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Svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Gestione dei beni sequestrati dalle autorità giudiziarie - n. 2-00250)
PRESIDENTE. Il deputato Pellegrino ha facoltà di illustrare l'interpellanza Bonelli n. 2-00250 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmitario.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ogni anno la magistratura pone sotto sequestro conti correnti, beni mobili ed immobili frutto di attività illecite, accumulando così ingenti risorse che diventano proprietà disponibili dello Stato.
Grazie a questi sequestri un sistema giudiziario efficiente potrebbe far entrare nelle casse dello Stato ingenti somme di denaro, presumibilmente tali da coprire in larga parte i costi di gestione del sistema giudiziario stesso e forse anche di generare un avanzo netto.
La gestione di questi patrimoni, che, in certi casi, come quella degli immobili, comporta una certa manutenzione, è in molti casi problematica. Assegni e bonifici posti sotto sequestro vengono depositati in banca, il contante in posta su un libretto giudiziario intestato al procedimento. In pratica, però, si determina, dal momento del sequestro all'incasso dello Stato, un lasso di tempo burocratico assai rischioso. Un esempio è costituito dai 621 milioni di lire sequestrati dalla magistratura italiana il 6 ottobre del 1993 da un conto svizzero e trasferiti sul conto corrente della Banca nazionale del lavoro del tribunale di Milano. Quei soldi, oggi equivalenti a 390 mila euro, si trovano ancora sul conto della banca.
Secondo Paolo Ielo, pubblico ministero nel processo di primo grado, ciò è dovuto a molteplici intoppi burocratici e, in particolare, al troppo tempo che passa tra il momento in cui si celebra un processo, il momento in cui si giunge ad una sentenza di condanna di primo grado e il momento in cui la sentenza di condanna diventa definitiva.
Secondo la testimonianza della puntata di Report del 5 novembre 2006, soltantoPag. 2pochi giorni prima della messa in onda della trasmissione gli organi competenti si sono attivati per acquisire una sentenza di confisca del 2000 di immobili per ingente valore. Dentro fascicoli depositati in archivio, sono stati rinvenuti tre libretti che contenevano complessivamente circa 23 mila euro, soldi che lo Stato avrebbe potuto incassare dieci anni fa e che, invece, per un errore di cancelleria, sono stati archiviati. Quei soldi ovviamente sono rimasti nella disponibilità di Poste italiane a lungo, fino a quando qualcuno se n'è accorto ed ha provveduto a riscuotere.
La puntata della trasmissione Report citata documenta, altresì, il caso tipo di una mazzetta di 10 mila euro. Il magistrato ha disposto che il denaro venga depositato sul libretto di deposito giudiziario infruttifero presso le Poste. La tangente viene depositata nell'ufficio postale che si trova all'interno del palazzo di giustizia di Milano. In caso di condanna definitiva, i soldi congelati diventano dello Stato, che avrebbe tutto l'interesse ad intascare denaro il più presto possibile piuttosto che lasciarli alle Poste; invece, nel caso documentato, anche se solo pochi metri separano l'ufficio postale dall'ufficio depositi giudiziari, questa somma resta a lungo alle Poste.
Vincenzo De Peppo, capo ufficio depositi giudiziari di Milano, nel corso della trasmissione, attribuisce questi ritardi ai grandi arretrati: i depositi giudiziari più vecchi potrebbero risalire a più di dieci anni fa. Si tratta, secondo il De Peppo, di milioni di euro, tanti milioni: se dovessimo sommare tutti i tribunali - concordano il De Peppo e la conduttrice Sabrina Giannini - si arriverebbe a una manovrina finanziaria, perché sicuramente nei grandi tribunali la giacenza di arretrato è analoga a quella di Milano.
I libretti giudiziari sul territorio nazionale sono circa 680 mila e hanno una giacenza media di circa 2.500 euro per libretto giudiziario; quindi, il totale dei libretti sul territorio è di un miliardo e 700 milioni di euro.
Gli uffici depositi giudiziari non sono collegati in rete con le Poste, il che rende lente, costose e macchinose molteplici operazioni, inerenti, ad esempio, al computo degli interessi maturati, necessarie a chiudere le pratiche di riscossione depositi.
Gli uffici depositi giudiziari hanno scarsissime dotazioni di personale. Quello di Milano, ad esempio, attualmente ha tre impiegati; fino a poco tempo fa c'era solo l'attuale capo ufficio, poi affiancato ad un altro operatore in part time, senza la possibilità finanziaria di ricorrere significativamente a straordinari.
Un ufficio analogo a quello dei depositi giudiziari in un'azienda privata sarebbe il motore economico e, quindi, sarebbe gestito con efficienza. In questo caso, invece, l'amministrazione pubblica sembra disinteressata ad incassare denaro già pronto per essere riscosso. Ovviamente, la Cassa depositi e prestiti, per il 30 per cento in mano alle banche private, quei soldi li usa per le proprie operazioni. Paga solamente l'1 per cento di interessi al Ministero dell'economia e delle finanze che quando ha bisogno di soldi, ovviamente, li chiede alla Cassa depositi e prestiti a tassi decisamente più elevati.
Come è noto, la giustizia italiana è stata sacrificata dal punto di vista delle spese e della gestione proprio per mancanza di fondi, consulenti, traduttori, gente che vive con queste attività. I viceprocuratori onorari hanno spesso faticato a ricevere le dovute retribuzioni. Mancano pure i soldi per le fotocopiatrici, per i toner, per l'acquisto di codici, per la carta, per le spese di benzina e manutenzione e per altro. Non avendo disponibilità monetarie il Ministero della giustizia ha contratto numerosi debiti, circa 200 milioni di euro.
Non essendo le procure collegate ad una banca dati centrale, l'ammontare del denaro congelato e depositato sui conti della Banca nazionale del lavoro o delle Poste non è noto. Verosimilmente, si tratta di diversi milioni, forse miliardi di euro.
Da tempo, dalla magistratura giunge la richiesta di rivedere la normativa in materia e si propone di istituire un'agenzia o un fondo unico che gestisca queste ricchezze.Pag. 3
Anche le automobili sotto sequestro in Italia sono milioni: si tratta di auto che restano spesso nei depositi con ingenti costi per la collettività.
Recente è la tragedia che ha visto come protagonista il signor Rocco Agostino, titolare e custode di questo deposito giudiziario: vantava crediti inevasi per 200 mila euro con le autorità giudiziarie. Lunedì 23 ottobre 2006 si è tolto la vita con un colpo di pistola alla tempia di fronte al palazzo di giustizia di Torino.
Chiediamo al Governo se non si reputi necessario rivedere l'assetto normativo relativo alla gestione dei beni mobili ed immobili, registrati e non, sequestrati dalle autorità giudiziarie, per permettere un migliore funzionamento della burocrazia giudiziaria e, più in generale, per recuperare risorse che appartengono allo Stato.
Chiediamo, altresì, quali provvedimenti si intendano assumere a questo scopo; se nella futura gestione di questo patrimonio non si ritenga di dover prioritariamente onorare i debiti maturati dal Ministero della giustizia e quali provvedimenti si intendano assumere nell'immediato a tal fine.
Chiediamo, infine, se non si reputi improrogabile una quantificazione puntuale degli importi dei depositi giudiziari e se non si stimi utile selezionare i depositi giacenti di importo più alto stabilendo, così, una priorità del lavoro a venire; se non si reputi necessario rinforzare gli uffici depositi giudiziari e creare una banca dati centralizzata delle stesse collegata alle Poste italiane.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, i problemi afferenti le somme depositate in libretti sono stati ereditati dal Ministero in assenza di qualsiasi riscontro sulla stessa entità delle somme depositate ed in assenza totale di interfaccia con le Poste o con le banche che consentisse di verificare la situazione dei depositi. Nel luglio del corrente anno, quando il Governo è riuscito a fare una revisione totale della posizione economica, i debiti riscontrati ammontavano a 256 milioni di euro e le disponibilità di cassa a circa euro 400 (non 400 mila, ma 400!).
Questa situazione, peraltro, si somma alla grave situazione determinata dalla carenza di personale: il personale è carente nella misura del 12 per cento, con alcune punte che arrivano sino al 30 per cento.
È stato disposto dal Ministero un accertamento a campione sulla situazione dei depositi giudiziari, per giungere ad una verifica complessiva dell'entità degli stessi giacimenti presso le poste e le banche e ad una stima, quindi, delle risorse necessarie per gestire l'introito. È allo studio attualmente presso il Ministero un intervento normativo volto a migliorare la gestione e la destinazione dei beni confiscati e sequestrati nel corso dei procedimenti penali. In seno alla commissione, istituita al Ministero, per il riordino della normativa sulla legislazione antimafia per pervenire al Testo unico della legislazione, si sta affrontando anche il tema della gestione dei beni confiscati e della possibile individuazione di un'agenzia nazionale per la gestione effettiva di tali beni. È inoltre in fase di elaborazione un programma informatico, che sostituisce il libretto di deposito giudiziario, modello 1, consentendo un monitoraggio costante delle somme sequestrate.
Per quanto riguarda, poi, la custodia dei veicoli sequestrati, problema che aggrava notevolmente i bilanci, è da evidenziarsi che il Ministero si fece promotore delle disposizioni inserite nella legge finanziaria del 2005, al fine di evitare un indebito prolungamento della custodia giudiziaria, prevedendo un sistema di pagamento forfettario per la liquidazione dei compensi, anche derogando alle tariffe. Con decreto ministeriale del 26 settembre 2005 sono state disciplinate le modalità per l'alienazione, anche finalizzata alla rottamazione dei veicoli in giacenza nei depositi giudiziari da moltissimi anni. Con una circolare del 15 marzo 2006 il dipartimentoPag. 4per gli affari di giustizia ha fornito chiarimenti per dare un'applicazione uniforme della normativa in tutti gli uffici giudiziari, con riferimento alla gestione dei veicoli giacenti nei depositi. Pare che questa circolare abbia raggiunto alcuni risultati e che alcuni problemi siano stati risolti.
Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, noto come decreto Bersani, ha previsto un nuovo sistema di pagamento delle spese di giustizia, secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato, vietando quindi il ricorso all'anticipazione da parte degli uffici postali, salvo alcune eccezioni. Tale nuova normativa ha comportato delle iniziali difficoltà. A tal fine, sono state emesse dal Ministero diverse circolari illustrative e dispositive, in data 12 luglio, 28 luglio, 19 settembre, 5 ottobre, 30 ottobre 2006.
Il Ministero ha sollecitato tutti gli uffici giudiziari a far fronte con il massimo sforzo all'immediata corresponsione di tutte le spese di giustizia, con le prescritte modalità, ed ha invitato i funzionari delegati a richiedere le integrazioni di fondo necessarie. In tale contesto, il Ministero è riuscito a recuperare una dotazione straordinaria per coprire le spese fino a fine anno, di circa 5 milioni di euro. Queste ultime integrazioni dei fondi sono state già disposte a favore delle corti d'appello che ne abbiano fatto richiesta. Il Ministero dell'economia, per parte sua, ha comunicato che all'Agenzia del demanio, titolare della gestione dei beni confiscati, sarebbero (anzi, sono) state esaurite le destinazioni, nella misura del 75 per cento dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, attraverso l'acquisizione al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile, oppure con trasferimento ai comuni nel cui territorio insistono per finalità istituzionali e sociali.
Il comune può poi assegnarli a comunità, enti od organizzazioni di volontariato.
Per quanto riguarda le aziende confiscate, i criteri adottati sono nel senso che, se sussistono fondate prospettive di continuazione e di ripresa dell'attività produttiva, vengono mantenute al patrimonio dello Stato, per essere poi affidate, a titolo oneroso, ad imprese pubbliche o private o, gratuitamente, a cooperative di dipendenti dell'impresa stessa.
Per quanto riguarda il settore dei beni mobili registrati, tutta la materia è stata disciplinata dal decreto-legge n. 269 del 2003, che, in effetti, ha semplificato la gestione dei veicoli, riducendo i costi, specie quelli di custodia, e prevedendo nel procedimento la figura del custode-acquirente, da individuare per ogni provincia con procedura di evidenza pubblica, e le cui attività verranno avviate una volta definite le propedeutiche attività di aggiudicazione.
Il numero dei veicoli da gestire, per quanto comunica l'Agenzia del demanio, è enorme e vi sono delle procedure eccezionali previste dalla legge n. 326 del 2003 per la rottamazione straordinaria e per la rottamazione di più remota giacenza, attraverso anche il lavoro di commissioni miste provinciali, costituite dall'Agenzia del demanio e dalla prefettura, impostando una procedura transitoria attraverso la stipula di convenzioni-tipo tra l'Agenzia e l'operatore a livello provinciale.
Questa è la radiografia, è la fotografia della situazione. L'interpellanza chiedeva, ovviamente, come intendeva muoversi il Ministero, e le indicazioni che ho fornito, sia pure genericamente, sono nel senso che tutta la materia va rivista, considerando che, al di là dei depositi giudiziari denunziati e non riscossi, esiste anche il problema del recupero delle spese di giustizia.
Abbiamo potuto verificare, infatti, che, nel 2005, su 700 milioni di euro di spese di giustizia, lo Stato è riuscito a recuperarne solo 70 milioni, ossia il 10 per cento. Il giorno in cui riusciremo ad affrontare e a risolvere questo problema, potremmo avere risolto molti dei nostri problemi relativi all'organizzazione giudiziaria.
PRESIDENTE. Il deputato Pellegrino ha facoltà di replicare.
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TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, sicuramente sono soddisfatto della risposta, perché c'è una presa di conoscenza di questo problema.
Mi fa piacere proprio partire dall'ultima affermazione, ossia che, effettivamente, in relazione al recupero delle spese giudiziarie, visto che oggi siamo solo al 10 per cento, intervenendo in modo efficace sulla problematica dei beni confiscati, potremmo risolvere gran parte dei nostri problemi legati anche alla macchina organizzativa della giustizia.
Il dato più importante è che sia previsto dal Ministero non solo un intervento specifico, relativo al riordino del testo unico sulla mafia (che anche in Commissione bicamerale antimafia vogliamo affrontare e portare avanti) ma anche che, nell'ambito di questa discussione, la Commissione si possa occupare, in modo specifico, della problematica relativa ai beni confiscati.
Mi fa piacere aver appreso anche che sia previsto un intervento per quanto concerne il sistema informatico, che ritengo indispensabile, se vogliamo realmente augurarci una riorganizzazione di tutta la procedura legata ai beni confiscati. Lo stesso vale per la custodia dei veicoli, che costituisce un altro problema che ho posto nell'interpellanza.
Il dato di partenza è sicuramente quello della completa inadeguatezza della situazione normativa esistente. Quindi, è evidente e ovvio che dobbiamo intervenire proprio dal punto di vista legislativo per definire una normativa che consenta uno snellimento delle procedure burocratiche.
Il vero grande problema dei beni confiscati, come sappiamo, è legato soprattutto alla tempistica e ad un meccanismo burocratico enorme, che non ci consente di valutare concretamente lo stato patrimoniale dei beni confiscati.
Lei faceva riferimento anche al discorso delle aziende.
Mi preoccupa il fatto che soltanto il 34 per cento delle aziende confiscate abbia concluso l'iter di assegnazione: ciò significa che quasi il 70 per cento delle stesse non sono affatto riutilizzate. Quanto si è verificato a Napoli, proprio in questi giorni, ove è stato riscontrato che le case confiscate dalla giustizia restano ancora in mano ai camorristi, è allarmante e rende consapevoli dell'urgenza di dover intervenire. Non è possibile, infatti, che stati patrimoniali, che sono stati confiscati alla camorra, continuino ad essere utilizzati dalla stessa.
Devo rilevare che, ormai, in quasi tutti i comuni, è un'avventura ricostruire lo stato aggiornato del bene, e quindi concordo con quanto ha osservato il sottosegretario in relazione all'esigenza di rivedere il sistema informatico, creando anche un sistema di collegamento con le poste, valutando anche l'opportunità, nell'ambito della discussione normativa, di istituire un'agenzia ad hoc, che si possa occupare, in modo specifico, della gestione dei beni confiscati. È evidente, infatti, che il demanio non riesce ad assolvere questo ruolo, intervenendo concretamente nella redistribuzione, anche ai fini sociali, del bene stesso.
Mi ritengo soddisfatto per quanto il sottosegretario ha espresso in relazione alle risorse finanziarie da destinare al recupero funzionale dei beni confiscati. Molto spesso e per vari anni, i beni confiscati sono in uno stato di completo abbandono, addirittura alcuni sono completamente distrutti e, a stento, se ne conosce l'esistenza; tutto questo, chiaramente, incide nel loro riutilizzo ai fini sociali.
Un altro dato preoccupante - che non attribuisco alle Forze di polizia, che anzi dobbiamo ringraziare per il lavoro che compiono con dedizione - è che la situazione di immobilità dei beni confiscati, paradossalmente, crea una diminuzione degli stessi. Si passa dalle mille confische effettuate nel 2000-2001 alle 161 registrate nell'ottobre del 2005. La riduzione progressiva negli anni è davvero significativa e, a mio avviso, in parte, ritengo che sia dovuta alle difficoltà burocratiche.
Nell'intervenire sulla normativa esistente, sono convinto che si va a dare un supporto ulteriore alle nostre Forze di polizia al fine di procedere, con maggiorePag. 6rigore, alla confisca dei beni, oggi in mano alla criminalità. Mi auguro naturalmente che i tanti beni confiscati possano effettivamente essere utilizzati da un punto di vista sociale. Oggi, il tessuto sociale, soprattutto in determinati territori, presenta grandi difficoltà e risulta indispensabile investire di più in questo settore. Come giustamente ha detto il sottosegretario, riutilizzando le quantità ingenti dei beni confiscati, in termini anche di valutazione prettamente economica, riusciamo sicuramente a fornire al nostro paese un lavoro efficiente, proprio da un punto di vista della situazione sociale che esso presenta nel territorio.
(Misure a favore dei circuiti italiani dedicati allo sport automobilistico - n. 2-00260)
PRESIDENTE. Il deputato Grimoldi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Maroni n. 2-00260 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2), di cui è cofirmatario.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, il circuito nazionale di Monza, l'autodromo nazionale di Monza, in funzione oramai da un secolo, è motivo di vanto per il nostro paese: è quello che ci rappresenta nella Formula 1 e, anche attraverso la cornice del parco di Monza (il parco cintato più grande d'Europa), dà lustro, in termini di immagine, a tutto il paese.
Con la sua fama e la sua storia, l'autodromo in parola è sempre riuscito, a dispetto delle nuove normative e dell'affacciarsi di paesi emergenti, con i loro circuiti nazionali, a conservare il gran premio di Formula 1. Ciò nonostante, esso non riceve alcun finanziamento dal 1956 (comunque, anche nel 1956, non si trattò di un finanziamento diretto ma, semplicemente, del pagamento degli interessi sui debiti contratti per investimenti dall'autodromo stesso). Al contrario, nella passata legislatura, l'autodromo di Imola ha ottenuto un finanziamento di 10 milioni di euro.
Ebbene, mentre i paesi emergenti, come Cina, India e Corea, investono sui propri circuiti nazionali perché questi li rappresentano nelle gare di Formula 1, che costituiscono, inevitabilmente, la punta di diamante dell'attività degli autodromi, il nostro paese non lo fa più dal 1956.
In un'intervista rilasciata ad una rivista del settore, il sindaco di Imola ha affermato che sono in corso trattative per ottenere ulteriori finanziamenti. Insomma, non soltanto l'autodromo di Monza non riceve più sovvenzioni ma, nel contempo, vede finanziare altri circuiti. Noi non siamo affatto contrari, ma vorremmo sottolineare che sarebbe prioritario finanziare il circuito di Monza, che rappresenta, nella Formula 1, tutto il nostro paese. Peraltro, il finanziamento concesso, nella scorsa legislatura, all'autodromo di Imola non era esplicitato, ma allocato sotto una voce di bilancio riguardante la Protezione civile di Bologna (quindi, era difficile individuarlo all'interno dei capitoli di spesa).
Tra l'altro, nonostante si gestisca con le proprie forze, l'autodromo di Monza si è fatto promotore di corsi universitari e di investimenti e ricerche sulla tutela dell'ambiente e sulle energie alternative. Anche per questo è fondamentale valorizzarlo.
L'autodromo di Monza vanta un altro grandissimo merito. Con l'affacciarsi sulla scena della Formula 1 dei circuiti dei paesi emergenti, il numero dei Gran premi è stato ridotto e, paradossalmente, come si accenna nell'interpellanza, il circuito di Imola è stato espulso, per così dire, dalla Formula 1, nonostante abbia ricevuto finanziamenti pubblici (com'è noto, da quest'anno, non si terrà più il Gran premio di San Marino). Viceversa, il circuito di Monza, che non riceve più finanziamenti dal 1956, è riuscito a garantire i parametri necessari per lo svolgimento del Gran premio d'Italia.
Noi vorremmo sapere se è vero che sono stati predisposti degli appositi capitoli di spesa da destinare al circuito di Imola. Se ciò risultasse vero, il circuito di Monza si verrebbe a trovare nella situazionePag. 7non solo di non prendere un soldo, ma anche di dover sottostare alla concorrenza sleale portata da altri circuiti nazionali.
Vorremmo capire, inoltre, che cosa si intende fare per valorizzare il Gran premio d'Italia di Monza, che è di fondamentale importanza, per dare - come è avvenuto fino ad oggi - un'immagine positiva del nostro paese, tale da richiamare turisti e visitatori i quali apportano risorse economiche importanti per tutto il sistema paese.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, si fa presente che per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza dell'autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola l'articolo 2, comma 4, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3487 del 2005, così come modificato dall'articolo 13 dell'ordinanza n. 3520 del 2 maggio 2006 ed integrato dall'articolo 7 dell'ordinanza n. 3540 del 4 agosto 2006, prevede l'autorizzazione per la regione Emilia-Romagna di contrarre mutui quindicennali per un importo complessivo annuo di euro 894 mila che presumibilmente svilupperanno in quindici anni un volume di risorse pari a dieci milioni di euro. In particolare, le predette risorse sono destinate alle vie per l'accesso e di deflusso in caso di incidente e in caso di calamità naturali in occasione di eventi sportivi, nonché per l'adeguamento sismico delle strutture realizzate prima degli anni Ottanta che ospitano i box e gli uffici di direzione. Le predette somme confluiranno sulla contabilità speciale intestata al sindaco di Imola, commissario delegato, che, per la realizzazione degli interventi, si avvale del direttore del servizio integrato infrastrutture, in qualità di soggetto attuatore. Per completezza di informazione, si rappresenta che lo stanziamento è stato autorizzato dalla delibera CIPE del 29 marzo 2006, n. 75, a valere sulle risorse residue ancora disponibili dell'articolo 13 della legge 1o agosto 2002, n. 166.
Relativamente al circuito di Monza, si fa presente che in considerazione della rilevanza di tale struttura, che rappresenta sicuramente un punto di riferimento indiscutibile dello sport automobilistico mondiale, è intenzione del Governo di verificare la possibilità di ottenere, nel quadro della situazione finanziaria del paese, adeguate risorse idonee a rilanciare il suddetto circuito sia per l'ammodernamento dello stesso sia per la sua messa in sicurezza.
PRESIDENTE. Il deputato Grimoldi ha facoltà di replicare.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, sono parzialmente soddisfatto dalla risposta fornita dal rappresentante del Governo.
È del tutto evidente che da parte del Governo vi sia la volontà di reperire risorse da destinare alla valorizzazione del Gran premio d'Italia di Formula 1 che si corre sul circuito di Monza. Su ciò tutti siamo d'accordo, il problema, però, è che dal 1956 per tale circuito non arriva un soldo per l'effettuazione di migliorie e i fondi utilizzati a questo scopo sono stati soli quelli che la SIAS, la società di gestione dell'autodromo, reperisce organizzando, oltre al Gran premio, una miriade di piccole attività di intrattenimento relativamente ad eventi che riguardano Monza e le zone limitrofe, che richiamano turisti e visitatori e consentono di ottenere un minimo di introiti economici. Al di là di queste risorse, lo ripeto, che la società di gestione dell'autodromo riesce a reperire autonomamente, non è mai arrivato un soldo! Nonostante ciò, Monza è riuscita a continuare ad ospitare il Gran premio di Formula 1.
Inoltre, ciò che non mi è ben chiaro è se, a prescindere da quanto era stato stipulato nella scorsa legge finanziaria, all'interno della legge finanziaria per il 2007 (fermo restando che forse neanche la maggioranza ha una visione obiettiva, completa di ogni singolo comma dellaPag. 8stessa dopo la presentazione di ieri al Senato del maxiemendamento - quasi 1400 parti - che non tutti avranno avuto il tempo di capire durante la nottata trascorsa) sia o meno previsto un ulteriore finanziamento per il circuito di Imola, perché comunque tali fondi non sono facilmente individuabili; né è ben chiaro (in questo caso, però, la colpa non è esclusivamente vostra, ma anche della passata legge finanziaria) il perché tali soldi siano stati stanziati ma sotto voci di capitolo in parte celate: insomma, non era evidente il finanziamento all'autodromo di Imola, rinvenibile solo in un secondo momento. Ciò non dava la possibilità di individuare tale stanziamento di fondi all'interno del bilancio della finanziaria.
Infine, un ultimo aspetto: visti i continui investimenti di paesi come la Cina, l'India, la Corea - i tre paesi più importanti, al momento - e l'affacciarsi, ben presto, di molte altre realtà che cercheranno di investire sui propri circuiti nazionali, per avere un ritorno in termini di immagine, turismo, visitatori e quant'altro, ribadisco e sottolineo l'importanza per il nostro paese di non restare indietro. Abbiamo una grande risorsa nell'autodromo di Monza perché, a differenza di altri autodromi, lì esiste una condizione specifica e peculiare della nostra realtà: il più grande parco cintato intorno all'autodromo. Si tratta di un dettaglio non da poco, che lo rende unico a livello mondiale: non possiamo quindi permetterci di non finanziarlo, di non supportarlo, perché attraverso l'autodromo di Monza si può dare lustro a tutto il sistema paese grazie al Gran premio d'Italia.
(Vicende giudiziarie del signor Abou Elkassim Britel - n. 2-00259)
PRESIDENTE. L'onorevole Locatelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00259 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
EZIO LOCATELLI. Signor Presidente, il caso che sottoponiamo all'attenzione del Governo è molto grave e per esso ci aspettiamo risposte molto chiare nonché l'adozione di alcune iniziative in tempi celeri.
Il caso in questione riguarda il signor Abou Elkassim Britel, cittadino italiano, residente a Bergamo, vittima di quella pratica aberrante che va sotto il nome di rendition straordinaria, una pratica perseguita dalla Cia con la complicità attiva di servizi di intelligence di altri paesi in base alla quale qualsiasi cittadino, semplicemente sospettato di terrorismo, può essere rapito e arrestato in qualsiasi momento, al di fuori di qualsiasi pratica giudiziale per poi essere tradotto in prigioni segrete e lì essere interrogato, anche mediante ricorso alla tortura: questo è ciò che è capitato al signor Britel in questi anni.
Tutto comincia nel 2001 quando, nei confronti di questo cittadino, così come nei confronti di altre persone, viene aperta un'indagine, senza - lo sottolineo - che ad essa corrisponda alcuna misura cautelare, circa la sua presunta appartenenza all'organizzazione terroristica Al Qaeda.
Ora, a distanza di cinque anni, sappiamo che quell'ipotesi era destituita di qualsiasi fondamento, stante il fatto che la magistratura, proprio nelle settimane scorse, ha deciso di archiviare il caso, con ciò attestando la completa estraneità a qualsiasi attività eversiva degli indagati.
Questa attestazione arriva dopo cinque anni interminabili, in cui è successo di tutto. Sono stati anni che hanno stravolto e rovinato la vita di Britel, bollata e perseguita come quella di un pericoloso soggetto eversivo. Tutta questa vicenda comincia nel marzo del 2002, quando Britel viene fermato in Pakistan, dove si trovava per ragioni di lavoro, con regolare passaporto italiano e regolare visto. Lì viene sequestrato, picchiato e torturato dai servizi pachistani e statunitensi, probabilmente fermi ai primi titoli allarmistici di alcuni organi di stampa italiani e alle prime illazioni dei servizi di intelligence, rivelatesi, alla prova dei fatti, infondati.
Dopo due mesi di questo inferno, Britel viene brutalmente tradotto in Marocco, con un volo organizzato dalla CIA. LaPag. 9destinazione di tale viaggio è una prigione che non esiste sulla carta (si tratta del carcere di Temara), dove Britel rimarrà per altri otto mesi, all'insaputa dei suoi familiari, sarà lasciato in balia di sé stesso, verrà privato di qualsiasi diritto e sarà sottoposto a torture e vessazioni di ogni genere.
Dopo questo periodo, Britel, che versa in un grave stato di debilitazione, viene rilasciato senza che sia formulata alcuna accusa formale nei suoi confronti. Il suo rilascio avviene, tuttavia, senza la riconsegna dei documenti.
Britel vuole legittimamente rientrare nel suo paese, l'Italia; tuttavia, stando alle denunce presentate dalla moglie e dal suo avvocato, la blanda assistenza delle nostre autorità consolari, che rifiutano di accompagnare lui e la moglie in aeroporto, per garantirne la partenza, provoca un nuovo arresto.
Britel si fa altri quattro mesi di prigionia segreta, per poi ricomparire nella prigione di Salé, con l'accusa di associazione sovversiva e svolgimento di riunioni non autorizzate, peraltro senza che gli venga contestato alcun fatto specifico. Ne segue un processo celebrato in mezz'ora - sottolineo: in mezz'ora! -, che si conclude con una condanna a quindici anni, ridotti successivamente a nove in sede di appello, che Britel sta attualmente scontando.
Vorrei evidenziare che, anche in tale frangente, l'assistenza dell'ambasciata italiana lascia a desiderare, malgrado le sollecitazioni della moglie e dell'avvocato, le quali denunciano le gravissime violazioni dei diritti di difesa e delle regole del giusto processo, nonché l'utilizzo di prove estorte sotto tortura ed il fatto che non siano mai state depositate le relazioni dei servizi di intelligence.
Dovremmo aggiungere ancora tantissimi elementi: desidero sottolineare, in particolare, che tutto ciò è avvenuto - e riteniamo si tratti di un fatto gravissimo - interagendo con i nostri servizi di intelligence e di sicurezza e, comunque, in presenza di una colpevole disattenzione del precedente Governo italiano.
Desidero tuttavia concludere l'illustrazione dell'interpellanza di cui sono primo firmatario, signor Presidente, stante i tempi ristretti a disposizione. Di tale vicenda, grazie all'iniziativa della moglie di Britel e dell'avvocata Francesca Longhi, si è occupata la Commissione del Parlamento europeo appositamente costituita in merito al trasporto ed alla detenzione illegale di prigionieri.
Nella sua bozza di rapporto, tale Commissione - cito testualmente - condanna la rendition straordinaria del cittadino italiano Abou Elkassim Britel e sollecita, altresì, il Governo italiano a fare passi concreti per ottenere la liberazione immediata di Abou Elkassim Britel.
Si tratta di quanto chiediamo anche noi. Da parte nostra, infatti, esigiamo che si compiano passi concreti, anche attraverso la proposizione di una domanda di grazia al sovrano del Marocco, affinché il cittadino Britel venga liberato e possa rientrare nel suo paese; insieme ciò, inoltre, chiediamo che si accertino le responsabilità connesse a questi fatti gravissimi.
Ritengo, in conclusione, che il nostro paese abbia un grande debito nei confronti di questo suo cittadino, al quale vanno restituiti libertà, dignità, salute ed affetti familiari, nonché la possibilità di ricostituirsi un'esistenza minimamente dignitosa.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la situazione descritta nell'interpellanza in oggetto desta sicuramente grave allarme e grande interesse, trattandosi, oltretutto, di un cittadino italiano (anche se in possesso di doppia cittadinanza).
Segnalo innanzitutto che, da informazioni assunte dagli uffici competenti, il caso del signor Britel è seguito con attenzione sia dal Ministero degli affari esteri, sia dalla nostra ambasciata a Rabat. Sin dall'inizio della detenzione, infatti, la rappresentanza a Rabat della nostra ambasciata ha fornito al cittadino italiano inPag. 10questione l'assistenza possibile, attraverso visite consolari ed interventi volti ad ottenere un miglioramento delle condizioni detentive.
A questa attività consolare di assistenza in carcere si è affiancata l'attività dell'Ambasciata di Rabat, che è intervenuta presso le autorità locali al fine di ricevere chiarimenti circa le accuse di costituzione di banda armata finalizzata al compimento di atti terroristici che gli vengono mosse nell'ambito di quel processo che si sarebbe concluso in circa 30 minuti.
La nostra Ambasciata, oggi, è altresì impegnata per appoggiare la richiesta di grazia presentata dai legali del nostro connazionale. E un ulteriore appoggio verrà assicurato con il massimo impegno in occasione della prossima concessione del provvedimento di clemenza, prevista per il prossimo 31 dicembre. Speriamo che per quella data questo caso così drammatico ed allarmante possa ricevere una prima risposta idonea ad alleggerire la sofferenza del cittadino e della sua famiglia.
PRESIDENTE. Il deputato Locatelli ha facoltà di replicare.
EZIO LOCATELLI. Signor Presidente, sono soddisfatto della risposta e dell'impegno che, in questa sede, viene assunto formalmente da parte del nostro Governo e della nostra Ambasciata in Marocco, compreso l'inoltro formale della domanda di grazia nei confronti del cittadino Britel.
Ritengo che, rispetto a questi passaggi formali, occorra fare in fretta. Infatti, come hanno più volte sottolineato i familiari ed il legale, dopo anni di carcerazione illegale, di indicibili sofferenze e di profonde ingiustizie - visto che la magistratura italiana ha dichiarato la completa estraneità del cittadino a qualsiasi attività eversiva -, non vorremmo che la vicenda personale di questo cittadino possa addivenire ad una conclusione drammatica. Quindi, chiediamo che si faccia in fretta!
Peraltro, credo che il problema non sia rappresentato soltanto - e insisto su questo punto - dalle gravissime violazioni dei diritti di difesa o dei diritti umani, non sia solo la pratica aberrante della extraordinary rendition, ma anche l'atteggiamento inadeguato - su tale aspetto si dovrebbero svolgere alcuni approfondimenti - delle nostre autorità, soprattutto in considerazione della documentazione prodotta in sede di Commissione europea. Si tratta di atti formali; il problema è che i nostri servizi di intelligence addirittura (cito testualmente): «erano in cooperazione continua con l'intelligence marocchina».
Mi domando come sia stato possibile tutto ciò! Mi rifaccio a quegli atti formali e a quelle denunce formali! Si tratta di fatti che mi sembrano molto gravi e dei quali occorre accertare la responsabilità.
Infatti, senza la collaborazione deviata tra forze di polizia, frutto del fideistico utilizzo dei nominativi inseriti nelle cosiddette black list da parte della CIA e inoltre senza la colpevole disattenzione del Governo italiano precedente e dei suoi organi - quantomeno in alcuni passaggi -, certamente Britel non sarebbe stato vittima dei gravissimi fatti occorsigli.
Queste sono le risultanze dell'inchiesta svolta a livello di Commissione europea, non si tratta di un nostro giudizio! Ritengo non vi sia alcuna giustificazione di quanto accaduto in questi anni a maggior ragione nel caso specifico, che riguarda un cittadino italiano che, come tale, doveva essere tutelato e garantito pienamente dallo Stato italiano nei suoi diritti inalienabili.
Siamo di fronte non soltanto a fatti gravi in sé, come i sequestri legali, l'attacco ai valori umani e la tortura (proprio ieri, la Camera ha messo al bando la tortura), che l'intero corso della storia ha dimostrato non essere serviti a nulla. Semmai, come è scritto nel rapporto del Consiglio d'Europa, tali abusi sono serviti a conferire un senso, un'apparenza di legittimazione a coloro che attaccano le istituzioni. Una sconfitta nella sconfitta. Siamo convinti che il terrorismo vada contrastato, combattuto, ma senza derogare ai valori della democrazia, ai valori fondamentali dei diritti umani ed ai valori di uno Stato di diritto.Pag. 11
Oltre a tutto ciò, siamo di fronte - cito ancora il rapporto del Consiglio d'Europa - «a reati che comprendono la complicità ed il fiancheggiamento di tali azioni illegali, così come gli atti di omissione, reati che dovrebbero essi stessi prevedere sanzioni penali». Questo è un passaggio della relazione del Consiglio d'Europa.
Anche il Governo in carica è chiamato in causa sia per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, indipendentemente dalla loro posizione giudiziaria, che deve essere naturalmente accertata (ma il rispetto del diritto fondamentale non può essere condizionato dalla posizione giudiziaria delle persone), sia per quanto riguarda la responsabilità del Governo in merito al controllo politico sui servizi di intelligence e di sicurezza, punto sul quale la risposta del Governo non ha detto molto, e su cui invito ad un approfondimento delle responsabilità.
Concludo, prendendo atto della risposta del rappresentante del Governo. Si accertino le responsabilità a tutti i livelli che sono stati coinvolti in questo inammissibile caso di detenzione illegale. È importante che il Governo italiano, fin dai prossimi giorni, muova i passi necessari per sostenere la domanda di grazia presentata tramite la nostra ambasciata. Bisogna rispondere positivamente (e mi sembra che si vada in questa direzione) alla sollecitazione rivolta dalla Commissione europea (cito testualmente) «di fare passi concreti per ottenere la liberazione immediata di Abou Elkassim Britel».
Ringrazio ancora il rappresentante del Governo per la risposta e la disponibilità. Da parte nostra seguiremo fino in fondo il caso.
(Mancati controlli nei confronti di una giornalista che ha indossato il velo islamico integrale - n. 2-00263)
PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00263 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, è di queste settimane un dibattito, a volte anche surreale, sulla questione del velo islamico e sulla questione più generale dell'ostentazione dei simboli religiosi. A fronte dell'interpellanza che sto per esporre, tale dibattito diventa ancora più surreale ed anche esilarante. Il tema non è, in questo caso, quello della legittima, anche dal punto di vista costituzionale, libertà di manifestazione delle proprie opinioni religiose, ma come queste si concilino con i principi ed i valori del nostro ordinamento giuridico.
Nel caso in esame, si riporta un'inchiesta pubblicata sul quotidiano La Stampa di domenica 26 novembre 2006, realizzata da una giornalista molto brava, tale signora Francesca Paci, dal titolo: «Invisibile per un giorno e nascosta dal niqab. Coperta da capo a piedi, all'aeroporto nessun controllo». L'articolo commenta, fotograficamente, la giornata di questa signora, vestita alla maniera islamica con un velo integrale e documenta come l'interessata si sia mossa nell'aeroporto di Fiumicino.
Ha fatto la carta d'imbarco, esibendo un documento, ma senza essere identificata dagli addetti che presumo appartengano ad Alitalia; ha fatto il controllo al metal detector, anche questo è documentato fotograficamente, con il velo integrale, senza essere identificata e per di più - a detta della giornalista - passando con una borsa piena di tutto ciò che, secondo le nuove disposizioni antiterrorismo, è vietato portare nel bagaglio a mano. È stata in una circoscrizione del comune di Roma, dove le avrebbero rilasciato un certificato di nascita e di residenza senza essere identificata. Avrebbe infine passeggiato indisturbata in piazza Colonna e attorno a palazzo Chigi alla presenza di forze dell'ordine senza essere identificata. Tralascio la parte singolare di un incontro con un ministro della Repubblica che le avrebbe assicurato che non ci sarebbe stata nessuna legge sul velo islamico, dimenticando che esistono norme - come quella che noi citiamo del 1975 - che contemperano l'esercizio della libertà religiosa e, quindi, l'ostentazione dei simboli religiosi con l'esigenza della tutela di un interesse importantePag. 12come quello della sicurezza pubblica che obbliga a sottoporsi comunque all'identificazione.
A fronte di tutto questo non abbiamo riscontrato alcuna reazione né da parte del Governo né da parte specificatamente del Ministero dell'interno rispetto ad un fatto che riteniamo molto grave, non per la circostanza che la signora camminasse per strada ostentando un simbolo religioso che rispettiamo - anzi, abbiamo anche sottolineato come i cittadini di Roma siano stati molto disponibili con questa signora dimostrando in questo modo grande tolleranza e un sentimento di integrazione -, ma per la mancata applicazione di norme che sono presenti nel nostro ordinamento ormai da più di trent'anni e che sono a presidio della tutela e della sicurezza nazionale. Aggiungo che è evidente che questa circostanza rileva l'assoluta assenza delle forze dell'ordine e la gravità del comportamento di alcuni dipendenti di Alitalia e della società preposta al controllo cui sono sottoposti tutti i cittadini italiani - e giustamente anche i parlamentari - per quanto riguarda il transito delle persone ed il bagaglio (cosa che noi accettiamo volentieri). E a fronte di ciò non si è sollevata, in queste settimane, neanche una voce di stupore e di meraviglia rispetto alla mancata applicazione di una norma che - ripeto - contempera esattamente nel nostro ordinamento due interessi costituzionalmente garantiti, cioè la libera manifestazione del proprio credo religioso e, quindi, anche l'ostentazione dei relativi simboli, con l'obbligo necessario che grava su tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla religione che professano, di essere identificati, perché ciò ovviamente è posto a tutela della sicurezza nazionale.
Noi chiediamo al ministro dell'interno di sapere innanzi tutto se sia stato verificato che i fatti riportati in maniera circostanziata e documentata anche da fotografie sono veri; gradirei inoltre conoscere se sia stata avviata un'indagine o un'attività di accertamento e se intenda adottare provvedimenti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alessandro Pajno, ha facoltà di rispondere.
ALESSANDRO PAJNO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, in relazione ai fatti citati nell'articolo «Invisibile per un giorno» richiamato dagli onorevoli D'Alia e Volontè sono stati svolti accertamenti approfonditi dai quali è risultato che effettivamente la giornalista de La Stampa è partita dall'aeroporto di Torino Caselle coperta da un velo islamico integrale.
Devo innanzitutto precisare che i controlli ai varchi centrali di quell'aeroporto sono affidati ad un istituto di vigilanza privata e che i dipendenti dello stesso istituto hanno dichiarato che in quell'aeroporto il transito di donne islamiche velate non ha carattere di eccezionalità Di conseguenza, non sembra condivisibile quanto affermato dalla giornalista sulla riluttanza del personale ad effettuare controlli accurati perché intimidito dalla diversità.
L'ufficio di polizia di frontiera ha riferito che le guardie giurate addette ai varchi di controllo avevano notato, nella particolare circostanza, la presenza tra i passeggeri di una donna velata e che le stesse guardie erano anche pronte a chiedere l'intervento di operatrici di polizia per effettuare controlli sulla persona, qualora si fossero resi necessari a seguito dell'attivazione del sistema di allarme delle apparecchiature. Le guardie giurate, tuttavia, hanno fatto presente che il passaggio della donna attraverso il metal detector non aveva determinato alcun segnale e, pertanto, non si era proceduto ai controlli sulla persona che, peraltro, quando non vi sia attivazione del sistema di allarme, di norma sono svolti a campione, secondo percentuali prestabilite. Anche il controllo radiogeno del bagaglio a mano della passeggera non avrebbe fatto rilevare la presenza di oggetti vietati. L'ufficio di polizia di frontiera di Torino ha segnalato anche che provvederà a contestare, in via amministrativa, alla società di vigilanza privata l'inosservanza dellePag. 13norme del programma nazionale di sicurezza emanato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile in quanto, nel corso delle procedure espletate nella fase di imbarco, il personale di detta società di gestione, pur richiedendo la carta di identità, non avrebbe invitato la passeggera a rimuovere il velo. L'addetta al controllo si sarebbe giustificata, riferendo di avere raggiunto la certezza sull'identità della persona attraverso la attenta verifica del documento di riconoscimento e l'osservazione della parte scoperta del viso (sembra, infatti, che la giornalista avesse occhi e naso parzialmente visibili). La società di handling dell'aerostazione di Torino Caselle è stata sollecitata anche a prestare la massima attenzione nei controlli, richiedendo opportunamente l'intervento delle Forze di polizia.
Per quanto riguarda i fatti accaduti a Roma, l'ufficio di polizia di frontiera di Fiumicino ha precisato di non avere particolari elementi di informazione relativamente al transito della giornalista in quell'aeroporto anche perché, per i voli che si muovono su tratte nazionali, non sono effettuati controlli di sicurezza o di frontiera sui passeggeri in arrivo.
Informo, inoltre, che all'ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi non risulta che una persona coperta dal niqab, o da altro manto nero, si sia avvicinata al personale della Polizia di Stato in servizio presso gli ingressi della sede del Governo. Neppure dalla lettura dell'articolo o dalle fotografie contenute sembrerebbe potersi evincere che il comportamento della donna fosse tale da potere destare qualche ragionevole preoccupazione.
Quanto all'episodio avvenuto all'interno di un ufficio comunale romano, comunico che l'impiegato del comune in servizio presso lo sportello del rilascio dei certificati anagrafici ricorda di aver notato la presenza di una donna vestita con indumenti islamici e con il volto parzialmente coperto. La stessa donna era munita di un documento di riconoscimento esaminato attentamente dall'operatore, al quale sarebbe sembrato di riconoscere le sembianze di tale persona senza bisogno di richiedere di scoprire del tutto il viso. Aggiungo, infine, che l'ufficio di gabinetto del Ministero dell'interno, fin dall'anno 2004, in risposta a specifici quesiti formulati da alcuni prefetti in ordine al problema delle persone che circolano in luogo pubblico con il volto coperto dal burqa ha precisato che, in tali situazioni, l'attivazione dei poteri di identificazione da parte del personale di polizia sembrerebbe potersi validamente esplicare alla luce di circostanza ambientali tali da costituire giustificato motivo di allarme. Un accertamento condotto in assenza di concreto interesse pubblico alla conoscenza dell'identità della persona potrebbe apparire, infatti, come inutilmente vessatorio.
PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di replicare.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, evidentemente devo dichiarare la mia insoddisfazione, anche se ringrazio il sottosegretario Pajno per la sua sensibilità e per la compiutezza della sua risposta. Non sono soddisfatto poiché, come è emerso dalla ricostruzione effettuata, i fatti sono veri e sono gravi. In particolare, sono gravi con riferimento al comportamento della società di vigilanza e con riferimento al controllo che la polizia di frontiera deve effettuare su questo personale che svolge funzioni sussidiarie di sicurezza molto delicate e importanti e sono gravi anche al di là della circostanza che il bagaglio a mano fosse o meno sensibile al controllo effettuato.
In ogni caso, la circostanza in sé avrebbe dovuto indurre ad applicare la procedura standard messa in atto nei confronti di tutti i cittadini italiani, che, quindi, non ha alcun carattere discriminatorio. Mi riferisco all'identificazione del soggetto e al controllo sul bagaglio a mano. Tale procedura, lo ripeto, viene applicata, giustamente, nei confronti di tutti e sempre.
Si tratta di fatti gravi su cui mi auguro il Governo voglia intervenire con maggiore durezza, affinché non si verifichino più, non costringendoci a tornare sull'argomento.Pag. 14
Sono fatti gravi con riferimento al comportamento tenuto da parte della circoscrizione romana. Infatti, quando si richiedono determinati documenti, come un certificato di residenza o di nascita, vi è l'obbligo di effettuare l'identificazione e l'annotazione del soggetto richiedente. Si tratta, infatti, di dati sensibili che devono essere trattati avendo la certezza dell'identità del soggetto richiedente. Quindi, è grave che questo fatto si sia verificato ed è grave che nessuno abbia provveduto all'identificazione.
È ulteriormente grave la circostanza segnalata relativamente al fatto che non risulti alcun comportamento del tipo citato innanzi a Palazzo Chigi. Infatti, la documentazione fotografica pubblicata da La Stampa localizza questa signora che passeggia esattamente di fronte a Palazzo Chigi, in piazza Colonna, che ferma dei passanti o quant'altro. Quindi, vi sarebbe stato, in base alla legge n. 152 del 1975, l'obbligo dell'identificazione.
È grave che si dia un'interpretazione che non ha nulla a che vedere con la tutela della libertà religiosa, per evitare la discriminazione rispetto all'ostentazione del simbolo religioso, ossia che si teorizzi che il processo di identificazione venga attuato in base ad una valutazione assolutamente discrezionale e di circostanze ambientali. Mi dispiace che il Ministero abbia dato questo tipo di interpretazione. Ciò, infatti, non aiuta né i processi di integrazione degli islamici o di altre confessioni religiose, né il sistema della sicurezza. Al contrario, quanto accaduto rende ancor più inquietante l'opinione dei cittadini rispetto a questo tema e, quindi, non svolge neanche una funzione pedagogica.
Credo che su questo tema il Governo debba, con maggiore determinazione (mi si passi il termine non polemico nei confronti del sottosegretario Pajno), con maggiore serietà ed approfondimento, riconsiderare l'applicazione di norme che hanno retto e reggono nel nostro ordinamento da più di trent'anni, che sono a presidio della tutela dell'incolumità pubblica e che garantiscono i diritti di libertà religiosa, come tutti vogliamo.
Mi auguro vi sia un'inversione di rotta totale, perché altrimenti dovremmo ritornare su questo argomento. Ci riteniamo insoddisfatti e, aggiungo, fortemente - lo ripeto: fortemente - preoccupati.