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Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
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ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, nella discussione generale di ieri ho già espresso i motivi in base ai quali il gruppo di Rifondazione Comunista esprimerà voto favorevole a questo provvedimento.
Nell'insieme dei motivi, c'è una forte presenza degli elementi di criticità che da sempre noi abbiamo manifestato, rappresentato ed anche veicolato all'interno del mondo pacifista e nella società italiana, relativamente ad una vicenda militare di cui riconfermiamo il giudizio di fondo, relativamente agli aspetti di arbitrarietà e di illegittimità rispetto al diritto internazionale che la missione ha nel suo DNA originale.
Nello stesso tempo, i motivi che ci spingono invece a votare a favore sono legati all'evoluzione del quadro interpretativo e delle preoccupazioni politiche che L'Unione, la coalizione al Governo che noi sosteniamo, è andata manifestando proprio in relazione a questa missione militare, che coinvolge l'Italia con un significativo numero di militari e un significativo investimento finanziario.
Si è aperto un dibattito, si è aperta una discussione seria, che investe la politica e che rappresenta un punto importante del dibattito nell'Unione, ma anche nell'opinione pubblica più in generale. È soprattutto emersa la consapevolezza e la responsabilità di dover cercare una via alternativa al perdurare dell'impegno militare. Credo che la ricerca di soluzioni diverse da quelle militari, per porre fine ad un conflitto che altrimenti rischia di proiettarsi all'infinito, sia importante non soltanto in generale, ma anche in relazione a ciò che sta avvenendo concretamente in questi giorni. Siamo di fronte ad un salto di qualità nell'escalation di violenza e di ricorso agli strumenti della guerra; peraltro una guerra asimmetrica, come ho detto anche ieri, una guerra che, da una parte, vede impiegata la più sofisticata tecnologia militare, da parte della NATO e dei comandi militari statunitensi, direttamente impiegati ancora in una parte importante del paese, e, dall'altra, vede la pratica terribile dei kamikaze suicidi.
Siamo di fronte al rischio di una escalation di un processo di «irachizzazione» della vicenda afghana, come confermano e sottolineano continuamente molti analisti e come ha avuto anche modo di sottolineare, nell'intervista di oggi su La Stampa, il generale Fraticelli, ex Capo di Stato maggiore dell'Esercito, il quale mette appunto in evidenza il fatto che il rischio è ormai diffuso e tocca anche il territorio della provincia di Herat, sotto la tutela delle truppe italiane.
Siamo quindi di fronte ad una situazione che richiede una svolta, un cambio di passo decisivo, che parli innanzitutto della volontà della ricerca di un disimpegno serio sul terreno militare. Vediamo invece una moltiplicazione, senza misura, dell'uso del ricorso allo strumento militare. Il ministro D'Alema ieri, di fronte al secondo episodio connesso alla violenta reazione dei comandi statunitensi agli attentati dei taleban, ha espresso disagio e perplessità per gli effetti terribili che questa reazione ha avuto nei confronti della popolazione civile.
Io mi auguro e chiedo, a nome del mio gruppo, al ministro D'Alema che questo disagio, queste perplessità e queste critiche le rappresenti in maniera ufficiale agli alleati della NATO, con cui siamo impegnati, purtroppo - aggiungo -, nella gestione della missione militare in Afghanistan.
Io credo che dobbiamo dire con chiarezza che si tratta di un uso dello strumento militare non soltanto illegittimo ed arbitrario, connesso alla natura della presenza delle truppe occupanti in Afghanistan, ma addirittura sproporzionato, il quale produce morti tra la popolazione civile ed innesca, altresì, un meccanismo nefasto di alimentazione del conflitto. Anche in questo caso, infatti, gli analisti hanno chiaramente sostenuto che, in tal modo, si instaura un meccanismo che induce ad accettare nuovamente, in tutta la vasta zona abitata dalla etnia pashtun, l'egemonia dei taleban.
Siamo di fronte, in altri termini, ad un processo che rischia di rilegittimare la presenza dei taleban in questa regione decisiva per il destino dell'Afghanistan. Di Pag. 27conseguenza, dal momento che i talebani non esitano ad avvalersi anche della collaborazione e dell'aiuto di gruppi appartenenti ad Al Qaeda, grazie all'uso spregiudicato dello strumento militare da parte della NATO e degli Stati Uniti, sussiste il rischio (ora mai attuale) che l'intera regione venga ridotta ad essere un «serbatoio di riserva» anche delle strategie dei gruppi terroristi.
Credo che la stessa vicenda del giornalista de la Repubblica Mastrogiacomo - cui va la nostra solidarietà, esprimendo l'augurio che possa tornare presto in libertà (poi sentiremo cosa riferirà il viceministro Intini su tale vicenda) - debba essere inserita in un contesto che, come abbiamo visto in Iraq - e qui ci troviamo di fronte al problema della «irachizzazione» dell'area -, vede coinvolti i giornalisti, proprio per l'impatto che tali ostaggi producono nell'ambito della comunicazione mediatica.
Desidero mettere in risalto, proprio di fronte all'inasprimento della situazione e all'escalation del conflitto in Afghanistan, l'importanza dell'impegno assunto dal Governo italiano per organizzare, nei prossimi mesi, una Conferenza internazionale di pace per l'Afghanistan, che mi auguro venga confermato dal voto parlamentare.
Auspico anche, ovviamente, che tale obiettivo venga perseguito, dal Governo italiano e dai ministri competenti con un «di più» di impegno, nonché con la volontà di imprimere una accelerazione. Mi auguro, altresì, che si vogliano ricercare in maniera rapida ed incalzante le alleanze e le disponibilità necessarie, presso tutte le sedi internazionali (l'ONU, l'Unione europea e la stessa NATO), affinché si compia effettivamente un passo importante in direzione della realizzazione di tale obiettivo.
Vorrei aggiungere che la conferma di tale impegno da parte del Governo, nonché la possibilità che il Parlamento sancisca l'assunzione di questa responsabilità attraverso una deliberazione, costituisce la ragione di fondo per la quale il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea voterà a favore della conversione in legge del decreto in esame. Si tratta di una scelta politica e non soltanto, come è accaduto a luglio, di operare per una «riduzione del danno».
Ricordo, infatti, che, in quell'occasione, lavorammo molto a favore di una «riduzione del danno»: mi riferisco alla questione delle regole di ingaggio e dei caveat. Si tratta di una questione sulla quale, anche in questa occasione, intendo comunque formulare alcune considerazioni.
Infatti, nella situazione che ho testè descritto - dominata, come detto, dai comandi statunitensi, i quali non esitano a ricorrere ad un uso spregiudicato e sproporzionato dello strumento militare - non saremmo disponibili, ovviamente, a sopportare che i militari italiani vengano direttamente coinvolti in attività di guerra guerreggiata, come quella cui stiamo assistendo in queste ore. È una guerra, tra l'altro, che - lo ripeto - è assolutamente asimmetrica, tutta a vantaggio delle truppe NATO.
Credo che il complesso degli elementi su cui si è lavorato e su cui il Parlamento e il Governo italiano si sono impegnati in questi mesi - resistendo il Parlamento e il Governo stessi alle pressioni della NATO affinché sostanzialmente i caveat vengano o depotenziati o aboliti e vi sia la massima disponibilità da parte dei comandi della NATO ad utilizzare i nostri militari -, tutta la partita sul depotenziamento o la riqualificazione dell'impegno della cooperazione civile e, soprattutto, il tema della Conferenza internazionale per l'Afghanistan costituiscano un pacchetto che qualifica in maniera totalmente diversa la questione afghana.
Non siamo più, grazie agli emendamenti, alle correzioni, alle discussioni e agli impegni che sono venuti maturando nel tempo, alla riconferma automatica di un impegno preso non si comprende bene come e perché, con quali tempi e con quali finalità, soltanto in ossequio all'appartenenza all'Alleanza atlantica dell'Italia, alla eterodirezione della NATO da parte del Pentagono e ai diktat dell'amministrazione Bush (ripeto: «amministrazione Bush» e non Stati Uniti).Pag. 28
Siamo di fronte non ad una reiterazione pedissequa e automatica del tutto incompatibile con la portata e la natura della vicenda afghana, bensì ad una assunzione di responsabilità forte da parte del Parlamento e del Governo per studiare i modi con i quali uscire da questa vicenda, dal piano militare che sta comportando le tragedie che abbiamo sotto gli occhi, investendo piuttosto bilanci, risorse, uomini e donne in un aiuto effettivo a quel disgraziato paese.
È questo il senso degli emendamenti che abbiamo aiutato ad elaborare, questi sono i motivi che ci spingono al voto, con l'augurio che il risultato parlamentare del voto possa confermare e sollecitare fortemente il Governo verso questa direzione (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Presidente, mentre proseguiamo l'iter del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame, è opportuno chiarire che l'intera linea di politica estera, portata avanti dal Governo Prodi, rischia seriamente di entrare in crisi nei prossimi mesi ancora sull'Afghanistan.
Finora, sia Prodi che D'Alema hanno infatti basato la propria condotta sull'assunto che il territorio afghano sia di fatto diviso in due zone, una relativamente tranquilla e pacifica, dove non si svolgerebbero operazioni di combattimento e dove sono di stanza anche i soldati italiani, e un'altra invece più critica, all'interno della quale i militari statunitensi, britannici, olandesi e canadesi si confrontano ogni giorno con le bande dei talebani e dei loro fiancheggiatori.
Anche a Riga, in ambito NATO, e proprio sulla base di questo assioma, l'Italia ha confermato il proprio impegno a Kabul e a Herat, negando al contempo agli alleati atlantici la rimozione dei limiti geografici posti dal nostro Governo all'impegno dei nostri soldati.
Tale posizione è valsa a preservare un discreto margine di consenso all'Esecutivo, ma l'equivoco sul quale si regge potrebbe essere presto travolto dagli sviluppi sul campo.
In effetti, la guerriglia guidata dai talebani ha iniziato lo scorso 2 febbraio la temuta offensiva di primavera che dovrebbe raggiungere il suo apice tra maggio e luglio. Secondo le indiscrezioni che i capi del movimento estremista NATO hanno fatto trapelare, l'attacco verrebbe condotto questa volta in non meno di sette province afgane, contro le tre che vennero investite nel 2006.
Vi parteciperebbero alcune centinaia di aspiranti terroristi suicidi e migliaia di miliziani islamismi, questi ultimi divisi in formazioni di diverse decine di uomini che assumerebbero il controllo di singoli villaggi e li abbandonerebbero prima del ritorno in forze degli alleati atlantici.
L'obiettivo politico generale pare duplice. Sul piano interno afgano, i talebani vogliono convincere i loro connazionali che il Governo di Kabul sta perdendo terreno invece di guadagnarne mentre, sul piano internazionale, mirano a provocare defezioni tra gli Stati membri della NATO. Le loro probabilità di successo non sono trascurabili, perché è sempre più chiaro che il movimento talebano si giova di importanti sostegni esterni.
Il grave attentato condotto contro la munitissima base aerea di Bargam, alle porte di Kabul, dove soggiornava il Vicepresidente americano, Dick Cheney, è senza dubbio un significativo segnale di allarme, poiché è stato organizzato e portato a termine in un brevissimo arco di tempo in una zona che i militari di Washington presidiavano con grande attenzione.
Da più parti si sospetta che una soffiata dell'intelligence pakistana, durante lo svolgimento della visita a sorpresa resa dal numero due dell'amministrazione Bush al Presidente Musharraf, avrebbe avvertito la leadership talebana dell'imminente visita.
Ancora meno rassicuranti dovrebbero essere per il nostro paese i fatti che si sono svolti nelle ultime tre settimane nel Pag. 29quadrante occidentale dell'Afghanistan, dove le truppe della NATO sono al comando del nostro generale Satta.
Baka, un piccolo villaggio del distretto di Farah, è stato occupato ed abbandonato per ben due volte dai talebani, prima che le truppe occidentali contrattaccassero. Sempre il distretto di Farah è stato inoltre interessato nei giorni scorsi da un attentato suicida, che ha fatto non meno di 2 morti e 40 feriti. Mentre più a nord, a metà strada tra Herat e i confini meridionali del quadrante affidato al nostro comando, proprio in concomitanza con la crisi del Governo Prodi, un ordigno telecomandato ha provocato la distruzione di un veicolo spagnolo facente parte di un convoglio di supporto ai nostri soldati e la morte di una soldatessa di 23 anni.
È significativo che la difesa iberica e quella italiana abbiano fornito visioni differenti dell'accaduto. Secondo Roma le truppe italiane, che gli spagnoli stanno accompagnando e sostenendo, avrebbero fatto parte di un team cosiddetto Cimic, vale a dire di un'unità a composizione mista, militare e civile, con compiti di cooperazione allo sviluppo. Per Madrid, invece, il convoglio colpito avrebbe appoggiato un nucleo delle forze speciali italiane che stavano svolgendo una delicata missione addestrativa. La differenza non è da poco! Verosimilmente, la versione spagnola è più veritiera di quella del nostro paese e, se le cose stanno così, l'immagine complessiva che inizia ad emergere è quella di un impegno militare italiano sempre più orientato verso le zone che rischiano maggiormente di subire gli effetti della probabile offensiva talebana.
Gli analisti militari italiani - da Fabio Mini a Gianandrea Gaiani - osservano che il nostro contingente con base ad Herat non è armato come si dovrebbe; ad esempio, mancano i mezzi blindati e una copertura aerea degna di questo nome. Non si sta facendo nulla per rinforzare il dispositivo, mentre molti contingenti di altri paesi stanno mandando in Afghanistan anche i carri armati. I rischi di attacchi letali aumentano di giorno in giorno nell'indifferenza generale.
Prodi, D'Alema e Parisi ostentano ottimismo, ma la verità è che il 2007 potrebbe essere veramente l'anno della svolta per l'Afghanistan. Da un lato, i talebani cercano la loro vittoria, dall'altro, la NATO persegue un successo decisivo che somiglia molto da vicino a quello vanamente chiesto da Gorbaciov all'armata rossa nel lontano 1985.
Oggi come allora, infatti, i contingenti stranieri inviati in Afghanistan si trovano all'apice della loro forza. L'insuccesso dei sovietici spianò la strada alla vittoria dei mujaidin; occorre evitare, dunque, che la storia si ripeta. Per gli uni potrebbe rivelarsi molto importante anche solo produrre la defezione dal conflitto dell'Italia o della Spagna, mentre per l'Alleanza atlantica è imperativo non perdere terreno.
Da qui le insidie. L'attacco talebano contro di noi non può essere escluso perché è potenzialmente ad elevatissimo rendimento: porterebbe il conflitto nella nostra area di competenza compromettendo la linea finora sostenuta pubblicamente dal Governo Prodi e forse obbligando il nostro paese a lasciare l'Afghanistan.
D'altra parte, anche la NATO ci chiede di fare di più. Siamo nel mezzo e, in guerra, questa non è mai una buona cosa! Nel frattempo, sviluppi potenzialmente interessanti si sono manifestati anche nella regione del golfo persico.
Gli Stati Uniti hanno adottato da gennaio una strategia decisamente aggressiva nei confronti delle milizie sciite, sostenute da Teheran, che imperversano nelle regioni centrali e meridionali dell'Iraq.
Sono poi accaduti diversi e strani fatti all'interno del territorio della repubblica islamica, nell'ambito del quale i pasdaran, cari al presidente Ahmadinejad, hanno subito almeno tre attentati terroristici nelle zone iraniane popolate dai curdi.
Probabilmente in Iran sono entrati agenti americani che starebbero lavorando alla destabilizzazione del regime attraverso la modifica degli equilibri politici interni al sistema, anche se non è chiaro con che tipo di successo.Pag. 30
Ahmadinejad, comunque, non è tranquillo: per questo motivo egli sembra più disponibile a trattare almeno riguardo all'Iraq.
Una conferenza diplomatica ad alto livello riunirà americani, iracheni, siriani e iraniani; in quella sede Washington valuterà l'atteggiamento che il regime di Teheran intende assumere nei prossimi mesi. Si chiarirà se le pressioni sono state sufficienti od occorrerà, invece, aumentarne ulteriormente la dose. Nel frattempo, Ahmadinejad ha visitato anche Riad, la capitale che ha determinato, più di ogni altra, il recente capovolgimento delle alleanze etnico-confessionali strette dagli Stati Uniti in Iraq.
L'opinione pubblica iraniana internazionale teme che il presidente Bush voglia scatenare una guerra contro l'Iran entro il 2008 per arrestarne il programma nucleare. L'ipotesi non è ancora del tutto realistica, ma gli americani si stanno dando da fare perché il maggior numero di persone creda all'eventualità di un attacco. Il fatto stesso che l'opzione militare sia stata per la prima volta gettata sul terreno prova che qualcosa è cambiato nell'approccio di Washington all'intero dossier. Le minacce danno forza, infatti, ai negoziatori: vedremo dove e su quali basi il compromesso verrà raggiunto.
Mi voglio poi soffermare su alcuni aspetti della politica estera che sembrerebbero essere scollegati da questo provvedimento, ma che invece, per diversi motivi che analizzeremo in seguito, in qualche modo dovremmo affrontare al più presto.
Mi riferisco soprattutto a Putin e al comportamento della Russia sempre più lontana dall'Occidente.
In molti settori del sistema politico del nostro paese si tende ad immaginare la Russia come fosse ancora dominata da élite che guardano agli Stati Uniti e ai paesi dell'Unione europea come modelli cui ispirarsi per modernizzare lo Stato e l'economia. Purtroppo non è più così ed è probabile che il nuovo corso della politica estera russa finisca, prima o poi, per diventare un ulteriore terreno di scontro per il nostro paese, l'Europa e l'America stessa. A Mosca, infatti, prevalgono adesso nuove e vecchie concezioni che considerano la Russia come una potenza strutturalmente antagonista all'Occidente e si auspica la saldatura di un grande blocco bicontinentale di contenimento degli Stati Uniti.
La visione che molti hanno - soggetti appartenenti sia al centrosinistra sia al centrodestra - è invece ancora quella che venne veicolata a suo tempo da Berlusconi, il quale trasse profitto dalla convergenza di interessi stabilitasi tra Mosca e Washington nell'ambito della lotta al terrorismo internazionale per giocare, in chiave antitedesca e antifrancese, la carta del rafforzamento dei rapporti bilaterali sia con l'America sia con la federazione Russa.
Il culmine di quella politica fu senz'altro rappresentato dal vertice atlantico di Pratica di Mare, che sfociò nel consiglio congiunto NATO-Russia del 28 maggio 2002.
Washington combatteva il jihadismo internazionale e Putin era riuscito ad agganciare anche i ceceni al nutrito novero dei nemici dell'Occidente: ora, però, le cose sono cambiate.
La strategia dell'abbraccio fra il nostro paese, l'America e la Russia ha definitivamente ceduto il campo ad un nuovo disegno politico, di cui soltanto adesso iniziano a chiarirsi i contorni.
Per isolare il suo paese da possibili moti rivoluzionari, Putin ha innanzitutto restaurato la cosiddetta verticale del potere, stroncando preventivamente qualsiasi tentazione autonomista o liberale che poteva sorgere in alcune repubbliche federate più esterne. In questo modo, la Russia è stata impermeabilizzata rispetto ad ogni ipotetico tentativo di destabilizzazione condotto attraverso fondazioni ed organizzazioni non governative appoggiate dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei.
Ristabilita l'influenza di Mosca, la federazione russa ha iniziato ad usare l'energia - Gazprom - manipolando i prezzi delle forniture per indurre a più miti consigli i governi della Georgia e Pag. 31dell'Ucraina e, successivamente, stringendo importanti accordi con i principali Stati europei che ora dipendono, in misura significativa, dal metano russo.
I risultati colti da Putin, da tale punto di vista, sono stati sensazionali; la rivoluzione arancione è stata rapidamente rovesciata dal momento che oggi, a Kiev, comanda Yanukovich, divenuto Primo ministro; si tratta proprio del candidato filorusso che era stato sconfitto alle ultime presidenziali da Victor Yushchenko.
A Tbilisi, invece, il tentativo promosso dal presidente georgiano di recuperare il controllo dell'Ossezia del sud servendosi della NATO è naufragato miseramente. Dunque, la controffensiva di Mosca si è sviluppata anche in Asia centrale, regione nella quale l'influenza americana è diminuita sensibilmente negli ultimi due anni dopo l'espulsione militare statunitense dall'Uzbekistan e nella quale, inoltre, la presenza europea non è mai stata notevole, a dispetto delle ingenti risorse energetiche ricevute.
La suddetta controffensiva ha più recentemente raggiunto il Medio Oriente, il Sudamerica e l'Africa dove i russi sono tornati a farsi vedere dopo quasi venti anni di assenza. Soldati della Federazione russa si sono visti in Libano dopo il conflitto della scorsa estate; si trattava di alcune centinaia di ingegneri, ma il senso della novità politica è rilevante se si pensa ai trascorsi di Mosca nella regione. Tecnici russi assistono, inoltre, gli iraniani nel tentativo di sviluppare un programma nucleare nazionale e forse, in futuro, faranno altrettanto con i sauditi. Missili antiaerei di buona qualità sono stati infine venduti tanto agli iraniani quanto ai venezuelani.
In sintesi, la diplomazia russa si è riproposta nella collocazione globale antagonista propria di quella sovietica seppure, questa volta, senza copertura ideologica; naturalmente, un ritorno al vecchio ordine bipolare è improbabile, stante l'apparizione sulla scena internazionale dei giganti asiatici. Si ha piuttosto l'impressione che la Russia si stia candidando ad essere uno dei maggiori centri di potenza sui quali verrà costituito l'ordine internazionale.
A seconda dei teatri interessati dalla politica di Mosca, l'azione russa sarà prevalentemente antiamericana o anticinese; evidentemente, in Asia centrale la partita che conta è ormai quella con Pechino, seppure non manchino le situazioni nelle quali russi e cinesi cooperano attivamente in vista del comune obiettivo dell'allontanamento degli americani dal cuore dell'Eurasia. In Europa, invece, la competizione è chiaramente con Washington.
Ciò detto, ritengo dunque che, al di là del fatto che non si possa in alcun modo abbandonare una politica filoatlantica collocata all'interno della NATO, il nostro Parlamento si debba preparare per tempo a gestire la propria politica estera al fine di garantire gli interessi del nostro paese sotto i profili sia della sicurezza sia della crescita economica.
PRESIDENTE. Deve concludere...
FEDERICO BRICOLO. Come si può capire, gli scenari sono complessi ed in continua evoluzione. Tuttavia, noi della Lega Nord riteniamo che in politica estera non si possa più sbagliare. È dunque bene riflettere prima di prendere qualsiasi decisione; avremo tempo per farlo nelle sedi opportune, nelle Commissioni affari esteri di Camera e Senato. E lo possiamo fare assieme (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. La Presidenza e l'Assemblea salutano gli alunni ed i docenti del liceo scientifico Allegretti di Vignola, in provincia di Modena, e dell'Istituto comprensivo di Atina, in provincia di Frosinone (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che questa occasione sia importante anche per riassumere alquanto il percorso che in questi nove mesi ha caratterizzato l'indirizzo di politica estera del Governo Prodi.Pag. 32
Partirò dal concetto di continuità e discontinuità.
Il Governo Berlusconi, con grande impegno e credibilità, ma anche con grande determinazione e capacità, ha perseguito una linea di politica estera che ha fatto crescere il nostro paese rafforzando la nostra "riferibilità". Soprattutto, ha ottenuto il riconoscimento della crescita del nostro paese quanto a politica estera e di difesa. Una politica che ha salvaguardato sempre e in ogni caso, dovunque abbia trovato applicazione, non solo il dettato della nostra Costituzione ma anche e soprattutto i principi di cooperazione e quelli umanitari. Principi che hanno concretizzato, nei territori difficili e complessi afflitti dalla guerra, la possibilità di realizzare un'alternativa progettuale. Era necessaria un'alternativa progettuale che guardasse alla crescita delle istituzioni, a processi di avvio della democrazia, a libere elezioni in sistemi che hanno vissuto la dittatura, la violenza ed il terrore. Era necessaria un'inversione di tendenza per ridare la speranza a popoli in cui gli uomini e le donne, condannati, fino ad allora, all'emarginazione, alla povertà ed al degrado culturale, non potevano essere considerati cittadini. Tutto ciò è stato fatto mediante provvedimenti che hanno preceduto l'avvento del Governo Prodi. In particolare, l'uscita graduale dalla missione in Iraq era già stata decisa dal ministro Martino e dal Governo Berlusconi.
Ebbene, il Governo Prodi comincia il suo percorso rivendicando di avere impresso alla missione in Iraq un'inversione di tendenza. Ciò ha consentito al ministro degli esteri D'Alema ed a Prodi di affermare reiteratamente che è stata realizzata una discontinuità rispetto alla politica estera del precedente Governo. Colleghi, io vi invito a riflettere su un dato. In questi nove mesi, non avete mai parlato di politica estera, ma sempre di politica interna, dei rapporti all'interno di una maggioranza che è divisa, che non è pronta - così come non lo era al momento delle elezioni - ad assumersi la responsabilità di dare a questo paese una continuità dai punti di vista del senso di responsabilità e della credibilità. Tutto questo è fallito!
Il vostro fallimento diventa ancora più grave nel momento in cui il presidente della Camera, Bertinotti, mutuando una locuzione molto di moda in questi giorni, parla della necessità di maggioranze variabili. Comprendiamo la necessità, per il presidente Bertinotti e per il suo partito, di non essere costretti continuamente ad espellere deputati onesti, trasparenti e coerenti rispetto al consenso che hanno ottenuto. Comprendiamo la necessità di dare giustificazione ad un'opposizione interna alla maggioranza, ma non vogliamo assolutamente coprire questo tipo di atteggiamento: noi non siamo disponibili in alcun modo a realizzare maggioranze variabili che tendano a sostenere un Governo che non ha più maggioranza!
Per quanto concerne le missioni internazionali, noi siamo sempre stati convinti - e continuiamo ad esserlo - che le missioni di pace guardano all'obiettivo di dare ai popoli la libertà, la speranza che non ne sia decretata in anticipo la «morte» e che la loro crescita non dipenda dalle decisioni di chi si identifica con il male, con il terrore. Non dimentichiamo l'11 settembre! Non dimentichiamo i morti di Nassiriya (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)! Evitiamo che i nostri valori, la nostra bandiera e la nostra identità vadano dispersi!
Allora, colleghi, proviamo a riflettere seriamente sui problemi reali e proviamo a calarci nella realtà odierna dell'Afghanistan. Proprio ieri, vi sono stati altri morti tra i civili. In un teatro d'azione sicuramente difficilissimo, noi avevamo avviato un progetto basato sulla cooperazione civile - è questa l'unica possibilità effettiva - del Ministero degli esteri e sulla necessità di attuare progetti in tale campo (e le necessità, in quel paese, sono tantissime). Come si fa ad accettare che, in questa fase, non vi sia alcuna destinazione di risorse per tali progetti? Come si può sbandierare la discontinuità, quando i nostri militari sono lasciati senza possibilità di tutela e di garanzia? Abbiamo veramente Pag. 33capito quale situazione difficile, complessa, esiste in Afghanistan oggi?
Pensiamo ai talebani, ai signori dell'oppio... E qui apro una parentesi: voi volete legittimare un traffico che è sicuramente illecito e illegittimo; voi volete legittimare la possibilità che i soldi che derivano da queste forniture vadano poi a sostenere i terroristi e i talebani!
Voi volete sostenere l'80 per cento della produzione mondiale di oppio, che alla fine viene realizzata per un motivo solo: per far sì che, per quel popolo, quella condizione, quella miseria non abbia alternativa; per far sì che la formazione, la scolarizzazione, la possibilità di un'istruzione, la possibilità di aprire gli occhi, vengano minate per sempre, così come lo sono continuamente in quel territorio!
Noi non possiamo e non vogliamo sottacere questi aspetti, noi non possiamo e non vogliamo certamente dimenticare che abbiamo un compito, un compito importante, così in Afghanistan come in Libano, così come in tutte le altre parti del mondo.
Qui va il nostro apprezzamento a quegli uomini coraggiosi, a quegli uomini impegnati, a quegli uomini che vestono la divisa, a quegli uomini che sicuramente portano avanti progetti civili; a loro va il nostro apprezzamento, per il coraggio, per la responsabilità e per l'impegno che ancora di più oggi devono sostenere, nel momento in cui non sono sostenuti a loro volta da un Governo che dia loro certezze, da un Governo che in maniera unitaria parli lo stesso linguaggio, da un Governo che possa conferire un senso ad una valutazione che riguarda soprattutto l'essere in qualche modo convinti che la nostra battaglia non può avere cedimenti.
Il sistema del terrore di Al Qaeda, dei talebani, oggi legato a quello dei trafficanti di oppio, va smantellato, ma come fare? Va smantellato inserendosi nel contesto legislativo di quel paese, inserendosi nel tessuto sociale, culturale ed economico di quel paese e rendendo finalmente concreta la possibilità che due popoli straordinari, come quello di Israele e quello della Palestina, non vengano fagocitati e sostenuti a loro volta - sicuramente in maniera ormai pericolosissima - da altri stati, come l'Iran.
Cosa fa il Governo Prodi, che parla tanto di attivazione e di diplomazia, che parla tanto della necessità di cooperazione, nel momento in cui si reca in quei territori e va a braccetto con gli esponenti di Hezbollah? Va a trovare i terroristi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)! Va a fomentare situazioni che sicuramente poi, in qualche modo, trovano riscontro nelle piazze, nel momento in cui vengono bruciate le divise, nel momento in cui risuonano inni del tipo «dieci, cento, mille Nassiriya»! Questa è la politica estera che questo paese può avere!
Io so che tali parole infastidiscono, perché voi vorreste anche la maggioranza variabile rispetto a questa vergogna.
Noi non ve la daremo mai, mentre convintamente, non per dare un sostegno a questo Governo, ma per marcare la differenza rispetto ad esso, cercheremo di realizzare le condizioni per procedere ad approfondimenti e valutazioni nel corso del dibattito. Ecco perché abbiamo chiesto che quell'articolo che avete inserito oggi in questo provvedimento, venga modificato.
Ecco perché noi non vogliamo che il rifinanziamento sia disposto per la durata di un anno: perché vogliamo discutere nell'aula, vogliamo discutere nel paese; non vogliamo, anche in questo caso, darvi l'opportunità di fare a meno per un anno della necessità di capire, anche al vostro interno, cosa pensate nell'interesse del paese e di delineare conseguentemente una politica estera per il paese (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signora Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea è certamente di grande importanza, anche se per gran parte dei suoi articoli è assolutamente identico rispetto a tutti i provvedimenti precedenti di Pag. 34progressiva e temporanea azione riferita al rifinanziamento delle missioni internazionali militari, che il nostro paese ha intrapreso in tempi diversi.
Per alcune di queste missioni ormai si risale addirittura a decine di anni, mentre altri provvedimenti di questo tipo sono stati avviati, in particolare, nella scorsa legislatura. Quello al nostro esame ha come unica vera differenza la validità in termini temporali. Infatti, come sanno bene i colleghi che hanno esaminato questo testo nelle Commissioni riunite esteri e difesa, ci troviamo di fronte ad un decreto-legge, che autorizza la proroga della missione per il solo anno in corso, ossia il 2007.
Al di là di questa differenza e del fatto che non è naturalmente più contemplata la parte militare riferita alla missione in Iraq, di cui nell'ultimo provvedimento adottato dal Governo Berlusconi era stata preannunciata una progressiva conclusione, a cui invece si è arrivati in fretta e furia, perché così imponevano le pagine della famoso megaprogramma dell'Unione, ma è evidentemente compreso il prolungamento delle voci riferite alla iniziata missione in Libano, tutto il resto è sostanzialmente identico.
Vi sono stati, tuttavia, alcuni di tentativi di inserimento di determinate parti, abortiti nel corso dell'esame da parte delle Commissioni riunite. Si parla di ordini del giorno che sono stati presentati, che sono stati successivamente ritirati e che potrebbero essere riproposti al termine dell'esame dell'articolato.
Sono proprio questi gli elementi che contraddistinguono, in maniera estremamente negativa, la cornice in cui si inserisce la discussione di questo ramo del Parlamento su un provvedimento fondamentale, perché riguarda la dignità della nostra patria, il mantenimento degli impegni internazionali assunti da diversi governi in tempi diversi, ma con uno stesso senso di responsabilità e che oggi vengono messi quotidianamente in discussione proprio da quella che dovrebbe essere la maggioranza che sostiene il Governo Prodi.
Credo che ormai non sfugga ad alcuno che non vi è condivisione sulle linee di politica estera di questo Governo da parte di quella che dovrebbe essere la sua presunta maggioranza. Ciò è stato palesemente, ampiamente, clamorosamente dimostrato nel corso della discussione sulle linee di politica estera avvenuta al Senato della Repubblica, che si è conclusa, come sappiamo bene, con il voto negativo di alcuni senatori, che invece dovrebbero sostenere questo Governo e questa maggioranza.
Al di là della clamorosa bocciatura che era avvenuta precedentemente sulle linee di politica di difesa (guarda caso, sulla summa di tutto ciò che dovrebbe essere ispiratore di questo provvedimento in esame: la politica estera e la politica di difesa, ancora più enfatizzate, perché sintetizzate in un'unica grande questione riferita alla partecipazione italiana a molte missioni internazionali, militari ed umanitarie!), credo che la situazione nella quale ci troviamo a discutere il provvedimento oggi sia surreale.
Siamo di fronte a questa continua riproposizione di balletti da parti di gruppi o di esponenti di gruppi di quella che ormai viene chiamata un po' eufemisticamente la sinistra radicale, che in realtà è sinistra estrema, comunista, perché sostanzialmente e prevalentemente costituita da due gruppi parlamentari, che hanno questo aggettivo nel proprio nome, nella propria definizione politica. Continuiamo ad assistere a questi balletti vergognosi - perché purtroppo di ciò si tratta - riguardo alla gestione reale della politica estera e di quella di difesa.
L'iter di questo provvedimento è già caratterizzato proprio da questa situazione surreale. Molti colleghi hanno già ricordato, sia in sede di discussione sulle linee generali, sia in questi primi interventi sul complesso degli emendamenti, che abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a questo gioco delle parti, per cui il Governo, nella persona dei ministri della difesa e degli affari esteri, cerca quotidianamente di inventarsi qualche espediente, qualche palliativo, qualche carota da buttare Pag. 35ai gruppi dell'estrema sinistra affinché questi ne possano far uso come giustificatori del loro atteggiamento, che vorrebbe essere contrario, ma non può esserlo altrimenti il Governo ancora una volta dimostrerebbe la sua totale inaffidabilità in termini di politica estera.
Abbiamo assistito a questi espedienti, per certi versi ridicoli e puerili se non fossero per altra ragione tragici, come quello dell'inserimento nel corso dell'esame parlamentare della scandalosa previsione di attività di acquisizione ufficiale di oppiacei e sostanze stupefacenti prodotte nel territorio afgano, che, come è noto a tutti, è gravato da questa situazione pesantissima perché gran parte dell'economia di quel paese devastato è ancora basata sul commercio e sulla coltivazione di queste sostanze. Erano stati presentati e approvati emendamenti che prevedevano un impegno da parte dello Stato italiano all'acquisizione di parte di queste produzioni per dei fantomatici e non meglio precisati utilizzi terapeutici.
Al di là di tutte le discussioni più volte riproposte quando si è parlato delle questioni inerenti la lotta agli stupefacenti o la collaborazione alla diffusione degli stupefacenti, come per altri versi è più congeniale ad alcuni gruppi del centrosinistra, è chiaro che non si può neanche ipotizzare che uno Stato facente parte della comunità internazionale, che dovrebbe essere uno dei principali fautori della rinascita dell'Afghanistan nelle sue forme più democratiche e più meritevoli di apprezzamento, possa diventare una specie di ricettatore legalizzato di sostanze, il cui uso non può che essere illecito.
Si è poi parlato della previsione di un'altrettanto fantomatica conferenza di pace, sempre sull'Afghanistan, il tema su cui si concentra maggiormente l'attenzione nell'ambito della sedicente maggioranza. Non si capisce bene da chi e come dovrebbe essere organizzata, quali attori dovrebbero parteciparvi. Generalmente le conferenze di pace si promuovono tra gli stati della comunità internazionale, fra parti contrapposte, quando vi sono frazioni o stati che si trovano su fronti contrapposti, per evitare di precipitare in conflitti bellici o per risolvere, interrompere o promuovere il cessate il fuoco. Naturalmente queste conferenze possono essere organizzate avendo le parti in conflitto quantomeno l'intenzione di parteciparvi.
Vorremmo capire, perché non mi sembra che sia stato sufficientemente indicato, chi dovrebbe partecipare a questa fantomatica Conferenza per la pace in Afghanistan. Certamente dovrebbero farlo tutti gli stati che fanno parte della vasta alleanza autorizzata dall'ONU per la guerra al terrorismo internazionale, ma saranno invitati anche gli esponenti del terrorismo di Al Qaeda, che sarebbe una controparte in questa sorta di ricerca della pace in un conflitto, piuttosto che i capi dell'organizzazione talebana, altra sorta di controparte in questa non meglio identificata e fantomatica ricerca della pace? Quest'ultima non può sicuramente essere individuata in una Conferenza unilaterale, altrimenti si farebbe un altro tipo di appuntamento internazionale e si creerebbero le premesse - come, invece, sarebbe assolutamente necessario - ad esempio per promuovere delle iniziative più efficaci per il miglioramento e la sostituzione di quelle vaste coltivazioni di oppiacei con altri tipi di produzioni.
L'Italia e questo Governo in questo senso hanno giustamente vantato l'importanza di essere attualmente membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Un'iniziativa che potrebbe veramente caratterizzare il nostro paese e la sua azione diplomatica e politica a livello internazionale sarebbe quella di una forte promozione a livello internazionale di nuove iniziative, oltre a quelle che già sono state assunte, in ordine alla sostituzione delle coltivazioni di oppio illegale in Afghanistan con altre produzioni legittime. Ci troviamo viceversa a questa indicazione, che poi trova qualche aspetto quasi comico se, ripeto, non fosse tragico.
Infatti, per trovare il modo di far risultare l'indicazione della successiva promozione della Conferenza internazionale di pace sull'Afghanistan si stabilisce uno Pag. 36stanziamento per farla rientrare nel decreto, che altrimenti non avrebbe potuto contemplare questa situazione, atteso che si tratta di un decreto di rifinanziamento e di proroga di missioni esistenti. Allo stesso modo abbiamo trovato altre situazioni molto poco commendevoli, che pare saranno riproposte attraverso ordini del giorno, in quanto successivamente soppresse tramite emendamenti proposti dagli stessi relatori, che in precedenza avevano evidentemente ritenuto di accogliere queste proposte emendative, che, come si è poi verificato, non potevano stare dignitosamente all'interno del provvedimento.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 15,45)
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Tutta questa serie di palliativi e di «zuccherini» lanciati dall'altra parte sono accolti dagli stessi destinatari come gli strumenti attraverso i quali poter sostenere, essendo tutti ben consci della finzione che questo comporta, l'estrema discontinuità che caratterizzerebbe a questo punto la politica estera e di difesa del Governo Prodi rispetto a quelli precedenti.
Tutto questo è un vero infingimento perché, al di là delle questioni riferite all'Iraq su cui ci siamo molti divisi, per tutto il resto le missioni rispetto a prima continuano con le stesse modalità e sostanzialmente con le stesse configurazioni in termini anche quantitativi - quindi, di risorse economiche destinate - e poco può cambiare l'inserire qualche citazione in più, qualche decina o centinaia di migliaia di euro in più, riferite all'ambito della cooperazione piuttosto che a quello umanitario, per svolgere un'azione di cosmesi, quasi a voler far sembrare che si tratti di tutt'altra cosa.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Tutto ciò è ancora la riproposizione della situazione nei termini drammatici nei quali ci troviamo, in cui il Governo in carica non dispone di una propria maggioranza autonoma in politica estera e si trova nella necessità - che certamente verrà dai banchi del centrodestra perché in questo caso la continuità è evidente nell'azione quotidiana rispetto a quella precedente - di acquisire voti favorevoli a questo provvedimento.
Noi vogliamo vedere che cosa accadrà nelle prossime ore non soltanto presso il Senato della Repubblica, ma anche in quest'Assemblea, quando bisognerà votare su alcuni punti. Allora, vedremo quale sarà la tenuta di questa maggioranza, per quanto essa sia ampia, grazie al premio che ha conseguito.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà.
MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, dopo la caduta del Governo Prodi, avvenuta qualche giorno fa proprio su questioni di politica estera e di difesa, la discussione che ci impegna quest'oggi, relativa alla conversione in legge del decreto-legge di proroga dei finanziamenti per le missioni militari italiane all'estero, assume un carattere del tutto particolare. Infatti, all'interno del provvedimento è stata mimetizzata nel miglior modo possibile - se ne capisce anche il motivo - la disposizione relativa al rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, che si trova su quel territorio sotto l'egida dell'ONU e della NATO.
Dico subito che noi ci siamo impegnati a sostenere tale missione. È noto, infatti, che la nostra posizione sarà quella di un voto favorevole al rifinanziamento, innanzitutto perché l'Afghanistan rappresenta una priorità assoluta nell'agenda di qualsiasi paese europeo impegnato con militari e mezzi civili in quel teatro difficilissimo. Credo, tuttavia, che in nessun altro Stato europeo la discussione attorno a questa priorità abbia assunto i toni, anche surreali, che ha assunto, invece, a casa nostra.
Noi esprimeremo, quindi, voto favorevole, soprattutto per quel senso di responsabilità che sempre ci ha fatto esprimere a favore quando si è trattato di inviare Pag. 37personale militare italiano all'estero. Tale senso di responsabilità - lo dico con molto rammarico - appartiene soltanto a questa parte dell'Assemblea. Nel passato, abbiamo visto come su questioni analoghe - con riguardo non soltanto all'Iraq ma anche all'Afghanistan - l'opposizione di allora, che oggi costituisce la cosiddetta maggioranza, abbia sempre espresso voto contrario.
La nostra discussione, tuttavia, si svolge sotto una triplice incognita. La prima di esse è costituita dalla sorte del nostro connazionale Daniele Mastrogiacomo, del quale si sono perse le tracce da oltre 48 ore. Questa circostanza ci causa una grande ansia perché sappiamo che in genere - speriamo che non sia così - la mancanza di notizie da un paese come l'Afghanistan è un segnale estremamente negativo.
La seconda incognita, evidentemente, è costituita dalla discussione all'ordine del giorno del dibattito politico interno. Si tratta non tanto di quanto avverrà in questo ramo del Parlamento, ma di quanto accadrà al Senato in relazione al rifinanziamento delle missioni internazionali. Si potrebbe assistere, infatti, ad una specie di sortilegio - assolutamente negativo, nella nostra ottica - per il quale i nostri «pesanti» voti di responsabilità potrebbero entrare a far parte di quelle maggioranze variabili di cui molti parlano, quasi per esorcizzare un fantasma che non c'è e che non può essere sostituito: mi riferisco al fantasma della autosufficienza della maggioranza, la quale non è autosufficiente sui temi della politica internazionale, della difesa, delle pensioni e su molti altri argomenti importanti. Noi siamo, quindi, sotto questa incognita, cioè che i nostri voti possano essere considerati sostitutivi dei voti di una maggioranza assolutamente labile su argomenti di massima serietà e di massima urgenza.
La terza incognita è la sottovalutazione costante della gravità della situazione del teatro afghano. Secondo le valutazioni del centro di studi strategici di Londra, un centro di grande prestigio, l'area di intervento dei talebani è aumentata di quattro volte negli ultimi mesi e, quindi, si può in qualche modo affermare che vi sono intere parti dell'Afghanistan sotto il ricatto costante delle rinnovate fazioni dei talebani, alleate, di volta in volta, con ciò che rimane di Al Quaeda, con i terroristi mandati dal vicino Waziristan e con estremisti di ogni sorta e di ogni colore. Costoro hanno fatto del teatro afghano una sorta di tiro al bersaglio, in alleanza - ben inteso - con i signori della guerra e della droga, per cercare di scoraggiare la presenza dei militari sotto l'egida della NATO.
Gli attacchi, sempre secondo queste stime, sono passati da 1.347 del 2005 ai 3.824 dello scorso anno. Gli attacchi dei kamikaze - quest'arma assolutamente micidiale della cosiddetta «guerra asimmetrica» - sarebbero passati dai 18 del 2005 ai 116 del 2006. Gli attacchi contro le Forze armate afghane sono aumentati del 300 per cento, mentre quelli contro le truppe NATO sarebbero aumentati del 270 per cento.
Riferisco questi dati soltanto per ricordare alcune delle considerazioni più preoccupanti relative ad un teatro di guerra non dichiarata, ma in continua espansione, che dovrebbe culminare con la cosiddetta offensiva di primavera e che vede quotidianamente sferrare attacchi non soltanto nella base di Bagram, qualche giorno fa, ma anche contro le postazioni degli americani della missione Enduring freedom e contro la postazione italiana di Herat - per fortuna, con conseguenze molto lievi - che rappresentano, in realtà, una minaccia molto pesante. Per non parlare delle risposte da parte delle truppe militari, che hanno provocato deprecabilmente numerosi morti civili tra gli afghani, anch'essi vittime soprattutto della tecnica terroristica dei kamikaze.
Queste cifre dovrebbero farci riflettere. Infatti, sul teatro afghano, che rappresenta, dal punto di vista dell'estensione territoriale, un paese più grande dell'Iraq, sono presenti 30 mila militari inquadrati sotto il comando della NATO e 12 mila militari americani inquadrati sotto la sigla Enduring freedom. La comparazione di questi dati con i 162 mila militari delle Pag. 38forze multinazionali presenti in Iraq rappresenta, in modo drammaticamente chiaro, la sottostima e la sottovalutazione costante della vicenda dell'Afghanistan.
Si aggiunga a tutto questo anche la debolezza intrinseca e ovvia del Governo centrale e quella di un'economia afghana che si è sì risollevata dopo trent'anni di guerra guerreggiata e di guerra civile e di devastazione, ma che è sottomessa all'imperio di un'economia che si basa soprattutto sulla produzione e sul traffico di oppio.
Mancano, evidentemente, anche delle strategie viabili e credibili. Infatti, le strategie che riguardano i programmi di sradicamento dei campi di oppio sono lunghe e costose, e ancora non hanno trovato un approccio sistemico. Sono strategie che, probabilmente, necessiteranno di un lunghissimo periodo per ottenere quanto meno dei primi timidi risultati.
A fronte di questo scenario, francamente molto inquietante e grave, il Governo, al fine di cercare di ottenere la mitica chimera dell'autosufficienza in politica internazionale, ha deciso di «fare ammuina» per quello che riguarda le ali estreme della sua barcollante maggioranza, mentre contemporaneamente fa la faccia feroce nei confronti degli Stati Uniti. Ancora oggi campeggiano su tutti i giornali italiani le parole molto serie e gravi che avrebbe pronunciato il nostro ministro degli affari esteri nei confronti della risposta militare contro gli attacchi kamikaze sul teatro afgano.
Inoltre, da quanto si apprende, il Governo vorrebbe approvare un ordine del giorno assai improbabile sull'acquisto dell'oppio da parte di organismi ufficiali, che potrebbe essere una sorta di panacea, l'uovo di Colombo, per arrivare ad una soluzione accettabile (non si capisce francamente da quale punto di vista). Non sto facendo del moralismo su un Governo che dovrebbe diventare il principale cliente e distributore di materiale illegale; ne faccio semplicemente una questione di opportunità. Mi sembra che l'opportunità, in questa materia, manchi totalmente da ogni punto di vista.
Ulteriore questione: il Governo ci apparecchia una non meglio precisata (ancora ad oggi) Conferenza di pace, la password attraverso cui spera di ottenere i risicati voti necessari al Senato della Repubblica. Intendiamoci: nessuno di noi può essere contrario ad una Conferenza di pace, ma vorremmo capire meglio di cosa si tratta esattamente, sempre che si tratti di qualcosa di sostanziale.
Ci sono state, fino ad oggi, tre Conferenze internazionali che hanno visto sedere intorno ad un tavolo la comunità dei donatori e le agenzie dell'ONU. La prima si è svolta a Tokio nel gennaio 2002, la seconda si è svolta a Berlino nel 2004 e la terza si è svolta a Londra (l'Afghanistan Compact) proprio alla fine di marzo dell'anno scorso, praticamente un anno fa.
L'Italia, quando nell'ambito di queste Conferenze è stata rappresentata dal precedente Governo, ha sempre orgogliosamente mantenuto i propri impegni, sia dal punto di vista sostanziale (per quanto riguarda il contributo civile e umanitario di cui quel paese ha ancora un disperato bisogno) sia quando, in altre sedi analoghe, si è trattato di mantenere il nostro impegno militare.
La verità è che, contrariamente a quello che sembrerebbe, si è usata la lesina nei confronti dell'Afghanistan. Avremmo dovuto investire molto di più, anche se l'Italia è uno degli Stati che hanno maggiormente contribuito alla rinascita di quel paese. Siamo fra i maggiori paesi donatori, abbiamo assunto la leadership per la ricostituzione di un sistema giudiziario che evidentemente era definitivamente collassato sotto il regime dei talebani, abbiamo compiuto una serie di sforzi molto preminenti, che andrebbero rinnovati, rafforzati e finanziati in modo assai più generoso rispetto a quanto viene proposto con questo provvedimento.
Tali sforzi sono necessari, infatti, per mantenere in piedi il fragile edificio della prima apparizione della democrazia in un paese che in realtà non l'ha mai conosciuta, per combattere il narcotraffico e soprattutto la produzione dell'oppio. Tale sostanza trova infatti sbocco sul teatro Pag. 39europeo ed il 90 per cento della produzione in Afghanistan - primo produttore di oppio al mondo - viene poi distribuito sullo scenario europeo.
PRESIDENTE. Onorevole Boniver, la prego di concludere.
MARGHERITA BONIVER. Inoltre, questi sforzi sono necessari per rilanciare economicamente ed a breve la sopravvivenza di questo paese.
Pertanto, chiediamo maggiori rinforzi militari, più aiuti economici e maggiore propensione a prendere sul serio l'Afghanistan e a non farlo diventare una sorta di chimera.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.
RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza Nazionale, come altri gruppi dell'opposizione, ritiene opportuno che questo provvedimento, oggi alla nostra attenzione, sia corroborato da un confronto significativo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 16,05)
RICCARDO MIGLIORI. Infatti, in questo decreto legge sono riunificate non solo simbolicamente, ma anche concretamente, tutte le missioni di natura internazionale che il nostro paese sta svolgendo da anni in vari quadranti internazionali. Quindi, si tratta di un'occasione significativa, al di là degli aspetti dialettici tradizionali tra maggioranza ed opposizione, per effettuare una verifica circa i criteri fondamentali della nostra politica estera, sia per ciò che concerne l'affidabilità complessiva di carattere unitario del sistema politico italiano su questi argomenti, sia per quel che riguarda la vexata quaestio del collante unitario della maggioranza parlamentare di Governo in proposito.
A questo riguardo, dopo gli interventi svolti in sede di discussione generale dal collega Gasparri e poco fa dai colleghi Briguglio e Gamba, il nostro gruppo a ragione ritiene di dover sottolineare l'eterogeneità delle analisi e delle prospettive che rende assolutamente precaria la nostra politica estera, interpretata in maniera così difforme ed oserei dire antagonistica tra le varie forze politiche che compongono la maggioranza.
Onorevoli colleghi, ci stiamo sforzando nei nostri interventi di sottolineare la gravità di quanto sta accadendo nel nostro paese, dove il provvedimento di rifinanziamento della nostra missione internazionale, che dunque necessita di un forte mastice unitario per dotare di credibilità e solidarietà chi rappresenta in situazioni difficili ed in armi il nostro paese all'estero, finisce invece per essere elemento di divisione, se non di frantumazione, della maggioranza di Governo, creando una situazione difficile da gestire sotto il profilo della nostra credibilità internazionale.
Ieri abbiamo assistito attoniti ad una serie di interventi svolti da esponenti dei partiti della maggioranza che si sono dilettati in interpretazioni totalmente differenziate sul senso e sulla lettera di questo provvedimento. Da parte del presidente Ranieri, relatore per la III Commissione (Esteri), abbiamo registrato una riflessione in cui si sottolineava la necessità - come si legge dal resoconto sommario - di procedere ad una rivisitazione della strategia seguita in Afghanistan, mediante un incremento delle risorse destinate alla ricostruzione economica e civile del paese, anche attraverso un'intensificazione della lotta al narcotraffico.
Questa impostazione del collega Ranieri, relatore per la III Commissione, chiarissima nelle prospettive e largamente condivisibile da parte del mio gruppo, veniva così accolta in interventi successivi da parte di alcuni colleghi, segnatamente della collega De Zulueta del gruppo dei Verdi e del collega D'Elia de La Rosa nel Pugno. La collega dei Verdi auspicava che l'Esecutivo accettasse gli ordini del giorno da lei presentati, relativi alla produzione di oppio e al sostegno alla commissione Pag. 40indipendente per la tutela dei diritti umani, recentemente istituita in Afghanistan e legata alla precedente prospettiva.
Il collega D'Elia, a nome del gruppo de La Rosa nel Pugno, dopo aver sottolineato l'esigenza che la nostra presenza affermasse comunque i principi della democrazia anche nei paesi nei quali sono ancora presenti regimi assolutisti ed illiberali, quasi interpretando la presenza militare italiana in una logica di impegno di civiltà, preannunciava anch'egli, in totale dispregio rispetto all'impostazione che il relatore aveva introdotto nel suo intervento in aula, l'esigenza in ambito internazionale addirittura di legalizzare le colture di oppio in Afghanistan, per consentire l'uso di tali sostanze nella produzione di medicinali oppiacei, invitando l'Esecutivo a muoversi in tal senso.
Ora, salva la legittimazione di tutti i colleghi di ritenere opportuno impegnare, con ordini del giorno, in siffatte politiche il Governo, noi abbiamo plasticamente ed oserei dire clamorosamente registrato su un argomento essenziale, quale quello del senso della nostra presenza militare in Afghanistan, una maggioranza totalmente contrastante e bilingue che, mentre con il relatore sostiene un obiettivo, con significativi gruppi parlamentari della stessa maggioranza sostiene l'esatto opposto. Questo è un elemento preoccupante, colleghi, perché indebolisce la credibilità della nostra politica estera. Inoltre tale elemento fa pensare che la crisi registratasi dieci giorni fa attraverso un voto che in sede di Senato della Repubblica ha messo in minoranza la politica estera del Governo non sia superata, o meglio che sia superata da un punto di vista istituzionale e costituzionale la crisi di Governo ma non sicuramente la crisi del Governo, sotto il profilo della credibilità, della capacità dell'Esecutivo di esprimere in termini unitari una politica estera degna di tal nome e degna di un grande paese che ha rilevanti responsabilità sul quadrante internazionale, come l'Italia.
Direi, colleghi, che il dibattito di ieri è stato esemplificativo di una difficoltà interna, per quel che riguarda non solo gruppi minori della maggioranza, ma anche il gruppo de L'Unione nel suo complesso, ossia gli elementi essenziali della maggioranza in tema di politica estera. La collega Bandoli ha chiesto una profonda riflessione sulla missione militare italiana in Afghanistan, una missione che, ancorché svolta sotto l'egida delle Nazione Unite, dopo sei anni non ha prodotto effetti! Colleghi, non ha prodotto effetti! Qui non siamo più di fronte all'esigenza di dotare la nostra politica estera di quelle caratterizzazioni multilaterali che sono state al centro della proposta politica in materia da parte dei partiti de L'Ulivo. Siamo di fronte, al contrario, alla contestazione perfino delle iniziative di natura multilaterale, intraprese sotto l'egida della NATO e delle Nazioni Unite, perché si è in presenza, colleghi - ecco il dato politico di fondo -, di un vizio di origine. Si tratta di un antiamericanismo, ideologico e culturale, che rappresenta, di fatto, la pregiudiziale sulla base della quale, con ottiche ideologiche distorte, questa maggioranza - o larga parte di essa - interpreta la politica estera del nostro paese!
Vorrei rilevare che, su questo punto, ciò che è stato affermato dalla collega Bandoli e, a nome del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dalla collega Deiana è estremamente differenziato rispetto a quanto sostenuto dagli altri deputati della maggioranza.
Ricordo che l'onorevole Pasqualino Giuditta, intervenendo nel corso della seduta di ieri su questi argomenti, ha riconosciuto, legittimamente e coerentemente, che la partecipazione italiana alle missioni internazionali in atto è pienamente conforme ai principi fissati dall'articolo 11 della Costituzione. Egli, inoltre, ha sottolineato come, attraverso le stesse, vi sia, nei fatti, un ruolo unitario dell'Europa, nel rispetto degli impegni assunti nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Alleanza atlantica.
Ebbene, si tratta di un linguaggio completamente difforme rispetto all'interpretazione che settori maggioritari della coalizione di Governo danno, invece, ad un provvedimento che viene letto in termini Pag. 41di discontinuità rispetto alla presunta, originaria impostazione. Tale impostazione, al contrario, era stata intrapresa nel rispetto dei principi contenuti nell'articolo 11 della Costituzione ed in adesione agli impegni assunti dal nostro paese nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Alleanza atlantica.
Colleghi, questo il gruppo di Alleanza Nazionale, nell'ambito del presente dibattito, voleva e vuole tuttora dire. Intendiamo sottolineare, infatti, l'esigenza che vi sia chiarezza, da parte del nostro paese, se si vuole essere credibili sul piano internazionale, se si desidera offrire seriamente solidarietà ai nostri militari impegnati all'estero e se si vuole comprendere sul serio, colleghi, che la politica estera non può esser interpretata sulla base di una logica di cortile e «provinciale», oppure in termini di mera dialettica tra le forze politiche.
La nostra politica estera, invece, come noi reputiamo da destra, deve essere seriamente imperniata sulla sintesi di principi di interesse nazionale, nonché di valori universalmente riconosciuti, nell'ambito delle alleanze alle quali il nostro paese partecipa liberamente.
Ricordo che nel suo intervento svolto in questa Assemblea, la settimana scorsa, nell'ambito della fiducia rinnovata al Governo Prodi, il presidente Fini ha sostenuto che i nostri militari in Afghanistan hanno bisogno di una solidarietà vera, autentica e corale da parte del nostro paese e del nostro popolo. Tale solidarietà deve essere espressa attraverso un reale «sentire comune», da parte di quest'aula, sui temi del peacekeeping e della nostra presenza militare sui quadranti internazionali.
Mi dispiace oggi rilevare come il provvedimento in esame, per il modo in cui esso viene interpretato dalla maggioranza, venga strumentalmente utilizzato per demarcare confini di potere all'interno della coalizione di Governo. Si tratta di un'occasione perduta per esprimere, con forza, solidarietà ai nostri militari impegnati sia in Afghanistan, sia negli altri quadranti mondiali. Abbiamo ed avete perso una grande occasione per esprimere un senso di unità nazionale, interpretandola, ancora una volta, come mera e meschina questione di disunità politica a fini di potere!
Il nostro voto sarà, signor Presidente e colleghi, ovviamente favorevole all'approvazione del provvedimento in esame perché, in tal modo, sosterremo le ragioni autentiche, vere e storiche della nostra presenza in questi quadranti difficili. Non si tratterà sicuramente di un voto a favore di chi ha interpretato il presente decreto-legge quale piccola questione di «guerricciola» interna alla maggioranza di centrosinistra, e non come una grande questione di unità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, con la conversione in legge del decreto-legge oggi all'esame andiamo a rifinanziare quelle missioni internazionali a cui il nostro paese partecipa, che hanno la finalità di garantire anche la sicurezza nazionale, la quale - non dobbiamo dimenticarlo - passa inevitabilmente, piaccia o non piaccia, attraverso la sicurezza internazionale.
Ebbene, tra le missioni vi sono quelle nei Balcani, in Libano, in Afghanistan, però sono soprattutto queste ultime due, in Libano e in Afghanistan, a sollevare maggiore attenzione da parte dei media e maggior fermento da parte della politica.
La missione in Libano è stata voluta e finanziata per garantire una forza di interposizione tra israeliani e Libano, a seguito della guerra dell'estate scorsa. Quello che noi del gruppo della Lega Nord non riusciamo a spiegarci, però, è per quale motivo siamo in Libano a svolgere una missione di pace, quindi siamo lì per la pace, ma non procediamo al disarmo di Hezbollah. È un interrogativo al quale sicuramente la maggioranza dovrebbe quanto meno tentare di rispondere: perché in Libano non si procede al disarmo? Perché siamo in Libano e, anzi, i terroristi di Hezbollah si stanno riarmando, alla faccia e nonostante la presenza dei nostri Pag. 42soldati su quel territorio? Non siamo lì - pongo la domanda - evidentemente a sostenere e a tutelare la pace e quindi a impedire il riarmo e la diffusione di altri armamenti da parte dei terroristi.
Nonostante questo, le critiche maggiori di questa maggioranza, o almeno di ampie parti della sinistra massimalista che sostiene la maggioranza, vanno viceversa verso la missione in Afghanistan. Ebbene, noi siamo in Afghanistan a sostenere la ricostruzione, i nostri soldati sono lì - e giova ricordarcelo e ricordarlo a tutti quanti - in seguito agli attentati alle torri gemelli, per garantire a questo nuovo paese - «nuovo» dopo la liberazione dai talebani - un futuro dignitoso.
Non serve farsi illusioni perché chi dice che la missione in Afghanistan ora è tranquilla e che l'unica missione pericolosa per i nostri soldati era quella in Iraq mente sapendo di mentire. La missione in Afghanistan inevitabilmente da qui ai prossimi mesi (visto che è finito il rigido inverno afgano), come sanno tutti, prenderà una certa piega, vi sarà una aumento degli atti terroristici, e, nei mesi estivi che si stanno avvicinando, un contrattacco da parte dei talebani.
Quindi, presto sarà condotta una controffensiva. Ebbene, consapevoli che a questa missione di pace e di peace keeping vogliamo contribuire e consapevoli della controffensiva che i talebani effettueranno nei prossimi mesi a seguito della fine dell'inverno, dovremmo con buonsenso investire per garantire la sicurezza dei nostri uomini impegnati in quella terra. Dunque, se gli spagnoli decideranno di inviare dei blindati, non sarà per fare la guerra, ma per garantire la sicurezza ai propri uomini su quel territorio. Non capisco, quindi, come questa maggioranza possa voler partecipare a tali missioni, e al tempo stesso impedire ai nostri soldati di munirsi di blindati, o comunque di mezzi per tutelare la loro vita e svolgere al meglio la propria funzione.
Poi, altre parti della maggioranza tendono a dipingere l'Afghanistan come un inferno.
Sicuramente, non vogliamo dipingerlo noi come una terra promessa, ma anche in questo caso giova ricordare che, prima dell'intervento internazionale in Afghanistan, non si trattava comunque di un paese da mille e una notte. Infatti, vi era un regime talebano, vi era un regime di fondamentalisti islamici, vi era un regime che imponeva alle donne l'uso del burka. E duole constatare che, tra le tante femministe che siedono in questo Parlamento, non se ne è sentita ancora nessuna ricordare che, se le donne afgane oggi possono andare in giro come vogliono, è stato merito delle missioni internazionali che hanno liberato quel paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Vorrei ricordare che le donne afgane non potevano partecipare alla vita istituzionale. Oggi si parla di pari opportunità, di quote rosa, di tante belle parole che, tuttavia, quando riguardano paesi o situazioni nelle quali non fa comodo citare tali questioni, vengono di colpo dimenticate.
Vorrei anche ricordare che in Afghanistan era anche vietata la musica e la televisione. Quindi, certamente oggi non si tratta ancora di un paese sereno e tranquillo, ma prima dell'intervento internazionale la situazione era sicuramente peggiore, soprattutto sotto il profilo dei diritti umani e civili e delle libertà.
Ebbene, fa specie che alcuni settori di questa maggioranza, che si richiamano inevitabilmente all'illuminismo e che quindi vogliono uno Stato laico, dimentichino che l'esatta negazione di ciò in cui credono è proprio l'Afghanistan dei talebani, dove il fondamentalismo religioso era l'essenza della vita quotidiana. E duole constatare che nessuno ha parlato di ciò!
Oggi, al contrario, si parla di tavoli per la pace, magari invitando gli stessi terroristi o talebani che quest'estate organizzeranno gli attentati ai nostri soldati, che per colpa vostra non dispongono dei blindati, rischiando ancor di più la vita.
Inoltre, si parla di comprare l'oppio. Innanzitutto, occorre ricordare che l'oppio viene gestito proprio dai signori della guerra. Pertanto, se il nostro paese comprerà l'oppio dai signori della guerra, va Pag. 43da sé che questi soldi saranno destinati proprio a finanziare la guerra; quindi, l'esatto contrario di ciò che il ministro D'Alema cerca di ottenere, vale a dire il consenso e il sostegno concreto alle popolazioni.
Tra l'altro, con l'acquisto di oppio dai signori della guerra, si dà un brutto esempio ai nostri giovani e, ancor peggio, si regala un devastante futuro ai giovani afgani. Infatti, un Governo che compra droga per cercare unità sulle missioni internazionali dovrebbe imporre una seria riflessione per i nostri giovani. Inoltre, comprando l'oppio, si condannano i giovani afgani a continuare a lavorare e a dipendere da tale sostanza; ciò vuol dire non consentire loro di anelare ad una vita diversa, al di fuori della coltivazione dell'oppio, che tra l'altro costituiva una fonte di sostentamento del paese soprattutto durante il regime talebano.
Inoltre, dove si è cercato di trasformare la coltivazione dell'oppio in coltivazioni diversificate si sono ottenuti ottimi risultati.
Se oggi la produzione mondiale di oppio vede l'Afghanistan parteciparvi per una quota corrispondente all'86 per cento è proprio perché non si è cercato di cambiare la destinazione di questi territori, anzi atteggiamenti troppo lassisti - o, peggio, l'intenzione di acquistare, propria di questo Governo -, evidentemente, non vanno nella direzione di impiegare i territori in modo diverso.
Non è possibile poi che alcune missioni internazionali trovino il consenso di tutta la maggioranza, mentre altre registrino l'assoluta contrarietà di una parte della stessa.
Tutte le missioni internazionali che vedono la presenza dei nostri soldati, hanno la finalità di garantire la pace in quei territori e ricostruire e finanziare le scuole, gli ospedali e così via. In alcune di queste missioni - ad esempio, in Afghanistan - si cerca sinceramente il disarmo, mentre in altre si assiste al riarmo degli Hezbollah, ma non si interviene: in ogni caso, non si individuano delle sostanziali differenze. Forse, se ne può ricercare una, la colonna portante delle divisioni di questa maggioranza; infatti, nelle missioni internazionali che vedono la presenza degli americani si registra una pregiudiziale che non tiene contro di nessun elemento accessorio. Quindi, per le situazioni che vedono la presenza degli americani si assiste all'assoluta contrarietà della sinistra massimalista; invece, nelle situazioni in cui non vi è presenza di americani la partecipazione può essere ammessa, più o meno allegramente, poiché si riescono a trovare motivazioni politiche.
Non è in questo modo che si può cercare di investire per la sicurezza internazionale e nazionale; non può essere la presenza o meno di forze americane a rappresentare il discrimine rispetto alla decisione di partecipare o meno ad una missione internazionale. Vi sono dei trattati internazionali ai quali dobbiamo tenere fede e degli impegni internazionali da garantire, quindi non si può, per un vezzo, per un'antipatia, ritenere di non dover intervenire in contesti che vedono la presenza degli americani. Evidentemente, una parte della sinistra resta incollata ad una pregiudiziale che non vuole scrollarsi di dosso.
La cosa più grave è che le elezioni sono state vinte grazie a 24 mila voti espressi da molti elettori - sicuramente antiamericani e facenti parte delle componenti newglobal, che noi conosciamo bene - appartenenti all'estrema sinistra e contrari alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Essi, piaccia o no, meritano comunque rispetto da parte nostra, ma ci duole constatare che oggi sono stati traditi da questa maggioranza, che ha vinto le elezioni grazie soprattutto ai loro determinanti voti.
Noi non condividiamo le loro opinioni, ma le rispettiamo, mentre questa sinistra se ne frega permettendo il rifinanziamento delle missioni e cercando attraverso l'oppio di trovare la quadratura del cerchio; in ogni caso, oppio o meno, crediamo che questa maggioranza non riuscirà a risolvere i propri problemi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Dell'Elce, Siniscalchi e Fallica, che avevano chiesto di parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, nel corso del dibattito alcuni deputati hanno ricordato come il programma dell'Unione prevedesse un esame e un voto separato di ogni missione internazionale. Forse, sarebbe stato meglio seguire tale indicazione per approfondire maggiormente nel dettaglio l'analisi dei differenti interventi e per consentire - analogamente a quanto si fece nel corso della passata legislatura, quando la missione in Iraq venne scorporata dall'esame delle altre -, la possibilità di differenziare la propria valutazione della singola missione senza così dover respingere o approvare l'intero 'pacchetto'. Non capisco, francamente, perché non si sia adottato tale metodo.
Il dibattito sul decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali si è concentrato molto, né poteva essere altrimenti, sulla situazione sempre più incandescente e dolorosa dell'Afghanistan. Le stragi di innocenti e le rivolte popolari di questi giorni irrompono anche nelle nostre aule; esse richiedono o impongono una nuova assunzione di responsabilità.
Mi pare che, a giudicare dalle sue dichiarazioni, il ministro degli affari esteri condivida tale opinione; anche gli interventi delle colleghe e dei colleghi - in particolare, ma non solo, di coloro con i quali ho condiviso l'impegno pacifista in questi anni - hanno messo in evidenza la crescente insostenibilità della guerra afgana, il pericolo dell'irachizzazione del conflitto, il radicarsi del fondamentalismo e dello spirito antioccidentale, l'approfondirsi e allargarsi del consenso popolare dei taleban, specie al sud vissuti come baluardo contro gli invasori. Attendiamo le comunicazioni del Governo in relazione al rapimento del giornalista de La Repubblica Daniele Mastrogiacomo.
Non mi dilungo su questa drammatica realtà; sono stati svolti interventi articolati, ottimamente documentati, da parte delle colleghe De Zulueta, Deiana, Bandoli, dal collega Paolo Cacciari e da altri. Ritengo che il primo passo da compiere oggi sia assumere veramente, al di là delle tendenze all'autoreferenzialità e dell'uso strumentale e circoscritto alle dinamiche di palazzo, il punto di vista del popolo afgano.
Un paese martoriato, l'Afghanistan, distrutto da conflitti civili, guerre guerreggiate dalle superpotenze che, dal 1979 ad oggi, hanno causato oltre un milione e mezzo di vittime (due terzi delle quali civili) e milioni di profughi. Tali guerre hanno inoltre disseminato sul terreno, secondo dati ufficiali, 640 mila mine e milioni di ordigni ancora inesplosi.
Consiglio a tutti di leggere l'articolo, pubblicato sull'edizione del 28 febbraio del Manifesto, di un'esponente di RAWA, un'associazione di donne contro il fondamentalismo con cui anche noi, parlamentari unite nel gruppo di contatto con le donne afgane, fin dall'inizio della guerra ci siamo confrontate, a Roma ma anche in Pakistan, e poi in Afghanistan. Abbiamo potuto toccare con mano la realtà drammatica dei campi profughi, i terribili esiti delle guerre e delle distruzioni, ma anche il lavoro prezioso di tante donne e uomini che da decenni lottano per la libertà e la democrazia del loro paese nell'isolamento e nella solitudine.
Il disastro umanitario, la convivenza tra Governo e signori della guerra e dell'oppio - di cui l'Afghanistan è il maggiore produttore e che rappresenta la principale risorsa economica del paese -, l'escalation militare fanno impallidire i risultati ottenuti attraverso la cooperazione e l'aiuto alla ricostruzione, e riducono a poca cosa anche la pur importante nascita di istituzioni e organizzazioni pubbliche preposte ad avviare processi di democratizzazione.
Il centrosinistra ha ritirato le truppe dall'Iraq, inaugurando un nuovo corso sia nell'azione politica sia nelle relazioni internazionali, come ha sottolineato il ministro D'Alema nella sua relazione al Senato, Pag. 45nel tentativo di tenere fede ai principi espressi dall'articolo 11 della nostra Costituzione: al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali e, nel contempo, alle limitazioni di sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati, per un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le nazioni.
I capisaldi della nostra politica estera sono, quindi, il rifiuto della guerra, il consolidamento delle alleanze e delle organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Europa, per tentare di ripensare un ordine mondiale duramente compromesso, squilibrato ed attualmente scosso dal terrorismo e dalla guerra globale al terrorismo, unilaterale, preventiva, teorizzata dai teocon statunitensi ben prima dell'attacco alle Torri gemelli ed al Pentagono del settembre 2001 e messa in pratica dell'amministrazione Bush prima in Afghanistan e poi in Iraq (e, in futuro - Dio non voglia! -, in Iran).
È del tutto evidente che non può non esserci polemica, differenziazione di vedute tra chi, pur considerando il quadro dato delle alleanze, dei patti, dei rapporti di forza e dei reali pesi dei differenti Stati, si muove sul piano del multilateralismo e nella prospettiva di consolidamento e riforma degli organismi internazionali e chi, come l'amministrazione Bush, ha sconvolto questo piano, contraddetto questa prospettiva con decisioni unilaterali e fallimentari imprese belliche ed ha espresso volontà egemonica - Vicenza docet - e continui tentativi di asservimento delle organizzazioni internazionali. L'Afghanistan è, al di là di ambiguità e mistificazioni, il drammatico teatro di questa contraddizione. Quella in Afghanistan è una missione di cui, ormai, ben si conoscono origine, catena di comando e veri obiettivi.
Certo, è importante avere inserito nel decreto-legge la proposta della Conferenza di pace, prevedendo la partecipazione dei paesi della regione, delle organizzazioni internazionali e dei paesi a vario titolo coinvolti. È importante, altresì, che il Parlamento si doti di strumenti per il monitoraggio e per un efficace controllo delle missioni, nessuna esclusa. Penso alla necessità, invocata più volte non soltanto da me, di un dibattito serio ed aggiornato sulla situazione nei Balcani e sul Kosovo, area tutt'altro che pacificata (questione sulla quale non intendo soffermarmi, ma che andrebbe opportunamente presa in considerazione). Molto importante è anche la proposta, presente in un ordine del giorno, della riconversione ad uso sanitario della produzione dell'oppio, al fine di sottrarre i contadini al narcotraffico ed alla morsa dell'intreccio tra narcotrafficanti e signori della guerra.
Tuttavia, sappiamo tutti che in Afghanistan si scatenerà, in primavera, un'ondata bellica - la cui portata e le cui conseguenze sono ancora difficilmente valutabili - che rischia di coinvolgere direttamente le nostre truppe, preparate per una missione di pace e non di guerra (come bene illustra il generale Mini su la Repubblica di oggi).
L'ambiguità rischia perciò di avere, anche da questo punto di vista, conseguenze drammatiche per il nostro contingente e per il Governo medesimo. Anche per questo ribadisco, come già illustrato dalla collega De Zulueta, la necessità di definire subito una exit strategy prima che sia troppo tardi e che la tragedia annunciata si consumi completamente; una exit strategy che non deve significare disimpegno dal dramma afghano, come è già avvenuto nel passato, bensì l'inizio di una nuova strategia di pace (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, se vi fosse stato ancora qualche dubbio sulla fondatezza della nostra tesi alla base delle nostre contestazioni sulla presunta maggioranza di Governo e sulla legittimità di condurre la politica estera internazionale nel modo in cui sta facendo, penso che l'aver ascoltato or ora le parole della gentile collega dei Verdi - a nome, quindi, di una parte non remota, secondaria o Pag. 46marginale della presunta maggioranza di Governo - abbia fugato ogni residuo dubbio.
Si tratta di una componente della maggioranza che tiene un linguaggio sui temi di cui ci stiamo occupando assolutamente incompatibile e totalmente diverso da quello di altri rappresentanti della maggioranza persino numericamente più pesanti. Questa componente presenta altre valenze e caratteristiche relativamente alle operazioni e alle proiezioni italiane in paesi esteri, nonché alla politica della pace, a difesa di chi turba le sorti della pace stessa e alimenta il terrorismo. È una strategia assolutamente incompatibile con i toni, il respiro e i sapori di alcuni degli interventi che abbiamo ascoltato oggi da parte di una quota della sinistra e che per l'appunto riecheggiava abbastanza lucidamente nelle parole - che mi sono permesso adesso di sottolineare - della collega Zanella che mi ha appena preceduto.
Ora, senza soffermarsi sui singoli snodi del provvedimento o anche sulle inadeguatezze del testo (che già diversi colleghi hanno sottolineato) aventi carattere tecnico, giuridico e operativo, anche per quanto concerne la destinazione delle risorse e la proporzione dei vari capitoli di spesa, ovvero, ancora, senza voler entrare più di tanto nel particolare (il che significherebbe quasi una ipercritica volta a sindacare scelte, più che politiche, di carattere tecnico), penso che abbiamo il diritto di insistere e di ripetere le nostre idee - se ciò fosse necessario - e non tanto o soltanto perché si tratta di scelte della maggioranza governativa, quanto perché l'opinione pubblica italiana possa ascoltarci - ce lo auguriamo - e formarsi una opinione rispetto a questo delicatissimo tema.
Dobbiamo ripetere non solo che siamo in presenza di una assenza di politica estera, ma che se c'è un argomento sul quale non è lecito avere un retropensiero, confusioni di impostazione, appannamento di valori e disorganizzazione nella determinazione politica e nell'assegnazione di obiettivi, questo è quello della politica internazionale.
Si invoca spesso come un discrimine di scelte di comportamento e di impostazione il dettato del mitico articolo 11 della Costituzione, che sancisce il fatto che il nostro paese ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti e quindi si schiera, a livello di principio, per il bene sommo della pace, quasi che questa potesse essere un'enunciazione tale da dividerci e da poter dare luogo ad opinione contrapposte. Questa è una tesi che assolutamente non esiste, non sussiste e non può esistere. Certamente, questo non è un metro di valutazione sufficiente, anche se è di per sé necessario come premessa.
Abbiamo detto, anche nei giorni scorsi, intervenendo in più di un dibattito, che i nostri militari, i nostri concittadini in divisa, sono in vari quadranti del mondo, insieme a paesi alleati che «cospirano» per la pace, ossia si battono insieme per un comune bene informatore delle proprie azioni, proprio per il servizio al bene sommo della pace, ma che lo fanno in armi; e come tutti coloro che nelle armi hanno, in sé e per sé, in mancanza d'altro, in mancanza dell'efficacia di altri mezzi, la risorsa estrema per imporre a coloro che turbano la convivenza e la civiltà una forma di disciplina che da soli non riescono ad imporsi o a scegliere, i nostri concittadini in divisa lo fanno portando le armi.
E se sono rigorosamente necessarie le regole cosiddette di ingaggio, ossia in presenza di quali condizioni, di quali emergenze, di quali situazioni oggettive, soggettive, ambientali l'uso delle armi può essere giuridicamente corretto, politicamente accettabile, moralmente inevitabile, se queste regole devono essere rigorose, è pur vero che, una volta stabilite e fatte osservare, di fronte ad emergenze straordinarie e alla minaccia e alla compromissione di beni fondamentali, come la convivenza civile dei popoli interi, il ricorso alle armi è, alla fine, l'inevitabile criterio dal quale non ci si può sottrarre nel momento in cui a truppe, a forze armate si è ricorsi come estremo strumento di intervento.
Quindi, non dobbiamo prendere in giro né noi stessi, come legislatori responsabili, Pag. 47né i governanti, né soprattutto i cittadini, il popolo italiano, che ci ascolta, e meno che meno coloro che, portando le armi e una divisa italiana, si trovano esposti ai rischi e a tutti i problemi connessi alla circostanza di trovarsi in prima linea sui terreni di operazione.
È una cosa assolutamente irresponsabile quella di inviare contingenti di pace, ma armati, a svolgere rischiose missioni in rischiose terre anche lontane e far sentire l'eco di un dibattito incerto, strumentale, diviso, inquinato da retropensieri.
Onorevoli colleghi, arrivo a dirvi che meglio sarebbe se, con una sostanziale maggioranza, si fosse contrari, in termini di principio, ad un certo tipo di intervento; senza nessuna ipocrisia sarebbe meglio dire di no che non piuttosto, per convenzioni e convenienza, aggiustamenti politici e precari equilibri, dire di sì, far finta di essere solidali con il consorzio internazionale dei popoli che vogliono difendere la pace e bloccare e prevenire il terrorismo, inviare i nostri concittadini in armi e far mancare poi il sostegno politico, morale e giuridico a queste persone che noi mandiamo a difendere noi stessi, le nostre famiglie, il nostro futuro, i nostri beni, la nostra serenità.
È forse superfluo sottolineare questo elemento? Non direi, e penso che dai banchi della maggioranza, che ha la responsabilità di sostenere il Governo, il quale, a sua volta, ha la responsabilità di sostenere i nostri militari all'estero, non sia assolutamente superfluo sottolineare ancora una volta ed esprimere con la chiarezza dell'uomo qualunque, dell'uomo della strada, del cittadino comune, alla luce del buon senso prima ancora delle discriminanti politiche, questi concetti fondamentali.
Così come non è argomento di strumentalizzazione politica, ma è sostanza, dire che, su argomenti come questi, l'autosufficienza del Governo o si afferma e si concretizza realmente, oppure bisogna prendere atto che non c'è, traendone allora altre importanti conseguenze.
Questa teoria delle maggioranze variabili a seconda dell'argomento è assolutamente inaccettabile, e anche nelle parole, che mi sono permesso prima di sottolineare, di alcuni esponenti della maggioranza già è significativo che si recrimini relativamente al fatto che, dentro uno stesso provvedimento, si parli di vari fronti dove sono impegnate le nostre Forze armate, i nostri contingenti in armi di pace. Si recrimina sul fatto che, con uno stesso provvedimento, si intervenga per conflitti, per situazioni post-conflittuali, per opere di ricostruzione in versanti diversi.
È anche significativa questa volontà di distinguere situazione da situazione, non perché effettivamente le situazioni non siano diverse ontologicamente, per la loro natura, per le loro condizioni ambientali, ma perché sarebbe assolutamente indispensabile, per leggere la volontà politica di un Governo, del paese che lo esprime, del paese che è rappresentano da tale Governo, un'unica, individuabile, ben precisa volontà politica che ispira questo tipo di missioni e questo tipo di interventi. Intendo dire che, certamente, in talune zone dell'Africa vi sono situazioni non esattamente assimilabili, è chiaro, al contesto afghano o, men che meno, che tutto ciò sia assimilabile alla situazione del Kosovo. Sarebbe da irresponsabili e rudimentale concepire come identiche certe condizioni ambientali, ma i criteri delle scelte politiche debbono essere gli stessi.
Se si parte da una visione di pregiudiziale antiamericanismo, che vizia le decisioni da prendere, se si parte da atteggiamenti che non voglio dire di connivenza, ma certo di minore allarme nei confronti del fenomeno terroristico, se si parte da un pacifismo generico che, come sempre accade, è tutt'altro che l'amore per la pace - perché i due sentimenti non sono affatto la stessa cosa e portano a conseguenze profondamente diverse -, se si parte da questi presupposti, è evidente che si arriva a conseguenze aberranti e, comunque, a conseguenze confliggenti e contraddittorie a seconda del tipo di intervento.
Proprio in merito a ciò si manifesta la contraddizione della cultura di governo della sinistra, ammesso che vi sia, della Pag. 48sinistra-centro, che ha le responsabilità di Governo in questo frangente. Non a caso, pur avendo preso atto che già al Senato della Repubblica si è aperta, non per nulla, una crisi di Governo proprio su questo argomento, perché sono esplose le contraddizioni di un'incoercibile differenza di punti di vista fondamentali, abbiamo ascoltato già riecheggiare in quest'aula, nelle dichiarazioni di esponenti della maggioranza, venti di differenziazione forte. Se è vero che alla Camera, grazie al premio di maggioranza della tanto deprecata (poi vedremo se lo sarà anche nei fatti), legge elettorale, vi sono, tuttavia, numeri che consentono di giocare al dissenso, che consentono di essere dissenzienti senza provocare dissesti nell'equilibrio numerico del Governo, pur se è vero tutto ciò, è pur vero che non si tratta di una questione intesa in senso strettamente numerico: è una questione politica in senso sostanziale.
Quando da una linea di comportamento del Governo, ammesso che sia rintracciabile, si differenziano tre, quattro, cinque componenti della sua maggioranza governativa, o presunta o mitica maggioranza governativa, siamo in presenza davvero di una maggioranza, di una politica estera, di un senso di responsabilità condiviso nelle scelte che attengono alla vita dei nostri soldati, alle regole del loro ingaggio nei confronti del nemico, di colui, cioè, che rappresenta il pericolo reale, armato - non immaginario, non meramente politico, non meramente ideologico, non meramente predicatorio - rispetto alle sorti della pace e della integrità delle nazioni?
Quindi, non vi è dubbio che quando noi, da destra, esprimiamo voti, pareri e diamo anche sostegno ad operazioni (magari in un passaggio dando anche il sostegno ad un provvedimento non nostro), lo facciamo alla luce di una antica e moderna, di una continua coerenza, ispirata ai valori dell'interesse internazionale del nostro paese e della nostra nazione e dei valori della pace, che debbono essere difesi con ogni mezzo e con ogni determinazione, non con le manifestazioni di piazza o con messe in scena più o meno folcloristiche.
Ecco, noi, da destra, rivendichiamo questa coerenza. Sicché quando esprimiamo, come verosimilmente esprimeremo, un voto favorevole, senza dividere il capello in quattro, in otto o in dodici sui singoli passaggi del provvedimento, come pure tecnicamente sarebbe possibile, quando esprimiamo voto favorevole, non lo facciamo per dare il voto favorevole ad un Governo che non lo merita, nella maniera più assoluta. Noi non concediamo nemmeno un'oncia di fiducia a chi ha dimostrato di aver devastato quel poco di fiducia che, in un modo o nell'altro, elettoralmente era riuscito ad immagazzinare o a portare a casa! No, nella maniera più assoluta!
Per tutti i paradossi propri della politica e di questa strana e indecifrabile cosa che è diventata la politica italiana, starei per dire che esprimiamo un voto favorevole al provvedimento perché lo diamo contrario al Governo. Infatti, il Governo da solo, la presunta maggioranza da sola, non sarebbe tale su argomenti di questo genere e, dividendosi, non darebbe soltanto un pessimo spettacolo di sé stesso - il che sarebbe ancor nulla e non aggiungerebbe granché perché pioverebbe sul bagnato -, ma comprometterebbe interessi vitali della nostra nazione nel contesto internazionale, metterebbe a rischio l'efficacia della nostra azione, la nostra credibilità internazionale, il contributo che l'Italia, come grande nazione nel consesso internazionale, dà alle sorti della pace e della prevenzione contro la violenza e il terrorismo internazionale.
Ecco perché, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, con assoluta coerenza vogliamo ribadire che non vi è il minimo aiuto, su una strada sbagliata, nei confronti del Governo; vi è, invece, il massimo dell'aiuto da parte nostra rispetto a provvedimenti che comportano la serenità, la determinazione, la legittimazione dell'azione di pace delle nostre Forze armate, a cui anche con il voto, oltre che con il sentimento e gli interessi reali del paese, Pag. 49diamo come sempre il nostro appoggio, il nostro sostegno e la nostra ribadita gratitudine.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.
SABINA SINISCALCHI. Signor Presidente, mi scuso per non essere stata presente prima, ma eravamo con una delegazione di donne dal Presidente Bertinotti. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.
GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, la discussione sulle linee generali e l'odierno dibattito sul complesso degli emendamenti, tuttora in corso, non hanno minimamente risolto i problemi che erano alla base della crisi di Governo, che ha segnato non poco l'agenda politica del nostro paese. Inoltre, la situazione politica e militare in Afghanistan sta subendo delle evoluzioni, peraltro assolutamente prevedibili, che devono essere seguite con la massima attenzione e consapevolezza del nostro ruolo. Pertanto, il dibattito sul ruolo dell'Italia in politica estera è ancora una volta protagonista anche in questa fase. Forza Italia esprimerà - lo ha già anticipato più volte il Presidente Berlusconi - un voto favorevole sul rifinanziamento delle missioni in Afghanistan, in Libano e nei Balcani. Lo abbiamo affermato sempre: quando è in gioco il ruolo internazionale del nostro paese, quando si tratta di discutere del sostegno politico ai nostri soldati, quando si tratta di dare ai militari il segnale di una classe politica compatta, idealmente e sostanzialmente vicina a loro, l'opposizione non solo è presente, ma sarà sempre parte attiva.
Come nella precedente occasione, il nostro «sì» al rifinanziamento delle missioni italiane all'estero, quindi, ci sarà. Cercheremo, comunque, come abbiamo fatto con numerosi emendamenti, di far valere il nostro punto di vista anche con gli ordini del giorno, ma il nostro «sì» avrà molteplici significati. Con il nostro voto, infatti, intendiamo, in primo luogo, garantire il pieno sostegno ai nostri soldati che si trovano impegnati nei teatri internazionali nella costruzione della pace, proprio in quegli scenari nei quali si sta sviluppando la guerra alimentata dai terroristi fondamentalisti. Inoltre, con il nostro voto favorevole vogliamo che sia chiaro a tutti, in Italia e nel mondo - e soprattutto ai nostri alleati internazionali e a quanti guardano con crescente allarme alle incertezze della nostra politica internazionale -, che la coalizione di centrodestra non consentirà che vengano compromesse le alleanze e gli impegni internazionali che competono all'Italia.
Deve essere chiaro, insomma, che è grazie a noi dell'opposizione che oggi ed in futuro - quando, spero presto, la parentesi di questo Governo sarà conclusa - i nostri alleati possono e potranno contare su un'Italia che non si arrende e che è decisa ad assumersi pienamente le proprie responsabilità, con lealtà, senza furbizie e con tutte le conseguenze che ne derivano. Si rassegnino gli esponenti della sinistra radicale ed anche quanti nella sinistra moderata e riformista si affannano ad esercitarsi su come affermare una discontinuità che non ci può essere. Non c'è futuro, infatti, né agibilità politica per la discontinuità alla quale essi pensano, quella di sempre, per certa sinistra che è sempre la stessa, antioccidentale e antiamericana. Quella discontinuità ci collocherebbe in una terra di nessuno, lontana anche dall'Europa, al cui interno stanno maturando - pensiamo alla Germania di Angela Merkel - orientamenti decisamente in sintonia con la tradizione che vuole le coste dell'Atlantico più vicine. Tali orientamenti sembrano riflettersi anche sull'evoluzione in corso in Francia, alla vigilia delle elezioni presidenziali.
Per ora, per quanto riguarda il nostro paese, non ci rassicura constatare che Pag. 50coloro che, nella maggioranza, sembrano consapevoli di quanto anacronistica sia questa impostazione, che sopravvive alla bocciatura della storia, sono costretti a tortuosi e quotidiani giri di parole per non dispiacere i cosiddetti antagonisti. Non ci rassicura, soprattutto, il fatto che anche il nostro ministro degli esteri D'Alema sia costretto troppe volte ad alzare la voce contro gli Stati Uniti e contro quanti ne condividono le scelte e le responsabilità, solo - così almeno sembra - per celare i dissidi della coalizione di Governo e tentare di placarne le ali estreme, dispiacendo gli uni e gli altri. Del resto, ciò è stato dimostrato, nelle scorse settimane, dalla lettera di sei ambasciatori che ci hanno richiamato al dovere di coerenza e di rigore, con una iniziativa che non ha precedenti e che ha segnalato, in maniera chiara, l'apprensione con la quale dalle cancellerie dei paesi alleati e amici si guarda al degradante spettacolo che la coalizione di Governo offre.
Non basta affermare che una certa sinistra c'è e c'è sempre stata. Il problema è che, oggi, questa sinistra è rappresentata nel Governo, il problema è che il Governo, nelle sue scelte quotidiane, è condizionato e ricattato. Questa è la dimostrazione che l'Esecutivo è ostaggio, ormai, di questa sinistra estrema. Non basta affermare che, comunque, il rifinanziamento delle missioni, compresa quella in Afghanistan, sarà approvato da una larghissima maggioranza anche al Senato, senza aggiungere, in termini espliciti, che ciò sarà possibile grazie ai voti dell'opposizione. Si dovrebbe anche ammettere, in questo caso, che la maggioranza non c'è e non c'è mai stata sulla politica estera.
Dunque, per la politica estera non c'è un Governo che abbia credibilità e forza e, soprattutto, una linea sostenibile ed autosufficiente. Nel tentativo di rincorrere la sinistra radicale, il Governo Prodi, in otto mesi, ha cercato e ha creato moltissime situazioni di crisi a livello politico e diplomatico, causando la caduta della credibilità del paese. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l'Italia è ritornata ad essere un po' una «Italietta». Altro che recupero di un ruolo nel mondo! Quel ruolo che il Governo Berlusconi, come si è ripetuto da sinistra in modo ossessivo, avrebbe fatto perdere al nostro paese. Certamente, e vero il contrario. Tutti gli analisti più seri, ormai, denunciano la irrilevanza ma anche il potenziale dannoso della politica del Governo Prodi. È di qualche giorno fa l'impietosa corrispondenza da New York del giornalista Maurizio Molinari, della Stampa, un quotidiano che, certo, non ha mai mostrato ostilità nei confronti dell'attuale maggioranza. «Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'ONU» era il titolo di quel servizio che ricordava le ragioni per le quali siamo esclusi dal gruppo che sta definendo la nuova risoluzione che mira a bloccare il programma nucleare iraniano.
Non possiamo stupirci, quindi, se si guarda con sempre maggiore diffidenza a Roma, anche per quanto concerne l'Afghanistan. Ci è persino toccato di subire le rampogne, purtroppo pienamente giustificate, del ministro degli esteri inglese, che giustamente ha lamentato, nell'aula del Parlamento di Londra, la mancanza di solidarietà di alcuni paesi europei, tra cui l'Italia, che non consentono agli elicotteri stanziati in Afghanistan neppure operazioni di soccorso medico in favore degli alleati impegnati in prima linea nella guerra contro i talebani.
Ed è proprio per chiarire meglio l'impiego di questi mezzi che Forza Italia ha presentato uno specifico ordine del giorno. Signor Presidente, si tratta, purtroppo, di una guerra e non solo di una missione che comporta l'impegno della ricostruzione e della creazione delle strutture che consentiranno alla democrazia afghana di funzionare.
Noi siamo coinvolti in Afghanistan in questa guerra, seppure nelle retrovie, perché l'ONU lo ha voluto, eppure il Governo parla di una conferenza di pace. Chi dovrebbe partecipare e sedersi al tavolo di questa conferenza? Forse i talebani? Forse Bin Laden? Non a caso il Presidente Karzai ha reagito con eloquente Pag. 51freddezza a questa proposta, come del resto tutti i nostri partner e i paesi che dovrebbero essere coinvolti.
La realtà è che i talebani stanno preparando l'offensiva di primavera e tutti gli alleati ormai hanno capito che è sempre più difficile sottrarsi ad un impegno maggiore sul campo. L'offensiva delle truppe, che è iniziata proprio oggi, costituisce il primo segnale di questo cambiamento di clima. Anche per i soldati italiani si prepara una fase molto dura, che richiederà il massimo del supporto da parte di tutti noi e la solidarietà di tutto il paese. Tutti lo hanno capito, anche coloro che chiedono una exit strategy e si preparano a dettare questa condizione.
Per quel che ci riguarda, si tratta di una condizione del tutto inaccettabile. Non è tollerabile che si possa pensare ad una iniziativa unilaterale dell'Italia. Dall'Afghanistan non potremo scappare, ed è impossibile fissare oggi delle scadenze per il futuro in modo unilaterale. Tutto ciò sarà deciso con l'ONU e con i nostri alleati, i quali debbono sapere che siamo pronti a fare la nostra parte. Non vogliamo assumerci la responsabilità di compromettere tutto quello che è stato fatto finora e di rendere così inutile anche il sangue che è stato versato per consentire a quel popolo di conquistare le condizioni del vivere civile e per allontanare dal mondo la minaccia dei talebani.
Sono di questi giorni anche le notizie di nuovi attentati in Afghanistan in vista dell'offensiva talebana di primavera. Si stanno preparando il clima e le condizioni per alzare il livello di tensione. La reazione dei soldati americani agli attentati di cui sono stati bersaglio, ancora una volta, ha comportato il sacrificio di vittime civili tra la popolazione sul quale è giusto ed importante fare piena luce, come ha chiesto il Presidente Karzai, anche per cercare di ricostruire l'esatta dinamica dei fatti. La responsabilità, però, ricade non su chi ha reagito all'attacco, bensì su chi ha provocato questa guerra. Come in Iraq, essa ricade sugli artefici di una strategia del terrore che mira ad annientare il fondamento del nostro vivere civile e della nostra concezione del mondo.
Lascia davvero annichiliti il fatto che qualcuno, come l'onorevole Rizzo, si sia spinto ad un paragone così azzardato, mettendo sullo stesso piano americani e nazisti. Con questa scellerata ed ennesima dichiarazione, ancora una volta abbiamo la conferma - se ce ne fosse mai stato bisogno - di quanto siano radicati l'antiamericanismo e la deriva antiamericana, dalla quale il paese rischia di essere travolto se non riusciremo a porvi un argine. Tale argine è rappresentato proprio dal nostro rigore e dalla volontà di guardare, sempre e comunque, alla salvaguardia della collocazione internazionale dell'Italia e delle sue alleanze, anche in Afghanistan e nello scenario dei conflitti che sembrano destinati ad inasprirsi.
Se fosse possibile raggiungere questo obiettivo in altro modo, credo che tutti - l'ONU in prima fila, ma anche gli americani e quanti sono impegnati nella missione in prima linea - sarebbero felici di poterlo fare. Tuttavia, questa prospettiva, purtroppo, non si intravede ancora e non sarà certo realizzabile con la riproposizione dei temi di una sterile retorica pseudopacifista, che mira, in realtà, ad interdire quanti si battono per disarmare chi attenta agli equilibri della pace nel mondo. Sono costoro i veri nemici della pace e non ci stancheremo mai di denunciarne le responsabilità.
Con questo provvedimento finanzieremo nuovamente - tra l'altro - le delicate missioni nei Balcani e anche la missione in Libano.
Nella Terra dei cedri i nostri soldati stanno vivendo un'esperienza molto delicata e molto pericolosa. Le regole d'ingaggio non consentono di disarmare Hezbollah, che sta ricostruendo le sue linee a poche centinaia di metri dalle postazioni UNIFIL. Queste regole non consentono neppure di controllare il traffico di armi, che è sempre molto intenso.
La missione, delicata e pericolosa, rischia anche di essere molto meno utile di quanto si potesse prevedere fin dall'inizio. Pag. 52Se l'attività di Hezbollah dovesse continuare, l'esito della missione potrebbe essere persino contraddittoria, come le finalità che le erano state assegnate. Ci si dovrà chiedere prima o poi se Israele, con la presenza della missione UNIFIL, sia più o meno sicura rispetto a prima, quando - per lo meno - poteva difendersi nel caso in cui la sua sicurezza fosse stata messa in discussione da Hezbollah.
Un altro punto (forse l'aspetto che veramente desta maggiore preoccupazione nella politica del Governo) è quello dell'equidistanza tra Israele e i suoi nemici. Anche per queste ragioni, prima il Governo Prodi lascerà Palazzo Chigi, meglio sarà.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GREGORIO FONTANA. Tuttavia - e mi avvio alla conclusione - nell'attesa, varrà forse la pena di riflettere a fondo sulla situazione che si è venuta a determinare in Libano e di chiedersi se non sia il caso di approfondire una revisione delle regole di ingaggio, in sede di Nazioni Unite, con quanti condividono con noi la responsabilità di questa missione (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.
ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, con l'arrivo in Assemblea alla Camera - e, successivamente, al Senato - del decreto-legge sul rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan viene al pettine uno dei nodi principali della politica del centrosinistra italiano.
Noi ci troviamo ad affrontare tale questione in un momento molto particolare. La cosiddetta primavera afghana, che era stata ipotizzata già qualche settimana fa, sembra essere in anticipo, così come la nostra primavera climatica.
In un momento molto delicato per la vita dell'Afghanistan e per la storia della nostra missione in quel paese, ci troviamo a dover affrontare la situazione con una maggioranza che non è coesa né compatta e che non riesce ad avere una linea politica comune.
Allora, la prima richiesta che dall'opposizione rivolgiamo alla maggioranza - fermo restando che il nostro orientamento favorevole nei confronti di questa missione fa parte del nostro DNA in politica estera - è quella di fare chiarezza, ossia di dirci con grande serietà se esista una maggioranza di Governo in Parlamento (ci riferiamo sia all'Assemblea della Camera sia a quella del Senato) disposta a sostenere senza condizioni (a volte addirittura ridicole) il decreto-legge che rifinanzia la nostra missione in Afghanistan.
Questo passaggio è molto importante, perché la missione in Afghanistan, a differenza di altre di cui l'Italia fa parte, è sempre stata condotta sotto l'egida dell'ONU e non ha mai visto uno scontro a livello di organismi internazionali. Vi è, pertanto, una motivazione labile da parte di chi contrasta questo sforzo; sforzo che l'Italia, a nostro giudizio, deve continuare a compiere con chiarezza e senza tentennamenti.
Voi spesso tirate fuori un antimilitarismo che è sostanzialmente incompatibile con le esigenze del Governo. Esiste una sinistra riformista che ha una cultura di Governo (il relatore per la Commissione affari esteri, il collega Ranieri, sicuramente interpreta questa sinistra matura). Tuttavia, esiste anche una sinistra che si definisce antagonista, o genericamente pacifista, e che crea problemi seri all'immagine ed al ruolo dell'Italia a livello internazionale. Ebbene, quella sinistra responsabile è la stessa che per la questione del Kosovo fece intervenire i nostri militari ancor prima che in quest'aula il Parlamento desse il via libera a quella missione. Infatti, il pragmatismo delle azioni di Governo chiede di rispondere con chiarezza ed immediatezza alle chiamate della comunità internazionale.
Il ministro degli esteri, lo stesso D'Alema che velocemente mandò gli aerei in Kosovo, si è detto molto turbato per quanto sta accadendo in Afghanistan. Naturalmente Pag. 53siamo tutti turbati per il ritorno ad una situazione molto più complicata rispetto a quella dei mesi scorsi. Siamo tutti turbati, tuttavia il titolare della Farnesina, ancor prima di manifestare i suoi turbamenti, deve dire con chiarezza cosa vuol fare la sua maggioranza in merito, cioè se essa vuole proseguire compatta o se all'interno dei propri gruppi parlamentari si annida una parte contraddistinta da un antiamericanismo che vuole rendere irresponsabile la nostra nazione a livello internazionale.
Il nostro atteggiamento responsabile, di forze consapevoli della necessità di votare a favore del rifinanziamento della missione, non vi esonera dalla responsabilità di avere una maggioranza tutta vostra su tali questioni. I nostri voti sono responsabili, ma dovete dimostrare politicamente e numericamente di essere in grado di rappresentare un'Italia degna di essere nazione nell'ambito delle missioni internazionali. Quindi, non dovete considerare il nostro atteggiamento responsabile come un'uscita di emergenza da una situazione difficile al vostro interno.
Oggi la politica estera è questa, piaccia o non piaccia. Dobbiamo assumerci le responsabilità e spesso esse sono difficili, perché comportano l'invio di soldati in situazioni di guerra dove vi sono vittime e quindi si provocano turbamenti. Tuttavia, vi è l'interesse superiore della pace e di evitare che in alcune aree del mondo prolifichino regimi antidemocratici che non rispettano i più elementari diritti dell'uomo.
Quindi, se dobbiamo garantire la pace, dobbiamo renderci conto che essa va perseguita nell'ambito degli accordi che negli anni e nei decenni abbiamo stipulato come paese. Per noi la politica estera significa multilateralismo, atlantismo ed europeismo. Per alcuni di voi è solo multilateralismo, ma addirittura, mentre magnificate questo multilateralismo, siete pronti a rinnegarlo se nell'ambito di esso vi sono anche gli Stati Uniti d'America. Con l'antiamericanismo di alcune frange della sinistra riuscite spesso a rinnegare anche quel multilateralismo con cui vi riempite la bocca. Non esiste un multilateralismo senza l'apporto di un alleato come gli Stati Uniti d'America. Si tratta di un tentativo inutile, dannoso anche per le organizzazioni internazionali.
Cari colleghi del centrosinistra, alcuni di voi sono dubbiosi rispetto a queste missioni. Qualcuno addirittura è arrivato a mettere in discussione il provvedimento iniziale con cui la maggioranza di centrodestra aderì alla richiesta delle organizzazioni internazionali di inviare soldati in Afghanistan. Ebbene, dicevo, alcuni di voi mettono in dubbio l'aderenza di questo provvedimento all'articolo 11 della Costituzione. Innanzitutto vi ricordiamo che sul provvedimento originario c'è la firma di colui che era al momento il garante della Costituzione, di Carlo Azeglio Ciampi, che oggi, da senatore a vita, tiene in piedi con il suo voto al Senato la vostra maggioranza di Governo. Questo dimostra che non si è trattato di una scelta politica, ma di una scelta ragionata, conforme alla Costituzione e che tutte le nostre missioni militari all'estero sono missioni di pace e sono aderenti all'articolo 11 della Costituzione.
Stiamo parlando di un tema molto importante, perché accusare il centrodestra di avere violato la Costituzione è solo un tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità nell'ambito di questa situazione. Il collega La Russa, presidente del nostro gruppo, proprio nei giorni scorsi ha ribadito al Presidente della Repubblica, Napolitano, la questione dell'aderenza costante dei nostri interventi di pace all'articolo 11 della Costituzione, e su questa aderenza non siamo disponibili a discutere.
C'è poi qualcuno che, per andare alla ricerca di una motivazione per votare a favore del provvedimento, tira fuori la favola dell'acquisto dell'oppio dai contadini afghani. Credo che tutto si possa fare, tranne che mettersi a fare i pusher istituzionali, per lavare la coscienza di qualcuno che sa che se non vota questo provvedimento fa cadere il suo Governo e se invece lo vota fa torto ai propri elettori e alla propria coscienza. È un problema vostro, che non potete risolvere chiedendo Pag. 54al paese di mettersi a fare lo spacciatore istituzionale di oppio (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))! Questo non lo possiamo consentire!
Il nostro dovere è una altro: noi dovremmo dire ai nostri soldati di distruggere le piantagioni di oppio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)! Il nostro compito dovrebbe essere quello di distruggere le piantagioni di oppio e non invece quello di andarlo a comprare per poi venderlo sul mercato istituzionale. Allora dovete assumervi la responsabilità. Casualmente siete giunti al Governo del paese, però rendetevi conto che, anche se giunti casualmente, ormai dovete assumervi questa responsabilità. Non potete assolutamente proseguire con queste proposte e con questa politica estera.
Il vostro atteggiamento sta danneggiando non poco il paese. Lo danneggia anche perché indebolisce il lavoro dei nostri soldati in questi teatri, che sono luoghi in cui occorre ristabilire la pace, ma sono anche purtroppo teatri di guerriglia. I nostri soldati in queste missioni sono considerati soldati di primo ordine, sia per la loro capacità di intervento militare sia per quella sensibilità umana che contraddistingue le nostre forze armate. Noi siamo da sempre vicini alle nostre Forze armate, allo sforzo che esse fanno in queste difficili situazioni per tenere alto il nome dell'Italia e per contribuire fattivamente al lavoro che stanno svolgendo le organizzazioni internazionali. L'indeterminatezza della vostra politica estera su tali questioni ci danneggia. Provate ad immaginare questi contingenti che sono lì, appesi alle dichiarazioni del Turigliatto di turno, che deve decidere con il suo voto se possiamo proseguire il nostro lavoro o se dobbiamo ritirare i nostri soldati!
Ebbene noi oggi dichiariamo il nostro voto favorevole, un voto favorevole ragionato, un voto favorevole politico, un voto favorevole approfondito - non a caso abbiamo voluto presentare una serie di proposte emendative, per cercare di modificare il provvedimento in esame e con l'intenzione di contribuire positivamente anche con questa lunga discussione, che serve proprio a farvi comprendere quanto sia importante per noi la scelta di sostenere il decreto di rifinanziamento -, ma nessuno si faccia illusioni su questo nostro voto. Nessuno pensi che sia la prima tappa di quelle «maggioranze variabili», a cui qualcuno aspira!
Il nostro non è un voto che può risolvervi i problemi, perché voi, su questi temi, dovete avere una maggioranza autonoma. Infatti, in politica estera, specialmente quando si tratta di missioni internazionali, una maggioranza ha il dovere di essere autosufficiente, al di là di quello che sarà il voto dell'opposizione, alla luce di posizioni più o meno responsabili!
Questo è l'appello che rivolgiamo alla maggioranza, convinti che non sia al momento autonoma ed autosufficiente. Siamo convinti, altresì, che il tentativo di spingere qualche esponente della sinistra massimalista a «turarsi il naso» ed a votare a favore del provvedimento, in cambio dell'acquisto di un po' di oppio dai contadini afghani, non riuscirà!
Noi vogliamo che il paese sia unito a tutela della nostra politica estera, rivendicando non solo il nostro multilateralismo, ma anche il nostro atlantismo ed il nostro europeismo. Desideriamo, insomma, che il paese sia unito nel rifinanziare questa missione, per far in modo che i soldati italiani impegnati all'estero sentano vicini tutto il Parlamento e l'intero paese!
Vi sono, però, alcuni limiti da parte vostra, ed adesso spetta a voi l'onere della prova! Abbiamo già dimostrato il nostro senso di responsabilità, voi dimostrate adesso di avere una maggioranza: altrimenti, il giorno dopo, vi sarà un problema non numerico, ma politico, per cui non si potrà precludere la strada delle dimissioni del vostro Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia)!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il Governo ha fatto presente alla Presidenza Pag. 55di avere elementi di informazione in ordine alla sparizione dell'inviato del quotidiano la Repubblica in Afghanistan.
Quindi, dopo il prossimo oratore, intorno alle 17,45 sospenderemo gli interventi sul complesso delle proposte emendative per consentire lo svolgimento dell'informativa urgente richiesta, all'inizio della ripresa pomeridiana della seduta, dall'onorevole Bonelli.
Gli interventi sul complesso degli emendamenti proseguiranno al termine dell'informativa urgente.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, signor viceministro e cari colleghi, il decreto-legge sulle missioni di pace è un provvedimento che troverà, come ha già detto anche l'onorevole Bocchino, una larga unità nel Parlamento.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,30)
PIER FERDINANDO CASINI. Si tratta di un'unità a difesa di due concetti fondamentali. Il primo è il multilateralismo. Nessuno in Italia, né nel centrosinistra e neanche nel centrodestra, ha mai rifiutato il principio cardine della nostra politica estera, cioè il multilateralismo.
In questi mesi, abbiamo avuto polemiche su tanti punti, ma io respingo al mittente l'idea che, nella vita della nostra nazione, siano trascorsi cinque anni nei quali il tema del multilateralismo non sia stato al centro delle preoccupazioni della politica e della maggioranza del Parlamento.
Dunque, un voto per il multilateralismo ed un voto per i nostri militari, che devono contare sulla solidarietà di tutto il paese. Dall'Afghanistan ai Balcani, dall'Iraq al Darfur, gli italiani, nel mondo, si battono per quei principi di pace, di libertà e di aiuto ai più deboli che sono i valori ispiratori della nostra Carta costituzionale.
Signor Presidente, mi consenta anche di esprimere, in apertura di questo breve intervento, tutta la solidarietà del mio gruppo e mia personale nei confronti della famiglia, dei giornalisti de la Repubblica e, soprattutto, dei congiunti di Daniele Mastrogiacomo. Questo grande professionista, inviato di guerra, in questo momento di difficoltà deve poter sapere di avere dietro di sé la solidarietà di tutto il paese e dell'intero Parlamento (Applausi)!
Onorevole Intini, di qui a qualche minuto lei riferirà sulle informazioni che il Governo ha acquisito. Voglio dirle con chiarezza dai banchi dell'opposizione che, così com'è accaduto in passato per altri italiani ostaggi in zone di guerra, per quanto mi riguarda, e per quanto ci riguarda come gruppo parlamentare, il Governo ha carta bianca per fare qualsiasi sforzo, nei modi e nelle forme che riterrete opportune, per assicurare ai suoi familiari che si riconduca in libertà questo giornalista così valido, questo professionista molto stimato in tutta la comunità internazionale.
Vorrei dire nel dibattito generale sul complesso degli emendamenti che il nostro gruppo, l'onorevole Forlani, insieme ad altri colleghi, ha presentato emendamenti che si sono tradotti nel testo. Penso alla necessità di privilegiare professionalità locali nella cooperazione, penso ai fondi di ricostruzione da indirizzare soprattutto ad attività didattiche e formative. Anche questi sono principi ispiratori di un nostro modo di fare cooperazione che, giustamente, sono stati inseriti con l'accordo di tutti nel decreto-legge all'esame, che anche l'onorevole Bosi ha seguito in prima persona.
Vorrei, però, con molta nettezza, in modo chiaro, senza ambiguità, esprimermi contro l'ordine del giorno D'Elia che è stato approvato o che comunque sarà approvato dalla maggioranza di questo Parlamento. L'idea di un piano di riconversione delle colture illecite di oppio in colture di oppio legale, al fine di una loro autorizzazione per la terapia del dolore è una cosa completamente sbagliata, che contrasta con i nostri orientamenti in termini di tossicodipendenza: il gruppo parlamentare dell'UDC, infatti, è fra quelli Pag. 56convinti che i disegni di legge, oggi legge, Fini-Giovanardi siano stati un modo intelligente per rispondere all'emergenza nazionale. Devo dire però che questa idea bislacca mi sembra più confezionata per finalità nazionali ad uso domestico che non con una chiara assunzione di serietà e di responsabilità internazionale.
Vorrei leggere quello che questa mattina penso molti colleghi abbiano letto su la Repubblica. L'ex direttore dell'Agenzia antidroga dell'ONU, direttore dell'ufficio ONU per gli stupefacenti e il crimine, Pino Arlacchi - alla domanda: giudica irrealistica questa soluzione? - risponde testualmente: «La giudico irrealista per due motivi: il primo è che la domanda di farmaci antidolorifici nel mondo è già ampiamente soddisfatta» - mentre chi ha presentato l'ordine del giorno cui accennavo è partito dal presupposto errato che vi fosse tale domanda nel mondo - «il secondo» - dice Arlacchi, che certo non è della nostra parte politica - «è che il mercato illegale paga sempre di più rispetto a quello legale; i contadini afgani continuerebbero a vendere il prodotto ai contrabbandieri. Il sistema potrebbe in realtà raggiungere un obiettivo chiaro: l'aumento del prezzo dell'opera sul mercato internazionale».
Vorrei anche aggiungere alcune riflessioni di carattere più propriamente politico. Il decreto-legge al nostro esame attraversa una certa fibrillazione nella politica nazionale. Ho apprezzato il presidente Ranieri, l'onorevole Pinotti, presidente della Commissione difesa, che hanno cercato di ricondurre la discussione ai termini della questione, e lo hanno fatto dal punto di vista delle loro posizioni politiche, ma con grande correttezza istituzionale.
Tuttavia, devo dire che dobbiamo esprimere con chiarezza anche le opinioni in ordine ad alcune proposte che, in vista del dibattito al Senato, si stanno incrociando in queste ore.
È di questa mattina un'idea spericolata del ministro Amato, che forse qualcuno potrebbe definire come una vera e propria barzelletta: il ministro Amato ha proposto delle maggioranze variabili.
Se il bipolarismo, al quale tanto sono affezionati molti colleghi - senza nemmeno accettare i rilievi critici che noi abbiamo avanzato a questo tipo di bipolarismo che si è prodotto -, produce barzellette, come quella della maggioranza variabile, ritengo che non ci si possa lamentare se la gente è sempre più distante dalla politica.
Deve essere chiara una cosa. Il 21 febbraio il nostro ministro degli esteri a proposito dell'Afghanistan disse: «o la maggioranza ha i numeri, o va a casa». Ieri l'onorevole Fassino ha affermato che non ci sarà alcuna crisi se il testo avrà il via libera da un'ampia maggioranza parlamentare.
Allora, onorevoli colleghi, occorre richiamare il Parlamento alla serietà di comportamenti. Se questa idea spericolata, questa barzelletta delle maggioranze variabili che umilia il Parlamento - che non potrebbe essere accettata nemmeno in un giovane paese in cui si fanno esperimenti con i principi cardine della democrazia -, dovesse emergere, e se magari nel giro di due mesi le posizioni degli onorevoli D'Alema e Fassino dovessero diventare così distanti tra loro, quale elemento di novità sarebbe emerso nella politica italiana? Cosa emerge oggi in questo Parlamento che induce l'onorevole Fassino a spiegare che, se vi è un'ampia maggioranza, il problema dei numeri è superato? E cosa rende così distante nel tempo la presa di posizione del ministro degli esteri, che sollecitava la maggioranza ad avere i numeri o ad andare a casa?
È fin troppo chiaro che, a nostro avviso, o la maggioranza ha i numeri o va a casa. In questa crisi, l'unico elemento di novità vero che si è registrato è stato il rigore istituzionale del Presidente della Repubblica, al quale tutti dobbiamo rivolgere un ringraziamento, perché si è comportato in termini di serietà. Infatti, davanti ad una politica che ha smarrito la serietà, il Capo dello Stato ha certificato la necessità di 158 voti di senatori eletti al Pag. 57Senato e lo ha fatto proprio per evitare che una crisi, che si è aperta su balletti indecenti, potesse avere una conclusione ridicola.
Cosa legittima oggi questo cambio di rotta da parte dell'onorevole Fassino? Forse le convenienze, ma non certo le convinzioni delle persone serie.
Allora, i militari italiani devono sapere di poter contare non solo su un voto ampio del Parlamento - perché questo lo avranno -, ma su un'autosufficienza della maggioranza che ha avallato la scelta di tenerli in un teatro di guerra di questo tipo mentre ha fatto ritirare le nostre truppe dall'Iraq.
Ebbene, onorevoli colleghi, durante la crisi, proprio per evitare le barzellette come quelle della maggioranza variabile, il mio partito ha proposto un Governo di responsabilità nazionale, un Governo di larghe intese. Qualcuno ha respinto questa proposta al mittente, con sberleffi, crogiolandosi nell'idea dell'autosufficienza della maggioranza parlamentare. Allora, chi è causa del suo mal pianga se stesso: chi durante la crisi ha respinto al mittente l'idea di un Governo di larghe intese oggi si deve assumere la responsabilità di portare ad un'autosufficienza parlamentare la maggioranza non solo alla Camera, ma anche al Senato della Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Forza Italia).
La nostra proposta è stata respinta ieri, e noi riteniamo che oggi la stessa serietà di chi ci sta di fronte, vale a dire della maggioranza, richieda che vi sia un'autosufficienza parlamentare sul tema dell'Afghanistan.
Noi non mutiamo il nostro atteggiamento per questo: non lo muterà l'opposizione perché c'è un senso di responsabilità che viene prima delle contingenze politiche. Comunque, per favore, certi alchimisti, pronti a cambiare tesi da un giorno all'altro a seconda delle convenienze, abbiano lo scrupolo di occuparsi dei loro impegni istituzionali (per quanto riguarda il ministro dell'interno Amato sono già gravosi) e non introducano nel dibattito politico elementi di confusione, incomprensibili per la gente, per gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro, Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.