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Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Azzolini. Ne ha facoltà.
CLAUDIO AZZOLINI. Signor presidente, proprio per un caso mi trovo tra le mani la copia del quotidiano la Repubblica di qualche giorno fa nella quale vi è un articolo di Daniele Mastrogiacomo, un giornalista che conosco personalmente, che stimo e del quale apprezzavo la concretezza in questo suo servizio intitolato: «Afghanistan, incubo senza fine: bomba sulla strada degli italiani».
Immagino che questo articolo abbia esposto il giornalista ancor più della precedente attività da lui svolta sul territorio. Infatti molte volte i colleghi giornalisti (chi vi parla è un giornalista professionista, quindi spezzo una lancia, se mai ve ne fosse bisogno, in favore di questi colleghi) mettono a repentaglio la propria vita (mi riferisco ovviamente a quelli che sono sul territorio e non a quelli che operano nelle stanze degli alberghi, come qualche volta la letteratura ci ha insegnato e ci ha raccontato).
Rivolgo quindi i miei auguri personali a Daniele Mastrogiacomo e mi permetto di associarmi all'invito rivolto al Governo di fornirci informazioni sulla condizione nella quale versa in questo momento il giornalista.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella fase dei ringraziamenti e degli apprezzamenti desidero non escludere i nostri soldati, le rappresentanze diplomatiche e quelle delle Ong, poiché in diversi paesi da anni - come ricordava poc'anzi il collega Forlani per l'esattezza da 5 in Afghanistan - si adoperano con impegno e generosità umana nella ricostruzione civile e democratica di paesi dilaniati da conflitti locali, nell'assenza assoluta di uno stato di diritto e di democrazia.
Com'è a tutti noto il coinvolgimento dell'Italia in missioni umanitarie ed internazionali trae legittimità dell'articolo 11 della nostra Carta costituzionale, ancorché dagli impegni assunti in ambito internazionale ed in particolare in sede ONU e NATO, ai quali noi parlamentari di Forza Italia e della Casa delle libertà non intendiamo sottrarci e non ci sottrarremo non soltanto perché coerenti con gli impegni assunti dal precedente Governo Berlusconi, ma anche e soprattutto per il grande senso di responsabilità che sentiamo di fronte al paventarsi di una perdita di credibilità, alla quale andrebbe evidentemente incontro il nostro paese in ambito internazionale.
Ciò premesso, ritengo sia necessario ripensare la nostra strategia di partecipazione e di peace keeping, anche e soprattutto alla luce dei recenti atti terroristici, tra i quali alcuni riportati proprio dal servizio di Mastrogiacomo su la Repubblica, della medesima recrudescenza di attacchi da parte dei talebani, peraltro già annunciata da molti organi di stampa internazionali, che ha fatto registrare una escalation di attentati suicidi negli ultimi due mesi, fino a coinvolgere lo stesso vicepresidente degli Stati Uniti, Cheney, lo scorso 28 febbraio, il che conferma senza dubbio alcuno l'inizio dell'offensiva talebana.
Il nostro impegno in Afghanistan si svolge in un contesto internazionale, sotto l'egida della NATO, nell'ambito della missione civile UNAMA (United Nations Assistance Pag. 21Mission in Afghanistan), che ha pieno potere di coordinamento delle azioni di ricostruzione e di monitoraggio sulla situazione in Afghanistan ed in particolare si articola lungo le quattro direttrici delineate nella Conferenza di Londra del 31 gennaio scorso, che ha stabilito il cosiddetto The Afghanistan Compact, un accordo tra comunità internazionale ed Afghanistan, che ha fissato una serie di obiettivi precisi da raggiungere in un arco temporale predefinito. Il tema rilevante scaturito dalla suddetta conferenza ha riguardato la definizione ed il riconoscimento del concetto di ownership, attraverso il quale si è voluta sottolineare l'importanza di coinvolgere gli afgani in primis in questo processo di sviluppo economico e di rafforzamento istituzionale e democratico del loro paese. I quattro ambiti di intervento delineati nel Compact sono: sicurezza; stato di diritto e diritti umani; sviluppo e lotta alla droga.
Il ruolo dell'Italia nell'ambito della missione in Afghanistan può essere evidentemente decisivo laddove riesca ad affermare la necessità di applicare una modalità di approccio globale, che contempli la ricostruzione fisica, istituzionale e democratica dell'Afghanistan, la dimensione politica e di sviluppo economico, oltre che la sicurezza ed evidentemente l'azione militare.
La risposta ai fenomeni dell'insorgenza e del terrorismo talebano deve infatti avvenire sul piano della politica e dello sviluppo piuttosto che su quello militare, così come è sostenuto anche dalle Nazioni Unite, giacché il 70 per cento dei talebani trova in esso uno strumento per vivere e non un'appartenenza ideologica. Lo ricordava giorni fa proprio l'ambasciatore italiano nel rapportarci quanto accadeva in questo periodo in quel paese. Evidentemente basterebbe offrire loro una prospettiva o più semplicemente un'alternativa di vita. Sono abbastanza scettico nei confronti dell'ancorché fantasiosa proposta, che è stata presentata nei giorni scorsi e che prevede la riconversione dell'oppio, tuttavia basterebbe poco per sottrarli ad una scelta dettata da condizioni economiche e sociali di povertà, più che da un'adesione o difesa di posizioni ideologiche.
Così le linee di azione dell'intervento italiano allo sviluppo si sono soprattutto concentrate sulle iniziative di sviluppo agricolo e rurale e di emergenza sanitaria o su alcuni importanti progetti infrastrutturali, quali - vale la pena ricordarlo - la strada Kabul-Bamyan, alla cui costruzione abbiamo partecipato con un contributo di 40 milioni di euro. Nell'ambito della partecipazione italiana alla ricostruzione istituzionale vanno inoltre annoverati l'impegno ed il coordinamento del cosiddetto lead della giustizia assunto durante la citata Conferenza di Londra, con il quale l'Italia ha assunto l'onere di migliorare e potenziare il progetto giustizia con il coordinamento della nostra ambasciata di Kabul.
Il nostro intervento si è quindi dispiegato su più direttrici: la riforma della legislazione afgana - attraverso l'elaborazione e la stesura della nuova Costituzione, del codice di procedura penale provvisorio, del codice minorile - e le iniziative per migliorare da una parte la qualità della vita nel sistema penitenziario, dall'altra la ricostruzione e la ristrutturazione delle infrastrutture di giustizia, contribuendo concretamente alla creazione di uffici, tribunali, procure e carceri. A ciò va ad aggiungersi la formazione dei 2 mila operatori di giustizia, tra cui giudici, avvocati, procuratori ed operatori penitenziari. A tale riguardo desidero ricordare il positivo risultato conseguito da due nostre iniziative di formazione, una delle quali portata avanti dalla Guardia di finanza e rivolta alla polizia doganale di Herat, la località dove ci sono 800 dei nostri 2 mila militari, l'altra a Kabul, operata dai Carabinieri nei confronti della polizia.
Ciò è particolarmente significativo poiché rientra nel quadro di una strategia politica di controllo, monitoraggio, prevenzione e contrasto alla lotta al narcotraffico, che sempre più alimenta il fenomeno dell'insorgenza e del terrorismo talebano. Ritengo che non sia meno importante la necessità di accelerare i tempi della ownership, poiché la partecipazione internazionale Pag. 22- quindi dell'Italia - al processo di ricostruzione e di pace non può e non deve evidentemente essere a tempo indeterminato, ma deve restituire in tempi certi e definiti la piena titolarità del controllo del proprio territorio e della gestione del paese agli afghani (come dire, l'Afghanistan agli afghani).
Ciò nonostante, la decisione di mantenere il contingente italiano, finalizzata alla realizzazione di una conferenza internazionale sull'Afghanistan, che coinvolga nel processo di stabilizzazione anche i paesi limitrofi, trae origine dalla consapevolezza dell'inadeguatezza - sottolineo questo termine - e dell'inefficacia dell'esclusiva azione militare nel processo di ricostruzione della pace. Appare sempre più evidente, infatti, quanto sia ormai necessario ed urgente recuperare e restituire il giusto spazio alla dimensione politico-diplomatica, economica, civile ed umanitaria delle missioni internazionali e di ricostruzione della pace e della vita democratica dei paesi.
Ieri ho avuto modo di incontrare il Nobel della pace 2003, Shirin Ebadi, perché riceveva dalla Fondazione Mediterranea a Napoli il Premio mediterraneo di pace. Ebbene da tale sede Shirin Ebadi ha lanciato un appello, che vorrei nel breve tempo di cui dispongo trasferire a voi tutti.
Il secondo punto di questo appello è una condanna a tutti quelli che ignorano la volontà del popolo iraniano, come di quello afghano, creando anche disattenzione e disaffezione tra paese civile e paese legale, tra il popolo iraniano e il suo Governo. Di ciò è testimonianza il fatto che, come ricordava la Ebadi, alle elezioni di Mohammed Katami hanno votato 22 milioni di iraniani, mentre a quelle di Ahmadinejad hanno votato solo 14 milioni di iraniani. Questa distanza tra il popolo ed il Governo era il senso della sua denuncia e voleva dimostrare che nella situazione di oggi può portare alla guerra civile e ciò non è a favore né del Governo iraniano, né della tranquillità della regione.
Allora, ritornando al nostro filone afghano è chiaro che non è pensabile e possibile immaginare che tutto questo possa avvenire in un batter d'ali, però in questo il nostro paese, membro fondatore e qualificato dell'Unione europea, deve insistere perché quest'ultima, pur mantenendo ottime relazioni con gli Stati Uniti, assuma le proprie responsabilità e diventi un interlocutore imprescindibile - sottolineo questo termine - della politica estera occidentale, ritagliandosi un ruolo paritario rispetto agli Stati Uniti nell'ambito di una politica di cooperazione internazionale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa circostanza mi consente anche di approfittare per dare un ulteriore suggerimento, se non proprio un sollecito, al massimo esponente del Governo in fatto di difesa, il ministro Arturo Parisi: spero i colleghi che lo rappresentano in questo momento al Governo potranno riferirglielo.
Con il ministro Parisi, il collega Cirielli, che siede alla mia sinistra, il collega Angioni, che vi sedeva fino allo scorso anno, ho un comune denominatore: siamo stati tutti allievi presso la Scuola militare Nunziatella. Dato che oggi ci troviamo di fronte ad una prospettiva che va di decennio in decennio e che dobbiamo impiegare questi decenni realizzando opere di intelligenza, di diplomazia, di dialogo e di confronto, dovremmo disporre di un istituto di alta formazione per le operazioni e le missioni di peace keeping. Già ne esistono le premesse ed è questa la ragione del mio riferimento alla Nunziatella.
Quale occasione migliore per utilizzare quella struttura, che nel suo statuto costitutivo ha il motto: «Preparo alla vita ed alle armi»? Badate bene, questa scuola prima prepara alla vita, poi alle armi, che sono una conseguenza, una insorgenza, fermo restando che la sua vocazione naturale è quella di preparare alla vita, sia civile, sia militare. Oggi è necessaria una riconversione della vita militare in un'azione di supporto alle popolazioni civili. I nostri militari sono stati apprezzati per il loro qualificato contributo alla causa della ricostruzione e della ricostituzione di un tessuto civile e democratico. Immagino Pag. 23che questa opportunità potrà essere senz'altro una valida prospettiva da offrire non soltanto al nostro esercito, che dopo l'abolizione del servizio di leva è costituito da professionisti, che sono certamente predisposti alle attività militari, ma che possono a mio avviso instaurare una complementarietà sui tema della società civile, ma anche ai giovani tra i 15 e i 18 anni, che si trovano nella fase più pregnante e significativa dal punto di vista culturale e formativo, offrendo contestualmente al nostro paese e all'intera collettività europea ed internazionale un grande strumento di stabilità e di pace.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, confido che tutto questo, insieme ad altre considerazioni che mi sono permesso di svolgere, possa indurre ad accettare alcuni degli emendamenti che sono stati presentati anche da parte dell'opposizione, in quello spirito che richiamavo poc'anzi. Sono fiducioso e convinto che possano essere valutati e apprezzati adeguatamente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Briguglio. Ne ha facoltà.
CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, quello odierno potrebbe sembrare un atto rituale. Con il decreto-legge in esame ci troviamo, ancora una volta, ad affrontare il problema della proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali. Eppure, ogni qual volta è all'esame del Parlamento questo argomento denota un punto di crisi del Governo e della maggioranza che lo sostiene e induce riflessioni, anche importanti, sulla tenuta della coalizione di Governo e non soltanto da parte nostra, cioè dal punto di vista della opposizione di centrodestra.
Ormai, i temi della politica estera, internazionale e di difesa sono diventati una cartina di tornasole della stessa esistenza in vita del Governo. Nell'affrontare questo problema, alcune riflessioni nascono spontaneamente, anche in relazione ad affermazioni che spesso, in questi giorni, ci hanno veramente sorpreso. Una di esse è quella relativa all'introduzione, nel nuovo lessico politico e parlamentare, di una nozione che nuovissima non è, quella delle maggioranze variabili. Si tratta di una locuzione che, per la verità, richiama un lessico che ci sembrava tramontato, appartenente alla cosiddetta prima Repubblica e afferente ad un certo neocentrismo. Invece, ci troviamo ad affrontarla oggi e, come hanno scritto autorevoli osservatori, è anche all'attenzione dello stesso Capo dello Stato.
La nozione di maggioranze variabili, che è stata proposta dal ministro Amato e ripresa dallo stesso Presidente della Camera Fausto Bertinotti, merita qualche considerazione. Qui non stiamo parlando di un provvedimento come gli altri o di iniziative o dibattiti parlamentari che hanno un valore settoriale, ma stiamo parlando della politica estera e di difesa e del ruolo del nostro paese nello scenario internazionale.
Dobbiamo rilevare che la nozione di maggioranze variabili non si può certamente applicare a questo tipo di problemi, alla nostra presenza nelle missioni internazionali e, in particolare - questo è quello che detta la nostra agenda politica - alla missione in Afghanistan. Questo Governo, quindi, deve essere sostenuto da una precisa maggioranza, al netto dei senatori a vita e dell'apporto che darà senz'altro anche il centrodestra con il proprio voto nelle aule parlamentari.
Va rilevato, tuttavia, che c'è qualche settore dell'opinione pubblica e degli osservatori - cito per tutti il quotidiano Libero e, in particolare, il suo direttore - secondo i quali il centrodestra pecca di eccessivo lealismo nei confronti della politica internazionale e dello stesso interesse nazionale del paese, che abbiamo sempre perseguito, dimostrandolo con il nostro voto coerente, sia quando siamo stati al Governo e maggioranza nel Parlamento, sia quando siamo stati all'opposizione.
Non c'è dubbio che su questo decreto-legge - lo vedremo molto meno alla Camera, Pag. 24ma sicuramente molto di più nell'altro ramo del Parlamento - il Governo, anche in rapporto agli impegni assunti con il Presidente della Repubblica, ha il dovere dell'autosufficienza, ossia di avere una maggioranza certa, al netto dell'apporto doveroso dei parlamentari del centrodestra e del voto dei senatori a vita, che non possono essere conteggiati come componenti di una maggioranza politica ben delimitata. Quindi, il provvedimento in esame costituisce per noi l'occasione per sottolineare questo dato di fondo.
In secondo luogo, dobbiamo richiamare alcune posizioni coerenti ed altre incoerenti. Personalmente - l'ho detto in altre occasioni - credo che coloro i quali dimostrano coerenza all'interno del centrosinistra e che sono pienamente coerenti con il mandato popolare sono quei parlamentari della sinistra radicale che oggi vengono richiamati pesantemente all'ordine, che vengono messi sotto processo all'interno dei propri partiti e allontanati dalla propria formazione politica di appartenenza o che vengono addirittura strattonati e aggrediti, anche fisicamente.
Dal nostro punto di vista, si tratta di posizioni politiche e di persone che meritano il massimo rispetto, non soltanto perché siamo deputati parlamentari senza vincolo di mandato e, quindi, rispondiamo certamente ad una disciplina di partito, ma anche ad una coerenza interna e al cosiddetto «tribunale della coscienza»; ma anche per un fatto importante, al quale credo che il Governo e la maggioranza debbano prestare la necessaria attenzione.
Il centrosinistra ha vinto le elezioni politiche per una manciata di voti (24 mila voti), in coerenza con un programma che ha sottoposto all'elettorato, e sicuramente ha vinto con l'apporto determinante dei settori della sinistra più radicale, quelli che interpretano gli umori, le esigenze, i sentimenti e le opinioni politiche dei movimenti, dei no global e di tutte le aree pacifiste nel nostro paese, che hanno espresso in Parlamento i propri rappresentanti.
Nelle elezioni politiche del 2006 l'Unione ha vinto perché è riuscita a rappresentare segmenti di elettorato abbastanza forti rispetto ai quali il programma dell'Unione ha esercitato una sorta di pubblicità ingannevole. In altri termini, questi segmenti pensavano ad una nettissima discontinuità nella politica estera e di difesa del nostro paese, ma sono rimasti delusi e frustrati. Da qui, le posizioni di dissidenza e la divaricazione fra una sinistra radicale parlamentare e una sinistra radicale di piazza, con uno sdoppiamento dei ruoli: le stesse persone, prima, si recano a Vicenza per protestare in piazza e, poi, mantengono posizioni di Governo e, comunque, posizioni istituzionali in questo Parlamento.
Noi diciamo che i Turigliatto e i Cannavò hanno pienamente ragione nel sostenere le proprie tesi, perché sono coerenti con il mandato che gli elettori di centrosinistra hanno conferito loro sulle missioni internazionali, nonché sulle questioni dell'Afghanistan, della nostra presenza in Libano, delle basi militari, dei vincoli internazionali che il nostro paese ha liberamente contratto in adesione a coalizioni internazionali con mandato ONU (come nel caso dell'Afghanistan) e in ossequio ad alleanze internazionali, come la NATO, cui apparteniamo.
Pertanto, quando in Parlamento emergono queste posizioni, le dobbiamo pienamente rispettare. È il centrosinistra ad essere in contraddizione, perché ha preso i voti di queste fasce di elettorato e, adesso, si trova in Parlamento a subire il dissenso di questi parlamentari.
Quando ci si trova dinanzi a questo genere di contraddizioni si cercano delle vie di fuga, una delle quali è sicuramente la preannunciata mozione sull'oppio. Al riguardo, senza fare ironie (non so se facili o difficili), ma occupandoci del merito, anche l'Agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine ha espresso una posizione nettamente contraria.
La soluzione di promuovere la vendita dell'oppio e di attuare una riconversione, utilizzando tale sostanza nelle terapie antidolorifiche, si è dimostrata non dico una bufala, ma una soluzione del tutto inconsistente per una serie di ragioni: perché Pag. 25l'oppio a fini terapeutici ha un costo molto più basso rispetto all'oppio illegale, perché in realtà c'è una sovrabbondanza di offerta rispetto all'effettiva domanda e, soprattutto, per un problema che si lega effettivamente a quanto sta succedendo in Afghanistan. In altri termini, vi è una sorta di parallelismo: nelle province in cui vi è una forte presenza talebana, in realtà vi è un incremento della produzione oppiacea; nell'altra metà del paese, nelle province dove si stanno attuando programmi di riconversione con la cooperazione internazionale, vi è una scarsa presenza dei talebani sul territorio.
Quindi, la ricerca di soluzioni facili a noi sembra una posizione di tipo ideologico. Infatti, abbiamo visto la sorta di furore ideologico con cui sono attaccate tutte le iniziative sul territorio che vogliono far cooperare le attività militari con quelle civili, come se obbligatoriamente occorresse separare le iniziative per la ricostruzione civile da quelle per la presenza e per la sicurezza militare, e le prime non dipendessero da una cornice di sicurezza che soltanto le seconde possono assicurare.
Relativamente al teatro di guerra Afghanistan, dobbiamo affrontare con estremo dolore e con grande rispetto le giuste reazioni emotive dell'opinione pubblica internazionale, compresa quella italiana, ed il fatto che il dibattito politico nel nostro Paese sia puntato sul problema delle vittime civili. In questi giorni vi sono stati due episodi, la cui responsabilità è stata addossata alle forze dell'alleanza internazionale guidata in Afghanistan dagli Stati Uniti, che hanno provocato vittime e fortemente colpito la nostra sensibilità.
In conclusione, a questo proposito voglio ricordare che osservatori ed esperti hanno sottolineato come una delle tecniche utilizzate dalla guerriglia e dal terrorismo sia quella di ubicare le postazioni belliche presso case, mercati e negozi, ossia in mezzo alla popolazione civile. In tal modo, quando vi è una reazione ad un attacco terroristico, si provocano inevitabilmente vittime che cinicamente possono servire ad un tristissimo marketing bellico internazionale.
PRESIDENTE. Onorevole Briguglio, la prego di concludere.
CARMELO BRIGUGLIO. Su questo punto basta ricordare le dichiarazioni rese dal Presente del Consiglio e dal ministro degli esteri in carica nel 1999. In tali dichiarazioni si ammise che, quando si verifica questo tipo di episodi e sono effettuate queste operazioni (stiamo parlando della guerra del Kosovo, quando i bombardamenti venivano ordinati da un Governo di centrosinistra, il cui Presidente del Consiglio si chiamava Massimo D'Alema), esiste la possibilità di provocare vittime civili, anche se venivano usati toni e contenuti diversi da quelli di oggi.
Anche in base a queste riflessioni e a queste considerazioni, non faremo sicuramente mancare in Parlamento il nostro voto favorevole al decreto-legge in esame. Tuttavia, cogliamo anche l'occasione per sottolineare tutte le contraddizioni presenti nel Governo e all'interno della sua maggioranza.