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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Segreto pontificio e competenza del tribunale apostolico per notizie di reato da parte di sacerdoti - n. 2-00490)
PRESIDENTE. L'onorevole Cancrini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00490 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
LUIGI CANCRINI. Signor Presidente, mi pare che la giornata di oggi, per una casualità, sia particolarmente interessante per lo sviluppo di questo discorso, perché stasera andrà in onda - credo nel programma Annozero - un documentario che riguarda proprio la pedofilia da parte di preti, di sacerdoti.
Insieme con gli altri proponenti della presente interpellanza urgente non intendevamo davvero fare alcuna sorta di scandalismo o quant'altro di simile; vogliamo soltanto porre un problema concreto. Il problema è il seguente: accadono - perché accadono - delle situazioni di pedofilia in ambito ecclesiastico ed esistono disposizioni della Chiesa cattolica (l'ultima delle quali è del 2001) che ritengono di dover raccomandare ai sacerdoti e ai vescovi, che di tali sacerdoti sono responsabili, il mantenimento del segreto rispetto ad atti di pedofilia che vengano eventualmente commessi appunto da sacerdoti. Si tratta di una decisione che ha naturalmente un senso, dal punto di vista della difesa dell'immagine della Chiesa e dei sacerdoti stessi, e che viene anche giustificata con un richiamo a quella che è la lettura religiosa di un comportamento pedofilo, inteso come peccato di cui ci si pente e da cui eventualmente ci si redime.
Il problema secondo me e secondo gli altri proponenti è che, quando si parla di pedofilia, ci si trova di fronte a due aspetti, che tale modalità di intervento non copre, non prende in considerazione. Il primo riguarda il fatto che la pedofilia è una malattia, è un comportamento che ha radici in un disturbo grave della personalità. Il fatto stesso che alcuni di questi sacerdoti, poi scoperti - come accaduto recentemente a Pomezia -, abbiano terminato tragicamente la loro vita, propone la gravità della patologia in esame.
Ma nel documentario di questa sera - lo vedremo purtroppo insieme - il provvedimento che mantiene il segreto spesso non corrisponde ad un'interruzione della possibilità, per il sacerdote che ha commesso atti di pedofilia, dei suoi rapporti con i ragazzi, perché la decisione che viene presa è quella di un trasferimento ad altra diocesi. Comprendete bene che si tratta di un provvedimento quanto meno poco cauto, nel senso che in un nuovo ambiente, dove non si sa nulla di quanto è accaduto, ciò che succede è che la persona con problemi di pedofilia si trova più libera di quanto non fosse prima. Tragedie collegate a questo tipo di decisione verrano proposte questa sera, appunto, nel documentario che ho citato. E sono terribili, ma anche per la persona del sacerdote.
Il secondo punto è quello che riguarda le vittime della pedofilia, perché le vittime della pedofilia hanno dei danni. Questi danni sono psichici, rilevanti nell'immediato e nel tempo. L'esperienza clinica dimostra che, se si vuol porre riparo a tali danni, la cosa più importante è che il bambino o la bambina che subisce atti e comportamenti pedofili possa denunciarli, perché è nella denuncia, nel racconto, nell'avere una risposta da parte della società - nella quale, a un certo punto, dovrà entrare - che si forma l'idea di giustizia (ho avuto un danno, c'è una risposta: il colpevole viene punito).
Discende da questo insieme di conseguenze che in una società civile dovrebbe esserci con riferimento a qualsiasi tipo di reato la possibilità che la vittima continui a credere nel fatto che si vive in una società in cui la giustizia esiste.
Noi ci troviamo in tal caso in una situazione assai delicata; mi rendo conto che lo Stato italiano non può criticare o mettere in questione delle indicazioni che la Chiesa intende dare ai suoi sacerdoti, però mi pare che oggettivamente - pare a me e agli altri presentatori di questa interpellanza - ci sia una discrasia di norme. Insomma, se un bambino ha la sventura di essere infastidito, molestato,Pag. 48violentato da un prete pedofilo, ha molte meno possibilità di trovare un aiuto nella società civile, una risposta nelle sedi giudiziarie, un risarcimento morale e in alcuni casi anche materiale.
Mi pare che sia una materia su cui si dovrebbe discutere e quello che noi chiediamo è se questa discussione verrà portata avanti e se su questo punto si prenderanno misure. Vorrei far presente che l'onorevole Bongiorno e l'onorevole Merloni, due membri di questo Parlamento, hanno presentato una proposta di legge in cui si rende obbligatorio per qualsiasi cittadino italiano quello che secondo me è un obbligo morale già esistente ma sancito dalla legge solo per chi esercita una pubblica funzione: la denuncia di comportamenti pedofili di cui si viene a conoscenza. Qui si gioca una partita importante nell'ambito della prevenzione dei comportamenti pedofili. L'obbligo di denuncia di queste condotte rappresenta una delle possibilità che abbiamo per prevenire, per intervenire in tempo. In questa fase in cui la «nube della pedofilia» incombe in qualche modo in tutti i telegiornali, negli approfondimenti televisivi, nella stampa, in cui sembra che questo tema rappresenti qualcosa che colpisce molto le coscienze di tutti, andrebbe valutata con molta attenzione la contraddizione tra l'indicazione della Chiesa cattolica e la norma contenuta nelle nostre leggi. È chiaro che non ci aspettiamo «rivoluzioni» ma vorremmo sapere quanto, anche a livello di Governo, si intenda riflettere su queste cose e se si intendano proporre dei piani di collaborazione con la Chiesa cattolica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. L'articolo 7, primo comma, della Costituzione come è noto sancisce il principio secondo il quale lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani separando espressamente l'ordine dello Stato e l'ordine della Chiesa. Nell'accordo di modificazione del Concordato lateranense del 1984 sono presenti all'articolo 1 specifiche disposizioni ispirate al dettato costituzionale con le quali la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica riaffermano che lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani e si impegnano al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti e alla collaborazione per la promozione dell'uomo e del bene del Paese.
La Repubblica italiana inoltre riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale educativa, caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare, all'articolo 2 viene assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica.
È opportuno inoltre ricordare l'inviolabilità del segreto confessionale sancita dal nostro ordinamento, nonché la tutela del segreto professionale dei sacerdoti sulle informazioni ricevute da fedeli, in base alla quale non sussiste per un vescovo l'obbligo giuridico di denunciare alla magistratura un sacerdote che abbia confessato di aver commesso dei delitti.
L'articolo 4 dell'Accordo di modificazione del Concordato Lateranense firmato nel 1984 stabilisce infatti che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altre autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.
Norme di analogo contenuto sono presenti nelle leggi di approvazione delle intese con confessioni religiose concluse ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, con riferimento ai rispettivi ministri di culto.
Del resto, lo stesso codice di procedura penale, all'articolo 200, esonera dall'obbligo della testimonianza i ministri di culto su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero.
Pertanto la domanda posta dall'atto ispettivo, fondata sulla richiesta al Governo di invitare la Santa Sede a rimuovere alcune prescrizioni che fanno partePag. 49del proprio ordinamento giuridico si porrebbe contro la normativa costituzionale e pattizia richiamata, da cui risulta evidente la salvaguardia della sovranità e della libera giurisdizione della Chiesa, con conseguente limitazione di interventi statali in tale ordine per tutti gli aspetti inerenti all'esercizio della sovranità tra cui ovviamente il potere legislativo nelle materie ecclesiastiche relativamente agli appartenenti alla religione cattolica.
Per quanto più specificamente concerne i profili di diritto internazionale, invece si ricorda che la Santa Sede ha ratificato in data 20 aprile 1990 la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre del 1989, nonché in data 24 ottobre 2000 il relativo Protocollo opzionale sulla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia minorile, firmato a New York il 25 maggio 2000.
PRESIDENTE. L'onorevole Cancrini ha facoltà di replicare.
LUIGI CANCRINI. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta del rappresentante del Governo e richiamo la sua attenzione sul fatto che nella nostra richiesta c'era l'idea di porre allo Stato del Vaticano la questione della pericolosità di una disposizione, non quella di infrangerla unilateralmente, perché mi pare che questo della pedofilia sia un caso specifico, puntualmente contemplato peraltro nell'ambito del documento del 2001, firmato dall'allora cardinale Ratzinger.
La questione della pedofilia, infatti, rappresenta qualcosa per cui lo Stato italiano ha il dovere di proteggere oltre che i rapporti internazionali anche la salute dei suoi bambini. Si apre dunque un problema che non può essere risolto sulla base di accordi già presi, in un'epoca in cui problemi simili forse erano meno attuali o meno all'attenzione anche di un grande pubblico, come oggi avviene.
Perché vede, signor sottosegretario, è sacrosanto che sia garantita alla Chiesa la giurisdizione in materia ecclesiastica, ma il problema è in che senso possa dirsi materia ecclesiastica lo stupro subìto da un bambino italiano. È quanto le chiedo: che senso ha considerare soggetto alla giurisdizione ecclesiastica lo stupro subìto da un bambino italiano?
Io non credo che siamo in questa fattispecie, allora mi pare che la risposta sia debole e rappresenti anche l'indizio di una - posso dirlo - paura di confrontarsi con i problemi e con le novità.
Credo che nel rispetto dell'autorità morale della Chiesa si possano avanzare proposte, come hanno fatto altri governi. Ad esempio, il Governo degli Stati Uniti è intervenuto su questo tema con la richiesta dell'estradizione dei preti pedofili che si sono rifugiati in Vaticano. Le questioni sono state poste perché è un problema serio, che non si risolve dicendo che nel 1984 abbiamo deciso in quel modo e quindi adesso non facciamo niente. La questione è nuova e va affrontata in modo nuovo, con serenità.
Il problema della pedofilia da parte di sacerdoti è un problema reale, probabilmente ha qualcosa a che fare con il voto di castità e con l'insieme di situazioni e di vocazioni sbagliate che probabilmente ci sono: la mia professione, almeno, mi insegna questo, perché, purtroppo, anche professionalmente ho avvicinato situazioni di pedofilia di sacerdoti, ma non è questo il problema. Il problema reale, che vi pongo, è questo: che senso ha dire ad una famiglia con un bambino abusato che, poiché colui che ha abusato di lui è un prete, lo Stato italiano non ha nessuna capacità di proteggere il bambino? Ciò mi pare francamente inammissibile, e la nostra richiesta, che è molto semplice - porre formalmente allo Stato del Vaticano la questione della pericolosità di una disposizione - non significa, naturalmente, aggredire nessuno; significa, invece, mettere in guardia sul fatto che si sta verificando una situazione che forse non è nell'interesse né della Chiesa, né del prete eventualmente pedofilo, né dei bambini che cadono in questa situazione.
Forse si potrebbe rivedere questa disposizione. Non c'è nulla di offensivo, non c'è nessuna violazione di trattati o diPag. 50concordati, è un ragionamento che si può fare, nel rispetto reciproco. Quando rispetto una persona, un gruppo, un'associazione, dico ciò che penso. Fa parte proprio della dimensione elementare del rispetto anche l'esercizio del diritto di critica e l'appello a ragionare insieme, per affrontare meglio il problema.