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Svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Orientamenti del Governo sulle norme in materia fiscale approvate dal Consiglio regionale della Sardegna - n. 2-00562)
PRESIDENTE. Il deputato Pili ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00562 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
MAURO PILI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, con tale interpellanza urgente oltre quaranta parlamentari hanno voluto sottoporre all'attenzione del Governo - in particolar modo del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e del Ministro dell'economia e delle finanze - la reiterata approvazione, da parte della maggioranza del Consiglio regionale della Sardegna (che governa la regione), di norme, che hanno introdotto nell'ordinamento regionale nuove e reiterate tassazioni. Queste ultime - come si illustra nell'interpellanza urgente - finiscono per creare un ulteriore danno economico alla già difficile situazione dell'isola.
Con tale interpellanza urgente chiediamo al Governo di esprimersi circa il proprio atteggiamento rispetto a tale reiterata imposizione fiscale, per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché riteniamo che il Governo, anche su questa vicenda, debba esprimersi e lo debba fare in tempi assolutamente rapidi. In secondo luogo, perché riteniamo che, su tale vicenda il Governo debba dimostrare una coerenza e una linea forte e chiara, rispetto al tentativo di utilizzare lo strumento impositivo regionale in modo arbitrario, senza seguire quei canoni, che invece la Costituzione da una parte e l'ordinamento statale dall'altra imporrebbero prima dell'attuazione della riforma federale dello Stato, in particolar modo del federalismo fiscale.
Come tutti ben sanno - il Governo lo ha detto con estrema chiarezza anche nell'azione svolta contro le precedenti tassazioni imposte dal governo regionale della Sardegna - le imposizioni fiscali sono costituzionalmente illegittime. Questo è il primo tema che vogliamo sottoporre all'attenzione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, il quale su tale vicenda già un anno fa ha portato all'attenzione del Consiglio dei ministri un ricorso alla Corte costituzionale chiaro e ben delineato, in cui si evince la totale incostituzionalità delle norme che riguardano le nuove imposizioni fiscali della Sardegna.
A questo primo elemento forte (che richiamiamo nell'interpellanza urgente) ne segue un secondo, sul quale esiste un primo passaggio di forte contraddizione, nei termini e nella sostanza, da parte del Governo. Mi riferisco all'incostituzionalità - da noi richiamata - che molti esponenti dirigenziali del Governo stesso e dello Stato hanno sollevato, ossia all'impegno di spesa di quasi tremila miliardi delle vecchie lire che graveranno sui bilanci dal 2010 al 2015.
In altre parole, la regione sarda ha proposto una soluzione finanziaria, secondo la quale nell'esercizio finanziario del 2007, nei fondi di competenza, si possono utilizzare risorse che dovrebberoPag. 41- uso il condizionale non a caso! - essere impiegate a partire dal 2010 sino al 2015, stabilendo sostanzialmente di utilizzare le risorse di anni e di bilanci futuri, per pagare, magari, le vacanze, con i soldi dei nostri figli, che sarebbero serviti per l'istruzione o, per esempio, per la sanità, che - come ben sa il sottosegretario qui presente - è stata letteralmente «scaricata» sui bilanci della regione. In sostanza, è stato posto in essere un provvedimento di copertura illegittima del residuo attivo con quote di competenza dei bilanci futuri.
Se il Governo e il Ministro Padoa Schioppa, chiamato anch'egli a rispondere a questa interpellanza urgente per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, avessero utilizzato il medesimo principio, si sarebbe potuto risanare il bilancio dello Stato in un colpo solo, facendo gravare tutto il residuo attivo sulle quote di bilancio degli anni futuri. Si tratta di una soluzione quasi sudamericana, in relazione alla quale il Governo ha il dovere di sollevare ricorso alla Corte costituzionale per palese e conclamata illegittimità costituzionale.
Inoltre, il Ministro Lanzillotta, mediante una procedura assolutamente anomala, con una comunicazione effettuata via Internet ha annunciato di avere accettato l'autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della regione Sardegna per il primo mese dell'anno 2007, dichiarando che si trattava di una soluzione straordinaria e invitando il governo regionale a recuperare le risorse, successivamente, nella fase dell'approvazione della legge regionale finanziaria, mediante l'adozione di un provvedimento di natura ordinaria, riportando il principio alla regola dell'annualità e veridicità del bilancio, elementi riconosciuti dall'articolo 81 della Costituzione, il quale fa riferimento ad essi in relazione al bilancio dello Stato e, pertanto, al bilancio pubblico in genere.
Non si può, né si poteva far «passare in cavalleria» un provvedimento che, di fatto, è illegittimo e che, anche per un profano, è illogico, perché in un dato momento non possono essere utilizzate risorse relative ad anni futuri, non ancora prodotte.
Il frutto di anni di sacrifici, invece, viene in considerazione con l'articolo 3 citato nell'interpellanza che sto illustrando, relativo agli emigrati. Il governo regionale, per porre rimedio al precedente ricorso, ha ritenuto di dover includere tra i nuovi soggetti tassati anche gli emigrati sardi. Si tratta di un provvedimento grave sul piano sociale e politico, ma ancora di più su quello economico, se si considera che il 40 per cento delle abitazioni tassate sono di proprietà di emigrati sardi, persone che hanno compiuto tanti sacrifici e rimesso in Sardegna il frutto di anni di lavoro e che oggi vengono ulteriormente tassate da questi balzelli anacronistici e fuori da qualunque regola.
È evidente che le tre questioni da me illustrate pongono al Governo l'esigenza di un ricorso chiaro ed evidente alla Corte costituzionale. Del resto - su questo devo riconoscere al Governo linearità e coerenza, che spero venga confermata dalle parole del sottosegretario rispetto al provvedimento adottato alcune settimane fa dal consiglio regionale della Sardegna - il Governo ha proposto ricorso dinanzi alla Corte costituzionale, avanzando argomentazioni assolutamente chiare, sostenendo che in alcun modo, in nessuna regione, a regime autonomistico o a statuto ordinario, possono imporsi nuove tassazioni, in quanto gli articoli 117 e 119 della Costituzione impongono che venga emanata una legge nazionale di attuazione, senza la quale non si possono prevedere nuove imposte.
Su questo punto il Governo è stato molto chiaro. Nel tempo ancora a mia disposizione vorrei richiamare un solo passaggio. Il Governo ha affermato con estrema chiarezza che - leggo il provvedimento del Consiglio dei ministri - tutti i criteri seguiti dalle norme regionali impugnate sono contrari ai principi ai quali si ispira il sistema tributario attuale e - ha aggiunto il Governo Prodi - di conseguenza verrebbero a risultare costituzionalmente illegittime anche solo sulla basePag. 42dell'articolo 8 dello statuto sardo, che impone il rispetto dei principi del sistema tributario dello Stato; ha poi concluso nel senso che la regione non poteva istituire imposte proprie, prima dell'adozione di leggi statali, le quali mancano - signor Sottosegretario, lei è a conoscenza che se ne sta discutendo in questi giorni - perché non è stata data attuazione agli articoli 119 e 117 e che, in ogni caso, avrebbe dovuto rispettare i principi fondamentali desumibili dall'ordinamento statale tributario.
Quindi, di fatto, il Governo è chiamato a dire oggi, senza mezzi termini - il sottosegretario me lo permetterà - se ritenga di dover ancora impugnare tali norme o di far partire in Italia un'anarchia fiscale, che costituirebbe un danno gravissimo per le regioni del sud. Se tale normativa dovesse trovare attuazione in tutta Italia, è evidente infatti che il fondo perequativo nazionale, il cui scopo consiste nel risarcire le regioni più deboli, a quel punto non avrebbe più ragione di esistere perché ognuno farebbe quanto suggeritogli dalla propria linea politica, mettendo davvero in crisi il sistema tributario nazionale e, ancora di più, quello economico delle regioni deboli.
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, onorevole Pili, onorevoli interpellanti e onorevoli deputati, l'interpellanza, in sintesi, riguarda la legge finanziaria 2007 della regione Sardegna n. 2 del 29 maggio 2007, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione n. 18 del 31 maggio ed in particolare le disposizioni dell'articolo 1, commi 1 e 2, concernenti la copertura di stanziamenti in bilancio, e quelle dell'articolo 3, in materia fiscale.
Il predetto articolo 1, al comma 1, autorizza uno stanziamento nel bilancio 2007 della regione Sardegna di 500 milioni di euro quale anticipazione sulle maggiori entrate che deriveranno alla regione, a decorrere dall'anno 2010, per effetto delle modifiche all'articolo 8 dello statuto speciale, introdotte con la legge finanziaria statale 2007.
Il seguente comma 2 qualifica come operazione finanziaria straordinaria finalizzata alla copertura di una quota parte del disavanzo il disposto dell'articolo 2 della legge regionale n. 21 del 28 dicembre 2006, che al comma 7 ha delineato un analogo meccanismo di copertura per uno stanziamento nel bilancio 2006 a valere sul gettito delle compartecipazioni tributarie, come affermato, negli anni 2013, 2014 e 2015.
L'interpellanza ravvisa, nelle due disposizioni citate, l'intendimento del legislatore regionale di perpetuare un meccanismo finanziario consistente essenzialmente nella copertura di stanziamenti in bilancio attraverso anticipazioni di entrate future, derivanti dall'incremento della compartecipazione della regione al gettito di tributi erariali, in contrasto con i principi di annualità e di verificabilità del bilancio e con il carattere di straordinarietà attribuita al citato articolo 2 della legge regionale n. 21 del 2006.
Quanto all'articolo 3 della legge regionale in questione, esso incide, sostituendoli, sugli articoli 2, 3 e 4 della legge regionale 11 maggio 2006, n. 4, con cui sono stati istituiti i tributi regionali aventi per oggetto, rispettivamente, le plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case, le seconde case ad uso turistico e gli scali degli aeromobili e delle unità da diporto nel territorio regionale.
Tali disposizioni sono state oggetto di impugnativa, ancora pendente, da parte del Governo dinanzi alla Corte costituzionale. Nella recente legge regionale che le sostituisce, l'interpellanza rileva un analogo vizio di incostituzionalità, identificabile nel difetto dei presupposti che legittimano l'imposizione fiscale da parte della regione.
Sulla base di tali premesse, l'onorevole Pili e gli interpellanti chiedono se il Governo intenda impugnare, davanti allaPag. 43Corte costituzionale, la legge regionale in questione, come affermato nell'interpellanza, al fine di scongiurare una palese violazione costituzionale in materia fiscale, un dissesto economico finanziario conseguente per la regione Sardegna ed il rischio di una degenerazione di atti straordinari e discrezionali circa la veridicità del bilancio in tutte le regioni italiane. Chiedono, inoltre, se il Governo intenda anticipare i tempi del ricorso alla Corte costituzionale per evitare l'attuazione di tali disposizioni regionali.
In merito a tale interpellanza, il Governo non può che evidenziare che si tratta di una legge regionale pubblicata appena cinque o sei giorni fa, il 31 maggio 2007, e che il dipartimento per gli affari regionali provvederà tempestivamente, comunque nei termini fissati dalla normativa vigente - sessanta giorni - all'attività istruttoria della legge stessa, raccogliendo gli avvisi di tutte le amministrazioni statali competenti e, in particolare, del Ministero dell'economia e delle finanze. Ciò consentirà, all'esito dell'attività istruttoria, la più approfondita valutazione collegiale da parte del Governo nella sede del Consiglio dei ministri, anche in un momento particolarmente rilevante, considerato che queste disposizioni interessano la problematica della Carta delle autonomie e del federalismo fiscale, su cui il Governo, in particolare il Consiglio dei ministri, sta portando avanti nuovi provvedimenti.
In ogni caso, la documentata e circostanziata interpellanza dell'onorevole Pili e degli altri deputati fornisce elementi di importante valutazione, che il Ministero, l'intera Presidenza del Consiglio dei ministri e il Consiglio dei ministri valuteranno con grande attenzione.
PRESIDENTE. Il deputato Pili ha facoltà di replicare.
MAURO PILI. Signor Presidente, mi dichiaro ovviamente totalmente insoddisfatto rispetto alla comunicazione che il sottosegretario ha svolto, per due ordini di ragioni.
La prima ragione è la seguente: il sottosegretario ha richiamato la necessità di un approfondimento del tema e ha citato, per esempio, l'individuazione nella Carta delle autonomie di nuovi provvedimenti legislativi come uno degli argomenti su cui valutare questo provvedimento.
Regola vuole, signor sottosegretario, che un provvedimento di legge come questo vada valutato e verificato a norme vigenti, che sono quelle che hanno imposto al Governo di impugnare non i dettagli marginali delle nuove tasse, ma la sostanza.
Il Governo avrebbe fatto meglio - proprio per evitare di utilizzare lo strumento dei sessanta giorni per prendere tempo e, magari, superare i ballottaggi, per non far arrivare al loro compagno di partito, presidente della regione, un'ennesima palese bocciatura di questi provvedimenti - a esporre con chiarezza quale sia la propria linea fiscale verso le autonomie regionali.
Così facendo, infatti, si lascia spazio a interpretazioni e azioni anche delle regioni ordinarie, che possono trovare varchi che finiscono per danneggiare le stesse regioni a statuto speciale, senza fare chiarezza.
Capisco che il signor sottosegretario non possa affermare oggi, per ragioni politiche, in questa sede che sono reiteratamente bocciate e cassate le leggi proposte da questa scellerata legislatura regionale in materia di imposizione fiscale. Non lo poteva dire per ragioni politiche.
Leggo nelle parole finali, in cui si formula l'auspicio di favorire importanti valutazioni grazie a questa interpellanza, un passaggio (se le parole possono essere seguite da una riflessione) che comunque richiama all'importanza che il Governo faccia in fretta ad impugnare il provvedimento; infatti, la linea di principio che il Governo stesso ha voluto sposare - che non guarda né a destra né a sinistra, giacché l'hanno perseguita il Governo Berlusconi prima e il Governo Prodi, dopo - e il rigore con cui si governano e si devono governare i fatti della politica e dell'amministrazione non possono essere in alcun modo messi in discussione.
In questo caso, il riferimento agli articoli 117 e 119 della Costituzione non puòPag. 44prevedere - lo dico al rappresentante del Governo - ulteriori approfondimenti, perché vi è già un pronunciamento del Consiglio dei ministri guidato da Romano Prodi, che ha affermato che è illegittima e costituzionalmente inapplicabile la nuova tassazione regionale.
Avremmo voluto, quindi, con molta chiarezza avere un verdetto in tal senso, affinché il danno economico che la Sardegna subirà nell'immagine mondiale del turismo, legato alla nuova tassazione, venisse scongiurato da una presa di posizione del Governo, che fosse chiara e anticipata rispetto ai sessanta giorni. Era stata già svolta un'istruttoria, che era puntuale sotto ogni punto di vista e che certamente non poteva che essere considerata ulteriormente valida.
Prendiamo atto del fatto che il Governo ha scelto di comunicarci di non avere deciso, di non avere ancora sciolto le riserve. Ciò non toglie che resta nel resoconto dei nostri lavori il ricorso che il Governo ha presentato. Qualora il Governo dovesse tornare indietro rispetto a quel pronunciamento, sarebbe evidente che avrebbero prevalso altre logiche, che sono contro il federalismo fiscale, contro regioni del Sud e che vanno, invece, a premiare i rapporti politici, che mettono sempre in secondo piano gli interessi supremi e superiori della nostra Nazione e, in questo caso, della stessa Sardegna.
Il sottosegretario probabilmente avrebbe voluto rappresentarci anche qualche elemento in più sulla straordinarietà dell'atteggiamento adottato dal suo Ministero relativamente all'impegno di 3 mila miliardi di vecchie lire, che vengono previsti impegnando fondi del 2013, 2014 e 2015: pensate, quindi, l'alchimia, la gravità dell'operazione finanziaria che è stata operata in Sardegna. Se tutte le regioni italiane facessero altrettanto, saremmo al dissesto, al baratro economico-finanziario dell'intero Paese.
Signor sottosegretario, il mio è un reiterato appello, nel dichiararmi ancora insoddisfatto per la risposta non puntuale rispetto a quel che avremmo voluto, a tener conto dalle ragioni nobili della politica di questo Governo rispetto a quelle basse della politica tesa soltanto a salvaguardare piccoli e modesti interessi.
(Progetto di chiusura della scuola allievi agenti di Foggia - n. 2-00326)
PRESIDENTE. Il deputato Di Gioia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00326 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica, ovviamente anche in considerazione di quanto dirà il Viceministro.
PRESIDENTE. Il Viceministro dell'interno, Marco Minniti, ha facoltà di rispondere.
MARCO MINNITI, Viceministro dell'interno. Signor Presidente, come sanno perfettamente gli onorevoli Di Gioia e Turci, la decisione assunta sulla scuola allievi agenti di Foggia del 29 gennaio 2007 è frutto delle previsioni contenute nell'articolo 1, comma 431, della legge finanziaria del 2007, in ottemperanza alle quali il Ministero dell'interno sta riorganizzando l'intero sistema delle scuole della polizia di Stato, sulla base della rivalutazione complessiva delle esigenze di formazione degli allievi agenti di polizia, anche alla luce della riforma della leva obbligatoria e del poliziotto ausiliario ad essa collegata.
Ricordo che il sistema degli istituti di istruzione della polizia di Stato comprendeva 13 scuole per allievi, con una ricettività complessiva di oltre 4.700 posti. Nel prossimo quinquennio, invece, i nuovi agenti non dovrebbero superare la media annuale di mille unità.
Siamo di fronte ad un sovradimensionamento consistente, che deve essere eliminato sia per contenere le spese di gestione, sia per recuperare il personale di polizia che presta servizio nelle scuole, facendogli svolgere compiti di controllo del territorio, di prevenzione e di contrasto della criminalità.Pag. 45
L'obiettivo è quello di realizzare economie senza incidere sull'efficienza del servizio formativo. Quando il piano sarà realizzato, avremo un risparmio di 12 milioni di euro annui, vale a dire il 10 per cento della spesa sostenuta nel 2005: avremo così conseguito l'obiettivo imposto dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 434).
È bene precisare, inoltre, che la ristrutturazione del piano delle scuole è anche il frutto degli incontri con le organizzazioni sindacali, che si sono svolti in un clima di proficuo confronto. Alle organizzazioni sindacali sono state fornite garanzie sulla ricollocazione del personale della polizia di Stato e dell'amministrazione civile dell'interno, sia dal punto di vista logistico, sia sotto il profilo della valorizzazione della professionalità. I criteri seguiti per l'individuazione delle scuole da chiudere hanno tenuto conto delle caratteristiche strutturali degli immobili, della possibilità di una loro diversa utilizzazione e di una equilibrata distribuzione territoriale.
Il progetto di riorganizzazione verrà realizzato in due fasi: la prima fase ha come obiettivo la dismissione e la contestuale riconversione di quattro scuole, per un totale di circa 900 posti letto (tra queste vi è la scuola di Foggia); la seconda fase prevede la dismissione di altre tre scuole da individuare fra le nove rimanenti, per complessivi 1.300 posti letto. La scuola di Foggia aveva una ricettività complessiva di 281 posti letto, 84 operatori della polizia di Stato e 12 dipendenti dell'amministrazione civile dell'interno: la decisione di dismetterla si è dunque imposta esclusivamente per i criteri che ho precedentemente indicato, e, come risulta evidente, anche per le sue ridotte dimensioni.
Per la riconversione della struttura si stanno valutando diverse soluzioni: fra di esse, anche una proposta dell'amministrazione comunale di Foggia che prevede di utilizzare una parte della scuola, quella che comprende l'aula magna, per attività di formazione in collaborazione fra gli enti di quel territorio e l'università.
Il Ministero, dopo un incontro che ho avuto personalmente con il sindaco di quella città, sta elaborando la bozza di accordo da sottoporre al comune, insieme alla provincia e all'università, per la firma di un protocollo di intesa. Nella restante parte della scuola, completati taluni lavori di ristrutturazione, si trasferiranno gli uffici prevenzione generale e soccorso pubblico, cioè quelli più propriamente deputati al controllo del territorio e al rapporto con i cittadini. Il personale precedentemente in servizio nella scuola è già in forza alla questura di Foggia, che ha così potuto rafforzare i propri servizi e, in particolare, quelli di controllo del territorio.
È evidente che questo percorso ha consentito da subito vantaggi nella politica di sicurezza, e desidero aggiungere che esso costituisce anche la premessa di un possibile progetto per la costituzione di eventuali ulteriori presidi anticrimine nella città.
PRESIDENTE. Il deputato Di Gioia ha facoltà di replicare.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, ho grande stima del Viceministro Minniti e con lui ho interloquito in passato per tentare di ragionare sulla possibilità del mantenimento della scuola di formazione della polizia di Stato a Foggia o, in alternativa, sulle sue possibili riconversioni.
Debbo dirle, signor Viceministro, che negli ultimi tempi probabilmente vi è stata qualche incomprensione fra di noi: infatti, successivamente agli incontri cui lei aveva acceduto con grande spontaneità e rapidità al fine di discutere di questi problemi, vi è stato un ripensamento di cui non ho compreso la ragione. Forse esso è dovuto ad ingerenze esterne: questo, però, resta ovviamente solo nella considerazione della sua coscienza e del suo rapporto politico con il Parlamento in generale e, nella fattispecie, del rapporto con noi che rappresentiamo anche le esigenze del territorio da cui proveniamo.
Quindi, non mi sono spiegato le ragioni del suo immediato diniego, dopo che avevaPag. 46acconsentito ad un possibile incontro in cui vi era anche la necessità e la possibilità di interloquire con le organizzazioni sindacali territoriali, ossia con coloro che dovevano discutere con lei per vedere se era possibile riorganizzare la stessa scuola di polizia, ferme restando le condizioni a cui lei accennava.
Questo incontro non è avvenuto. Lei ha ritenuto semplicemente, con tutto il rispetto, di dover ricevere solo il primo cittadino di Foggia, con cui ha avuto uno scambio di opinioni che, a mio avviso, non sono da considerarsi né definitive né chiare a proposito della collocazione definitiva della scuola di polizia di Foggia.
Oltretutto, non mi convince il piano di ristrutturazione, perché le vorrei far notare che tra le scuole che rimarranno in funzione - non lo affermo per una questione di campanilismo - vi è quella di Campobasso, che possiede un numero di posti sicuramente inferiore, una struttura certamente non uguale e che oggettivamente ha più difficoltà di quella di Foggia.
Inoltre, signor Viceministro, lei comprende bene - poiché è originario di quei luoghi - le difficoltà che vi sono nella città e nella stessa provincia di Foggia, a causa della criminalità organizzata; perciò, la scuola di Polizia rappresentava l'occasione anche per una forte riqualificazione del sistema di prevenzione e del controllo del territorio, per quanto riguarda le attività criminose nella stessa provincia di Foggia. Quindi, mi sarei aspettato da lei una soluzione diversa, signor Viceministro, poiché conosce quella realtà e, in quanto meridionale, comprende bene quali siano i problemi presenti all'interno della realtà dell'Italia meridionale, vicende che condizionano anche la crescita complessiva del Sud e, quindi, le condizioni di sviluppo economico e sociale. Pertanto, ci saremmo aspettati da lei una più puntuale definizione del problema relativo all'organizzazione della scuola di polizia di Foggia.
Non posso essere soddisfatto della sua risposta - mi consenta, signor Viceministro - nonostante la stima e il rispetto che posso nutrire nei riguardi della sua persona, per il semplice motivo che le sue considerazioni finali mi sembrano estremamente labili. Infatti, non si può credere che vi sia semplicemente ed esclusivamente un presumibile protocollo di intesa con gli enti locali, cioè con la regione, la provincia, il comune, l'università di Foggia, per svolgere formazione, non comprendendosi - in conclusione - su cosa essa debba consistere, perché dalla sua risposta non si evince una chiara precisazione di quale possa essere la formazione da attuare nella parte restante della scuola di polizia.
Nemmeno sono definiti gli aspetti di ciò che poteva essere, a mio avviso, ma anche secondo il territorio, la sezione anticrimine. Lei sottolineava che «potrebbe essere possibile»: ciò significa che si tratta ancora di un dibattito in corso. Tuttavia, mi sembra che ciò fosse necessario in un tale contesto di difficoltà della stessa provincia di Foggia, come sottolineava in precedenza, soprattutto per le difficoltà delle zone limitrofe (perché non si deve dimenticare che si parla di una zona confinante con la Campania, un territorio con grandi difficoltà, tensioni e anche con problemi relativi alla criminalità organizzata). La stessa città e la stessa provincia di Foggia sono sicuramente soggette a questa influenza.
Oggi, avrei gradito che lei, signor Viceministro, riguardo a questa interpellanza urgente che stiamo discutendo e che ritengo non sia più tale, poiché sono trascorsi cinque mesi dal momento in cui avremmo dovuto discuterla, ebbene, dopo questo lasso di tempo, portasse alla nostra attenzione risposte molto più puntuali e precise, in virtù di un piano di riorganizzazione che i lavoratori, ossia coloro che fino ad ora hanno svolto le loro funzioni nella scuola, sicuramente si attendevano.
Per tale motivo devo ritenermi non soddisfatto della sua risposta. Mi auguro che, nei prossimi giorni, si possa svolgere un incontro sul tema. Questa volta, mi faccia la cortesia di non convocare semplicemente il sindaco della città di Foggia (con tutto il rispetto), ma, come ho detto in precedenza, tutti i rappresentanti delle istituzioni sia politiche, sia istituzionali, siaPag. 47sindacali, che in quella realtà agiscono per poter discutere serenamente con lei, anche in virtù dei dettami della finanziaria - che tutti abbiamo condiviso -, e giungere, in tempi abbastanza rapidi ad una definizione seria, puntuale, di grande dignità e di prospettiva della questione relativa alla scuola di Foggia.
(Carenza di mezzi e di risorse presso la questura di Torino - n. 2-00509 )
PRESIDENTE. La deputata Mazzoni ha facoltà di illustrare l'interpellanza urgente Volontè n. 2-00509 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmataria.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, desidero rapidamente porre in rilievo che l'interpellanza urgente in esame - sicuramente «raccomandata» rispetto a quella del collega Di Gioia - ha atteso comunque un mese dalla sua presentazione e, quindi, come premessa, volevo dire al rappresentante del Governo che siamo consapevoli del fatto che medio tempore qualcosa è successo rispetto alle questioni che solleviamo, ma sicuramente non riteniamo che si sia risolto il problema dell'ordine pubblico e dell'attività di prevenzione di cui ci facciamo carico, in particolare riguardo alla città di Torino e non solo. Ritengo, infatti, che la stessa preoccupazione sia estensibile a molti altri territori del nostro Paese.
La motivazione della difficoltà che viene denunciata dalle Forze di polizia e che leggiamo quotidianamente su tutti i giornali, è quella della carenza cronica di mezzi e di personale da destinare ai servizi di controllo del territorio e di pronto intervento.
Ci sono stati, ultimamente, movimenti di personale, che però rappresentano solo apparentemente una risposta alla carenza di organico, perché, in realtà, si tratta di una sorta di «travaso» che si risolve in un mero spostamento di personale da una sede all'altra: all'accesso di nuovo personale fa da contraltare il trasferimento di personale preesistente sul territorio e, quindi, alla fine il conto ritorna pari. Tra l'altro, vi è stata - è questa la preoccupazione più grande per la quale chiedo, in particolare, una risposta al Governo - una recente decisione da parte del Ministero di diminuire il monte ore previsto per lo svolgimento del lavoro straordinario rispetto ad una condizione - quella di Torino, ma, ripeto, estensibile a tutto il territorio nazionale - di morosità del Ministero dell'interno nei confronti dei poliziotti per circa 54 mila ore relative all'anno 2005.
La domanda che rivolgo al Viceministro è se abbiano contezza di questa situazione, se abbiano indagato sulle possibilità che ci sono di rispondere ad esigenze concrete, con la pianificazione di un'assegnazione massiccia di personale alla questura di Torino e alle altre sedi carenti, nonché alla liquidazione degli arretrati relativi al monte ore di straordinario collezionato dalle Forze dell'ordine nell'anno 2005 e, in alcuni casi, anche negli anni precedenti.
PRESIDENTE. Il Viceministro dell'interno, Marco Minniti, ha facoltà di rispondere.
MARCO MINNITI, Viceministro dell'interno. Signor Presidente, volevo, innanzitutto, tranquillizzare l'onorevole collega che una certa contezza del problema l'abbiamo e che ce ne occupiamo. È chiaro che il Parlamento giudica i risultati, ma lei avrà anche la possibilità di poter valutare che, sicuramente, passando quotidianamente il nostro tempo ad occuparci di tali questioni, una certa contezza del problema l'abbiamo.
Le dico ciò perché, quando si sta in Parlamento, probabilmente bisogna anche sapersi ascoltare: forse è più utile. Altrimenti, ogni volta si ha la sensazione che ci sia un dialogo tra sordi, per cui si possono fare delle cose, che possono essere anche insufficienti, ma tuttavia sarebbe anche importante ed utile che qualcuno vedesse quello che si sta facendo, magari anche per chiedere di più.
Capisco che spesso anche nei tempi parlamentari non c'è una piena sincronia,Pag. 48per cui, dopo aver presentato un'interpellanza, passa molto tempo per la risposta e può succedere che nel tempo che intercorre tra la presentazione dell'interpellanza e la risposta accadano dei fatti. Se ciò accade, forse per reciproco rispetto, conviene che se ne tenga conto. Lo dico perché sulle questioni sollevate nell'interpellanza in esame c'è stata un'attività da parte del Governo che ha portato ad un rapporto positivo con le istituzioni locali della città e della provincia di Torino e della regione Piemonte. Forse, non guasta citarle. Dico ciò anche perché l'interpellanza in discussione traeva spunto da una manifestazione organizzata dai sindacati di polizia per il 15 marzo scorso, che poi successivamente è stata revocata. L'obiettivo di tale manifestazione era sollecitare maggiori risorse da destinare alla sicurezza nella città di Torino.
Desidero sottolineare che su tali temi abbiamo proceduto in tutte le aree metropolitane attraverso un accordo ampio che ha coinvolto prima l'ANCI, poi alcuni sindaci. Abbiamo già sottoscritto il Patto per l'area metropolitana per le città di Roma, Milano e anche Torino. Siamo impegnati nei prossimi giorni per definire i patti per tutte le aree metropolitane del nostro Paese. Si tratta - questo è un punto strategico - di costruire direttamente, sulle esigenze specifiche di ogni territorio, progetti mirati che diano ai cittadini risposte concrete sui temi della sicurezza. È una scelta strategica questa, perché sono profondamente convinto che sia possibile affrontare il tema della sicurezza soltanto nell'ambito di una grande, solida cooperazione tra lo Stato e gli enti territoriali, che vanno coinvolti per avere una migliore consapevolezza dei reali bisogni del territorio. Questo è il senso e la guida che abbiamo cercato di mantenere nella firma di questi patti per le città sicure.
La firma a Torino è avvenuta il 22 maggio scorso e, come forse l'onorevole interpellante sa, ma in ogni caso è giusto dirlo in questa sede, in quella data ho personalmente incontrato nel municipio di Torino parlamentari e gruppi consiliari di maggioranza e opposizione. Li ho voluti incontrare perché mi sembrava giusto poter illustrare loro anche nel dettaglio tutti i termini del Patto per Torino sicura ed è stata una discussione molto franca, sincera, approfondita, alla quale hanno contribuito egualmente rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione. Nella stessa giornata - lo ricordo all'onorevole interpellante - avevo incontrato anche le organizzazioni sindacali di polizia che avevano organizzato un presidio di protesta, sollevando il problema della carenza di risorse da destinare alla sicurezza della città.
Finito l'incontro, durante il quale ho illustrato i contenuti del Patto, i sindacati hanno rilasciato ai giornalisti e alle agenzie di stampa dichiarazioni di apprezzamento per le iniziative a favore della sicurezza a Torino. Cito testualmente: «Il Patto per la sicurezza di Torino costituisce una concreta inversione di tendenza e un particolare segnale di attenzione verso questa realtà».
Prima di illustrare le linee fondamentali del Patto, vorrei entrare nel merito delle circostanze richiamate dagli onorevoli interpellanti. Sui servizi di controllo del territorio della Polizia di stato, il 18 aprile risulta che, fra l'ufficio prevenzione generale e i dieci commissariati cittadini, hanno operato complessivamente cinquantotto volanti: tredici nel turno da mezzanotte alle 7; quattordici tra le 7 e le 13; quindici tra le 13 e le 19; infine, sedici tra alle 19 e la mezzanotte. Vi è stata quindi, effettivamente, una presenza di pattuglie leggermente inferiore alla media, che è circa di settanta volanti al giorno; in ogni caso una presenza non deficitaria in termini assoluti, specie durante la notte.
A proposito dei movimenti di personale della questura di Torino, il 2 maggio 2007 gli 89 dipendenti che hanno lasciato le sedi sono stati sostituiti da 93 nuovi operatori provenienti da altre sedi: un saldo attivo di quattro unità. Inoltre nello scorso mese di aprile il dipartimento della pubblica sicurezza, pur nell'estrema ristrettezza delle risorse disponibili, ha previsto l'assegnazione di trenta unità per il potenziamento della Polizia stradale e degli uffici diPag. 49Polizia della frontiera aerea. Complessivamente, ad oggi, in questura a fronte di una previsione di 2449 unità comprensive di quelle destinate ai commissariati, sono in servizio 2091 unità della Polizia di stato, cui si aggiungono 61 operatori nel ruolo tecnico-scientifico e 186 dipendenti dell'amministrazione civile dell'interno che, svolgendo compiti amministrativi, contribuiscono alla funzionalità delle strutture.
Va ricordato che da diversi anni in Italia l'organico della Polizia di stato presenta sul piano nazionale una ridotta copertura, mediamente meno del 10 per cento. Nella città di Torino, a fine febbraio, ammontano a 4295 unità le donne e gli uomini tra le tre Forze di polizia: il rapporto è di un operatore di pubblica sicurezza ogni 210 abitanti; quindi, un rapporto più favorevole di quello nazionale che, come è noto agli onorevoli interpellanti, è di uno ogni 251 abitanti.
Rispetto agli straordinari per il personale della Polizia di stato che opera a Torino, ricordo che il monte ore mensile viene determinato sulla base di criteri uniformi per tutte le questure d'Italia: non vi è un criterio particolare applicato a Torino. Tale monte ore, al momento, non può essere purtroppo elevato per mancanza di disponibilità finanziarie. D'altro canto - come penso sappiano gli onorevoli interpellanti - di tale questione il Ministro dell'interno e il Viceministro hanno ampiamente riferito alla Commissione affari costituzionali della Camera.
Tuttavia, per quanto riguarda il conto residuo delle prestazioni accessorie del 2005, risultano effettivamente non ancora corrisposti gli emolumenti relativi all'eccedenza dello straordinario. Il 20 novembre scorso è stato comunque autorizzato il pagamento di una prima tranche, pari al 30 per cento delle spettanze arretrate (equivalenti a oltre 23 mila ore) che, in quanto eccedenti rispetto agli stanziamenti previsti, sono progressivamente poste in pagamento sulla base delle risorse finanziarie disponibili.
Quanto al parco autovetture della Polizia di stato, la questura e i commissariati da essa dipendenti dispongono attualmente di 92 veicoli, a fronte di una dotazione prevista di 73. Il totale include 24 Alfa Romeo 159, assegnate lo scorso 26 aprile per il servizio di volante dell'ufficio prevenzione generale.
Ho già ricordato che Torino è stata una delle prime grandi città italiane a sottoscrivere il patto per la propria area metropolitana.
Il patto ha previsto e prevede un incremento degli organici territoriali delle Forze di polizia per complessive duecento unità (ottanta agenti della Polizia di Stato, ottanta carabinieri e quaranta finanzieri). Si tratta di altre duecento unità, quindi, in aggiunta, dopo la copertura del turn over, al fine di potenziare l'attività di controllo del territorio, il contrasto e la repressione del commercio di prodotti contraffatti, per l'istituzione del reparto di intervento della Polizia stradale.
L'accordo prevede inoltre - e mi fa piacere poterlo illustrare in questa sede - la possibilità di utilizzare nell'area torinese, se si rendesse necessaria, la Forza di intervento rapido (FIR). La FIR è una struttura nazionale, costituita di recente, che ha già dato buoni risultati a Napoli, formata al momento da seicento uomini (trecento poliziotti e trecento carabinieri) che io mi auguro - e ci siamo impegnati su questo - possano rapidamente diventare mille, in grado di intervenire in quei territori dove si dovesse registrare un grave squilibrio nel contrasto a fenomeni criminali aggressivi.
Gli aspetti principali del Patto per Torino consistono nello sviluppo dello scambio informativo fra le centrali operative delle Forze di polizia e della Polizia municipale; nell'incremento degli organici territoriale delle Forze dell'ordine; nella verifica semestrale dell'andamento della delittuosità sul territorio; nell'impegno del comune a potenziare gli interventi di riqualificazione urbana, discutendoli preventivamente con il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, perché corrispondano il più possibile alle necessità della sicurezza; ad adottare un apposito strumento informatico per l'analisiPag. 50dei dati territoriali in modo da meglio individuare problemi e soluzioni per le scelte in materia di sicurezza.
Il patto, inoltre, prevede, ai sensi del comma 439 dell'articolo 1 della citata legge finanziaria per il 2007, l'istituzione di un fondo speciale, finanziato dal comune, dalla provincia di Torino e dalla regione Piemonte, per un importo complessivo pari a 9,6 milioni di euro, per la realizzazione di progetti e programmi speciali e straordinari, che investano sia le Forze di polizia sia quelle locali, al fine di favorire un loro più incisivo controllo integrato del territorio e l'azione di contrasto della criminalità. Di questi 9,6 milioni di euro, una parte, 2 milioni, sono immediatamente destinati al rinnovo del parco macchine, anche per rispondere alle esigenze presenti in quella realtà.
Come lei può osservare qualcosa comunque è stato fatto, anche se probabilmente a giudizio degli interpellanti è assolutamente insufficiente. Non abbiamo finto di fare qualcosa perché, personalmente, sono contrario a una tale finzione, soprattutto se riguarda il problema della sicurezza dei cittadini.
PRESIDENTE. La deputata Mazzoni ha facoltà di replicare.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, desidero ringraziare il Viceministro Minniti perché, al di là del mio livello di soddisfazione per la sua risposta, egli mi ha confermato che nella vita c'è sempre da apprendere e tutti i passaggi della nostra esistenza vanno utilizzati per cercare di maturare e di crescere. Raccolgo, dunque, l'invito del Viceministro a sapermi ascoltare; a tale fine, innanzitutto farò uno sforzo partendo dalla lettura del resoconto stenografico, in modo che possa rileggere il mio intervento, oltre che ascoltarlo.
In linea con quello spirito di collaborazione, al quale faceva riferimento il Viceministro Minniti, invito il rappresentante del Governo a porre però maggiore attenzione nell'ascoltare gli altri: io devo emendarmi perché devo ascoltarmi, il Viceministro, forse, potrebbe ascoltare gli altri!
Senza ripetere integralmente le affermazioni rese nell'illustrare la mia interpellanza urgente, ricordo che ho esordito dicendo che tale interpellanza, per quanto privilegiata rispetto a quella del collega che mi aveva proceduto, era stata presentata un mese fa. Ero a conoscenza che, medio tempore, qualcosa era accaduto, ma non tanto da potere ottenere delle risposte soddisfacenti o completamente positive rispetto ai quesiti posti. La risposta fornita dal Viceministro ha confermato esattamente ciò.
Forse ho sbagliato ad usare un atto di cortesia nei confronti del Governo: era nelle mie intenzioni non citare il patto che è stato sottoscritto a Torino e a Milano. Ritenevo infatti che fosse garbato lasciare spazio al Governo per «raccontarsi»: mi sembrava improprio che fossi io a farlo e ritenevo sufficiente menzionare fatti avvenuti medio tempore; ciò anche perché, signor Viceministro, se lei rileggesse ciò che ha detto in quest'aula, si renderebbe conto che, se avessi parlato del patto per la sicurezza, le avrei sottratto il 90 per cento della sua risposta.
Lei ha giustamente richiamato il patto sottoscritto a Torino e in altre realtà, menzionandone dati, cifre, elementi significativi, progettualità e programmi, che il Governo avrà la sensibilità di realizzare; ma, nello specifico delle domande rivolte al Governo lei ha confermato i dati che abbiamo illustrato. Sulla vicenda del 18 aprile ha sostenuto che le volanti non erano quattro - se non sbaglio ha affermato che fossero quattordici o, comunque, un numero superiore a quattro - indubbiamente confermando che erano un numero inferiore a quello normalmente «vocato» (ribadendo che comunque il servizio non aveva presentato problemi ). Lei ha anche sostenuto che, in ogni caso, gli spostamenti ed i movimenti ai quali avevamo fatto cenno avevano portato a un saldo attivo di quattro unità, che, rispetto al problema, rappresentano comunque un dato positivo: bisogna sempre considerare gli elementi di positività, ma certo non risolvono il problema. Rimane, quindi, un po' di preoccupazione.
MARCO MINNITI, Viceministro dell'interno. Sono in arrivo duecento unità.
ERMINIA MAZZONI. Certo, le duecento unità sono in arrivo, come previsto nel patto. Lei, comunque, mi sta dando conferma: credo di riprodurre abbastanza fedelmente ciò che ha detto. Gli arretrati sono ancora da pagare e capisco che vi è un problema finanziario, ma resta comunque la preoccupazione che ho menzionato.
Rispetto al parco macchine della questura di Torino vi è stata una risposta che potrei definire più esaustiva, per cui la recepisco positivamente.
Signor Viceministro, al di là del contenuto nel Patto, oggi abbiamo una preoccupazione rispetto alla risposta di sicurezza che lo Stato deve fornire ai suoi cittadini: mi fa piacere apprendere che vi è sicuramente conoscenza di questo dato e mi permetto di ironizzare, considerando che il Viceministro ha ribadito per ben tre volte che si «ha contezza». Ciò mi fa piacere, non tanto per me personalmente - perché era un'espressione forse non perfettamente corretta - quanto perché mi interrogavo sulla conoscenza specifica del dettaglio delle esigenze: in relazione alla conoscenza specifica auspicavo, quindi, una risposta altrettanto dettagliata da parte del Governo. La mia non era solo una domanda sulla conoscibilità in genere da parte del Governo e del Ministero interessato. La soddisfazione, dicevo, non è tanto per me personalmente come interpellante, ma per tutti i cittadini italiani che oggi sono appassionati non tanto, e non solo, alla risposta nello specifico settore della sicurezza, ma anche a quella che, in generale, la politica deve fornire rispetto alla sua funzionalità e alla sua efficienza.
Lei ha voluto ribadire per ben tre volte che il Ministero dell'interno «ha contezza», perché ha come compito precipuo quello di occuparsi della sicurezza: potrà almeno rassicurare i cittadini che il Ministero sa di dover assolvere ad una funzione e che per ora sta svolgendo un'attività quanto meno speculativa nell'ambito della funzione di controllo della sicurezza nazionale, perché ne «ha contezza».
(Intendimenti del Ministero dell'interno in relazione al centro di permanenza temporanea di Bologna - n. 2-00531)
PRESIDENTE. L'onorevole Mungo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00531 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
DONATELLA MUNGO. Signor Presidente, intervengo molto brevemente, perché questa interpellanza è abbastanza chiara nei suoi punti, solo per specificare, prima della risposta che il sottosegretario Lucidi mi darà, che l'intento di essa è proprio quello di avere chiarezza circa gli intendimenti del Governo. Non c'è, quindi, una volontà prevenuta rispetto alla vicenda in oggetto.
Si tratta di uno stanziamento relativo al centro di permanenza temporanea e di accoglienza di Bologna. A noi interessa comprenderne le ragioni, quindi la destinazione di tale stanziamento, perché la struttura di Bologna, che conosco personalmente per averla visitata più volte, così come altri componenti del mio gruppo, è ad alta connotazione detentiva e ha caratteristiche tali da essere stata qualificata dalla stessa commissione ministeriale De Mistura come una struttura avente caratteristiche di tipo detentivo e costrittivo maggiori rispetto anche ad altri centri presenti nel nord Italia.
La questione, che riguarda nello specifico gli intendimenti del Governo rispetto a tale centro di permanenza temporanea, è correlata anche al fatto che circa un mese e mezzo fa il Ministero dell'interno ha dichiarato di voler chiudere tre strutture del sud per ragioni, anche in tale circostanza, di invivibilità dei centri o, comunque, di non corrispondenza degli stessi agli obiettivi prefissati. Chiediamo, quindi, di valutare alcuni interventi e ci auguriamo anche la chiusura, di altri centri, quali Torino, Modena, Gradisca e,Pag. 52appunto, Bologna, due dei quali sono nella regione da cui provengo (Modena e Bologna.
Rendendoci conto che si tratta di un processo, che necessita di tempi adeguati per il suo compimento e che, quindi, non può essere di immediata realizzazione, vogliamo sapere dal Governo quale sia il percorso previsto e soprattutto la ragione, nello specifico, del previsto stanziamento, ossia se quest'ultimo vada nella direzione di rendere il centro meno costrittivo e più vivibile per le persone che sono, purtroppo, costrette a permanervi oppure se sia teso ad incrementare la sicurezza, e quindi ad aggravare la situazione di cui parlavo in precedenza. Mi fermo qui e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, comincio subito col rispondere alla parte dell'interpellanza che chiede chiarimenti in ordine a stanziamenti disposti da parte del Ministero dell'interno con riferimento al centro di permanenza temporanea e di assistenza di Bologna.
Onorevole Mungo, le dico che le somme stanziate sono destinate ad interventi manutentivi ordinari relativi allo stesso centro. Si tratta essenzialmente di rispondere alle esigenze di vivibilità che il centro presenta, che non possono essere mai separate dalla ricerca di garantire anche la sicurezza, quella sicurezza che è data non solo con riferimento alla struttura, ma anche nell'interesse di chi è ospitato. Penso, ad esempio, al rispetto delle norme antincendio.
Gli interventi si rendono anche necessari periodicamente, perché il centro è spesso oggetto di atti di gratuito vandalismo da parte degli ospiti, quindi si richiede una manutenzione straordinaria che ripristini le condizioni di vivibilità e di funzionalità della struttura. Accanto a tali lavori, ve ne sono altri che, come le dicevo prima, intendono coniugare l'esigenza di sicurezza con quella di migliorare le condizioni di permanenza di chi è ospitato nel centro. Prendo a riferimento la necessità di intervenire per assicurare una diversa ripartizione degli ospiti all'interno della struttura, essendo modificato il rapporto delle presenze femminili e maschili ed essendo, quindi, necessario riequilibrare anche il rapporto tra i posti messi loro a disposizione.
Penso alla sostituzione dei posti letto, al recupero della funzionalità del campo di calcio: sono lavori in relazione ai quali, concordemente con il prefetto di Bologna, si è data disposizione che vengano approvati. Ovviamente, quest'attività non può che collocarsi in uno spirito di attenzione anche alle esigenze e ai diritti delle persone che transitano nel centro.
Gli onorevoli interpellanti chiedevano anche come i ricordati interventi si collochino all'interno di una politica complessiva, che il Ministero dell'interno, e con esso il Governo, intende operare in materia di immigrazione ed anche in riferimento a questo aspetto particolare delle politiche migratorie, che riguarda l'espulsione e il trattenimento. Rispondo che l'amministrazione dell'interno vuole essenzialmente assicurare un governo efficace e rigoroso dei flussi migratori, nel rispetto delle regole, dei diritti e delle tutele fondamentali da garantire a tutti gli immigrati.
Come lei sa, onorevole Mungo, e come anche i suoi colleghi sanno, il Governo si accinge a presentare al Parlamento - dopo la verifica in sede di Conferenza Stato-regioni - un disegno di legge che intende modificare la disciplina dell'immigrazione. Tale testo si propone anche una profonda rivisitazione del sistema dei centri per immigrati, avendo come obiettivo il loro miglioramento, la garanzia di sedi e di strumenti efficaci per l'assistenza, il soccorso e l'identificazione degli immigrati ed anche il rimpatrio di quanti sono espulsi.
Un tassello importante della riforma, che è fortemente voluta dall'amministrazione dell'interno, è la radicale revisione del sistema dei centri di permanenza temporanea e assistenza, che mira ad unPag. 53alleggerimento della platea dei soggetti potenzialmente destinati a tali strutture (potenzialmente e direi anche effettivamente, perché, poi, vi è stata un'ipertrofia dell'ingresso nei centri stessi negli anni scorsi). Si tratta di realizzare quel progressivo svuotamento proposto dalla nota commissione De Mistura. In particolare, il nuovo sistema prevede un limitato numero di strutture «per l'esecuzione dell'espulsione», destinate esclusivamente al trattenimento degli stranieri da espellere che si siano sottratti all'identificazione, con congrua riduzione del periodo di permanenza, e l'utilizzo delle medesime strutture, per il tempo strettamente necessario, nei confronti di quei cittadini stranieri identificati o che collaborano effettivamente alla loro identificazione, qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione con accompagnamento coattivo.
Nelle more della revisione della normativa, tenuto conto anche delle risultanze dell'indagine svolta dalla citata commissione De Mistura e delle valutazioni e proposte che la stessa commissione ha formulato, il Ministero dell'interno ha ritenuto necessario adottare alcuni importanti provvedimenti, volti a migliorare la qualità dell'accoglienza e dell'assistenza dei centri per immigrati. Onorevole Mungo, posso assicurarle, da questo punto di vista, che gli stessi interventi che verranno operati nel centro di Bologna andranno nella direzione che poco fa le ho enunciato.
Con direttiva del Ministro, adottata in data 24 aprile ultimo scorso, è stata disposta, come lei ricordava, la chiusura di alcuni centri di permanenza temporanea ed assistenza: Brindisi, Crotone e Ragusa. Contestualmente, il Ministro dell'interno ha affidato al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione il compito di predisporre uno specifico studio sulle restanti strutture, al fine di valutare ulteriori soppressioni, nonché di procedere alla loro eventuale riqualificazione o anche ad una diversa missione istituzionale (per esempio, per Brindisi, si sta pensando proprio ad una trasformazione, all'esito della chiusura, in centro di prima accoglienza).
È proprio in questo contesto che, le assicuro, verrà valutato se procedere e quali scelte compiere con riferimento al centro di permanenza temporanea ed assistenza di Bologna.
PRESIDENTE. La deputata Mungo ha facoltà di replicare.
DONATELLA MUNGO. Signor Presidente, ringrazio la sottosegretaria Lucidi per la risposta attenta: sappiamo quanto la sottosegretaria stessa conosca questo problema e si prodighi per la sua soluzione, essendo venuta più volte, anche nelle aule parlamentari, a riferire sul tema. Devo dichiararmi solo parzialmente soddisfatta, ma non per la qualità della risposta della sottosegretaria. Al di là dello sforzo compiuto nel venire incontro alle richieste ed alle domande che l'interpellanza poneva, sono solo parzialmente soddisfatta, più che della risposta, della situazione di cui la risposta da contezza e cioè dell'ipotesi che i tempi per la chiusura o per la riconversione in una struttura radicalmente diversa da come sono attualmente i centri di permanenza temporanea e accoglienza si fanno lunghi. Ci saremmo aspettati, avremmo voluto che questi passaggi fossero, invece, più ravvicinati. Dico ciò anche perché conosco i tempi del disegno di legge cosiddetto «Amato-Ferrero», intervento legislativo di modifica importante e strutturale rispetto all'attuale normativa. Conosco anche le difficoltà nel conciliare la situazione esistente con un approccio da parte di questo Governo, di questa maggioranza che sappiamo essere molto diverso da quello del precedente Governo. Lo testimonia anche quell'accenno all'ipertrofia degli interessi cui faceva riferimento la sottosegretaria perché era diventato, quello del centro permanenza temporanea, una sorta di «buco nero», di tappeto sotto il quale si cercava di nascondere una difficoltà nel gestire un problema come quello migratorio, che ha ben altre implicazioni che quelle legate all'ordine pubblico, alla identificazione o ad altre tematiche simili.
Lo dico perché il fatto di aver incaricato una commissione (la commissione DePag. 54Mistura, di inchiesta e monitoraggio dei centri di permanenza temporanea e accoglienza) di effettuare una verifica importante, anche dal punto di vista degli interlocutori, oltre che compiere visite e quindi capire cosa, in questi anni, è avvenuto non solo all'interno dei centri di permanenza ma anche al loro esterno, anche ascoltando le associazioni per i diritti civili che si sono occupate del tema, è già di per sé un'iniziativa che ha un valore assoluto e non relativo. Il rapporto che la commissione ha redatto ha costituito, a sua volta, una parte importante dell'intervento legislativo che il Governo ci sottoporrà. Tra i suggerimenti - li chiamo così, anche se sono più forti di suggerimenti -, e le proposte che provengono dal rapporto De Mistura ve ne sono alcuni per i quali, se fossero immediatamente applicati, la popolazione detenuta - uso questo termine - all'interno dei Cpt diminuirebbe drasticamente. Mi riferisco, ad esempio, a quello di Bologna, in cui quasi la metà delle persone sono ex detenuti, per i quali non si capisce come mai in mesi o anni di detenzione presso le strutture carcerarie non si sia riusciti ad arrivare ad un'identificazione e come mai si potrebbe fare questo in sessanta giorni nei Cpt, ovviando a questa difficoltà. È evidente che qualcosa non funziona. Il problema degli ex detenuti è anche un problema di relazione interna ai centri permanenza temporanea. La sottosegretaria Lucidi faceva riferimento, ad esempio, ai danni all'interno della struttura provocati - se ho compreso bene - da gratuito vandalismo. Mi permetto di osservare che probabilmente c'è anche questo aspetto, ma sfido chiunque di noi a rimanere due notti in un centro di permanenza temporanea e a non diventare matto, perché io che ci sono stata qualche ora e ne ho visitato le stanze ed i luoghi, mi domando perché una persona che non ha compiuto alcun reato e che si trova in una condizione di difficoltà, lontana dalla propria casa, in un Paese straniero per motivi che non ha scelto, si debba trovare in una tale condizione.
Vorrei che tutti noi - ripeto - provassimo tale esperienza per capire che potremmo lasciarci andare ad atti di vandalismo, all'autolesionismo, a fughe e quant'altro.
Tale aspetto è peggiorato dalla presenza di ex detenuti, magari abituali, perché alcuni di questi sono anche recidivi, che si trovano accanto a persone che, ad esempio, vengono prelevate dai cantieri; si tratta di lavoratori in nero, i quali pagano per una colpa che non è la loro, ma di chi li assume in quella condizione. Si tratta, quindi, di persone che sopravvivono, svolgendo lavori faticosi e dignitosi (lo fanno per quattro lire) e che si ritrovano accanto ad altre che, invece, hanno scelto, ad esempio, di spacciare droga o altro.
Tutto ciò non aiuta anche perché emerge una realtà completamente diversa. In particolare, siamo di fronte a due situazioni - una illegale per scelta, l'altra illegale per necessità - che si affiancano e che vengono equiparate, senza che se ne capisca la ragione.
Di conseguenza, facendo riferimento agli ex detenuti, si ridurrebbe in modo rilevante la popolazione presente all'interno dei CPT.
Dovremmo intervenire anche sui centri come Bologna e soprattutto Modena, nei quali vi è una consistente permanenza di popolazione femminile: si tratta, nella maggior parte dei casi, di badanti e colf in nero, fermate senza documenti, di prostitute, in mano ad organizzazioni, per le quali occorrerebbe l'intervento di enti a difesa di queste donne dai loro sfruttatori (altro che rinchiuderle!) o di donne cinesi, sfruttate e coinvolte nel lavoro nero dalle cui dimensioni non abbiamo contezza precisa, perché ci sfuggono i numeri e le quantità.
Anche tale intervento servirebbe a ridurre di molto la popolazione presente nei centri di permanenza temporanea.
Credo i CPT abbiano rappresentato una esperienza infelice fin dalla loro nascita. La loro natura è stata aggravata dalla legge Bossi-Fini che li ha considerati come l'unica soluzione ad un problema che invece ha ben altra natura e che dovrebbePag. 55essere affrontato con politiche sociali e con politiche complessive di accoglienza.
Mi auguro che il Governo presenti al più presto il disegno di legge di modifica della legge Bossi-Fini e che il Parlamento gli attribuisca una corsia preferenziale, perché sarebbe un fatto di civiltà; si tratterebbe di un intervento non meno importante di quelli che riguardano la vita quotidiana delle persone di cittadinanza italiana che, come tali, sono destinatarie della maggior parte dei provvedimenti approvati dal Parlamento.
Non per questo dobbiamo dimenticare che le persone che si trovano nei centri di permanenza temporanea hanno, per la maggior parte, bisogno, voglia e diritto di emergere da una condizione di illegalità, non scelta da loro, ma spesso dovuta alle leggi ancora in vigore.
Pongo un ultimo argomento in chiusura del mio intervento concernente sempre le questioni sollevate dalle commissione De Mistura in materia dei centri di permanenza temporanea in generale ed in particolare quello di Bologna.
Mi riferisco ai richiedenti asilo. Si tratta di una condizione per la quale non è pensabile che per le persone provenienti da Paesi in guerra, nei quali non possono rientrare per ragioni di tutela della loro vita o dei loro familiari, sia prevista la permanenza all'interno dei CPT
Mi auguro che, parallelamente alle modifiche della legge Bossi-Fini, presto venga predisposto un provvedimento legislativo per normare, adeguando così la nostra legislazione a quella europea, il diritto d'asilo.
Sono andata un po' oltre la replica, rispetto al tema specifico dell'interrogazione, per dichiarare che ci auguriamo che l'intervento sul CPT di Bologna, come sugli altri, in qualche modo preluda...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DONATELLA MUNGO. ...ad una sua - concludo - chiusura ed al fatto che il Paese possa fare a meno, molto presto, di strutture di questo genere.
(Condizione dei detenuti all'interno delle carceri italiane ed iniziative per garantire una detenzione rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui - 2-00575)
PRESIDENTE. La deputata Balducci ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00575 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, sintetizzerò l'illustrazione della mia interpellanza, riservandomi un tempo maggiore in sede di replica.
L'oggetto di questa interpellanza urgente ha come riferimento una serie di suicidi che si sono verificati negli ultimi mesi. Lo spunto nasce dal suicidio avvenuto nella notte tra il 28 ed il 29 maggio 2007, secondo quanto si è appreso dalle agenzie di stampa. Un cittadino polacco di 26 anni, detenuto nel carcere romano di Rebibbia, nuovo complesso, si è tolto la vita, impiccandosi nella cella; secondo le notizie di stampa, questo detenuto lavorava in Italia da cinque anni, era padre di una bambina di sette anni residente in Polonia e da circa tredici mesi era in attesa di giudizio. L'uomo non aveva mostrato durante il trattamento penitenziario particolari segni di squilibrio mentale.
Questo nuovo e triste episodio riporta in primo piano la questione degli atti di autolesionismo che avvengono in carcere. Si deve segnalare che, dall'inizio dell'anno, nel solo carcere romano, si sono già verificati tre suicidi: quello di una detenuta tossicodipendente, in carcere da circa tre mesi, quello di un detenuto rumeno di 31 anni, che, anche in questo caso, si è tolto la vita in maniera drammatica e, infine, quello già citato, del cittadino polacco.
Nello stesso carcere, nel corso degli ultimi mesi del 2006, si erano registrati altri suicidi, ma non indicherò i nominativi, perché risultano nel testo dell'interpellanza.
Tali episodi impongono una seria riflessione sulla condizione dei detenuti all'interno degli istituti di pena italiani. ÈPag. 56necessario, infatti, rammentare che, ai sensi dell'articolo 27 comma 3 della Costituzione, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Questa esigenza di umanizzazione del carcere si traduce nel bisogno di salvaguardare la dignità della persona detenuta durante tutto il periodo di permanenza in carcere.
Arrivando, in estrema sintesi, all'oggetto di questa interpellanza urgente - salvo aggiungere che il 4 giugno 2007 un giovane detenuto tunisino si è tolto la vita nella casa circondariale di Don Bosco in Pisa e che un altro suicidio è avvenuto il 2 giugno all'Aquila - vorrei sapere quali iniziative intenda intraprendere il Governo per tutelare la vita umana all'interno delle carceri e, conseguentemente, se ritenga necessario modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario, al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una detenzione giusta (rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui), istituendo, se del caso, in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio di suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Daniela Melchiorre, ha facoltà di rispondere.
DANIELA MELCHIORRE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza si fa presente che il problema dei suicidi all'interno degli istituti penitenziari italiani è costantemente all'attenzione del Ministero della giustizia, che, soprattutto negli ultimi anni, ha cercato di intraprendere ogni iniziativa utile a ridurre tale drammatico fenomeno.
Come è noto, lo stato di detenzione può costituire una delle cause dell'autolesionismo e del suicidio. Anche se la sola detenzione non può ritenersi la causa di un disturbo psichiatrico, la stessa ne può comunque rappresentare un fattore scatenante, soprattutto in quei soggetti già affetti da un equilibrio mentale fragile prima dell'ingresso in carcere.
Il gesto autolesionistico o suicidario può essere dettato da diverse motivazioni conscie o inconscie, genuine o amplificate ed è condizionato sia da fattori estrinseci legati all'ambiente, sia da fattori psichici legati alle caratteristiche individuali.
L'atto autosoppressivo può assumere un significato liberatorio ed essere inteso come fuga da una situazione vissuta come insopportabile oppure assumere un carattere dimostrativo.
Talvolta, il detenuto ritiene che l'unico modo per farsi ascoltare sia quello di compiere un gesto di particolare gravità che può assumere connotazioni autolesive.
Sulla base di tali premesse, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria fa presente che rilevare tempestivamente una possibile sindrome presuicidaria non è semplice e gli errori nella valutazione possono dipendere anche dalle ansie dello stesso valutatore.
Spesso, la cosiddetta sindrome da ingresso in carcere, che può comportare perdita dell'identità e abbattimento dell'autostima, compare tanto più frequentemente quanto più elevato è il livello di educazione, di sensibilità e di cultura del detenuto e si accentua quanto maggiore è il divario tra la vita fuori dalle mura del carcere e quella al suo interno.
Per evitare che si verifichino situazioni come quelle segnalate, l'amministrazione penitenziaria ha sempre impartito disposizioni, affinché il carcere diventi un luogo dove, oltre alla sicurezza, sia assicurato in modo costante anche il trattamento e la cura.
Linee guida atte a limitare il fenomeno del suicidio sono state già dettate con la circolare n. 3524/5974 del 12 maggio 2000.
Nel quadro dell'azione rivolta alla prevenzione del rischio suicidario, il Dipartimento ha recentemente predisposto una bozza di testo unico delle disposizioni che regolamentano i criteri da seguire a tal fine nei confronti dei detenuti. Tale bozza è in attesa di essere definitivamente emanata.Pag. 57
Si deve, altresì, far presente che, malgrado i recenti e tragici episodi ricordati dall'interrogante, il fenomeno dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie è in netta diminuzione, poiché, alla data del 5 giugno 2007, il loro numero era pari a quattordici dall'inizio dell'anno mentre, alla stessa data dell'anno scorso, era pari a venticinque.
Per tutti i decessi indicati dall'interpellante sono state disposte inchieste amministrative, di cui non sono ancora noti gli esiti, ad eccezione di quelle relative ai detenuti Vollaro Ciro e Mariossi Giampiero che hanno escluso la sussistenza di responsabilità amministrative o disciplinari a carico di operatori penitenziari e sanitari.
Per quanto concerne il decesso del detenuto Mauro Bronchi, le relazioni sanitarie hanno evidenziato che questi è stato sempre tenuto sotto osservazione psichiatrica e sono stati posti in essere i necessari interventi psicoterapeutici, i quali non hanno avuto esito positivo, dato il rilevante stato ansioso del soggetto, verosimilmente collegato all'omicidio di una bimba di cinque anni, del quale lo stesso era imputato.
Quanto allo specifico tema delle modifiche all'attuale regolamento dell'ordinamento penitenziario, attualmente lo stesso non costituisce oggetto di interventi normativi da parte del Ministero della Giustizia.
Tuttavia, il delicato tema in argomento richiede un approccio di più ampio respiro. Infatti, nella maggior parte dei casi, il profondo disagio vissuto dai detenuti costituisce il portato - a valle - di un sistema sanzionatorio che - a monte - appare totalmente incentrato sulla pena detentiva.
Un diritto penale moderno non può non essere finalizzato al reinserimento sociale del condannato - principio canonizzato dall'articolo 27 della Costituzione - e tale finalità non può essere perseguita se non tramite la realizzazione di un diritto penale minimo, incentrato sulla depenalizzazione di condotte minori e sulla considerazione della sanzione detentiva quale extrema ratio.
In tale prospettiva, la commissione per la riforma del codice penale, presieduta dall'avvocato Giuliano Pisapia, prevede, nella delega relativa alla riforma della parte generale del codice, un cospicuo ampliamento del sistema sanzionatorio, mediante l'inserimento, quali pene principali, di sanzioni interdittive e, soprattutto, prescrittive, volte ad imporre al condannato comportamenti e divieti che, da un lato, impediscano la reiterazione del reato e, dall'altro, consentano allo stesso un completo reinserimento sociale, evitando il rischio di recidiva.
Quanto ai detenuti in attesa di giudizio, il problema tocca, oltre al regime sanzionatorio, un altro delicatissimo aspetto: quello della durata del processo penale.
Al riguardo, di recente il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge presentato alla Camera dei deputati con il n. 2664, dal titolo: «Disposizioni per l'accelerazione e la razionalizzazione del processo penale, nonché in materia di prescrizione dei reati, tenuità del fatto, recidiva, confisca e criteri di ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie».
Il disegno di legge si pone l'ambizioso obiettivo di coniugare le esigenze di garanzia dell'imputato con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, sancito dall'articolo 111 della Costituzione, mediante una revisione degli istituti del processo penale, al fine di tagliare numerosi tempi morti dello stesso.
Lo stesso obiettivo di fondo, del resto, è perseguito - con un lavoro di più ampia portata - dalla Commissione di riforma del codice di procedura penale, presieduta dal professore Giuseppe Riccio, il quale, nel rimeditare profondamente gli attuali istituti processuali, sta improntando il proprio lavoro al principio del cosiddetto garantismo efficientista nei termini sopra delineati.
PRESIDENTE. La deputata Balducci ha facoltà di replicare.
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PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per le precise indicazioni, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni.
Sono contenta che il sottosegretario abbia fatto riferimento a due riforme che, tuttavia, sono attese da troppi anni: mi riferisco alla riforma del codice penale e a quella del codice di procedura penale.
Ci troviamo infatti di fronte alla paradossale situazione di avere un codice penale che risale al 1930, e un codice di procedura penale, riformato nel 1988, ma che abbisogna ormai di una attenta rivisitazione.
In via preliminare, vorrei precisare che, anche se il mio intervento trae occasionalmente origine da recenti casi di suicidi, esso non è assolutamente un atto d'accusa nei confronti del sistema carcerario né degli operatori carcerari, i quali, ogni giorno, si battono con dedizione, capacità e disponibilità per migliorare le condizioni dei detenuti.
Allo stesso tempo, però, con estrema franchezza ritengo che un problema suicidi esista.
Dobbiamo partire da una realtà ineludibile e constatare - lo dico con amarezza - che, al di là delle oscillazioni dei dati che possono variare da un anno all'altro, in carcere si continua a morire. Come rilevato con attenzione anche dal sottosegretario, diverse sono le cause che possono determinare eventi così infausti: la disperazione scaturente dallo stato di abbandono psicologico, la mancanza di una prospettiva di reinserimento o la rassegnazione di essere relegati a vivere in un ambiente difficile che, a volte, non è in grado di cogliere le criticità individuali né di impostare - e questo tema mi sta molto a cuore - un trattamento personalizzato di recupero anche psicologico.
Non si deve commettere l'errore di considerare il carcere come un luogo di semplice espiazione, dove confinare tutte quelle persone che sono state espulse dal consorzio civile. I principi costituzionali ci ricordano che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
L'articolo 27, comma 3, della Costituzione obbliga il legislatore ad improntare il sistema delle pene, ma anche le strutture penitenziarie e il trattamento carcerario al rispetto delle esigenze di umanizzazione e di risocializzazione.
Credo che l'azione legislativa debba rivolgersi verso due direzioni. In primo luogo - tema già annunciato ed affrontato dal sottosegretario - si tratta di rivedere le misure alternative alla detenzione, rilanciandone l'efficacia e la finalizzazione riabilitativa.
Allo stesso tempo, occorre ripensare l'istituzione penitenziaria, migliorando il regime di vita all'interno degli istituti, garantendo ai reclusi alcuni diritti inalienabili, tra cui quello di avere una vita attiva, impegnata nelle diverse attività rieducative, ricreative e di lavoro, nonché un'alimentazione corretta e il riconoscimento effettivo del diritto alla salute.
Insisto sulla necessità di garantire un trattamento finalmente individualizzato. Solo in questo modo il carcere potrà cogliere gli eventuali segnali di disagio e prevenire atti di autolesionismo. Ma non basta. Il carcere deve anche consentire ai reclusi di migliorare le proprie potenzialità lavorative e di coltivare gli studi, così da preparare il ritorno nella società senza traumi e lontano dal rischio di emarginazione. Vogliamo un carcere che ammetta, entro certi limiti, anche il diritto all'affettività. Per far questo, occorre creare spazi e strutture realmente idonee. Si tratta di un fattore importantissimo, che può contribuire a curare quelle fratture che si vengono a creare all'interno dei nuclei familiari e delle coppie a causa della detenzione.
Un esempio importante per il legislatore nazionale proviene dalla regione Lazio, che ha recentemente approvato una legge recante interventi a sostegno della popolazione detenuta, finalizzata a rendere effettivo il godimento dei diritti umani dei cittadini reclusi, nell'ambito della quale è prevista l'erogazione di serviziPag. 59sanitari e sociali attraverso un sistema integrato tra le istituzioni e il volontariato. In tale legge, ad esempio, la regione si impegna ad assicurare livelli di assistenza sanitaria equiparabili a quelli previsti per i soggetti liberi; si prevedono misure per l'esercizio del diritto al lavoro e alla formazione professionale dei detenuti. C'è il tentativo di favorire il ricorso alle misure alternative, potenziando il sistema integrato di rete sociale regionale e, inoltre, c'è l'impegno a favorire l'attività motoria e la pratica sportiva, nonché la vita relazionale dei detenuti. A mio avviso, tale iniziativa costituisce un segnale importante.
Tuttavia, ritengo sia giunto il momento di avviare una riforma complessiva dell'ordinamento penitenziario, in modo da potenziare le misure alternative alla detenzione, ad esempio aumentando il personale specializzato operante negli istituti. Sarà importante, inoltre, imporre precisi obblighi all'amministrazione sulle caratteristiche degli istituti penitenziari. Bisognerà, altresì, riconoscere uno statuto dei diritti del detenuto, nell'ambito del quale siano anche previste forme effettive di tutela.
Ritengo che ci siano tutte le condizioni per arrivare a questo. Noi Verdi siamo grati al Ministero della giustizia, che è stato sempre attento a tutte le nostre sollecitazioni, non solo per quanto concerne questo tema, ma anche per altre riforme che riguardano la giustizia penale, che deve essere efficiente, rigorosa e garantista per tutti i cittadini.
Infine, mi sia consentita un'ultima digressione. Se si vuole davvero trasformare i luoghi di detenzione, un primo e fondamentale passo verso l'effettiva umanizzazione del carcere potrebbe essere compiuto attraverso l'approvazione di una proposta di legge, che mi sta molto a cuore, già licenziata dalla Commissione Giustizia della Camera e che riguarda le detenute madri. Si tratta della proposta di legge Buemi, della quale sono relatrice, recante norme in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, in cui si prevede, tra l'altro, l'istituzione di apposite case famiglia protette, da realizzare fuori dagli istituti, in cui potranno essere ospitati, e non più segregati, i figli minori delle detenute. Se si opererà nella direzione di umanizzare il carcere, sono convinta che saranno indirettamente favorite anche le esigenze di difesa sociale, poiché i detenuti verranno finalmente riconsegnati alla società come persone davvero riabilitate e pronte ad un reinserimento effettivo e duraturo nel mondo del lavoro.
(Rinvio dell'interpellanza urgente De Zulueta n. 2-00577)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente De Zulueta n. 2-00577 è rinviato ad altra seduta.
(Correttezza e trasparenza del procedimento elettorale con riferimento alle elezioni amministrative di Palermo - n. 2-00563)
PRESIDENTE. Il deputato Piro ha facoltà di illustrare l'interpellanza Leoluca Orlando n. 2-00563 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmatario.
FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, l'interpellanza in esame reca la firma di oltre cinquanta deputati dell'Unione e intende attirare l'attenzione del Parlamento e del Governo (che fin qui non è stata, a nostro giudizio, adeguata) affinché non venga più sottovalutato quanto è successo, e sta ancora succedendo, riguardo alle elezioni amministrative nella città di Palermo.
L'interpellanza in oggetto è uno degli atti e delle iniziative intraprese da partiti, da candidati, da parlamentari dell'Unione, ma non solo, anche da cittadini e da candidati di altri schieramenti. Si tratta di iniziative di denuncia, durante la campagna elettorale, nei giorni stessi delle votazioni e successivamente agli scrutini, e diPag. 60iniziative di controllo, esercitate con la vigilanza nei quartieri, nei seggi e negli uffici elettorali dai rappresentanti di lista, ma anche da semplici cittadini e da giornalisti, che hanno documentato e testimoniato i fatti.
Signor rappresentante del Governo, siamo estremamente indignati e preoccupati per quello che è successo e succede a Palermo. Le limitazioni della libertà e della segretezza del voto, le manomissioni della correttezza e della certezza degli scrutini e della registrazione dei risultati sono tante e tanto gravi da configurarsi come un vero e proprio attentato alla Costituzione, un fatto gravissimo per la democrazia nel nostro Paese. A Palermo, questo è il punto, sono stati divelti, e in ogni caso seriamente minacciati, i fondamentali presupposti su cui si regge la sovranità e la libertà di un popolo. Non appaia eccessivo, ma a non pochi è sembrato di rivivere vecchi scenari da dittature sudamericane. Si può affermare che ci sono sempre stati nel passato fenomeni di acquisto del voto, di controllo del voto, anche violento, in una terra come la Sicilia, che ha vissuto e vive la violenza della mafia, nonché episodi di irregolarità negli scrutini e nel computo dei voti. Ora siamo, però, oltre ogni limite, il limite oltre il quale un fenomeno cessa di essere tale e diventa fatto sistemico. E così è: se non si interviene drasticamente e rapidamente, il voto di scambio e la limitazione della libertà dell'elettore diventeranno strutturali, comportamenti normali, non puniti e quindi accettati, travolgendo le basi stesse della democrazia.
Pur di fronte alla gravità dei fatti, qualcuno - non pochi in verità - tra il caustico e lo scettico ha alzato le spalle. Abbiamo ascoltato espressioni quali: «ma cosa andate cercando», «la differenza tra i voti è troppo alta», «cercate, alla fine, una giustificazione alla sconfitta attraverso reazioni scomposte». Crediamo che la questione vada ribaltata: in verità non sappiamo chi ha vinto a Palermo, non sappiamo chi è stato eletto, e non lo sappiamo perché le illegittimità già documentate e quelle che potranno essere accertate assumono proporzioni gigantesche, tali da poter mettere in discussione comunque i risultati finali. Vogliamo sapere chi ha vinto a Palermo, e lo vogliono sapere i cittadini, i quali vogliono anche sapere se la vittoria è stata legittima o meno. In tale seconda ipotesi il rispetto della legge e della sovranità popolare esige che le elezioni vengano annullate e ripetute, ovviamente nella legalità.
Passo ad illustrare le ragioni, ampiamente riassunte nell'interpellanza, della nostra posizione così ferma. Tali motivazioni possono sostanzialmente ricondursi a due fattispecie: la prima attiene al condizionamento ed al controllo del voto, la seconda riguarda la manipolazione dei risultati.
Già nel corso della campagna elettorale ci giungevano numerose segnalazioni da parte di cittadini e di nostri candidati, da diverse zone della città di Palermo, al punto che ci siamo convinti che era necessario presentare un esposto, che abbiamo inviato a varie autorità (magistratura, prefetto, questore, Ministero dell'interno) a firma mia, del senatore Giambrone, del deputato europeo Catania e del deputato regionale Apprendi, con cui si denunciava l'acquisto di voti attraverso soldi, buoni benzina, buoni di acquisto nei supermercati, pacchi di pasta (come è stato documentato dalla trasmissione Ballarò perfino pacchi di pasta che portavano la dizione «aiuti dell'Italia al terzo mondo»), lettere, finte ovviamente, di assunzione, promesse di posti di lavoro.
Per quanto riguarda il controllo del voto, non erano pochi i cercatori di voti, coloro che si autodefiniscono «portatori di voti», che andavano fotocopiando pacchi di tessere elettorali, per dimostrare di essere in grado di controllare i voti. Era assolutamente diffuso l'uso del videotelefonino, a dimostrazione del voto. Le cronache hanno riportato che in sette casi sono stati colti in flagrante elettori mentre fotografavano la scheda all'interno del seggio. Ancora, c'è il caso di un candidato che stava addestrando i volontari in servizio civile ad accompagnare i non vedenti aPag. 61votare, e farlo poi, ovviamente, al loro posto, ognuno per decine e decine di non vedenti!
Subito dopo le elezioni è stato denunciato che presso la Banca d'Italia si era notato un afflusso fuori dall'ordinario, assolutamente eccezionale, di banconote da 50 euro tagliate a metà. Chi è più anziano ricorda certamente le elezioni dell'inizio degli anni Cinquanta, in cui venivano divise le scarpe: si dava la scarpa destra prima del voto e, a risultato acquisito, si dava quella sinistra.
In tutto questo, abbiamo notato una non pronta e, a volte, non puntuale e forte risposta da parte delle autorità di polizia, sia prima che durante il voto. Ciò è stato motivato con l'assenza di uomini e di mezzi necessari per controllare un'intera città e centinaia di migliaia di cittadini. Ma su tale aspetto mi soffermerò successivamente.
Per quanto riguarda la seconda fattispecie, vale a dire la manipolazione dei risultati, vi sono fenomeni vistosi di irregolarità, illegittimità e vere e proprie alterazioni dei verbali e, quindi, dei risultati. La casistica è ricchissima, e in questa sede cito soltanto alcuni esempi, a cominciare dal fatto che i presidenti dei seggi sono stati convocati separatamente dagli scrutatori e che, su segnalazione di cittadini, la DIGOS ha rinvenuto presidenti di seggio che, in splendida solitudine, provvedevano a timbrare e a vidimare le schede elettorali. Non sono pochi i casi in cui i rappresentanti di lista hanno denunciato che è stato loro impedito l'esercizio dei propri diritti e, quindi, del proprio mandato. Non sono poche le sezioni - possiamo citare il caso di una sezione di Cruillas - in cui sono state trovate, al momento dello spoglio, centinaia di schede, estratte una di seguito all'altra, in cui il voto è stato espresso sicuramente dalla stessa mano con una matita non regolamentare: ciò fa venire in mente l'ipotesi, pura e semplice, della sostituzione di voti, già espressi, con altri, oppure il trucco della doppia scheda.
Sono state rinvenute fuori dei seggi schede regolarmente vidimate. Non sono poche, anzi sono molte, le persone che si sono recate a votare, la domenica sera o il lunedì, ma hanno saputo dagli scrutatori che avevano già votato e che nella loro casella risultava anche riportato il documento d'identità.
A tale proposito, giova citare un fatto. Il 24 marzo 2007 Il Giornale di Sicilia ha pubblicato un articolo che riferiva di furti avvenuti al comune di Palermo e riportava la dichiarazione del dottor Di Matteo, dirigente dell'ufficio anagrafe ed anche dell'ufficio elettorale, il quale riferiva che erano stati rubati dalla cassaforte 50 mila euro e numerose carte di identità in bianco. Aggiungeva, il dottor Di Matteo, che quasi certamente il vero oggetto dell'interesse dei criminali non erano i soldi, quanto piuttosto le carte di identità. È troppo, signor rappresentante del Governo, se chiediamo che venga svolto un piccolo controllo che incroci i numeri seriali delle carte di identità rubate con i numeri delle carte di identità registrate in quelle sezioni e in quelle liste elettorali per le quali è stata segnalata un'anomalia da parte degli elettori?
Inoltre, verbali assenti o non completi, verbali visibilmente alterati, voti scomparsi a numerosi candidati: anche in tali fattispecie la casistica è molto ampia. Cito soltanto un caso, che riprendo da un articolo del quotidiano la Repubblica del 25 maggio 2007, relativo al signor Pietro Garofalo, candidato nella lista «Vizzini per Palermo», una lista di supporto al candidato sindaco Diego Cammarata della Casa delle libertà. Egli afferma: nella sezione 137 di via Lussemburgo, Scuola media Vittorio Emanuele Orlando, ho votato - naturalmente per me - la mattina di domenica 13, e per me hanno votato nello stesso seggio mia moglie, mia figlia, mio genero e un'altra ventina di amici e vicini di casa, ma al momento dello scrutinio mi sono trovato davanti a una beffa: ho scoperto che non mi è stato attribuito alcun voto.
Oggi la Repubblica ha mandato in onda sul suo sito un video girato da suoi incaricati presso gli uffici elettorali del comune di Palermo. Esso è stato pubblicizzatoPag. 62ampiamente, sul quotidiano di oggi gli è riservata una pagina, e invito tutti coloro che non hanno avuto la possibilità di farlo a visionare tale video sul sito del giornale. Viene documentato - come si può dire: in corpore vili? - cosa è successo. Un rappresentante di lista dichiara che nella sua sezione, nella notte tra sabato e domenica, sono scomparse cento schede vidimate. Egli afferma inoltre che un signore gli ha offerto una scheda già votata e che un candidato ha assistito allo spoglio della sua sezione: alla fine dello spoglio gli risultavano 17 voti, ma sul verbale poi consegnato all'ufficio elettorale non era registrato alcun voto.
Vengono poi mostrati verbali su cui non risultano i voti di lista, non risultano i voti dei candidati, non risultano gli elenchi dei candidati, non risultano gli elenchi dei partiti che hanno partecipato alle elezioni. Risultano invece in maniera abnorme abrasioni, cancellature, uso dovizioso del bianchetto, macroscopici errori e inesattezze (donne trasformate in uomini, e viceversa). Si ascoltano poi le voci degli addetti all'ufficio. Una dichiara: mai vista una situazione del genere. Un altro: ma come si fa così ad attribuire i voti? Un altro dichiara: alcuni presidenti di seggio sono stati chiamati a completare i verbali, inserendovi i dati, che ovviamente i presidenti del seggio non possono ricordare. I dati sono quindi in tal caso desunti dai cosiddetti statini, che sono - signor rappresentante del Governo, lei certamente lo sa - quei fogli volanti che vengono trasmessi dal seggio all'ufficio elettorale per comunicare in maniera veloce i risultati dello scrutinio.
Abbiamo già parlato delle forze dell'ordine, ma desidero aggiungere che la mattina del 15 - cioè il giorno successivo a quello di completamento delle operazioni di voto - la DIGOS di Palermo ha presentato un dettagliato esposto alla magistratura. Se lo ha fatto il 15, vuol dire che le segnalazioni che ha ricevuto sono tali ed essa le ha ritenute così gravi e così fondate da avvertire il dovere di presentare un rapporto alla magistratura.
Riteniamo che questi episodi siano intollerabili e da combattere ovunque si verifichino. Aggiungo qualcosa in più: vi è molta rabbia e molta indignazione fra i cittadini di Palermo, e vi è ansia di legalità, poiché Palermo non è una città normale come le altre, ma è uno dei punti più sensibili per quanto riguarda la legalità, perché è stata sì capitale della mafia ma è stata anche la capitale della lotta alla mafia. A Palermo la legalità è condizione dello sviluppo: ecco perché chiediamo al Governo di fare uno sforzo in più e crediamo e ci aspettiamo che questo sforzo in più sarà compiuto.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, occorre dir subito che evidentemente non vi è alcuna sottovalutazione e che non mancheranno ulteriori approfondimenti, anche al di là dello svolgimento odierno di questa interpellanza.
Fin dall'inizio, è stata dedicata la massima attenzione alla predisposizione di tutte le misure considerate adeguate volte a garantire un ordinato svolgimento delle elezioni amministrative tenutesi a Palermo ed in altri trentatré comuni della provincia nei giorni 13 e 14 maggio ultimi scorsi, per il rinnovo degli organi elettivi. Già in data 3 maggio 2007, nel corso di una riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sono state impartite le necessarie direttive per la predisposizione di adeguati servizi di vigilanza presso le sezioni, al fine di garantire un coordinato impiego delle forze di Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale, coadiuvati dai vigili urbani. È stato inoltre previsto l'impiego del personale della Polstrada per i servizi di pattugliamento, collegamento e scorta del materiale elettorale, nonché la predisposizione di «pattuglioni» con compiti di vigilanza ai seggi elettorali, conPag. 63particolare riguardo ai quartieri cosiddetti a rischio.
L'8 maggio 2007, la procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, in seguito ad una denunzia presentata da alcuni esponenti politici, relativa a presunte illegalità verificatesi nello svolgimento della campagna elettorale che avrebbero potuto condizionare la libera espressione del voto, ha costituito un fascicolo ed ha chiesto alla DIGOS di compiere con urgenza le opportune indagini. Inoltre, la locale questura, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza hanno predisposto un dispiegamento di forze dell'ordine che ha consentito un efficace e completo controllo del territorio e degli spazi limitrofi ai plessi scolastici ospitanti i seggi elettorali.
In proposito, si fa presente che sono stati attivati specifici servizi e mirati approfondimenti investigativi sul territorio da parte del personale DIGOS, in modo particolare nei quartieri indicati come luoghi di commissione del voto di scambio, ma non sono stati forniti ulteriori elementi di riscontro utili alle indagini, almeno fino a questo momento. L'esito degli accertamenti è stato poi trasmesso all'autorità giudiziaria competente.
In relazione alle anomalie avvenute prima delle operazioni di voto ed in merito alla circostanza secondo cui «la domenica mattina i plichi di schede risultavano aperti in molte sezioni e nella quasi totalità dei casi da una a cento schede risultavano mancanti», si fa presente che nessuna specifica richiesta è stata formalizzata alla questura di Palermo nel giorno dell'apertura dei seggi.
Più precisamente, però, nel pomeriggio di sabato 12 maggio, il capo ufficio stampa del candidato sindaco onorevole Leoluca Orlando ha denunziato, telefonicamente, alla DIGOS il comportamento di tre presidenti di seggio resisi responsabili dell'apertura dei plichi contenenti le schede elettorali e dei correlati adempimenti, non già al momento della formale costituzione del seggio, che è avvenuta alle ore 6 del primo giorno di votazione ai sensi dell'articolo 31 del decreto del Presidente della regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, bensì nel pomeriggio del sabato precedente le elezioni e in assenza degli scrutatori.
Verificata la veridicità della segnalazione nelle sezioni n. 145 e n. 310 istituite presso la scuola Alcide De Gasperi, i due presidenti di seggio hanno riferito che la loro condotta era da ascrivere ad una prassi diffusa e consolidata, volta ad evitare ritardi nell'apertura dei seggi per le operazioni di voto del giorno successivo e che alle anzidette operazioni avevano assistito uno o due testimoni, il segretario di seggio e/o lo scrutatore.
La terza sezione, n. 147, ubicata all'interno dello stesso plesso scolastico, era già chiusa e sigillata e quindi nulla si è potuto accertare in merito. Anche il presidente del seggio n. 565, ubicato presso la scuola elementare Tommaso Natale, ha sporto denuncia contro ignoti per il furto di 100 schede per il rinnovo della circoscrizione, già vidimate e sigillate, avendone registrato la scomparsa alla chiusura delle operazioni di voto alle ore 22 del giorno 13 maggio. Anche su questo episodio la DIGOS ha avviato i doverosi approfondimenti investigativi.
Inoltre, nella mattinata di sabato 12 maggio 2007, casualmente è stata ritrovata una scheda elettorale di colore grigio priva di bollo di sezione e di vidimazione, utile per l'elezione del sindaco e del rinnovo del consiglio comunale, nei pressi del cassonetto dei rifiuti in via dei Biscottari.
Alla luce degli accertamenti condotti, si è ritenuto verosimile la possibilità che un dipendente della tipografia Eurografica srl, unica assegnataria dell'appalto per la stampa delle schede elettorali nella provincia di Palermo, abbia cestinato la scheda anziché distruggerla, in un raccoglitore di rifiuti successivamente svuotato in un cassonetto in via dei Biscottari posto ad una cinquantina di metri dalla predetta tipografia a seguito di un accidentale deterioramento, come comprovato da una macchia, apparentemente di caffè, che compare sulla scheda medesima.
Riguardo alle anomalie avvenute durante il voto, non si sono avute notizie di schede regolarmente vidimate e non votatePag. 64ritrovate fuori dai seggi, sia all'interno sia all'esterno dei plessi scolastici. Tuttavia, si precisa che il giorno 15 maggio 2007, alle ore 9, all'interno dei servizi igienici della scuola elementare Orestano, sono state ritrovate da un dipendente comunale e dal personale della Polizia di Stato, in servizio presso il plesso scolastico, tre schede elettorali di colore rosa, valide per il rinnovo del consiglio circoscrizionale.
Le schede, con bollo di sezione e firma dello scrutatore, contenevano il voto di preferenza per altrettanti candidati dello schieramento di centrodestra.
Sono tuttora in corso indagini ed allo stato attuale non si conosce se le schede, oggetto di acquisizione da parte della DIGOS, siano state conteggiate ai fini del computo delle preferenze e se le stesse siano state trafugate dall'urna prima o durante le operazioni di spoglio.
Il giorno 14 maggio, alle ore 17, il personale della DIGOS è intervenuto presso il seggio 460 della scuola elementare V. Vitali poiché, durante le operazioni di scrutinio, alcuni rappresentanti di lista, riconducibili al candidato sindaco Leoluca Orlando, avevano eccepito la nullità di diverse decine di schede per il rinnovo del consiglio comunale. È stato, infatti, segnalato che tale schede riportavano il voto di preferenza espresso non con l'impiego della regolamentare matita copiativa, ma con un altro strumento di scrittura, rendendo riconoscibile il voto.
Le stesse schede - circa 130 - recavano la medesima indicazione del candidato sindaco (concorrente dell'onorevole Leoluca Orlando) e la preferenza per uno stesso candidato al consiglio comunale, inserito in una lista collegata a quel sindaco, ma in seguito risultato non eletto.
Dopo momenti di forte tensione ed accese polemiche, il presidente del seggio ha ritenuto valide le predette schede ed ha conteggiato sia i voti di lista sia quelli di preferenza. Questa decisione è stata oggetto di formale contestazione da parte di cinque rappresentanti di lista, che hanno fatto risultare nel verbale la loro opposizione.
Una situazione del tutto analoga rispetto alle contestate anomalie si è verificata nella sezione elettorale n. 19, presso la scuola elementare Oberdan di via Spica n. 5 e relativa a circa 120 schede «sospette».
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 16,40)
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Tuttavia, in questo caso, non è intervenuto personale della DIGOS, in quanto l'episodio è stato segnalato direttamente con esposto-denuncia all'autorità giudiziaria. Su entrambi gli episodi sono in corso indagini di polizia giudiziaria.
In relazione alla notazione di documenti di identità accanto ai nominativi riportati negli elenchi delle sezioni (come se qualcuno avesse già votato), nulla è stato portato all'attenzione degli uffici della questura, né si ha notizia dell'avvenuta formalizzazione di denunzie o esposti da parte di elettori.
Per quanto riguarda l'ammissione al voto di elettori privi di documento di identità personale, identificati per «conoscenza personale» e le modalità con le quali i portatori di handicap e/o analfabeti hanno esercitato il proprio diritto di voto, si precisa che non è pervenuta alcuna segnalazione o richiesta di intervento delle forze dell'ordine.
Nei giorni in cui sono state svolte le consultazioni amministrative sono giunte reiterate richieste, circa settanta, presso il centralino della sala operativa dell'ufficio prevenzione generale della questura di Palermo, riguardanti propaganda elettorale o volantinaggio in prossimità dei seggi elettorali.
A seguito degli interventi operati sono state identificate e segnalate alla prefettura di Palermo cinque persone, mentre più volte è intervenuto personale dell'AMIA (Azienda municipalizzata igiene ambientale) per la rimozione dei rifiuti dalle zone circostanti i plessi scolasticiPag. 65interessati dalla presenza di materiale di propaganda elettorale diffusamente sparso per terra.
Per quanto riguarda l'elettore sorpreso dagli scrutatori mentre fotografava la propria scheda di votazione per il rinnovo del consiglio di circoscrizione, presso il seggio n. 371 ubicato nel plesso scolastico di via Pitrè n. 183, su richiesta del presidente della sezione elettorale è stato chiamato il personale della questura e l'elettore, incensurato, è stato condotto negli uffici della DIGOS e denunciato in stato di libertà, con sequestro dell'apparato cellulare utilizzato. La persona in questione non ha rilasciato alcuna dichiarazione sui motivi della sua condotta. È stato accertato che la manifestazione del voto era stata espressa in favore di un candidato del centrosinistra.
In relazione alle anomalie avvenute a chiusura delle votazioni, si fa presente che parte degli episodi segnalati si riferiscono a momenti del procedimento elettorale che rientrano nella responsabilità dei presidenti di seggio, degli uffici comunali, dei presidenti dell'ufficio centrale elettorale.
Nel caso, invece, di candidati che hanno dichiarato di non aver rinvenuto nelle sezioni in cui hanno votato neppure il proprio voto o quello dei loro coniugi, la questura di Palermo è a conoscenza di un unico episodio verificatosi presso la sezione elettorale n. 529, nella scuola Armando Diaz di via Regina Margherita.
Infatti, nelle prime ore di martedì 15 maggio si è presentato, presso l'ufficio di ricezione denunce della predetta questura, un candidato al consiglio comunale di Palermo e per la II circoscrizione nella lista Partito della Rifondazione Comunista, il quale ha denunciato che «le schede elettorali votate dallo stesso e dalla moglie, con l'apposizione anche della croce sul simbolo del partito, unitamente al proprio cognome e all'indicazione del sindaco, non risultavano conteggiate».
Il candidato ha segnalato di aver richiesto al presidente della sezione elettorale, per il tramite di un rappresentante di lista presente nel seggio, un riconteggio delle preferenze espresse e che questi si era rifiutato, adducendo che un'operazione simile era già stata effettuata poco prima e la richiesta del rappresentante di lista non era stata riportata dal presidente nel verbale delle operazioni di scrutinio. Su questo episodio sono in corso ulteriori indagini da parte della DIGOS su specifica delega della procura di Palermo.
Durante le operazioni di scrutinio sono pervenute alla DIGOS solo due richieste di intervento per presunti atti intimidatori commessi a danno dei rappresentanti di lista presso i seggi ubicati nei circoli didattici Perez e Pensabene, per i quali comunque nessuno degli interessati ha manifestato l'intendimento di sporgere denunzia o querela.
Inoltre, alla locale questura non risulta pervenuta alcuna segnalazione da parte del servizio ispettivo della Banca d'Italia.
Si fa presente, infine, che ciascuno degli episodi sopra menzionati è stato tempestivamente segnalato all'autorità giudiziaria, che di volta in volta ha delegato alla locale DIGOS accertamenti, in parte già svolti e riferiti e in parte in corso di svolgimento.
In effetti, in merito ai paventati brogli elettorali, sono in corso attività di indagini espletate dalla DIGOS su delega dell'autorità giudiziaria. Tali indagini sono originate sia da un'informativa che lo stesso ufficio investigativo aveva depositato presso la procura della Repubblica di Palermo all'indomani della consultazione elettorale e sulla base dei primi elementi anomali emersi, sia da denunce e segnalazioni, pervenute per il tramite della stessa procura ed effettuate soprattutto da componenti lo staff del candidato sindaco onorevole Leoluca Orlando.
Infatti, nei giorni immediatamente successivi sono pervenute da varie fonti altre notizie di specifiche anomalie ed irregolarità. Alcune di queste sono state segnalate sia dall'onorevole Orlando sia da privati cittadini ed altre ancora dallo stesso ufficio elettorale centrale.
Il 23 maggio 2007 la procura della Repubblica di Palermo ha richiesto alla DIGOS di estendere le indagini anche alle anomalie da ultimo segnalate. In data 29Pag. 66maggio 2007, l'onorevole Orlando ha trasmesso una nuova denuncia per ulteriori anomalie ed illegalità. Il 30 maggio la procura della Repubblica di Palermo ha chiesto alla DIGOS gli opportuni accertamenti.
Questo è il resoconto che gli uffici ci hanno consegnato, ma al di là di ciò, che pur mi sembra importante, posso assicurare gli onorevoli interpellanti che il Governo - anche al di là dell'odierna risposta, che ha il limite oggettivo di analizzare quanto successo in uno spazio temporalmente definito ad oggi - continuerà a seguire con la massima attenzione tutta la vicenda ed in primo luogo l'evoluzione delle indagini in corso e, nel rispetto totale dell'autonomia della magistratura, quanto dovesse venire ulteriormente segnalato.
PRESIDENTE. L'onorevole Leoluca Orlando ha facoltà di replicare.
LEOLUCA ORLANDO. Desidero ringraziare il rappresentante del Governo per avere confermato tutti i casi denunziati come accertati o in corso di accertamento e confermare la gratitudine per la risposta. Per la soddisfazione devo francamente dichiarare che aspetto di vedere quali atti verranno posti in essere, non potendosi lasciare soltanto all'iniziativa dei cittadini l'attivazione di accertamenti di reati perseguibili d'ufficio e non solo a querela di parte.
Desidero, tuttavia, aggiungere che quello che è accaduto sta ancora accadendo. Sono ancora in corso, nella fase di accertamento e proclamazione dei risultati elettorali, irregolarità, illegalità, illiceità, che tutti possono vedere nel video richiamato dall'onorevole Piro. Si tratta, lo ripeto, di irregolarità in corso che producono effetti. Credo che su questo sia necessario capire e sapere quali intenzioni abbia il Governo, prendendo atto della volontà del signor rappresentante di non fermare l'azione del Governo a questa risposta, che pure già sarebbe esauriente, perché conferma la gravità dei fatti denunziati.
Stiamo parlando di un caso dai connotati di grande evidenza e di dimensioni tali da lasciar configurare qualcosa di più - lo accennava l'onorevole Piro - che la somma, pur gravissima, di centinaia di irregolarità. Siamo in presenza di una sorta di manifestazione di un costume di normale illegalità al limite di un vero e proprio disegno organico criminoso, che manipola risultati e perverte la volontà degli elettori. Siamo di fronte ad un disegno e ad un gruppo organico criminosi, che in realtà realizzano uno spietato ed illegale controllo della democrazia e del territorio.
Noi formuliamo ancora una volta sollecitazione agli organi dello Stato perché facciano la loro parte, che è stata fin qui svolta in modo non sufficiente. Signor rappresentante del Governo, nei giorni da sabato a lunedì era in servizio presso la DIGOS di Palermo soltanto una pattuglia, che doveva controllare una città di oltre 700 mila abitanti in un momento delicato come quello elettorale. Le ripetute richieste di intervento alla DIGOS venivano sostanzialmente non evase, mentre i reati erano in corso, con la risposta: «Non abbiamo personale adeguato da mandare». Credo sia opportuno che la signoria vostra vada ad accertare questi aspetti per evitare di fornire informazioni, ovviamente in buona fede, ma del tutto prive di fondamento.
Desidero ancora aggiungere che noi ripetiamo tale sollecitazione ancora una volta, convinti di dover dare garanzia a quanti, anche rischiando, non si sono acquietati di fronte a palesi illiceità e hanno deciso di denunziare veri e propri crimini, nonostante pressioni e minacce di ogni genere, anche fisiche. Ho visto il volto della paura nella faccia di tanti miei concittadini che, dopo aver denunziato un fatto, si sono chiesti se qualcuno li avrebbe garantiti, considerato che, quando hanno presentato la denuncia, era in corso l'irregolarità e nessuno è intervenuto!
Credo sia necessario ricordare che una settimana prima delle giornate del 13 e 14 maggio quattro deputati (un deputato europeo, due nazionali e uno regionale) avevano espresso preoccupazione ed avevano chiesto un adeguato intervento preventivo,Pag. 67al fine di vigilare sul regolare svolgimento delle imminenti elezioni. La nota è stata inviata al Ministro dell'interno, al presidente della Commissione antimafia, al prefetto, al questore ed al comandante dell'Arma dei carabinieri di Palermo. In essa venivano elencati i metodi illeciti già in corso e si invitava a vigilare sulla libertà e regolarità delle imminenti elezioni. Tale invito non ha avuto adeguato riscontro, come risulta dall'inadeguatezza di disposizioni e di personale di pubblica sicurezza nei giorni del voto e in quelli dello scrutinio. Tale inadeguatezza di disposizioni e di personale permane tuttora, se è vero, come è vero, che nessun intervento risulta in corso per evitare che continuino operazioni di verifica e di proclamazione dei risultati negli uffici comunali dove immagini da paese certamente non europeo sono disponibili a tutti e dove, davanti agli occhi di tutti, appaiono decine di verbali inesistenti, «sbianchettati» e assolutamente privi dei necessari elementi, quindi per la gran parte assolutamente irregolari.
Tutto questo materiale è ovviamente oggetto di prova, è stato - e verrà - trasmesso agli organi della magistratura competenti, ma sarebbe opportuno che, oltre ad attivarsi un candidato, un elettore o un cittadino, si attivino anche gli organi dello Stato. Il video ricordato è soltanto il primo di molti documenti filmici e fotografici, che testimoniano, ad esempio, un particolare: i plichi venivano trasportati dai seggi al comune e venivano consegnati senza che fosse identificato il consegnatario; abbiamo riprese televisive di persone in motorino che portano cinque plichi, li depositano in comune e vanno via senza che nessuno li identifichi perché l'ufficio elettorale comunale non ha dato alcuna disposizione in tal senso. Centinaia di sezioni risultano non aver indicato i responsabili della consegna dei plichi; quindi tali plichi venivano consegnati dal primo che passava e ciò, ovviamente, può far comprendere quali manipolazioni si possano essere verificate di fronte ad una così irresponsabile gestione e organizzazione del servizio da parte dell'ufficio comunale.
Signor rappresentante del Governo, le pongo una domanda: di fronte a ciò che stiamo dicendo, di fronte a questo allarme, non dovrebbero gli organi competenti attivarsi, non soltanto limitandosi - come hanno fatto - ad accertare i fatti che ho denunciato, ma anche svolgendo un'azione di investigazione e di prevenzione? In attesa che ciò accada, centinaia di cittadini si sono organizzati per difendere il diritto alla regolarità e alla libertà di voto, annunciando persino la restituzione al Capo dello Stato della tessera elettorale per mancanza di fiducia nei confronti del funzionamento degli organismi democratici. Inattività o inadeguata attività: credo siano la fonte di un gravissimo vulnus alla tanto auspicata credibilità della politica e delle stesse istituzioni democratiche e siano una condizione di grave insicurezza sociale. Ritengo che di tale sovvertimento dei risultati si occuperanno i magistrati amministrativi, ma il tema, in questa fase, non è il risultato dei ricorsi che verranno presentati davanti al giudice amministrativo, ma è quello dei reati dei quali è bene che si occupino gli organi inquirenti, ricordando che la gran parte dei reati denunciati, pur sanzionati con pene assai pesanti, è soggetta agli incredibili tempi - brevissimi - di prescrizione. Vi sono reati per i quali è prevista la reclusione da due a sette anni, ma la prescrizione è biennale; allora tali tempi assai brevi di prescrizione ovviamente impongono una celerità nelle indagini e rendono ancora più gravi e causa di responsabilità i ritardi, i temporeggiamenti e i tentativi di rimozione.
Sulla necessità, infine, di garantire regolarmente la libertà e la regolarità del voto i parlamentari interpellanti si riservano di attivare indagini e attività conoscitive da parte delle Commissioni parlamentari competenti e intendono proporre l'istituzione di una Commissione di inchiesta, non essendo tollerabile ogni inerzia rispetto a irregolarità e ad attentati alle libertà di voto in numerose regioni del nostro Paese.
(Ipotesi di ridimensionamento occupazionale e produttivo del gruppo Michelin Italia - n. 2-00553)
PRESIDENTE. L'onorevole Rotondo ha facoltà di illustrare l'interpellanza Di Salvo n. 2-00553 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7), di cui è cofirmatario.
ANTONIO ROTONDO. Signor Presidente, il gruppo Michelin Sami occupa in Italia circa 5.600 dipendenti, concentrati soprattutto negli stabilimenti piemontesi. I fatturati realizzati dai vari produttori mondiali di pneumatici, per il 2005, posizionano ormai la giapponese Bridgestone al primo posto dinanzi al gruppo Michelin, che arretra al secondo posto, poi si colloca l'americana Goodyear, al terzo posto.
L'arretramento della Michelin Mondo, passata al secondo posto nonostante le vendite in rialzo, può essere spiegato solo con una velocità di crescita maggiore dei vari concorrenti. Per queste ragioni, e non solo, il gruppo ha definito un piano mondiale di strategia industriale denominato «Orizzonte 2020», diffuso dal nuovo presidente del gruppo Michelin, Rollier. Nel nuovo piano strategico, il nuovo presidente dichiara esplicitamente che il gruppo ha un esubero di 20 mila addetti, di cui ben 10 mila collocati nell'Europa occidentale. Gli stabilimenti italiani, più degli altri, sono fortemente a rischio, considerando la loro marginalità prevista in detto piano, che colloca gli investimenti futuri strategici su altri stabilimenti europei: Spagna, Francia e Germania.
Il gruppo Michelin Sami Italia occupa, come ho già detto, circa 5.600 dipendenti, concentrati maggiormente nei quattro stabilimenti piemontesi. Indicativamente, i dati occupazionali sono i seguenti: Torino- Stura 1.100 dipendenti oltre quelli della sede centrale; Alessandria 1.100; Cuneo 2.100 e Fossano 650.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,55)
ANTONIO ROTONDO. Il 3 maggio scorso si è tenuto un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico tra il dottor Borghini e le organizzazioni sindacali. In tale sede il dottor Borghini ha relazionato in merito ad un incontro avuto con i vertici di Sami Italia, in cui i responsabili dell'azienda, riconfermando la volontà di rimanere in Italia, hanno evidenziato chiaramente che il piano industriale, così com'è stato prospettato, non è modificabile.
Signor sottosegretario, vorremmo sapere quali siano le scelte che il Ministero dello sviluppo economico intende attuare sul futuro della Michelin in Italia, in ordine al rischio di un ridimensionamento occupazionale e produttivo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Marco Stradiotto, ha facoltà di rispondere.
MARCO STRADIOTTO, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, il gruppo Michelin, multinazionale francese, ha una presenza commerciale in più di 170 paesi del mondo e circa 69 siti di produzione. In particolare, in Italia i dati poc'anzi citati dall'onorevole Rotondo coincidono, nel senso che tale azienda occupa circa 5 mila dipendenti, la maggior parte dei quali si trova nei quattro stabilimenti piemontesi.
A seguito della presentazione del piano industriale del gruppo denominato «Orizzonte 2020», le organizzazioni sindacali hanno manifestato al Ministero dello sviluppo economico e ai rappresentanti degli enti locali interessati alla vicenda le loro preoccupazioni in merito al futuro degli stabilimenti italiani della multinazionale francese.
Il Ministero dello sviluppo economico si è attivato svolgendo, nei giorni scorsi, incontri tesi ad analizzare gli investimenti del gruppo, nell'ambito dei quali i rappresentanti dello stesso Ministero hanno incontrato separatamente i vertici delle imprese e le organizzazioni sindacali. In tali sedi la società Michelin ha ribadito la volontà di mantenere e rafforzare la propria presenza in Italia, nonostante la crisi che ha investito il settore dei pneumatici -Pag. 69in particolare, quelli di fascia bassa - intervenuta a seguito dell'agguerrita concorrenza dei Paesi terzi. A tal fine, la società Michelin investirà in Italia, nel 2007, 33 milioni di euro, principalmente finalizzati alla razionalizzazione ed alla maggiore efficienza dei siti produttivi. In particolare, la società punta ad un incremento della sinergia fra il sito di Torino e quello di Cuneo (che è il polo dei pneumatici leggeri) e fra il sito di Alessandria e quello di Cuneo (poli di semi-finiti e mescole), mirando, altresì, ad una riduzione dei costi di produzione attraverso un innalzamento della produttività ed una maggiore efficienza energetica dei singoli stabilimenti.
Le organizzazioni sindacali, nel corso degli incontri svoltisi presso il Ministero dello sviluppo economico e con le istituzioni locali, hanno manifestato forti riserve sul piano industriale, esprimendo un giudizio di inadeguatezza dello stesso in quanto, pur mantenendo tutti i siti, esso prevede, oltre alla già preannunciata chiusura della «linea Avio» (ossia la produzione di gomme per aerei) nello stabilimento di Cuneo, anche la chiusura di un gruppo del reparto mescole nello stabilimento di Alessandria e, a seguito di una prevista riduzione dei volumi (da 6 a 5,5 milioni di pneumatici), una riduzione dei turni nello stabilimento di Torino da diciotto a quindici. Per tali ragioni, le organizzazioni sindacali hanno richiesto una modifica del predetto piano - in particolare la conferma dei diciotto turni attuali nello stabilimento di Torino - sollecitando altresì il Ministero dello sviluppo economico a riprendere i contatti con i vertici europei della società Michelin, al fine di convocare quanto prima una riunione, anche d'intesa con le istituzioni locali, finalizzata ad un confronto di merito sulle prospettive del gruppo e al raggiungimento di un'intesa.
È comunque emersa una posizione di stallo, dovuta alla mancata disponibilità dell'azienda a modificare il piano di riorganizzazione industriale nel senso richiesto dalle organizzazioni sindacali.
Il Ministero dello sviluppo economico ha già espresso, nel tavolo di incontro, la propria preoccupazione per la posizione di stallo che si è venuta così a determinare, anche in considerazione del ruolo svolto dalla società Michelin nella produzione nazionale dei pneumatici e nell'economia dei territori ove sono insediati i suoi stabilimenti. Il Ministero si è comunque reso disponibile a convocare nuovamente le parti per favorire il raggiungimento di un'intesa e dare maggiore continuità occupazionale ed operativa alla società in questione.
PRESIDENTE. Il deputato Rotondo, ha facoltà di replicare.
ANTONIO ROTONDO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta, che mi sembra abbastanza completa. Mi ritengo, però, solo parzialmente soddisfatto, perché credo che si possa, e si debba, fare di più. Stiamo vivendo un momento particolarmente difficile, a livello sia economico, sia sociale e politico, anche alla luce dei fatti più recenti.
Signor sottosegretario, la situazione economica è particolarmente grave per il mondo del lavoro dipendente. È noto a tutti ciò che l'ISTAT, solo pochi giorni fa, ha certificato sul grave arretramento dei livelli salariali e della capacità di acquisto dei lavoratori dipendenti. In Italia, negli ultimi anni, da questo punto di vista si è andati indietro. È necessario un forte impegno da parte del Governo per modificare tale situazione: signor sottosegretario, bisogna fare di più. Se a questa situazione economica così difficile si aggiunge anche la serie di dismissioni e di cosiddette razionalizzazioni intraprese da numerose imprese, tra le quali, appunto, la Michelin Sami Italia - ciò avviene sia al Nord sia al Sud - tutto ciò ci fa capire che occorre un impegno maggiore.
Pensiamo che sia indispensabile, signor sottosegretario, che il Ministro per sviluppo economico, in prima persona, convochi una riunione a livello europeo con il gruppo Michelin per affrontare la questione, che sta diventando veramente difficilePag. 70e che potrebbe sfociare anche in una rottura sociale, con gravi ripercussioni. Signor sottosegretario, per questo motivo la ringrazio nuovamente per la risposta e la invito a far presente al signor Ministro di dover compiere atti più precisi e completi.
(Criteri di selezione del personale presso le ex Officine meccaniche calabresi di Reggio Calabria - n. 2-00573)
PRESIDENTE. Il deputato Galati ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00573 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
GIUSEPPE GALATI. Signor Presidente, questa interpellanza è rivolta ai Ministeri dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze e dell'interno, perché riguarda tre questioni tra loro connesse.
Le ex Officine meccaniche calabresi, che da tempo sono diventate unità del gruppo Ansaldo Breda, all'interno di Finmeccanica, stanno subendo una riduzione sia dell'attività, sia degli addetti. Tutto ciò, però, non avviene in un mercato che si contrae, perché ci sono state recenti acquisizioni di nuove commesse ferroviarie da parte proprio dell'Ansaldo Breda, come si è potuto leggere anche sulla stampa. Questa situazione sta portando ad una ormai decennale e progressiva dismissione attuata dall'azionista.
D'altra parte, bisognerebbe anche richiamare errori di politica commerciale commessi dal management, rispetto ad alcuni accordi con «clausole capestro» con alcuni clienti, soprattutto norvegesi e danesi. Tutto ciò - è inutile ricordarlo - avviene in un territorio, che ha già di per sé problemi di disoccupazione, ma anche questioni legate a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata ed è in una situazione anomala, in cui ci sono anche fenomeni di ricorso crescente alla terziarizzazione dell'attività produttiva. In questi ultimi tempi, si innesta un altro processo: contemporaneamente alla riduzione ed alla messa in cassa integrazione ordinaria e straordinaria di personale, ci sono alcune assunzioni ingiustificate di nuovo personale. Al riguardo, chiedo un chiarimento al Governo rispetto alle qualifiche professionali dei dipendenti licenziati e dei nuovi assunti.
La questione di fondo che chiedo al Governo di chiarire, quindi, riguarda innanzitutto il tipo di controllo e di monitoraggio che pone in essere rispetto alla situazione della Ansaldo Breda, che appartiene al gruppo Finmeccanica, con riferimento alla sua presenza nel Mezzogiorno, ma soprattutto rispetto alla situazione di gruppi, già presenti, che vedono ridurre la propria attività pure in presenza della crescita delle commesse.
Chiedo, inoltre, al Governo il motivo delle nuove assunzioni, a fronte della riduzione di personale, e se tutto ciò ovviamente risponda a criteri determinati. Soprattutto, però, vorrei comprendere quale sia la vigilanza esercitata per evitare che l'esternalizzazione dei processi di lavorazione di alcune attività non vada ad incidere sul problema del rapporto con lo sfasamento, perché le lavorazioni vengono affidate ad imprese che possono avere rapporti con la criminalità organizzata. Si verificherebbe, in tal caso, di fatto una condizione che non porterebbe a sviluppare la capacità imprenditoriale autonoma del territorio, ma a situazioni che, evidentemente, seguono un'altra logica. Questa è la condizione di una regione che mantiene il più alto tasso di disoccupazione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Marco Stradiotto, ha facoltà di rispondere.
MARCO STRADIOTTO, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, lo stabilimento Ansaldo Breda di Reggio Calabria produce motrici e carrozze rimorchiate, attività che negli ultimi anni è stata oggetto di rivisitazione ed ampliamento. Ciò ha consentito allo stabilimento reggino di passare dalla produzione di motrici e carrozze, che venivano completate dallo stabilimento di Pistoia, alla produzione di treni completi, provatiPag. 71e collaudati nello stabilimento di Reggio Calabria.
Tale scelta, oltre a rafforzare l'attività, ha determinato la creazione di una nuova struttura organizzativa, che ha consentito il mantenimento e l'ampliamento dei livelli occupazionali, nonché di fronteggiare le principali lacune tecnico-qualitative delle varie fasi di produzione, permettendo al predetto stabilimento di svolgere un ruolo proprio ed autonomo all'interno del perimetro di Ansaldo Breda.
Secondo notizie pervenute dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, presso lo stabilimento di Reggio Calabria (OMECA) del gruppo AnsaldoBreda Spa, prestano complessivamente servizio, alla data odierna, 446 dipendenti.
Nel corso dell'ultimo triennio si sono registrati i seguenti movimenti di personale. Uscite: n. 13 impiegati e n. 58 operai, per un totale di 71 unità; entrate: n. 9 impiegati e n. 81 operai, per un totale di 90 unità.
Negli ultimi tre anni, l'azienda non ha fatto ricorso al trattamento di cassa integrazione guadagni o cassa integrazione guadagni straordinaria. Infatti, l'ultimo periodo di integrazione salariale risale alla data del 24 maggio 2001 e ha riguardato 20 unità.
Si aggiunge, al riguardo, che, in base ad un accordo stipulato tra le organizzazioni sindacali e la direzione dello stabilimento OMECA (ai sensi dell'articolo 4, commi 6 e 7 della legge n. 223 del 1991 e dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 469 del 1997) entro il 30 novembre 2007 si potrà fare ricorso alla risoluzione del rapporto di lavoro di 65 dipendenti dei 446 costituenti l'organico aziendale.
In base al suddetto accordo, i lavoratori cui potrà essere comunicato il licenziamento saranno individuati esclusivamente fra quelli che manifesteranno la loro volontà di non opposizione al recesso, con priorità per coloro che matureranno i requisiti per l'accesso ai trattamenti pensionistici.
Secondo quanto comunicato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, detti licenziamenti, tuttavia, non dovrebbero determinare contrazioni di organico, in quanto rientrerebbero in un processo di riorganizzazione aziendale volto a sostituire unità di personale con altre, in possesso di più elevato livello culturale e professionale.
In base al suddetto accordo, comunque, alla data odierna è stato risolto il rapporto di lavoro di 4 impiegati ed 11 operai; quindi, sono stati già interessati al processo di mobilità, su base volontaria, un totale di 15 dipendenti.
Secondo quando comunicato dal Ministero dell'interno, gli intendimenti, più volte manifestati dai dirigenti di AnsaldoBreda nel corso degli incontri svolti nella prefettura di Reggio Calabria, lasciano favorevolmente ipotizzare prospettive di crescita dello stabilimento, con un incremento della capacità competitiva del complessivo sistema produttivo ferrotramviario.
In tale ottica, il ricorso agli ammortizzatori sociali (mobilità lunga e mobilità ordinaria) è dettato dall'esigenza di garantire, anche in considerazione della rinnovata produzione, il turn over e il rafforzamento delle competenze professionali.
Difatti, a fronte di personale interessato da processi di mobilità, sono state registrate nuove assunzioni, calibrate secondo le esigenze produttive.
Le prospettive di crescita dello stabilimento e le ricadute positive sull'indotto sono costantemente all'attenzione della prefettura stessa, che le sostiene presso le varie sedi istituzionali, nell'intento di scongiurare un ulteriore depauperamento delle attività produttive sul territorio, con ricadute negative sui livelli occupazionali.
Quanto al valore delle lavorazioni esterne sul valore totale della produzione - secondo le informazioni acquisite dal Ministero dello sviluppo economico - attualmente lo stesso si attesta intorno al 20-25 per cento. Si evidenzia, inoltre, che, nel corso degli ultimi anni, in relazione all'evoluzione dell'attività dello stabilimento reggino, si è proceduto ad una rivisitazione della politica di decentramento produttivo, che ha determinato il rientro, nello stabilimento reggino, di alcunePag. 72attività precedentemente esternalizzate (agli inizi del 2005 il valore del decentrato esterno era di circa il 35-40 per cento del valore della produzione).
In proposito, risulta che AnsaldoBreda considera lo stabilimento di Reggio Calabria parte integrante del perimetro industriale della società e intende continuare ad investire su tale stabilimento, per consentire all'azienda nel suo complesso un ulteriore sviluppo, anche in relazione alle nuove opportunità determinate dal mercato del trasporto ferroviario.
Si evidenzia che la politica di selezione del personale impostata per lo stabilimento reggino sin dal 2001 è stata quella di affidare ad una società del nord Italia, specializzata nel settore, il processo di selezione ed assunzione del personale; ciò al fine di garantire il rispetto dei criteri di oggettività, trasparenza e professionalità dei dipendenti da assumere in azienda.
Al riguardo, si fa presente che, per garantire l'estraneità a qualsiasi tipo di reato, condizione essenziale per l'assunzione è la consegna da parte dei dipendenti del certificato del casellario giudiziario e dei carichi pendenti.
Inoltre, la politica industriale di AnsaldoBreda prevede che tutte le attività oggetto di decentramento vengano acquisite attraverso la definizione di gare di appalto e che le società fornitrici possano partecipare solo se in regola con quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro e dalla normativa vigente.
In relazione, infine, al possibile fenomeno di infiltrazione della malavita organizzata in parallelo al crescente ricorso alle lavorazioni esterne - secondo quanto comunicato dal Ministero dell'interno - allo stato non risultano elementi certi di tal genere, pur non potendosi escludere che l'azienda, ubicata in un'area particolarmente critica, possa sollecitare gli interessi delle organizzazioni mafiose, soprattutto in considerazione delle dimensioni dell'impresa e del suo indotto. In tale ottica, costante è l'attività di prevenzione e di controllo delle istituzioni.
PRESIDENTE. Il deputato Galati ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE GALATI. Signor Presidente, apprezzo il sottosegretario per le notizie che ci ha fornito, ma non ci possiamo dichiarare soddisfatti, perché stiamo parlando di un'area critica. Come lei stesso ha sentito e come il sottosegretario ci ricorda, la maggior parte di queste riunioni avvengono proprio nella prefettura ed è in questa sede che il prefetto De Sena, con eccellente lavoro, cerca di arginare l'infiltrazione mafiosa, attivando contemporaneamente con intelligenza quei processi di crescita dei sistemi produttivi.
Ci rendiamo conto che gli andamenti dei mercati portano a rivedere le tipologie dei servizi professionali che servono all'azienda, ma vorrei ricordare anche che parliamo di una regione che dispone di ottime università, anche dal punto di vista scientifico e di ricerca. Un grande gruppo come Finmeccanica, con l'impegno e le indicazioni del Governo, dovrebbe accentuare maggiormente la presenza proprio perché, come è stato ricordato, vi sono anche acquisizioni di commesse ferroviarie in un settore modificato come quello del sistema ferroviario, che possono indurre maggiormente ad un certo tipo di sviluppo importante e di crescita per un'azienda che deve operare in un sistema in competitività. Allo stesso tempo, si afferma che vi è una certa riduzione per quanto riguarda le lavorazioni esterne. Questa indicazione, tuttavia, non basta; bisogna evitare l'infiltrazione mafiosa che, a volte, mi rendo conto, si può verificare senza una piena conoscenza da parte dell'azienda. L'attenzione quindi deve essere duplice e deve essere esercitata una certa forma di controllo per permettere a chi svolge un'attività sana di impresa di immaginare un rapporto sano con il gruppo AnsaldoBreda, permettendone la crescita.
Chiediamo al Governo che questo sistema incrociato, pure svolto all'interno della prefettura, vada al di là del mero controllo, al di là del sistema di selezione del personale, considerato che moltoPag. 73spesso anche le società di selezione non possano darci la certezza di sani criteri di selezione.
L'obiettivo di fondo è un altro: occorre imprimere un certo impulso, affinché questa nuova stagione positiva del gruppo Finmeccanica contribuisca allo sviluppo di un'area produttiva già in ripresa, con una concentrazione maggiore di effetti benefici per tutti. Anche la presenza delle università può comportare una capacità di selezione in loco di figure professionali che sono necessarie in un gruppo tecnologicamente avanzato.
Da questo punto di vista, ritengo che un forte indirizzo del Governo serva ad un gruppo come Finmeccanica che cresce e che non vorremmo crescesse solo in alcune aree del Paese.
(Iniziative volte a garantire la trasparenza dei meccanismi di reclutamento del personale docente delle Università - n. 2-00571)
PRESIDENTE. Il deputato Raisi ha facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00571 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9), di cui è cofirmatario.
ENZO RAISI. Signor Presidente, l'interpellanza, sottoscritta insieme ai colleghi La Russa e Garagnani, ha vissuto alcune vicissitudini. Mi permetto di perdere due minuti, anche in riferimento alle disposizioni del Regolamento della Camera in materia di interpellanze. In particolare, sulla base di una strana interpretazione di un precedente regolamentare, voluta dall'allora Presidente Violante, si è deciso che le interpellanze presentate dai parlamentari dovessero essere unicamente riferite a materie di competenza del Governo e non a realtà autonome dall'Esecutivo.
In questo caso, l'università è stata considerata ente autonomo e ciò mi sembra paradossale, perché poc'anzi ho ascoltato la risposta di un rappresentante del Governo ad un'interrogazione concernente il gruppo Michelin Italia. A tale riguardo, vorrei capire quale è la competenza specifica del Governo su una realtà privata come la Michelin Italia! Nel caso di specie, oltre tutto, le università italiane vengono sovvenzionate dal denaro pubblico ed esiste un Ministro dell'università!
Comunque, dopo varie vicissitudini, siamo riusciti a presentare l'interpellanza in esame, entrando così nel merito di un grave malessere del Paese, la cui realtà storica va avanti negli anni: il nepotismo. Forse, qualcuno di voi avrà visto una trasmissione televisiva, che prendeva in esame la realtà di Bari, descrivendo alcune situazioni veramente paradossali.
Cosa succede a Bologna, la realtà che noi abbiamo analizzato, essendo deputati bolognesi?
A Bologna, il senato accademico ha conferito ad uno dei tantissimi prorettori dell'università - è un'altra anomalia della mia università ovverosia la presenza di una pletora di prorettori che, in realtà, dovrebbe essere al massimo due - il mandato di redigere una specie di memorandum, con una serie di divieti, tra i quali quello del nepotismo.
Ovviamente, condividiamo lo spirito dell'iniziativa, ma, analizzando la realtà della nostra università, ci siamo accorti che, nel corso del mandato di questa autorità universitaria, sono stati chiamati come professori associati ordinari il figlio del rettore, la moglie del figlio del rettore e la cognata del rettore.
Non entro nel merito, perché, indubbiamente, avranno tutti i titoli per conseguire la nomina, ma quando abbiamo verificato la carriera del figlio del rettore, abbiamo notato delle strane coincidenze. Ne cito una, indicata nell'interrogazione, ovverosia il fatto che i fondi destinati alla chiamata di associati per l'anno 2002-2003 sono stati utilizzati dal rettore per le chiamate relative all'annualità 2003-2004: guarda caso proprio quella che riguardava suo figlio.
La cosa strana è che, quando nel 2006 la facoltà di economia doveva effettuare la chiamata di un professore ordinario (vi erano due concorrenti, uno dei quali il figlio del rettore), in primavera il budget della facoltà di economia consentiva soloPag. 74di chiamare un ordinario, ma, ad un certo punto - non si capisce come mai, considerato che, ad ottobre, si effettua il conteggio dei punteggi per l'attribuzione delle risorse alle singole facoltà per la chiamata dei professori - si sono ampliate le risorse dell'università di Bologna e la facoltà di economia ha stranamente raggiunto un punteggio per chiamare due professori ordinari, cosicché entrambi i candidati sono diventati professori ordinari.
Ripeto che sarà accaduto nella massima legittimità e non l'ho mai contestato (so che il rettore si è arrabbiato e che minaccia querele o non so cosa).
Credo che un deputato, nel momento in cui viene informato di talune vicende - ovviamente potete immaginare da chi venga informato, perché è chiaro che le informazioni vengono dall'interno - abbia il dovere, non il diritto, di chiedere spiegazioni al Governo su certi comportamenti!
Ritengo che si tratti di un'anomalia che, durante il rettorato di un soggetto, vengano chiamati a svolgere funzioni universitarie il figlio, la moglie del figlio e la cognata!
Chi vi parla - tanto per far capire anche al rappresentante del Governo - è stato eletto consigliere comunale a Bologna a ventidue anni e quando ha intrapreso la carriera professionale come dirigente di azienda non ha mai voluto lavorare con aziende bolognesi, onde evitare i famosi problemi di conflitto di interessi. Quindi, come dire, la prendo molto alla larga, dal punto di vista di un approccio etico, per quanto mi riguarda e per quanto riguarda il mio percorso politico.
Aggiungo che, nella prima stesura della nostra interpellanza, abbiamo evidenziato altre strane particolarità, come il fatto che il ruolo importante sia per il figlio che per la moglie del figlio del rettore l'ha giocato il professor Vincenzo Di Niccolò, che, a sua volta, è stato beneficiato di un incarico conferito direttamente dal rettore, senza forse avere propriamente i titoli per far ciò.
Tutte queste anomalie - ripeto - non indicano che il professore, figlio del rettore, non sia in grado di assolvere il compito - anzi per le informazioni che ho, mi risulta che sia un ottimo docente - però ci sono delle regole, anche etiche, che, a mio parere, vanno rispettate.
Allora, vista la trasmissione sull'università di Bari, visto quello che accade nella mia città, viste anche certe dichiarazioni del Ministro Mussi contro il nepotismo nelle nostre università, mi attendo che il Governo ci spieghi cosa intende fare in primo luogo per effettuare delle verifiche anche sugli episodi che ho citato, e inoltre, più in generale, per capire quali strumenti possa adottare onde evitare i casi di nepotismo che sono spiacevoli. Si confonde infatti quello che è un principio di autonomia con quello che è, giustamente, anche un principio di rispetto delle regole dell'etica e della morale.
Non credo onestamente che, quando un soggetto, ad esempio, assume incarichi di vertice all'interno delle città, possa, a mio parere - ripeto a mio parere - arrivare ad una situazione come quella di Bologna che ho citato. Sono situazioni quanto meno spiacevoli che non sono comprensibili: si parla tanto della moralità della vita pubblica in questo Paese, facendo sempre riferimento a noi politici, poi ci dimentichiamo che noi siamo lo specchio del Paese: lo vogliamo dire una volta per tutte! Allora scopriamo che, ad esempio, nelle università accadono questi fatti. Scopriamo che in altre realtà accadono episodi analoghi!
Un Governo che afferma di voler moralizzare la vita pubblica, credo che debba dare segnali forti in questo senso, cominciando innanzitutto dall'ottimo lavoro svolto nella Commissione cultura dall'amico Garagnani, grazie al quale ci sarà una commissione di inchiesta che andrà a verificare anche queste situazioni, proprio partendo dall'università di Bologna - questo mi fa piacere -; credo però che il Governo debba dare un segnale e mi attendo la risposta da parte del rappresentante del Governo, una risposta chiara in questa direzione.
Ripeto: non si tratta di entrare nel merito; sono convinto - lo dico chiaramentePag. 75in questa sede perché resti negli atti parlamentari - che sicuramente i tre parenti, familiari del rettore, hanno tutte le caratteristiche professionali per svolgere quelle mansioni. Non ho dubbio che tutto si è svolto nella massima legittimità: per carità, non mi sarei rivolto al Parlamento, ma alla magistratura, se avessi avuto dei dubbi. Però, credo che, certe anomalie nel percorso di carriera e, soprattutto, il fatto che venga nominata mezza famiglia proprio quando è in carica un certo rettore suscitino qualche dubbio sul fatto che qualcosa non ha funzionato nei meccanismi di trasparenza dell'università di Bologna.
Pertanto, insieme al collega Garagnani ed al capogruppo La Russa, abbiamo voluto formulare questa interpellanza al Governo proprio per conoscere il suo pensiero più in generale, sui casi di nepotismo nelle università, e poi, se si ha coraggio, su altre situazioni, perché capisco che intervenire sui rettori in questo Paese è un tema molto difficile e complesso; infatti, in questo Paese vi sono delle categorie che non si possono toccare.
Noi politici siamo sempre alla berlina, ma quando si toccano categorie come queste, per carità, la scienza, la cultura si trincerano sempre di fronte a certe situazioni che, onestamente, provocano in me un certo sorriso! Infatti, credo che, onestamente, quando si parla di fondi e soldi pubblici non si debba fare differenza. I controlli devono essere effettuati e la moralità deve essere uguale per tutti! Bisogna essere intransigenti in ordine a tali aspetti! C'è un Ministero della pubblica istruzione, ed un Ministero dell'università e della ricerca che devono occuparsi di questa materia; l'autonomia delle università può essere gestionale, ma deve essere comunque controllata e soprattutto il ministro deve essere consequenziale rispetto a quello che ha sempre dichiarato. Ha dichiarato che il nepotismo è un male delle nostre università e che va combattuto e lo apprezzo perché sicuramente credo che non l'abbia detto per dirlo, ma perché ci crede ed è un bene, ma dobbiamo essere consequenziali.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Luciano Modica, ha facoltà di rispondere.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, in relazione all'interpellanza urgente presentata dall'onorevole La Russa e da altri deputati, si intendono fornire, in primo luogo, i chiarimenti e gli elementi istruttori comunicati dall'università di Bologna sulle questioni sollevate. Premetto che una parte delle questioni sollevate da chi è intervenuto prima di me non era contenuta nell'interpellanza urgente. Ad essa, quindi, non sono in grado di rispondere. Risponderò, ovviamente, a quanto era in mia conoscenza.
L'università di Bologna argomenta che è probabile che gli interpellanti facciano riferimento - ne abbiamo avuto conferma - alla chiamata del professor Giacomo Calzolari nella facoltà di economia, anche se, a differenza di quanto affermato (ma è un dettaglio solo tecnico), il professor Calzolari è stato chiamato il 21 marzo 2007 e non nel 2006, sulla base di deliberazione del consiglio di facoltà e del senato accademico.
Aggiungo che il professor Calzolari, figlio del rettore, è studioso di economia di caratura internazionale, per giudizio di autorevoli economisti stranieri, come del resto sostengono gli stessi interpellanti, definendo «inoppugnabili» i suoi «requisiti scientifici», e ha svolto parte della sua carriera accademica fuori dall'ateneo bolognese e all'estero, presso prestigiose istituzioni universitarie straniere.
Per quanto riguarda la procedura di chiamata seguita dall'università di Bologna, viene chiarito che, nell'ateneo, le chiamate di docenti e ricercatori avvengono utilizzando le risorse che derivano dalle cessazioni dal servizio, previa richiesta del senato accademico e con l'autorizzazione del consiglio di amministrazione. Per le cessazioni avvenute nel 2006 - anzi, per essere precisi, nei primi cinque mesi del 2006 - era stata, a suo tempo, prevista solo la parziale copertura dei posti vacanti: infatti, il consiglio di amministrazionePag. 76aveva autorizzato la copertura di tre quarti delle risorse derivanti da cessazioni entro il 31 maggio 2006. Era rimasto congelato il restante 25 per cento.
L'utilizzo di tale quarto di risorse (disponibili sul bilancio dell'ateneo perché dovute a cessazioni di un anno prima) è stato poi autorizzato, con delibera del senato accademico e con l'autorizzazione del consiglio di amministrazione. Non si tratta, quindi, un fatto eccezionale, né di un fatto che riguardi solo la chiamata del professor Calzolari, ma semplicemente il rispetto di un impegno assunto un anno prima con le facoltà: completare il turn over, ossia la copertura delle cessazioni avvenute fino al 31 maggio 2006. Tale budget è stato assegnato a tutte le facoltà, non alla sola facoltà di economia...
ENZO RAISI. E vorrei anche vedere!
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Esso era riferito a ciò che proveniva da cessazioni di professori delle medesime facoltà. Solo per ragioni di prudenza contabile il consiglio di amministrazione aveva accantonato tali risorse fino al marzo 2007.
Dopo tali provvedimenti, la situazione di bilancio ha consigliato, peraltro, di rallentare ancora l'avvicendamento, tant'è che le cessazioni avvenute dopo il 31 maggio 2006 sono ancora tutte sub judice, anche se - l'ateneo precisa - sarà indispensabile, nei prossimi mesi, dar corso alla sostituzione di almeno parte del personale cessato, per evitare che si interrompano importanti impegni didattici e scientifici del più antico ateneo italiano.
Quanto alla questione relativa ai fondi ministeriali destinati alla chiamata di professori ordinari per l'anno accademico 2002-2003, che - a detta degli onorevoli interpellanti - anziché essere utilizzati per tale scopo, sono stati utilizzati per le chiamate relative alle annualità 2003-2004, occorre sottolineare che la legge finanziaria per il 2003 aveva previsto il blocco delle assunzioni di personale a tempo indeterminato per il pubblico impiego. Tale divieto si applicava anche alle università, sia al personale tecnico e amministrativo, sia al personale docente e ricercatore. Peraltro, la stessa legge prevedeva che, in deroga al divieto, si potesse procedere ad assunzioni entro determinati limiti di spesa, con priorità per i vincitori di concorsi espletati entro il 29 settembre 2002 e di quelli in corso di svolgimento alla medesima data che si fossero conclusi entro il 31 dicembre 2003. La procedura, per essere valida, doveva essere autorizzata dal Dipartimento della funzione pubblica e dai singoli ministeri. Ed in effetti, con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, fu effettuata la ripartizione fra le pubbliche amministrazioni dei posti e del finanziamento complessivo.
Un successivo provvedimento per il comparto università ripartiva tra le singole sedi universitarie le unità di personale e la spesa complessiva. A tale riguardo, l'università di Bologna cita la nota del 28 novembre 2003, con la quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fornito indicazioni e, in particolare, ha comunicato lo stanziamento assegnato all'ateneo bolognese, al quale chiedeva l'impegno a contenere la spesa rigorosamente entro la somma assegnata e a privilegiare le assunzioni ritenute prioritarie e necessarie al fine di assicurare il funzionamento dell'ateneo, e in particolare quelle dei ricercatori universitari. La nota stabiliva, infine, che le deroghe al blocco delle assunzioni avrebbero dovuto essere utilizzate nel caso di personale docente per le facoltà nelle quali il rapporto tra docenti e studenti era più sfavorevole, anche con riferimento alle medie nazionali.
A seguito di procedure previste dal comma 10 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 luglio 2003, l'ateneo avrebbe dovuto provvedere, entro il termine del 20 dicembre 2003, alla compilazione di apposito modulo con l'indicazione delle richieste di assunzione (come si può notare siamo già alla fine dell'anno 2003). L'ateneo sottolinea che tale provvedimento non era esclusivamente riservato ai professori ordinari. Inoltre, la legge finanziariaPag. 77per l'anno 2003 includeva tra i beneficiari della deroga anche i vincitori di concorsi che si fossero conclusi, come già detto, entro il 31 dicembre 2003. Pertanto, le assunzioni in deroga non si potevano concludere con riferimento all'anno accademico 2002-2003 perché i ritardi nell'applicazione della legge avevano già portato tutti gli atenei italiani, in particolare quello di Bologna, ad espletare le procedure durante l'anno 2003 e nell'anno successivo.
L'ateneo di Bologna ha tenuto conto di tutto ciò nel definire i criteri di ripartizione del fondo assegnato dal Ministero. Infatti, il consiglio di amministrazione, nella seduta del 16 dicembre 2003, si è pronunciato sulle categorie di personale da ricomprendere nel novero delle assunzioni, definendo le percentuali specificamente riferite alle singole categorie: docenti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo, anche se, successivamente, con la legge finanziaria per l'anno 2004, per i ricercatori è intervenuta una norma ad hoc, e quindi non è stato necessario inserirli nell'ambito delle assunzioni in deroga.
Infine, il senato accademico, nella riunione del 17 dicembre 2003, è stato chiamato ad esprimersi in merito ai criteri da utilizzarsi per definire le priorità per l'assunzione in deroga di docenti e ricercatori. Nella stessa seduta, si è deliberato, altresì, che in occasione dell'assegnazione di posti in deroga relativi all'anno 2004, sarebbe stata data precedenza ai docenti non assunti nell'ambito delle assunzioni in deroga 2003, in quanto ormai si era giunti alla fine dell'anno 2003. Questo impegno è stato successivamente ribadito dal Senato accademico ed assolto con la seconda operazione di assunzioni in deroga definita successivamente.
Per quanto concerne il contenzioso che ha fatto seguito a questa operazione, l'università fa presente che quattro docenti della facoltà di scienze statistiche hanno impugnato le delibere del senato accademico presso il TAR Emilia-Romagna, il quale ha giudicato inammissibili i ricorsi con sentenza depositata il 18 ottobre 2004.
L'università, infine, afferma che non si può che consentire col desiderio di poter disporre di norme che meglio tutelino la trasparenza dei meccanismi di reclutamento e la qualità delle assunzioni, ma che occorre tuttavia chiarire che il riferimento esclusivo ai « vertici di ateneo», a proposito del reclutamento, non è corretto, se per vertice si intende il rettore, poiché l'iter attraversa numerose fasi e coinvolge tutti gli organi accademici collegiali: i consigli di facoltà e di dipartimento, il senato accademico, il consiglio di amministrazione.
Dopo aver fatto presente quanto rappresentato dall'università di Bologna sulle specifiche questioni poste dagli onorevoli interpellanti, desidero rispondere in merito alla posizione del Ministero dell'università e della ricerca, come richiesto dagli interpellanti stessi. Faccio presente che il Ministero, in applicazione di quanto disposto dall'articolo 1, comma 647, della legge finanziaria 2007, ha predisposto uno schema di provvedimento con il quale vengono stabilite nuove regole per il reclutamento dei ricercatori universitari. Uno degli obiettivi che si vuole raggiungere con le nuove regole - e si spera di aver raggiunto - è quello di assicurare qualità e credibilità al sistema di reclutamento del personale, attraverso la trasparenza, la linearità e celerità delle procedure, il loro allineamento alle migliori prassi internazionali e la verifica successiva del valore scientifico del personale reclutato. Tali meccanismi potranno poi essere inseriti nell'ambito di un complessivo provvedimento sulla docenza ed essere utilizzati - questo è il nostro impegno - anche per il reclutamento dei professori, in coerenza con l'autonomia e la responsabilità degli atenei, ma con la condizione di severe valutazioni esterne e indipendenti.
A tale riguardo, è da ricordare che l'autonomia garantita agli atenei dall'articolo 33 della Costituzione e riconosciuta dalla legge 9 maggio 1989, n. 168, non rende ipotizzabili iniziative del Ministero che tendano a limitarne i contenuti, tanto più che la responsabilità della gestione degli atenei è suddivisa tra diversi organi,Pag. 78ognuno dei quali competente per uno specifico settore del complesso di procedure previste per l'adozione di attività decisionali.
La diversificazione e la composizione, in molti casi collegiale, di tali organi è idonea a consentire la correttezza e l'efficacia dell'attività degli atenei, ma il Ministero mantiene il potere di vigilanza che esercita regolarmente, come dimostrato da interventi recenti di revoca di provvedimenti rivelatisi viziati da irregolarità sostanziali ben conosciuti dall'opinione pubblica, e in particolare rivolgendo la massima attenzione di indirizzo, soprattutto in occasione delle assegnazioni delle risorse, una parte delle quali potranno essere distribuite in relazione ai risultati raggiunti. In particolare - amo parlare chiaro - la massima attenzione è rivolta ai fenomeni di nepotismo, che, seppur limitati, diffondono grande sfiducia nell'opinione pubblica, ed è compito del Ministero intervenire precisamente e pesantemente quando sono accertati.
Si rende comunque noto che il Ministero ha allo studio un altro disegno di legge sulle forme e procedure di governo degli atenei che, nel pieno rispetto dell'autonomia costituzionalmente garantita, rassicurino il mondo accademico e tutta la società che le deliberazioni assunte dagli atenei rispondano sempre più a criteri di trasparenza e di meritocrazia, anche sulla base di autonomi codici deontologici adottati dalle università stesse.
PRESIDENTE. Il deputato Raisi ha facoltà di replicare.
ENZO RAISI. Signor Presidente, non sono molto soddisfatto. Certamente condivido l'ultima parte della risposta, anche se, a mio parere, basterebbe applicare regole molto semplici, come ad esempio impedire ai familiari di un rettore di essere assunti dalla stessa università. Nella difesa disperata che le hanno inviato da Bologna si sono dimenticati di menzionare la nuora e la cognata: hanno parlato solo del figlio. Vogliamo fare un'altra interpellanza per la nuora e la cognata, che sono state chiamate sempre nello stesso periodo?
Inoltre, si può parlare di un'excusatio non petita, in quanto le hanno fornito una risposta basata sulla prima stesura dell'interpellanza. Infatti hanno menzionato anche il tema dei punteggi della facoltà di economia, assente nella nuova stesura perché la Presidenza lo ha cassato, accogliendo semplicemente il tema dei fondi della chiamata 2002-2003 e 2003-2004. Ciò per sottolineare quanto qualcuno lassù a Bologna forse ha la coda di paglia riguardo al tema in esame, e per tale motivo ha cercato di giustificarli in qualche modo. Non ho mai detto che è stato compiuto un atto illegittimo - l'ho anche ribadito in sede di illustrazione - perché è ovvio che in tal caso mi sarei rivolto alla magistratura, non al Parlamento.
Vi sono certamente forzature in quello che le hanno riferito sul punteggio, perché tali riaperture dei punteggi per la chiamata nelle facoltà solitamente - lo può verificare - vengono effettuate in autunno. Guarda caso, nella vicenda in esame, relativa all'anno accademico 2006-2007, la riapertura è avvenuta in primavera. Si è trattato di una forzatura che ha meravigliato tutti, e se sto parlando di questo episodio è perché molti professori dell'università di Bologna si sono meravigliati della vicenda, non soltanto i deputati Garagnani, Raisi o La Russa.
Dunque, ribadisco che, pur nel rispetto della legge (su questo non c'è ombra di dubbio, ci mancherebbe altro...), sono state sicuramente adottate corsie preferenziali. Non è neppure vero che i ricorrenti hanno subìto una bocciatura del ricorso da parte del TAR, ma solo sulla richiesta di procedura d'urgenza, tra l'altro successivamente ritirata perché gli stessi ricorrenti sono stati richiamati con i fondi dell'università. Anche su questo forse le hanno detto una mezza verità, non le hanno riferito tutto quanto è successo.
Signor sottosegretario, lei ha parlato del figlio, non della nuora né della cognata, o meglio da Bologna le hanno parlato solamente del figlio. D'altra parte so che puntano solamente su quelloPag. 79perché è più facile da difendere, tanto per essere chiari. Non voglio insistere su questi precedenti, però è evidente che vi sono situazioni imbarazzanti. Dunque, occorrono poche regole, ma chiare: se sei rettore, o sei al vertice del senato accademico o tra quelli che contano all'università, non puoi avere parenti stretti all'interno dell'università stessa. Purtroppo si tratta di regole necessarie per garantire la moralità pubblica ed evitare casi come quello in esame in cui, se qualcuno ha sollevato il problema, lo ha sottoposto alla nostra attenzione e siamo qui a discuterne in Parlamento, qualche dubbio esiste. Lei sa che chi è rettore ha in mano le risorse.
Lei sa in che modo, con piena autonomia, il rettore gestisce queste risorse, e nessuno può interferire, se non all'interno della stessa struttura accademica.
Questi sono problemi evidenti, per risolvere i quali, se si vogliono evitare situazioni imbarazzanti come quella in esame, occorrono poche regole semplici, che garantiscano che equivoci come quello che oggi stiamo discutendo non possano verificarsi, perché c'è chiarezza e trasparenza. Altrimenti, nessuno mi toglierà dalla mente l'idea che sia un'anomalia il fatto che tre strettissimi familiari del rettore dell'università di Bologna, durante il suo rettorato, siano divenuti professori dell'università. Credo sia un fatto spiacevole, come è spiacevole quello che è accaduto all'università di Bari e in molte altre università, come potremmo riscontrare se andassimo a fare un check up. Ritengo che il Governo, su questo punto, debba dare un segnale molto forte.
PRESIDENTE. Onorevole Raisi, le devo una precisazione rispetto ai criteri di ammissibilità delle interpellanze, che, come lei sa, sono consolidati in una circolare del Presidente della Camera, da lei richiamata, del 1996...
FABIO GARAGNANI. È assurda!
PRESIDENTE. ...e sono stati sostanzialmente confermati, anche a seguito di una riunione della Giunta per il Regolamento della precedente legislatura. Naturalmente, è sempre possibile modificare tali criteri, ma è necessario che la questione venga posta nelle sedi opportune, in primo luogo nella sede della Giunta per il Regolamento.
ENZO RAISI. Voglio ringraziare gli uffici, perché sono stati impeccabili.
(Iniziative per garantire il diritto alla libertà della ricerca scientifica e alla diffusione dei suoi risultati - n. 2-00572)
PRESIDENTE. Il deputato Colasio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00572 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
ANDREA COLASIO. Signor Presidente, rinvio al testo dell'interpellanza, molto analitico, che intendo in questa sede sviluppare, a fronte della molteplicità di colleghi - circa una cinquantina - che hanno ritenuto opportuno rimarcare un aspetto veramente problematico.
Ringrazio innanzitutto il Governo, il Ministro Mussi e il sottosegretario Modica per aver dato una risposta oltremodo sollecita, considerato che l'interpellanza è stata depositata pochi giorni fa. Ciò denota la consapevolezza del punto di criticità assoluto che stiamo affrontando. Cercherò, nel tempo a mia disposizione, di soffermarmi su alcuni aspetti, sia puntuali, sia di carattere più analitico e generale.
Veniamo ai fatti: nel 2003 il sociologo Renzo Guolo, studioso oltremodo apprezzato di sociologia delle religioni, pubblicava un volume per gli editori Laterza, Xenofobi e xenofili: gli italiani e l'islam. L'11 dicembre 2004 lo stesso Guolo veniva citato per diffamazione e vilipendio della religione da Adel Smith e l'11 aprile 2007 veniva imputato da un pubblico ministero della procura di Bari del reato di diffamazione e vilipendio della religione islamica, per avere offeso la reputazione di Smith, presidente dell'UMI (Unione musulmani italiani), e perché - si dice nel decreto - così facendo offendeva la stessa religione islamica.Pag. 80
Credo sia un caso emblematico. Stiamo affrontando una vicenda le cui implicazioni sono profonde e attengono a sfere concernenti non solo la libertà di pensiero o di ricerca, ma la stessa possibilità che ambiti disciplinari del nostro mondo accademico possano affrontare questioni che attengono al conflitto sociale. È evidente che, qualora si desse conseguenza logica, in via giudiziaria, ai capi di imputazione, si verrebbero a delimitare dei territori franchi rispetto alla ricerca scientifica.
Devo fare una piccola premessa metodologica. È evidente che quando si affronta il problema delle scienze sociali - va anche detto come nel nostro Paese si sconti già un ritardo per via dello storicismo - vi sono scuole di pensiero e metodologie. C'è l'approccio quantitativo e l'approccio qualitativo. Almeno dagli inizi del secolo, nella scuola di Chicago, negli Stati Uniti, c'è un approccio attento alla dimensione qualitativa, cioè alle rappresentazioni degli attori in campo. Thomas e Znaniecki scrissero un libro, intitolato Il contadino polacco, costruito sulle lettere.
Tale metodologia di ricerca, che poi ha avuto altri filoni - come l'etnometodologia o l'interazionismo simbolico -, costruisce delle rappresentazioni del sociale a partire dal vissuto, dal narrato, dalla dimensione simbolico-relazionale degli attori in campo. È una metodologia di ricerca oltremodo foriera di risultati da un punto di vista analitico. A voler essere ancora più chiari, è dall'inizio del secolo che il dibattito sul metodo, la differenza tra spiegazione e comprensione ha posto il problema della particolarità delle scienze sociali rispetto ad un laboratorio che non è un laboratorio asettico, ma la società. Quando quest'ultima viene analizzata, evidentemente ci si confronta con la dimensione linguistica, con la dimensione simbolica, con l'incrocio degli attori. Ciò appartiene al patrimonio consolidato della comunità scientifica: vi sono regole, protocolli, metodologie e tecniche di ricerca condivise dalla comunità stessa. Una cosa è la valutatività, un'altra cosa è l'obiettività.
Il professor Guolo, all'interno di tali discipline di ricerca, rappresenta un esempio rigoroso di obiettività. La comunità scientifica riconosce in Guolo uno studioso oltremodo rigoroso e attento agli attori in campo. Come ha proceduto il professor Guolo? Lo esporrò prima di soffermarmi sui capi di imputazione, e su una loro «ermeneutica», perché il punto che stiamo osservando è veramente drammatico.
Il professor Guolo scrive: «La strategia adottata da Smith per far diventare l'UMI il perno dell'aggregazione islamica è innanzitutto mediatica. Privo di una rappresentatività reale, l'UMI cerca di sfruttare quella virtuale. Nella società dei mezzi di comunicazione di massa Smith, leader senza seguito, si legittima grazie alle sole apparizioni in video». E continua (questo è un passaggio oltremodo importante): «Quanto alle altre organizzazioni «- e questo è un punto significativo della ricerca di Guolo: egli non vuole analizzare il fenomeno religioso, che gli interessa in senso lato, gli interessa semmai l'Islam organizzato -», nel nostro Paese esiste una dimensione ideologica simbolica organizzata dell'Islam». L'obiettivo del volume di Guolo è questo: fare una mappa di quello che definisce il «campo verde»; ricostruisce quindi in modo rigoroso e analitico quelle che egli definisce, e i sociologi chiamano, le «rappresentazioni degli attori in campo». Non affronta solo l'immagine, quindi, la rappresentazione che l'opinione pubblica italiana ha dell'Islam, o meglio dell'Islam organizzato, cioè della religione musulmana mediata dalla veicolazione ideologica di esso, ma - ed è il punto dirimente - anche le modalità concrete con cui, nel conflitto, essa si rappresenta, perché Guolo dimostra che l'Islam politico organizzato, il «campo verde», come lui lo definisce, non è una realtà monolitica ma è attraversata da conflitti e linee di frattura.
È evidente che, per fare ciò, lo studioso ricorre ad una ricostruzione attenta del dibattito tra le varie realtà organizzate, ed è anche evidente - consegue dall'analisi - che ad un certo punto egli ricostruisce ilPag. 81processo del conflitto e il tentativo di ogni singola organizzazione di essere competitiva rispetto all'altra, anche ricorrendo a modalità di delegittimazione del concorrente. Nel far ciò la tecnica prescelta non può essere che quella della narrazione, delle rappresentazioni reciproche in conflitto degli attori.
Voglio essere chiaro: vediamo il capo di imputazione. Quel che risulta anomalo è che egli viene imputato perché - e ciò è riportato nel decreto di citazione diretta -, contrariamente a quanto dichiarato dal predetto Smith, Guolo afferma che egli sarebbe privo di rappresentatività reale, leader senza seguito, leader musulmano del tutto virtuale, boicottato dalla stessa comunità islamica. Inoltre lo farebbe riportandosi al pensiero di altri, ma - qui vi è un punto abbastanza enigmatico - con sostanziale condivisione. Qui nasce il problema, perché a pagina 34 del suo volume Guolo scrive: «Quanto alle altre organizzazioni, Palazzi, leader dell'AMI, che è un'altra associazione islamica, ritiene - sottolineo tale «ritiene» - che l'UMI (che sarebbe l'associazione di Smith) abbia più a che fare con il mondo dell'estrema destra antisemitica che con la comunità islamica, posizione testimoniata dalla lettera aperta - ripeto, dalla lettera aperta - che il segretario dell'AMI scrive a Carlo Pelanda, l'uomo che ha schiaffeggiato Smith, esprimendogli solidarietà per l'aggressione subita da parte di due demenziali pregiudicati come Smith e Zucchi».
Si tratta evidentemente della citazione di dichiarazioni di attori in conflitto, che vengono riportate fra virgolette - il testo lo esplicita - allo scopo di attestare l'esistenza di tale conflitto all'interno dell'Islam organizzato (in altri termini, si riporta quel che Palazzi ritiene dell'UMI).
Ciò detto, quel che è emblematico e problematico - poiché, lo ripeto, ha implicazioni sulla libertà di ricerca scientifica nel nostro Paese - è questa idea della «sostanziale condivisione»: è evidente, infatti, che, per uno studioso attento e rigoroso come Guolo, che applica una metodologia di tipo qualitativo, riportare l'autorappresentazione degli attori in campo costituisce un aspetto della metodologia di ricerca.
Se dunque si dovesse dar seguito a tali imputazioni, si aprirebbe un problema enorme per la libertà di ricerca scientifica nel nostro Paese. Diciamolo con chiarezza: non solo abbiamo delimitato territori assolutamente avulsi dalla possibilità di fare ricerca ma ancor di più, metteremmo in atto quella che un epistemologo definirebbe una «rottura epistemologica», una rupture épistémologique, cioè l'introduzione di un nuovo paradigma. Così facendo, però, diverrebbero territori a rischio l'antropologia culturale o politica, la sociologia di tipo qualitativo, perfino la storia contemporanea: tutte discipline cui sarebbe impedito nel nostro Paese di affrontare temi e questioni di interrogazione ed indagine secondo categorie analitiche condivise dalla comunità scientifica che si occupa di questi ambiti. Credo che sarebbe davvero un colpo gravissimo alla libertà di ricerca e al progresso della scienza nel nostro Paese e oggi più di qualche studioso si sta interrogando sull'opportunità di mettere in campo determinate ricerche con determinate metodologie.
Ma vi è un ulteriore aspetto che lascia perplessi. Credo che - nel rispetto assoluto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, poiché è evidente che stiamo parlando anche di questo - sarebbe però sbagliato non porre alcuni quesiti alla magistratura, con tutte le conseguenze del caso. La scienza giuridica ha un proprio statuto deontologico ed epistemologico: ebbene, la stessa scienza giuridica, in un processo per diffamazione così delicato, deve attenersi a protocolli disciplinari.
Mi spiego meglio. Nel decreto di citazione si legge: «(...) inoltre, riportandosi al pensiero di altri», sempre con questa improbabile «sostanziale condivisione» da parte di Guolo, si attribuisce «all'UMI la volontà di opposizione ad una legge sulla libertà religiosa in realtà mai manifestata». In questo caso, sarebbe stato sufficiente andare a leggere - cosa che ilPag. 82magistrato avrebbe dovuto fare - pagina 35 del testo di Guolo, dove si legge: «La critica di Palazzi» - e dunque non è l'UMI, è l'AMI - «investe anche la Chiesa, accusata per la sua propensione al dialogo interreligioso; da qui la palese contestazione al dialogo da parte dell'UMI». È evidente, insomma, che si tratta di un refuso tipografico: si sta parlando non dell'UMI, ma dell'AMI. Questi, però, mi sembrano dettagli marginali.
Quel che mi sembra assolutamente improbabile è che uno studioso rigoroso come Guolo possa essere accusato - proprio lui, studioso attento ai processi di integrazione e che ha portato un contributo importante alla conoscenza dell'Islam nel nostro Paese, attraverso una ricerca modulata secondo criteri di grande obiettività e rigore - non solo di avere offeso la reputazione di Smith, ma anche, così facendo, di aver offeso la stessa religione islamica. Si inferisce però in questo modo che Smith sia un ministro di culto, il che non è, per il semplice motivo che non vi è alcun atto normativo che riconosce l'imam come ministro di culto: si tratta di una sorta di imam autoproclamatosi. Di conseguenza, davvero non si comprende come sia possibile imputare a Guolo di aver offeso, avendo messo in discussione la rappresentatività politica di Smith, la stessa religione islamica.
Penso che vi siano ambiti molto delicati, dove bisogna muoversi con grande attenzione, rigore e intelligenza. La nostra sensazione è condivisa - voglio dirlo - con i colleghi parlamentari sottoscrittori dell'interpellanza urgente, i quali appartengono ai più disparati gruppi politici: ciò denota che vi è una comune consapevolezza, perché la posta in gioco è oltremodo pericolosa. Il nostro Paese - lo ripeto - è caratterizzato da grande apertura alla ricerca scientifica, da grande libertà, da capacità inclusiva e libertà di accoglienza. È però evidente che questo problema ci pone interrogativi pressanti.
Perciò, vogliamo interpellare al riguardo il Ministro dell'università e della ricerca, che rappresenta colui che deve dare declinazione politica e costituzionale agli articoli 21 e 33 della nostra Costituzione, che da un lato definiscono la libertà di pensiero e dall'altra la libertà di ricerca, anche perché non vi è solo la libertà di ricerca, in quanto è evidente che un giornalista che dovesse riportare, recensire o narrare parte di questo volume, a sua volta incorrerebbe nel rischio di una querela per diffamazione.
PRESIDENTE. Onorevole Colasio, la prego di concludere.
ANDREA COLASIO. Pertanto, vogliamo sapere, signor sottosegretario, se, come e con quali modalità il Ministro intenda intervenire per dare concreta attuazione al diritto costituzionalmente sancito a proposito della libertà di ricerca e della sua diffusione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Luciano Modica, ha facoltà di rispondere.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, desidero premettere che intervengo in qualità di rappresentante del Ministero dell'università e della ricerca e pertanto non sono in grado di dare risposta a quella parte dell'interpellanza urgente dell'onorevole Colasio che peraltro, a titolo esclusivamente personale, condivido pienamente; tuttavia non posso rispondere alla domanda che riguarda la situazione del procedimento giudiziario di cui si parla nell'atto di sindacato ispettivo.
In relazione ai contenuti dell'interpellanza presentata dall'onorevole Colasio ed altri, il Ministero dell'università e della ricerca concorda totalmente con le considerazioni espresse in merito alla necessità che siano attuati, senza limitazione alcuna, i principi costituzionali affermati negli articoli 21 e 33 della Costituzione, che costituiscono il presupposto ineludibile per lo svolgimento dell'attività di ricerca scientifica libera da condizionamenti e per la conseguente diffusione dei risultati conseguiti.Pag. 83
La tutela di tali diritti è garantita dalle norme costituzionali e deve essere impegno comune evitare che vengano posti in essere, sul piano sia politico sia legislativo, provvedimenti che limitino la portata delle disposizioni richiamate.
Per quanto riguarda il caso del professor Guolo, si deve rilevare che è stato iniziato un procedimento penale, come del resto affermato nella medesima interpellanza e ben noto a tutti, che dovrà ormai concludersi secondo le procedure previste. Il Ministro della giustizia interpellato ha infatti confermato, sulla base delle indicazioni ricevute dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Bari, che in data 11 aprile 2007 il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti del professor Guolo, citandolo a giudizio dinanzi al giudice monocratico, il quale ha fissato l'udienza dibattimentale il 10 luglio 2007.
Non si ritiene, pertanto, opportuno entrare oggi nel merito della questione, in quanto al momento non si può che attendere l'esito del processo, che dovrà fare chiarezza e accertare se sia sostenibile l'imputazione del reato di diffamazione e vilipendio della religione islamica nonché di offesa alla reputazione del presidente dell'Unione musulmani italiani e imam Adel Smith, per la quale la procura di Bari ha ravvisato i presupposti.
Il Ministero dell'interno ha comunicato che la figura dell'imam, nella religione musulmana, non è preventivamente ordinata da un'autorità superiore, ma qualunque fedele può svolgere la funzione di guida spirituale.
La tematica della provenienza e della formazione degli imam è al centro di un vivace dibattito in molti Paesi europei, ivi compreso il nostro, tanto da essere stata inserita nell'ambito dei lavori della Consulta per l'Islam italiano, che, come è noto, è un organismo presieduto dal Ministro dell'interno, che svolge funzioni consultive, esprimendo pareri e formulando proposte in ordine a questioni riguardanti l'integrazione della popolazione di cultura e religione islamica in Italia.
Lo stesso Ministro Amato, peraltro, ha sottolineato la necessità di addivenire ad una regolamentazione della materia, mediante un'intesa con la confessione religiosa, ovvero attraverso una specifica normativa che permetta di sottoporre ad una verifica i ministri di culto di qualsiasi religione, auspicando, nel contempo, una rapida approvazione del disegno sulla libertà religiosa, attualmente all'esame di questo ramo del Parlamento.
Ovviamente, la libertà dei ricercatori di esprimere il proprio pensiero deve comunque essere esercitata nel rispetto delle convinzioni altrui, come si ritiene che sia avvenuto nel caso del professor Guolo citato dagli interpellanti, a cui il Ministro ha fatto giungere pubblicamente la sua solidarietà personale.
Solo in questo modo è possibile mantenere alla ricerca scientifica il connotato di libera e rigorosa argomentazione razionale che le compete e assumere iniziative a sua tutela.
Si segnala anche che l'università di Torino ha notato con preoccupazione come la querela in questione rimandi - lo ha fatto anche l'onorevole Colasio - al più generale problema della legittimità o meno di condurre un'attività di libera ricerca su problemi di carattere religioso o socio-religioso.
Il Ministero reputa questa legittimità indubbia ed essa deve realizzarsi in un clima di confronto intellettuale aperto e rispettoso evitando, fin dove possibile, il ricorso a strumenti giudiziari, poco adatti alla natura dell'attività di ricerca.
PRESIDENTE. Il deputato Fouad Allam, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
KHALED FOUAD ALLAM. Signor Presidente, mi ritengo soddisfatto dell'esauriente risposta in una materia che indubbiamente è anche complessa ed inedita dal punto di vista epistemologico.
Mi sembrano particolarmente importanti due aspetti che emergono dal suo ragionamento e dalla sua risposta. Il primo è che mi pare evidente che le ricerche sull'Islam,Pag. 84in Italia e in Europa, si confrontano con dei soggetti non passivi, ma attivi (io stesso sono anche sociologo del mondo musulmano e collaboro con Renzo Guolo sul quotidiano la Repubblica).
Mi pare evidente che tali ricerche si confrontano con linee di tensione e tipologie che, talvolta, sono anche ideologiche che il ricercatore non può fare a meno di considerare nella sua ricostruzione teorica e nella sua riformulazione a livello scientifico, e dunque la narrazione di un discorso sull'Islam contemporaneo in Italia e in Europa prende parte a tali linee di tensione.
Il secondo aspetto, che mi sembra fondamentale e che costituisce un problema estremamente complesso e difficile che deve essere risolto in Italia e in Europa, è la grande questione dell'autorità nell'Islam (chi fa cosa ed in nome di chi).
Dal punto di vista del diritto musulmano appare evidente - e tutti lo sanno oramai - che nell'Islam sunnita il concetto di autorità è inesistente. Storicamente l'autorità si è definita in funzione dei tempi storici utilizzando un concetto del diritto musulmano che si chiama igma (del consenso). Il consenso era o quello globale della comunità o quello dato dai sapienti. Mi sembra evidente che molti utilizzano la categoria di imam quando, in realtà, non lo sono assolutamente.
Su tale situazione credo che il nostro Paese e l'Europa in generale dovrebbero fare un po' di ordine e aiutare molto di più la grande questione, in un certo senso, di un'autonomia dell'Islam in Europa e della nascita di un Islam di tipo europeo consonante, ovviamente, con i principi di libertà di riunione, ma anche di libertà e di ricerca scientifica. Ringrazio il sottosegretario.
(Iniziative per modificare la normativa che prevede il fermo amministrativo dell'autoveicolo e l'accensione di ipoteca in caso di mancato pagamento delle multe relative a violazioni del codice della strada - n. 2-00508)
PRESIDENTE. Il deputato Buontempo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00508 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11).
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, i casi sono diventati ormai noti. A pagare, tuttavia, sono ancora una volta i cittadini, in queste ore e in questi giorni. Vi è stato un accordo tra il comune di Roma e la Gerit (la società di riscossione) per cui l'efficacia dei provvedimenti è stata rinviata a settembre.
È noto che i comuni in genere, ma in particolare quello di Roma, a fronte della richiesta di pagamento di contravvenzioni di anni addietro, hanno proceduto con il fermo dell'automobile o con interventi sui conti correnti bancari o addirittura con l'iscrizione di ipoteche sugli immobili.
I cittadini hanno avuto conoscenza di avere l'immobile ipotecato, spesso a causa di una telefonata di un notaio o di una banca. Le notifiche, infatti, non sono arrivate e sappiamo che con il sistema italiano la notifica, tramite postino, non sempre giunge a destinazione e non sempre il destinatario dell'avviso ne prende conoscenza. Il cittadino, quindi, ha ricevuto una telefonata - perché aveva chiesto un mutuo o stava effettuando un'operazione bancaria - in cui gli viene comunicata l'ipoteca sulla casa. A questo punto, il cittadino impazzisce, non riuscendo a concepire come una pubblica amministrazione possa mettere le sue mani sulla proprietà privata, che dovrebbe essere sacra. Le ipoteche, infatti, dovrebbero essere iscritte con atto volontario posto in essere dal cittadino, non da un ente amministrativo. Ora, l'efficacia dei provvedimenti è stata rinviata a settembre. Intanto i comuni, in particolare quello di Roma, sono letteralmente intasati dalle pratiche. Ci sono file infinite agli sportelli, con persone disperate che chiedono di sapere per quale motivo sia accaduto tutto ciò. Inoltre, in gran parte si tratta di contravvenzioni già pagate dai cittadini. La società di riscossione chiede al cittadino l'onere della prova. Quindi, se il cittadino non ha conservato nel corso degli anni le prove di questi pagamenti, non essendone in possesso, deve pagare.Pag. 85
Ho seguito alcuni casi in cui è stato richiesto il quadruplo o il quintuplo della cifra che il cittadino dovrebbe pagare. Pertanto, un cittadino che deve pagare 3 mila euro di vecchie contravvenzioni, si vede iscritta l'ipoteca per 12 o 15 mila euro. C'è un caso in cui l'amministrazione chiede circa 30 mila euro, di cui una parte relativa ad una sentenza del giudice di pace che aveva stabilito cosa dovesse essere pagato. Il cittadino, dopo aver liquidato quanto dovuto, si trova l'ipoteca sulla casa in cui è ricompresa anche la cifra che, diversamente da quanto avvenuto, doveva essere cancellata a seguito della sentenza del giudice di pace. Se quel cittadino non avesse conservato gli atti della sentenza, avrebbe dovuto pagare nuovamente il triplo, il quadruplo o addirittura il quintuplo di quanto inizialmente dovuto! Ci troviamo, quindi, innanzi ad una grave colpa dei comuni, che non hanno aggiornato la situazione.
In un'altra occasione, per un ritardo di dieci giorni nel pagamento di quanto dovuto in seguito alla presentazione del modello 730, a causa della non corrispondenza tra la cifra dovuta e l'interesse di mora, la società riscossione ha chiesto di pagare nuovamente l'intera cifra, ritenendola non liquidata. Anche in questo caso, il cittadino, solo dopo essere andato dal commercialista, aver ritrovato la documentazione e aver fatto la fila, può dimostrare che quanto richiesto non era dovuto. Ciò che ho appena illustrato era il secondo esempio.
Terzo argomento: le contravvenzioni. Anche in questo caso, se non vi è la contestazione, perché non è stata fatta o magari perché non è stato ricevuto l'avviso, le somme vengono iscritte nella cartella e il cittadino deve andare all'ufficio contravvenzioni, trovare una persona disponibile, rifare una verifica perché se si rivolge all'esattoria quest'ultima risponde che agisce sulla base della richiesta ricevuta da un determinato comune di riscuotere una certa cifra. Al cittadino, dopo che è andato all'esattoria, ha controllato le somme da pagare, ha trovato le quietanze di pagamento, e ha fatto la fila agli sportelli, è arrivato alla fine di questa trafila, per la contravvenzione che può dimostrare di aver pagato - e perfino se può dimostrare di averla pagata interamente - resta l'onere della cancellazione dell'ipoteca. Quindi, non solo subisce il primo danno, ma deve spendere soldi, mentre l'ente o il comune che ha sbagliato, ha mandato una cartella errata, ha richiesto somme non dovute, non paga assolutamente nulla, né risarcisce il cittadino del danno che ha subito!
Inoltre, con riferimento ad un'altra categoria di contravvenzioni, quando il cittadino riesce a dimostrare di non essere tenuto ad alcun pagamento, l'ente preposto alla riscossione gli risponde che non può fare niente perché, se non ha ricevuto la notifica, la somma relativa viene comunque iscritta dall'esattoria come somma da pagare; quindi, anche se questi dimostra che non doveva pagare la contravvenzione, se non ha ricevuto la notifica, non può intervenire nella cancellazione dell'ipoteca, con la conseguenza che dovrà aspettare chissà quando e cosa. Vi è una norma in base alla quale entro cinque anni la contravvenzione decade, ma non viene applicata dalle società di riscossione perché evidentemente i comuni non hanno dato disposizioni in tal senso.
Concludo osservando che l'efficacia dei provvedimenti è stata rinviata al 30 settembre, e chiedo al Governo che intervenga affinché la normativa non venga più interpretata in maniera così estensiva, e per far sì che la cancellazione dell'ipoteca non costi nulla al cittadino e non si chiedano interessi di mora da usura, perché esigere tre, quattro o cinque volte il valore del debito è da usurai.
Tutto questo è dimostrabile e documentabile, vi sono anche siti (ad esempio, quello del Telefono blu), ai quali si rivolgono migliaia di cittadini che, disperati, fanno presente tali disagi e, inoltre, arrivati al 30 settembre, gli immobili ipotecati vengono messi all'asta; ritengo che ciò non sia assolutamente possibile!
Quella da me sollevata non è una questione che interessa solo i comuni - perciò ringrazio la Presidenza per averPag. 86calendarizzato questa interpellanza -, ma riguarda l'applicazione e l'interpretazione di una legge dello Stato, la tutela della proprietà privata e anche il rispetto per il cittadino che non può ritrovarsi solo, disperato, incompreso e costretto sempre e comunque a pagare. Chiedo al Governo quando il cittadino che ha pagato ciò che non era dovuto riceverà indietro le somme? Perché quando una famiglia si trova la casa ipotecata, non può fare alcuna operazione bancaria, non può contrarre mutui né può vendere la sua abitazione; se può, paga per disperazione.
Chi non è in grado di pagare è una persona che si ritrova uno Stato nemico e un'amministrazione nemica, pur pagando le tasse così come la legge prescrive.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Antonangelo Casula, ha facoltà di rispondere.
ANTONANGELO CASULA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli deputati, con l'interpellanza in esame gli onorevoli interpellanti lamentano l'onerosità delle procedure poste in essere dall'amministrazione comunale per la riscossione coattiva delle contravvenzioni risultanti non pagate o per le quali non sarebbero stati registrati gli avvenuti pagamenti, e chiedono di conoscere quali provvedimenti si intendano assumere per eliminare i disagi subiti dai cittadini in tale situazione. A tal riguardo l'Agenzia delle entrate ha preliminarmente rilevato che quanto segnalato dagli interpellanti concerne unicamente i ruoli emessi dai comuni per infrazioni del codice della strada. Di conseguenza, l'eventuale sgravio totale o parziale delle somme iscritte al ruolo, nonché la concessione di eventuali dilazioni di pagamento su istanza del debitore, sono potestà di esclusiva competenza del relativo ente creditore.
Ciò premesso, si fa presente che l'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973 n. 602, contenente disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, prevede che gli agenti della riscossione, decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, possano iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore moroso per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede.
Pertanto, laddove sussistano i richiamati presupposti e siano rispettati i limiti previsti dalla legge, l'agente della riscossione è legittimato ad adottare tale misura cautelare nell'interesse dell'ente che ha formato il ruolo in mancanza di eventuali provvedimenti di sgravio o di dilazione di pagamento emessi dal competente ente creditore. A tal proposito il Ministero dell'interno ha precisato che, nel caso di un illecito amministrativo previsto dal codice della strada il verbale di contestazione, notificato ai soggetti coinvolti (il trasgressore e, se persona diversa, il proprietario del veicolo), e non pagato e impugnato nei termini, diviene il titolo esecutivo per l'iscrizione al ruolo.
Tutti i passaggi della procedura che riguardano i rapporti con il cittadino sono svolti facendo, in genere, ricorso al servizio di notificazione degli atti amministrativi, mediante il sistema postale, secondo le regole fissate dalla legge n. 890 del 20 novembre 1982, concernente le notificazioni e le comunicazioni di atti a mezzo posta e connesse con la notificazione di atti giudiziari. L'atto si dà per notificato anche per compiuta giacenza del plico presso l'ufficio postale e, nei casi di assenza del destinatario, al domicilio indicato nei pubblici registri. È possibile, quindi, che solo in tempi successivi il cittadino venga a conoscenza, effettivamente, di un procedimento esecutivo a suo carico, generalmente in occasione della notifica o dell'avviso di fermo amministrativo del veicolo. Dalla notifica dell'avviso, il cittadino può far comunque valere le proprie ragioni innanzi all'esattore in caso di errore materiale nell'individuazione del debitore o per errori materiali nella cartella esattoriale, e innanzi al giudice di pace per vizi del procedimento amministrativo di notifica dell'atto amministrativo che ha dato origine all'iscrizione al ruolo.Pag. 87
Riguardo la possibilità che gli organi di polizia stradale diano corso alle procedure per l'iscrizione al ruolo del verbale di accertamento di violazione del codice della strada, non tenendo conto delle sentenze di accoglimento del ricorso del cittadino, il Ministero dell'interno sottolinea come non esista alcun obbligo giuridico, né in capo al ricorrente, né in capo alla cancelleria del giudice di pace, di comunicare l'avvio e l'esito del procedimento giurisdizionale avverso un verbale di contestazione. L'ufficio di polizia, non avendo notizie del ricorso, procede alla trasmissione del verbale al prefetto per l'iscrizione al ruolo da parte di quest'ultimo, trascorso il termine utile per presentare ricorso e per effettuare il pagamento in misura ridotta.
PRESIDENTE. Il deputato Buontempo ha facoltà di replicare.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, sono stupefatto, non soddisfatto. Sono stupefatto e la pazienza ha dei limiti anche per la ricostruzione fredda delle procedure.
Non ho chiesto al Governo quali siano le procedure previste dalla legge (e ho con me tutte le norme che disciplinano la materia). Ho posto un'altra domanda al Governo, che non ha risposto: come tutelare, cioè, il cittadino che, pur ricevendo richieste di pagamenti non dovuti, si deve solo fare carico di ottenere un diritto che gli costa altri soldi, mentre l'ente non rimborsa.
A me sembra che la risposta fornita dal sottosegretario - se lei, Presidente, ne prende copia - sembra sia stata scritta non da funzionari dello Stato, ma da gestori delle società di riscossione! Anche lei, sottosegretario, se la legge più attentamente, si rende conto che è stata scritta dagli enti preposti alle riscossioni. Ho chiesto anche se il Governo, considerato che si tratta di contravvenzioni risalenti ad oltre cinque anni, e la cui documentazione di avvenuto pagamento pertanto non dovrebbe essere richiesta, non intenda intervenire presso i comuni affinché questi ultimi concedano la rateizzazione. Non si possono chiedere al cittadino 10, 20, 30 mila euro, da pagare tutti insieme. Ho chiesto come si possa effettuare una più attenta notifica, perché, almeno, quando si ha il pignoramento, vi sia la certezza della notifica.
Il fatto che un esponente del Governo mi venga a dire come si consegna una raccomandata, - Santo Iddio! -, mi sembra un'esagerazione: lei ha detto questo, signor sottosegretario! Contestavo, tra l'altro, anche che questo sia un sistema efficiente a tutela dei diritti del consumatore e del cittadino, perché, quando la raccomandata arriva, la persona può non essere a casa, la casa può non essere quella abitata costantemente, ed altro, ma poiché si tratta del pignoramento della casa...
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. È una legge vostra!
TEODORO BUONTEMPO. Lei afferma che è una nostra legge! Nostra o vostra, sarà di chi sarà: modificatela, fatela finita con questo ping pong! Se siete bravi o più bravi, modificate le leggi che sono sbagliate, ma oltre alla legge vi è un problema di estensione della legge stessa, che non è di oggi e per anni non è stata applicata. Ora la si applica improvvisamente, lasciando il cittadino in balìa degli enti di riscossione.
In precedenza citavo alcune lettere di cittadini: «Ho ricevuto una cartella di pagamento»; «Io ritengo di aver pagato tutto. Cosa devo fare?»; «Non ho ben capito di cosa si tratta. A chi devo chiedere informazioni?»; «Ho ricevuto una cartella di pagamento per imposte che, a mio avviso, non devo pagare. A chi mi devo rivolgere?»; «Ho telefonato all'esattoria per conoscere quali tariffe mi sono state applicate per la tassa sui rifiuti, ma mi hanno risposto di rivolgermi all'ente impositore. Che significa?» Ed altro. Questi sono i problemi dei cittadini!
La legge, nella sua sostanza, stabilisce che chi deve pagare una contravvenzione la deve pagare! Il cittadino non si deve sottrarre al pagamento di cifre dovute allaPag. 88pubblica amministrazione e quindi la legge dice che il cittadino non si deve sottrarre, ma deve pagare! Adesso, colleghi, e mi rivolgo anche alla signora che parla a sproposito, sono arrivate cartelle non dovute a migliaia di persone! A Roma credo che circa 100 mila persone abbiano ricevuto tali cartelle e la notifica che se non pagano entro 20 giorni subiranno un pignoramento. Migliaia di altre famiglie, però, non hanno ricevuto la notifica.
Ho citato dei casi: su 30 mila euro richiesti non ne era dovuto neanche uno. E non è una cosa che dice il cittadino. Il cittadino, dopo essere andato all'esattoria, all'ufficio contravvenzioni, al comune di Roma, dal suo commercialista, ha riscontrato che non deve nulla ed infatti, non dovrà pagare nulla.
Questo signore, però, adesso si deve sobbarcare l'onere della spesa per cancellare l'ipoteca, a cui va aggiunto il danno personale ricevuto, perché una persona che si fa ipotecare la casa riceve un danno dal punto di vista dell'immagine sociale.
Il Governo non ha risposto a nessuno di tali quesiti. Si è limitato a ripetere in maniera impacciata quali sono le procedure applicate dall'amministrazione e dalle società di riscossione, che - caro sottosegretario, la invito a fare un'indagine - «ci provano» e giocano sulla ignoranza e sulla debolezza sociale dei cittadini.
Quando l'avviso di pagamento giunge all'uomo di settant'anni, persona integerrima per tutta la vita, che non ha avvocato, commercialista o l'amico che può andare negli uffici, questi sarà disperato, perché per la prima volta si sente quasi come un malfattore. E poi, se ha la pazienza di andare a fare la fila, scopre che quanto richiesto non era dovuto. Ma ci poteva rimettere la pelle! Una persona che sente che deve pagare 5, 10, 20 mila euro e che la casa gli è stata ipotecata, ci può rimettere la pelle nel momento in cui lo viene a sapere.
In questa fase, quindi, io chiedo che il Governo studi, incontri, istituisca un tavolo, una commissione, perché si tratta di migliaia e migliaia di cittadini e non di un caso isolato. Il Governo potrà così anche valutare se siano necessarie modifiche di legge, se la legge non chiara possa essere interpretata malamente ed occorra, quindi, una normativa più chiara.
Allora, mi dica lei se abbiamo fatto un passo in avanti. Io ho posto un problema che ha portato il Codacons a presentare un ricorso accolto dal TAR del Lazio.
Il comune di Roma, quando ha visto che ormai la situazione era insopportabile, ha verificato che le società di riscossione - si informi presso il sindaco di Roma - hanno preteso i pagamenti senza fare un riscontro con gli uffici di contravvenzione. Se, infatti, avessero fatto il confronto, avrebbero scoperto che quelle contravvenzioni erano state già pagate.
Ma le società di riscossione se ne fregano, perché «ci provano» per incassare più del dovuto. Questa è la verità! Io ho chiesto al Governo di fare una verifica presso l'ufficio contravvenzioni del comune, in particolare del comune di Roma, per conoscere l'ammontare delle cifre che il comune stesso ha riscontrato come non dovute. Non il cittadino, ma il comune!
Allora, una volta che l'ente locale ha riscontrato che le società di riscossione hanno chiesto ai cittadini milioni di euro non dovuti, cosa si intende fare per punire i responsabili o per evitare che ciò possa ripetersi ancora? Queste società la fanno da padrone e si ritengono al di sopra del cittadino!
Quindi, non solo non sono soddisfatto della risposta, ma presenterò un altro atto di sindacato ispettivo, con casi anche dettagliati, e cercherò di ottenere dati che il Governo avrebbe dovuto fornirmi: quante sono le cartelle che le amministrazioni hanno dovuto ritirare, qual è l'entità delle cifre richieste che non erano dovute...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TEODORO BUONTEMPO. Io mi auguro che il Governo, un qualunque Governo, non venga in aula a ripetere quanto scritto da altri, ma venga a dare le risposte.
Gli atti di sindacato ispettivo devono essere letti. Nella mia interpellanza, ciPag. 89sono dieci quesiti. Il Governo, quando viene in aula, dovrebbe appuntarli e dare una risposta esaustiva. Non è sufficiente che venga qui con un pezzo di carta, scritto magari dalle persone colpevoli e interessate, ripetendo qualcosa che non è una risposta, che offende la dignità della politica e del Parlamento.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Leone n. 2-00570)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Leone n. 2-00570 è rinviato ad altra seduta.
(Correttezza delle procedure e rispetto dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza nell'ambito della riscossione dei tributi - n. 2-00574)
PRESIDENTE. La deputata Rossi Gasparrini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00574 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 12).
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, intervengo anche per ricordare che il dramma delle «ganasce fiscali» - di cui abbiamo sentito parlare il collega anche poco fa - risale purtroppo a un decreto-legge introdotto il 30 settembre 2005, convertito nella legge n. 248 del 2005 dal precedente Governo a guida Silvio Berlusconi.
Ho presentato a nome mio e del gruppo Popolari-Udeur la presente interpellanza urgente perché il tema che intendo affrontare risulta essere non solo di grande attualità, ma di estrema importanza. Infatti, prima della presente interpellanza, avevo già presentato, sulle cosiddette «ganasce fiscali», sia una mozione sia un'interrogazione a risposta scritta. Purtroppo non ho avuto ancora risposta. Tuttavia torno sull'argomento perché lo reputo drammatico.
Sebbene le misure, note con il termine di «ganasce fiscali», siano nate con lo scopo di combattere il fenomeno dell'evasione fiscale - che nel nostro Paese ha raggiunto, negli anni, livelli insopportabili, con conseguenze gravissime - è purtroppo anche vero che tali provvedimenti siano stati, nella forma e nella sostanza, spropositati e irragionevoli.
Le cosiddette ganasce fiscali, voglio ricordare, consistono in procedure che possono andare dal fermo amministrativo delle auto alle ipoteche sugli immobili - compresa la prima ed unica casa di abitazione - al pignoramento dello stipendio, fino a quello del conto corrente bancario, nei casi in cui si vogliano recuperare imposte.
Infatti, a seguito del decreto-legge n. 203 del 30 settembre 2005, convertito nella legge n. 248 del 2005, è stata data la possibilità alle aziende concessionarie della riscossione dei tributi di utilizzare questi pesanti strumenti, al fine di perseguire l'intento di combattere l'evasione fiscale, ma utilizzando purtroppo strumenti su cui si possono avanzare dubbi di legittimità costituzionale, in quanto sono espropriativi.
Il meccanismo delle «ganasce fiscali» ha in realtà, fino ad ora, colpito situazioni dove il mancato pagamento del contribuente riguarda cifre di scarsa entità, in alcuni casi poche centinaia di euro e - ancor peggio - in molti casi non si è neppure trattato di irregolarità del contribuente, ma di errori commessi dagli stessi concessionari della riscossione.
Non stiamo parlando di un fenomeno marginale ma, volendo dare delle cifre, nel primo trimestre del 2007 il numero dei fermi amministrativi è aumentato, le ganasce sono scattate 543 mila volte, più del doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel Lazio sono scattate 100 mila ganasce nei primi tre mesi del 2007, in Lombardia 82 mila, in Campania 76 mila; in Sardegna, da 137 fermi nel periodo gennaio-marzo 2006, quest'anno si arriva a 26.252.
Inoltre, nello stesso periodo del 2007 sono scattate 80 mila iscrizioni ipotecarie,Pag. 9018 mila pignoramenti di beni mobili, 2 mila pignoramenti immobiliari. Lo stesso Ministro per la solidarietà sociale, in un'intervista del 28 aprile del 2007, alla testata Epolis di Milano ha dichiarato: «questa legge va di sicuro rivista». Le parole del Ministro Ferrero ci fanno ben sperare anche perché dobbiamo ricordarci che si tratta spesso di somme irrisorie con gravissime conseguenze per le famiglie soprattutto quelle più deboli. La palese sproporzione tra le misure adottate e le presunte violazioni di alcuni cittadini deve indurci a riflettere sul fatto che un Governo e una maggioranza - la nostra - non possono lavorare contro il popolo.
La situazione sta diventando sempre più drammatica anche per il costante aumento del costo dell'euro. Proprio ieri la BCE ha aumentato di 0,25 per cento i tassi ed è l'ottava volta che avviene. Questo aumento si rifletterà indubbiamente sui mutui a tasso variabile e sulle situazioni debitorie che molti cittadini si sono trovati costretti a sottoscrive con banche e finanziarie.
Noi Popolari-Udeur reputiamo che serva un urgente intervento. Chiediamo quali iniziative urgenti il Ministro interpellato intenda assumere, alla luce di quanto brevemente descritto nella presente interpellanza, al fine di impedire il perpetuarsi di una tale insostenibile situazione. Noi auspicheremmo che le «ganasce fiscali» introdotte dal Governo a guida Silvio Berlusconi siano cancellate.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Antonangelo Casula, ha facoltà di rispondere.
ANTONANGELO CASULA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, gli onorevoli interpellanti chiedono che venga accertata la correttezza delle procedure utilizzate per la riscossione dei tributi ed il rispetto, da parte del concessionario della riscossione, «dei principi di proporzionalità e ragionevolezza» nell'utilizzo degli strumenti per il recupero dei crediti nei confronti di contribuenti.
Tale problematica ha già formato oggetto di approfondito esame nel corso dello svolgimento di diversi atti di sindacato ispettivo presso entrambe le Aule parlamentari (n. 3-00020 dei senatori Eufemi e Poli, e n. 5-00717 dell'onorevole Fugatti).
Al riguardo, il Dipartimento per le politiche fiscali, nel riferire sullo stato di attuazione del regolamento di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ha rappresentato che si sta valutando la possibilità di introdurre, nello schema di regolamento, in difformità alla disciplina dettata dal regolamento di cui al decreto 7 settembre 1998, n. 503, una disposizione con la quale, per importi relativamente esigui, l'agente della riscossione, dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 50, comma 1, del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 (sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento), non proceda subito all'iscrizione del fermo nei confronti del debitore o dei coobbligati, ma lo informa che gli è concesso un ulteriore termine di venti giorni, alla scadenza del quale procederà all'iscrizione del fermo, indicandone anche i beni su cui intende agire. Si è, infatti, ritenuto che per importi non rilevanti, i contribuenti morosi, sollecitati con l'invito al pagamento, potrebbero adempiere spontaneamente evitando l'iscrizione del fermo.
Relativamente alle attività poste in essere dagli agenti della riscossione, la Equitalia Spa, società che gestisce il sistema di riscossione delle entrate pubbliche, ha fatto presente che, per l'iscrizione di ipoteche di fermo di beni mobili registrati, agenti della riscossione agiscono in conformità alle norme di leggi in materia, attenendosi alle disposizioni di cui agli articoli n. 77 e n. 86 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973.
A tal proposito, per l'applicazione dei citati istituti, non sono previsti per legge limiti minimi del credito per cui si procede. Peraltro sia il fermo sia l'ipoteca, pur nella loro incisività, sono strumenti cautelari che, in quanto tali, risultano perPag. 91il debitore meno invasivi rispetto alle procedure esecutive che, prima, privano lo stesso debitore della possibilità di disporre giuridicamente o materialmente dei beni pignorati e, successivamente, determinano la vendita all'asta di tali beni.
Gli agenti della riscossione, inoltre, sono tenuti a riscuotere i ruoli loro affidati dagli enti creditori senza poter in alcun modo valutare la legittimità della pretesa iscritta a ruolo e, anche in presenza di importi non rilevanti, non è loro consentito procedere autonomamente alla rinuncia all'azione di recupero del credito. Infatti, l'eventuale sospensione dell'attività di riscossione da parte degli agenti della riscossione può derivare unicamente da un esplicito provvedimento dell'ente creditore, provvedimento cui naturalmente gli stessi agenti indicati possono dare esecuzione soltanto a partire dal momento della ricezione.
Tutto ciò premesso, la Equitalia Spa avendo verificato l'esistenza di alcune disomogeneità nell'operato delle ex aziende concessionarie in merito ai limiti minimi d'importo per dare corso a fermi ed ipoteche e al fine di favorire un clima di maggiore serenità nel rapporto con i contribuenti, a breve provvederà, comunque, ad impartire direttive al riguardo affinché le società partecipate evitino di ricorrere immediatamente a procedure aggressive per il recupero di crediti estremamente ridotti.
PRESIDENTE. La deputata Rossi Gasparrini ha facoltà di replicare.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, dichiaro che globalmente non sono soddisfatta, nel senso che ci fa piacere sapere che ci saranno o ci sono direttive che tendono ad alleggerire la situazione, tuttavia inizierei chiedendo al Governo di cambiare il nome di Equitalia, poiché ritengo che questa società - forse non per colpa della stessa ma della legge che l'ha istituita - dovrebbe dotarsi di un nome decisamente peggiore.
Non intendo contestare l'azione degli agenti di riscossione ma il fatto che un Governo di centrosinistra, dinanzi ad una norma prodotta da un Governo di centrodestra così illiberale - come qualcuno usa spesso dire -, non sia velocemente intervenuto per modificare la stessa con un decreto. Quindi l'insoddisfazione nasce dal non aver colto, da parte dei rappresentanti del Governo, una valutazione politica su una condizione che mette i cittadini italiani in difficoltà.
Voglio ricordare che quando è stato introdotto l'euro vi è stato un incontrollato aumento dei prezzi e, nonostante tante persone avessero dichiarato chiaramente che si stava verificando un assalto alle tasche dei cittadini, nessuno fece niente, ma anzi la gente fu spinta ad indebitarsi con le finanziarie, e adesso mi domando come faranno a difendersi le famiglie il cui reddito non è aumentato, e sulle quali invece pesano i costi dei debiti, sempre più alti.
Per questo l'insoddisfazione è politica, e come rappresentante dei Popolari-Udeur chiedo che il Governo denunci la gravità di alcune norme precedentemente introdotte - in particolare nell'anno 2005 - e dichiari che, a breve, le stesse norme verranno modificate perché sono convinta che un Governo di centrosinistra, prima di tutto, debba amare il proprio Paese.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Burgio n. 2-00579)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Burgio n. 2-00579 è rinviato ad altra seduta.
(Mancata attuazione del protocollo di intesa del 2004 per la dismissione dal demanio militare a quello statale di alcuni aeroporti italiani - n. 2-00423)
PRESIDENTE. Il deputato Carbonella ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00423 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 13).
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GIOVANNI CARBONELLA. Signor Presidente, nonostante le vicissitudini che hanno caratterizzato l'iter abbastanza tortuoso e tormentato della presente interpellanza, dovute a fattori temporali, essa a mio avviso conserva gran parte delle ragioni che mi hanno indotto a rivolgermi al Governo, e che mi accingo ad esplicitare.
Con protocollo di intesa sottoscritto dal Ministero della difesa, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell'economia e delle finanze, nel 2004 si era convenuto di trasferire al demanio dello Stato una serie di strutture aeroportuali, ad uso promiscuo, militare e civile, attualmente ricomprese nel demanio militare. La decisione rispondeva ad una pluralità di esigenze, e segnatamente a quelle evidenziate dall'amministrazione della difesa, essendo venuto meno l'interesse ad un utilizzo di tali aeroporti quali sedi permanenti di reparti di volo militari. Gli aeroporti interessati dalla dismissione sono quelli di Brindisi, Roma Ciampino, Ancona Falconara, Napoli Capodichino, Brescia, Verona, Cagliari, Catania, Rimini, Palermo, Udine, Capua, Treviso, Vicenza (non cito Comiso, perché di recente mi risulta essere stato smilitarizzato).
La trasformazione dello status degli aeroporti dovrebbe essere attuata, secondo il protocollo del 2004, con l'emanazione di un apposito decreto interministeriale. Nelle more delle procedure di attuazione del protocollo è peraltro intervenuta una modifica del codice della navigazione, introdotta con il decreto legislativo 15 marzo 2006, n. 151, che, in particolare, ha novellato gli articoli 692 e 693, introducendo il concetto della strumentalità dei beni ai fini della loro attribuzione al demanio statale. Quindi, secondo l'articolo 692, comma 1, fa parte del demanio aeronautico civile ogni costruzione o impianto appartenente allo Stato, strumentalmente destinato alla navigazione aerea. Per quanto riguarda i beni del demanio militare aeronautico, l'articolo 693, comma 3, del codice, come modificato dal decreto legislativo n. 151 del 2006, prevede che tali beni, quando non siano più funzionali ai fini militari e siano da destinare all'aviazione civile, in quanto strumentali all'attività di trasporto aereo, sono individuati con provvedimento del Ministero della difesa, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e trasferiti al demanio aeronautico civile per l'assegnazione in uso gratuito all'ENAC ed il successivo affidamento in concessione. Il Ministero della difesa può disporre, compatibilmente con le esigenze istituzionali, la concessione temporanea di parti di suolo o di infrastrutture di aeroporti militari per destinazioni comunque afferenti ad attività aeronautiche.
Nel corso del procedimento di dismissione degli aeroporti militari sopracitati è intervenuta l'Agenzia del demanio, che ha fornito un'interpretazione restrittiva del concetto di strumentalità introdotto dal nuovo articolo 692 del codice della navigazione. Secondo tale interpretazione, che fa rinvio ad un parere del Consiglio di Stato (n. 542 del 2002), sarebbero esclusi dal novero dei beni trasferibili all'ENAC, in quanto ritenuti non strumentali all'attività di traffico aereo, le aree di parcheggio, gli spazi per il noleggio delle auto, gli alberghi per l'alloggio dei passeggeri. Tali beni dovrebbero essere pertanto attribuiti all'Agenzia del demanio. La tesi dell'Agenzia, peraltro non in linea con precedenti pronunce del Consiglio di Stato, ha introdotto un aspetto problematico nel quadro della possibile conversione ad uso civile degli aeroporti militari, poiché l'esclusione delle aree predette da quelle direttamente attribuibili all'attività di navigazione pone a carico del gestore aeroportuale un'oggettiva difficoltà circa il pieno adempimento del servizio pubblico che esso deve prestare in favore dei passeggeri.
Tale interpretazione ha introdotto, quindi, un ulteriore elemento di difficoltà, che ritarda notevolmente l'attuazione del protocollo sopra richiamato e le cui conseguenze si ripercuotono sull'operatività di taluni aeroporti. In particolare, è il caso dell'aeroporto di Brindisi, che risulta fortemente penalizzato, rispetto ad altri aeroporti, anche in relazione ai lavori chePag. 93interesseranno per alcuni mesi la struttura, determinando la chiusura di una delle due piste.
Nei due mesi scorsi, infatti, la pista principale (1432) è stata chiusa per lavori che riguardavano l'impianto di illuminazione; si prevede, inoltre, che essa, a partire dall'inverno prossimo, a causa di interventi strutturali assolutamente necessari, dovrebbe risultare non operativa per l'intero 2008, rendendo così necessario l'utilizzo dell'altra pista (0523), che presenta pure limiti molto elevati. Tenuto conto del quadro suesposto, sarebbe necessario provvedere ad interventi urgenti anche sulla pista 0523 per superare i limiti operativi. In assenza di tali interventi si corre il rischio di dover dirottare i voli su altri aeroporti.
Chiedo quindi se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda assumere, al fine di sbloccare la situazione di stallo che si è determinata e al fine di dare effettiva attuazione alle dismissioni previste dal protocollo del 2004. Chiedo, inoltre, se ritenga opportuno intervenire per accelerare i lavori sulle due piste dell'aeroporto di Brindisi, al fine di evitare gravi disagi all'intero Salento nell'improponibile ipotesi di dover dirottare i voli su altri aeroporti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata, ha facoltà di rispondere.
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, occorre innanzitutto precisare che a seguito delle modifiche introdotte con il decreto legislativo n. 151 del 2006 in ordine all'assegnazione dei beni del demanio aeronautico, l'articolo 693 del codice della navigazione, tra l'altro, prevede che i beni del demanio militare aeronautico da destinare all'aviazione civile sono individuati con un provvedimento del Ministero della difesa e trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la successiva assegnazione in uso gratuito all'ENAC. Ciò significa che il protocollo d'Intesa, sottoscritto in data 14 ottobre 2004 dai ministri pro tempore della difesa, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, cui si fa riferimento nell'interpellanza, risulta superato.
Al fine di dare concreta attuazione all'articolo 693 del codice della navigazione, è stato costituito presso il Ministero della difesa apposito gruppo di lavoro di vertice, che sta lavorando sulla base delle priorità operative, ritenendo, altresì, necessario organizzare una serie di tavoli tecnici per l'esame e l'elaborazione della documentazione necessaria per la predisposizione del relativo decreto interministeriale di cambio di status giuridico.
L'aeroporto di Brindisi è stato inserito nel gruppo dei sei aeroporti cui è stata assegnata maggiore priorità. La positiva conclusione dell'iter di emanazione dei decreti sarà la base per le necessarie garanzie sul percorso seguito, fornendo la giusta traccia per i successivi trasferimenti e quindi sul cambio di status per l'aeroporto di Brindisi.
Per quanto riguarda gli aspetti infrastrutturali dello scalo brindisino, dal monitoraggio dei lavori, inclusi nel PON 2000-2006, che peraltro rientra nelle competenze dell'ENAC, risulta che sono in corso sulle infrastrutture di volo complessi interventi che riguardano sia le parti strutturali delle due piste sia gli impianti di volo su esse insistenti. Tali interventi si sono resi necessari per adeguare pienamente le infrastrutture di volo ai requisiti nazionali stabiliti nel regolamento ENAC, che ha recepito ai più alti livelli gli standard pubblicati dall'ICAO, al fine di garantire ai più elevati livelli di sicurezza gli aeroporti nazionali.
La complessità degli interventi che comporta il rifacimento degli impianti AVL e relativi cavidotti, il rifacimento delle banchine di pista, la sistemazione delle fasce di sicurezza e delle aree di sicurezza di fine pista, la rete di drenaggio delle acque, le soglie pista ed altri interventi a corredo, è stata oggetto di attenta pianificazione, allo scopo di ridurre al minimo i disagi per l'utenza dell'aeroporto e per il territorio. In tal senso, considerataPag. 94la chiusura della pista secondaria (denominata 0523), è stato privilegiato l'uso della pista principale (denominata 1432) dal 15 maggio al 15 settembre. Qualora i lavori dovessero essere completati in anticipo, la pista secondaria potrebbe essere riaperta anche prima di tale scadenza. A tale riguardo, infine, l'ENAC ha fornito ampie rassicurazioni sull'impegno di rispettare il periodo minimo di interruzione ed eventualmente ridurne la durata.
PRESIDENTE. Il deputato Carbonella ha facoltà di replicare.
GIOVANNI CARBONELLA. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto e sottolineo che il lavoro e l'attività posti in essere dai vari ministeri, su cui il sottosegretario ci ha informato, preludono ad un risultato non solo positivo, ma, spero, anche immediato. Abbiamo infatti lamentato i ritardi rinvenienti da un protocollo datato 2004, siamo nel 2007! Il nostro interesse è tutelare una popolazione, come quella del Salento, di due milioni di abitanti, per i quali una struttura aeroportuale come quella di Brindisi è fondamentale per attività economiche e di sviluppo.
Da ciò deriva la necessità di velocizzare decisioni e scelte che non vorrei accusassero i medesimi ritardi del Governo precedente. Dico questo non solo perché il passaggio dell'aeroporto di Brindisi da militare a civile ci consente di accelerare i lavori assolutamente necessari (poiché di natura strutturale) sulle due piste, ma soprattutto perché è in atto un'attività, abbastanza frenetica sul piano del lavorio, che le istituzioni locali e regionali stanno sviluppando, al fine di dare, a questo aeroporto e al grande Salento, una visibilità ed una funzionalità che possano attrarre nuovi vettori e nuove compagnie di carattere nazionale ed internazionale.
Per quanto ci riguarda, seguiremo con estrema attenzione le azioni che, come riferito dal sottosegretario, il Governo sta positivamente mettendo in atto. Mi risulta che l'ENAC abbia sbloccato, di recente, per quanto riguarda i lavori della pista principale, alcuni nodi che afferivano alle competenze del Ministero dell'ambiente e del Ministero dei beni e delle attività culturali. Ritengo assolutamente necessario che l'ENAC possa entrare in possesso totalmente della gestione dell'aeroporto, per quanto attiene alle sue competenze, poiché in questo modo si dà anche la possibilità alla SEAP, che gestisce la struttura, di offrire servizi adeguati.
Credo che il Governo di centrosinistra dovrebbe inserire un po' di calore, di passione, di pathos - aspetto che è mancato nel passato! - per dare alla popolazione interessata contezza e non solo testimonianza e speranza. Sono fattori importanti, che afferiscono allo sviluppo di un territorio abbastanza martoriato come quello di Brindisi, e necessari per vedere una struttura, come quella aeroportuale, aprirsi finalmente a livello nazionale ed internazionale, con ricadute benefiche che soddisfino i bisogni che esprime tutta la nostra comunità.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Pedrizzi n. 2-00470)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Pedrizzi n. 2-00470 è rinviato ad altra seduta.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Mereu n. 2-00578)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Mereu n. 2-00578 è rinviato ad altra seduta.
(Situazione delle istituzioni scolastiche della provincia di Pordenone - n. 2-00580)
PRESIDENTE. Il deputato Pegolo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00580 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 14).
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GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, l'interpellanza urgente in esame ha per oggetto la situazione delle istituzioni scolastiche della provincia di Pordenone, che, mi permetto di sottolineare, oggi assorbe circa il 50 per cento dell'incremento degli allievi delle scuole del Friuli-Venezia Giulia. La situazione delle istituzioni scolastiche della provincia si presenta particolarmente deficitaria, sia in termini di risorse che di organici.
Come è illustrato in maniera dettagliata nell'interpellanza, in particolare per quanto riguarda le risorse economiche, rispetto ad un'assegnazione per l'anno 2006 di 11 milioni 403 mila euro, è stata prevista, per l'anno 2007, un'assegnazione di soli 6 milioni 597 mila euro. Inoltre, vi è stata la mancata erogazione di 585 mila euro circa, per il pagamento del personale docente impegnato negli esami di maturità, ed una cifra ancora maggiore sarà relativa al periodo gennaio-agosto del 2007. Si evidenzia, inoltre, una mancanza di assegnazione di fondi per quanto concerne l'attività sportiva, ancora relativa all'anno scolastico 2005-2006. Una situazione altrettanto critica si presenta per quanto riguarda le ore eccedenti non pagate negli istituti professionali, senza contare la carenza di risorse relativa ad alcuni istituti contrattuali.
In relazione alla questione degli organici, la situazione generale si presenta nel seguente modo: nella scuola primaria, vi è una stata un'assegnazione di 1.197 unità di organico rispetto ad una richiesta dei dirigenti scolastici di 1.232, con conseguente mancata autorizzazione di otto classi, cinque delle quali sono a tempo pieno; nella scuola media, a fronte di un incremento di 191 alunni, non sono state autorizzate otto classi; nella scuola superiore, vi è stata una diminuzione dell'organico di dieci unità, nonostante l'aumento di sei classi; per le attività di sostegno - mi permetto di sottolineare tale punto - si è avuta una diminuzione significativa dell'organico, in quanto, se per l'anno scolastico 2006-2007 sono stati previsti 302 posti di sostegno, per il prossimo anno è previsto un organico complessivo di 233 unità. Altri problemi sussistono per il personale ATA.
Faccio presente che, in relazione a tale situazione, è stato indetto uno sciopero regionale da parte delle organizzazioni sindacali. Pertanto, le chiedo di rispondere all' interpellanza urgente che ho appena illustrato, in maniera più puntuale possibile, per comprendere come e se il Governo intenda intervenire per risolvere tale situazione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione, Maria Letizia De Torre, ha facoltà di rispondere.
MARIA LETIZIA DE TORRE, Sottosegretario di Stato per la pubblica istruzione. Signor Presidente, la situazione rappresentata dall'onorevole interpellante è nota al Ministero e non riguarda soltanto la provincia di Pordenone, ma anche altre realtà territoriali. Sulla questione è già stato riferito dal ministro Fioroni alla VII Commissione cultura nel corso dell'audizione del 24 aprile scorso.
Preliminarmente vorrei indicare i dati riguardanti i debiti maturati in seguito ai «tagli» operati nella precedente legislatura dalle leggi finanziarie relative al periodo 2002-2006. Sono stati «tagliati» 494,4 milioni di euro (pari al 46,6 per cento) per le supplenze brevi; 106,4 milioni di euro (pari al 72,6 per cento) per l'esame di Stato; 159,8 milioni (pari al 53 per cento) per il funzionamento amministrativo e didattico. Tali «tagli» hanno determinato debiti di circa 165 milioni per le supplenze brevi e i precari; 128 milioni sono stati contratti tra il 2003 e il 2005 per gli esami di Stato e 132 milioni per il funzionamento ordinario, calcolati al 31 dicembre scorso. Il debito da ripianare è quindi complessivamente di 425 milioni di euro.
Uno dei primi obiettivi che il Governo ha dovuto affrontare appena insediato è stato quello, lo ricordiamo, di reperire subito le risorse necessarie per assicurare il regolare svolgimento della sessione degli esami di Stato per l'anno scolastico 2005-2006.Pag. 96In un difficile contesto di finanza pubblica, si è provveduto a tale impellente esigenza, con il decreto-legge n. 210 del 12 giugno 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 235 del 17 giugno 2006, che ha elevato di 63 milioni di euro, per l'anno 2006, il limite di spesa stabilito dalla legge n. 448 del 2001. Per risolvere le situazioni più critiche e per evitare conseguenze negative sul funzionamento delle scuole sono state accreditate alle istituzioni scolastiche le risorse finanziarie già disponibili sulle contabilità speciali.
Con la legge finanziaria per l'anno 2007 sono state introdotte misure di semplificazione delle procedure di assegnazione delle risorse finanziarie alle istituzioni scolastiche. Ricordo che l'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 prevede che le risorse siano attribuite dal Ministero della pubblica istruzione direttamente alle scuole, sulla base di criteri e parametri definiti con decreto del Ministro, criteri e parametri che, infatti, sono stati individuati dal decreto ministeriale n. 21 del 1o marzo di quest'anno.
Tale dotazione finanziaria non esaurisce la totalità delle somme da trasferire alla scuola per l'anno 2007, ma rappresenta soltanto una quota alla quale devono essere aggiunti: gli importi da determinarsi autonomamente dalle scuole riguardo ad alcuni istituti contrattuali, nonché ad altre spese già giuridicamente definite; le integrazioni finanziarie che saranno disposte, a seguito di rilevazione dei dati oggettivi relativi alla gestione dell'anno di riferimento; le assegnazioni finanziarie che continueranno ad essere disposte dagli uffici finanziari regionali e dagli uffici scolastici provinciali; ulteriori finanziamenti che saranno disposti nel corso dell'anno sulla base di specifiche disposizioni normative (ad esempio, dal Fondo previsto dalla legge n. 440 del 1997, somme aggiuntive da legge finanziaria ed altro).
Con riguardo ai finanziamenti disposti direttamente dal Ministro alle scuole, per l'anno 2007, in attuazione della legge finanziaria sono state già erogate alle istituzioni scolastiche la prima e la seconda quota, la terza sarà esigibile dal 26 giugno prossimo. Il Ministero sta inoltre procedendo, attraverso monitoraggi svolti dagli uffici scolastici regionali, all'accertamento dell'effettivo fabbisogno delle scuole e, sulla base dei relativi esiti, si provvederà ad erogare una specifica integrazione per le supplenze brevi e per i compensi ai componenti delle Commissioni degli esami di Stato.
Per quel che concerne, in particolare, le maggiori esigenze delle istituzioni scolastiche derivanti dalle spese per le supplenze legate alla maternità delle titolari e supplenti, il Ministro Fioroni ha inviato al Ministro dell'economia e delle finanze formale richiesta affinché tali pagamenti non vengano posti a carico del bilancio delle scuole.
Con riguardo all'organico, è opportuno premettere che l'articolo 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria per il 2007), al fine di una più efficace determinazione e distribuzione delle risorse disponibili, ha previsto un incremento dello 0,4 per cento del valore medio nazionale del rapporto alunni/classe, portandolo dalle attuali 20,6 a 21 unità per classe, da realizzare nel rispetto della normativa vigente.
La relazione di accompagnamento della legge finanziaria, facendo riferimento al numero degli alunni in base al quale è stato determinato l'organico di diritto dell'anno 2006-2007, ha stimato in 19.039 i posti da ridurre per raggiungere l'obiettivo prefissato. Questo numero si è ridotto a 11.726 unità, anche per effetto dell'introduzione dell'obbligo di istruzione e per l'incremento della popolazione scolastica, stimato in oltre 28 mila unità. Di queste 11.726 unità, soltanto 7.053 posti deriveranno dall'intervento di razionalizzazione degli organici di diritto, secondo le tabelle allegate allo schema di decreto interministeriale sugli organici di diritto per l'anno scolastico 2007-2008. Tale numero non incide sulla qualità complessiva del servizio di istruzione. Ricordo comunque che, in caso di documentate esigenze sopravvenute, l'adeguamento dell'organico potrà essere effettuato in sede di verifica dellaPag. 97situazione di fatto. Quanto riferito per il personale docente vale anche per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, per il quale la stessa legge finanziaria ha previsto una riduzione di 7.050 unità di personale che, sulla base di analoghi criteri valutativi, è stata definitivamente quantificata in circa 4 mila posti.
Con riguardo alla provincia di Pordenone, faccio presente che l'organico per la regione Friuli Venezia Giulia, assegnato dal Ministero, è stato suddiviso dall'Ufficio scolastico regionale per le quattro province in termini proporzionali, ed è stato oggetto di informativa alle organizzazioni sindacali regionali di categoria, nonché di successiva concertazione con le stesse. Per ciò che concerne la scuola primaria della stessa provincia, a fronte delle richieste, avanzate dai dirigenti scolastici, di 1.232 posti di scuola comune, sono stati assegnati 1.197 posti; l'ufficio scolastico territoriale, nel rispetto di tale dotazione, ha operato intervenendo su richieste non conformi alla normativa di riferimento e sulle classi prime, consolidando, d'altro canto, le classi normali e a tempo pieno, concesse in sede di organico di fatto per l'anno scolastico in corso 2006-2007.
Per ciò che concerne la scuola secondaria di primo grado, a fronte delle richieste, avanzate dai dirigenti scolastici, di 362 classi, di cui 85 a tempo prolungato, sono stati assegnati 657 posti; sulla base di tali posti è stato possibile istituire 354 classi, intervenendo sulle richieste non conformi alla normativa di riferimento e rispettando, comunque, sia la normativa relativa all'inserimento dei disabili sia quella sulla sicurezza. Per il tempo prolungato, è stato confermato il numero delle classi funzionanti nel corrente anno scolastico. Per la scuola secondaria di secondo grado, tutte le richieste dei dirigenti scolastici in termini di classi sono state accolte; il decremento sull'organico di dieci unità è la conseguenza della riconduzione delle cattedre a diciotto ore, come espressamente previsto dalla circolare ministeriale n. 19 del 13 febbraio 2007, con la quale è stato trasmesso il decreto interministeriale sugli organici per il 2007-2008.
Con riguardo agli alunni disabili, a fronte di una diminuzione sensibile di tali alunni rispetto all'organico di diritto per il 2006-2007, l'ufficio scolastico regionale ha assegnato alla provincia di Pordenone un contingente di 181 posti (uno in più rispetto a quelli assegnati in organico di diritto 2006-2007). Per ora, è stato fatto solo l'organico di diritto.
Per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario si è dovuta disporre la decurtazione di 16 posti (9 di assistente amministrativo e 7 di assistente tecnico); l'ufficio scolastico regionale non ha accolto richieste dei dirigenti scolastici in aumento, ha evitato di creare situazioni di personale in esubero e ha decurtato, laddove si sono registrati, incrementi di organico.
Quanto alla lamentata critica situazione finanziaria nelle scuole della provincia di Pordenone, come precisato dall'ufficio scolastico regionale, essa risale ai precedenti anni scolastici, nei quali i finanziamenti alle scuole sono stati assolutamente insufficienti per far fronte alle varie esigenze, con la conseguenza della creazione di una situazione creditoria da parte delle scuole stesse e del personale.
PRESIDENTE. Il deputato Pegolo ha facoltà di replicare.
GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, innanzitutto vorrei dire che apprezzo la risposta analitica che mi è stata data, sia relativamente a questioni di ordine generale sui problemi finanziari del settore scolastico, sia relativamente alla situazione particolare nella provincia di Pordenone. Devo però sottolineare alcuni aspetti.
Il primo, specifico per quanto riguarda la provincia di Pordenone e la regione, discende dal fatto che è per lo meno discutibile il criterio che è stato utilizzato nella ripartizione degli organici per quanto riguarda la provincia, in virtù del fatto che essa detiene alcuni record all'interno dellaPag. 98regione. Si tratta infatti di una provincia che ha una concentrazione nettamente superiore a tutte le altre di immigrati extracomunitari, e ha una presenza molto più significativa rispetto alle altre realtà provinciali di classi a tempo pieno e a tempo prolungato: per l'esattezza, 41 per cento di classi a tempo pieno e 24 per cento di classi a tempo prolungato.
Ho già detto prima dell'assorbimento di circa il 50 per cento degli incrementi complessivi degli alunni della regione da parte di tale provincia. Credo che tale situazione ponga la stessa provincia in una condizione oggettivamente più complessa rispetto alle altre: si rende quindi anche necessario un intervento, per quanto riguarda gli organici, adeguato.
Le precisazioni che sono state prodotte rispondono, almeno parzialmente, alle sollecitazioni che ponevo, anche se su alcuni punti permane, a me pare, una differenza fra una domanda oggettiva, che proviene anche delle istituzioni scolastiche locali, e l'offerta.
Ciò detto, vorrei anche sottolineare un aspetto di natura più generale. Si è detto che la situazione finanziaria difficile delle scuole di quella realtà - ma non è, su questo concordo, l'unica situazione di tal genere: probabilmente quel che si verifica qui rispecchia una situazione più generale che coinvolge molte parti del nostro Paese - dipende in larga misura dalle risorse inadeguate che sono state stanziate per la scuola nel corso della legislatura precedente.
Sono convinto che il Governo, oggi, debba far fronte anche a mancate risorse che non sono state erogate negli anni precedenti. Non di meno ritengo che, proprio in virtù di ciò, le disposizioni che sono state assunte nella legge finanziaria appaiono inadeguate a far fronte alle necessità della scuola italiana.
Mi auguro in particolare che, per quanto riguarda i nuovi stanziamenti previsti per gli organici, le misure che dovranno essere assunte, così com'è stato prospettato nella risposta, possano in qualche modo venire incontro alle esigenze che ho segnalato nell'interpellanza. E mi auguro ancora che in occasione della prossima legge finanziaria si intervenga in maniera significativa per sostenere il sistema scolastico italiano con risorse adeguate, cosa che ancora - ritengo - non è stata fatta.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.