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Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione. (Già articoli 28, 29, 30 e 31 del disegno di legge n. 2272, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 17 aprile 2007) (A.C. 2272-ter-A) (ore 15,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni urgenti in materia di pubblica istruzione.
Ricordo che nella seduta dell'11 settembre è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti gli interventi del relatore e del Governo.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2272-ter-A)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare è il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'esame del disegno di legge in discussione non posso che rifarmi a quanto sostenuto dai colleghi del mio gruppo, in particolare dalla collega Aprea e, in generale, alle riflessioni svolte da tutti i colleghi della Casa delle libertà.
Ci troviamo di fronte ad un testo confuso, approssimativo, del quale numerose parti sono state emendate o stralciate e che, soprattutto, denota la volontà della maggioranza di abrogare sic et simpliciter un testo normativo senza alcun confronto effettivo con la precedente maggioranza, con la realtà della scuola, con i risultati ottenuti sulla base di questo articolato e con la volontà effettiva delle componenti della scuola medesima.
Ritengo che maggioranza e minoranza debbano porsi il problema delle condizioni della popolazione scolastica italiana - e della scuola in genere - di fronte ad una variazione continua di norme e di dispositivi che, in realtà, a seconda del succedersi di maggioranze di tipo diverso, finiscono per penalizzare soprattutto il livello dell'istruzione media e le realtà più importanti e significative della nostra scuola.
La mia premessa rappresenta un aspetto sostanziale perché ho notato che ognuno di noi può e deve avere una propria visione della società, della funzione e del ruolo della scuola e del pluralismo educativo, ma credo che nel momento in cui ci si avvicini a modifiche sostanziali della legislazione vigente o precedente non si possa prescindere da un confronto reale, che presupponga, da un lato, i propri convincimenti ideali ma, dall'altro, gli obiettivi che si vogliono raggiungere sulla base di una realtà che tutti conosciamo.
Tutto questo è mancato e vi è stato non un confronto effettivo - assente sia in Commissione sia nelle sedi istituzionali -, ma semplicemente l'attuazione di una volontà, ribadita in campagna elettorale, che ha voluto prescindere - lo dicevo prima -Pag. 5da ogni discussione, da ogni riflessione seria e da appelli venuti dal mondo della scuola in genere, dall'opinione pubblica e dai mass media per una rivisitazione molto più accurata e approfondita della normativa che regolamenta la scuola italiana.
Entrando nel merito dei pochi articoli contenuti nel testo in esame, anzitutto credo che un'altra anomalia sia quella della doppia discussione, perché si è precedentemente discusso di alcuni articoli stralciati, mentre oggi si discute di altri, in un contesto di caos generale che certamente non aiuta i nostri studenti né l'avvio dell'anno scolastico. Credo che occorra riflettere anche su tale aspetto, perché tale doppio binario e questa incertezza sono sintomatici della difficoltà della maggioranza - in seguito lo ribadirò riguardo ad altri aspetti del provvedimento - a definire compiutamente un unico progetto di legge che faccia riferimento a varie impostazioni ideali e ad un comune obiettivo: vi è tutto, e il contrario di tutto. Ciò va affermato, proprio perché desideriamo essere obiettivi, anzitutto per la parte che ripristina o definisce in modo diverso la serietà degli studi, fatto che negli anni passati abbiamo sempre auspicato. Chi può essere contrario ad un approccio diverso rispetto alla preparazione degli studenti, alla serietà dei medesimi e alla qualificazione dei docenti? Se vi è stata una parte politica che ha sostenuto tutto ciò è innanzitutto Forza Italia, e la Casa della libertà negli anni passati, che ha cercato di porre rimedio ad una situazione scolastica che vedeva la prevalenza dell'ideologia, di condizionamenti politici residuati del 1968, ed altresì il prevalere, molto spesso, di situazioni di garantismo esasperato nelle scuole di ogni ordine e grado rispetto ad una valutazione seria del profitto, del merito, delle capacità professionali e del livello della scuola.
Di fronte a tutto ciò non possiamo non essere d'accordo su misure volte ad accentuare o a ripristinare - perché prima non sussisteva - la serietà degli studi. Noi lo abbiamo fatto nel quinquennio precedente a quello attuale, e comunque su tale principio non possiamo non essere d'accordo; però, occorre misurarsi su quali risultati si possano ottenere con i provvedimenti in esame, con quali obiettivi, e partendo da quali presupposti. In tale provvedimento troviamo la pura enunciazione di alcune volontà senza che alle medesime siano conseguiti atti conseguenti - mi scuso per il bisticcio di parole - e situazioni ben definite.
Anzitutto credo di dover enunciare un presupposto sul quale siamo sempre molto attenti quando si affrontano le materie scolastiche e della cultura in generale. Noi siamo per una parità scolastica effettiva e per un sistema pubblico imperniato su una competizione fra scuole statali e scuole paritarie, che siano in grado di offrire al cittadino una scelta fra varie opzioni educative, all'interno di un quadro normativo minimo definito dallo Stato - sia ben chiaro, non siamo per le scuole assolutamente private - e siamo quindi per una pluralità di modelli formativi in grado di garantire alla famiglia e allo studente la scelta del tipo di educazione più confacente alle proprie ispirazioni, al proprio ruolo o a quello che crede debba essere il proprio ruolo nella società italiana.
In altre parole si tratta di tutto il contrario di quanto è contenuto nel provvedimento in esame, poiché permane ancora nello stesso - è tipico della mentalità della sinistra - una concezione ossessivamente statalista, di matrice giacobina, che è rimasta l'unica in Europa.
Direi che, tranne la Grecia, siamo l'unico Paese che, al di là di alcuni provvedimenti, come la legge n. 62 del 2000 che riconosce la funzione sociale della scuola paritaria, di fatto impernia il proprio sistema scolastico sul monopolio statale della pubblica istruzione. Tale monopolio costituisce la vera e grande aberrazione che, a mio modo di vedere, deve essere combattuta nel nostro Paese e che altri Paesi hanno combattuto e superato. Infatti, rispetto al secolo scorso o al secolo ancora precedente, in cui c'era la necessità di un intervento dello Stato di fronte ad un diffuso analfabetismo, oggi il problema della cultura di massa e il problemaPag. 6dell'alfabetizzazione non si pone più o si pone in termini radicalmente diversi.
La colpa del gruppo dirigente della scuola italiana - anche dei Governi precedenti, sia ben chiaro - è di essersi attardato su un modello statalista - non dico pubblico - che non può, proprio perché basato su un monopolio, risolvere i problemi fondamentali della scuola italiana: un elevato livello di qualità e professionalità dei docenti, un elevato livello nella capacità di apprendimento dei discenti e, ovviamente, un maggiore pluralismo, che ne è diretta conseguenza e, anzi, spesso, ne è presupposto. Se non si modifica detto sistema, i problemi che cerchiamo di affrontare ora, si riproporranno il prossimo anno e ancora successivamente. Bisogna uscirne per gradi: non pretendo di uscire immediatamente da un sistema basato su tale monopolio antistorico, illiberale, antisociale dove circa un milione di operatori della scuola paralizzano ogni forma di intervento migliorativo della scuola medesima, dal settore della qualificazione professionale a quello della ricerca scientifica ed altro. Con ciò non si pretende la privatizzazione tout court: il sistema pubblico è diverso dal sistema statalista. Ma non mi voglio dilungare su questo punto perché ho già detto che l'asse portante della nostra proposta rimane il superamento del sistema statalista. Non significa togliere alla scuola di Stato una serie di dotazioni, di interventi che sono necessari e indispensabili, ma significa favorire il ruolo proprio degli operatori della scuola, della famiglia e degli studenti.
In sostanza, chiediamo l'applicazione piena del principio di sussidiarietà, al posto di uno statalismo ormai vecchio e superato, che non è più considerato tale in tutta l'Europa e in tutto il mondo occidentale e che rimane così un ultimo moloc intoccabile forse per la sinistra nostalgica di altri regimi e di altre realtà.
Detto questo, credo che sia importante esprimere alcune valutazioni sul testo. Per quanto riguarda l'articolo 1, nel quale si definiscono le norme in materia di istruzione e di personale scolastico, è già stato detto molto sul tempo pieno; mi limito pertanto a esprimere una considerazione. Non è vero che il Governo precedente aveva abrogato il tempo pieno, l'aveva qualificato in modo diverso, riservando alla famiglia una capacità decisionale che ora è scomparsa, rischia di scomparire o perlomeno non è più considerata tale sebbene proprio la famiglia, il cui ruolo in altre parti del testo è stato compresso, ha un ruolo essenziale non solo nella società, ma nella scuola medesima. La scuola non appartiene agli insegnanti, ma alle famiglie, agli studenti e agli insegnanti, per così dire in modo paritario. L'approccio dato al tempo pieno, tra l'altro normalizzandolo con una serie di norme particolarmente vincolanti riguardanti le quaranta ore e l'organico di diritto, di fatto impedisce la realizzazione del tempo pieno in molte realtà. Ho già avuto occasione di dire che nella mia regione e, in particolare, nella mia città, Bologna, ci sono venticinque classi che nonostante questa norma rimangono senza la possibilità di usufruire del tempo pieno. Ma vi sono anche altre realtà in questa situazione.
Andando oltre, laddove si stabilisce un piano triennale di intervento in relazione alle competenze delle regioni in materia di diritto allo studio, si cerca di definirlo con l'obiettivo di coniugare esigenze di uniformità ed omogeneità in tutte le regioni per quanto riguarda gli interventi del diritto allo studio.
Invito il Governo, gli amici e i colleghi di maggioranza a riflettere adeguatamente, in sede di piano triennale di intervento in materia di diritto allo studio - come è riportato nell'articolo 1 - sulla situazione di assoluta disparità che caratterizza le regioni italiane in una materia delicata come questa. Si parla di livelli essenziali di istruzione, non di qualcosa di più. Vi sono regioni, come la Lombardia e il Veneto, dove il diritto allo studio, attraverso una concezione evolutiva del medesimo, è arrivato addirittura ad offrire il buono-scuola alle famiglie, cioè la capacità e la possibilità per le famiglie di scegliere per diritti essenziali, che non riguardano soltanto il vitto o il trasporto, ma la qualità degli studi. Vi sono altre regioni, comePag. 7quella da cui provengo, cioè l'Emilia Romagna, in cui tale diritto è negato, in quanto permane un monopolio pubblico - regionale nel caso specifico - del diritto allo studio. Vi sono, infine, altre regioni dove, purtroppo, non esiste alcuna applicazione del diritto allo studio, perché le leggi regionali sono sostanzialmente disapplicate, mancando - in molte delle suddette regioni (soprattutto del sud) - la copertura finanziaria. Anche ciò, pertanto, rappresenta un problema che ritengo non possa essere sottovalutato, soprattutto se si considerano gli stanziamenti previsti da regione a regione.
Pongo, quindi, il problema al Governo: credo che sia giunto il momento di stabilire, senza invadere la competenza delle regioni, un livello minimo di assistenza per quanto riguarda il diritto allo studio, che sia valido della Sicilia all'Alto Adige. Non possiamo accettare situazioni di così palese discriminazione in una materia importante e delicata come quella che stiamo trattando. Vi sono palesi discriminazioni che è compito del Governo - che si è dimostrato finora sordo al problema - risolvere o, perlomeno, attenuare - lo ripeto - attraverso alcuni limiti, alcuni parametri, che ritengo indispensabili. Ciò riguarda le condizioni di accesso e il tempo pieno.
Un altro tema fondamentale su cui ritengo necessario attirare l'attenzione del Governo e della maggioranza - e su cui esiste una differenza di fondo fra noi e il centrosinistra - consiste nella questione posta, giustamente, nell'articolo 1 e cioè nel sostegno ai disabili. I disabili - ci mancherebbe altro! - devono essere aiutati ancor più di quanto è stato fatto nel passato, attraverso una migliore redistribuzione degli insegnanti di sostegno (tornerò in seguito su questo aspetto), ma l'articolo 1, comma 1, lettera b), si riferisce anche all'integrazione sociale e culturale dei minori immigrati. Stante anche la peculiarità dell'attuale momento politico (in precedenza, i colleghi del centrosinistra hanno fatto riferimento alla questione del nord, in relazione alle affermazioni dell'onorevole Bossi che, ritengo emblematiche di realtà particolari in cui vi è la richiesta della difesa di una certa identità e di una certa storia), in un momento in cui in Francia sono varate determinate leggi e in cui si parla della sicurezza in tutto il nostro Paese, dalla Sicilia al nord-est, c'è il rischio di perdere il senso di appartenenza ad una comunità. Ritengo che un provvedimento significativo collegato all'apertura dell'anno scolastico come questo, non poteva non fare riferimento - e, purtroppo, non lo ha fatto - alla difesa dell'identità culturale del nostro popolo, alla necessità della conoscenza da parte di tutti gli studenti (anche e, soprattutto, degli immigrati) di quella tradizione culturale cristiana che ha permeato l'ordinamento sociale, culturale e giuridico in duemila anni di storia del popolo italiano. Ciò proprio al fine di favorire una reale integrazione, in presenza di comportamenti non generalizzati, ma significativi, di docenti che, in questi anni, hanno penalizzato e delegittimato la nostra storia, la nostra identità e la nostra tradizione, in favore di un multiculturalismo fine a se stesso, che non ha fatto altro che aggravare i problemi sottesi alla scuola, determinando un'intolleranza di fondo per le esigenze della maggioranza della popolazione scolastica e di tutto il popolo italiano. In questo contesto - lo ripeto - per favorire una reale integrazione, sarebbe stato giusto e opportuno, anzi doveroso, porre tale problema, che non può essere risolto con tesi revanchiste o razziste, come hanno affermato - le ho lette - alcune critiche della sinistra.
È un problema che riguarda la difesa di un patrimonio culturale che tutti noi, oggi come oggi, vediamo messo a repentaglio nella scuola, la quale ha il compito di formare le nuove generazioni. Il dovere del legislatore, pertanto, consiste nel farsi carico, difendere e sostenere questa esigenza, non imporla con la forza, ma difenderla con le leggi a disposizione, soprattutto - ripeto - per favorire quell'integrazione di cui stiamo parlando. Quest'ultima, per come è attuata in molte scuole, non è assolutamente integrazione: di fatto è un relativismo culturale chePag. 8aggrava i problemi invece di risolverli, isolando sempre più gli immigrati e determinando, per reazione, quelle spinte razziste e xenofobe che a parole diciamo di voler evitare! Su questo problema, a mio parere, dobbiamo fare ancora molta strada, superando quella concezione cosiddetta sessantottina e terzomondista che, oggi, indistintamente, tende a penalizzare le basi fondamentali della nostra cultura e della nostra civiltà.
In merito al citato articolo - in particolare, sul problema degli organi collegiali - vorrei svolgere un'ulteriore considerazione: non sono soddisfatto di come il Governo ha affrontato il problema. So che vi sono opzioni diverse anche all'interno della maggioranza; tuttavia, oggi come oggi, alla luce delle difficoltà che tutti noi riscontriamo quotidianamente e che ho poc'anzi illustrato, si impone la definizione di un nuovo ruolo di tali organi collegiali, i quali non possono più assumere la dimensione strettamente burocratica - quasi, direi, da Soviet - che li ha caratterizzati negli anni Settanta. Essi devono assumere una dimensione maggiormente dinamica, che comprenda le esigenze reali della società e che apra la scuola a queste figure intermedio-professionali, pure presenti. Il ritardo con cui si affronta questo problema, a mio modo di vedere, è veramente colpevole. Un'ulteriore considerazione: in tale contesto, non posso tacere la perplessità per la disinvoltura con cui il Governo ha superato il sistema liceale, ripristinando la tradizionale impostazione tra licei e istituti tecnici. Cosa temiamo? Lo diciamo proprio noi del centrodestra: temiamo una sorta di ghettizzazione degli studenti che frequentano gli istituti tecnici, i quali, ovviamente, in questo modo vengono penalizzati e privati di alcuni elementi fondamentali - sia della cultura umanistica sia della cultura scientifica - che dovevano essere comuni a tutti e che sono, oggi più che mai, indispensabili. La questione non riguarda tanto le tre «i» o il recupero dell'italiano, della storia o dell'aritmetica. Credo, invece, che in questione vi sia la necessità di recuperare, in modo nuovo e originale, l'approccio tradizionale della nostra scuola su questi temi. La pura restaurazione dello status quo, a mio parere, non può soddisfare alcuno. È chiaro: in questi anni ci siamo trovati di fronte a situazioni paradossali, a studenti «unidimensionali», che conoscevano solo una disciplina e non altre. Si impone la necessità di recuperare una minima cultura di base, fondata sulla serietà degli studi e su un approccio totalmente diverso da quello che finora è stato attuato e che, molto disinvoltamente, prescindeva anche dalla valutazione del merito (su quest'ultimo problema le responsabilità sono di tutti).
Sia ben chiaro, la nostra contestazione non riguarda la serietà degli studi, ma il modo in cui il percorso è definito. Ritengo che tale percorso dovrebbe essere definito anche per quanto riguarda il servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione previsto nel comma 9, questione su cui siamo d'accordo, purché la commissione in questione venga definita in modo diverso. La previsione della direttiva annuale potrebbe andar bene, se tale direttiva tenesse conto dei cambiamenti e dei risultati; ma come si possono valutare, in un anno, risultati ottenuti sulla base di sperimentazioni particolari? Su ciò dobbiamo essere estremamente chiari.
Allo stesso modo, ritengo che dobbiamo tener conto maggiormente dell'esperienza estremamente significativa delle scuole paritarie. Queste ultime sono già presenti in un certo qual modo, ma, a mio avviso, alla luce del discorso che ci caratterizza da sempre, è utile per tutti la definizione di un sistema nazionale di istruzione che non sia basato soltanto sulla scuola di Stato, ma comprenda - a livello di reale parità - la scuola paritaria. Credo che sia importante definire tale aspetto in modo precipuo e molto più significativo di quanto non sia stato fatto finora. Inoltre, per quanto riguarda il problema della cosiddetta licealizzazione, vorrei fare solo un accenno all'autonomia delle regioni, ai problemi e al contenzioso che si è aperto nel passato: decine, anzi centinaia di procedimenti contenziosi da parte di alcune regioni contro il Governo precedente a quello attuale, proprio in materia di istruzionePag. 9professionale, di competenza delle regioni. A mio avviso, tale problema è stato affrontato con disinvoltura, - prescindo dalle querelle del passato, in quanto non è tanto questione di licei o di istituti tecnici, ma del fatto che una formazione professionale adeguata non può non essere concepita, anche e soprattutto a livello regionale, sulla base di esperienze che hanno dato i loro frutti, soprattutto nel nord Italia, dove vi sono stati risultati riconosciuti come tali da molte imprese, dagli studenti e dalle famiglie. In tale settore la regione può e deve essere un partner essenziale. Si prescinde da ciò e in un certo qual modo viene ripristinato una sorta di centralismo statale che, a mio modo di vedere, rischia di non risolvere problemi veramente reali quali quelli dell'immissione dei giovani nel mondo del lavoro con conoscenze scientifiche approfondite, non soltanto con una formazione di base a livello professionale che, oggi come oggi, non risponde più all'esigenza di una società moderna e dei ceti produttivi, alle prospettive occupazionali dei giovani e che invece fatalmente si rischia di riproporre.
Inoltre, vorrei sottolineare un altro punto relativo al comma 12 che non ci trova assolutamente d'accordo. Laddove si fa riferimento alla riforma degli organi collegiali scolastici, siamo molto d'accordo sull'inserimento nei consigli di indirizzo degli studenti adulti, ma non lo siamo sulla totale estromissione della famiglia. Riteniamo che all'interno dei consigli di indirizzo vi debba essere una compresenza dei vari elementi che contribuiscono a definire la scuola, non assegnando una presenza soltanto ad alcune componenti. Ciò era stato affermato anche in precedenza. Inoltre, credo che per quanto riguarda le riunioni del consiglio di indirizzo e della giunta esecutiva, anche se è giusto prevedere la consultazione di rappresentanti delle autonomie locali, dell'università, delle associazioni e fondazioni e rappresentanti tout court del mondo economico, sindacale, del terzo settore e degli enti locali, è altrettanto giusto stabilire che dette rappresentanze non siano consultate in modo permanente, bensì quando è in discussione un argomento che le riguarda direttamente. Personalmente non condivido la presenza in modo organico e definitivo di rappresentanti degli enti locali, chiunque essi siano, perché si corre il rischio di politicizzare un'altra volta tali organismi. Piaccia o no, i rappresentanti degli enti locali sono giustamente espressione delle forze politiche, rispondono ad un proprio ruolo e ad una funzione precisa, ma in particolari momenti della vita scolastica. A mio avviso, non possono essere rappresentanti permanenti, proprio per la caratterizzazione che, di fatto, li obbliga ad esprimere valutazioni e comportamenti che spesso possono essere conflittuali con le necessità formative della scuola.
Un altro punto sul quale siamo contrari è quello relativo al problema dei docenti di sostegno e delle priorità per i docenti impegnati nelle scuole a rischio e nelle classi funzionanti negli ospedali.
Nulla quaestio su tale problema: si tratta di criteri giusti in sé. Credo, però che, anche e soprattutto per gli insegnanti di sostegno, dobbiamo stabilire reali priorità distribuendo in modo più uniforme la presenza dei medesimi sul territorio nazionale. Non dobbiamo nasconderci il fatto che, in molte realtà, l'assunzione di insegnanti di sostegno è servita per calmierare - diciamo così - soprattutto la disoccupazione giovanile; piuttosto poniamoci il problema della loro continua qualificazione. Si tratta di un problema sociale e drammatico, ma la scuola non può farsi carico di altre realtà che non siano quelle dell'insegnamento, del livello di cultura degli studenti, del miglioramento di situazioni di disabilità e della promozione delle capacità di apprendimento. Funzioni diverse esulano dal ruolo della scuola e credo debbano essere definite, soprattutto in un provvedimento importante come quello in discussione che, in realtà, pur demandando a una direttiva, già nelle linee portanti è estremamente generico con rischi di intuitiva evidenza.
Per quanto riguarda le sanzioni si tratta di un problema estremamente delicato e finalmente si è arrivati ad ipotizzarePag. 10provvedimenti sanzionatori nei confronti dei docenti. A fronte di tanti docenti che fanno il loro dovere, infatti, ce ne sono altri che in questi anni, non svolgendo il proprio ruolo, hanno tenacemente boicottato - in modo diretto o indiretto - le istituzioni scolastiche, totalmente privi di una forma di controllo in nome di quel garantismo assoluto che ha condizionato negativamente e danneggiato profondamente la scuola italiana.
Occorreva intervenire prima - non ho dubbi a dirlo - e per fortuna si è intervenuti, ma dobbiamo farlo in modo razionale. Credo che sia giunto il momento di prevedere sanzioni che siano effettive, proprio nel rispetto di quei docenti che svolgono il proprio lavoro e che rischiano di essere demotivati in presenza di loro colleghi che assolutamente non lo svolgono e che rimangono tranquilli e imperterriti nelle loro cattedre.
A fronte di tale aspetto, però, ritengo debba essere ulteriormente precisata la questione delle garanzie. Effettivamente sono state previste alcune ipotesi che credo debbano essere valutate positivamente. Tuttavia, soprattutto laddove esista un ruolo del dirigente scolastico regionale e si ipotizzi anche una sorta di incompatibilità ambientale, occorre, in effetti, prevedere meglio anche una forma di difesa e di tutela del docente che ovviamente non si risolva in puro corporativismo. Immagino che già in molte scuole la classe docente, al di là delle distinzioni ideologiche, può ergersi a difesa (come è successo) di un collega, per timore di cadere un domani.
PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, concluda.
FABIO GARAGNANI. Concludo, Presidente. Dobbiamo, però, stare attenti che, per un malinteso senso di antipatia o per altri condizionamenti, venga punito un docente che, invece, non merita una sanzione.
Allora, credo che l'osservazione avanzata in altra sede al fine di prevedere una garanzia per tali sanzioni, sia stata posta proprio perché fosse disciplinata nel provvedimento.
Un problema fondamentale è anche quello della libertà di insegnamento: il giusto principio della libertà di insegnamento non dev'essere conflittuale con il giusto principio del rispetto della giovane personalità del discente, della Carta costituzionale, del ruolo della famiglia e di una forma di pluralismo all'interno....
PRESIDENTE. La pregherei di concludere, onorevole Garagnani: ha parlato più di 30 minuti.
FABIO GARAGNANI.... che deve essere presente. Detto ciò credo che occorra evitare determinati eccessi del passato e contemperare la severità con la giustizia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Volpini. Ne ha facoltà.
DOMENICO VOLPINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, intervengo per rispondere alle obiezioni del collega Garagnani.
Innanzitutto, non è vero che questo disegno di legge non abbia visto il concorso dell'opposizione e un dibattito serio e lungo in Commissione. Basta prendere i resoconti della Commissione cultura - anche quelli inerenti al provvedimento approvato di recente, di cui questo costituisce uno stralcio - per vedere come, sia l'onorevole Aprea sia tutti gli altri rappresentanti del Polo convenissero sul disegno di legge, che era stato ben approfondito, ma non sullo stralcio.
Non capisco, quindi, come l'onorevole Garagnani, a distanza di pochi giorni, dica che non vi siano stati un approfondimento,Pag. 11un dibattito né un apporto da parte della minoranza rispetto a questo disegno di legge.
Per quanto riguarda i vari punti affrontati, innanzitutto, vi è il discorso sulla serietà degli studi. Sentiamo sempre parlare di serietà. In questo momento in cui il Ministro è tornato sull'argomento, imprimendo una piccola svolta in ordine alla serietà degli studi, delle verifiche e di altro, si nota un'opposizione preconcetta.
Non si può dire che risponda ad una seria valutazione del merito degli studenti il fatto di aver spazzato via le disposizioni sull'esame di maturità contenute nella riforma Berlinguer, una riforma equilibrata, che prevedeva che il 50 per cento dei commissari fossero interni (mentre prima erano praticamente tutti esterni eccetto il membro interno), stabilendo che tutti i commissari siano interni. Ciò significa che le scuole molto serie faranno dei veri esami di maturità mentre i «diplomifici» faranno quello che vogliono, essendo tutti i commissari loro insegnanti.
Mi sembrava che la questione fosse riconducibile ad un minimo di serietà, sottoponendo l'esame di maturità, che è la verifica finale di tutto il corso degli studi della scuola italiana preuniversitaria, a una verifica più seria.
C'è un punto forte che ci divide ed è quello dell'abolizione del titolo di studio. Non siamo d'accordo con l'abolizione del titolo di studio, ma riteniamo che la scuola italiana in questi cinquant'anni abbia ottenuto degli ottimi risultati (anche se andrebbe modificata per adattarla ai tempi) con il titolo di studio. Quest'ultimo ha fatto sì che gli studenti che hanno frequentato la scuola in un qualsiasi paesetto italiano oppure a Milano, Roma, e via dicendo, qualora abbiano conseguito la licenza di quinta elementare o di terza media o abbiano un diploma di scuola media superiore, possiedano comunque un livello minimo di competenze comuni.
Dove il titolo di studio non ha valore legale questo non accade! C'è un'altra rilevante questione cui devo rispondere, che è quella relativa al rapporto tra la scuola dello Stato e le scuole paritarie private e, concerne, quindi la parità scolastica.
Onorevole Garagnani, lei sa benissimo che, se oggi vi è la legge n. 62 del 2000 - non me ne voglio gloriare - un po' di merito è del sottoscritto, che ne è stato il relatore ed è riuscito a farla approvare. La legge sulla parità è stata approvata dal centrosinistra.
I finanziamenti alle scuole paritarie private sono stati aumentati dal centrosinistra da 225 miliardi a 1050 miliardi nella legislatura dal 1996 al 2001: si è trattato di aumenti rilevanti. Nel corso della vostra legislatura, con la riforma Moratti, non solo non è stata aggiunta una lira, ma nell'ultima legge finanziaria avete disposto il taglio in tre anni del 30 per cento delle risorse. Pertanto, non ho capito dove sia tutto questo vostro afflato nei confronti della parità scolastica.
Un altro punto è essenziale: la sussidiarietà in campo scolastico. Vi è una distinzione profonda sulla filosofia dell'educazione e della scuola che distingue Forza Italia non dico dal centrosinistra, ma anche da alcune forze del centrodestra. Forza Italia vede l'istruzione come un bisogno della persona umana (questo lo ha affermato in aula l'onorevole Aprea più volte nei suoi interventi, anche se non in questa legislatura). Noi, invece, non vediamo l'istruzione come un bisogno che può essere soddisfatto dal mercato, mentre lo Stato interviene solo laddove il privato non riesce ad arrivare. Pensiamo che l'istruzione sia un diritto fondamentale della persona umana. Il cittadino italiano per il fatto stesso della sua nascita ha un diritto inalienabile alla istruzione; e questo diritto, come tutti i diritti fondamentali della persona umana, deve essere garantito da un sistema nazionale, non dal mercato. Il mercato non assicura i diritti fondamentali, assicura il soddisfacimento dei bisogni, e in modo abbastanza squilibrato.
Il fatto che in Italia ci sia il monopolio della scuola dello Stato, onorevole Garagnani, discende da un dettame costituzionale. È inutile che facciamo finta che la Costituzione non ci sia: la CostituzionePag. 12italiana c'è e va rispettata, o altrimenti cambiata. Vorrei dare lettura del comma secondo dell'articolo 33 della Costituzione, citato anche dalla legge n. 62 del 2000, che recita: «La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Ossia, lo Stato è obbligato dalla Costituzione a istituire scuole di ogni ordine e grado, non si può esimere. Questa è la Costituzione italiana: o la cambiamo o, altrimenti, la solidarietà orizzontale di cui parliamo non può essere attuata per quanto concerne la scuola.
Quanto al diritto allo studio, vorrei dire solo una cosa: il diritto allo studio è garantito dall'articolo 117 della Costituzione che rimanda ad una legge quadro nazionale, ed è realizzato da leggi regionali. O cambiamo la Costituzione, e richiamiamo in capo allo Stato tale potestà, o altrimenti il dispositivo costituzionale è questo. Non capisco quindi quando lei, da una parte, auspica che le regioni, come ha detto verso la fine del suo discorso, intervengano in modo serio, efficace, autonomo sull'istruzione, e poi, dall'altra parte, sostiene che invece lo Stato deve accentrare su di sé l'unica competenza che è veramente e profondamente decentrata, che è proprio quella relativa al diritto allo studio. Non vorrei, come è accaduto per qualche proposta di legge che lei ha presentato la scorsa legislatura, che ci fosse un equivoco tra diritto allo studio e diritto alla libertà di scelta educativa dei genitori.
Per la Costituzione italiana il diritto allo studio è qualcosa di molto preciso: ad esso fanno capo tutta una serie di provvedimenti di aiuto alle famiglie meno abbienti che servono a far sì che i loro figli siano facilitati nell'accesso e nella frequenza della scuola.
Quanto alla questione del finanziamento del sistema nazionale - che noi abbiamo istituito e che riguarda le scuole dello Stato, le scuole paritarie private e quelle degli enti locali - questo è un discorso che attiene alla fiscalità generale dello Stato. In proposito, anzi, se ciò sarà possibile, credo che con la prossima legge finanziaria si debba incrementare il fondo per le scuole paritarie non statali, così come del resto noi abbiamo fatto in modo consistente (mentre voi non solo non lo avete fatto, ma avete anche tagliato i fondi).
Quanto poi agli organi collegiali, questo tema è stato stralciato dal disegno di legge al nostro esame. In ogni caso, però, non si parli di rispetto della famiglia! Se si legge il disegno di legge Moratti su questa materia, infatti, si vede bene che la prima cosa che esso proponeva era proprio di sostituire il presidente, che era un genitore, con ...
FABIO GARAGNANI. Ma si aumentava il numero dei componenti attribuiti alle famiglie!
DOMENICO VOLPINI. Niente affatto, si stabiliva semplicemente che il primo degli eletti della componente delle famiglie entrava di diritto nell'organo di valutazione della scuola. E le sembra una scelta decente? In questo modo, se un padre di famiglia interessato alla scuola dei figli viene eletto nel consiglio di istituto, egli, nonostante non abbia alcuna competenza in fatto di valutazione, diviene automaticamente presidente del comitato di valutazione. È questo che voi volevate: porre alla presidenza del comitato di valutazione non un esperto del tema, ma, meccanicamente, il primo degli eletti dei genitori. Non scherziamo sulla serietà della scuola!
FABIO GARAGNANI. Nessuno scherza.
DOMENICO VOLPINI. Per quanto concerne la questione della cultura italiana e cristiana nella scuola - cioè il tema dell'identità - non capisco per quale ragione questo argomento sia stato ripetuto in Commissione in tanti interventi. Basta leggere i programmi della scuola italiana. Si studia letteratura, arte, musica, storia, filosofia: tutte materie che sono impregnate della cultura cristiana, che ne è la radice principale. Da essa deriva quasi tutta la storia dell'arte che si studia, la letteratura (pensiamo alla Divina Commedia), la filosofia (pensiamo a tutti i filosofi cristianiPag. 13che vengono studiati). Del resto, in base al Concordato, la religione cattolica rientra di diritto fra le materie scolastiche, e gli insegnanti sono di ruolo. Davvero, dunque, non capisco questo continuo battere su un argomento che, secondo me, non ha grande motivo di essere.
FABIO GARAGNANI. Davvero, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire!
DOMENICO VOLPINI. Per quanto riguarda il tema delle sanzioni, in tutti i dibattiti svoltisi tanto in Commissione quanto in Assemblea - basta leggere l'intervento dell'onorevole Aprea - su questo argomento era emersa perfetta concordanza.
Per quel che riguarda le garanzie, vi era un solo piccolo aggiustamento che andava introdotto e ciò è stato fatto: nella prima stesura del testo, infatti, quando il direttore regionale comminava la sanzione, non si prevedeva alcuna possibilità di appello per il dirigente scolastico sanzionato. Oggi, nel testo al nostro esame si è, invece, introdotta la possibilità che il soggetto sanzionato si appelli ad un direttore generale del Ministero (o ad un direttore generale ad hoc o al direttore generale del personale). Non so quali altre garanzie si potrebbero prevedere. Del resto, non è che si possano mettere in piedi tribunali: tribunali e magistratura già ci sono, ed operano nel caso di violazioni. Dunque, c'è sempre un organo di garanzia al quale ci si può appellare.
Non capisco la volontà di fare opposizione per forza rispetto al disegno di legge in discussione, sul quale voi stessi in Commissione - ma anche in questa sede, se solo si riprendono certi interventi - vi siete dichiarati concordi, in quanto esso aveva recepito molte vostre istanze (avevate anche sostenuto di volerne proporre delle altre, ma poi non lo avete fatto, forse perché non ne avete avuto il tempo ritenendo che il testo andasse bene così).
Non comprendo, dunque, tale atteggiamento di opposizione per forza e preconcetta, anche in merito ad aspetti sui quali vi siete dichiarati assolutamente concordi.
PRESIDENTE. Onorevole Volpini, mi scusi se la disturbo: non è mia intenzione interromperla e lei potrà proseguire il suo intervento. Vorrei salutare una delegazione del comune di Bellosguardo (SA), presente a Roma per partecipare, tra un'ora, alla commemorazione del centenario di un loro illustre concittadino, nonché ex Ministro della pubblica istruzione, l'onorevole Valitutti (del resto, stiamo discutendo proprio dei problemi dell'istruzione).
Desidero, dunque, rivolgere un saluto a nome dell'Assemblea (Applausi).
Onorevole Volpini, mi scusi se l'ho interrotta, può ora riprendere il suo intervento.
DOMENICO VOLPINI. Avendo nominato l'onorevole Valitutti, mi viene in mente la sua presidenza dell'unione per la lotta contro l'analfabetismo (Unla), ma anche la sua osservazione, onorevole Garagnani, circa il comma 12 dell'articolo 1 del testo al nostro esame. Nel comma in questione non è stata prevista l'estromissione della famiglia dai consigli di gestione della scuola, poiché ciò attiene, piuttosto, all'educazione permanente degli adulti: stiamo parlando, cioè, di persone di quaranta o cinquant'anni, e non avrebbe senso chiamare il padre, la madre o il nonno ad intervenire. Essi stessi fanno già parte dei comitati e dei consigli e in tali sedi esprimeranno le loro posizioni: sono individui pienamente adulti, dunque non hanno bisogno dell'intervento dei genitori o della famiglia, in quanto essi stessi, in genere, sono capifamiglia e possono di per sé stessi e per conto loro intervenire.
Ringrazio, signor Presidente, il Governo per l'attenzione e spero di aver risposto a tutte le obiezioni del collega Garagnani.
FABIO GARAGNANI. No, meno che mai!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Schietroma, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2272-ter-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Sasso.
ALBA SASSO, Relatore. Signor Presidente, la mia replica sarà molto veloce. Ho ascoltato con molta attenzione l'intervento dell'onorevole Garagnani, ma credo che il provvedimento al nostro esame sia anche di natura tecnica: esso reca norme urgenti per l'istruzione ed affronta una serie di questioni che vanno risolte o che andrebbero risolte al più presto.
A mio avviso - onorevole Garagnani, ce lo siamo già detto quando abbiamo lavorato in Commissione, dove abbiamo trovato anche punti di convergenza - questo provvedimento dimostra essenzialmente che la scuola italiana ha bisogno di riscrivere il testo unico per la legislazione scolastica, perché nel corso degli anni la legislazione si è andata accumulando e sono state approvate nuove norme che non hanno cancellato le precedenti, rischiando alla fine di ingenerare effettivamente confusione.
Credo che la scuola italiana abbia bisogno di quanto è stato fatto in altri Paesi (ad esempio, la Spagna, che ha adottato una legge generale o di ordinamento, come è stata chiamata), ossia di norme snelle, leggere, comprensibili e, soprattutto, attuabili.
Molte volte la legislazione scolastica - questo è il punto - lascia interdetti anche coloro che la devono applicare. Si tratta, quindi, di un provvedimento urgente, la cui urgenza è dimostrata anche dal fatto che alcuni degli argomenti contenuti nel disegno di legge in discussione sono stati stralciati e hanno trovato collocazione in un disegno di legge di conversione di cui abbiamo avviato la discussione nella scorsa settimana e che mi auguro si concluderà in questa settimana.
Le norme principali, citate prima dagli onorevoli Volpini e Garagnani, sono quelle relative alla questione del tempo pieno. Ne abbiamo discusso e credo sia stato uno dei temi che abbiamo trattato di più. Voglio ribadire, con semplicità, una questione: il tempo pieno (le 40 ore), sul quale nella scorsa settimana in aula vi è stata una lunga discussione, rappresenta un modello pedagogico che è stato ed è fondamentale - non è vero che il tempo pieno non esiste: è stato ridotto ma è presente - per garantire il migliore apprendimento e, soprattutto, il migliore apprendimento per tutti, che costituisce, come affermava il collega Volpini, uno degli obiettivi di una scuola democratica.
Vi sono ancora delle difficoltà, anche rispetto a tale testo di legge - non lo voglio nascondere - relative al fatto che tale modello, che è stato così importante nella scuola italiana, ha bisogno di più personale.
Non solo la Commissione bilancio, ma anche il Ministro dell'economia sembrano non consentire un impiego di risorse per il tempo pieno che, invece, costituirebbe uno strumento molto importante. Infatti, quando si leggono le statistiche e i quaderni bianchi sull'istruzione, ci si mette le mani nei capelli. Come mai al sud i livelli di apprendimento delle ragazze e dei ragazzi sono più bassi rispetto a quelli dei loro coetanei dell'Italia centrale e del nord? Forse perché nel sud esperienze come quelle del tempo pieno o la generalizzazione della scuola dell'infanzia non vi sono. Si tratta di quelle precondizioni che permettono, veramente, di combattere la dispersione scolastica e di migliorare il livello e la qualità dell'istruzione generale.
Un altro tema affrontato nel provvedimento in esame, anch'esso transitato nel decreto, è quello relativo ai provvedimenti disciplinari. Anche in questo caso se ne è fatto un gran parlare. Sembra che con tale provvedimento si vadano a colpire gli insegnanti fannulloni. Non è così, perché si tratta di provvedimenti disciplinari che già esistono. Alcuni procedimenti sono stati resi più celeri perché nella scuola, come in altri settori, il problema è costituito dal tempo delle decisioni, che non èPag. 15sempre esclusivamente legato alle necessarie garanzie dei destinatari del provvedimento.
Su tali temi continueremo a discutere nel corso dell'esame del provvedimento, perché sicuramente la questione delle sanzioni e dei provvedimenti disciplinari è assai delicata e va affrontata con la necessaria urgenza, che è stata adoperata, ma anche con tutte le garanzie per ogni soggetto della vita della scuola.
Inoltre, vi sono altre norme, onorevole Garagnani, che procedono nella direzione degli argomenti da lei sostenuti. Per esempio, vi è una norma volta a garantire la permanenza nelle scuole sia dei docenti di sostegno per i ragazzi diversamente abili, sia dei docenti che insegnano nelle scuole a rischio, in ospedale, eccetera, che garantisce la continuità che dovrebbe essere assicurata a tutti gli studenti, che diventa ancora più importante per quelli che hanno maggiori difficoltà e che necessitano della permanenza di figure di riferimento.
Vi sono altri elementi, che anche lei ha citato, come l'individuazione degli organi di governo dei centri per l'educazione permanente.
Vi è un'altra disposizione molto importante nel provvedimento in esame, ossia quella che riassegna i fondi non spesi per l'edilizia scolastica e che sono da utilizzare anche per ottimizzare la messa in sicurezza e l'adeguamento a norma degli edifici scolastici.
Vi erano anche alcune norme, sulle quali la Commissione bilancio è stata molto severa, volte a ridurre la TARSU che, per alcune scuole (soprattutto quelle primarie), costituisce il 90 per cento del bilancio della scuola stessa, o a ridurre l'IVA sugli acquisti per le specifiche attività della scuola.
Confido che nel dibattito parlamentare e nella discussione degli emendamenti si possa ritornare su tali questioni.
PRESIDENTE. Onorevole Sasso, concluda.
ALBA SASSO, Relatore. Concludo, Presidente.
Il cammino per l'approvazione definitiva del provvedimento al nostro esame è ancora lungo e, sia in Commissione, sia in Assemblea, dovremo trovare accordi su taluni aspetti che mi sembrano veramente essenziali per la scuola, senza enfatizzare la natura del provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GAETANO PASCARELLA, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione l'intervento dell'onorevole Garagnani e ritengo di poter fare un'osservazione che possa, a mio parere, aprire un confronto nel Parlamento e nel Paese libero dai pregiudizi del passato.
Sono convinto che l'aspetto più innovativo della scuola italiana sia costituito dall'autonomia scolastica, perché, attraverso la rete delle autonomie, significa riportare la scuola nei territori e poter dare le opportune risposte ai problemi che si hanno di fronte. Non sempre alle stesse domande si possono dare risposte uguali a prescindere dai territori. Pertanto, l'aspetto della valorizzazione delle autonomie locali è senz'altro un elemento che deve rilanciare, nel Parlamento e nel Paese, un confronto più aperto.
Inoltre, vi è un aspetto certamente innovativo: il Governo non ha inteso nascondere le difficoltà della scuola italiana. Nel Quaderno bianco abbiamo detto, con serenità e severità, che la scuola italiana vive un momento di grande difficoltà, messa in evidenza prima quasi esclusivamente da istituzioni di monitoraggio internazionale e oggi anche dall'istituzione di una valutazione interna al Ministero della pubblica istruzione.
Su tali difficoltà, con la collaborazione del Parlamento, stiamo cercando di intervenire con atti legislativi che hanno visto impegnati, in questi mesi, sia la Camera sia il Senato.
Il disegno di legge al nostro esame è stato ampiamente stralciato, perché alcune norme sono presenti nel disegno di legge di conversione del decreto-legge sull'avvioPag. 16dell'anno scolastico in approvazione nei prossimi giorni dalla stessa Camera. Altre questioni, come è giusto che sia e come rilevava la relatrice onorevole Sasso, sono state stralciate perché sugli aspetti della democrazia è sempre necessario sviluppare un dibattito più ampio possibile, ma oggi, anche alla luce delle scelte compiute nella legge finanziaria dell'anno presente, penso che alla scuola italiana si possa ricominciare a guardare con fiducia.
Sono tagliati i rimborsi ai partiti politici e i proventi vengono utilizzati per la messa in sicurezza delle infrastrutture scolastiche italiane: ciò costituisce certamente un aspetto positivo, come lo stanziamento di 154 milioni di euro previsti dal decreto-legge affinché vi sia un migliore funzionamento della scuola.
Già veniva detto precedentemente che alla scuola si è data direttamente, nella legge finanziaria dello scorso anno, la possibilità di avere un'autonomia anche economica. Su tale versante vi è la necessità di regolamenti e di approfondimenti, ma un segnale positivo certamente è stato dato.
Un ulteriore segnale, a mio avviso, estremamente positivo è costituito dalla scelta che si sta compiendo in queste ore, attraverso cui si forniscono delle risposte in merito ad alcuni commi dell'articolo 1 per quanto riguarda i docenti di sostegno.
Infatti, finalmente, rispetto ai quasi 100 mila insegnanti di sostegno della scuola italiana, soltanto 48 mila erano nell'organico di diritto. Ci avviamo a portare tale cifra quasi a 70 mila, che significa dare una risposta anche per quanto riguarda la qualità dell'istruzione di questi nostri concittadini più deboli, con una possibilità di avere una stabilità nell'insegnamento pluriennale da parte degli stessi docenti di sostegno.
Per il resto, mi richiamo alle osservazioni svolte con puntualità e precisione dall'onorevole Alba Sasso.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.