidare ed estendere in Italia il sistema bipolare del cittadino arbitro, titolare di una scelta consapevole della posta democratica, ma insieme per migliorare la qualità democratica del nostro paese, ricercando una risposta persuasiva alla domanda di efficienza di una democrazia decidente e a quella, ugualmente ineludibile, di partecipazione e di inclusione.
Vogliamo partecipare ad una stagione di buona politica per riformare i caratteri di uno Stato forte, democratico, nel quale tutti gli italiani si riconoscono. Uno Stato autorevole perché più efficiente ed insieme più trasparente, uno Stato più unito perché capace di comprendere ed esaltare le diversità territoriali e culturali, uno Stato laico in quanto capace di riconoscere e garantire le libertà di orientamento religioso, ma allo stesso tempo di tutelare con rigore la propria autonomia dalle stesse.
Il suo Governo, signor Presidente, è strettamente legato ad un grande progetto politico, un progetto che vivrà se saprà alimentarsi di concretezza, ma anche di utopia. La concretezza dei comportamenti, delle misure, delle azioni, ma insieme l'utopia della buona politica, che ha davanti un grande traguardo, un disegno che va al di là delle nostre biografie. Perché le biografie si consumano e i progetti rimangono; auguri, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, de La Rosa nel Pugno e dell'Italia dei Valori - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Menia. Ne ha facoltà.
ROBERTO MENIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, chi le parla - come milioni di altri italiani - è stato, non senza noia, a guardarla nei suoi famosi confronti televisivi con l'onorevole Berlusconi. In uno di questi, ricordo che lei affermò: «Il paese è diviso: noi lavoreremo per unirlo». Poi, promise addirittura la «felicità» per tutti!
Nel discorso programmatico che lei presenta alle Camere, oggi invece afferma: «Taluni coltivano l'immagine di una comunità nazionale lacerata, spaccata, divisa, ma non è così. Consentitemi di dire che chi si attardasse in questa lettura non renderebbe un servizio al paese e neppure ai propri elettori». Complimenti! L'avete unito così tanto e così bene che in un mese avete occupato tutto ciò che era possibile occupare, negando di fatto a mezza Italia una qualunque rappresentanza istituzionale, cominciando con l'intronizzare in questa Camera un rifondatore del comunismo e proseguendo l'opera con un Presidente della Repubblica che fieramente, anche se legittimamente, rivendica la sua storia di ex comunista. Non c'è da meravigliarsi, signor Presidente, se più di qualcuno, Pag. 41con ironia, chiama ora questo paese Repubblica socialista italiana!
Ma oggi parliamo del suo Governo, quello, sì, che unisce gli italiani! Il suo primo collante è la spartizione, al primato delle poltrone, delle sedie, degli sgabelli e degli strapuntini. Eppure, Presidente Prodi, lei sa meglio di me che il suo Governo si fonda su una vittoria elettorale molto discutibile.
La sua coalizione al Senato ha perso per oltre 200 mila voti, ma a tenerla in piedi ci pensano i senatori a vita - e qui mi astengo da commenti per amor di patria - e alcuni eletti rappresentanti degli italiani nel mondo, anche se tutti sanno dei brogli e delle storpiature del voto all'estero, che non si potrà di certo ripetere con queste modalità e con queste palesi irregolarità. Come premio per questi strenui difensori della patria all'estero che le garantiscono di restare in sella, lei abolisce il ministero, ma ne promette uno senza portafoglio. Questi un po' protestano, un po' abbaiano, ma poi tornano come cagnolini a farle da guardia; un viceministro qua, una poltroncina là, e potrete fare tutti insieme la carica dei 101!
Alla Camera, invece, la sua coalizione ha vinto per poco più di 20 mila voti, grazie alla presenza di una falsa lega o, se preferisce, di una lega civetta. Lei, Presidente Prodi, che si riempie la bocca di etica, ha prontamente premiato tale Elidio De Paoli - cosiddetto leader di quella lega, neppure eletto - chiamandolo a far parte del Governo come sottosegretario.
Lei, Presidente Prodi, ha affermato: «Credo che il calcio sia una metafora importante della situazione del paese. Non è una vicenda casuale che può essere minimamente snobbata o messa da parte, perché essa ha messo in rilievo quanto profonda sia la crisi dell'etica in ogni aspetto della vita, persino nello sport». Tutto giusto! E lei, coerentemente, che fa? Nomina sottosegretario allo sport l'uomo giusto al posto giusto, uno scienziato dello sport e della lingua italiana, che si autopresenta come segue. Cito il Corriere della Sera del 20 maggio: «Dieci giorni fa ho visto Prodi, otto minuti (bah!). Ero sul distrutto, non ero stato eletto. Mi dice: che cosa vuoi? Mah, a Brescia facevo l'assessore allo sport; sia chiaro, di sport non mastico niente, la persona meno sportiva del mondo. Tamburello, bocce, è tutto lo stesso». E poi «cava» dal suo repertorio queste due preziose perle lessicali: «Quello che sta succedendo nel mondo sportivo è poco "edificabile"; nel calcio molti erano "conviventi" di Moggi». Viva l'etica, signor Presidente, viva la competenza, viva il merito, viva le qualità (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania)!
Poi lei ci diceva, sempre con tono illuminato e profetico, come usa fare: «Ci vuole serietà» ...! «Dobbiamo essere seri» ... «La situazione dei conti è grave» ... «Il mio sarà un Governo snello, agile, attento alle spese» (Commenti dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno)... Complimenti, ha mantenuto le promesse (Commenti dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno)!
PRESIDENTE. La prego di mantenere un comportamento corretto: le imitazioni non sono ammesse.
ROBERTO MENIA. Cercavo di fare l'imitazione; non è venuta bene?
PRESIDENTE. Eviti di farlo e prosegua normalmente, in modo opportuno.
IGNAZIO LA RUSSA. È il suo modo naturale!
ROBERTO MENIA. Ora ci racconta che vuole ridurre di almeno la metà le scorte per il personale politico e di Governo, ma intanto moltiplica gli scranni (Commenti dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno). Quanto ci costerà, signor Presidente, lei che è del mestiere?
Ma non basta. Parliamo piuttosto dei contenuti della sua relazione. Pareva il suo, come giustamente è stato rimarcato, il discorso del capo dell'opposizione; lei ha detto solo ciò che volete distruggere e non costruire; lei ha promesso che vi abbatterete Pag. 42con furia iconoclasta su tutto ciò che è retaggio del Governo precedente: le grandi opere, la legge Biagi, la riforma della scuola, l'immigrazione, la droga, l'Iraq.
E, a proposito di questo argomento, lei, che è un campione di ipocrisia ed è ricattato dall'ala più oltranzista della sinistra, ha testualmente dichiarato: «Non abbiamo condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione dell'Italia a tale guerra; consideriamo la guerra in Iraq e l'occupazione del paese un grave errore». Lei sa che la missione italiana è stata ed è una missione di pace: lo dicono le risoluzioni dell'ONU...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
ROBERTO MENIA. Lo disse il Presidente Ciampi. Mi concede ancora un minuto?
IGNAZIO LA RUSSA. Presidente, gli cedo un po' del mio tempo!
ROBERTO MENIA. Sa ancora meglio che il termine «occupazione» è quello che usano i terroristi per giustificare gli attentati, come quello di Nassiriya, contro i nostri soldati. Ma lei non si vergogna, di fronte alle bare dei nostri ragazzi, allo strazio delle loro famiglie, a quell'Altare della patria ricoperto di fiori, a dire ciò che dice (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)?
Certo, Presidente, se lei avesse questa coscienza, non avrebbe nominato ministro uno che sghignazzava di fronte a quelle bare.
E allora via di corsa dall'Iraq: inseguiamo Zapatero nella sua fuga, tanto per ritornare un po' «Italietta»; magari inseguiamolo anche nella lunga marcia di distruzione dei valori cristiani e dell'Europa e dei pilastri fondanti della nostra società, come la famiglia. Lei che pensa, Presidente Prodi? Lei, che nel suo discorso ha detto: «La famiglia ha bisogno di sicurezza e quindi va sostenuta nella sua vita quotidiana con un respiro di lungo periodo; è finora mancata invece una politica efficace (...)». Vorremmo sapere, signor Presidente, se la sua idea forte di famiglia è quella naturale e tradizionale a cui noi guardiamo, che è tutelata dalla nostra Costituzione, o se invece pensa a qualcos'altro. Vorremmo sapere dal neoministro della famiglia Rosy Bindi, che tra l'altro è una single impenitente, che cosa significano le sue prime esternazioni proprio in tema di famiglia (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Interruzione del deputato Grillini).
PRESIDENTE. Vi prego, onorevoli...
ROBERTO MENIA. Cosa intende quando dice che non è possibile relegarne la tutela nella sola sfera del diritto privato? Vuole forse un diverso diritto di famiglia? È già partito l'attacco nel mare dell'ipocrisia di chi vuole mettere nei codici il riconoscimento di una pseudo-famiglia, che potrà essere pure di persone dello stesso sesso?
Sono queste le domande alle quali voi non avrete il coraggio di dare risposte (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo), pena rompere il giocattolo appena iniziavate a divertirvi.
Il problema è che l'Italia non è un giocattolo. Lei, Presidente, dice: «Occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei porti, nelle strade, nelle reti ferroviarie»; ma si risponde nominando un ministro che dice che non si fa il Ponte sullo stretto, un altro che grida «no TAV», un sottosegretario all'economia che viene dai centri sociali.
Lei medita di distruggere la riforma del mercato del lavoro varata dal centrodestra, quella che chiama legge n. 30, perché non la disturbi il fantasma di Biagi; lei parla di flessibilità interpretata come precarizzazione, ma non fu il suo passato Governo a consacrare i famigerati co.co. co? E vuole invece negare che il tasso di disoccupazione italiana è sceso dal 10,4 al 7,5 per cento e che di quel milione e mezzo di posti di lavoro in più 1 milione e 250 mila è rappresentato da contratti a tempo indeterminato? Quando l'avrà distrutta, Pag. 43questa riforma, con che cosa la sostituirà?
Infine, sull'immigrazione, e concludo. È lei a dire: «La nostra politica dell'immigrazione» - ed è in malafede! - «non si baserà né sull'immigrazione, né sull'emarginazione, né sulla criminalizzazione; il nostro operato si baserà piuttosto su accoglienza, convivenze e garanzie». E che cosa è stata la riforma delle norme sull'immigrazione, la legge Fini-Bossi, se non proprio accoglienza, integrazione e garanzie? Una legge che collega l'integrazione e la permanenza sul territorio nazionale con il lavoro è una legge che, al tempo stesso, coniuga tutta la solidarietà possibile con la sicurezza necessaria. Chi lavora è benvenuto. E un popolo, quello italiano, che ha conosciuto l'emigrazione, sa dare solidarietà a chi ne ha bisogno e vuole vivere rispettando le nostre leggi e le nostre tradizioni. Ma anche questo lei vuole cancellare.
Non ci siamo, professore! Lei è arrivato predicando serietà, ma la sua ci pare essere soltanto una triste barzelletta (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
FRANCO GRILLINI. Sei tu la barzelletta!
PRESIDENTE. Il deputato Menia ha utilizzato tre minuti e trenta secondi del tempo a disposizione del deputato La Russa, che quest'ultimo gli ha concesso.
È iscritto a parlare il deputato Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, signori membri del Governo, nel suo forte discorso, il Presidente Prodi ha preso le mosse dalla necessità di imprimere una scossa al paese, alla società italiana: una scossa che segni un salto di qualità nell'azione di Governo; una scossa che segni un colpo di reni, per restituire al paese certezze che il paese, in questi anni, ha smarrito.
Credo che questo approccio sia molto giusto, Presidente, perché, nell'indicare l'esigenza di una scossa, lei trasmette, in qualche modo, una triplice consapevolezza: la consapevolezza dei rischi che corre l'Italia, che in questi anni è stata attanagliata dalla stagnazione economica e dall'insicurezza sociale; la consapevolezza, peraltro, delle grandi potenzialità che la società italiana, il paese, può mettere in campo; la consapevolezza della necessità, da parte di chi ha la responsabilità di governare, di chiamare a raccolta le migliori energie del paese, di mobilitare la società italiana. In questa consapevolezza mi pare vi sia il senso, la missione di una classe dirigente, che è quella di raccogliere ansie, domande, aspettative dei cittadini, che è quella di indicare mete e sfide, che è quella di tradurre tutto ciò in progetto e in governo.
Io credo che sia giusto questo approccio, perché è esattamente qui, su questo terreno, che la destra non ce l'ha fatta.
Nel 2001, quando Berlusconi e la destra si presentarono agli elettori, chiesero un voto in nome di un messaggio che non era banale e, anzi, era attraente: l'idea che la destra sarebbe stata capace di dare a ciascuno più opportunità, più occasioni, più possibilità. Le parole «sogno» e «miracolo» erano evocate, in modo immaginifico, per rappresentare quella volontà della destra di imprimere una svolta dinamica al paese. Quel messaggio coglieva una domanda che c'era nella società italiana: era una domanda di innovazione; era una domanda di apertura; era una domanda di maggiore dinamicità. E noi, allora, forse, la sottovalutammo e non cogliemmo la portata del messaggio che la destra lanciava al paese. E per questo la destra vinse le elezioni.
Il punto è che poi, però, la destra non ce l'ha fatta. Gli esiti di questi cinque anni di Governo sono stati assai lontani da quella promessa. Il bilancio che la destra ha potuto esibire agli italiani è assai distante da quell'aspettativa: la crescita zero, comunque la più bassa crescita che il paese abbia conosciuto da molti anni; la riduzione della competitività del sistema produttivo; l'aggravamento del debito e del deficit; la crescita di molti fattori di precarietà nella vita quotidiana delle famiglie, Pag. 44la precarietà del lavoro come la precarietà del reddito; sul piano istituzionale, una politica che ha ridotto il livello di legalità, che ha ridotto la capacità della pubblica amministrazione di essere in sintonia con le domande della società e che ha scardinato l'impianto costituzionale ed istituzionale.
L'esito che è di fronte a tutti è un'Italia più piccola, è un'Italia meno competitiva, è un'Italia più insicura e, per questa via, è un'Italia più egoista.
Per questo, serve una scossa; per questo, ho preso le mosse da quella sua parola e sono convinto che essa sia il messaggio forte che viene dal suo discorso. Serve una scossa per rimettere in moto un paese fermo; serve una scossa per restituire certezze laddove, invece, prevale insicurezza e precarietà; serve una scossa per offrire opportunità a chi - soprattutto i giovani - guarda alla propria vita con preoccupazione; serve una scossa per aprire una società, in troppi settori ed in troppi ambiti, chiusa e ferma.
È per questo che è sbagliato e caricaturale presentarci - come ha fatto, ancora ieri sera, l'ex Presidente del Consiglio, nel corso di una trasmissione televisiva - come restauratori. Noi non consideriamo il Governo Berlusconi come una parentesi, chiusa la quale basta ritornare a prima. Noi siamo consapevoli del fatto che l'Italia ha bisogno di riforme economiche, ha bisogno di liberalizzazione, ha bisogno della rottura di paratie corporative, ha bisogno di innovazioni istituzionali.
Ad esempio, quando chiediamo agli elettori italiani di votare «no» al referendum che tra qualche settimana si svolgerà, non lo chiediamo per un istinto di conservazione, perché manca in noi la consapevolezza della necessità di grandi cambiamenti e di innovazioni dell'assetto istituzionale e costituzionale del paese. Chiederemo di votare «no» in nome, invece, di un'idea più avanzata e più forte, della necessità di riformare l'impianto istituzionale e costituzionale del paese, a partire dal completamento di quel federalismo che voi, invece, in questi anni, sotto la bandiera della devolution, avete mortificato. È intorno a questa sfida, di cambiare il paese, di aprirlo e di determinare una forte innovazione nei suoi assetti economici, sociali e istituzionali, che vogliamo unire il paese.
Sì, lei ha fatto bene a dire in quest'Assemblea - e noi dobbiamo affermarlo in modo chiaro - che non ci sono nemici per questo Governo e per questa maggioranza; non ci sono nemici in quest'Assemblea e non ci sono nemici al di fuori di quest'Assemblea. Per questo, a voi dell'opposizione noi abbiamo sollecitato, in queste settimane, il confronto; per questo, abbiamo pensato che il passaggio dell'elezione del Presidente della Repubblica dovesse essere colto non come l'ultimo episodio di una guerra infinita, ma come il primo atto di una pace che si costruisce insieme; per questo, abbiamo proposto e proponiamo un'intesa sulle presidenze delle Commissioni, non per annacquare o annullare la distinzione delle responsabilità di chi governa e di chi si oppone, ma perché nella distinzione dei ruoli e delle funzioni, entrambi costituzionalmente rilevanti, come giustamente ha sottolineato il Presidente Prodi nel suo discorso, c'è la responsabilità comune di rispondere alle domande ed alle esigenze del paese.
L'Italia non ha bisogno di una guerra civile e politica permanente. Davvero ci auguriamo che le desolanti immagini di qualche giorno fa, quando la metà del Senato della Repubblica ha irriso sguaiatamente i senatori a vita, siano l'ultimo episodio di una guerra infinita. Davvero credo sia dovere di tutti non lasciar cadere l'appello del Presidente Napolitano, un appello solenne che, in quest'aula, ha sollecitato ciascuno di noi - con le parole autorevoli del Presidente - a guardare, prima di tutto, alle domande, alle esigenze degli italiani ed a fare delle risposte che noi dobbiamo dare agli italiani il terreno vero della sfida, della competizione e del confronto tra le forze politiche e gli schieramenti. Anche perché queste sfide, le sfide che il paese ci pone davanti, non stanno di fronte soltanto a noi. Le sfide che la società italiana ci pone non sono un problema soltanto della maggioranza di Pag. 45Governo, sono sfide che riguardano l'Italia e il suo futuro, riguardano l'intera sua classe dirigente, una classe dirigente costituita da chi ha la responsabilità di governare e da chi ha la responsabilità di assolvere al ruolo di opposizione.
Lei, Presidente, ha indicato le direttrici di queste sfide intorno alle quali il sistema politico deve mostrarsi all'altezza. Lei ha indicato, prima di tutto, la sfida dell'Europa, e la ringrazio di averlo fatto. Proprio perché noi siamo, non da oggi, convinti europeisti, non abbiamo visioni mitiche dell'Europa e sappiamo quanto complessa, ardua e faticosa sia stata e sia la costruzione del processo di integrazione europea, di un processo che deve condurre ad integrare via via tra loro paesi, nazioni e popoli che provengono da storie, culture, identità e sistemi economici e politici diversi.
Tuttavia, se guardiamo proprio all'esperienza di questi cinque anni di Governo Berlusconi, possiamo tutti trarre la conclusione, a maggior ragione, che pensare l'Italia fuori dell'Europa è velleitario ed illusorio. Pensare che l'Italia possa costruire il suo futuro, il suo destino, la sua prospettiva da sola, prescindendo dall'Europa e dall'integrazione europea, non è soltanto sbagliato, è prima di tutto una velleità perché l'Europa è sempre di più il luogo e lo spazio del nostro destino, della nostra vita, oggi e futura. Se lì c'è il nostro futuro, noi abbiamo bisogno di pensare l'Italia sempre di più dentro quell'orizzonte, dentro quello spazio perché, come giustamente ha detto il Presidente Prodi, l'interesse nazionale del paese coincide sempre di più con l'interesse di quella comunità più vasta che è l'Europa, di cui noi siamo parte e vogliamo essere parte sempre di più, ritornando ad essere in Europa, dopo anni di marginalità, un paese che contribuisce davvero a costruire le condizioni di un destino comune, costruito con popoli e nazioni che ormai non possono pensarsi da soli.
Lei ha indicato la necessità di una crescita e questa può essere sembrata un'ovvietà: non è un'ovvietà. Noi tutti siamo stati abituati per anni ed anni a discutere e a dibattere dentro un meccanismo di accumulazione che cresceva: qualche anno cresceva un po' di meno e qualche anno un po' di più, ma la crescita c'era e il dibattito tra noi era essenzialmente su come si ridistribuiva la ricchezza della crescita. Tuttavia, veniamo invece da anni di bassissima crescita, da anni di crescita zero, da anni di stagnazione produttiva e di riduzione di competitività: allora, il problema non è discutere come si distribuisce una ricchezza che rischia di non esserci, ma la priorità delle priorità è come rimettiamo in movimento un sistema di accumulazione che sia capace di garantire quei livelli di crescita senza i quali qualsiasi discussione sulla redistribuzione rischia di essere puramente velleitaria. Dunque, questo è un tema decisivo ed anche su questo l'elemento di innovazione sta proprio nel modo di guardare alla qualità della crescita.
Cinque anni fa la destra ci propose una ricetta che ha cercato di perseguire con determinazione per cinque anni, ma che si è infranta sull'impossibilità di essere praticata, cioè che il modello di accumulazione potesse essere messo in moto attraverso la riduzione fiscale e che la riduzione fiscale fosse l'alfa e l'omega di qualsiasi politica di crescita. Il risultato è che non abbiamo avuto riduzione fiscale o, comunque, non l'abbiamo avuta in misura così significativa da indurre crescita. Dunque, la crescita non l'abbiamo avuta perché oggi il motore della crescita non sta lì: il motore della crescita sta nel livello di specializzazione tecnologica su cui si fonda la competitività delle nostre imprese; il modello di crescita deve fondarsi su un'innovazione capace di aprirsi a settori a più alto valore aggiunto e più dinamici sui mercati; il modello di crescita deve fondarsi su una politica di infrastrutturazione del paese che non è e non si esaurisce nella costruzione di un ponte, ma è invece pensare il paese e la sua infrastruttura nei nuovi orizzonti e nuovi scenari entro cui la globalizzazione economica offre opportunità gigantesche al nostro paese.Pag. 46
Per questo non è una stravaganza puntare sui porti. La portualità significa far dell'Italia la porta di ingresso di tutto ciò che da mercati lontani arriva in Europa e da tutto ciò che dall'Europa parte per andare verso mercati lontani; significa cogliere che il Mediterraneo, dopo cinque secoli, torna ad essere non più un mare chiuso, ma una grande via di comunicazione, che il Mediterraneo è la nuova via della seta di questo tempo.
Nel Mediterraneo c'è un grande paese come l'Italia che è una naturale piattaforma logistica e investire sulla portualità significa collocare l'Italia nella spazialità di flussi di traffico, di commerci e di relazioni più ampie. Naturalmente, se si investe sulla portualità, qualsiasi persona di buon senso capisce che bisogna investire sulle vie di comunicazione per andarci e venirci (le strade, le ferrovie, la navigazione del mare, i centri intermodali di stoccaggio delle merci, il loro trattamento). Se mi si permette, viste le polemiche di questi giorni, si tratta di un obiettivo ed un piano molto più ambiziosi che costruire semplicemente un ponte: vorrei che fosse chiaro (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, dei Comunisti italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)!
Allora, modello di crescita significa scommettere sul sapere, sulla conoscenza, come la frontiera nuova e sempre più decisiva per un modello di accumulazione che sia competitivo e che non scommetta soltanto sulla riduzione dei costi. Il modello di crescita significa sapere che la dimensione ambientale, paesaggistica, culturale e civile di questo paese non è soltanto un fatto marginale, ma diventa una leva di sviluppo fondamentale per lo sviluppo del paese.
Queste sono le sfide che noi indichiamo, e che intendiamo affrontare tenendole insieme alla coesione sociale. Vedete, non facciamo delle caricature anche su questo piano: mi rivolgo ai colleghi della destra. Nessuno è così sciocco da pensare che, in Italia, si possa tornare ad un mercato del lavoro degli anni Settanta od Ottanta, caratterizzato da staticità, da rigidità e da un diverso rapporto tra ciclo produttivo e mercato, perché sappiamo tutti dove viviamo.
Viviamo nella società flessibile, che è tale non solo nel lavoro, ma anche nella produzione, nei consumi, negli stili di vita e nei modelli di comportamento; la nostra società è flessibile perfino nelle gerarchie di valori, figuriamoci un po'! Sappiamo benissimo, quindi, che bisogna fare i conti con un mercato del lavoro flessibile; tuttavia, sappiamo anche, e per noi rappresenta un discrimine fondamentale - ma dico che dovrebbe esserlo anche per voi -, che in nessun modo l'assunzione della flessibilità come modello di organizzazione sociale può tradursi in una condizione di perenne precarietà esistenziale per alcun individuo, perché questo è il punto su cui bisogna intervenire ed agire (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)!
Quando abbiamo affermato che bisogna riscrivere la legge Biagi, come hanno fatto il Presidente del Consiglio ed il ministro Damiano in questi giorni, non abbiamo pensato alla negazione della flessibilità. Abbiamo fatto riferimento, invece, a ciò che Biagi ha scritto in numerosissimi suoi saggi, che forse bisognerebbe leggere, e leggere tutti. Biagi, infatti, ha scritto che non si poteva costruire un mercato del lavoro moderno e flessibile senza un moderno sistema di ammortizzatori sociali che accompagnasse la flessibilità del lavoro, in ragione tale che nessun cittadino venisse esposto, quotidianamente, ad una condizione angosciosa di precarietà esistenziale. Questo è ciò che vogliamo fare, e che ci sembra corrisponda alle domande dei cittadini, in particolare dei giovani.
Vogliamo un welfare che non lasci soli i cittadini, sapendo che la solitudine - badate - oggi è forse una delle grandi questioni irrisolte per milioni di famiglie. A me è cara una frase di madre Teresa di Calcutta, che spesso cito, che afferma che la solitudine è la povertà delle società ricche. È proprio questo il tema intorno al quale va riorganizzato il welfare, vale a Pag. 47dire la capacità di fare in modo che ciascuno non venga lasciato solo (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Popolari-Udeur) nella sua esistenza quotidiana e sappia che esiste uno Stato sociale moderno ed efficiente, fondato sui servizi pubblici, ma non soltanto su quelli. Anche su tale aspetto, vorrei sottolineare che non siamo dei conservatori, ma siamo capaci di costruire i presupposti affinché ciascuno, nella propria vita, abbia garantite le condizioni di certezza e sicurezza essenziali e necessarie.
Vogliamo un'Italia che sia fondata sulla legalità. Ciò significa uguaglianza delle leggi e dei cittadini di fronte ad esse, e sappiamo bene come, in questi anni, troppe volte non sia stato così. Significa, altresì, imparzialità della pubblica amministrazione, nonché accessibilità ai beni comuni da parte di tutti.
Mi riferisco ad un'Italia che sia responsabile verso gli individui ed i cittadini, e vorrei aggiungere che il fondamento della laicità è la responsabilità verso le scelte di vita di ogni donna e di ogni uomo. Vogliamo un'Italia che sia responsabile verso il mondo e verso i grandi obiettivi che segnano la vita del pianeta, e che sappia assumersi la responsabilità, concorrendo in tal senso, di fare del nostro un pianeta di pace, di stabilità e di prosperità per tutti.
Insomma, noi siamo consapevoli che queste sono le aspettative, nonché le direttrici intorno a cui bisogna misurarsi con il paese per potergli offrire delle risposte. Per questo motivo, avvertiamo la responsabilità di non deludere, di onorare gli impegni, di restituire fiducia e speranza e di raccogliere le domande della società italiana. Dobbiamo raccogliere le domande di quella del Nord, come sottolineato dal Presidente Prodi, segnata da un dinamismo che è stato esposto, in questi anni, a profonde crisi per effetto dei processi di globalizzazione economica.
Dobbiamo altresì guardare alle speranze deluse del Mezzogiorno. La ringrazio, signor Presente del Consiglio, poiché nel suo discorso «Mezzogiorno» è non una parola di rito, ma una leva fondamentale per pensare lo sviluppo del Sud e dell'intero paese (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Popolari-Udeur).
La responsabilità di rispondere a tali aspettative grava in primo luogo, ovviamente, sulle spalle del Governo e della maggioranza, ma non solo. Vede, signor Presidente del Consiglio, proprio perché il nostro progetto è un salto - una «scossa», come lei ha affermato -, esso richiede che si agisca su due fronti: quello del Governo - questa responsabilità è, in primo luogo, sua e del suo Esecutivo - e quello della società.
Non ripetiamo l'errore di un riformismo senza popolo. Anche sul fronte istituzionale, infatti, serve una scossa, ma essa deve partire prima di tutto dai comportamenti e dalle scelte dei soggetti politici. Per lungo tempo (mi riferisco ad una riflessione svolta, numerose volte, con il collega De Mita), abbiamo pensato che la democrazia dell'alternanza potesse consolidarsi e radicarsi, in Italia, passando essenzialmente attraverso riforme istituzionali, ed abbiamo compiuto scelte e passi in tale direzione.
Io sono tra quelli che continuano a difendere l'esperienza della Bicamerale, vista come un passaggio coraggioso per dare a questo paese le riforme istituzionali in grado di consentire il consolidamento della democrazia dell'alternanza. Tuttavia, l'esperienza di questi anni cosa ci dice? Ci dice che le riforme istituzionali e costituzionali da sole non bastano, serve anche una riorganizzazione radicale e decisa dei soggetti politici.
La destra, dopo questa sconfitta, si pone l'obiettivo di avviare la costituente di un partito unico; ce lo siamo posti e ce lo poniamo noi, a maggior ragione, proprio perché consapevoli delle responsabilità di governo. Sappiamo che si richiede un centrosinistra unito la cui coesione sarà tanto maggiore quanto più ci sarà un soggetto principale forte a guidarlo. È questa la ragione per cui oggi parlo in Pag. 48questa Assemblea - come tantissimi altri colleghi hanno già fatto - a nome dell'Ulivo.
L'Ulivo non è soltanto un'alleanza elettorale, ma costituisce per noi l'idea di costruire un soggetto politico per dare forma al riformismo, per unire diverse tradizioni e culture, per innovare la politica, per portare a compimento una transizione istituzionale che ha bisogno, per essere caratterizzata da un sistema bipolare stabile, di soggetti politici, di grande radicamento sociale, di forte consenso elettorale e cultura di governo, capaci di offrire al paese le leadership necessarie a governare. Si tratta di una sfida che vale per noi - la avvertiamo tutta e per questo abbiamo imboccato questa strada -, ma anche (lo ripeto) per la destra. È soltanto riorganizzando il sistema politico e i soggetti che lo caratterizzano che noi potremo veramente e definitivamente consolidare il bipolarismo e la democrazia dell'alternanza. Attraverso la riorganizzazione dei soggetti politici sarà anche più facile elaborare una legge elettorale che metta fine alla gravissima stortura introdotta da questa vostra legge elettorale, la quale è stata volutamente e sbrigativamente adottata nel corso degli ultimi mesi della legislatura. Questo è il senso della sfida, una sfida che noi affrontiamo con tanta più determinazione perché consapevoli che l'Italia ce la può fare.
Signor Presidente, in fondo tutto il suo discorso è ruotato intorno a questo messaggio che noi dobbiamo sforzarci di far arrivare agli italiani da quest'aula e non soltanto da essa. Sì, l'Italia ce la può fare! Quello che vogliamo lanciare agli italiani è un messaggio di speranza. L'Italia è un grande paese - frase che spesso ha usato il presidente Ciampi in molti suoi discorsi visitando le province italiane - ma un grande paese ha bisogno di una guida all'altezza, che chiami a raccolta le energie migliori della società, che indichi delle sfide e delle mete, che dia il senso a ciascuno che vale la pena di spendere, che costruisca le condizioni perché ciascuno pensi che scommettere su di sè, sul proprio talento, sulla propria capacità, sulla propria voglia di realizzare le proprie ambizioni è parte di un progetto collettivo che fa crescere tutti.
Questa è la nostra ambizione e, dunque, l'ultimo invito che le faccio - ringraziandola signor Presidente - è il coraggio di osare. Ogni volta che ella ed il suo Governo oseranno, lei troverà l'Ulivo ed il centrosinistra a sostenerla con convinzione, perché noi siamo consapevoli che osando saremo capaci di restituire agli italiani certezze, diritti e speranze (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Froner. Ne ha facoltà.
LAURA FRONER. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, prendo la parola nella discussione generale sulla fiducia al Governo dichiarandomi fin d'ora convinta della bontà della proposta programmatica da lei presentata. Quindi, nessun elemento di criticità, ma questo mio intervento è legato alla questione della montagna che, tra l'altro, lei ha già avuto modo di considerare dettagliatamente negli obiettivi del programma dell'Unione.
La ripresa economica del nostro paese non può prescindere dal 54 per cento del territorio sul quale risiedono 11 milioni di italiani. La montagna ci sta a cuore, perché siamo convinti che essa sia per l'Italia una risorsa assolutamente strategica. In ciò mi associo ai 4.202 comuni montani italiani e alle 356 comunità montane, che hanno già avuto modo di far pervenire, mediante il presidente nazionale dell'UNCEM, Enrico Borghi, un indirizzo di saluto con l'augurio di buon lavoro a lei e alla nuova squadra di Governo.
La montagna è stanca di promesse non mantenute e di proposte che ne assicurano la valorizzazione, senza essere accompagnate dall'illustrazione di meccanismi fiscali ed economici necessari a questo sviluppo. Su ciò dobbiamo e vogliamo distinguerci, Pag. 49e ci impegneremo a fondo per dare attuazione ai nostri impegni politici per la montagna.
È evidente che, per dare un segnale forte e chiaro, sarebbe utile, per non dire necessario, addivenire alla costituzione del sottosegretariato alla montagna e chiamare alla responsabilità dello stesso una persona che, con assoluta capacità e competenza, rappresenti in modo compiuto quel mondo.
PRESIDENTE. Onorevole Froner, la prego...
LAURA FRONER. Vi è la necessità di partire dalla considerazione che le montagne italiane non sono un problema, ma una risorsa e, quindi, necessitano di una forte rappresentanza nel Governo.
Signor Presidente, le chiedo che nella sua replica colga anche questo aspetto e rassicuri tutti noi...
PRESIDENTE. Onorevole Froner, per favore, il tempo...
LAURA FRONER. ...affinché gli impegni assunti in campagna elettorale possano trovare un sicuro ancoraggio nel Governo.
Da parte nostra, le garantiamo fin d'ora che, come legislatori, interverremo per aggiornare, ammodernare e riformulare la legge sulla montagna ormai datata...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Froner, lei ha superato di gran lunga il tempo a sua disposizione. Mi dispiace, non si può fare.
LAURA FRONER. ...anche alla luce dei cambiamenti intervenuti nel frattempo e in vista delle nuove necessità che, dal 1994 ad oggi, sono emerse. Buon lavoro!
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Froner, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, il mio cognome si pronuncia correttamente con l'accento sulla «i»...
PRESIDENTE. Ne farò tesoro, la ringrazio.
GIUSEPPE MARIA REINA. È la prima volta che in quest'aula prende la parola un deputato del movimento per l'Autonomia, un parlamentare del sud, siciliano. Credo che i colleghi comprenderanno in che modo affronti gli argomenti che sto per trattare e come non possa fare a meno di avvertire tutta la responsabilità che ne deriva per l'insieme delle grandi questioni che vorremmo poter trattare in quest'aula e in questa circostanza. Ma sappiamo bene che ciò non è possibile, perché - ahimè - il tempo è tiranno e bisogna rispettare i termini regolamentari. Tuttavia, cercheremo il più possibile di fare il punto sulle questioni che vogliamo sottoporre all'attenzione di tutti.
Innanzitutto, francamente sono rimasto sorpreso di fronte ad alcune considerazioni svolte poco fa dall'onorevole Fassino, che peraltro stimo per la sua onestà intellettuale. Diventa complicato riuscire a capire come si possa parlare del ponte sullo stretto di Messina, dimenticando che questo Stato, con i precedenti Governi nella XIII legislatura, ha investito nella rete intermodale siciliana e lo ha fatto con risorse notevolissime. Non riesco, francamente, a capire come possiamo immaginare, ad esempio, che le merci che approdano in Europa, partendo dai paesi del Corno d'Africa, si avviino nella rete distributiva europea attraverso il porto di Marsiglia e poi ritornino allo «stivale» attraverso la rete intermodale degli interporti italiani, fino in Sicilia. Cioè, le merci partono dalle nostre spalle! Non riesco a capire come si possa credere seriamente di affrontare i termini di un moderno sistema Pag. 50intermodale italiano ed europeo senza immaginare il ponte sullo stretto di Messina. Evidentemente, i tecnici cui facciamo riferimento sono, in ordine a ciò, particolarmente carenti.
Vorrei anche aggiungere, per correttezza, che basta scorrere il portato della scuola trasportistica napoletana, come anche di quella di Reggio Calabria, per capire se i tecnici italiani che si occupano di tali materie da anni siano o meno per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. È evidente che non si tratta di un'opera fine a se stessa e che non può né deve rimanere tale perché, se non è collegata realmente ad un moderno sistema infrastrutturale, rischia di essere una gravosissima cattedrale nel deserto. Ma ciò non è nella memoria collettiva dei siciliani e - aggiungo - dei calabresi. Vedrete che anche su questo, in occasione della competizione elettorale che si sta svolgendo in Sicilia, il popolo siciliano darà una risposta, un'indicazione al Governo, quale che sia: di centrodestra o di centrosinistra.
Si ha un bel dire quando si parla di seconda, di terza, di quarta Repubblica: ancora utilizziamo linguaggi di tipo ottocentesco parlando di centrodestra e centrosinistra. L'Italia è divisa tra il centrodestra ed il centrosinistra: siamo davvero convinti che sia possibile ricondurre nell'ambito di queste due semplici locuzioni il portato complessivo e straordinario che esprime il popolo italiano? Io dico di no. Per noi, più semplicemente, l'Italia è divisa tra centro-sud e centro-nord. Colleghi, il 15 maggio di quest'anno ricorrevano i sessant'anni dell'autonomia siciliana: sessant'anni di ritardi, di attese tradite, di enunciazioni di principio rimaste nell'indifferenza di una classe politica che ha barattato la propria sopravvivenza con un atteggiamento di deferente asservimento verso l'oligarchia, certamente non particolarmente interessata a che lo statuto venisse attuato. Penso all'Alta Corte di giustizia, al fatto che il Banco di Sicilia avrebbe potuto battere moneta, e invece c'è stato un disegno per distruggere il sistema creditizio siciliano, che era stato concepito per dare spazio e risorse all'attività d'impresa del popolo siciliano.
Carissimi colleghi, mentre al centro-nord assistiamo alle proteste, più o meno giuste e corrette, delle popolazioni della Val di Susa contrarie alla realizzazione della TAV, dobbiamo miseramente chiederci se le popolazioni del centro-sud, in particolare quelle campane, calabresi e, perché no, siciliane, avranno mai la TAV. Forse fra dieci o cento anni, o forse mai, perché così è stato stabilito.
Non valuteremo l'azione del Governo partendo da un'ottusa posizione di contrapposizione, che riteniamo non sia utile alla complessiva politica che deve esprimere non solo il Governo, ma il Parlamento di questo paese. La valuteremo, però, sulla base di tali questioni. Riteniamo insensato ed assurdo che alcuni ministri, ancora prima di occupare la propria poltrona, esprimano in libertà giudizi impegnativi come quello manifestato a proposito della realizzazione del ponte sullo Stretto, senza rendersi conto di quello che ciò potrebbe costare, al contrario, dopo che è stato firmato il relativo contratto, ove non si procedesse materialmente alla realizzazione dei lavori.
Come dicevo, sono un deputato siciliano. Dunque, mi chiedo come mai, se lo spirito di coloro che avversano il ponte è anche determinato dalla difesa dei temi ambientalisti, questi stessi temi siano molto più sofficemente affrontati quando si tratta in Sicilia degli impianti di raffinazione petrolifera a Gela, a Milazzo, a Siracusa.
Parlo dei luoghi dove approdarono le navi del console Marcello perché Roma voleva sottomettere Siracusa al proprio dominio. Sono i luoghi di questa Sicilia e di questo Mediterraneo, culla della nostra civiltà, dove oggi, carissimi colleghi, insistono i pontili che sorreggono la rete di adduzione petrolifera, una rete obsoleta che, non molti giorni fa, ha rischiato di compromettere in maniera gravissima un sito importante come l'insediamento petrolchimico di Priolo, una rete di cui non conosciamo nulla: non sappiamo con esattezza Pag. 51quanti e quali monitoraggi siano stati fatti, chi, perché e come, nell'arco di tempo che si è sviluppato dalla venuta di Enrico Mattei in Sicilia, abbia autorizzato e in che termini.
Era stato promesso un grande sviluppo, una grande capacità di lavoro; abbiamo visto soltanto le nostre coste distrutte, il lavoro ridotto quasi a nulla, con poche centinaia di lavoratori ed un grave pregiudizio complessivo per la salubrità delle popolazioni. Molti sanno e troppi tacciono sulle malformazioni neonatali che si sviluppano in queste aree. Si potrebbero scrivere libri bianchi, e su ciò, nelle forme dovute, chiederemo l'istituzione di una Commissione d'inchiesta da parte del Parlamento italiano. Pochi sanno, però, che mentre avviene tutto ciò, alcune aziende pagano prima che il processo si concluda, prima che vi sia un pronunciamento di magistrati. Pagano per cento famiglie, a dimostrazione che non solo vi è qualcosa di vero, ma che tutto è vero! È vero che il mercurio è stato buttato a mare e che attraverso la catena alimentare ha interferito, in qualche modo, con l'uomo; e le conseguenze non riguardano certamente solo quelle centinaia di persone.
Affrontiamo anche il tema dei tumori e quale percentuale hanno raggiunto in quella parte delle regione siciliana! Carissimi colleghi, non vogliamo più essere la «pattumiera» d'Italia e, forse, d'Europa, perché non sappiamo nemmeno se la raffineria di Priolo, le raffinerie meridionali raffinino petrolio diretto anche nel resto d'Europa, signor Presidente!
Chiediamo un impegno preciso al Governo affinché si smantellino questi impianti, si riconverta l'impegno e l'iniziativa economica in queste aree, privilegiando la realizzazione di strutture ricettive turistiche o quant'altro, così da salvaguardare i lavoratori che oggi lavorano per ciò che di residuale rimane in queste strutture e da permettere loro di mantenere il posto di lavoro allo stesso tempo dando il via ad uno sviluppo reale, omogeneo e serio legato alla natura del territorio.
Sappiamo bene che si tratta di argomenti di difficile soluzione, per i quali molte forze lavorano astutamente nell'ombra, riuscendo a coinvolgere molti parlamentari.
Peraltro, è strano dover assistere, anche in questo momento, ad un rituale stanco, carissimo Presidente della Camera, in base al quale i leader con il loro «codazzo» entrano in aula, svolgono i loro interventi, seguiti dai leader o semi-leader che un tempo furono leader, e poi escono dall'aula seguendo un rituale che appartiene ad un'Italia, questa sì, di altri tempi! Questa è l'Italia che dovremmo cancellare! Altro che centralità del Parlamento, caro Presidente Bertinotti, qui è la centralità del Parlamento: nel rito di interventi che si consumano e nella processione che si svolge nel cosiddetto Transatlantico!
Se vogliamo la centralità del Parlamento, cominciamo fin d'ora a confrontarci su questi temi. Abbiamo il coraggio di spenderci su questi temi e di chiarire la nostra posizione, anche di fronte ai veri e reali poteri forti del mondo dell'economia, dell'informazione e di quant'altro, che gravano sul nostro paese mescolandosi con la cosiddetta sinistra e con la cosiddetta destra al momento delle convenienze possibili!
È questo quello che dobbiamo scardinare, se vogliamo avere il coraggio di condurre fino in fondo la nostra funzione di parlamentari; ed è a questo che mirano i parlamentari del Movimento per le Autonomie. Vedete, abbiamo posto una bandierina con le elezioni politiche, ma state pur tranquilli che, con le elezioni regionali che saranno da qui a poco in fase di svolgimento, raggiungeremo percentuali a due cifre, perché i siciliani hanno capito fino in fondo qual è il messaggio che noi vogliamo raggiungere.
Allora, ancora una volta, io dico che noi non esprimeremo, in questo momento, la nostra fiducia al Governo proposto dall'onorevole Prodi, ma neppure ci chiuderemo in una condizione preconcetta di assurda contrapposizione.
Ci auguriamo, anzi, che questo Governo, in qualche misura, sappia cominciare a muoversi nella giungla nella quale è costretto a muoversi, suo malgrado, a prescindere dalla colorazione che lo caratterizza, Pag. 52per la difficoltà complessiva che il nostro paese rappresenta ed evidenzia in questo momento. Se manifesterà attenzione, fatti e atti concreti che, e vado a concludere, Presidente, il popolo siciliano, ma anche quello calabrese, lucano, campano possono apprezzare, allora sicuramente, rispetto a questo, valuteremo un atteggiamento responsabile, nell'interesse del paese e delle popolazioni che vivono all'interno di esso.
Sappiate che noi non miriamo né alla secessione nè all'indipendenza; miriamo a specificare, ancor più, quelle che sono le caratteristiche e le esigenze territoriali per far sì che si pervenga ad una reale unità del paese, che purtroppo, ancora oggi, noi abbiamo difficoltà a riscontrare in questa Italia. Grazie, Presidente.
PRESIDENTE. Grazie, deputato Reina.