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Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
(Iniziative per avviare una nuova politica degli investimenti per la ricerca scientifica e l'università - n. 3-00841)
PRESIDENTE. Il deputato Misiti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00841 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata sezione 1) per un minuto.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signori ministri, i Consigli europei di Lisbona nel 2000, di Barcellona nel 2002 e di Bruxelles nel 2003, hanno approvato documenti che mettono in collegamento gli investimenti in ricerca scientifica e innovazione tecnologica con la competitività, la crescita economica e l'occupazione.
Come è ormai consuetudine in Europa, a Lisbona è stato stabilito che, per l'anno 2010, tutti i paesi europei devono investire il 3 per cento del PIL in ricerca scientifica e tecnologica.
È evidente che l'Italia presenta un gap notevole, in quanto investendo in ricerca e sviluppo meno rispetto alla media europea dei 27 Paesi membri, deve preoccuparsi di raggiungere tale obiettivo, magari attraverso un graduale innalzamento dei livelli di investimento.
Pertanto, vorrei sapere quali provvedimenti il Governo intenda assumere al fine di superare questa situazione.
PRESIDENTE Il ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, ha facoltà di rispondere, per tre minuti.
FABIO MUSSI, Ministro dell'università e della ricerca. Onorevole Misiti, l'università italiana è effettivamente maltrattata: poche risorse, meno certamente di quelle che servirebbero perché costituisca un elemento forte della crescita culturale, civile, sociale ed economica.Pag. 39
Nel corso degli anni è stata anche umiliata da provvedimenti legislativi che hanno consentito, non senza responsabilità accademiche, la proliferazione delle sedi, la frammentazione dei corsi, attraverso il perverso meccanismo delle convenzioni di massa, la mortificazione del titolo di studio e degli studenti seri, la moltiplicazione (cinque solo nell'ultimo mese della passata legislatura) delle università telematiche (anche quando l'unica struttura è rappresentata da un appartamento e da un computer).
Il deficit maggiore si ha in termini di risorse umane. Vi sono poco più di mille ricercatori per un milione di abitanti. Pertanto, siamo agli ultimi posti dei trenta maggiori paesi del mondo (al di sotto della Spagna e del Portogallo). Questi ricercatori vengono pagati meno degli operai, i quali, a loro volta, non sono pagati molto: 800 euro un dottorando, 1100 euro un assegnista, 1200 euro un ricercatore.
Inoltre, ogni anno, oltre seimila laureati si recano all'estero, moltissimi lo fanno per necessità e non per libera scelta. Un giovane arrivato alla laurea costa allo Stato mediamente cinquecentomila euro. Eppure esportiamo, gratuitamente, capitale umano pregiato per risparmiare qualcosa nelle strutture e sugli stipendi.
In merito ad un punto della sua interrogazione, vorrei dire che non avrei proposto un provvedimento come quello del rientro dei cervelli perché è un patetico tentativo di ripescare con un cucchiaio l'acqua che va via da un torrente in piena, perché non si può chiedere di rientrare in Italia ai nostri giovani ricercatori all'estero, offrendo contratti a termine, senza costruire una prospettiva di lavoro stabile.
Ciò nonostante, mi sto adoperando affinché questo provvedimento non diventi, per così dire, una fregatura e sortisca un qualche effetto positivo. Abbiamo rifinanziato il provvedimento sul rientro dei cervelli, abbiamo consentito la proroga dei contratti triennali in scadenza, insieme al CUN abbiamo fornito una nuova e legittima interpretazione dell'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, che consente la chiamata diretta, la possibilità cioè di diventare professore ordinario o associato anche ai giovani che hanno avuto esperienza di insegnamento e ricerca nelle università di altri paesi.
Nel decreto di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università sono previste apposite risorse: 5 milioni di euro volti a finanziare il programma di rientro dei cervelli e le chiamate dirette. Ma questi sono solo i primi indispensabili provvedimenti. C'è bisogno di giovani ricercatori e di invertire la tendenza all'invecchiamento delle nostre università e dei nostri enti di ricerca. Proprio per questo la legge finanziaria 2007 prevede un piano straordinario di assunzione di ricercatori sia nelle università, 140 milioni nel triennio, sia negli enti di ricerca, 67,5 milioni nel triennio.
In conclusione, informo il Parlamento che ho inviato proprio oggi alla CRUI e al CUN, per il parere previsto dalla legge, il nuovo regolamento di disciplina dei concorsi per ricercatore, regolamento che introduce standard internazionali per noi insolitamente innovativi per la selezione e la verifica del merito, capace di contrastare localismo, clientelismo e nepotismo.
PRESIDENTE. Il deputato Misiti ha facoltà di replicare.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, ringrazio il ministro Mussi per le notizie e per le spiegazioni che ha dato, di cui non posso che essere soddisfatto. Però voglio sottolineare il fatto che i finanziamenti per la ricerca provengono sostanzialmente da due fonti: quella europea che richiede un cofinanziamento italiano, e la fonte nazionale (naturalmente sia pubblica sia privata). Quindi è evidente che gli attori della ricerca sono diversi: gli enti di ricerca, le imprese, le università (è vero che se le università non funzionano non abbiamo ricercatori bravi), i consorzi interuniversitari e anche i parchi scientifici e tecnologici. È vero anche che questi enti di ricerca e soprattutto le imprese devono essere all'altezza per competere a livello europeo al fine di ottenere finanziamenti per grandi progetti.Pag. 40
È quindi evidente che si può arrivare certamente al 3 per cento del PIL non solo con lo sforzo del Ministero, ma con un sforzo del sistema complessivo: dei Ministeri della salute e dell'agricoltura, dell'intero Governo e soprattutto anche dell'insieme delle grandi imprese italiane, che in parte sono imprese di eccellenza anche nella ricerca e nell'applicazione tecnologica e che in parte «dormono». Occorre anche sottolineare il difetto congenito dell'imprenditoria italiana la cui maggioranza è formata da piccolissime e medie imprese.