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TESTO DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO SABINA SINISCALCHI SUL COMPLESSO DELLE PROPOSTE EMENDATIVE (DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 2193-A)
SABINA SINISCALCHI. Il provvedimento che stiamo discutendo contiene delle sostanziali novità rispetto a quello votato lo scorso luglio.
La missione in Libano, innanzitutto, che mette in campo la nuova strategia dell'Italia per quanto riguarda le missioni militari e che ha avuto come effetto immediato la fine di una guerra che in un Pag. 91mese ha causato l'uccisione di 1287 persone e il ferimento di 4054, la distruzione di ponti, strade, fabbriche e ha lasciato centomila persone senza casa.
Il secondo elemento di novità è il contributo finanziario.
Il provvedimento non prevede - come è noto - la presenza di truppe italiane in Iraq, ma prende atto dell'errore gravissimo che la guerra contro quel paese ha rappresentato. Prevede però la continuazione della missione umanitaria di stabilizzazione e ricostruzione perché nessuno di noi è tanto irresponsabile da voler abbandonare il popolo iracheno ad un destino che si fa ogni giorno più sanguinoso.
Il terzo elemento è il contributo alla missione dell'OUA di peace keeping in Somalia nel quadro dell'iniziativa politica e diplomatica africana e europea che ha bloccato sul nascere la guerra civile in Somalia che rischierebbe di coinvolgere tutto il Corno d'Africa con un effetto destabilizzante per l'intero contingente africano.
II relatore Ranieri nell'intervento introduttivo al dibattito ha affermato che il punto dal quale muovono le nostre considerazioni è che ormai è evidente che non c'è una soluzione militare della crisi afgana. Avvertiamo l'esigenza di ripensare la strategia finora adottata dalla comunità internazionale; in primo luogo, occorre accrescere mezzi e risorse da destinare alla ricostruzione economica e civile del paese.
Direi che le sue parole sintetizzano perfettamente il contenuto e lo spirito del dibattito che abbiamo avuto nelle Commissioni congiunte e che hanno prodotto il testo emendato che siamo oggi a discutere e a votare.
Nelle numerose audizioni che le Commissioni esteri e difesa hanno svolto, abbiamo incontrato diversi soggetti: alti gradi militari, esperti, diplomatici, rappresentanti di organizzazioni non governative che operano nei paesi in cui l'Italia sta svolgendo missioni militari. Tutti si sono trovati concordi nell'affermare che la pacificazione di un paese passa attraverso il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, passa attraverso la garanzia di diritti primari come il diritto al cibo, all'istruzione, alle cure sanitarie, al lavoro.
In molti dei paesi in cui le nostre truppe operano questi diritti non sono affatto garantiti.
Sicuramente, se si volesse stilare una classifica nella tragedia, l'Afghanistan sarebbe all'ultimo posto.
In Afghanistan, dove metà della popolazione ha meno di 18 anni, l'aspettativa di vita è di 47 anni sia per gli uomini che per le donne, una delle più basse del mondo, tutti gli indici di sviluppo umano rimangono pessimi, anche se c'è stato un miglioramento nella scolarizzazione delle bambine e delle ragazze. Solo il 23 per cento della popolazione ha accesso all'acqua potabile, meno del 20 per cento beneficia di energia elettrica.
Credo che la proposta delle nostre Commissioni di aumentare di 10 milioni i fondi per gli interventi di cooperazione in Afghanistan derivi proprio dalla presa d'atto di questa drammatica situazione, che l'intervento militare da solo non può risolvere.
Come partito Rifondazione Comunista-Sinistra Europea siamo soddisfatti dell'incremento di 10 milioni di euro per l'Afghanistan, ma lo consideriamo un primo passo. Altri paesi stanno dando di più: l'India ad esempio ha appena stanziato 100 milioni di euro per la ricostruzione e lo sviluppo rurale.
E anche il Congresso degli Stati Uniti, da quando i democratici vi hanno la maggioranza, ha percepito la necessità di riorientare l'intervento americano in Afghanistan aumentando l'assistenza non militare.
Rimangono da ricostruire strade, case, ospedali, scuole, acquedotti. Per questo non possiamo non notare la sproporzione di risorse destinate all'intervento militare rispetto a quelle destinate agli interventi di cooperazione allo sviluppo (circa 10 a 1, 310 milioni di euro per la presenza militare, 30 milioni ora 40 per i progetti di cooperazione).Pag. 92
Altri emendamenti apportati dalle Commissioni riunite sottraggono gli interventi di cooperazione a vincoli che impediscono spesso siano completamente attuati; favoriscono inoltre il coinvolgimento delle organizzazioni non governative che operano nei paesi toccati dalle missioni militari.
Si tratta di organizzazioni cooperanti e volontari italiani che hanno avuto il coraggio e la tenacia di rimanere nei teatri di guerra a difesa e a sostegno delle popolazioni, specialmente dei gruppi più deboli, come le donne e i bambini.
Credo che di queste azioni e di queste persone si parli troppo poco in quest'aula!
Altrettanto valida è la proposta di impiegare, laddove possibile, risorse umane locali, al fine di valorizzare le professionalità e le conoscenze già presenti nel territorio contribuendo così al rafforzamento della società civile e all'incremento del reddito nazionale.
Bisogna, tuttavia, dare rapidamente ed efficacemente attuazione all'impegno per la cooperazione, perché finora le popolazioni, in particolare quella afgana, hanno sentito tante promesse, ma hanno visto ben pochi aiuti.
Come spesso succede, molte sono le risorse investite nella guerra, poche quelle investite nella ricostruzione e quindi nella pace.
In Afghanistan il non aver ricostruito con rapidità quanto distrutto dalle guerra e dai talibani è stato un gravissimo errore politico della comunità internazionale!
Un aspetto su cui il decreto rimane carente è la separazione tra militare e civile, pur auspicata nella mozione parlamentare del 17 luglio.
Non possiamo non notare che sotto il titolo «interventi di cooperazione» vengono elencati interventi di carattere prevalentemente militare.
Pensiamo che questo non giovi alla trasparenza, che un governo democratico deve avere come caratteristica peculiare, ma soprattutto riteniamo che questa commistione danneggi l'azione di cooperazione che viene spesso vista dalle popolazioni come un'azione militare mascherata, alimentando distanza e diffidenza.
Per rimanere all'Afghanistan, va segnalato che le organizzazioni non governative italiane preferiscono non operare nella provincia di Herat dove è in corso il PRT sotto il comando ISAF/NATO (che, al di là del nome - Pronvincial recosntruction team, «squadre di ricostruzione» - hanno il compito di concorrere al processo di espansione della NATO) ma in altre province, perché ritengono che il rapporto con la popolazione venga penalizzato dalla confusione con le forze militari considerate dalla maggioranza degli afgani come forze di occupazione. Inoltre non vogliono mettere a repentaglio non tanto la loro sicurezza, ma la loro autonomia e la loro neutralità che deve essere accuratamente garantita in ogni intervento veramente umanitario.
È stato detto da alcuni esponenti di organizzazioni non governative che pure vedono nel rifinanziamento della missione in Afghanistan un atto necessario, che nel 2007 la strategia italiana deve puntare più sulla politica e sulla diplomazia che sull'intervento militare.
Di qui la nostra proposta di rilanciare presso gli altri paesi il progetto di una conferenza di pacificazione e democratizzazione.
In conclusione, noi pensiamo che - sia pure lentamente e cautamente - il nostro Governo si stia muovendo in questa direzione. Per questo voteremo a favore.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico della seduta del 5 marzo 2007, a pagina 78, seconda colonna, righe trentottesima e trentanovesima, le parole «con un elicottero velivolo da trasporto e uno» si intendono sostituite dalle seguenti: «con un velivolo da trasporto e due».
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