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Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, vorrei esprimere le ragioni che ci hanno indotto a porre all'attenzione dell'Aula una serie di questioni, anche sotto forma di emendamenti, relative al decreto-legge sul rifinanziamento delle missioni militari.
Innanzitutto, vi è una questione di metodo che voglio nuovamente sottolineare come più volte ho fatto in varie occasioni. Il metodo riguarda la proposizionePag. 5di un voto complessivo unificato su una serie di missioni diversissime tra loro.
Mi rendo conto che ormai prevale un'idea - che però è una sorta di ideologia istituzionale -, secondo la quale tutto quello che riguarda il coinvolgimento, l'invio e l'utilizzazione delle forze armate italiane costituisce, di per sé, un elemento di validità politico-istituzionale e tutto rientra sotto una cornice di congruità istituzionale, politica e costituzionale.
Di fatto, quindi, appare del tutto logico e del tutto congruo che le missioni vengano confezionate in unico pacchetto. Evidentemente non è così: ogni missione risponde ad una logica politica, ad una decisione politica e, soprattutto, ad un contesto giuridico molto diverso.
Faccio l'esempio, da manuale ormai, della missione UNIFIL 2, che noi condividiamo (l'abbiamo approvata, sostenuta e continuiamo a sostenerla), la quale avviene sotto il presidio, l'autorità, il mandato preciso e anche la gestione delle Nazioni Unite. Cosa tutto affatto diversa sono le altre missioni, in particolare quella in Afghanistan che, com'è noto, trova una forte critica da parte nostra, come anche la parte del finanziamento che riguarda la predisposizione della presenza di funzionari italiani nel Kosovo in sostituzione della missione ONU (una missione europea che sostituisce appunto quella delle Nazioni Unite, e che si porrà a presidio dell'avvenuta dichiarazione di indipendenza da parte del Kosovo). Questi due impegni internazionali dell'Italia avvengono sotto una cornice di diritto internazionale che per noi è non di diritto, ma di violazione del diritto.
La missione in Afghanistan è una missione di guerra. Alle valutazioni di ordine generale che hanno sempre accompagnato il nostro giudizio sulla missione in Afghanistan - è una missione NATO connessa al permanere di una missione direttamente di guerra da parte degli Stati Uniti, Enduring freedom - e che ci hanno sempre trovato critici nei confronti dell'impegno italiano, si aggiunge oggi una valutazione di ordine politico più stringente, relativa all'evoluzione interna e internazionale della vicenda afgana.
Noi avevamo sostenuto - ci sembrava che potesse essere un passo di una qualche efficacia e di valore - l'impegno del Governo Prodi e del Ministro D'Alema di tentare la strada di un'alternativa di pacificazione e stabilizzazione attraverso la via diplomatica di una conferenza di pace, ma tutto questo non è avvenuto (lo abbiamo più volte rilevato). Accanto al fallimento di questa opzione alternativa assistiamo ad un durissimo inasprimento della situazione interna, sia in ordine ai diritti delle popolazioni, sia in ordine alle questioni relative al nation building di cui l'Italia faceva parte con un ruolo di Paese leader. Si tratta di impegni che non sono stati realizzati, non per responsabilità nostra ma per una situazione difficilmente controllabile, per la determinazione con cui la NATO, che è protagonista, e soprattutto gli Stati Uniti, che costituiscono il soggetto di direzione reale delle operazioni militari in Afghanistan, intendono risolvere la questione.
Il problema afgano è ormai una questione da risolvere attraverso una vittoria militare sul campo, come continuano a sostenere i comandi della NATO e come continua a sostenere l'amministrazione Bush. Poi ci sono varie chiacchiere sulle possibili alternative, ma i fatti dimostrano che lì vi è una escalation di guerra che ha interessato con sempre maggiore chiarezza tutti i Paesi, anche quelli che, come l'Italia e la Germania, hanno mantenuto un profilo basso nel coinvolgimento diretto nei combattimenti. Vi è, dunque, una sovradeterminazione di guerra che coinvolge il nostro Paese non solo politicamente e moralmente, ma spesso anche fattualmente, con azioni di guerra e di combattimento diretto contro gli insurgents.
Sostanzialmente ciò discosta molto la missione da quello che noi abbiamo pensato potesse essere sostenibile, attraverso la battaglia che abbiamo condotto sulle regole di ingaggio e sul contenimento della presenza delle nostre truppe entro determinati limiti, anche territoriali.Pag. 6
Le notizie che arrivano sono allarmanti da questo punto di vista, così come sono allarmanti i dati di cui possiamo disporre relativamente, per esempio, al crollo degli investimenti stranieri in Afghanistan. È un crollo radicale, che dimostra come i livelli di sicurezza per la popolazione e per un'accettabile presenza degli investimenti stranieri siano assolutamente drammatici. È una situazione, quindi, che da tutti i punti di vista dimostra che il contingente italiano, la missione italiana non ha nulla a che vedere con compiti di nation buliding e di peace-keeping.
Vi è poi la grande questione della NATO. Vorrei sottolineare una volta di più tale questione: la NATO che cosa ci sta a fare lì, con quale mandato, con quale diritto internazionale? La NATO lì si gioca una partita di straordinaria portata per se stessa e per gli Stati Uniti, che fino adesso hanno giocato con una strategia a geometria variabile, come dicono gli analisti, per cui utilizzano di volta in volta chi è più disponibile a sostenere le strategie degli Stati Uniti. La NATO oggi è essenziale per mantenere un coinvolgimento internazionale e un coinvolgimento dell'Europa in quel teatro, ma la NATO è spaccata al suo interno, non ha più un ruolo specificamente militare riconosciuto internazionalmente, si gioca lì una partita: o vince oppure non si sa bene che fine farà.
C'è un elemento di sovradeterminazione strategica che inquina ancora di più la situazione e di cui il Governo italiano pare non accorgersi, mentre divampa la contestazione ai comportamenti poco bellicosi di alcuni Paesi, compreso il nostro, e mentre si è aperta una discussione strategica all'interno della NATO che sembra non sfiorarci per niente.
Per quanto riguarda il Kosovo, abbiamo avuto modo di sottolineare l'illegalità in cui è avvenuta la dichiarazione di indipendenza unilaterale, perché è stata violata radicalmente la risoluzione dell'ONU n. 1244 che poneva fine alla guerra contro la Serbia, stabilendo la sovranità serba sul Kosovo. Ovviamente, ci sono grandi problemi di rapporti tra etnie diverse, ma ciò si sarebbe dovuto e si deve risolvere attraverso politiche di integrazione europea, di protezione delle minoranze, di implementazione delle forme che garantiscano l'autonomia e riducano diplomaticamente il peso della sovranità serba, nel caso specifico sul Kosovo, e non certo con atti avventuristici, come è stata la secessione da parte del Kosovo e l'accettazione, tra l'altro diversificata e in ordine sparso, dei Paesi europei, che poi mandano, sotto forma di protettorato europeo, delegazioni diverse per garantire la secessione. Illegalità perché è stata violata la risoluzione n. 1244 e illegalità perché un compito tipico delle Nazioni Unite, che nel Kosovo era garantito dall'UNMIK, viene sostituito da un'attribuzione di compiti all'Unione europea, senza che esistano i presupposti giuridici perché l'Europa possa assumersi questo compito.
Per concludere, questo pacchetto di missioni è assolutamente incongruo per l'accorpamento di missioni diverse, che non possono essere da noi analizzate separatamente per quello che sono. Dunque, si priva il Parlamento, viene privato ogni parlamentare del diritto di contribuire con un voto positivo o con un voto negativo a impegni così onerosi per il nostro Paese, sia in termini di impiego di persone, di uomini, di militari, spesso in teatri estremamente a rischio, sia in termini di investimento di fondi del nostro Paese. Il complesso delle questioni che abbiamo sollevato, sia nella discussione nelle Commissioni sia in Aula, riguarda appunto questi aspetti, che sono per noi di fondamentale importanza.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito i relatori ad esprimere il parere delle Commissioni.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, le Commissioni formulano un invito al ritiro, e subordinatamente esprimono parere contrario, sull'emendamento Siniscalchi 1.9.
Le Commissioni raccomandano l'approvazione del proprio emendamento 1.100 ed esprimono parere favorevole sull'emendamento Rivolta 2.20.Pag. 7
Le Commissioni formulano un invito al ritiro, e subordinatamente esprimono parere contrario, sugli emendamenti Rivolta 2.2 e Rivolta 2.5 ed esprimono parere contrario sugli emendamenti Venier 3.1, De Zulueta 3.4 e Venier 3.5.
Le Commissioni raccomandano l'approvazione dei propri emendamenti 4.100, 4.101 e 4.102 ed esprimono parere favorevole sull'emendamento Rugghia 4.20. L'emendamento Leoluca Orlando 4.1 è stato dichiarato inammissibile.
Quanto all'emendamento 1.100 delle Commissioni, preciso che le parole «d'intesa» devono intendersi sostituite dalle parole «in collaborazione».
PRESIDENTE. Il Governo?
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
A proposito dell'emendamento Rivolta 2.20, che accoglie, il Governo osserva che, riguardo all'assunzione di ulteriori due unità in Kurdistan per promuovere la presenza economica italiana nell'area, bisogna specificare che la riduzione della somma di 172.210 euro necessaria per le spese previste dall'emendamento dovrà essere operata dal Fondo per la ricostruzione in Iraq, alla voce «Funzionamento dell'unità di sostegno alla ricostruzione del Dikar».
Colgo l'occasione, se il Presidente consente, per svolgere una rapida riflessione su una questione che è stata sollevata sia nella discussione generale sia negli interventi sul complesso degli emendamenti che ho sentito questa mattina. Si osserva spesso che occorre un'iniziativa politica per l'Afghanistan, perché l'iniziativa militare da sola non basta, come è evidente. Credo che sia così, e credo che ci sia un paradosso: il paradosso è che si occupano dell'Afghanistan e della sua stabilizzazione Paesi i quali si trovano a migliaia di chilometri di distanza, l'Italia compresa, ma non si occupano della stabilizzazione i Paesi confinanti. Dobbiamo quindi coinvolgerli; dobbiamo certamente, come è stato detto anche questa mattina, suggerire una conferenza internazionale per l'Afghanistan. Lo si è fatto per l'Iraq: il 3 novembre scorso a Istanbul c'è stata la Conferenza per la stabilizzazione dell'Iraq, il 20 aprile a Kuwait City ci sarà la nuova Conferenza, perché ha una cadenza periodica.
A questa Conferenza sull'Iraq partecipano, come si sa, i Paesi del G8, i cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed i Paesi confinanti (che poi in parte sono gli stessi).
Non è che si ottengano grandi risultati dalla Conferenza sull'Iraq, ma comunque siedono allo stesso tavolo Condoleezza Rice e il Ministro degli esteri iraniano Mottaki (essi siedono a cena insieme e si crea un clima, un'occasione per instaurare una possibile cooperazione).
Nell'ultima Conferenza di Istanbul - voglio informare di ciò con precisione il Parlamento - io stesso ho avanzato la proposta di una conferenza per l'Afghanistan nello stesso formato di quella per l'Iraq. Ad una conferenza per l'Afghanistan parteciperebbero la Russia e la Cina, che sono Paesi confinanti i quali vengono investiti dal pericolo del fondamentalismo islamico; parteciperebbe l'Iran, che è un Paese nemico storico dei talebani e sopporta centinaia di perdite di soldati all'anno alla frontiera per contrastare il traffico di droga; parteciperebbero il Pakistan e l'India, due Paesi che scaricano all'interno dell'Afghanistan la loro rivalità storica.
Una proposta di questo genere ha trovato subito il consenso e l'interesse del Giappone, del Canada e della Germania, ma - e concludo - è evidente che l'esplodere della crisi pakistana da novembre ad oggi ha bloccato l'iniziativa. Il Pakistan è il Paese chiave: un tempo, quando c'era il Governo talebano a Kabul, uno dei pochi ambasciatori presenti era quello pakistano, e veniva chiamato il viceré di Kabul. Adesso forse, dopo le elezioni pakistane, se si avvia un processo di normalizzazione in Pakistan vi sarà la possibilità di riprendere l'iniziativa.Pag. 8
Credo che il prossimo Governo ed il prossimo Parlamento dovranno lavorare affinché la possibilità di una conferenza internazionale sull'Afghanistan sia colta e ricercata con determinazione.
PRESIDENTE. L'onorevole Forcieri intende intervenire per l'espressione del parere?
GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, esprimo parere conforme al relatore sugli emendamenti di competenza della Difesa e intendo ribadire, quanto alle questioni di metodo, la validità della scelta adottata dal Governo di inserire in un unico provvedimento tutte le missioni internazionali in cui siamo impegnati.
Si è parlato di missioni diversissime, ma in realtà sono missioni che hanno tutte la stessa legittimità delle Nazioni Unite: si tratta di missioni che si svolgono in teatri diversi e che hanno specificità diverse, ma non sul piano della legittimità internazionale. Sono missioni, infatti, che hanno tutte lo stesso obiettivo, quello della stabilizzazione del Paese e della pace.
Nessuna di queste missioni - tanto meno la missione in Afghanistan - persegue la soluzione militare, ma è soltanto una missione di assistenza a garanzia della sicurezza per il processo di stabilizzazione e di pace di quel Paese.
Se è chiaro che non è pensabile che la soluzione possa avvenire attraverso un successo militare, è altrettanto chiaro cosa succederebbe rispetto ad una sconfitta militare, quali sarebbero le conseguenze per quell'area e quali sarebbero le conseguenze più generali per la stabilità internazionale. Noi proseguiamo quindi questo sforzo nelle varie missioni internazionali, con un unico obiettivo e con un'identica legittimità e legittimazione internazionali.
PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori dell'emendamento Siniscalchi 1.9 non accedono all'invito al ritiro formulato dalle Commissioni.
Passiamo dunque ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Invito i colleghi a prendere posto.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Siniscalchi 1.9, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 332
Votanti 331
Astenuti 1
Maggioranza 166
Hanno votato sì 50
Hanno votato no 281).
Prendo atto che i deputati Viola, Ronconi e Rao hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che la deputata Nicchi ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.100 delle Commissioni, nel testo riformulato, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 348
Votanti 274
Astenuti 74
Maggioranza 138
Hanno votato sì 273
Hanno votato no 1).
Prendo atto che i deputati Ronconi e Rao hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che la deputata Nicchi ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.Pag. 9
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rivolta 2.20, accettato dalle Commissioni e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 354
Votanti 352
Astenuti 2
Maggioranza 177
Hanno votato sì 303
Hanno votato no 49).
Prendo atto che i deputati Ronconi e Rao hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere il voto e che la deputata Nicchi ha segnalato che non è riuscita a votare contro.
L'emendamento Rivolta 2.2 è conseguentemente precluso.
Chiedo al presentatore se acceda all'invito al ritiro dell'emendamento Rivolta 2.5 formulato dai relatori.
DARIO RIVOLTA. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Sta bene.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Venier 3.1, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 355
Votanti 351
Astenuti 4
Maggioranza 176
Hanno votato sì 54
Hanno votato no 297).
Prendo atto che i deputati Rao e Ronconi hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento De Zulueta 3.4, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 362
Votanti 359
Astenuti 3
Maggioranza 180
Hanno votato sì 55
Hanno votato no 304).
Prendo atto che i deputati Rao, Ronconi, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Venier 3.5, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 362
Votanti 360
Astenuti 2
Maggioranza 181
Hanno votato sì 51
Hanno votato no 309).
Prendo atto che i deputati Rao, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 4.100 delle Commissioni, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.Pag. 10
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 366
Votanti 306
Astenuti 60
Maggioranza 154
Hanno votato sì 298
Hanno votato no 8).
Prendo atto che i deputati Rao, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Licandro ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 4.101 delle Commissioni, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 369
Votanti 314
Astenuti 55
Maggioranza 158
Hanno votato sì 313
Hanno votato no 1).
Prendo atto che i deputati Rao, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Licandro ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 4.102 delle Commissioni, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 368
Votanti 313
Astenuti 55
Maggioranza 157
Hanno votato sì 313).
Prendo atto che i deputati Rao, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Licandro ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rugghia 4.20, accettato dalle Commissioni e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 371
Votanti 316
Astenuti 55
Maggioranza 159
Hanno votato sì 316).
Prendo atto che i deputati Rao, Ponzo e Simeoni hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Licandro ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Avverto che, consistendo il disegno di legge di conversione in un articolo unico, si procederà direttamente alla votazione finale.
(Esame degli ordini del giorno - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 3395 sezione 6). Qual è il parere del Governo sugli ordini del giorno presentati?
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo formula un invito al ritiro sull'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1 (nuova formulazione), mentre accetta gli ordini del giorno Ranieri n. 9/3395/2, Picano n. 9/3395/3, Cioffi n. 9/3395/4 e Giuditta n. 9/3395/5.
PRESIDENTE. Secondo la prassi, ove i presentatori non insistano, gli ordini del giorno accettati dal Governo non saranno posti in votazione.Pag. 11
Onorevole Giorgetti, accede all'invito al ritiro del suo ordine del giorno n. 9/3395/1
(nuova formulazione)?
GIANCARLO GIORGETTI. No, signor presidente, non accedo all'invito al ritiro e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, non accetto l'invito al ritiro del mio ordine del giorno e intendo intervenire, prima ancora che per una questione di merito, per una questione di metodo. Vorrei dire ai colleghi dell'Aula che quest'ordine del giorno tratta la questione del Kosovo e del riconoscimento da parte del Governo italiano della sua indipendenza. Esso chiede semplicemente come testimonianza - perché sappiamo che in questo momento il Consiglio dei ministri sta deliberando in questo senso - che sia il Parlamento, in una situazione come quella attuale, ossia con un Governo dimissionario che dovrebbe limitare la propria attività all'ordinaria amministrazione, a prendere decisioni impegnative e irrimediabili, come questa di cui si è discusso molto negli ambienti politici internazionali e sui media e poco o niente nel Parlamento italiano.
Perché si è discusso poco o niente? Infatti, quando la Lega Nord ha chiesto, negli spazi consentiti dal Regolamento, che questo punto venisse portato in Parlamento - avvenne nello scorso dicembre - purtroppo la discussione, svoltasi in un'Aula stanca e proiettata più che altro verso il periodo feriale, non poté procedere al dovuto approfondimento.
Con la mozione da noi presentata, chiedemmo - e il Parlamento votò in questo senso - che, prima di prendere una decisione, si sarebbe dovuta svolgere una discussione approfondita in Parlamento. Signor Presidente, questa discussione non è si è svolta. Il Ministro D'Alema è venuto in Parlamento, prima in Commissione al Senato qualche settimana fa e ieri davanti alle Commissioni esteri riunite di Camera e Senato, però a noi sembra di poter affermare che un argomento così importante avrebbe meritato e merita una discussione approfondita nelle Assemblee della Camera dei deputati e del Senato.
Non possiamo accettare che una questione così delicata che crea un precedente o meno - ciò è discutibile e sarebbe da discutere - non possa trovare spazio nella nostra Aula. Per questo motivo, abbiamo sfruttato l'occasione del decreto-legge sulle missioni militari, tra cui anche quella della NATO nel Kosovo, per portare questo argomento all'attenzione dell'Assemblea.
Signor Presidente, so perfettamente quanto sia, sotto un certo aspetto, ridicolo che il Parlamento oggi richieda un impegno a un Governo dimissionario, che in quanto tale non potrà attuarlo, però, prima ancora di discutere se sia giusto o meno riconoscere l'indipendenza del Kosovo - noi della Lega abbiamo espresso in ogni sede parlamentare la nostra posizione in merito - è giusto che su questo punto l'Aula si pronunci ed esprima un voto di testimonianza, perché noi vogliamo che una traccia nella storia - dato che si sta scrivendo nel piccolo una pagina di storia - venga lasciata. Noi della Lega Nord una traccia intendiamo lasciarla (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, la collega Deiana, sia in fase di discussione sulle linee generali sia nella fase degli interventi sul complesso degli emendamenti, ha già chiarito la nostra posizione a proposito della questione del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente. Non intendo tornare su quegli argomenti. Siamo comunque - questo è il senso del mio intervento - favorevoli all'ordine del giorno, qui presentato, a prima firma del collega Giancarlo Giorgetti.
Infatti, in realtà, sappiamo anche che già siamo di fronte a un atto votato dal Parlamento italiano, votato dalla CameraPag. 12dei deputati all'unanimità - lo ricordo - nel quale era chiaramente affermato che il Governo italiano si doveva mostrare contrario a qualunque decisione unilaterale adottata in violazione del diritto internazionale: in quella mozione era chiaramente espresso che, prima di qualsiasi riconoscimento, avrebbe dovuto essere nuovamente coinvolto il Parlamento.
Non riteniamo sufficiente, data la delicatezza del problema che è sottoposto alla nostra attenzione, la discussione che si è svolta sull'argomento, senza peraltro presentare alcuna risoluzione, all'interno delle Commissioni di Camera e Senato.
Quindi, sostenere che il problema del riconoscimento del Kosovo e della sua proclamazione unilaterale dell'indipendenza sia oggetto di un ampio e approfondito dibattito da parte del Parlamento, e che quindi spetti al nuovo Parlamento e al nuovo Governo affrontare tale argomento, a me sembra assolutamente necessario.
Siamo convinti che vi debba essere un approfondito dibattito e questa fretta, con la quale il Governo italiano e il Ministro degli affari esteri italiano si apprestano, per così dire, a rovesciare completamente l'impostazione assunta dal Parlamento, a me sembra che non possa essere accettata né condivisa.
Per tali ragioni il nostro gruppo voterà a favore dell'ordine del giorno in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, l'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) offre l'opportunità di ricordare un anniversario che è molto opportuno richiamare alla memoria: esattamente un anno fa, il 21 febbraio 2007, non avendo ottenuto il voto favorevole del Senato proprio sulla politica estera, Prodi fu costretto alle dimissioni.
L'episodio di allora e quanto stiamo discutendo oggi sono molto significativi, perché a me sembra assolutamente impensabile che si possa aspirare a governare l'Italia senza avere una politica estera (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
Questo Governo non ha mai avuto una politica estera: ne ha avute almeno due, e contrapposte!
È questa sfiducia nella capacità dell'attuale Governo a rappresentare il nostro Paese che ispira l'onorevole Giorgetti ed è una sfiducia che è condivisa da tutte le persone sensate di questa Assemblea, siano esse di destra, di centro o di sinistra.
Il fatto è che il contenuto del dibattere, cioè il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, mi vede su posizioni diverse da quelle del collega Giorgetti, come lui sa, e quindi, condividendo la sua ispirazione ma non il contenuto dell'ordine del giorno in esame, il gruppo di Forza Italia si asterrà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, credo che una dichiarazione autonoma di secessione, che è stata decisa dal Presidente del Kosovo, sia di per sé un fatto oggettivamente grave e che, indubbiamente, ci troviamo di fronte ad un vulnus, una ferita inferta al diritto internazionale: di ciò non si può non tener conto.
Credo che il Governo italiano abbia dimostrato comunque una notevole prudenza nel tentativo anzi di riuscire ad ottenere, anche da parte della Serbia, un accordo su tale problema.
La questione adesso si pone in termini diversi: ci troviamo di fronte ad una presa di posizione che, innegabilmente, mette i Paesi occidentali in grande difficoltà.
Tuttavia, la richiesta che viene avanzata dall'ordine del giorno in esame mi pare del tutto ragionevole: si tratta di chiedere che il Parlamento, ancora una volta, si pronunci su tale tema, di mostrare grande cautela, di cercare anche di mantenere aperto un dialogo con la Serbia, per trattare con delicatezza un problema che loroPag. 13avvertono come incidente, in un certo senso, sulla stessa identità del Paese (infatti di questi aspetti storici, aspetti che attengono alla dignità e alla realtà anche identitaria di un Paese, non si può non tener conto nelle decisioni che stiamo per assumere).
Si tratta di questioni che con molta misura e intelligenza il presidente della III Commissione, Ranieri, ha sollevato in un articolo nel quale chiedeva al Governo di usare prudenza.
Per tali motivi, credo che su questo tema sarebbe opportuno che il Governo accogliesse non come raccomandazione, ma accettasse l'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) e che le decisioni successive vengano prese in concomitanza anche con decisioni assunte unitariamente a livello internazionale. Ci vuole molta prudenza; l'Italia deve giocare un ruolo di raccordo e non di riconoscimento passivo di decisioni assunte in maniera assolutamente impropria e precipitosa. Di tutto ciò non si può non tener conto (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, come non dire che l'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) pone questioni di metodo francamente ineccepibili. Sono d'accordo con quanto testé affermato dall'onorevole Gerardo Bianco ovvero che l'autoproclamazione del Kosovo, fuori da ogni pronunciamento degli organismi internazionali, lascia perplessi. Tutti sanno quanto il nostro Paese sia impegnato anche militarmente per garantire la pace e proteggere le minoranze serbe in Kosovo, ma certo, su tale questione, il Governo italiano ha mancato di prendere una posizione in tempo utile.
Mai in questa Aula - e qui ha ragione il collega Giorgetti - si è discusso di questo problema, né mai le istituzioni italiane hanno avuto modo di elaborare una posizione o di svolgere un ruolo su tale questione. Certamente il tentativo di oggi, mentre altrove si decide in maniera definitiva, risulta tardivo. Tuttavia un impegno del Governo, magari sancito da un voto parlamentare che impegni anche il prossimo Parlamento a monitorare una situazione ai confini del nostro Paese così complessa, difficile ed esplosiva, credo che sia un atto doveroso.
Riterremmo opportuno, quindi, che il rappresentante del Governo, insieme al gruppo che ha presentato questo ordine del giorno, volesse concordare una pausa dei lavori per trovare una formula che risulti accettabile. Ove ciò non si verifichi, è chiaro che su questo ordine del giorno non potremmo che astenerci per manifestare la delusione nei confronti di come il Governo ha affrontato un tema così scottante e importante per il nostro Paese.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, prima di intervenire nel merito dell'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione), vorrei sollevare un problema formale alla Presidenza della Camera. Con questo ordine del giorno si chiede al Governo di sottoporre al Parlamento una decisione prima che venisse presa. Se per caso il Governo, tuttavia, avesse già preso una decisone - sappiamo che è riunito - forse la Presidenza della Camera potrebbe non considerare ammissibile un ordine del giorno riguardante il passato. Può darsi, quindi, che questo ordine giorno sia superato - per così dire - dalle circostanze e, pertanto, pregherei la Presidenza di svolgere un accertamento.
Nel merito della questione, onorevole colleghi, nessuno può sottovalutare la delicatezza e anche la pericolosità della decisione che i Governi degli Stati Uniti, della Germania, della Francia, dell'Italia, dell'Inghilterra e di altri Paesi, prendono nel riconoscere l'indipendenza del Kosovo.
Sappiamo che il problema dei Balcani è di una difficoltà enorme e che anche inPag. 14altri momenti, quando alcuni Paesi dell'Unione europea decisero per il riconoscimento della Croazia, era evidente che ciò avrebbe potuto provocare conseguenze molto gravi sia nell'area dei Balcani sia più in generale. Tuttavia bisogna dare atto al Governo, onorevoli colleghi, e al Ministero degli affari esteri di essersi occupati di questa materia con il massimo della prudenza possibile, ma anche in rapporto con i nostri alleati, e di avere cercato in tutti i modi possibili di rinviare questa decisione di proclamazione unilaterale d'indipendenza. Tuttavia, giunti a questo punto, ritengo che la decisione del Governo italiano (che secondo me l'Esecutivo italiano ha già preso) sia inevitabile, con tutti i pericoli. Quindi se questo ordine del giorno prevedesse l'impegno del Governo a informare tempestivamente e continuativamente il Parlamento io sarei d'accordo. Se invece stabilisse (come effettivamente prevede) di rinviare un eventuale decisione del Governo in tal caso io non sarei d'accordo e voterei contro. Pertanto, se la Presidenza dichiara ammissibile e votabile l'ordine del giorno in esame il mio voto sarà contrario.
PRESIDENTE. La informo, onorevole La Malfa, che l'ordine del giorno in esame è ammissibile anche sulla base di precedenti. Come lei sa, vi è stata una possibilità, esaminata dalla Conferenza dei presidenti di gruppo nei giorni scorsi, di audire il Governo in Assemblea, ma perché questa possibilità potesse realizzarsi occorreva (considerato che ci troviamo in una situazione di scioglimento delle Camere) il parere conforme, e espresso all'unanimità, della Conferenza dei presidenti di gruppo. Questo parere non è stato espresso perché un gruppo ha ritenuto di non poter aderire a queste istanze, quindi non è stato possibile audire il Governo in Assemblea.
Tuttavia, ieri si è tenuta l'audizione presso le Commissioni riunite affari esteri della Camera e del Senato, e si è ritenuto che comunque questo fosse un modo per informare il Parlamento e quindi l'informativa (il carattere è stato, infatti, quello dell'informativa) è già stata resa al Parlamento attraverso tale riunione congiunta. L'ordine del giorno peraltro, come le ho già detto, è ammissibile anche sulla base di precedenti assolutamente analoghi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, siamo di fronte ad una questione grave, seria e molto delicata, dall'analisi della quale sarebbe bene che rimanessero fuori questioni elettorali, argomentazioni elettoralistiche, e polemiche che hanno il sapore di carattere elettorale. L'argomento è troppo grave per consentire che si commetta questo errore.
Esprimo la sorpresa per l'astensione annunziata nei confronti dell'ordine del giorno in esame da parte di alcuni gruppi che ieri, durante la seduta congiunta delle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato, hanno approvato l'intendimento del Governo di procedere al riconoscimento del Kosovo. La questione è impegnativa in quanto si tratta di una soluzione non cercata e non scelta, ma obbligata. Il nostro Governo è stato il più attivo nell'Unione europea per cercare un'intesa tra la Serbia e la realtà kosovara, e ha agito in constante contatto, raccordo e unione di attività e di intendimenti con gli altri tre Paesi presenti fortemente in Kosovo: la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, i Paesi del gruppo di contatto, i Paesi che di più hanno - insieme al nostro - la responsabilità della presenza militare in Kosovo. Il nostro Governo è stato il più attivo, insieme a questi altri tre, per cercare un'intesa tra le parti, che si è arenata su una questione di principio più che sulla realtà delle cose. L'indipendenza che il Kosovo ha dichiarato in maniera unilaterale è un'indipendenza in realtà dimezzata perché di fatto è sotto l'egida e sotto l'amministrazione, prima dell'ONU, da oggi in avanti dell'Unione europea, ma questa è l'unica condizione che possa consentire, non riuscendo a pervenire ad un'intesa tra le parti - non oggi, ma speriamo non troppo lontano nelPag. 15tempo - una ripresa del dialogo tra le parti e una ripresa del confronto costruttivo tra Serbia e kosovari che tenga conto anche delle radici e dei legami culturali e storici della Serbia con quel territorio.
Questa è l'unica soluzione possibile. Non è pensabile che il Governo soprassieda, lasciandola al prossimo Governo, perché si tratta di una questione di squisito e rilevante interesse nazionale. Il nostro Paese ha in Kosovo un contingente di oltre 2.500 militari. È il Paese con la più forte presenza (insieme a Gran Bretagna, Francia e Germania) e che ha la responsabilità maggiore della sicurezza e del contrasto alle violenze - da qualunque parte vengano - in quella regione. Esso sta inviando, insieme ad altri Paesi dell'Unione europea, duecento funzionari civili per garantire l'amministrazione del Kosovo. Sarebbe irresponsabile, in questa condizione, che l'Italia, a differenza degli altri tre Paesi, non procedesse ora al riconoscimento.
Non si tratta - lo ripeto - di una soluzione scelta e ricercata; sarebbe stata necessaria un'altra soluzione d'intesa. Tuttavia, si tratta di una soluzione obbligata, di cui non si può non prendere atto, per senso di responsabilità verso il nostro contingente militare e verso i nostri funzionari. Non possiamo, infatti, mandarli in quel luogo, senza avere previamente riconosciuto l'indipendenza che quei funzionari andranno a gestire. Sarebbe contraddittorio e - lo ripeto - irresponsabile, pur con tutte le insoddisfazioni che la condizione e la soluzione cui si arriva presentano.
La politica è assunzione di responsabilità e mi sorprende che alcuni gruppi non lo intendano in quest'Aula. Sarebbe - lo ripeto - irresponsabile per i nostri militari e per i nostri funzionari affidargli la sicurezza e l'amministrazione del Kosovo, senza riconoscere l'indipendenza che dovranno gestire. Sarebbe un ostacolo alla ripresa del dialogo possibile. L'unica prospettiva - quella che il nostro Governo ha attivamente ricercato insieme agli altri governi dell'Unione europea - è di intensificare il rapporto di Serbia e Kosovo con l'Unione europea. Il nostro Paese è stato il più attivo nel chiedere che la Serbia divenga candidato alla partecipazione all'Unione europea. L'avvicinamento e l'intensificazione del rapporto con l'Unione europea immediatamente e - quando il tempo lo consentirà - l'ingresso nell'Unione sono le uniche prospettive che potranno consentire la ripresa del dialogo e, in futuro, il superamento delle divisioni che vi sono.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SERGIO MATTARELLA. Ma oggi, l'interesse nazionale e la collaborazione nei Balcani richiedono questa decisione che - lo ripeto - non è scelta, ma necessaria. La decisione che il Governo assume oggi ha carattere di urgenza ed è doverosa.
Per questo motivo, voteremo contro l'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, il gruppo dei Comunisti italiani approfitta e ringrazia della presentazione dell'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) per esprimere, con il voto favorevole, la propria radicale contrarietà all'atto gravissimo che sta per compiere il Governo nel riconoscere la proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo. Si tratta di un fatto gravissimo nell'immediato, ma forse anche di un errore storico, che porta l'Italia a contraddire i pilastri fondamentali della propria politica internazionale, relativi alla legalità internazionale e al quadro dell'unità europea. Stiamo per realizzare un riconoscimento che ha molte parentele con le decisioni che sono state prese alla base della guerra in Iraq. Come in Iraq, gli Stati Uniti chiesero ai volenterosi di partecipare a quella guerra, oggi sono gli stessi Stati Uniti che, per bocca del presidente Bush, hanno legittimato e chiesto la proclamazionePag. 16unilaterale di indipendenza e chiedono ai volenterosi - non alle Nazioni Unite né all'Europa - di seguirli in un'avventura che mina le basi fondamentali della stabilità mondiale.
Infatti, dal secondo dopoguerra in poi, la questione dei confini - ossia, il riconoscimento del fatto che i confini dei Paesi potevano essere modificati solo attraverso le decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - è stato l'elemento che ha consentito che non scoppiasse una guerra mondiale. Vogliamo richiamare l'attenzione dell'Aula - e ancora una volta ringraziamo per l'opportunità che ci è stata data - sul fatto che non stiamo parlando solo delle divisioni all'interno dell'Europa, come la possibilità di una secessione basca o la ripresa del conflitto in Irlanda del nord; non stiamo parlando solo del Caucaso, dove è già pronta la proclamazione unilaterale di indipendenza, probabilmente sulla base di un precedente che nessuna pseudo-giustificazione da parte dell'Unione europea può bloccare, ma addirittura stiamo parlando (e qui vorremmo lasciare un segno di riflessione a futura memoria) del problema di Formosa (Taiwan), che è stata tra le prime a dichiararsi felice della proclamazione unilaterale di indipendenza e che potrebbe rappresentare, nel centro dell'Asia, un problema di carattere globale con pericoli oggi inimmaginabili.
Per questo motivo, siamo completamente delusi della conclusione della politica estera di questo Governo, che aveva cominciato con atti coraggiosi e con atti - anche di discontinuità - importanti, volti a ricollocare l'Italia tra i grandi della politica internazionale, e si conclude con un atto che ci consegna di nuovo ad un ruolo di ruota del carro degli Stati Uniti d'America, delle loro avventure e del loro processo e programma di stabilità mondiale. Per questo motivo, voteremo a favore dell'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione), così come riprendiamo e rilanciamo una ferma e durissima critica, nonché un allarme su quella che potrà essere la politica estera del nostro Paese, quando questa coalizione - che non esiste più - potrà essere sostituita da un Governo sicuramente più arretrato e meno propenso a politiche di pace e di rispetto della legalità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, innanzitutto vorrei sottolineare il fatto che, da parte nostra, non vi è alcuna strumentalità dal punto di vista elettorale, né politico. Vi è, casomai, una continuità di attenzione e di impegno rispetto alla questione kosovara. Ricordo che, prima della fine dell'anno scorso, noi Verdi organizzammo un incontro, un'iniziativa proprio su questo tema, ossia sulle conseguenze che avrebbe potuto avere - e in questo caso avrà - la dichiarazione unilaterale di indipendenza. Tuttavia, ricordo anche a tutti noi che, qualche settimana fa, vi è stato un voto - praticamente all'unanimità - di una risoluzione sulla questione, dove si metteva in evidenza la necessità di portare a compimento quanto previsto dalla risoluzione n. 1244 votata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla conclusione delle trattative con la sigla della pace di Kumanovo.
In quella risoluzione, facemmo riferimento alla necessità del raggiungimento degli standard e della salvaguardia delle minoranze serbe (e non solo serbe) che sappiamo essere state - proprio nel corso del protettorato internazionale - oggetto di veri e propri pogrom. Sappiamo, infatti, che centinaia di monasteri e di luoghi sacri della cultura religiosa e spirituale serbo-ortodossa sono stati violati e incendiati; migliaia di persone risultano sparite; centinaia di migliaia sono coloro costretti ad essere profughi in terra straniera, e non riescono a tornare; tutte queste erano condizioni presenti nel trattato di pace e nella risoluzione.
Di fronte a decisioni che vedono l'Europa profondamente disunita non mi si dica che i nostri militari sono costretti adPag. 17avere questo tipo di copertura per continuare la tutela, egregia, soprattutto delle minoranze, che hanno finora portato avanti e che va loro riconosciuta perché la Spagna, come sappiamo, non riconosce l'indipendenza, questa strana indipendenza, statuita dall'autorità kosovara, eppure ha un contingente in quel territorio del quale non mi pare sia stato dichiarato il ritiro. Ritengo pertanto che anzitutto sia necessaria quantomeno una nuova risoluzione, perché comunque il contingente europeo rimarrebbe, se non vado errata, sotto il controllo della NATO e comunque rimangono presenze forti. Ricordo la città militare di Bondsteel, la più grande base americana in Europa sita in quel territorio e ricordo anche la nostra grandissima presenza sullo stesso sito organizzata con una base, il famoso Villaggio Italia. Quindi sappiamo che quella è una regione che di fatto non si avvia ad essere libera. Ricordo anche che i kosovari hanno avuto una profonda delusione rispetto al protettorato che ivi ha condotto abbastanza malamente gli affari, a fronte di interventi e finanziamenti formidabili. Ricordo che il Governo attualmente in carica è stato votato soltanto dal 45 per cento della popolazione, con un riconoscimento di poco più del 30 per cento della popolazione e l'astensione dei serbi.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUANA ZANELLA. Concludendo, non è con leggerezza che chiediamo un dibattito al Parlamento, non è con leggerezza che chiediamo al Governo, se possibile, di soprassedere. Ho ascoltato questa mattina con quale passione l'ambasciatrice ha annunciato attraverso la nostra radio, il programma di Rai3, la sua dipartita dal nostro territorio perché sa che il nostro popolo, oltre che il nostro Governo, è amico. Non possiamo sottrarci a questa responsabilità, lasciando la Serbia sotto ricatto e inaugurare una possibile nuova stagione di instabilità nei Balcani.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho l'impressione che il dibattito su questo ordine del giorno si stia avventurando su una strada diversa rispetto al suo oggetto precipuo, che non è quello riferito alla conclusione se l'Italia debba o meno riconoscere l'indipendenza del Kosovo, autoproclamata nei giorni scorsi, ma un ordine del giorno molto più limitato nella sua portata, che si riferisce alla metodologia da seguire per arrivare alla definizione di una posizione molto delicata riguardo a un problema delicatissimo come quello di cui stiamo parlando. Lo stesso dibattito che ha coinvolto diversi colleghi, specialmente negli ultimi interventi, ha viceversa incentrato la propria attenzione su motivazioni spesso abbastanza fuorvianti. Ho sentito alcuni colleghi sostenere posizioni diverse - guarda caso, si tratta di colleghi attualmente appartenenti, o che dovrebbero appartenere, alla stessa maggioranza - e che certamente non possono altro che confermare quanto diceva, in maniera molto chiara, l'onorevole Martino riguardo alla mancanza di una reale linea di politica estera da parte di questa maggioranza, fin dal suo insediamento. Abbiamo appena sentito esponenti dell'attuale maggioranza schierarsi in maniera radicale su posizioni diametralmente opposte e questa è, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la dimostrazione palmare di quanto non vi fossero indicazioni congiunte di politica estera da parte di questa maggioranza e di questo Governo.
D'altra parte, è anche la condizione assolutamente particolare del Governo dimissionato che suscita effettivamente molte perplessità riguardo al fatto che, fra gli affari correnti di cui il Governo dovrebbe occuparsi e di cui è incaricato di seguire le vicende, possa rientrare un atto così importante come il riconoscimento di uno Stato autoproclamatosi indipendente. Ciò anche perché si tratta di un contesto così delicato come quello dei Balcani, con dei coinvolgimenti diretti anche da partePag. 18del nostro Paese in ordine alla presenza dei nostri militari e, quindi, di più di una missione militare in quel contesto.
D'altronde, però, come dicevo, è assolutamente fuorviante inseguire le proposizioni dell'onorevole Mattarella che sostiene la necessità di un riconoscimento del Paese autoproclamatosi indipendente, sostenendo che questo o il mancato riconoscimento da parte dell'Italia potrebbe arrecare dei problemi per quanto riguarda i nostri militari. Sembra quasi che sino ad ora, in assenza, invece, dell'indipendenza del Kosovo, in assenza di un'autoproclamazione, in assenza di uno Stato autonomo, ciò si fosse verificato. Certamente non è così, considerato che i nostri militari sono presenti in quel contesto, con il nostro pieno appoggio che si tradurrà, evidentemente, ancora una volta in un voto favorevole - il nostro voto inteso come gruppo di Alleanza Nazionale - sul rifinanziamento delle missioni, ma è stato così fino ad ora, fino a quando, cioè, il Kosovo non si è autoproclamato indipendente.
La funzione principale dei nostri militari, così come di quelli del resto del contingente internazionale, è proprio quella di evitare, di scongiurare qualsiasi tipo di involuzione violenta che segua le tristi esperienze del passato in quello scenario.
A questo punto, d'altra parte, dobbiamo riconoscere che nell'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) si compie una censura alla metodologia seguita, che ha visto il Governo attuale limitarsi a comunicazioni molto contenute che non possono certo sostituire quello che avrebbe dovuto essere il percorso per un atto di così grande rilevanza.
Riteniamo che, al di là delle posizioni sul riconoscimento del Kosovo e quindi di una posizione di politica estera molto delicata, in ogni caso, a maggior ragione, si sarebbe dovuta seguire la strada maestra di un più ampio dibattito parlamentare. Rileviamo, però, anche che questo ordine del giorno, pure incentrato sulla questione metodologica, è in buona parte superato, sia per le considerazioni svolte dal collega La Malfa - visto che comunque il Governo sta assumendo decisioni, in questo senso, negli stessi momenti in cui la Camera è riunita - sia specialmente perché conclude in maniera francamente già di per sé irrealistica.
Tale ordine del giorno chiede, infatti, al Governo di attendere le decisioni delle Nazioni Unite e dell'Unione europea nel suo insieme, quando sappiamo benissimo che, perlomeno l'Unione europea, è assolutamente divisa al suo interno riguardo al riconoscimento del Kosovo. Alcuni paesi, infatti, hanno già proceduto al riconoscimento dello Stato indipendente, mentre altri hanno dichiarato la loro totale contrarietà. Francamente, quindi, la conclusione cui l'ordine del giorno impegnerebbe il Governo, è in qualche modo impossibile da realizzare.
Proprio per questo e per tutte le ragioni che abbiamo illustrato, senza scendere nell'argomentazione cui alcuni sono arrivati, cioè al dibattito effettivo sull'opportunità o meno del riconoscimento dello Stato autoproclamatosi indipendente, il gruppo di Alleanza Nazionale, in conformità con quanto affermato già da altri colleghi del centrodestra, si asterrà dalla votazione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, se non mi meraviglia il voto favorevole dei colleghi della Sinistra Arcobaleno sull'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti n. 9/3395/1
(nuova formulazione) mi stupisce molto, invece, l'astensione dell'opposizione sul medesimo ordine del giorno.
Onorevoli colleghi, credo che l'atto che il Governo italiano si appresta a compiere nei prossimi giorni, cioè il riconoscimento del Kosovo, è tale che sarebbe stato posto in essere anche da questa opposizione, se fosse stata al Governo, o dalla maggioranza che magari domani forse si costituirà in Italia con il nuovo Governo: avrebbero fatto esattamente ciò che il Governo italiano sta compiendo in queste ore.Pag. 19
Il riconoscimento del Kosovo è un atto non soltanto opportuno oggi, nella situazione che si è determinata dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza, ma, badate bene colleghi, anche dopo il fallimento del piano Ahtisaari che era condiviso innanzitutto dai kosovari e dalla comunità internazionale, eccetto la Russia e la Cina che in Consiglio di sicurezza hanno posto un veto. Pertanto, si tratta di un atto dovuto, non soltanto opportuno.
La stragrande maggioranza dei Paesi membri dell'Unione europea, a partire da quelli più importanti, il giorno dopo la dichiarazione di indipendenza, hanno preannunziato e provveduto al riconoscimento del Kosovo. Pertanto, l'Italia avrebbe rischiato l'isolamento all'interno della Comunità europea, ma, ancora peggio, avremmo rischiato di isolare il Kosovo, ossia l'unico attore in questa vicenda che aveva aderito ai principi, ai paletti e alle condizioni poste dal piano Ahtisaari e quindi avremmo punito il Kosovo per colpe che non aveva commesso, perché il piano Ahtisaari è fallito - lo ripeto - per il veto posto in Consiglio di sicurezza dalla Russia e dalla Cina.
Credo che sull'ordine del giorno in esame bisognerebbe esprimere parere contrario ed invito i colleghi dell'opposizione a rivedere la loro astensione, perché contraddittorio con quanto loro avrebbero fatto al posto del Governo italiano oggi o faranno un domani se saranno al Governo.
Ciò che è fallito nella sede propria, cioè nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ossia il piano Ahtisaari, ha trovato una diversa soluzione. Forse, i colleghi non ne sono a conoscenza, ma la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, approvata dal Parlamento di Pristina, più che di indipendenza è una dichiarazione di interdipendenza dalla comunità internazionale. Infatti, hanno stabilito di introdurre nella propria Costituzione esattamente quei principi, quei paletti e quelle garanzie che il piano Ahtisaari indicava e che sono state, in qualche modo, già recepiti come volontà politica mentre ora è in corso un processo costituzionale. Tale circostanza rappresenta già una garanzia rispetto alla quale il riconoscimento che il Governo italiano annuncia e che compirà nei prossimi giorni è un riconoscimento alla bontà, alle garanzie e alle tutele che il piano Ahtisaari poneva in ordine alla soluzione della questione relativa allo status del Kosovo.
Credo, però, che sia necessaria un'altra garanzia che solo l'Unione europea può offrire, cioè un'accelerazione per evitare la catena di fatti negativi, di pericoli e di rischi che si possono determinare nei Balcani a seguito della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Alcuni prodromi già vi sono e alcune manifestazioni, anche violente, sono già avvenute. Tuttavia, l'unica garanzia per impedire la catena di effetti - non credo domino, ma comunque pericolosi - in quell'area è che l'Europa acceleri il processo di integrazione nella Comunità europea innanzitutto della Serbia, ma direi anche di tutti i Paesi dei Balcani a partire dallo stesso Kosovo, dall'Albania, dalla Macedonia, dal Montenegro. Si tratta di un processo che deve compiersi rapidamente proprio per evitare che ciò che è accaduto in passato nei Balcani si riproponga e per fare in modo che ciò che è stato diviso in passato nei Balcani possa domani ritrovarsi unito in Europa.
Questo è il processo che dobbiamo favorire. A me non piacciono gli allargamenti a dismisura dell'Unione europea, ma laddove l'allargamento della stessa possa servire come antidoto rispetto al pericolo, al rischio di guerre e di conflitti fratricidi, lo ritengo condivisibile. Bisogna accelerare il processo di integrazione europea. Per queste ragioni, il gruppo Socialisti e Radicali - la Rosa nel pugno voterà contro l'ordine del giorno in esame. Se può valere...
PRESIDENTE. Onorevole D'Elia, concluda.
SERGIO D'ELIA. Concludo, signor Presidente, poiché non è stato svolto un dibattito in Aula sulle decisioni del Governo riguardo al riconoscimento del Kosovo, possiamo considerare l'odiernaPag. 20discussione e il voto contrario sull'ordine del giorno Giancarlo Giorgetti come un voto invece favorevole a quanto opportunamente e doverosamente il Governo ha deciso di fare e che formalizzerà nei prossimi giorni (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali-RNP).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, colleghi, siamo di fronte ad un ordine del giorno presentato (e molto argomentato) dai colleghi della Lega Nord. La prima considerazione che viene da fare è che la grande compattezza e convergenza del centrodestra e del partito del Popolo della Libertà, che si presenta come la futura maggioranza, non la vediamo. Oggi è probabilmente l'ultimo giorno in cui ci troviamo in Aula in questa legislatura. Bisogna dire che la futura maggioranza, quella che si sente tanto sicura dei sondaggi, si presenta spaccata già alla prima occasione. È bene che l'opinione pubblica lo sappia e che tutti ne prendano nota.
Per quanto riguarda il merito del problema già l'onorevole Intini, a nome del Governo, ha espresso argomentazioni soddisfacenti. Personalmente mi sono trovato, nei giorni scorsi, a scrivere ad uno studioso dell'università di Oxford che si occupa di questi problemi. Egli mi dato una risposta che mi permetto di fare mia e di esprimere oggi in Aula: il riconoscimento della indipendenza del Kosovo è una pessima soluzione, ma tutte le altre sono ancora peggiori. Purtroppo è così, onorevoli colleghi; questa è solo una tappa della vicenda che ci aspetta e non significa certo la stabilizzazione di quell'area.
Vorrei anche dire che il vero motivo che mi convince, con riferimento alla posizione assunta dal Governo, è il fatto di mantenere una capacità di influenza, seguendo la Germania, la Gran Bretagna e la Francia. Onestamente, non mi sentirei di sposare invece l'altra argomentazione sic et simpliciter della presenza delle truppe, perché anche la Spagna ha truppe, eppure prende un'altra posizione, seppure dovuta probabilmente a fattori geopolitici.
Il vero problema che abbiamo è mantenere una posizione di influenza. Voglio citare un'altra fonte insospettabile. Il Capo della Nato ai tempi dell'intervento nel Kosovo, generale Wesley Clark, diceva che sarebbe stato necessario che all'azione di riconoscimento del Kosovo corrispondesse almeno un altro segnale e cioè l'accelerazione della conclusione del patto di associazione della Serbia all'Unione europea.
Abbiamo due preoccupazioni relative al momento successivo di questa vicenda e la prima riguarda cosa succederà nel rapporto tra le due comunità, quella minoritaria serba nel Kosovo e quella maggioritaria albanese. Il problema è di ordine pubblico, di prevenzione, di capacità dei nostri militari e delle altre truppe di poter assicurare la sicurezza nella comunità serba. Tuttavia, dal punto di vista politico, ci troviamo oggi di fronte ad una necessità imperativa: in Serbia, nelle ultime elezioni, ha vinto il partito «pro-Europa» ed è stato sconfitto il partito nazionalista. È evidente che vicende di questo genere possono mettere in crisi un equilibrio tanto delicato.
È quindi necessaria un'immediata iniziativa politica - del resto già intrapresa dal Governo italiano che intende ulteriormente svilupparla - ma, dobbiamo dirlo, nel momento in cui teniamo il contatto con la Germania, la Gran Bretagna e la Francia, dovremmo chiedere anche a questi Paesi di sviluppare, all'interno dell'Unione europea, un'iniziativa immediata per avvicinare i termini della conclusione del patto di associazione della Serbia all'Unione europea. Questo sarebbe un elemento politico che potrebbe effettivamente creare un effetto equilibrante ed importante.
Con questa indicazione pratica e concreta, anche per non dilungarmi - parlo, infatti, a nome dei Socialisti ma a nome del gruppo ha già parlato un altro collega - voteremo contro l'ordine del giorno in esame. Siccome il Governo è in ordinaria amministrazione e vi sono le elezioni anticipate penso che sull'indicazione verso laPag. 21Serbia vi dovrebbe essere un largo concorso bipartisan di espressioni e di indicazione nel nostro Parlamento.
Ed è con questi sentimenti e con questo significato che esprimiamo con la nostra dichiarazione di voto una posizione contraria all'ordine del giorno della Lega Nord, che naturalmente ha il significato di un indicazione al Governo italiano di andare avanti in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali-RNP).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Alleanza Nazionale in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo aveva dato il proprio assenso sia alla discussione in Commissione sia alla discussione in Aula, ritenendo comunque esaustiva ciascuna delle due opzioni; poi si è deciso che il Governo riferisse in Commissione. Ciò per noi significa che il Parlamento è stato consultato, il Parlamento non è solo l'Aula.
Peraltro, abbiamo notizia - ce lo dirà Intini - che probabilmente stiamo parlando di qualcosa che è già superato nei fatti. Pertanto, mi permetto di rivolgere un invito agli amici della Lega Nord - questo è il senso del mio intervento - per superare, in questa fase di Camere sciolte, tale diversità, non dico tra di noi del centrodestra, non ci sarebbe niente di male (si tratta di posizioni così simili), ma all'interno del Parlamento, su un tema così delicato.
Di fatto, il Parlamento è stato ascoltato, di fatto la fase è quasi superata. Inviterei a ritirare questo ordine del giorno per evitare un voto di diversità, considerato che l'obiettivo che il Parlamento avesse direttamente delle notizie è stato per noi raggiunto con le comunicazioni alle Commissioni. In tal modo, soprattutto se arrivasse la notizia che l'onorevole Intini ci sta per dare, saremmo più felici di non dover esprimere un voto contrario all'ordine del giorno.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, in effetti il Governo si è mosso con prudenza su questa vicenda ed in stretta consultazione con gli alleati. Tuttavia, il riconoscimento del Kosovo era necessario, non era rinviabile e infatti è avvenuto questa mattina da parte del Consiglio dei Ministri. Voglio comunicarlo all'Aula, anche perché ciò probabilmente consentirà alla Presidenza di esprimere una valutazione diversa circa l'ammissibilità dell'ordine del giorno in esame.
Apprezzo che si sia svolto un dibattito in Aula, teso ed approfondito, la Lega Nord chiedeva da tempo che si svolgesse. Se il dibattito con le comunicazioni rese dal Ministro D'Alema si è tenuto ieri nelle Commissioni Affari esteri riunite della Camera e del Senato ciò non lo si deve ad una mancanza di sensibilità o di disponibilità da parte del Governo, il quale avrebbe tranquillamente e volentieri riferito in Aula, affrontando il dibattito, così come aveva chiesto la Lega Nord. Sarebbe stato senz'altro utile farlo, lo si poteva fare ieri. Tuttavia, occorreva per questo l'unanimità dei gruppi che non c'è stata, perché, com'è noto, Forza Italia non era d'accordo.
Pertanto, vi è stato un contrasto nella forma tra la Lega Nord e Forza Italia, mi sembra, su un argomento delicato e importante. C'è stato un contrasto anche nella sostanza, perché, nella sostanza, vediamo che la Lega Nord è contraria al riconoscimento del Kosovo, Forza Italia e Alleanza Nazionale ieri hanno detto di «sì» nelle Commissioni Affari esteri riunite. Oggi si astengono, dicono forse «ni», ma su questa vicenda non si possono dire cose ambigue: si deve dire «si» o «no». Questo del Kosovo è un tema delicato e drammatico; è la crisi più vicina ai nostri confini...
IGNAZIO LA RUSSA. Abbiamo detto che votiamo contro, non che ci asteniamo.
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UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Forza Italia ha detto che si astiene; abbiamo sentito l'onorevole Martino, e anche l'onorevole Gamba si è espresso diversamente.
Comunque vorrei notare che nel centrosinistra certo vi è una divisione su questo tema, ma una divisione tra chi sostiene due candidati diversi, da una parte Bertinotti e dall'altra Veltroni. Nel centrodestra invece c'è una divisione tra chi sostiene lo stesso candidato, e cioè Berlusconi. Di ciò bisogna prendere atto e mi pare che anche questo sia stato un utile chiarimento.
GIANCARLO GIORGETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Francamente, Viceministro Intini, l'ultima sua frase poteva risparmiarla. Ho ascoltato con attenzione e rispetto tutti i colleghi che sono intervenuti, specialmente l'onorevole Mattarella, che stimo in particolare. Egli ci ha invitato a non utilizzare questo argomento per fare campagna elettorale: è evidente che la Lega non usa questo argomento per fare campagna elettorale; lei lo ha fatto, nella chiusura del suo intervento.
Detto questo, vorrei rapidamente argomentare in merito alla decisione di ritirare l'ordine del giorno n. 9/3395/1
(nuova formulazione), in primo luogo dicendo all'onorevole Mattarella che la responsabilità che lui invoca, in particolare la necessità del riconoscimento per giustificare e legittimare la presenza dei nostri soldati, non risiede nel riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, bensì nella risoluzione n. 1244 delle Nazioni Unite, che è disattesa proprio dall'indipendenza del Kosovo. I nostri soldati italiani della NATO, quindi, sono lì in virtù di una risoluzione dell'ONU, la n. 1244, che prevede esplicitamente l'autonomia, ma non l'indipendenza del Kosovo. Questo con sobrietà, ma anche con senso di responsabilità, dovevo rispondere all'onorevole Mattarella.
Per il resto, la Lega Nord ha fatto la sua battaglia: l'ha fatta nei mesi scorsi, in ogni sede, per portare tale questione all'attenzione del Parlamento, perché ci sembrava giusto che questo avvenisse. Ci siamo riusciti anche oggi, perché se la Camera dei deputati ha potuto discutere di questa vicenda così importante di politica internazionale lo si deve a questo misero ordine del giorno, se vogliamo provocatorio, in cui tutti hanno potuto esprimere quello che pensavano su questo argomento, e lo hanno potuto fare, onorevole La Russa, nella sede a ciò deputata, che non poteva essere semplicemente quella delle Commissioni parlamentari.
Per questo motivo, signor Presidente, ritiriamo l'ordine del giorno e non vogliamo creare imbarazzi a nessuno, tanto meno alla Presidenza. Ritiriamo l'ordine del giorno, se mi permettete, con una battuta: l'operazione è riuscita, ma il paziente è morto.
Siamo riusciti a portare alla discussione del Parlamento la questione del Kosovo; non siamo riusciti a convincervi delle nostre buone ragioni, che siamo convinti essere le ragioni della verità e della giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Giorgetti.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Affronti. Ne ha facoltà.
PAOLO AFFRONTI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento che ci apprestiamo a votare riguarda la proroga della partecipazione dell'Italia a diverse missioni umanitarie ed internazionali.Pag. 23
Si tratta di un impegno complesso che i nostri militari - ai quali va il nostro ringraziamento per la riconosciuta professionalità, competenza ed umanità - stanno sostenendo con convinzione ormai da molti anni. A tale proposito, vorrei ricordare tutti coloro che hanno perso la vita o sono rimasti feriti in una di queste missioni in cui l'Italia cerca, con il proprio contributo, di riportare pace, democrazia e libertà.
Il decreto-legge alla nostra attenzione prevede un impegno in contesti internazionali molto diversi tra loro, ma tutti caratterizzati da una situazione di grande instabilità. La partecipazione italiana ad operazioni multinazionali avviene in conformità sia ai principi costituzionali sia al diritto internazionale.
Dobbiamo ricordare sempre che il multilateralismo è l'aspetto saliente di queste missioni, un multilateralismo dal volto umanitario nei confronti di altri popoli. Con coerenza, quindi, il Governo italiano ha deciso, ancora una volta, di sostenere concretamente, sul piano politico ed operativo, il rafforzamento di una politica multilaterale per il mantenimento della pace.
È proprio per questo che non si deve mai dimenticare che purtroppo il terrorismo internazionale e la questione irachena sono ancora ferite aperte. I gruppi terroristici continuano a rappresentare una minaccia letale per la stabilità internazionale, e soprattutto l'esperienza irachena dimostra che nell'affrontare simili situazioni l'unilateralismo non paga. Il nostro Paese, anche nella crisi libanese, ha svolto un grande ruolo, e potrà continuare a svolgerlo attraverso l'approvazione del decreto-legge in discussione. Infatti, il consistente impegno di forze assicurato in Libano attraverso la missione UNIFIL vede la presenza di un numeroso contingente militare di Stati membri dell'Unione europea, sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
In questo quadro, è del tutto evidente che l'azione concreta della missione militare italiana nelle varie regioni, dal Libano all'Iraq, dall'Afghanistan al Sudan, deve essere confermata e valorizzata, per rendere possibile in questi Paesi anche interventi umanitari per la ricostruzione civile e delle istituzioni. Per ciò che concerne l'Iraq, di grande significato è il fatto che l'impegno dell'Italia continua ancora ad essere fondamentale, anche se solo sul versante civile. Per ciò che concerne invece la missione italiana in Afghanistan, non si possono sottovalutare rischi e difficoltà ancora presenti, come la rinata capacità militare dei talebani, l'elevato livello di corruzione e il traffico di oppio che la alimenta. Occorre quindi rilanciare l'iniziativa politica, promuovendo un approccio più organico ed integrato. Il presupposto è quello di contribuire affinché sempre più gli afgani possano essere i veri protagonisti dei processi di sviluppo e delle funzioni di governo e controllo del proprio territorio, fino al raggiungimento di una sostanziale autosufficienza.
È soprattutto in questa direzione che noi Popolari-Udeur ci siamo mossi, anche durante l'esame in sede referente del provvedimento, presentando emendamenti, alcuni dei quali sono stati accolti, diretti a promuovere lo sviluppo e favorire l'utilizzo delle risorse locali, sia umane che materiali. In particolare, abbiamo ottenuto che in relazione agli interventi di cooperazione allo sviluppo e agli interventi a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, il Ministero degli affari esteri, nell'affidare incarichi temporanei di consulenza, proceda assicurando il rispetto del principio della pari opportunità tra uomo e donna, e dia la precedenza a persone di nazionalità locale.
Inoltre, abbiamo chiesto e ottenuto che gli acquisti e i lavori da eseguire in economia da parte del Ministero degli affari esteri, nonché da parte dei comandanti dei contingenti militari, al fine di sopperire a esigenze di prima necessità della popolazione locale, compreso il ripristino dei servizi essenziali, siano effettuati assegnando priorità all'impiego di risorse locali, sia umane sia materiali.
Si tratta di elementi di estrema importanza, perché siamo convinti che solo incentivando e valorizzando le risorse localiPag. 24possiamo sperare di contribuire seriamente a promuovere lo sviluppo di questi Paesi. Da parte nostra, dichiariamo il voto favorevole al provvedimento, che assegna la giusta collocazione al nostro Paese in ambito europeo e internazionale, mantenendo fermo il principio, codificato dalla Carta delle Nazioni Unite, che considera l'uso della forza come un'extrema ratio (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, Viceministro Intini, ancora una volta il Governo ha respinto la richiesta di valutare separatamente ognuna delle missioni militari internazionali cui l'Italia partecipa. Si tratta di una decisione grave, che comprime la discussione e costringe a focalizzare l'attenzione sulle missioni principali. È necessario quindi che il voto che dovremo esprimere passi in primo luogo da un bilancio del nostro intervento in Afghanistan e in Kosovo.
Queste due missioni si svolgono oggi fuori dalla legittimità delle Nazioni Unite. Chi decide in Afghanistan non è infatti l'ONU, ma gli USA e la NATO. Ed è la NATO a dirci chiaramente che quella non è una missione di pace, ma una guerra aperta.
In Afghanistan la NATO chiede di estendere la guerra, nuove armi e più uomini, e libertà piena di uccidere chiunque si opponga alla presenza straniera. In Afghanistan il Governo da noi sostenuto è nelle mani di criminali di guerra collusi con il narcotraffico; in Afghanistan i giornalisti vengono condannati a morte, i deputati espulsi con violenza dal Parlamento, le persone catturate, torturate e detenute senza processo e senza accuse. È stata ristabilita in Afghanistan la polizia morale e per la repressione del vizio, che ha il compito di reprimere le donne, la stampa, la società civile. Sotto gli occhi della NATO, l'Afghanistan ha moltiplicato per cento la propria produzione di oppio, mentre i bombardamenti a tappeto degli USA e della NATO hanno consentito la rinascita dei talebani, che oggi diffondono la loro influenza in tutta la regione.
Siamo di fronte ad un fallimento strategico, politico e militare, e di questo fallimento l'Italia è corresponsabile. Ma, purtroppo, questo non è il solo fallimento che dobbiamo registrare. Contro le decisioni delle Nazioni Unite pochi giorni or sono il Kosovo ha proclamato unilateralmente la propria dipendenza, e l'Italia, proprio in questi minuti, ha riconosciuto uno Stato fantoccio, dove governano estremisti e dove spadroneggiano criminali e trafficanti. Eppure, con il decreto al nostro esame stiamo per confermare una missione dei nostri militari, che dovrebbe agire in Kosovo sulla base di una risoluzione che per primo il nostro Paese, l'Italia, sta per violare, ha violato nel modo più palese. La dura realtà è che proprio la presenza della NATO in Kosovo ha consentito una feroce pulizia etnica ai danni della popolazione serba e dei rom.
Anche altre missioni, però, stanno mostrando sempre crescenti criticità. Persino la missione in Libano rischia di diventare un boomerang. Questa missione, che pur noi abbiamo sostenuto, doveva però aprire una nuova fase di intervento delle Nazioni Unite in Medio Oriente, volta appunto al rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite e Alla costruzione della reciproca sicurezza sulla base della legalità internazionale. Dopo un momento di speranza è però mancato ogni coraggio nell'imporre un'analoga forza di protezione a favore della popolazione palestinese della Cisgiordania e di Gaza, dove è in corso da decenni un'occupazione militare illegale da parte dello Stato di Israele. È fallita drammaticamente la nostra missione sul valico di Rafah, tra la striscia di Gaza e l'Egitto, dove i palestinesi non hanno potuto contare sui nostri militari ma sulle loro mine per abbattere il muro che li costringe prigionieri a Gaza.
Potrei continuare parlando della missione in Sahara occidentale, dove non abbiamo applicato gli accordi di pace voluti dalle Nazioni Unite, o di quella aPag. 25Cipro, dove continua impunita la colonizzazione turca, per dire che molte sono le criticità e le contrarietà a tali missioni; o, ancora, della Libia, dove il contrasto all'immigrazione significa la sistematica e brutale violazione dei diritti umani.
Vi sono, quindi, molti e forti motivi di merito che ci portano ad esprimere un voto contrario su questo decreto. Vi è, al contempo, un importantissimo motivo politico, che impone alla sinistra di dire in modo chiaro e comprensibile al Paese che non è più disponibile a sostenere missioni come quella in Afghanistan e in Kosovo.
Come tutti sanno, infatti, la rottura dell'alleanza di centrosinistra che ha governato in questi anni l'Italia non è stata provocata dalla sinistra: è stato il Partito Democratico a rompere unilateralmente con la sinistra, e lo ha fatto perché il Partito Democratico non vuole più avere il freno di chi si batte più coerentemente per la pace, per i diritti del lavoro, per la laicità dello Stato. Noi siamo sempre stati leali fino in fondo con il centrosinistra; noi ci siamo assunti la responsabilità e l'onere di cercare sempre un compromesso, e quando ciò non è stato possibile abbiamo dato comunque il nostro voto di fiducia al Governo. Sull'Afghanistan, come sulle missioni, così ci siamo sempre comportati. Eravamo radicalmente contrari, ma abbiamo strappato limiti e caveat precisi che, pur con crescenti contraddizioni, hanno messo al riparo i nostri soldati dai rischi maggiori.
Non abbiamo però fatto cadere il Governo, ma abbiamo dato fiducia ad un Governo che si era impegnato ad ottenere una conferenza internazionale di pace, e che aveva detto di portare in sede della NATO la nostra condanna alle criminali strategie belliche di quell'alleanza.
Abbiamo lavorato affinché terminasse la missione USA e NATO in Afghanistan e si passasse a una vera missione delle Nazioni Unite, con il comando politico-militare affidato a queste ultime. Tutto ciò, difficile con il Governo Prodi, diventa ora impossibile, non per responsabilità della sinistra.
Pertanto, per ragioni di merito e per motivi legati al fosco quadro politico che si annuncia, il gruppo Comunisti Italiani voterà contro il disegno di legge di conversione del decreto-legge in discussione, nella speranza che, nel nuovo Parlamento, una forte presenza della Sinistra Arcobaleno riesca ad imporre scelte di pace e, finalmente, il pieno rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cannavò. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, con la mia dichiarazione di voto è la quarta volta che intervengo, in questi due anni di legislatura, per dichiarare il mio voto contrario alle missioni militari. Se permette una piccola digressione personale, dal mio punto di vista tale questione ha marcato la mia legislatura e ha segnato in gran parte la mia vita politica.
Si tratta di una posizione che, in questi anni, è stata definita in molti modi: esattamente un anno fa, purtroppo, essa è stata espulsa dal partito che avevo contribuito a fondare nel 1991 - Rifondazione Comunista - e proprio un anno fa, il 21 febbraio 2007, al Senato, si verificò la prima crisi del Governo, Prodi in occasione del voto sulla politica estera. Tale posizione è stata da molti definita coerente: anche in quest'Aula ho ricevuto riconoscimenti e solidarietà (colgo l'occasione del finale di legislatura per ringraziare i deputati che hanno espresso tali apprezzamenti). In questi due anni, però, tale posizione è stata definita - dal Governo Prodi e dalla direzione politica del Paese - come irrealistica e irresponsabile, in ossequio a un certo pragmatismo politico che ha caratterizzato in particolare l'attività della Farnesina.
Continuo a pensare ancora oggi che questa posizione sia, invece, maggioritaria nel Paese e che proprio per questo motivo essa venga contrastata con una sapiente propaganda mediatica e politica, che inPag. 26alcuni casi - seppure eccezionali - arriva perfino a strumentalizzare il dolore dei familiari dei soldati italiani caduti in guerra: un dolore che noi, contrari alla guerra, abbiamo sempre e comunque rispettato e che continuiamo a rispettare.
Occorre dire, però, che irrealistica, probabilmente, è la linea politica che sorregge la decisione di inviare soldati in missioni di guerra. Anche se tardi e fuori tempo massimo, nel finale di legislatura, sarebbe il caso invece di effettuare un bilancio serio, lucido e, una volta tanto, realista di quanto è avvenuto in questi ultimi dieci anni: l'Italia, infatti, è impegnata nei Balcani dagli anni Novanta, in Kosovo dal 1999, in Afghanistan dal 2001, in Libano soltanto dal 2006 con la missione UNIFIL 2, ma da molto prima con la missione UNIFIL 1. Qual è il bilancio di tutte queste missioni? In Libano non si è fatto un passo avanti: si è ancora fermi e la missione - che pure era stata presentata come un'occasione per la causa palestinese - non ha saputo dire nulla e non può dire nulla rispetto alla tragedia del popolo palestinese, come è stato evidenziato dalla vicenda della Striscia di Gaza e dall'abbattimento del confine con l'Egitto.
In Afghanistan vi è una paralisi evidente, e continuano a morire soldati italiani e, ovviamente, civili afghani. Il Viceministro Intini, chiudendo la fase della discussione sulle linee generali, ha già affermato che dobbiamo puntare ad una Conferenza di pace, anche perché i talebani non sono più quelli di una volta. Essi sono cambiati in larga misura nella percezione della popolazione afgana, anche in virtù delle bombe e dell'intervento militare della NATO, che li ha resi molto più accetti alla popolazione afgana di quanto non lo fossero all'inizio di quest'avventura.
Con riferimento al Kosovo, abbiamo appena finito di parlare: non c'è molto da dire se non che quanto sta avvenendo oggi è il frutto maturo di una crisi che nove anni fa è stata gestita con la sciabola, con la dissennatezza delle bombe sui civili e con l'idea che un groviglio di quella natura e di quelle dimensioni potesse essere districato dalla spada piuttosto che dalla politica. Oggi ci troviamo di fronte a una scelta di indipendenza unilaterale e, contemporaneamente, di fronte al rafforzamento progressivo del nazionalismo serbo, che è esattamente il frutto di quell'azione dell'Occidente, della NATO e anche del Governo italiano, allora diretto dall'onorevole Massimo D'Alema.
Oggi, quindi, il realismo consiglierebbe di tirare un bilancio serio, di compiere alcune inversioni di tendenza e di rimettere al centro la politica, anche divincolandosi dall'abbraccio con gli Stati Uniti, che continuano a orientare qualunque scelta di politica estera del nostro Paese, come dimostra il recente riconoscimento unilaterale dell'indipendenza kosovara.
Invece, politicamente con chiara e lucida scelta politica, si continua a scegliere la linea dell'adesione alla guerra per contare sui tavoli della politica internazionale - lo ha detto con chiarezza cristallina ancora una volta il Viceministro Intini l'altra sera - nella più piena continuità con quella logica imperialista che ha rappresentato il cuore della linea politica occidentale.
Ribadiamo quindi il nostro «no» e il rifiuto di questa linea politica. Vediamo che oggi vi è un ripensamento e un ritorno sulle antiche posizioni da parte della sinistra di Governo e, in particolare, per quanto mi riguarda, da parte di Rifondazione Comunista. Personalmente, non può che farmi piacere, perché è il riconoscimento, sia pure tardivo e fuori tempo massimo, che avevamo ragione noi, già due anni fa. Politicamente, però, immagino rappresenti un'amara sconfitta per coloro che dell'obiezione all'interventismo militare hanno fatto un valore assoluto e hanno dovuto sacrificare, invece, quella convinzione sull'altare della governabilità. È una sconfitta duplice per chi, invece, si è baloccato in questi anni nell'illusione della riduzione del danno anche su vicende che attengono alla questione militare e allo sganciamento di bombe.
Nel finale di legislatura mi interesserebbe, però, proporre una riflessione più generale all'Aula. Da fronti opposti, sulla vicenda della guerra, abbiamo assistito aPag. 27posizioni che hanno sorvolato sui principi, per privilegiare questioni tattiche di Governo: la sinistra, per salvare il Governo, ha disperso la propria credibilità pacifista; la destra, per abbattere il Governo, si è rimangiata le scelte che essa stessa aveva intrapreso, come nel caso dell'Afghanistan.
Ricordo che quest'ultima applaudiva entusiasta alle mie dichiarazioni di dissenso al Governo Prodi, che, invece, erano dichiarazioni che contrastano nettamente le loro convinzioni e le loro visioni di politica internazionale. In questi due anni, la politica ha continuato a ridursi a schermaglia, a mera tattica, a posizionamento geometrico, invece di privilegiare il contenuto, i valori e i principi di fondo. Questa è la ragione principale di quella crisi della politica di cui parliamo ogni tanto, non sempre, in quest'Aula. Se ne è parlato molto poco in questi due anni. È una crisi della politica che non viene smentita nemmeno da una campagna elettorale in cui gli antichi avversari oggi si alleano e si spartiscono gli spazi in televisione, mentre i vecchi amici si sparano addosso.
Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di mantenere un filo di coerenza e di rispetto per le nostre idee. Lo abbiamo fatto con il senso del limite, senza alcuna presunzione e con il massimo rispetto di tutti e tutte. Per questa ragione, però, molto probabilmente non rientreremo in Parlamento. Vi è una linea di coerenza e di adesione alle proprie convinzioni di fondo che non sarà probabilmente premiata, ma, se tornassimo indietro, rifaremmo esattamente tutto quanto.
Non abbiamo alcun pentimento, ma forse di questa esperienza ci resta un insegnamento: continueremo a opporci alla guerra nettamente, senza se e senza ma, come ormai abbiamo imparato a dire. Lo faremo anche fuori dal Parlamento e, vista come è andata in questi due anni, probabilmente sarà più utile ed efficace (Applausi di deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo semplicemente per annunziare il voto favorevole dei repubblicani sul rifinanziamento delle missioni militari e dell'attività delle amministrazioni italiane, in particolare del Ministero degli affari esteri, per contribuire al ristabilimento della pace in Afghanistan e negli altri territori nei quali siamo impegnati.
Onorevoli colleghi, sarebbe troppo semplice far risaltare le differenze di posizioni presenti all'interno della maggioranza che ha governato il Paese negli ultimi due anni, così come sarebbe troppo semplice fare osservare che è impossibile avere un'azione di Governo degna di questo nome, quando all'interno della maggioranza parlamentare, che dovrebbe sostenerla, vi sono visioni così radicalmente opposte, ossia concezioni di fondo così diverse sul ruolo dell'Italia e sulle responsabilità che il Paese si deve assumere con i suoi alleati.
Da questo punto di vista, è significativo che questo dibattito coincida con la fine della legislatura e che, in un certo senso, il voto diviso di questa maggioranza, che ha governato l'Italia in questi due anni, sancisca l'inevitabile conclusione di quella vicenda, non voglio dire «avventura».
Signor Presidente della Camera e signori del Governo, in fondo queste contraddizioni - che erano evidenti fin dalla stesura del programma dell'onorevole Prodi - avrebbero dovuto imporre al Partito Democratico della Sinistra e alla Margherita di non costituire quella coalizione.
Da questo punto di vista, la decisione di correre solo, che il Partito Democratico ha assunto nelle ultime settimane, è inevitabile.
Naturalmente, sarà consentito osservare che la capacità di riconoscere i propri errori non è la base migliore per chiedere un'investitura popolare: non è affermando di essere oggi liberi e soli, che si garantiscono gli italiani che domani non si ripeteranno gli errori che sono stati compiuti ieri, avantieri, tre giorni fa, in sostanza nel corso intero del dopoguerra.
Una classe dirigente che rimane immutabile alla guida delle formazioni politiche,Pag. 28ma che cambia le politiche, non è la garanzia migliore per avere politiche che servano gli interessi del Paese.
Noi, come forza politica, abbiamo una lunga tradizione sulle questioni di politica estera, che non è mai mutata nel corso dei decenni; quindi, se ci rivolgiamo agli italiani, lo facciamo come una forza politica le cui opinioni sono affidabili, in quanto hanno una continuità nel tempo.
Tuttavia, dire che la base della fiducia è la capacità di riconoscere i propri errori, onorevole Veltroni, credo sia un equivoco che vada rapidamente messo evidenza; perlomeno bisogna saltare un turno, per così dire, e spero che gli italiani garantiscano alla nuova strada che il Partito Democratico imbocca quel tempo necessario, dall'opposizione, per dimostrare che la revisione degli errori che sono stati compiuti - e di cui abbiamo la testimonianza sotto i nostri occhi - sia un vero cambiamento di fondo e non semplicemente una «pecetta» o un tentativo di presentare come nuovo ciò che nuovo non è, perché è semplicemente il tentativo di nascondere le proprie contraddizioni in un apparente cambiamento che, però, nella sostanza non offre garanzia di un cambiamento al nostro Paese.
Questa è la nostra conclusione: voteremo a favore del disegno di legge in esame e speriamo che gli italiani diano mandato ad una maggioranza coesa, per poter imprimere una linea coerente alla politica estera italiana.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, in questo finale di legislatura ci accingiamo a votare sulle missioni militari di pace nelle quali è impegnata l'Italia. Si tratta di una scelta molto rilevante per quanto riguarda la nostra politica estera.
Il Viceministro degli esteri Intini, intervenendo in precedenza, ha chiarito quale debba essere l'impostazione del nostro Paese. Il problema delle missioni militari - e mi riferisco in particolare a quella in Afghanistan - ha tormentato la maggioranza a sostegno del Governo Prodi.
È difficile non osservare che - e mi rivolgo al collega Giancarlo Giorgetti, che pure ha svolto una funzione di stimolo nel dibattito parlamentare - nel corso della legislatura ormai alla fine, l'opposizione ha letteralmente martellato il Governo (e non senza fondamento) sulle diversità presenti all'interno della maggioranza, riguardo importanti scelte di politica estera.
Larga parte dell'opposizione, però, ha fatto di più: pur condividendo alcune scelte della politica estera, si è rifiutata di convergere, in Parlamento, con la maggioranza di Governo.
È del tutto evidente che questa rappresentazione, che viene fatta in Parlamento, delle posizioni dei diversi partiti e dei diversi gruppi parlamentari, e la divisione che vi è nella maggioranza che ha sostenuto il Governo Prodi chiariscono meglio di altre argomentazioni il motivo per cui tale schieramento non si ripresenti agli elettori nel format in cui si era presentato nelle scorse elezioni.
Si tratta di una scelta impostata sostanzialmente sulla chiarezza. È del tutto evidente che una coalizione di Governo dovrebbe avere una sostanziale omogeneità sulle scelte fondamentali di politica interna ed estera. Tuttavia non è sufficiente che ci sia omogeneità nella maggioranza che sostiene il Governo.
Tante volte abbiamo ripetuto, e non per chiedere una stampella ad una maggioranza che era in difficoltà, che le linee di politica estera di un Paese devono godere di un largo consenso parlamentare. Ci deve essere nelle alternanze dei Governi una continuità della politica estera in un Paese che vuole svolgere un ruolo importante nella scena internazionale.
La preoccupazione che noi sottolineiamo e non a scopo elettorale, si basa sul fatto che invece, troppo spesso, proprio su questi temi di politica estera si accende un conflitto strumentale tra la maggioranza e l'opposizione di turno. Alla fine di questa legislatura possiamo solo auspicare che ciò non avvenga e che la politicaPag. 29estera rappresenti un terreno di unità politica del Paese e non si presti a divisioni e a strumentalizzazioni. Un Paese forte, autorevole e credibile nella scena internazionale deve avere una sua forte compattezza interna.
Abbiamo ascoltato in Parlamento il dibattito che vi è stato sulla scelta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo (ieri il Ministro degli affari esteri ha illustrato la questione di fronte alle Commissioni riunite). Su questa scelta si è realizzata una larga convergenza parlamentare che non è quella né di una nuova maggioranza, né di una nuova opposizione. Questa posizione non significa affatto che non si vuol esprimere preoccupazione sulla situazione in Afghanistan, lo abbiamo detto tante volte: in quel martoriato Paese non è possibile una soluzione militare, bisogna ricercare una soluzione politica. Siamo presenti in Afghanistan perché si tratta di una missione autorizzata dalle Nazioni Unite. Non può esserci altra fonte di legalità per intervenire con forza, cosa che deve essere l'estrema ratio, se non quella delle Nazioni Unite. Siamo stati, infatti, in dissenso e continuiamo a pensare che sia stata una scelta ingiusta quella dell'intervento americano in Iraq.
Il problema della legalità internazionale non è solo morale, ma politico. Vogliamo ribadire che siamo contrari alla violazione dei diritti umani anche nella lotta al terrorismo e le prigioni di Guantanamo rappresentano una aperta violazione dei diritti umani. Nella stessa campagna elettorale americana, non solo tra i probabili candidati del Partito Democratico, ma anche tra quelli del Partito Repubblicano, vi è una ferma posizione per chiudere finalmente questa macchia della politica occidentale democratica nella lotta contro il terrorismo.
Si tratta quindi di condurre un'iniziativa politica e di dare autorevolezza al nostro Paese. Il nostro Paese può avere questa autorevolezza solo attraverso l'Europa, con l'Europa e con il ruolo dell'Europa, nei confronti dei Balcani, degli Stati Uniti con cui occorre un rapporto di autonomia e di collaborazione, e nei confronti di tutte le potenze che si confrontano a livello internazionale. Questa è una piattaforma che non deve essere di una coalizione contro l'altra, bensì deve rappresentare una linea che unisce il Paese e conferisce continuità alla politica estera italiana.
Alla fine del mio intervento intendo rivolgere un ringraziamento e un saluto - che credo sia condiviso da tutta l'Assemblea - alle nostre Forze armate impegnate nelle missioni militari (Applausi). Noi sappiamo cosa si rischi, quali siano le difficoltà che vengono affrontate, e come i nostri soldati le sappiano affrontare a rischio della propria vita: non è cosa da poco. Quindi, alla fine di questo dibattito parlamentare credo che, da parte di tutto il Parlamento, anche di coloro che hanno votato e voteranno contro le missioni militari, debba esprimersi una grande solidarietà nei confronti delle Forze armate.
Tante volte si dice che questo è un Paese allo sbando, che non ci sono più valori e che non ci sono più principi. Ebbene, quei giovani che sono consapevoli di partecipare a missioni di pace e non di guerra danno un bell'esempio al nostro Paese. Noi, come Parlamento, dobbiamo essere vicini e solidali alle nostre Forze armate e affermare che su queste grandi scelte l'Italia sarà sempre unita, adesso e dopo le elezioni, perché questi sono principi fondamentali sulle quali si basa la nostra convivenza civile, cioè quelli della Costituzione italiana (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali - RNP).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, la Sinistra Arcobaleno avrebbe voluto svolgere un'altra discussione. Avevamo già chiesto più volte, durante la discussione nelle diverse Commissioni, di «spacchettare» il decreto-legge che oggi stiamo per votare. Questa richiesta non è stata né accolta né assolutamente presa in considerazione. A volte ci richiamano al senso di responsabilità, ma vorremmo sommessamentePag. 30chiedere: dov'è il senso di responsabilità quando si rinuncia a discutere approfonditamente e, caso per caso, nel merito di ciascuna missione? Forse per i colleghi del centrosinistra e del centrodestra Libano e Kabul sono la stessa cosa? Forse il Kosovo di oggi, quello riconosciuto dal Governo italiano - in questo caso, lo voglio ribadire, non c'è il consenso della sinistra - è la stessa cosa di qualche anno fa? Dobbiamo spiegare tutto ciò, sia ai civili di quei Paesi in guerra, sia ai cittadini ed elettori italiani, sia ai nostri militari che sono lì, nei fronti di guerra, quelli di cui parlava il collega Villetti poc'anzi.
La Sinistra Arcobaleno non ha mai fatto venire meno la fiducia al Governo Prodi sulla politica estera. Quando abbiamo visto elementi di sviluppo e di svolta nella politica del Governo l'abbiamo applaudita e sostenuta. La scelta di ritirare le truppe dall'Iraq ha segnato la rottura con alla stagione dell'unilateralismo e con una dottrina, quella della guerra preventiva, che aveva visto l'Italia andare a rimorchio, soltanto per sedersi al tavolo dei presunti grandi. Lo stesso si può dire per il Libano, con l'apertura di un approccio nuovo al dramma del conflitto mediorientale e con la promozione della missione UNIFIL 2 nel quadro delle Nazioni Unite.
Ma è sul nodo di Kabul che pesano - e pesano ancora - alcuni dubbi molto forti, che diventano progressivamente contrarietà. Diciamolo apertamente: sono venute meno le ragioni di un nostro sostegno alla missione in Afghanistan. In Afghanistan, infatti, non vi sono più le condizioni per stare sotto l'ombrello della missione NATO-Stati Uniti. Vi è un problema di legalità internazionale, ma anche la presa d'atto del fallimento di una scelta militare. Avevamo affermato ciò già un anno fa, non è una notizia di oggi, caro Cannavò. Allora ci fu detto che il 2007 sarebbe stato l'anno della svolta, quello della nuova conferenza di pace per l'Afghanistan: un appuntamento che avrebbe dovuto vedere coinvolte tutte le parti in conflitto, dai Paesi delle regioni vicine alle diverse forme di organizzazione tribale, dalla società civile organizzata e laica alle istituzioni democraticamente elette. Esso sarebbe stato, quindi, l'occasione e la necessità di un grande processo di riconciliazione nazionale.
Tutto questo andava fatto nell'anno della svolta e, invece, abbiamo visto un'effettiva regressione del quadro afghano, che ha messo in discussione gli obiettivi stessi della missione. Il massiccio ricorso da parte dei talebani a tattiche terroristiche e attentati suicidi ha fatto registrare in quest'anno - nel 2007 - il numero più alto di vittime tra i civili e i militari dal 2001. Si tratta di una popolazione stremata da oltre un trentennio di conflitti, su cui si scarica una ripresa forte di fiducia e consenso verso gli insorgenti, oltre che un aumento a dismisura di produzione e commercio di oppiacei. Su questo terreno, hanno avuto modo di festeggiare proprio i talebani. Fame, povertà e violenza continuano a dominare, mentre programmi di ricostruzione delle infrastrutture materiali civili restano al palo.
Queste sono soltanto le domande della sinistra o sono patrimonio di ciascun deputato e ciascuna deputata di questo Parlamento? Non vi inquieta il permanere di una situazione di stallo in quella terra martoriata? Noi pensiamo che non sia più tempo di mettere dei cerotti. Abbiamo il dovere di una riflessione vera sul ruolo e la funzione dell'Italia, qui e ora. A cosa serve all'Italia una tale mole di spesa per armamenti (il 2 per cento del prodotto interno lordo) e un tale numero di partecipazioni militari all'estero (ventisette in diciannove Paesi, per 8.400 soldati)? Per fare cosa? L'alfa e l'omega della nostra Italia, dell'Italia della Sinistra Arcobaleno, resta l'articolo 11 della Costituzione. La nostra Italia è quella che ha al centro della sua strategia la cooperazione, la diplomazia, il multilateralismo e il ripudio della guerra. È questa Italia che ci fa andare avanti a testa alta per il mondo; è la stessa idea del Partito Democratico? È la stessa idea del Popolo della Libertà?
Il voto di oggi ci pone di fronte ad una riflessione in più: qual è oggi il grande tema che attraversa i processi di mondializzazione,Pag. 31che inquieta popoli, che mette in discussione modelli di sviluppo, che rischia di aprire una nuova stagione di crisi e di ricostituzione di blocchi incomunicabili fondati sulla deterrenza? Il disarmo. Il disarmo è la scommessa del presente (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani) e la sfida su cui misuriamo non una forza politica, non una coalizione e neanche un Governo, ma l'intera comunità internazionale; dovrebbero misurarsi su di essa anche le classi dirigenti di questo Paese.
Per queste ragioni, noi, la Sinistra Arcobaleno, non possiamo votare a favore del decreto-legge sulle missioni e ciascun deputato e ciascuna deputata valuterà come esprimere la propria contrarietà (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, in occasione di questo decreto-legge, confermiamo l'appoggio della Lega Nord Padania alle missioni di pace all'estero. È doveroso ricordare, prima di tutto, l'impegno dei nostri uomini, sia militari che civili. Tale impegno li ha resi particolarmente amati dalle popolazioni sul cui territorio si trovano ad operare. Essi possiedono una commistione di abilità tecnica, professionale, insieme ad una speciale capacità di relazionarsi con la società civile; una sensibilità particolare nell'avvicinare le popolazioni e sostenerle concretamente: di fatto aiutare, costruire e proteggere fa sentire loro fiducia e speranza. Sono teatri di guerra e di disperazione, dove anche le operazioni di aiuto comportano gravi rischi, dovuti ad un contesto che non è facile immaginare nella sua brutalità, stando qui, a molti chilometri di distanza. Le cronache degli ultimi giorni, con le immagini del funerale del maresciallo Pezzulo, testimoniano chiaramente come anche portare viveri ed aiuti nelle regioni più povere e sperdute dell'Afghanistan (prive di interessi strategici, ma vittime della fame e della distruzione) può essere pericoloso per chi opera su quei territori, perché vi è chi - come gli integralisti islamici - non vuole la pacificazione di quel Paese e, dunque, compie attacchi a tradimento che comportano rischi tragici.
È chiaro, quindi, che la realtà dei teatri di conflitto - diversamente da quanto si vorrebbe far credere - impone che anche l'aiuto umanitario e il sostegno alla popolazione civile debbano essere svolti con un'adeguata possibilità di difesa, protezione, equipaggiamenti e direttive chiare. Questo è un elemento sul quale non ci stancheremo mai di batterci. Ogni volta che decidiamo di inviare i nostri uomini in missione all'estero, dobbiamo essere certi che essi non corrano rischi inutili e che ogni sforzo materiale e politico sia fatto per assicurare loro un'adeguata protezione. Chiediamo, dunque, di mantenere sempre un'altissima attenzione - in particolare ogni volta che andiamo a prorogare e a rivedere i decreti-legge che regolano le missioni - all'adeguatezza dei mezzi, delle regole di ingaggio, delle dotazioni, degli armamenti e degli obiettivi.
Pensiamo, in particolare, alla missione UNIFIL in Libano, sulla quale, inizialmente, abbiamo avuto alcune riserve. UNIFIL sta operando ed i nostri uomini stanno svolgendo bene i compiti assegnati, ma continuiamo a ritenere che esistano rischi gravi e che gli elementi sovversivi presenti sul territorio stiano continuando ad armarsi e organizzarsi, nonostante la forza multinazionale. Ciò avviene a causa della debolezza politica di quest'ultima, dovuta a regole e mandati non chiari e non sufficientemente forti.
Detto ciò, è giusto fare anche una riflessione sull'uso delle nostre forze armate in generale. Crediamo che l'ampiezza dell'operato di queste missioni e la portata finanziaria molto elevata - più di un miliardo di euro - suggeriscano anche una riflessione sul ruolo e sull'opportunità dell'impiegoPag. 32di militari, poliziotti, finanzieri, accanto anche a magistrati e tecnici nei teatri di guerra. Le operazioni all'estero hanno assorbito una parte amplissima dell'impegno e delle risorse di questi corpi, quasi a lasciare intendere che lo scopo delle forze armate sia di difendere qualcuno che sta al di fuori dello Stato, ma che non esistono più esigenze di difesa dello Stato stesso. Non è così. Questa non è la realtà. Il nostro Paese ha ancora confini - anche se non più frontiere - che oggi si sono ridotti a canali di accesso senza controllo e senza difesa. L'allargamento accelerato dei confini dell'Unione europea, assieme all'arrivo al Governo di una classe politica (rappresentata chiaramente da questo Governo di centrosinistra, da Prodi e da Veltroni stesso che, con il Partito Democratico ha sostenuto questo Governo) che sembra amare più gli immigrati clandestini che i legittimi cittadini, ha fatto sì che il nostro Paese diventasse - nell'immaginario collettivo di tantissimi extracomunitari - la meta più appetibile da raggiungere.
Oggi, chi parte dall'altra sponda del Mediterraneo o dall'Europa centrale, clandestino irregolare, sa che da noi troverà assistenza immediata, con un po' di pazienza una regolarizzazione, diritti, nessun dovere, nessun obbligo e, se commetterà qualche reato, una giustizia clemente e superficiale. Soprattutto, costui sa che nessuno lo obbligherà ad andarsene, qualunque cosa egli faccia o non faccia. Esistono oggi, colleghi, vere e proprie rotte organizzate e specializzate. Il connubio di buonismo, umanitarismo, egualitarismo ed impunità, ha fatto sì che proprio lungo le nostre coste si siano consolidati traffici stabili: droga, prostituzione, manodopera schiavizzata, delinquenza.
È grottesco che ogni ampliamento delle quote del cosiddetto decreto flussi sia giustificato con l'esigenza di manodopera nelle industrie e di assistenza alle famiglie quando migliaia di uomini e di donne partono dai loro Paesi già destinati a qualche settore illecito ben definito: furti negli appartamenti, borseggi, prostituzione, spaccio di droga e così via. Noi riteniamo che le nostre forze armate possano essere utilizzate anche per contrastare tali fenomeni. Voi avete usato i nostri militari per raccogliere la spazzatura di Napoli e della Campania per colpa di Bassolino, Pecoraro Scanio ed altri; questa è una vera vergogna (applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Per quanto ci riguarda, l'immondizia di Napoli dovrebbe essere raccolta da loro, non certo dai nostri uomini che hanno una elevata professionalità, che sono preparati, che possono essere sicuramente utilizzati per difendere i nostri confini, non solo nelle missioni di pace all'estero. Non è a questo che deve servire il nostro esercito; esso dovrebbe essere impegnato con più efficacia e con più dignità per difendere il nostro territorio lungo i propri confini. Le nostre forze militari e di polizia hanno strumenti e competenze importanti, sperimentate all'estero per la lotta al terrorismo, per il monitoraggio del traffico di armi, di sostanze stupefacenti, per operazioni sul terreno e di intelligence; potrebbero svolgere un'attività costante di filtro e di contrasto anche all'immigrazione clandestina. Questa è un'attività che oggi viene svolta solo parzialmente e ben al di sotto delle potenzialità. Gli accordi bilaterali con i Paesi di origine, è giusto ricordare anche questo, sono insufficienti, molto spesso non vengono rispettati; i compiti e le prerogative delle unità impegnate sono fortemente limitati. Nessuno chiede rappresaglie contro i boat people, ma il semplice buon senso suggerisce che non possiamo continuare ad essere il Paese che recupera «carrette» dal mare, anche molto lontano dalle proprie coste, in acque internazionali, praticamente di fronte all'altra sponda del Mediterraneo. Si diffondono in fretta tra i clandestini in attesa di partire le immagini di nostre navi che recuperano tutti, sfamano tutti, curano tutti, soccorrono tutti. Altri Paesi come Malta e la Spagna non lo fanno più da tempo e il numero di clandestini che fa rotta verso le loro coste è drasticamente diminuito. Questa è la realtà, vengono tuttiPag. 33da noi perché nessuno fa nulla per impedirlo (applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Concludo con un suggerimento. Dal momento che ci apprestiamo ad andare al Governo e dal momento che si è parlato a lungo nelle Commissioni di leggi organiche di riassetto delle norme connesse all'impiego delle forze militari in missione all'estero, propongo di rivedere, più in generale, le funzioni della difesa, al fine di contrastare le minacce dirette che il Paese subisce costantemente, minacce che costituiscono un'emergenza destinata ad aggravarsi ulteriormente in mancanza di un segnale chiaro e forte di un cambio di rotta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'UDC, in coerenza con le posizioni assunte in ogni altra occasione, conferma il proprio voto favorevole a questo provvedimento, forte della convinzione che le missioni internazionali, che la presenza di civili e militari del nostro Paese nelle aree di crisi impegnati nelle attività di cooperazione, di assistenza, di prevenzione, di tutela della sicurezza delle popolazioni sia un'attività doverosa in base ad una rinnovata cultura dell'impegno multilaterale, della solidarietà universale, dell'interdipendenza tra loro delle crisi e delle condizioni di instabilità nel mondo. I nostri operatori civili e militari nelle varie aree in cui abbiamo inviato missioni, e di cui oggi votiamo un nuovo finanziamento, si sono resi protagonisti di un impegno che ha suscitato grande apprezzamento nella comunità internazionale e nelle popolazioni locali. Hanno portato aiuti, soccorsi, hanno confortato le popolazioni colpite da profonda sofferenza.
Abbiamo pagato un tributo di sangue, anche recentemente, con l'attentato mortale al maresciallo Pezzulo ed il ferimento del maresciallo Mercuri proprio nel momento in cui stavano portando soccorso alle popolazioni. Abbiamo dimostrato uno spirito di solidarietà che deve essere sempre confermato, a prescindere dai Governi che si succederanno, a prescindere dal colore politico delle formazioni che assumono la guida del Paese. Credo che non ci si possa sottrarre a questo impegno, soprattutto laddove le crisi appaiono di più difficile definizione rispetto a queste missioni che oggi rifinanziamo, a cui partecipiamo in virtù della nostra presenza nella NATO o insieme alle Nazioni Unite o con l'Unione europea o, a volte, anche in virtù di semplici accordi bilaterali con i Paesi in cui siamo presenti. Si tratta talvolta di crisi che sono vicine ad una soluzione, ad una stabilizzazione e altre volte di condizioni, invece, molto delicate in cui ancora sono forti i pericoli, sono aperte conflittualità e sono lontani assetti di stabilizzazione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 12,05)
ALESSANDRO FORLANI. Mi riferisco in particolare, sotto quest'ultimo aspetto, al Libano, all'Afghanistan e al Kosovo: crisi ancora aperte, con scenari ancora inquietanti e preoccupanti che allarmano la comunità internazionale, spesso connessi a criticità delle aree circostanti, connessi al terrorismo, al cosiddetto conflitto di civiltà e in cui i passaggi non possono non essere molto graduali ed irti di ostacoli.
Credo che accanto all'azione di monitoraggio della sicurezza e di assistenza - che pure continueremo, ribadendo il nostro consenso al rifinanziamento - occorra sviluppare, riprendere (e farlo sarà compito del Governo e del Parlamento che usciranno dalle prossime consultazioni di aprile, Governo che sarà dotato, a quel punto, di forte legittimazione politica e di consenso del Paese e del Parlamento) attraverso le organizzazioni del multilateralismo, un'azione tenace dell'Italia nella prospettiva della soluzione di queste crisi. Il riassetto istituzionale del Libano, una compensazione della recentemente annunciataPag. 34indipendenza del Kosovo con l'integrazione della Repubblica serba nel consesso delle Nazioni europee, confortati dalla vittoria del presidente Tadic nelle ultime elezioni presidenziali, espressione di un partito moderato, di un partito europeista.
Soprattutto - l'ho sottolineato in sede di intervento sul complesso delle proposte emendative - è importante moltiplicare gli sforzi e rivedere, forse, anche la stessa strategia della comunità internazionale in Afghanistan. In quella realtà gli sforzi, i progressi si rivelano troppo lenti, troppo graduali ed è ancora lontana una stabilizzazione e una piena sovranità del Governo democraticamente eletto. Si tratta di un Paese in cui ancora ampie fasce di potere sono sottratte a questo Governo da poteri di fatto, da poteri inaccettabili che vengono a costituirsi in virtù della prepotenza all'interno del Paese, di una realtà in cui è ancora aperta una guerra civile ed è ancora presente la sfida talebana ed in cui gli stessi alleati ci chiedono maggiori sforzi militari e un maggiore coinvolgimento nel conflitto.
Ciò potrebbe determinare una situazione molto pericolosa anche per i nostri uomini impegnati su quel terreno. Se in Afghanistan si vuole evitare una recrudescenza bellica occorre intensificare lo sforzo politico e di pacificazione, il dialogo con le componenti con cui sia possibile in qualche modo affrontare un'interlocuzione costruttiva per l'avvenire di quel Paese così martoriato.
Pertanto, mi auguro che questo nostro ultimo atto di legislatura che conferma la vocazione multilaterale e solidaristica dell'Italia sia poi seguito, allorché torneremo in un certo senso ad una condizione di normalità parlamentare dopo le elezioni, da un'azione più incisiva e coraggiosa di politica estera che veda tra le sue priorità anche la partecipazione alla soluzione del conflitto israelo-palestinese che in qualche modo rappresenta il fulcro dell'instabilità mediorientale ed è strettamente connesso con altre crisi presenti nella stessa area. Mi riferisco all'Iraq, al Libano e alle posizioni di alcune potenze regionali, in particolare alla Siria e al ruolo che sta svolgendo l'Arabia Saudita nelle mediazioni. Questo deve essere uno degli obiettivi principali della politica estera del prossimo Governo, qualunque sia il suo colore politico.
Con tali convinzioni e priorità ribadiamo il nostro consenso al provvedimento in esame e annunciamo il voto favorevole del gruppo dell'UDC.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo poche parole per rinnovare la posizione favorevole e ribadire il voto di Alleanza Nazionale a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge sul rifinanziamento delle missioni militari internazionali.
È stato più volte oggetto del dibattito dell'Assemblea in occasione dei periodici decreti-legge di rinnovo l'espressione della nostra posizione, ma certamente ancora una volta in tale circostanza va ribadito, oltre alla posizione di favore in termini politici e legislativi in ordine agli adempimenti anche di carattere finanziario e burocratico connessi alla nostra presenza negli scenari internazionali, il pieno appoggio, la solidarietà più ferma, il rispetto, la vicinanza e la grande ammirazione che da parte della destra si è sempre dimostrata - deve essere peraltro non ritualmente ribadita in ogni circostanza - nei confronti delle Forze armate italiane e dell'impegno, in particolare, dei nostri contingenti sugli scenari internazionali.
Sono ben ventisette i Paesi nei quali vi è l'impegno delle nostre Forze armate. Quasi 8.500 uomini e donne, la maggior parte dei quali (7.500) sostanzialmente divisi fra le tre missioni principali, quella del Libano, dell'Afghanistan e dei Balcani. Ma, anche le altre, che vedono una presenza più diffusa e diversificata in molti teatri del pianeta, sono contraddistinte da caratteristiche di professionalità, competenza, grande umanità ed efficacia nell'azionePag. 35dei nostri militari che ha riscosso l'apprezzamento di tutte, in buona sostanza, le componenti della scena internazionale. Certamente, anche in tali circostanze devono essere ricordate e ribadite parole di cordoglio nei confronti di chi, in nome dell'Italia, per la partecipazione alle missioni di ricostruzione e di sostegno a tante situazioni diversificate di disagio nell'ambito internazionale, ha mantenuto il proprio impegno supremo del dovere sino all'estremo sacrificio.
Certo, nel corso della discussione periodica che ha visto impegnate le Camere in occasione dei diversi rifinanziamenti purtroppo si è sempre avvertita la necessità di ricordare alcuni caduti nei mesi precedenti, anche a testimonianza di quanto sia seria, difficile, ma nello stesso tempo tanto importante l'opera dei nostri militari nei diversi scenari internazionali.
Nuovamente in questa circostanza, l'ultima della legislatura, abbiamo dovuto riscontrare, questa volta apertamente (non vi sono più infingimenti, né si avverte la necessità di mistificazioni politiche), la totale divisione che regna nella maggioranza che ha sostenuto il Governo Prodi. Oggi vi è la possibilità, subito colta da parte dei gruppi della sinistra comunista, di esprimere un voto libero, diverso da quello che, in tante altre circostanze, hanno espresso obtorto collo; è la dimostrazione plastica di ciò che, da parte dell'opposizione, è sempre stato indicato come l'elevato livello di divisione con particolare riferimento alla politica estera. Tale politica dovrebbe essere, invece, quella che maggiormente contraddistingue l'unità della maggioranza che sorregge un Governo, l'unità dello stesso Governo, ed anche dei due rami del Parlamento e della rappresentanza politica nel suo complesso. In questa circostanza, ci permettiamo di rinnovare un appello al nuovo Esecutivo e alla nuova maggioranza - qualunque essa sia, anche se siamo fiduciosi che sarà di centrodestra - che si costituiranno perché delle Forze armate, della loro importanza, della loro necessità di una maggiore possibilità di risorse e di finanziamenti non si discuta e non si parli esclusivamente in relazione alle missioni internazionali (che ottengono, come sappiamo, finanziamenti specifici), ma anche in termini di maggiori risorse di bilancio.
Infatti, tanti dei mezzi impiegati, degli uomini e delle donne attualmente impiegate a rotazione sugli scenari internazionali e delle strutture, dei sistemi, della tecnologia che vengono utilizzate sono messe a dura prova dall'impiego costante e ripetuto in tanti scenari internazionali. È necessario ampliare le risorse per la difesa e, lo ripeto, come destra rivolgiamo un appello al nuovo Esecutivo che si costituirà proprio perché sempre più efficaci, ma anche sicure siano le possibilità per i nostri contingenti nei diversi scenari.
La richiesta sempre più pressante che proviene dall'Alleanza atlantica per un impegno ulteriore e diversificato nell'ambito dello scenario afgano è ineludibile e, quindi, una nuova maggioranza dovrà dimostrare una nuova consapevolezza circa l'importanza e la vicinanza nei confronti delle nostre Forze armate. Dal nuovo Esecutivo, dalla nuova reggenza della nostra patria dovrà provenire un segno di ulteriore stima, vicinanza, ma anche consapevolezza dell'importanza di questo impegno, ormai ultra ventennale, dell'Italia nell'ambito internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Saluto una delegazione di docenti e alunni della scuola media Vito Volterra di Ariccia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cossiga. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE COSSIGA. Signor Presidente, Forza Italia voterà a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame in perfetta consonanza di vedute con gli altri amici che stanno confluendo con noi nel Popolo delle Libertà. Lo facciamo in coerenza con la posizione evidenziata in tutti questi anni, ma anche con uno spirito più sollevato rispetto a quanto è accaduto e che a volte ci ha portato a volerci distinguere rispetto a questo Governo e a questa maggioranza.Pag. 36
Siamo sollevati perché sappiamo che, i momenti difficili che ci accingiamo ad affrontare, per la prima volta in due anni non saranno più nella responsabilità di questo Governo pasticcione e di questa maggioranza pasticciata. Sottolineo ulteriormente la macedonia di posizioni e di differenziazioni che oggi, anche nel voto, ma prima soltanto nelle affermazioni, hanno caratterizzato l'attuale ex maggioranza.
Noi siamo per la continuità nella politica estera, ma per una continuità che forse è un po' diversa da quella di chi, in un Governo Prodi di qualche anno fa, è stato protagonista nel Kosovo, bombardando la Serbia, ed oggi, ormai sfiduciato, ritiene di procedere rapidamente ad un riconoscimento. Ebbene tutto questo, se Dio vuole, è passato, ed è con piacere che votiamo a favore della conversione di questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, colleghi, il Partito Democratico, attraverso il voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge che rinnova la partecipazione dell'Italia a missioni internazionali, vuole sottolineare la sua approvazione alla politica estera del Governo italiano. A partire dalla decisione del ritiro del contingente italiano in Iraq, presa all'indomani dei risultati elettorali del 2006, il Governo ha impresso una svolta alla nostra politica estera e l'Italia è stata impegnata nella ricerca di un'alternativa alla crisi dell'opzione unilaterale e nel difficile tentativo di costruzione di una nuova prospettiva multilaterale.
Una linea di politica estera nella quale lo stesso uso della forza e della presenza militare si giustificano non solo nel quadro della legittimità delle istituzioni internazionali che le deliberano, ma anche di un'azione che affida alla politica, e non alle armi, la soluzione dei conflitti. Una linea di presenza attiva dell'Italia, esattamente il contrario di una linea di disimpegno. Naturalmente è stata una presenza attiva consapevole delle contraddizioni di quanti si muovono in una situazione nella quale una nuova legittimità internazionale costituisce un obiettivo della nostra azione, un obiettivo che sta davanti a noi, non una premessa che è alle nostre spalle, in un mondo così sconvolto dai processi che abbiamo conosciuto nel corso di questi anni.
Per brevità, non parlerò delle altre missioni, non parlerò in particolare del Kosovo, ne ha parlato a lungo e con precisione l'onorevole Mattarella questa mattina, intervenendo nel dibattito sull'ordine del giorno, ma voglio spendere qualche parola in più a proposito dell'Afghanistan. La nostra posizione, con la conversione del decreto-legge oggi sottoposto al nostro voto, come risulta anche dall'ordine del giorno che abbiano presentato e che è stato accolto dal Governo, non muove dall'idea che le cose vadano bene; anzi siamo consapevoli che, per quanto riguarda l'Afghanistan, vi sia la necessità di una svolta profonda. Conosciamo, e non solo noi, le cause che hanno condotto quello scenario da una situazione che sembrava quasi aver risolto le difficoltà tra la fine del 2002 e l'inizio del 2003 ad un'involuzione e sappiamo che se non cambiano le condizioni, se non cambia la politica della coalizione internazionale che oggi si misura in Afghanistan, vi è il rischio di una sconfitta. Non solo una sconfitta della missione internazionale, ma più gravemente la sconfitta della prospettiva di uno sviluppo democratico, di uno sviluppo dello stato di diritto e il riprecipitare dell'Afghanistan in una spirale di violenza e di barbarie.
Sappiamo che non è sul piano militare, ma su quello della perdita del consenso sociale e politico che è avvenuto l'indebolimento della presenza internazionale in Afghanistan. Sappiamo che ricostruire una prospettiva significa affrontare con nuove soluzioni le difficoltà politiche che abbiamo conosciuto. Ciò significa, in primo luogo, un impegno quantitativamente e qualitativamente nuovo contro la povertà, per lo sviluppo, per la scuola, per i servizi, per la lotta alla corruzione e allaPag. 37criminalità; scelte nuove per quanto riguarda la lotta alla coltivazione e il traffico degli stupefacenti. Naturalmente sappiamo che tutto ciò necessita nuove risorse che devono essere investite su questo terreno e non solo su quello militare.
Sappiamo, come secondo punto, e siamo coscienti, che è necessaria una presenza militare rivolta non solo a reprimere il terrorismo e contrastare l'aggressione che oggi proviene, di nuovo, dalle forze talebane, ma a garantire la sicurezza collettiva; l'azione militare deve essere ispirata ai principi della sicurezza umana.
Sappiamo, come terzo punto, che vi è bisogno di una prospettiva politica che riaffermi la necessità di un negoziato, di una trattativa che coinvolga tutte le forze disponibili, tutti quei gruppi disposti a concorrere ad una prospettiva di stabilizzazione.
Pensiamo che vi sia la necessità di un coinvolgimento di tutti i Paesi interessati (questa era anche l'idea della Conferenza regionale), a partire dal Pakistan e dall'Iran, e di una loro responsabilizzazione nel processo di pace.
Voi sapete, cari colleghi, che questo è quello che ci chiedono la società civile afgana e tutti i volontari che sono impegnati su quel terreno: ossia di contribuire in questo modo.
Voi sapete, cari amici e cari compagni della Sinistra Arcobaleno, che da nessuno di quanti sono impegnati su quel terreno, afgani o volontari italiani, è giunta la richiesta di ritiro delle truppe e che, invece, la presenza di un contingente militare qualificato in questa direzione è una richiesta che proviene da quelle forze.
Vi chiediamo: da dove si può agire per questo cambiamento necessario? Estraniandoci, o dall'interno della comunità internazionale, assumendoci le nostre responsabilità, e del sistema di alleanze nel quale siamo impegnati? Da dove si lavora per una svolta? Da dove si indica una prospettiva che non sia solo quella del disimpegno, ma di un Paese che sappia assumere le sue responsabilità di lotta per la pace e non semplicemente di «tirarsi» fuori, lavandosi le mani, alla vigilia di una prospettiva di una situazione elettorale?
Lo voglio dire: non solo non ci compiacciamo e non ci rassegniamo ad un'involuzione che porti le forze politiche parlamentari importanti ad allontanarsi dal campo della responsabilità che hanno praticato con noi in questi anni. Non solo non ci rassegniamo, ma, cari amici, noi, che vogliamo tenere fermo il timone sulla rotta che in questi anni ha restituito prospettive, identità, forza e riconoscimento alla politica estera italiana, vi sfidiamo sul terreno del fare, della responsabilità e delle realizzazioni concrete sul terreno della pace.
Questo è il senso del voto favorevole che oggi noi esprimiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo per pochissimi secondi per rendere l'ultima dichiarazione di voto di questa legislatura per quanto mi compete. Penso che, archiviando la votazione di oggi, tutti noi, di qualsiasi parte politica, dobbiamo riflettere per il senso di responsabilità e di affetto che ci deve legare a tutti gli italiani che in questi mesi di legislatura sono morti all'estero, compiendo il proprio dovere.
Abbiamo votato a favore o contro questi interventi, ma poi ciascuno di noi deve fermarsi a riflettere su quelle bare che sono arrivate a Ciampino, tutte coperte dalla bandiera tricolore. Un Paese può essere di destra o di sinistra, ma se non si riconosce in quelle bare è un Paese che non ha futuro, perché dimentica le proprie radici.
Troppe volte stiamo dimenticando, in pochissimi giorni, quei caduti. Lo abbiamo visto anche la scorsa settimana: pochi secondi e spariscono dai telegiornali. Ma anche questa è la realtà e la forza del nostro Paese.
Concludendo, voglio essere vicino a quelle famiglie con il senso di responsabilità di un voto, ma penso anche ai caduti in Iraq di ieri, in Afghanistan oggi, ai feriti in Libano e in Kosovo.
Penso che la Camera dei deputati debba idealmente stringersi a quelle famiglie,Pag. 38perché questo è il cemento che fa grande una nazione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
(Coordinamento formale - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 3395-A, di cui si è testé concluso l'esame.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, recante disposizioni urgenti in materia di interventi alla cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali» (3395-A):
Presenti 391
Votanti 390
Astenuti 1
Maggioranza 196
Hanno votato sì 340
Hanno votato no 50
(La Camera approva - Vedi votazioni).
Prendo atto che il deputato Mantini ha segnalato di aver erroneamente espresso voto contrario mentre avrebbe voluto esprimere voto favorevole.