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Svolgimento di interrogazioni (ore 11,05).
(Presunto suicidio del signor Mauro Bronchi nel carcere di Rebibbia e fenomeno dei suicidi di detenuti nelle carceri italiane - n. 3-00354)
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Daniele Farina n. 3-00354 (Vedi l'allegato A - Interrogazioni sezione 2).
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la delicatezza della materia oggetto dell'interrogazione merita delle precise puntualizzazioni.
Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha fatto presente che il detenuto Mauro Bronchi era stato tratto in arresto il 3 luglio 2006 ed era in attesa di giudizio per il reato di omicidio di una bimba di cinque anni.
Il dipartimento ha comunicato che, secondo quanto emerge dalla certificazione medica inviata dall'istituto di Rebibbia, il Bronchi, sin dal momento del suo ingresso in carcere, era stato sottoposto a visita psichiatrica, la quale testualmente evidenziava «tono dell'umore instabile, ansia reattiva, ritmo sonno-veglia compromesso». Veniva conseguentemente instaurata terapia farmacologica e disposta «grandissima sorveglianza custodiale».
Le successive visite psichiatriche confermavano il quadro ansioso-depressivo del detenuto, il quale, dal 29 luglio 2006 al 30 agosto 2006, veniva allocato, su disposizione dell'autorità giudiziaria, presso il reparto psichiatrico dell'istituto e veniva trattato farmacologicamente.
Concluso il periodo di osservazione, il Bronchi veniva dimesso con proposta di allocazione in reparto comune, per favorire un maggiore controllo e un sufficiente adattamento, con proseguimento di un adeguato sostegno psicologico. Successivamente, il detenuto è stato sottoposto aPag. 4numerose e frequenti visite psichiatriche che, nel confermarne la condizione depressiva, disponevano grande sorveglianza custodiale.
Malgrado tutte le cautele adottate nei suoi confronti, il 20 ottobre 2006 Mauro Bronchi si toglieva la vita nella sua cella presso la casa circondariale «Nuovo complesso» di Roma Rebibbia. Dall'acquisizione della cartella clinica del carcere - contrariamente a quanto dedotto nell'interrogazione - è, altresì, risultato che il detenuto non era stato privato dell'assistenza psichiatrica, che aveva frequenza bisettimanale.
In relazione alla morte del Bronchi, la procura della Repubblica di Roma ha iscritto, a carico di ignoti, il procedimento penale n. 43082/06. Il procuratore della Repubblica di Roma ha comunicato che, a seguito di autopsia e di indagini svolte in relazione ad eventuali ipotesi di reato di cui all'articolo 571 del codice penale (abuso dei mezzi di correzione e di disciplina), non è emersa responsabilità penale a carico di alcuno per il decesso del detenuto e, pertanto, in data 23 marzo 2007, è stata richiesta l'archiviazione del procedimento penale, sulla quale il GIP non si è ancora pronunziato.
Tanto chiarito in relazione alla specifica vicenda oggetto dell'interrogazione, è opportuno fare presente, in linea più generale, che il problema dei suicidi all'interno degli istituti penitenziari italiani è costantemente all'attenzione del Ministero della giustizia, il quale, soprattutto negli ultimi anni, ha cercato di intraprendere ogni iniziativa utile a ridurre tale drammatico fenomeno.
Com'è noto, lo stato di detenzione può costituire una delle cause dell'autolesionismo e del suicidio. Anche se la sola detenzione non può ritenersi la causa di un disturbo psichiatrico, la stessa ne può comunque rappresentare un fattore scatenante, soprattutto in quei soggetti già affetti da un equilibrio mentale fragile prima dell'ingresso in carcere.
Sulla base di tali premesse, il DAP fa presente che rilevare tempestivamente una possibile sindrome presuicidiaria non è semplice e che gli errori nella valutazione possono dipendere anche dalle ansie dello stesso valutatore. Spesso, la cosiddetta «sindrome da ingresso in carcere» - che può comportare perdita dell'identità e abbattimento dell'autostima - compare tanto più frequentemente quanto più è elevato il livello di educazione, di sensibilità e di cultura del detenuto e si accentua quanto maggiore è il divario tra la vita fuori dalle mura del carcere e quella al suo interno.
Secondo quanto emerge da indagini statistiche, il compimento di gesti autolesivi si verifica di frequente nell'ambito dei nuovi ingressi, come nel caso del Bronchi, a seguito dell'impatto con il contesto carcerario.
Per evitare che si verifichino situazioni come quella segnalata, l'amministrazione penitenziaria impartisce disposizioni affinché il carcere diventi un luogo dove, oltre alla sicurezza, siano assicurati in modo costante anche il trattamento e la cura. Nel quadro dell'azione rivolta alla prevenzione del rischio suicidiario, il dipartimento ha predisposto una bozza di testo unico delle disposizioni che regolano i criteri da seguire nei confronti dei detenuti. Tale bozza è in attesa di emanazione definitiva.
Si deve fare presente che il fenomeno dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie è in diminuzione, poiché, alla data del 5 giugno 2007, il loro numero era pari a quattordici dall'inizio dell'anno mentre, alla stessa data dello scorso anno, era pari a venticinque.
Per assicurare il necessario supporto psicologico al momento dell'ingresso in carcere, con circolare n. 3233/5689 del 1987, è stato istituito il servizio psicologico «Nuovi giunti», all'interno del quale lo psicologo riveste un ruolo di estrema importanza.
Le linee guida previste dal presidio psicologico, atte a limitare il fenomeno del suicidio, sono state dettate inoltre con circolare n. 3524/5974 del 12 marzo 2000, con cui si ribadisce il contenuto della circolare istitutiva del servizio, ma vengono dettate ulteriori disposizioni in merito.Pag. 5
In particolare: i detenuti «nuovi giunti» di ciascun istituto penitenziario devono sostare nei reparti di accettazione solo per il tempo strettamente limitato all'effettuazione della visita medica di primo ingresso e all'espletamento del colloquio con lo psicologo del servizio; l'assegnazione nei reparti detentivi non deve essere casuale, ma effettuata in base a criteri oggettivi e soggettivi, secondo le indicazioni dell'autorità giudiziaria; l'intervento del servizio «Nuovi giunti» non deve risultare fine a se stesso, ma ad esso deve seguire un'effettiva presa in carico dei detenuti classificati a rischio non solo da parte degli specialisti in psichiatria e di altro personale appartenente all'area sanitaria, ma anche di altri operatori penitenziari; a tal fine, i provvedimenti con cui viene disposta la «grande sorveglianza» o la «sorveglianza a vista» non devono essere emanati in forma generica, ma devono specificare in modo dettagliato il motivo per cui viene disposta una tale misura cautelativa.
Le suindicate disposizioni ministeriali sono applicabili anche ai detenuti che manifestino il proprio disagio successivamente alla data di ingresso in istituto.
Particolare importanza assume la figura dello specialista in psichiatria. Tale attività è disciplinata con circolare n. 577373/2 del 30 giugno 1999, con la quale si è provveduto a rimodulare il rapporto libero-professionale degli specialisti in psichiatria, prevedendo per gli stessi una retribuzione oraria in modo da svincolarli da un'attività di mera consulenza, come avviene per le altre branche specialistiche. Stabilendo, infatti, una tariffa oraria e non a visita, lo psichiatra, diversamente da altri specialisti, non è subordinato, per l'effettuazione delle visite, alla richiesta del medico incaricato, ma decide nell'ambito della propria autonomia divenendo, in tal modo, parte integrante non solo dell'area sanitaria, ma di tutta l'istituzione penitenziaria.
Una volta attivato il servizio, lo specialista in psichiatria, assicurando una presenza oraria, non solo è in grado di instaurare e di gestire un vero e proprio rapporto terapeutico con il paziente, ma viene posto nella situazione di monitorare costantemente la condizione di disagio psichico dei detenuti.
Particolare attenzione all'assistenza psichiatrica è stata dedicata anche nei documenti di programmazione, organizzazione e funzionamento del servizio sanitario e farmaceutico penitenziario, predisposti per gli ultimi quattro anni dal DAP.
Relativamente alla tutela della salute mentale, l'amministrazione si è, inoltre, posta l'obiettivo di coinvolgere in modo effettivo i servizi sanitari territoriali nella gestione dei detenuti affetti da patologie psichiatriche, anche al fine di un futuro reinserimento degli stessi, una volta rimessi in libertà.
Per l'anno in corso, la competente direzione generale del DAP, per realizzare l'effettivo coinvolgimento dei servizi territoriali, ha predisposto un programma esecutivo dal titolo «Servizio psichiatrico: buone prassi per carcere e territorio».
Il legislatore, infatti, all'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, pone un vero e proprio obbligo di presa in carico dei detenuti affetti da patologie mentali da parte del Servizio sanitario nazionale, ritenuto necessario per il loro futuro reinserimento sociale.
PRESIDENTE. L'onorevole Daniele Farina ha facoltà di replicare.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, credo che in questo caso la parola «soddisfatto» sia ovviamente rituale, ma non totalmente appropriata, vista la delicatezza del caso e del tema più generale che, attraverso il caso in esame, tentiamo di sollevare. Non ho, quindi, intenzione di replicare.