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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 17,16).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Adempimenti relativi alla trattazione del ricorso in pubblica udienza con riguardo a procedimenti pervenuti presso la Corte di cassazione - n. 2-00632)
PRESIDENTE. Il deputato Leone ha facoltà di illustrare l'interpellanza Elio Vito n. 2-00632, concernente adempimenti relativi alla trattazione del ricorso in pubblica udienza con riguardo a procedimenti pervenuti presso la Corte di cassazione (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmatario.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, ringrazio anzitutto il Ministro Mastella per aver accolto il nostro invito a rispondere personalmente all'interpellanza urgente in esame.
Qual'è - brevemente - la prassi e cosa succede quando avverso una sentenza di una qualsiasi corte di appello viene proposto ricorso per Cassazione? Il ricorso viene trasmesso alla Corte di cassazione, passa al vaglio della segreteria della prima sezione - quella della presidenza - ed è poi assegnato alla sezione competente; si tratta di un'assegnazione automatica che non dipende da una scelta: non si possonoPag. 49scegliere i processi che si vogliono. Infine, dopo l'assegnazione vi è il cosiddetto spoglio per verificare quali siano i termini di prescrizione che incombono su quella vicenda giudiziaria.
Questa è la prassi. Cosa è invece accaduto nella vicenda che ci interessa, relativa al ricorso per Cassazione nella nota vicenda del lodo Mondadori, al collega Previti il quale ha presentato ricorso avverso la sentenza della corte d'appello di Milano? È accaduto che il fascicolo il 30 maggio è stato trasmesso dalla corte d'appello di Milano alla Corte di Cassazione, qui a Roma (si tratta di 169 pacchi, di tre elenchi e di una serie di corposissimi ricorsi). In data 31 maggio, il procedimento è pervenuto alla suprema Corte di cassazione. Il 4 giugno il processo è stato assegnato alla seconda sezione penale della suprema Corte e nello stesso giorno o in quello successivo (non si comprende bene) si è proceduto allo spoglio per verificare quali siano i termini di prescrizione.
Tutto ciò avviene per tabulas, e sempre per tabulas si riscontra anche qualche altra vicenda che contrasta con i numeri che vi ho prima elencato. Il 31 maggio, in particolare, vi è una sollecitazione da parte del presidente della seconda sezione - la stessa cui sarebbe stato assegnato il processo il 4 giugno - per una rapida trasmissione degli atti. Nella lettera di sollecito si legge: «Avendo appreso che sarà trasmesso il processo Previti» - a questo proposito preciso che detto processo è intestato ad Acampora e non a Previti, il quale è uno dei coimputati, mentre il primo imputato è appunto Acampora: l'errore è forse dipeso da qualche lapsus freudiano - «chiedo una maggior sollecitudine». Ciò è quanto affermato dal giudice Francesco Morelli, presidente della seconda sezione penale.
È accaduto quindi, signor Ministro, che il processo è arrivato il 31 maggio alla seconda sezione penale, tre giorni prima dell'assegnazione, avvenuta il 4 giugno, ed è poi avvenuto - e verificheremo dalla sua risposta come sia potuto accadere un fatto del genere - che i termini di prescrizione del cosiddetto spoglio sono stati individuati dal magistrato addetto a tale operazione in tre date: il 6 luglio, come prima ipotesi, ovverosia di lì a pochissimi giorni; come seconda ipotesi, una data fissata nel dicembre 2007; oppure, una data ancora più lontana di circa 19-20 mesi, di là da venire.
Non vi è menzione né traccia di alcuna richiesta di abbreviazione dei termini legati alla prescrizione. La legge lo consente, il magistrato lo può fare, il procuratore generale lo può disporre. Viene velocemente fissata l'udienza per il giorno 11 luglio e vengono eseguite le notifiche, ma sta di fatto che due notifiche a due avvocati difensori di due imputati diversi vengono effettuate fuori termine, perché i termini sono stabiliti in 30 giorni prima della data fissata per l'udienza, invece vengono rispettati solo 29 giorni.
Accortosi di tale lacuna, il procuratore generale ha chiesto a posteriori la riduzione dei termini per il giudizio di legittimità, dopo che lo spoglio è avvenuto dopo che sono stati individuati i termini. Se ci fosse stata una necessità di abbreviazione di tali termini legata ai termini di prescrizione, avrebbe già dovuto essere stata formulata la richiesta di abbreviazione: ma il procuratore generale l'ha fatta solo dopo che si erano accorciati i tempi legati alla nullità della notifica nei confronti di due difensori. Quindi, per mantenere la data del giorno 11 luglio, inopinatamente e senza motivazione alcuna, il procuratore generale ha chiesto e ottenuto l'abbreviazione dei termini.
L'udienza perciò rimane quella già fissata, si abbreviano soltanto i termini per la preparazione di essa - qualche sottosegretario che mi ascolta e si intende di diritto può ben comprendere le conseguenze - che vengono così praticamente suddivisi in due diversi periodi di tempo: uno inferiore per due difensori, l'altro normale per gli altri difensori che avevano avuto la notifica regolarmente come prevede la legge. Ne segue un'evidente disparità di trattamento nei confronti dei difensori o delle parti, qualunque esse siano.Pag. 50
Il Ministro conosce le domande: vogliamo sapere perché, come e in base a quali norme siano accadute le sospette velocizzazioni di un procedimento, che invece dovrebbe essere trattato alla stregua di tutti quanti gli altri?
PRESIDENTE. Il Ministro della giustizia, Clemente Mastella, ha facoltà di rispondere.
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Svolgo una considerazione preliminare. Da quando ho iniziato a svolgere le mie funzioni mi sono prefisso, quale impegno prioritario, di assicurare una giustizia efficiente, nei tempi rapidi e con processi che siano ragionevoli, secondo un'esigenza avvertita dai cittadini italiani. Ho, quindi, una qualche difficoltà a discutere di un presunto caso di particolare sollecitudine della Corte suprema nell'ambito di un procedimento già approdato una prima volta al giudizio di legittimità e sottoposto, quindi, ad un secondo appello in sede di rinvio.
La prima impressione che mi sono formato, in verità, è che nella vicenda in esame non emergono, sulla base degli elementi ad oggi acquisiti, aspetti di criticità che non siano suscettibili di valutazione e rimedio all'interno del medesimo processo e nel pieno contraddittorio delle parti. Già altre volte ho avuto modo di notare che i giudici, in tutte le aule di giustizia italiane, pongono particolare attenzione - beninteso, sempre adoperando strumenti ed accorgimenti tecnici di cui può essere sempre discussa e valutata la legittimità all'interno del processo - affinché i procedimenti penali, complessi o delicati, per numero di imputati, qualità delle imputazioni, imminenza della scadenza di termini prescrizionali, possano andare in porto. E ho sempre pensato, devo aggiungere, che ciò che si attendono i cittadini è che sia assicurata la giustizia, i tempi rapidi, la correttezza e l'equità delle decisioni. Al riguardo vanno riconosciuti i meriti e le virtù della nostra Corte di cassazione.
Veniamo ora nello specifico all'oggetto dell'interpellanza. Nel ristretto arco di tempo a disposizione è stato possibile acquisire alcune informazioni fornite dalla stessa Corte suprema. Riguardo all'assegnazione del processo - cito quello che riferisce la Corte - è stato riferito che l'attribuzione alla II sezione penale è avvenuta in modo automatico, in conformità alle previsioni delle tabelle di organizzazione della Corte stessa.
Dal sistema informatico della Cassazione, in particolare dalla «visualizzazione sintetica del procedimento», emerge che il procedimento n. 5261/06 RGA è pervenuto alla Corte il 31 maggio 2007, cioè nello stesso giorno in cui il presidente della sezione ha indirizzato la sua nota al dirigente della cancelleria centrale penale.
Il presidente Morelli ha precisato che essa venne trasmessa «come nota di coordinamento interno all'ufficio».
Riguardo all'annotazione di diversi termini di prescrizione dei reati apposta sulla retrocopertina del fascicolo processuale, il presidente ha precisato che l'annotazione in questione tiene conto - in maniera problematica - delle varie ipotesi formulabili e che la trattazione del processo è stata fissata per l'ultima udienza utile di luglio, demandando alla decisione collegiale le questioni attinenti alla prescrizione dei reati.
La riduzione dei termini per il giudizio è stata disposta ai sensi dell'articolo 169 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, su conforme richiesta della procura generale della Repubblica. Poiché è stata successivamente presentata un'istanza di revoca del provvedimento, ogni decisione sul punto è naturalmente affidata al contraddittorio delle parti e rimessa al collegio, che valuterà la conformità del provvedimento alla norma.
Sulla questione della tardività delle notificazioni degli avvisi agli avvocati Sammarco e Biffani, dalla relazione di notifica all'avvocato Sammarco risulta che il notificatore provvide all'attività di notifica in data 7 giugno. Quel giorno sia la segretaria, sia i colleghi di studio dell'avvocato Sammarco rifiutarono la ricezione dell'atto,Pag. 51che venne quindi depositato presso la casa comunale con affissione e spedizione dell'avviso l'8 giugno.
Dalla relata di notifica all'avvocato Biffani risulta che una prima volta, l'8 giugno, non gli fu possibile notificare l'atto, poiché alle 19,10 circa nessuno rispose al citofono dell'ufficio legale; il giorno dopo, il 9 giugno, «vi è stato il blocco alla circolazione per la visita del Presidente Bush» e, infine, il 10 giugno era giornata festiva.
Da ciò rilevo che le notifiche furono perfezionate soltanto l'11 giugno. Seguì la richiesta della procura generale, avanzata ai sensi dell'articolo 169 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Ai giudici, e non a noi, appartiene la competenza per valutarne la legittimità.
Non risulta che l'istanza difensiva di rinvio dell'udienza a cui fanno riferimento gli interpellanti sia stata rifiutata, argomentando circa una pretesa necessità di un preventivo consenso della parte civile. Invero, il provvedimento emesso dal presidente il 21 giugno recita testualmente: «vista l'istanza che precede, rimette la decisione al collegio nel contraddittorio delle parti».
Veniamo ai dati statistici. Essi riguardano i processi per reati di corruzione e concussione nell'anno 2006 e nel primo semestre del 2007 e sono stati ricavati dal sistema informatico della Cassazione. Tale sistema, peraltro, memorizza soltanto il reato più grave di ciascun procedimento e non dà conto, pertanto, dei reati di corruzione e concussione allorché concorrono reati più gravi.
Tanto premesso, risulta che dal 1o gennaio 2006 al 30 giugno 2007 sono pervenuti alla Suprema Corte di cassazione 314 procedimenti penali per reati di corruzione e-o concussione (195 nel 2006 e 119 nel 2007). Di tali procedimenti, 277 sono con imputati non detenuti (172 nel 2006 e 105 nel 2007).
Queste sono le informazioni pervenute, che riferisco agli interpellanti. Personalmente, per completare l'accertamento nel modo più soddisfacente possibile, provvederò ad acquisire ulteriori informazioni relativamente alle date di trasmissione del processo alla II sezione penale e relativa ricezione, ai criteri che presiedono alla fissazione delle udienze e agli ulteriori dati statistici richiesti dagli interpellanti in merito alle richieste di riduzione dei termini. L'intera vicenda potrà poi eventualmente essere più compiutamente e meglio valutata nelle diverse sedi proprie, una volta esauritasi la cognizione di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria su alcuni dei punti evidenziati dagli interpellanti.
PRESIDENTE. Il deputato Leone ha facoltà di replicare.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, ringrazio ancora il Ministro, ma non mi ritengo soddisfatto di una risposta non sua, ma degli uffici della Corte di cassazione, che hanno eluso completamente lo spirito dell'interpellanza, tranne la citazione del dato sui processi per detenuti e non detenuti che ci dà ragione.
Stiamo parlando di un processo per non detenuti. Si tratta di un processo in cui - come lei, signor Ministro, ha giustamente affermato all'inizio del suo intervento - vi è la necessità da parte sua e, credo, da parte di tutti, di velocizzare la giustizia. È necessario, tuttavia, velocizzarla con cognizione, perché non si tratta solo di un processo - lo ripeto - che non «scade», non si prescrive, con termini prescrizionali lunghi; esso presenta una «sfilza» di imputati, con 169 faldoni da compulsare, con ricorsi infiniti da leggere, per poi decidere.
Mi sembra che se si fissa l'udienza nel giro di venti giorni, o si ha a che fare con una sezione «Mandrake» o altrimenti ciò è dovuto proprio alla volontà di togliersi subito di torno quel processo. E non voglio aggiungere altro.
Stiamo parlando di un processo per non detenuti, per il quale si afferma che è prescritto o che non è prescritto, mancando ancora venti mesi al compimento della prescrizione.Pag. 52
Lei, signor Ministro, anzi chi per lei, non ha risposto se è normale, se esiste una norma in base alla quale un presidente di sezione della Cassazione debba essere avvisato dai giudici della Corte d'appello riguardo all'invio di un fascicolo processuale. Non ha detto se è normale quella che lei, o chi per lei, ha chiamato «nota di coordinamento», inoltrata perché evidentemente il processo non era ancora arrivato alla II sezione altrimenti quale ragione c'era di farla se non per sollecitare l'invio di quel processo, del processo Previti intestato ad Acampora? C'è una norma che lo prevede o c'è solo un «interesse particolare» in base al quale - diciamo così - via cavo si avverte che si sta inviando il processo e se ne chiede di sollecitare l'assegnazione?
Non mi ha detto, lei o chi per lei, quali siano i criteri, i tempi medi di fissazione delle udienze per i processi per i non detenuti, per i processi composti da 169 faldoni, con qualche decina di coimputati, di imputati; lei non ha portato tali dati alla nostra attenzione.
Le sembra normale, signor Ministro, che vengano compressi i diritti di due difensori riducendo i tempi per la notifica e che addirittura si venga in quest'aula ad affermare che la segretaria ha rifiutato la notifica? Perché non avrebbe dovuto farlo? È la legge che lo prevede: la notifica non deve essere ritirata dalla segretaria. Perché è stato detto che nessuno ha risposto al citofono dello studio legale, quasi a voler indicare una volontà di non ricevere l'atto? Tutto ciò è scorretto! È scorretto affermare che si sia tentato di non ritirare la notifica! Chi ha fatto l'avvocato, chi conosce le leggi ed i processi sa benissimo che può capitare che in uno studio legale non si trovi nessuno (magari saranno andati a notificare l'atto di sabato o di domenica) e non si può omettere che una notifica è valida se fatta a mano del ricevente.
E poi si arriva ad affermare che la notifica non è avvenuta per colpa del Presidente Bush se ho ben capito, perché quel giorno non si poteva arrivare all'ufficio legale per la notifica.
Le sembra normale che prima della risposta che lei ha dato sia stata data una risposta da parte del procuratore generale presso la Cassazione D'Ambrosio? Lei è venuto a rispondermi oggi e la ringrazio ancora una volta, ma poteva benissimo farne a meno perché avevo già avuto la risposta dal procuratore generale della Cassazione attraverso le agenzie. Quest'ultimo ha infatti risposto alla nostra interpellanza affermando che è tutto in regola e chiedendoci di non fare le vittime perché loro fanno i giudici e noi dobbiamo fare gli imputati.
In questa agenzia di stampa si è, però, dimenticato di dire che quel procuratore generale è stato per qualche anno presidente della regione Marche nelle file del centrosinistra, ma questo è un dettaglio che forse non deve interessare.
Quel che interessa, signor Ministro, è che lei, o chi per lei, non ha risposto alle nostre preoccupazioni che sarebbero venute fuori comunque, anche se tutta la vicenda non riguardasse solo il deputato Previti, ma qualsiasi altro collega o qualsiasi altro cittadino. Non devono esistere attenzioni particolari nei confronti di alcun singolo imputato, mentre qui di attenzioni si tratta, signor Ministro. La parte della risposta che lei non ha fornito, o che non le hanno fornito e che rinvia ad altra data, non è una soluzione.
La soluzione è prendere atto che c'è una volontà politica di accelerare un processo, che c'è un'anomalia nel procedere in questo processo presso la Corte di cassazione e che, una volta per tutte, bisogna che si mettano fuori i «panni sporchi».
Lei, signor Ministro, sta tentando di metterli fuori, a parte gli attacchi che sta avendo dalla stessa magistratura per il suo provvedimento sull'ordinamento giudiziario, con cui sta scontentando tutti, da qualsiasi parte, ma principalmente chi le ha preparato quella risposta, che non avrebbe dovuto essere data, perché è un'offesa a chi ha presentato l'interpellanza, a lei e all'intero Parlamento, oltre che a tutti i cittadini italiani.
(Iniziative per la tutela ed il rispetto della memoria delle vittime del genocidio di Srebrenica - n. 2-00638)
PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00638, concernente iniziative per la tutela ed il rispetto della memoria delle vittime del genocidio di Srebrenica (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, Viceministro degli affari esteri Franco Danieli e colleghi, ogni anno, da parecchi anni, per chi non ha cancellato la memoria storica i primi giorni di luglio sono di particolare emozione e, per quanto mi riguarda, anche di commozione.
Lo abbiamo ricordato due giorni fa con il Presidente della Camera, in una sala della Camera: il 3 luglio 1995 pose volontariamente fine alla propria vita l'europarlamentare Alexander Langer, che proprio in quelle settimane e in quei mesi era particolarmente, drammaticamente impegnato in rapporto alla tragedia bosniaca, che non aveva ancora toccato il culmine. Pochi giorni dopo, sempre nel 1995, dall'11 al 19, 20 e 21 luglio, in Bosnia, a Srebrenica, si è verificato il più immane massacro che l'Europa abbia conosciuto dopo la seconda guerra mondiale.
È stato un massacro di oltre ottomila persone, uomini e ragazzi bosniaci di religione musulmana, che furono trucidati dalle truppe serbo-bosniache sotto l'egida di Radovan Karadzic e sotto la guida del generale Ratko Mladic. Questo massacro fu perpetrato - questa è la tragedia nella tragedia - letteralmente sotto gli occhi, delle truppe della forza di protezione speciale dell'ONU, l'Unprofor, che era stata lì destinata in difesa proprio della popolazione civile, che nell'enclave di Srebrenica si era affidata, disarmata, alla protezione dell'ONU (in quel caso alla protezione dei caschi blu di nazionalità olandese che avevano questo compito).
C'è chi parla nei libri e nella documentazione pubblicata in questi anni, non solo di ottomila vittime - è il dato ufficiale, riconosciuto sia dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, sia dalla Corte internazionale di giustizia dell'ONU - ma di oltre diecimila vittime, calcolando che ancora oggi non tutti i cadaveri sono stati recuperati e che soprattutto, non tutti i cadaveri sono stati identificati: ogni anno si celebrano delle cerimonie di sepoltura, dopo questo terribile e faticoso lavoro di identificazione.
La mia e la nostra interpellanza, signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, ha un duplice significato: ricordare negli attuali giorni di luglio questo terribile anniversario - oggi è il 5 luglio e fra meno di una settimana avrà luogo il dodicesimo - nell'aula del Parlamento italiano, nella Camera dei deputati; denunciare con una certa forza, anche se non voglio gridare - ma il mio cuore grida in questo momento - il fatto che purtroppo da parte del Governo olandese non c'è stata la consapevolezza, oggi, della tragedia di cui è stato, in qualche modo, connivente inerte o passivo.
Addirittura c'è stata qualche mese fa - nel novembre scorso - l'attribuzione di una medaglia al valore agli appartenenti alle Forze armate olandesi che realizzarono questa «inerzia-complicità» mostruosa rispetto al genocidio delle 8 mila persone che si erano consegnate all'ONU, sotto la sua protezione, per avere la garanzia di non essere sterminate, come poi invece successe per mano dei serbo-bosniaci.
Vi sono state negli ultimi mesi dell'anno scorso, a novembre-dicembre, drammatiche proteste da parte del «movimento delle madri di Srebrenica e Zepa», da parte delle «madri di Srebrenica», da parte delle «donne di Srebrenica»: si tratta di associazioni formate quasi esclusivamente da donne, perché gli uomini sono stati tutti sterminati. Si misero da parte le donne e i bambini piccoli e, poi, a partire dai ragazzi di quattordici anni, si sterminarono tutti gli uomini.
È incredibile ciò che è avvenuto, perché nel 2002, dopo l'esito di un rapporto dell'ONU che si era concluso nel 1999 e diPag. 54un rapporto dell'istituto olandese per la documentazione di guerra (NIOD), pubblicato nel 2002, c'erano state delle forti conseguenze a livello di responsabilità del Governo olandese. Il Governo laburista di Wim Kok addirittura si dimise dopo l'esito di tali inchieste. Ma cinque anni dopo - dal 2002 al 2007 sono passati cinque anni - l'attuale Governo, con il Ministro liberale della difesa in carica Henk Kamp, ha annunciato la concessione di centinaia di decorazioni al merito ai militari olandesi che erano stati impiegati in quella missione ONU in Bosnia e che avevano dato una prova terribile di passività e di inerzia, se non di complicità.
Uso le parole «se non di complicità» perché il Viceministro Danieli, che conosce meglio di me queste vicende (forse anche gli altri rappresentanti del Governo che in questa occasione sono in aula a rispondere ad altre interpellanze, ma sono anche loro cittadini coinvolti da tali vicende), sa che le ricostruzioni di quella vicenda parlano di rapporti cordialissimi fra Mladic e il comandante olandese del reparto ONU che era lì disposto e addirittura di congratulazioni reciproche: situazioni che solo a ricordarle fanno accapponare la pelle.
Recentemente è stata emessa una sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'ONU, anche questa con sede a L'Aja, in cui si è riconosciuto ufficialmente che si è trattato di genocidio. Non si è attribuita una responsabilità diretta alla Serbia nel massacro - io ho parlato di serbo-bosniaci - ma la Serbia è stata accusata per la passività e l'inerzia che anche in questo caso si è registrata. Ovviamente è emersa nuovamente la responsabilità delle truppe dell'ONU nel non aver garantito l'incolumità delle persone (8 mila uomini, dai ragazzi ai vecchi) che si erano loro affidate nell'enclave di Srebrenica.
L'altro aspetto della mia interpellanza è quindi collegato all'opportunità e necessità che l'Italia, il Parlamento italiano e - in questo momento mi rivolgo ai rappresentanti del Governo - il mio Governo siano consapevoli (lo sono già stati in passato: non ho critiche da fare al riguardo) del fatto che dodici anni dopo non si può cancellare ciò che è successo. Ciò tanto più è necessario poiché alcuni mesi fa vi è stata questa ignobile - questa è la parola esatta - decisione dell'attuale Governo olandese, a differenza di quello del 2002, che si dimise; non parlo di altre dimissioni del Governo olandese, ma della vergogna di concedere una decorazione al merito militare a chi si è reso corresponsabile, purtroppo, almeno sotto il profilo della passività, se non per alcuni aspetti di complicità, di tale tragedia.
Dunque, la mia interlocuzione costruttiva e dialogica, ma anche drammatica e commossa, con il nostro Governo, mira ad un impegno particolare dell'Italia, poiché proprio l'Italia, come Paese civile, fu protagonista di una straordinaria opera di solidarietà (ad esempio, nel momento dell'assedio di Sarajevo, protrattosi per oltre tre anni), e poiché essa si rese partecipe dell'intervento militare in Bosnia dopo Srebrenica: un intervento auspicabile e auspicato, dal momento che, quando si verificano tragedie di questo tipo, vi è un obbligo di interferenza. La mia preoccupazione è dunque che, da parte dell'Italia, venga dato qualche segnale in questa direzione e che esso venga dato proprio nel momento in cui vi è una situazione di grande sconforto e preoccupazione da parte di chi continua a vivere direttamente sulla propria pelle, sulla propria carne e nel proprio cuore la memoria di quella tragedia.
Fra l'altro - concludo così la mia illustrazione, signor rappresentante del Governo, colleghi - poche settimane fa sono stati pubblicati in Italia dalla casa editrice Infinito Edizioni (nonostante conosca personalmente molti di quegli eventi, queste letture mi hanno fortemente colpito) due libri: Srebrenica. I giorni della vergogna, di un italiano, Luca Leone e Al di là del caos. Cosa rimane dopo Srebrenica di Elvira Mvjicic, una bosniaca che, al tempo del massacro, aveva quindici anni e della quale furono sterminati, insieme agli altri ottomila, il padre e lo zio.
Si tratta di due libri che desidero citare proprio nell'aula del Parlamento, poichéPag. 55anche questo è un contributo non solo del Governo e del Parlamento, ma anche della società civile italiana, affinché non cali una terribile rimozione (se non addirittura una rivendicazione positiva, com'è stato con le medaglie al valore concesse dal Ministro della difesa olandese) sulla pagina più infame della storia del dopoguerra nel territorio europeo.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Franco Danieli, ha facoltà di rispondere.
FRANCO DANIELI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, associandomi a quanto detto dall'onorevole Boato, desidero anch'io ricordare con commozione ed affetto Alex Langer e soprattutto il suo impegno forte e determinato per l'affermazione della verità, della giustizia e dei fondamentali e universali diritti umani. Rispondo volentieri, dunque, all'interpellanza presentata dall'onorevole Boato su questa vicenda, che costituisce una delle pagine più tragiche della recente storia europea e non solo europea.
Il Governo italiano segue da vicino le vicende che riguardano Srebrenica: le dinamiche politiche scaturite dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia dello scorso febbraio nella causa intentata dalla Bosnia-Erzegovina contro la Serbia per l'eccidio del luglio 1995 e le iniziative di sostegno alla popolazione locale al fine di ripristinare un tessuto socio-economico idoneo allo sviluppo. Il nostro Paese è perciò particolarmente attivo in Bosnia tanto sul piano politico quanto dal punto di vista della cooperazione economica.
Sotto il profilo politico va ricordato che l'Italia partecipa ai processi decisionali relativi all'amministrazione della Bosnia-Erzegovina nella sua qualità di membro dello Steering board del Peace implementation council, organismo collegiale con compiti di supervisione della corretta attuazione degli accordi di Dayton.
Anche grazie a questo ruolo, abbiamo potuto contribuire alla delicata opera di sensibilizzazione finalizzata alla ricostruzione di un necessario quadro istituzionale e al superamento dei traumi prodotti dal grave conflitto civile bosniaco degli anni Novanta, culminato proprio nei fatti di Srebrenica.
In tale contesto, abbiamo da ultimo sostenuto l'opera di mediazione condotta dall'Alto rappresentante Schwarz Schilling nel far fronte alle tensioni interetniche innescatesi per effetto della suddetta sentenza della Corte internazionale di giustizia.
Per quanto riguarda le iniziative di sostegno alla popolazione, l'Italia ha operato al fine di promuovere il ripristino di un tessuto sociale multietnico in ogni parte della Bosnia-Erzegovina, ivi inclusa la zona di Srebrenica. A tal fine, abbiamo lanciato una serie di iniziative concrete finanziate con fondi governativi. Vorrei, in particolare, segnalare il Programma di sviluppo regionale, ricostruzione, local governance, risistemazione delle strutture per il rientro dei rifugiati, attuato dallo UNDP con un finanziamento italiano pari a 1.675.000 dollari.
Abbiamo promosso, inoltre, una serie di programmi in favore della Bosnia-Erzegovina con effetti benefici anche sulla zona di Srebrenica, quali l'iniziativa per la mappatura delle zone agricole per un ammontare pari a 3.500.000 euro.
Sempre sotto il profilo delle iniziative di sostegno alla popolazione e di cooperazione allo sviluppo, vanno segnalati vari progetti condotti dalle amministrazioni decentrate, dalle regioni ai comuni, che sono oggetto di coordinamento da parte degli uffici governativi italiani operanti in Bosnia-Erzegovina.
Non si deve dimenticare il contributo offerto dalle ONG italiane e da altri organismi quali i sindacati, che si sono prodotti in un generoso slancio di solidarietà per offrire risposte concrete ai molti problemi scaturiti dalla drammatica vicenda di Srebrenica. Tra queste, merita una specifica menzione la costruzione di una scuola a Srebrenica da parte della CISL, che viene seguita da vicino dalla nostra ambasciata a Sarajevo.
Sempre in relazione all'impegno della nostra ambasciata, occorre segnalare laPag. 56sua partecipazione, proprio in questi giorni, alla Srebrenica Development Conference, una conferenza internazionale organizzata, appunto, per coordinare le attività e le risorse destinate alla ricostruzione di Srebrenica.
Per quanto riguarda l'episodio delle onorificenze olandesi conferite ai soldati del contingente ONU di stanza a Srebrenica, si tratta di un'iniziativa autonoma adottata dall'Aja, sulla base delle proprie prerogative nazionali. Essa è stata adottata senza che l'Italia ne fosse a conoscenza.
Per quanto, infine, concerne gli aspetti giudiziari connessi all'eccidio della popolazione musulmana che si è consumato a Srebrenica, l'Italia è impegnata con gli altri partner comunitari ed atlantici nella ricerca della verità e nella condanna dei responsabili. Svolgiamo una costante opera di sensibilizzazione affinché gli imputati per i fatti di Srebrenica, Mladic e Karadzic, vengano assicurati alla giustizia.
Sosteniamo senza riserve il Tribunale internazionale per i crimini nella ex-Iugoslavia, deputato a giudicare le persone inquisite. Tra l'altro, voglio ricordare che la presidenza di tale organo è affidata al professor Fausto Pocar, insigne giurista italiano.
PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di replicare.
MARCO BOATO. Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Governo, il Viceministro Franco Danieli, per la sua puntuale risposta e per aver voluto interloquire - al di là del testo scritto che è stato, come sempre, predisposto - nella parte iniziale della sua risposta, nel commosso ricordo della figura di Alexander Langer, che ho svolto all'inizio della mia illustrazione.
Mi ritengo, per quanto è chiaramente possibile in pochi minuti di dialogo parlamentare, soddisfatto della risposta, con una parentesi, non dico di perplessità, ma di cautela - lo capirà, signor Viceministro - sul fatto che ciò che io ho dichiarato un atto ignobile, da parte del rappresentante del Governo italiano venga soltanto identificato come un atto autonomo del Governo olandese, su cui l'Italia non ha nessuna responsabilità e non è stata preventivamente informata.
Accolgo tale dichiarazione come una garbata presa di distanze, in un tono più diplomatico che politico-parlamentare. Avrei preferito qualche parola in più, ma conosco quali sono gli aspetti delle relazioni tra i diversi Governi e non avrei voluto creare un incidente diplomatico, anche se ho colto la presente occasione per stigmatizzare quanto è avvenuto.
A questo riguardo, vorrei leggere una brevissima rubrica, Piccola Posta, di Adriano Sofri, pubblicata il 9 novembre del 2006 sul quotidiano Il Foglio, perché in poche parole esprime tutto su tale argomento: «Nel 2002, a distanza di sette anni, l'Olanda si vergognò dell'infamia di Srebrenica e il Governo laburista di Wim Kok si dimise. Cinque anni ancora e il liberale ministro della difesa in carica, Henk Kamp, ha annunciato la concessione di decorazioni al merito a 850 militari dispiegati in Bosnia-Erzegovina, compresi i 350 addetti alla sicurezza dell'enclave di Srebrenica, sotto la protezione ONU, che era diventata il rifugio di migliaia di fuggiaschi bosniaco-musulmani. Quei militari e i loro ufficiali furono o inerti o complici della selezione di donne e bambini da cacciare e braccare e dello sterminio di 8.000 uomini di ogni età, ragazzi e vegliardi compresi, da parte degli sgherri di quel Ratko Mladic che l'Olanda del Tribunale internazionale aspetta ancora invano» (come lei ha ricordato, signor Viceministro). Conclude Sofri: «Tutto si scorda, prima o poi. Prima, tutto si decora di una medaglia al valore».
A tale riguardo, vorrei leggere, solo per concludere questa comune riflessione, qualche parola scritta dalla già citata Elvira Mujicic, autrice del libro Al di là del caos - Cosa rimane dopo Srebrenica, in previsione - è stata scritta pochi giorni fa - del prossimo 11 luglio: « L'11 luglio è il giorno del dolore collettivo, il giorno in cui immagini di qualche telegiornale mostrano tanti volti radunati insieme a seppellire ossa trovate nel corso dell'anno. IlPag. 57dolore individuale è tutti gli altri giorni dell'anno, a telecamere spente. L'11 luglio è il giorno delle promesse, delle scuse, delle accuse. È il giorno in cui il revisionismo viene messo a tacere dalle bare che sfilano, nelle quali leggere ossa raccolte forse riposano. È il giorno in cui tutto il mondo si indigna per quello che è successo, ma se per caso viene emessa qualche sentenza a marzo, nessuno se ne cura, perché l'11 luglio è lontano. E se qualche criminale ancora passeggia libero e venerato, solo l'11 luglio qualcuno azzarda la promessa di prenderlo nel volgere di poco. Poi le luci si spengono e la violenza torna nel dimenticatoio; l'ingiustizia diventa di nuovo tollerabile e altri morti sensazionali riempiono le pagine dei giornali, fino a quando non diventeranno noiosi anche quelli, ma ce ne saranno di nuovi».
Lei ha ricordato, signor Viceministro, una serie di iniziative, facendo bene a farlo e mi fa piacere che venga consegnato anche agli atti parlamentari e all'attenzione di chi ci possa ascoltare o leggere. Vorrei a mia volta, per concludere, signor Presidente, ricordare, sempre nello spirito della collaborazione di cui ha già parlato il Viceministro Danieli, che dal 27 agosto al 1o settembre si svolgerà un'iniziativa denominata International Cooperation For Memory a Srebrenica. Sarà una settimana internazionale di dialogo dedicata alla memoria, aperta alla partecipazione di membri di istituzioni rappresentative, studiosi, ricercatori, giornalisti, artisti, animatori culturali e studenti, provenienti sia dall'area balcanica, sia dell'Europa. Questa settimana internazionale si collocherà all'interno del progetto «Adopt Srebrenica», che nasce da una lunga tessitura di relazioni fra la fondazione Alexander Langer Stiftung di Bolzano e l'associazione Tuzlanska Amica di Tuzla (Bosnia-Erzegovina), con un coinvolgimento attivo anche delle municipalità di Srebrenica e di Pescara, nonché di amministrazioni pubbliche, centri di ricerca storici e associazioni di volontariato italiane e internazionali, e avrà come obiettivi a lungo termine la promozione di un processo di confidence building, di dialogo interculturale e di promozione di una cultura di pace e convivenza e di creazione di una memoria storica condivisibile; inoltre, avrà come altro obiettivo la creazione a Srebrenica di un centro internazionale di ricerca, documentazione, studio e formazione per l'analisi, la prevenzione e la gestione dei conflitti di carattere etnico e religioso, in modo da diventare un luogo di incontro, di scambio e di confronto permanente per i giovani sia della Bosnia-Erzegovina - in particolare, di Srebrenica - sia per gruppi di visitatori internazionali.
Credo, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, che sia stato giusto e utile che oggi, in quest'aula, in un dialogo fra Governo e Parlamento abbiamo trovato l'occasione di ricordare, in modo non rituale o liturgico ma in prospettiva, anche per quanto riguarda l'impegno attuale e del futuro, la terribile strage, il genocidio di Srebrenica, avvenuto dall'11 al 19 luglio del 1995.
(Vicende relative all'attacco alla stazione di pompaggio dell'ENI in Nigeria - n. 2-00639)
PRESIDENTE. Il deputato Cacciari ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00639 concernente vicende relative all'attacco alla stazione di pompaggio dell'ENI in Nigeria (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro Franco Danieli. Si tratta del terzo atto di sindacato ispettivo che Rifondazione Comunista presenta in pochi mesi sulla questione della presenza ENI in Nigeria. Credo, quindi, che non serva girare intorno al nodo della questione. Sento il dovere di essere diretto e franco. Oggi, per fortuna, non c'è nessun italiano nelle mani dei ribelli, e possiamo quindi parlare senza timore di nuocere a trattative e di mettere in pericolo la vita di qualcuno.
Ciò che sta accadendo in Nigeria è un'escalation drammatica di uno scontro sociale, politico e finanche armato, tra lePag. 58popolazioni indigene, da una parte, e le compagnie multinazionali che da quarant'anni stanno sfruttando le immense risorse naturali fossili (gas metano e petrolio) che si trovano nella regione del Delta del Niger.
La Nigeria è il settimo esportatore di petrolio nel mondo. Nella regione del Delta del Niger vivono poco meno di 20 milioni di persone di etnie diverse con antiche civilizzazioni e con livelli di vita eccellenti fino alla comparsa del petrolio. Vi era un ecosistema estuariale delicatissimo di straordinario valore e generosità (foreste di mangrovie) prima che venisse aggredito dalle trivelle, avvelenato dagli spargimenti di greggio, scosso dalle esplosioni che generano per accumulo i gas, inquinato dalle ricadute della fuliggine e delle polveri di combustione dei pozzi e dei gas flaring che vengono selvaggiamente bruciati a cielo aperto.
Osservatori internazionali obiettivi parlano di danni ambientali irreversibili ed estesi: perdita di fertilità dei suoli, riduzione della pescosità, impoverimento della biodiversità. Le poche osservazioni epidemiologiche che sono state condotte parlano di gravi affezioni alle vie respiratorie nei bambini e anche di insorgenze cancerogene.
Amnesty International riferisce di gravi violazioni dei diritti umani da parte dei corpi di sicurezza delle compagnie petrolifere. Parliamoci chiaro: nel Delta del Niger si sta consumando una vera e propria guerra a bassa intensità, con l'esercito dello Stato della federazione della Nigeria che è chiamato a difendere le installazioni, ma non solo. Il Governo e lei, signor sottosegretario, sapete bene che le forze navali USA - i cui comandi di zona sono stati unificati con quelli del Mediterraneo e sono in Italia - sono state sollecitate dalle compagnie petrolifere e, sembra, anche dallo stesso Governo nigeriano, per proteggere le rotte che collegano i pozzi.
La tragica e contraddittoria vicenda di cui parliamo nell'interpellanza in esame si è consumata il 21 giugno nella flow station di Ogboinbiri, un impianto di pompaggio della consociata nigeriana dell'ENI, nello Stato di Bayelsa, con la morte di almeno dodici giovani nigeriani. Si tratta soltanto dell'ultimo scontro avvenuto, anzi, il penultimo. È di ieri la notizia del rapimento di altri cinque lavoratori della Shell.
Ho qui l'elenco, che l'Osservatorio Nigeria, creato da una ONG italiana, tiene aggiornato quotidianamente, degli scontri che si susseguono, e sono impressionanti: una lunga serie di occupazioni di impianti, di sabotaggi di pipeline, di attacchi con distruzione di istallazioni, sequestri di tecnici stranieri, combattimenti con forze militari regolari e irregolari, uccisioni.
I tecnici italiani e i dipendenti di qualsiasi nazionalità della società del gruppo ENI hanno dovuto subire sofferenze e ingiurie intollerabili, che nessun lavoro al mondo dovrebbe contemplare. Chiedo al Governo se nei nostri codici etici è contemplato, per il bene della nostra economia, il sacrificio di vite umane. Poco importa se siano vite italiane o nigeriane, alle dipendenze dirette delle imprese italiane o vincolate da contratti di subfornitura di forza lavoro, se siano ben pagati o malamente sfruttati.
Qui non siamo nel campo del rischio imponderabile, dell'incidente imprevedibile: qui siamo ad operare in una zona di guerra. Credo che il Governo debba accertare direttamente se ci sono le condizioni accettabili per poter svolgere normali attività produttive ed economiche.
Nostro preciso dovere è evitare che possa accadere l'irreparabile. La sicurezza dei cittadini italiani all'estero deve essere attestata da valutazioni impegnative e responsabili dell'autorità di Governo. E questo vale in assoluto, sia che si tratti di turisti attratti da agenzie «avventure», sia che si tratti di lavoratori alle dipendenze di imprese pronte a sfruttare convenienze economiche in capo al mondo.
In questo caso, tuttavia, c'è qualcosa in più che richiede l'intervento del Governo. Voglio essere il più chiaro possibile: l'ENI non è una compagnia business qualsiasi, ma la principale multinazionale italiana, ed è controllata dallo Stato. È la compagnia energetica di bandiera: lavora per noi, guadagna per noi. Abbiamo, quindi, dellePag. 59responsabilità politiche dirette, se non vogliamo parlare di doveri morali, per tutto quello che l'ENI fa. Scaricare le scelte ENI sull'autonomia del management è operazione pilatesca e, soprattutto, stupida. L'ENI è il nostro biglietto da visita in giro per mezzo mondo, è l'immagine e la politica internazionale concreta dello Stato italiano in tante parti del mondo.
Serve ricordare Enrico Mattei e la sua formula del 75 per cento degli utili nei paesi possessori di materie prime? Le strategie imprenditoriali e i comportamenti aziendali dell'ENI e delle sue consociate in Africa o in Sudamerica, in Nigeria o in Venezuela, in Algeria o in Russia, segnano e qualificano, in positivo o in negativo, le scelte geopolitiche dell'Italia nel mondo. Non credo che l'immagine dell'Italia ci guadagni, quando i dirigenti ENI dichiarano (leggo da il Corriere della Sera del 14 maggio): «noi non cederemo ai ricatti del Governo venezuelano», a proposito della legittima e giustificata volontà del Venezuela di ripristinare piena potestà e libertà d'uso delle proprie risorse naturali. Non è solo una questione politica, che consiglia le compagnie multinazionali che operano nei paesi fornitori di materie prima a favorire gli interessi delle comunità ospitanti.
Anche in Nigeria serve, quindi, una svolta. È necessario voltare pagina. Il nuovo Governo nigeriano - insediatosi con elezioni inattendibili, non avendo avuto la conferma da parte degli osservatori internazionali - aveva suscitato speranze e aspettative anche tra le varie organizzazioni della guerriglia - il Mend (il Movimento per l'emancipazione del Delta), il Joint revolution council, i giovani dell'etnia ijaw - ma la rottura della tregua annunciata l'altro ieri non fa sperare nulla di buono. Serve che il Governo italiano compia dei passi per il riconoscimento politico dei movimenti che da trent'anni lottano per il riconoscimento del debito ecologico maturato nei confronti delle compagnie petrolifere e per la piena sovranità delle popolazioni locali sui loro territori. È necessario avviare un percorso politico di rinegoziazione e ripacificazione dell'area e, per farlo, è necessario dare la disponibilità, pratica e di principio, all'azzeramento e alla moratoria delle attività di estrazione. Servono gesti distensivi. È necessario superare la percezione, che le popolazioni hanno, di una presenza straniera colonialista e predatoria.
Del resto, il loro sviluppo economico e la loro emancipazione da una situazione di miseria - stiamo parlando del paese più popoloso dell'Africa - è l'unica condizione vera, anche per raggiungere uno sviluppo equilibrato nel mondo intero, per evitare migrazioni ed esodi, profughi ambientali e rifugiati in fuga dalle guerre locali. È davvero miope pensare, in un mondo globalizzato ed interconnesso, di poter diventare ricchi noi, portando al nord e in Occidente il petrolio e il gas, magari con l'aiuto delle più sofisticate e costose tecniche di trasporto criogenico, lasciando impoverite le popolazioni autoctone.
È troppo stridente, credetemi, anche per i nigeriani che non sono potuti andare a scuola, vedere prendere la via del mare e dell'esportazione due milioni e mezzo di barili al giorno - tale è la produzione complessiva della Nigeria - e poi non avere la benzina per alimentare il gruppo elettrogeno del proprio villaggio. Voi lo accettereste, noi lo accetteremmo? E se qualcuno di loro tenta di seguire la via del petrolio e del gas, noi li fermiamo e diciamo: il tuo petrolio lo vogliamo, ci serve, ma di te non sappiamo cosa farcene.
Sono molto contento dell'aumento delle disponibilità finanziarie che con il DPEF, signori del Governo, avete stanziato per la cooperazione internazionale, specie in direzione dell'Africa. Tuttavia, mi chiedo, c'è qualche coerente coordinamento tra le azioni politiche del Governo dei diversi dicasteri?
C'è un vecchio motto, che si racconta tra chi fa cooperazione allo sviluppo internazionale, che dice: ad un povero non regalare un pesce, ma una canna da pesca. Vandana Shiva, una biologa indiana grande esperta delle economie di sussistenza, ha perfezionato il concetto, e haPag. 60detto: per aiutare i paesi poveri sarebbe sufficiente che i paesi ricchi la smettessero di pescare tutti i pesci del mare.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Franco Danieli, ha facoltà di rispondere.
FRANCO DANIELI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, risponderò in maniera articolata all'interpellanza dell'onorevole Cacciari, per cercare di fornire risposte puntuali ai quesiti che ha posto e alle preoccupazioni che ha sollevato.
I frequenti sequestri di dipendenti delle società petrolifere e gli assalti armati alle installazioni dell'ENI nella regione del Delta del Niger sono da sempre seguiti con la massima attenzione dal Governo italiano e costituiscono un tema centrale nei rapporti con le autorità nigeriane.
A seguito degli episodi di sequestro dei nostri connazionali, abbiano intrattenuto intensi contatti con l'ex Presidente della Repubblica nigeriana, Obasanjo. Lo stesso Presidente del Consiglio, Prodi, ha incontrato il Presidente nigeriano in occasione del vertice dell'Unione africana, ad Addis Abeba nel gennaio scorso, e successivamente in marzo, durante una visita di Obasanjo a Roma, a margine di un evento organizzato dalla FAO.
Anche il Ministro D'Alema e chi vi parla hanno ripetutamente sensibilizzato l'ex Presidente Obasanjo sulla questione. Da ultimo, negli incontri a margine del vertice del G8 del 6-8 giugno avuti dal Presidente del Consiglio, vi è stato il colloquio con il neoeletto Presidente nigeriano Yar'Adua, incentrato soprattutto sulle sfide che attendono quest'ultimo sul piano sia politico che economico, con particolare riferimento alla grave situazione in cui versa il Delta. Yar'Adua ha voluto, a questo riguardo, non solo fornire le più ampie dichiarazioni di impegno, aggiungendo che il Delta è al primo posto tra le priorità del suo Governo, ma anche soffermarsi sulla strategia che sta impostando, basata sul dialogo con tutti gli stakeholders e sulla creazione di un indispensabile clima di fiducia reciproca.
In tutte queste occasioni non abbiamo mancato di sensibilizzare le autorità nigeriane al fine di indurle ad intensificare gli interventi a favore delle popolazioni del Delta del Niger, sostenendone l'emancipazione mediante un'effettiva partecipazione ai vantaggi derivanti dall'estrazione del petrolio, di cui quest'area è ricca e da cui la popolazione riceve pochissimi ricavi.
Secondo quanto è stato riferito dall'ENI, la sua filosofia per l'attività estrattiva in Nigeria è stata, fin dagli anni Settanta, quella di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni indigene, offrendo la possibilità alle comunità di svilupparsi attraverso un processo di auto-sostentamento costantemente supportato, fornendo le risorse e gli strumenti essenziali quali la disponibilità di energia elettrica e la relativa distribuzione, know-out e tecnologia per i prodotti agricoli. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, l'ENI, attraverso la sua consociata NAOC, ha avviato una politica di sostegno alle comunità locali, nell'ottica di ridurre la loro dipendenza dal petrolio e creare le condizioni necessarie per l'auto-sostentamento nel più lungo periodo.
Allo stesso rispetto per le popolazioni locali si ispirano anche le nuove linee guida sulla politica di sicurezza che l'azienda ha emanato nel 2004. Tali linee richiamano la necessità di gestire il rischio in maniera responsabile, attraverso la diffusione interna di un adeguato livello di consapevolezza, specifiche attività di prevenzione attiva e passiva e la formazione del personale addetto alla vigilanza. Queste linee di condotta estendono l'insieme di principi e norme di comportamento aziendali alle forze di sicurezza che svolgono attività di tutela dei dipendenti e del patrimonio aziendale. E proprio per formalizzare il loro carattere cogente, i principi e i criteri applicativi della politica di sicurezza della società vengono sempre inseriti in tutti i contratti con i fornitori.
Quanto alla lunga e dettagliata lista di domande che l'onorevole interpellante pone sulla dinamica dell'assalto alla flow station (stazione di pompaggio) Agip di Ogboinbiri del 17 giugno scorso, faccioPag. 61notare che, in molti casi, si tratta di quesiti a cui può rispondere la sola azienda. Riporterò, comunque, gli elementi che abbiamo chiesto e che sono pervenuti al Ministero degli affari esteri, anche in virtù dei consolidati rapporti di collaborazione e del regolare scambio di informazioni esistenti con l'ENI.
Per quanto riguarda la prima domanda, sulle norme di sicurezza adottate dall'ENI in Nigeria, la società ci segnala che tutte le sue installazioni sono protette con recinzioni parziali o totali perimetrali e con sistemi anti-intrusione di tipo passivo (filo spinato). È presente, inoltre, un servizio di guardia privata non armata, normalmente impiegato per la gestione del controllo degli accessi, sotto contratto dell'impresa (la consociata NAOC). La sorveglianza armata, invece, viene curata dal Governo federale, che impiega esercito e marina, stabilendo il numero di risorse da utilizzare e le regole di ingaggio.
Al momento dell'attacco del 17 giugno erano presenti nell'impianto cinquantuno militari, tutti assegnati dal Governo federale nigeriano. Com'è il caso per tutti i distaccamenti militari assegnati alla difesa di impianti petroliferi, essi non rispondevano in alcun modo, da quanto ci è stato segnalato dall'ENI, a funzioni della società, ma rispondevano agli ordini di comandanti militari alle dirette dipendenze dei diversi ministeri. Al momento dell'attacco sono giunti dieci uomini armati a bordo di un'imbarcazione. Nel corso dell'occupazione il numero degli aggressori armati è arrivato ad essere pari a cinquanta. Dopo un breve scambio di colpi d'arma da fuoco (gli aggressori hanno aperto il fuoco per primi), quarantasette soldati sono fuggiti insieme ad alcuni operatori. Lo scambio di colpi d'arma da fuoco durante l'attacco dimostra come l'assalto fosse stato pianificato con l'obiettivo di condurre un attacco armato finalizzato a prendere il controllo dell'impianto e non un'occupazione pacifica.
Come accaduto in altri casi, i miliziani hanno attaccato l'installazione petrolifera e ne hanno preso il controllo per poi avanzare richieste al Governo federale per il rilascio degli impianti. Non conosciamo, ad oggi, le ragioni della permanenza degli assalitori nella stazione, che sembrerebbero collegate al protrarsi dei negoziati fra gli occupanti e le autorità locali.
Il 18 giugno ultimo scorso vi è stata una telefonata tra le autorità dello Stato del Bayelsa ed il management NAOC, nel corso della quale l'ENI si è dichiarata contraria all'uso della forza, per non mettere a rischio l'incolumità dei propri lavoratori. Le autorità hanno assicurato l'impegno a cercare una soluzione pacifica e negoziata della vicenda.
L'esercito nigeriano ha tuttavia deciso, dopo cinque giorni di trattative, di entrare in azione e liberare gli ostaggi. Lo scontro a fuoco sarebbe durato, secondo quanto ci viene comunicato dall'ENI, circa quattro ore, durante le quali gli occupanti hanno opposto soltanto una debole resistenza. Non conosciamo il dato relativo alle vittime tra i militari, pertanto il bilancio definitivo degli scontri non è noto. Gli ostaggi liberati sono nove. Altri due sono rimasti uccisi poiché utilizzati dagli occupanti come copertura per la propria fuga. Buona parte degli operatori e dei minatori erano infatti riusciti a scappare al momento dell'attacco. Nei giorni seguenti, si è potuto verificare che, con la fuga dei quarantasette militari e dei tredici operatori, erano rimasti nella flow station quattro militari e undici operatori.
Quanto all'impatto che hanno avuto le azioni armate e i sequestri di personale sulla produzione petrolifera dell'ENI in Nigeria, l'azienda ci comunica che la NAOC ha dovuto attualmente chiudere quattro flow station, tutte nella zona delle paludi, con una perdita di produzione giornaliera pari a 53 mila barili (di cui in quota ENI circa novemila barili).
Nell'ambito dei futuri contatti con il Governo nigeriano, non si mancherà, ad ogni modo, di continuare a tenere presente la questione del Delta del Niger, anche al fine di sollecitare una riflessione, nell'ambito del nuovo programma di Governo, sui modi migliori per assicurare le indispensabili condizioni di sicurezza degli impianti delle compagnie petrolifere e dellePag. 62attività delle società italiane che vi operano, che non sono solo società petrolifere, poiché ve ne sono molte altre che lavorano in diversi settori.
Voglio dire in maniera molto chiara all'onorevole Cacciari che una sicurezza può essere assicurata in maniera stabile soltanto con un approccio integrato che consenta un'effettiva partecipazione delle popolazioni locali ai vantaggi derivanti dall'estrazione del petrolio ed una riduzione dei forti contrasti sociali ed economici che caratterizzano la regione.
PRESIDENTE. Il deputato Cacciari ha facoltà di replicare.
PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, ho cinque minuti?
PRESIDENTE. Ha dieci minuti di tempo per replicare.
PAOLO CACCIARI. Intanto ringrazio molto il Viceministro Danieli per il suo sforzo di ricostruzione di una vicenda avvenuta in una terra così lontana e così, evidentemente, poco trasparente, non solo per questioni di nebbie estuariali, ma anche per difficoltà di comunicazioni ufficiali. Evidentemente, fatti così gravi non riescono ad essere nemmeno monitorati ufficialmente dalle autorità locali, ivi compreso il riconoscimento dei cadaveri. In quell'area la situazione è davvero instabile, per usare un eufemismo.
Spero, peraltro, che il Viceministro Danieli abbia capito le intenzioni delle nostre continue sollecitazioni al Governo.
Chiederemo al Governo di fare qualcosa di più; in particolare, di non fare, per così dire, il portavoce dell'ENI che, pur essendo una grande multinazionale, una compagnia dello Stato, non è propriamente il corpo consolare, e, conseguentemente, non deve e non può rappresentare l'Italia in quel Paese.
Sono convinto che l'attività diplomatica svolta dal nostro Governo con le autorità nigeriane - i contatti in corso, da quanto ci è stato riferito, tra il nostro Governo e quello nigeriano, in particolare tra il precedente e l'attuale Presidente della Nigeria - sia improntata alla massima serietà e al tentativo di garantire davvero un Governo più responsabile della vita delle popolazioni del Delta.
Anch'io penso che, per esempio, la scelta del nuovo Presidente, il neoeletto Presidente Yar'Adua, di nominare come vicepresidente Goodluck Jonathan, che è di etnia ijaw, la principale etnia tra le popolazioni del Delta, rappresenti un segno di dialogo per quel territorio. Credo però che tutto ciò non basti, non sia sufficiente, soprattutto mi preoccupa un po' questa delega - mi lasci dire - alla nostra compagnia di bandiera petrolifera.
Le cose che ci ha riferito sinteticamente e che la compagnia scrive nei suoi programmi non mi convincono. Mi lasci fare un conto banale, ragionieristico: i costi che l'ENI - e quando parlo dell'ENI mi riferisco anche alle quattro compagnie sorelle, che stanno sfruttando i giacimenti fossili nel Delta del Niger - sostiene per la protezione armata e le misure di security, ma soprattutto, in termini di mancata produzione, sulle previsioni di sfruttamento, sono giganteschi. Ho fatto qualche conto: le previsioni autorizzate in quota all'ENI sono pari a 150 mila barili al giorno; dopo la recrudescenza degli scontri armati - e lei me lo confermava - l'estrazione di petrolio stenta ad arrivare a 100 mila barili al giorno.
Ho fatto qualche ulteriore conto: se anche fossero, come lei riferisce, 50 mila i barili in meno che vengono estratti, rispetto a quelli autorizzati all'ENI dal Governo nigeriano, si tratta, al prezzo di 65 dollari al barile, di 3 miliardi e 250 milioni di dollari al giorno di mancato sfruttamento, a causa di questioni che attengono alla sicurezza; somma che è molto di più delle royalties che l'ENI deve pagare allo Stato.
Mi chiedo, anche da un punto di vista meramente contabile, se non sarebbe meglio impiegare queste somme per concordare e co-progettare con la comunità locale interventi a sostegno dell'economia locale. Non mi si venga a dire che l'ENI sta già facendo molto: il programma sull'agricolturaPag. 63che lei ricordava, signor Viceministro, il Green River Project, un programma agricolo integrato, avviato vent'anni fa, è costato quanto la perdita di petrolio di sette giorni, cioè 17 milioni di dollari in 20 anni: sono meno delle briciole, questi aiuti che l'ENI fornisce, mentre è particolarmente antipatico che l'ENI contabilizzi, tra le opere gratuite svolte a fin di bene, il progetto Zero Gas Fleming, per l'eliminazione in atmosfera del gas relativo al combustibile a torce associato al petrolio estratto dai giacimenti.
Tale progetto è stato inserito nei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e permetterà all'ENI di accedere al mercato delle autorizzazioni di emissioni di CO2, consentendole di conseguire un altro bel gruzzolo di quattrini da mettere nel proprio bilancio. Ancora più insopportabile è la propaganda che l'ENI fa dei progetti di difesa della costa contro l'erosione senza tener conto che la subsidenza è provocata proprio dagli emungimenti che compiono le compagnie petrolifere.
Signor Viceministro, ritengo davvero che l'ENI vada convocata, vada messa a un tavolo della cooperazione internazionale e che si miri ad un approccio integrato per far sì che quelle che l'ENI porrà in essere in termini di sviluppo locale, di accompagnamento e di facilitazione dello sviluppo locale possano essere politiche riconosciute davvero come tali.
Quello che conta non è ciò che viene scritto sui giornali, nelle pagine di propaganda dell'ENI, ma quello che viene recepito dalle popolazioni locali. Dato che oggi le popolazioni locali non avvertono questa magnanimità dell'Italia, ma anzi recepiscono un messaggio di colonialismo, di sfruttamento, di depredazione, bisogna compiere un rovesciamento dell'immagine e ciò non può essere compiuto dall'ENI stessa ma deve essere realizzato dal Governo italiano, dalla politica: lo dobbiamo fare noi. Dobbiamo forse accettare quell'invito che varie organizzazioni hanno fatto di creare una commissione indipendente che verifichi la situazione, i livelli di inquinamento, le condizioni di sicurezza, i piani di bonifica, i rapporti di amicizia con le comunità locali, compresi i rapporti informali con le comunità e i villaggi tribali che contano forse di più dei rapporti formali con il Governo federale.
Tutto ciò rappresenta un lavoro politico che andrebbe impostato dal Governo e non dalla nostra azienda di Stato.
(Iniziative per la liberazione di Padre Bossi - n. 2-00641)
PRESIDENTE. Il deputato Turco ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00641, concernente iniziative per la liberazione di Padre Bossi (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, Viceministro Danieli, la mia è un'interpellanza sostanzialmente di servizio perché le critiche che hanno investito il Governo - vedremo in base alla sua risposta se siano state ingenerose o meno - sono nel metodo del tutto improponibili.
È stata addirittura messa in discussione la libertà religiosa del nostro Paese che nulla a che vedere con quella che è l'iniziativa governativa, con l'impegno del Governo, ma che è stata utilizzata strumentalmente per fare polemica politica.
Pensavamo che quanto avvenuto quando abbiamo presentato la nostra interpellanza - il 3 luglio - fosse di per sé già grave. Quello che leggiamo oggi nella nostra rassegna stampa, in particolare, quanto riportato su Famiglia Cristiana è un qualcosa che merita una risposta chiara e diretta da parte del Governo.
Signor Viceministro, desidero leggerle alcuni passaggi dell'articolo il cui titolo è: «Ma anche Padre Bossi è cittadino d'Italia». Riporta Famiglia Cristiana: «Il silenzio totale sulla sorte di Padre Bossi, in quest'Italia che si è appassionata ad altri sequestri a diverse latitudini. Non c'è stata alcuna riunione del Governo per padre Giancarlo, non c'è stato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha convocato un vertice segreto. Il sottosegretario si chiama Enrico Letta, nipote di un altro ex sottosegretario, Gianni, che si era dannatoPag. 64per i ragazzi che vendevano servizi in armi rapiti nell'Iraq del dopo Saddam Hussein, per le due Simone, per Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto liberata dal capo dei nostri 007, Nicola Calipari, poi ammazzato dagli americani sulla via verso l'aeroporto di Baghdad.
«Non si è mossa la Croce rossa, invece si sono mosse polemiche ed allora il Governo ha deciso di accogliere la disponibilità dell'ex sottosegretario per gli affari esteri, Margherita Boniver, a recarsi nelle Filippine, come fosse un'azione di volontariato. Perché mobilitare servizi segreti e spendere denaro per ottenere la liberazione? Perché cercare di capire che cosa sta accadendo in una provincia lontana, persa nel mar della Cina? Tipo tosto, padre Giancarlo, aiutava la gente con il Vangelo sotto braccio. Troppo per l'entusiasmo di D'Alema, che in occasione del sequestro di Daniele Mastrogiacomo ha messo in pista il miglior mediatore sulla piazza afghana»?
Tutto ciò leggiamo oggi su Famiglia Cristiana. Credo, quindi, che il Governo debba rispondere a due domande: la prima è quella che abbiamo già formulato nell'interpellanza, ovverosia quali iniziative intende adottare, o ha adottato, per la liberazione di padre Bossi. La seconda come intende reagire a queste accuse, se le ritiene infamanti.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Franco Danieli, ha facoltà di rispondere.
FRANCO DANIELI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Turco per l'opportunità offerta con questa, da lui definita, «interpellanza di servizio». Risponderò, pertanto, in maniera puntuale.
Padre Giancarlo Bossi, del Pontificio istituto missioni estere, è stato rapito a Zamboanga City, domenica 10 giugno, mentre si recava a celebrare messa in un vicino villaggio. Non si tratta purtroppo del primo missionario italiano rapito a Mindanao: negli ultimi dieci anni la stessa sorte è toccata a padre Benedetti, rapito per tre mesi - sottolineo tre mesi - nel 1998, e a padre Pierantoni rapito per sei mesi - sottolineo sei mesi - nel 2001.
La zona in cui è stato rapito il sacerdote è considerata da anni ad alto rischio ed è fortemente sconsigliata dalla Farnesina, anche sulla base delle verifiche effettuate in loco dall'unità di crisi, ma è evidente che i missionari del PIME non potevano fare diversamente, ed hanno sempre scelto di far prevalere lo spirito di servizio - così come altre categorie di cittadini italiani che sono all'estero quali ad esempio i giornalisti - e non hanno mai abbandonato l'area, come ha fatto padre Bossi, continuando ad esercitare la sua missione.
Come il Governo ha avuto modo di segnalare già nell'informativa urgente dello scorso 13 giugno - voglio sottolineare lo scorso 13 giugno - in questa aula tramite il sottoscritto, a distanza di tre giorni dal rapimento, la Farnesina ha mantenuto fin dai primissimi momenti del sequestro contatti regolari con le autorità dello Stato della Città del Vaticano, e direttamente anche con il PIME, per assicurare piena collaborazione ed assistenza per la soluzione della vicenda.
Tanto l'unità di crisi a Roma quanto la nostra ambasciata a Manila, che è in contatto con il Nunzio apostolico in loco, monsignor Filoni, che anch'io ho personalmente sentito, si sono adoperate da allora per mantenere un costante flusso di informazione nei due sensi, tenendo la famiglia di padre Bossi costantemente informata su tutti gli sviluppi.
Rinvio per ragioni di brevità, soprattutto per quanto concerne l'analisi socio-politica, alla mia risposta del 13 giugno.
Sul piano diplomatico contiamo sulla fattiva collaborazione delle autorità filippine a cui abbiamo chiesto fin dal primo momento di adottare tutte le possibili iniziative per la soluzione pacifica del caso, evitando azioni che potessero compromettere l'incolumità dell'ostaggio. La nostra priorità in tutti i casi di sequestro di concittadini è tutelare l'incolumità degli ostaggi, come peraltro ribadito in un ordinePag. 65del giorno, presentato nell'aula del Senato pochi giorni fa ed accolto dal Governo italiano.
Il Governo filippino ha confermato il massimo impegno ed ha informato la nostra ambasciata sugli sviluppi del caso e sulle iniziative che vengono promosse, a livello sia centrale, sia di autorità locale, per identificare i responsabili ed eventualmente conoscere le rivendicazioni per la liberazione di padre Bossi. Il nostro ambasciatore a Manila si è recato a Mindanao per verificare direttamente la situazione con le autorità in loco e per assicurare che vengano attuate tutte le possibili iniziative per una soluzione pacifica del caso.
Nonostante quanto riferito da alcuni organi di stampa, al momento non si conosce la matrice del sequestro né sono pervenute alle autorità filippine, al PIME o all'Italia rivendicazioni o richieste di riscatto. Sono comunque attentamente vagliate e verificate tutte le informazioni che pervengono da diverse fonti.
Continuiamo, quindi, a non escludere nessuna pista, né la matrice criminale-estorsiva, né quella fondamentalista al-quaedista, che potrebbe essere ricondotta al gruppo estremista Abu Sayaf, né la possibilità di un passaggio di mano dell'ostaggio tra i gruppi attivi nell'isola. Con la discrezione e la riservatezza necessarie a non compromettere gli sforzi attualmente in corso, il Governo continua con determinazione a lavorare in stretto coordinamento con il PIME, le autorità filippine per la liberazione di padre Bossi. Questo è un atteggiamento doveroso, analogo a quello che il Governo ha tenuto, tiene e terrà in ogni caso analogo, senza fare distinzioni tra persone, ruoli e luoghi e sempre privilegiando l'obiettivo prioritario, che è quello di salvare una vita umana.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,45)
FRANCO DANIELI, Viceministro degli affari esteri. Anche ieri il Vicepresidente del consiglio e Ministro degli esteri Massimo D'Alema ha presieduto alla Farnesina un'ulteriore riunione operativa, a cui hanno preso parte, tra gli altri, il padre superiore del PIME, padre Giambattista Zanchi, il segretario generale del PIME, padre Giuliano Mariani, per fare il punto sulla vicenda e concordare ulteriori iniziative.
Il Governo, inoltre, ha accolto con apprezzamento, in ragione dei consolidati rapporti maturati negli anni passati, in qualche caso anche di amicizia personale, la disponibilità dell'onorevole Boniver a recarsi nelle Filippine per contatti con le autorità locali.
La missione dell'onorevole Boniver, accompagnata da funzionari dell'unità di crisi e dell'ambasciata a Manila, è attualmente in corso e auspichiamo che nell'ambito delle iniziative promosse dal Governo per la liberazione di padre Bossi possa contribuire anch'essa ad aprire la strada per una soluzione rapida e positiva della vicenda.
PRESIDENTE. L'onorevole Turco ha facoltà di replicare.
MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, a mio avviso l'informazione fornita è completa, ma lo era già il 13 giugno. Evidentemente qualcosa in questo Paese, signor Viceministro, non funziona: innanzitutto non funziona l'informazione pubblica.
Penso che sia intollerabile assistere con passività e rassegnazione a quanto accade abitualmente e quotidianamente in questo Paese per quello che riguarda il diritto dei cittadini ad essere informati, che arriva addirittura all'assurdo di colpire il Governo del Paese.
Ho provato tristezza nel leggere il comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri con cui chiedeva aiuto ai mezzi di informazione, soprattutto a non strumentalizzare - e direi quasi criminalizzare - l'opera del Governo, che lei, attraverso le sue parole in quest'aula, aveva reso pubblica il 13 giugno. Noi invece - ho appena letto un editoriale di questa mattina - ci troviamo ancora inPag. 66una campagna, che non può che far male, innanzitutto, a padre Bossi.
Mi auguro che l'informazione pubblica di questo Paese rinunci magari alla centesima puntata sul delitto di Cogne e informi i cittadini su ciò che il Governo sta facendo e sulla vicenda di padre Bossi.
(Rinvio dell'interpellanza urgente La Russa n. 2-00606)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente La Russa n. 2-00606, concernente orientamenti del Governo sull'unificazione degli enti previdenziali, è rinviato ad altra seduta.
(Rispetto dei diritti umani dei migranti da parte dei Paesi di provenienza e transito che ricevono finanziamenti dall'Unione europea - n. 2-00623)
PRESIDENTE. L'onorevole Frias ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00623, concernente il rispetto dei diritti umani dei migranti da parte dei Paesi di provenienza e transito che ricevono finanziamenti dall'Unione Europea (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica per la mia interpellanza n. 2-00623.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, con riferimento al tema trattato nell'interpellanza presentata dall'onorevole Frias voglio ribadire i sentimenti di cordoglio del Governo italiano per tutti coloro i quali, nei giorni scorsi, hanno perduto la vita nel disperato tentativo di raggiungere clandestinamente le coste siciliane. Sono eventi che riportano drammaticamente l'accento sui profili umanitari di un'emergenza, che coinvolge evidentemente non solo l'Italia, ma anche l'Europa nel suo complesso.
Il Governo italiano è impegnato ad assicurare una gestione efficace e rigorosa dei flussi migratori nel pieno rispetto delle regole, nonché dei diritti e delle tutele fondamentali da garantire a tutti gli immigrati. Si tratta di obiettivi che fanno parte di un unico disegno, che mira a tutelare e difendere i diritti e la dignità personale dei migranti attraverso la prevenzione di tutte quelle situazioni e circostanze, che possono indurre il degrado delle loro condizioni di vita ovvero favorirne lo sfruttamento, il coinvolgimento nell'illegalità o l'esposizione a manifestazioni di intolleranza o razzismo.
Assicuro che l'azione dell'autorità italiana è costantemente orientata al rispetto dei diritti umani dei migranti e dei potenziali richiedenti asilo, sia nelle attività in mare sia in quelle a terra, di accoglienza, di identificazione e, ove previsto, di allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri.
Ben il 78 per cento delle imbarcazioni con clandestini a bordo giunte in Italia sono state soccorse in mare nell'ambito di specifiche operazioni search and rescue, condotte in piena conformità alle fonti normative vigenti nella materia del soccorso e salvataggio in mare, dal Codice della navigazione alla legge n. 147 del 1989 di ratifica della Convenzione internazionale di Amburgo sul soccorso marittimo.
Un dato significativo riguarda il numero di persone tratte in salvo dalle unità navali della Marina militare, dalle Capitanerie di porto e dalle forze di polizia, che nei soli primi sei mesi di quest'anno è stato di oltre 3.700 unità.
Quanto alla partecipazione alle iniziative intraprese dall'Agenzia europea delle frontiere, Frontex, ricordo che si tratta di impegni assunti a livello internazionale nell'ottica di una strategia coordinata e sistematica per governare il fenomeno immigratorio.Pag. 67
Gli Stati membri dell'Unione europea si sono dati l'obiettivo di incrementare il livello di sorveglianza dei confini meridionali dell'Unione, mediante la messa in opera di una rete di pattugliamenti europea, che non prevede in nessun caso il respingimento del natante intercettato in acque internazionali.
L'Italia ha partecipato alla totalità delle iniziative assunte dall'Agenzia per la gestione del fenomeno migratorio nella regione mediterranea, fornendo un contributo di rilievo assoluto nella realizzazione delle operazioni congiunte dei progetti pilota elaborati per il rafforzamento dei controlli e della vigilanza delle frontiere marittime.
In particolare l'Italia ha partecipato all'elaborazione del rapporto di analisi sulla situazione dei flussi di immigrazione illegale in provenienza dall'Africa, con specifico riferimento alla Libia ed al Marocco, presentato a cura dell'agenzia alla Commissione.
Inoltre ha partecipato allo studio di fattibilità per il monitoraggio e la sorveglianza delle coste del Mediterraneo - noto come MEDSEA - affidato ad un ristretto gruppo di esperti italiani, francesi, spagnoli e greci per istituire una rete in grado di assicurare lo scambio continuativo delle informazioni e l'effettivo coordinamento delle operazioni tra le autorità centrali degli Stati membri, responsabili della sorveglianza delle frontiere marittime e del contrasto dell'immigrazione via mare.
Ha partecipato ancora alle operazioni congiunte di Frontex allo scopo di intensificare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di contrasto dei flussi di migrazione clandestina via mare. L'Italia ha offerto un supporto importante alle operazioni svolte nei porti spagnoli di Tarifa, Algeciras, Almeria e Alicante per il controllo dei passeggeri in transito presso quegli scali nonché alle operazioni di pattugliamento marittimo e aereo svolte al largo delle acque senegalesi per far fronte ai flussi migratori illegali che hanno interessato le isole Canarie. Esperti italiani in materia di identificazione sono stati inviati per tre mesi a Tenerife, al fine di supportare le autorità spagnole nell'espletamento delle procedure volte all'identificazione dei clandestini appena sbarcati o trattenuti nei locali centri di accoglienza. Analogo supporto è stato offerto anche a favore delle autorità maltesi nella scorsa stagione estiva.
Il nostro Paese ha partecipato infine alle operazioni Nautilus e Poseidon, con le quali è stato realizzato un esercizio di pattugliamento aeronavale congiunto nel Mediterraneo centrale, con mezzi italiani, maltesi, francesi e tedeschi per il contrasto dei flussi migratori illegali provenienti dalle coste libiche, nonché un esercizio di vigilanza congiunta dei porti greci ed italiani a contrasto dei casi di immigrazione clandestina rilevati a bordo dei traghetti che collegano Italia e Grecia.
Queste iniziative, nella generalità dei casi, si traducono in azioni di ricerca e salvataggio a cura delle unità navali, civili e militari, poiché la salvaguardia della vita umana a mare costituisce il principio assoluto e prevalente a cui viene improntata tale attività.
Purtroppo la precarietà delle imbarcazioni utilizzate per il trasporto dei clandestini dalle coste africane non consente una navigazione in sicurezza per il numero eccessivo di clandestini, che esse di volta in volta contengono rispetto alla loro effettiva capacità recettiva. La scarsità del carburante, le frequenti avarie dei motori, l'avversità delle condizioni meteo-marine e il deterioramento delle condizioni di salute degli imbarcati impongono alle autorità competenti il salvataggio dei migranti, il loro accompagnamento sulla terraferma e la somministrazione delle cure necessarie.
Gli stranieri che sbarcano sulle coste italiane ottengono immediata assistenza medica, beni di prima necessità e sostegno di altro genere; hanno la possibilità di illustrare la propria situazione personale e far conoscere eventuali persecuzioni sofferte nel Paese di origine e richiedere asilo politico.
Sottolineo l'attenzione che questo Governo ha rivolto al tema delle condizioni di vivibilità e assistenza all'interno deiPag. 68centri di accoglienza e di permanenza temporanea. Le indicazioni offerte dal lavoro della Commissione De Mistura - come sanno anche gli interpellanti - sono state raccolte in un disegno di legge delega, che il Governo ha varato e di cui le Camere inizieranno prossimamente l'esame.
In attesa della revisione dell'attuale normativa si è ritenuto, comunque necessario adottare subito alcuni importanti provvedimenti per migliorare la qualità dell'accoglienza e dell'assistenza dei centri per immigrati.
Il 24 aprile scorso il Ministro, con una direttiva, ha disposto la chiusura di alcuni centri di permanenza temporanea e assistenza (Brindisi, Crotone e Ragusa) e contestualmente ha affidato al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione il compito di predisporre uno specifico studio sulle restanti strutture, al fine di valutare ulteriori soppressioni, nonché di procedere all'eventuale riqualificazione anche in funzione di una diversa missione istituzionale delle strutture esistenti.
Inoltre, per quanto riguarda il miglioramento dei servizi di assistenza ed orientamento legale dei migranti ospiti dei centri di accoglienza e di permanenza temporanea attualmente operativi, ricordo che il 28 dicembre del 2006 è stata stipulata un'apposita Convenzione con il Cies (Centro di informazione ed educazione allo sviluppo) per un progetto pilota per la mediazione linguistico-culturale nei centri di accoglienza ed identificazione di Foggia, Crotone e Caltanissetta, già operativo dal mese di aprile 2007.
In data 7 giugno 2007 sono state sottoscritte le Convenzioni bilaterali, che prorogano a tutto il 1o marzo 2008 il rapporto di fattiva collaborazione con l'OIM, l'ACNUR e la Croce rossa italiana, che operano presso il centro di Lampedusa.
Altre iniziative di informazione sono state avviate presso il centro di Bologna, con uno sportello informativo in collaborazione con l'Ufficio del garante per i diritti delle persone private della libertà, e presso il Centro di accoglienza di Crotone, ove si sta attuando il progetto «Integrarsi», in collaborazione con CIR ed ANCI.
Gli interpellanti hanno posto infine il delicato problema della tutela dei diritti umani nei Paesi africani di transito dei migranti. Con riferimento alla Libia voglio richiamare la risposta che ha dato il 15 giugno, in aula, il sottosegretario di Stato per gli affari esteri ad un'interrogazione dell'onorevole De Zulueta. La Libia, effettivamente, come ricorda l'onorevole Frias, non è parte della Convenzione del 1951 sui rifugiati, quindi non sono applicabili in quel Paese le garanzie che derivano da quella Convenzione. Questo comporta maggiori difficoltà anche per l'ACNUR, non essendovi un obbligo giuridico di quel Paese a consentire l'accesso ai centri dove sono trattenuti i rifugiati.
Ricordo anche che la Libia ha ratificato la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana del 1969, che a sua volta riconosce quella dell'ONU, e nel 2002 è stata presidente di turno della Commissione delle Nazioni unite per il rispetto dei diritti umani.
Lo stesso Ministero degli affari esteri ha ricordato che la Libia è parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici della Convenzione contro la tortura ed altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, di cui non ha ratificato il protocollo opzionale.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 19)
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Nel Paese, inoltre, è entrata recentemente in vigore la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.
Devo precisarle, onorevole Frias, che con la Libia non è stato - fino ad oggi - stipulato alcun accordo di riammissione, ma è in atto un proficuo rapporto di reciproca collaborazione ai fini del contenimento dell'immigrazione dall'Africa subsahariana, collaborazione che sin dal 2004 si è estrinsecata anche con cooperazioniPag. 69di polizia, con scambi di risorse informative e investigative, nonché con iniziative comuni in materia di formazione ed addestramento delle forze di polizia.
Per quanto riguarda in particolare i centri in Libia che ha citato nella sua interpellanza, le preciso che la struttura di Gharyan, già ultimata e consegnata, è destinata a scuola per l'addestramento e la formazione degli allievi agenti della polizia libica, nell'ambito dei rapporti di collaborazione delle forze di polizia.
Il centro di Kufra, i cui lavori non sono ancora iniziati, sarà destinato a centro sanitario di frontiera ma non vi è al momento alcuna previsione di realizzare un centro a Sebha. Inoltre, proprio alla luce di alcuni recenti incidenti, è stata avviata una discussione in ambito europeo sulla possibilità di migliorare l'assistenza umanitaria in mare in un quadro di partenariato con gli Stati terzi e di solidarietà europea.
Le garantisco, insomma, come già detto precedentemente anche dal Ministero degli affari esteri, che il Governo italiano si adopererà sempre affinché i rifugiati, da qualunque Paese provengano, vengano messi al riparo da rischi di trattamenti inumani o degradanti.
PRESIDENTE. La deputata Frias ha facoltà di replicare.
MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Lucidi per la risposta così esaustiva. Mi dichiaro parzialmente soddisfatta, perché penso che nella sostanza sulle dichiarazioni possiamo essere d'accordo con quanto ha affermato il sottosegretario; ci sono però delle questioni, dei numeri, degli esseri umani, delle persone e dei costi che mi fanno essere un po' meno soddisfatta della risposta.
Come ben diceva, l'Unione europea si è data - inseriamo ora l'Italia nel suo contesto europeo - come priorità il contrasto all'immigrazione clandestina. C'è il terzo pilastro, relativo alla cooperazione di polizia, su tutto ciò che riguarda la lotta alla cosiddetta immigrazione clandestina. Per questo l'Unione europea si è dotata di quegli strumenti, che lei ci riferiva e fra questi c'è l'agenzia Frontex per la gestione delle frontiere esterne all'Unione.
Il lavoro della Frontex, con tutto quello che lei ci ha già spiegato, e che non ripeto ha dato i suoi risultati, nel senso che soprattutto nel primo semestre del 2007 gli sbarchi di persone che arrivano dai Paesi africani e asiatici sono diminuiti del 25 per cento. Questo dato, dal punto di vista della missione dell'agenzia e dell'obiettivo dell'Unione europa, è interessante ed importante.
Il problema che abbiamo posto è il seguente: a quale costo è stata ottenuta questa diminuzione degli sbarchi, che fanno tanto effetto quando si verificano? Vi sono due questioni fondamentali: una è quella relativa ai morti in mare e nel deserto, l'altra alla attività di respingimento, con tutto quello che implicano in termini di salvaguardia dei diritti umani e delle persone che sono espulse non verso i propri Paesi, ma verso quelli di transito. Ci si pone un pesante interrogativo.
Rispetto alla data di presentazione della nostra interpellanza, purtroppo ci troviamo a dover aggiornare, peggiorandoli, i dati delle morti nel Mediterraneo: non sono più i 9.121 scritti nell'interpellanza, perché oggi sono 9.222 dal 1988. In questa prima parte dell'anno c'è stato un aumento vertiginoso dei morti in mare e dei dispersi, anche rispetto all'anno scorso. Abbiamo le cifre: sono 249 in questi primi mesi dell'anno, rispetto ai 306 dell'intero anno scorso. Sono numeri impressionanti che vogliono dire tanto. Non è giusto, per la storia e per il percorso di ognuna di queste persone, riferire tutto ai numeri, ma anche questi parlano.
L'attività di contrasto alla cosiddetta immigrazione clandestina è una guerra, è la guerra all'immigrazione clandestina, che fa vittime e le vittime sono le persone che cercano di scappare dalle situazioni in cui sono ridotte - tutti lo sappiamo - per quello squilibrio esistente fra una parte del mondo e l'altra. Penso sia un fattoPag. 70assai naturale che qualcuno si voglia spostare verso i luoghi dove si consuma la ricchezza.
I morti in mare nell'ultimo mese comprendono non soltanto uomini, ma anche donne e bambini: 154 morti nel solo mese di giugno. Devo comunque dare atto dell'attività di salvataggio che sia la Marina costiera italiana, sia alcuni pescatori svolgono sistematicamente e costantemente nei confronti di persone che si trovano in pericolo. Ovviamente il mio ringraziamento è per tutti costoro. Ci sono altri però che, con il pretesto che probabilmente quelle persone portano delle armi oppure delle malattie, non svolgono neanche tale attività di salvataggio.
Per quanto riguarda poi l'attività di respingimento, lei faceva riferimento al Nautilus II: bisognerebbe capire dove finiranno le persone intercettate attraverso tali operazioni della SAR, che lei ci ha citato prima.
In Libia, dal settembre 2006, 12 mila persone sono state respinte in mare o arrestate perché si trovavano sul territorio libico senza documenti nell'attesa di prendere l'imbarcazione per venire in Italia.
Le organizzazioni umanitarie - a partire dall'Osservatorio sui diritti umani dell'ACNUR e l'osservatorio Fortress Europe, che svolge un lavoro di monitoraggio - e molti studiosi che stanno controllando il problema, denunciano una situazione di violazione sistematica degli elementari diritti umani. Lo sappiamo: la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti delle persone richiedenti asilo, né tanto meno rispetta i diritti di coloro i quali comunque provengono da luoghi di guerra.
Cosa accade, dunque, in Libia a queste persone secondo tali organizzazioni e secondo gli stessi dati ufficiali della Libia, che sono pubblici? Molte vengono rimpatriate e lascio ad ognuno di noi riflettere su cosa vuol dire essere rimpatriati in Paesi quali il Sudan, l'Etiopia o l'Eritrea e cosa significhi, per la vita delle persone, la violazione delle elementari norme del diritto internazionale quale è la Convenzione di Ginevra. Altri vengono accompagnati alla frontiera, ma essere accompagnati alla frontiera in Libia significa essere spinti verso il deserto: dunque, non si sa dove vadano a finire costoro. Ciò si aggiunge poi alle innumerevoli persone che si trovano nei tre centri secondo i dati ufficiali.
Desidero citare, a proposito del respingimento verso il deserto, alcune parole pronunciate dal prefetto Alessandro Pansa nel corso di un'audizione nel 2003: «Molti dei clandestini giunti in Libia non sono organizzati, cioè non hanno pagato un trafficante per condurli in quel Paese per poi sbarcare in Italia. Si tratta di soggetti che arrivano in maniera drammatica e temo che il numero dei decessi imputabili alla traversata del deserto sia superiore a quello dovuto al viaggio in mare». Dunque i dati che non siamo neppure tenuti a conoscere sono quelli dei morti nel deserto, che possiamo solo immaginare, mentre possiamo avere i dati di coloro che periscono in mare.
Il rapporto della missione tecnica dell'Unione europea in Libia del 2004 afferma che, fra il 2003 e il 2005 (cioè fino alla stesura del rapporto), l'Italia finanzia i centri di trattenimento della Libia. Si tratta di accordi che non sono mai stati resi pubblici, ma queste informazioni sono ufficiali. Tutto ciò significa che non si vuole avere i CPT in Italia, perché sono brutti e perché costituiscono una lesione alla Costituzione, poiché sono carcerazioni in assenza di reato; ma se li si sposta un poco più a sud, allora sono un po' più digeribili ed igienici.
Credo che debba riguardare l'Italia, il Governo italiano e ciascuno di noi la sorte di quelle persone che, nel tentativo di arrivare nel nostro Paese, vengono rinchiuse in luoghi come quelli di cui ho parlato, nei quali non abbiamo alcuna garanzia che venga rispettato un minimo di diritto.
Vi sono naturalmente anche tutti gli altri Paesi che, se non altro, hanno sottoscritto accordi di cooperazione di polizia con l'Unione europea e con i Paesi europei, quali il Marocco, il Senegal o la Mauritania, dove la situazione è moltoPag. 71simile a quella della Libia per quanto riguarda i respingimenti verso il deserto.
Si tratta di una catastrofe di cui sarebbe necessario che ci rendessimo conto: dovremmo avere una maggiore sensibilità rispetto al dramma costituito da questa situazione, comprendendo soprattutto che stiamo parlando di persone e che nessuno lascia il proprio Paese in quelle condizioni di precarietà per venire a divertirsi.
Credo che la questione degli ingressi clandestini vada affrontata, ma non ad un costo così elevato in termini di vite umane. Il Ministro Amato, rispondendo ad un'interrogazione presentata da un collega, tracciava poco fa la distinzione fra gli atti delittuosi delle persone regolari e di quelle irregolari.
Capisco cosa abbia voluto dire il Ministro Amato, ma credo che questa distinzione tra buoni e cattivi non ci aiuti a capire esattamente la portata del problema.
Poniamo mente, per inciso, ad un dato. Quando si opera una sanatoria - che rappresenta, storicamente, l'unico modo di regolarizzare la situazione in Italia -, chi oggi è un clandestino, da un giorno all'altro, con la sanatoria, diventa regolare. Credo che per spiegare tale situazione occorra qualcos'altro e che non bastino i dati sulla percentuale degli immigrati in carcere.
Sappiamo, infatti, che vi è un eccesso del ricorso alla carcerazione per quanto riguarda gli immigrati, che le minoranze, in tutti i Paesi industrializzati, sono sovrarappresentate nelle carceri (consideriamo, ad esempio, gli Stati Uniti, ma anche tutti gli altri Paesi) e che hanno molta più difficoltà ad usufruire delle misure alternative al carcere e via dicendo. Il 65 per cento di coloro che si trovano in carcere sono in attesa di giudizio e tale percentuale risulta invertita quando si parla degli italiani.
Bisogna, allora, utilizzare i dati e lavorare su quello che, effettivamente, rappresenta un problema per tutti, compresi gli stessi immigrati, ossia il fatto che vi sia un numero così elevato di persone che si trova a delinquere, operando la dovuta analisi di tali cifre. Altrimenti, la percezione che il mondo ci stia crollando addosso - nonostante i dati della stessa polizia, per quanto riguarda la questione dei reati, indichino che così non è - finisce per alimentare un certo atteggiamento che non fa altro che sviluppare di nuovo la xenofobia e il razzismo.
Torno - e concludo - sulla questione del Frontex. Del resto, signor sottosegretario, anche lei si è dilungata un po'. Frontex costa ai contribuenti europei 45 milioni di euro per il 2007, dei quali il 16 per cento è destinato ad attività operative, mentre il 30 per cento ad attività amministrative. Tra le attività operative - il 16 per cento del costo - sono previste ventisei operazioni aeroportuali, terrestri eccetera e, di queste, quattro concernono le frontiere marittime. Consideriamo, allora, quanto, dal punto di vista dei costi, questa agenzia grava su tutti i contribuenti che risiedono nel territorio europeo e quanto, effettivamente, essa risolve i problemi.
Infine, sulla questione - che lei ricordava - relativa al salvataggio, il vicedirettore di Frontex, in una sessione del Parlamento europeo, ha affermato che Frontex non è un corpo di salvataggio (ciò non rientra tra i suoi compiti), ma che, evidentemente, se durante un'operazione ci si trova davanti ad una barca in pericolo, le unità agiranno di conseguenza, fermo restando che questo non è il suo fine né il suo mandato e dubitando che ciò faccia parte anche delle competenze dell'Unione europea. Ma allora - mi chiedo - quali sono le competenze dell'Unione europea per quanto riguarda le vite di tutte queste persone?
(Iniziative per omologare la carriera del ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria a quella delle altre forze di polizia di ordinamento civile - n. 2-00596)
PRESIDENTE. Il deputato Allasia ha facoltà di illustrare l'interpellanza Maroni n. 2-00596, concernente iniziative per omologare la carriera del ruolo direttivoPag. 72ordinario del Corpo di polizia penitenziaria a quella delle altre forze di polizia di ordinamento civile (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmatario.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, sarò molto breve. L'interpellanza che abbiamo presentato nasce dal decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, che istituisce il ruolo direttivo ordinario del Corpo della polizia penitenziaria, articolato in qualifiche con ordini gerarchici e livelli analoghi a quelli del corrispondente ruolo dei commissari della Polizia di Stato.
Successivamente, vi sono stati altri riordini della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato, mentre nessun riordino è avvenuto per il ruolo direttivo ordinario del Corpo della polizia penitenziaria, determinando una sperequazione tra forze di polizia ad ordinamento civile. Attualmente i funzionari di polizia del ruolo direttivo ordinario dell'amministrazione penitenziaria sono penalizzati rispetto ai colleghi della Polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato.
Interpelliamo il Ministro, alla luce di quanto descritto nell'interpellanza stessa, per sapere se egli sia intenzionato ad intervenire nelle appropriate sedi al fine di riallineare la carriera del ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria a quella dell'omologo ruolo delle altre forze di polizia ad ordinamento civile, annullando così la sperequazione tra i vari corpi.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Alberto Maritati, ha facoltà di rispondere.
ALBERTO MARITATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza urgente posso comunicare che la questione del riallineamento della carriera del ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria a quello di altre forze di polizia è stato oggetto nel passato, com'è noto, di diverse proposte legislative, le quali non hanno avuto però alcun esito. Rispetto a tali proposte l'amministrazione, comunque, si è sempre espressa favorevolmente, condividendo la necessità di eliminare ogni sperequazione giuridica ed economica con le altre forze di polizia. L'argomento costituisce occasione per considerare tutti i progetti riguardanti il riallineamento in un'ottica complessiva di riordino del ruolo direttivo della polizia penitenziaria, nel cui ambito andrebbe considerata anche la posizione dei funzionari del ruolo direttivo speciale.
L'impegno che si intende sviluppare allo stato è diretto ad armonizzare, con un intervento normativo incisivo e articolato, la predetta carriera direttiva, anche attraverso l'unificazione dei ruoli direttivi ordinari e speciali. In tal senso, possiamo assicurare che è in fase di costituzione un gruppo di lavoro che provvederà, in tempi - ci auguriamo - più rapidi possibili, ad elaborare un progetto complessivo di armonizzazione dei ruoli direttivi della polizia penitenziaria con la disciplina prevista per le altre forze di polizia.
PRESIDENTE. Il deputato Allasia ha facoltà di replicare.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, una risposta analoga è stata già comunicata a Roma, qualche mese fa, da parte del Ministro alle parti interessate. Perciò, non posso considerarmi soddisfatto delle comunicazioni rese, essendo trascorsi oramai diversi mesi da quella risposta fumosa e politica che aveva dato il Ministro stesso.
I lavoratori del sistema carcerario stanno aspettando da tempo immemorabile una soluzione concreta e dai tempi certi. Voi, che siete molto partecipi rispetto alle questioni sociali e a favore dei lavoratori, dovreste saperlo benissimo e dovreste accelerare la legislazione in tale materia.
Perciò, ci riteniamo assolutamente insoddisfatti della risposta fumosa e senza tempi certi, perché - lo ripeto - i lavoratori stanno lavorando onestamente e sono considerati ormai alla stessa stregua e con lo stesso sistema di altri corpi.Pag. 73Infatti, in tutti i tavoli di trattativa sono chiamati come gli altri corpi, come la Polizia di Stato e il Corpo forestale. Vi sono delle disparità enormi fra i commissari e i vicecommissari dei vari sistemi, perciò si deve prestare un'attenzione particolare, poiché si tratta di un problema del sistema carcerario che deve essere velocemente risolvibile, dal momento che sono enormi i problemi del sistema giudiziario e soprattutto di quello carcerario italiano.
Pertanto, non è con l'indulto o con le sanatorie che si risolvono i problemi carcerari, ma con leggi appropriate. Ciò potrebbe costituire un buon inizio.
(Procedimento di estradizione di Benedetto Cipriani - n. 2-00637)
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00637, concernente il procedimento di estradizione di Benedetto Cipriani (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Maritati, a ben vedere la vicenda oggetto dell'interpellanza in discussione riguarda la coerenza e la credibilità del nostro Paese per quanto concerne i suoi atti e i suoi rapporti internazionali.
Molti di voi ricorderanno un altro caso, simile a quello in discussione, risalente a 11 anni fa. Si trattava della vicenda di un cittadino italiano. Il suo nome era Pietro Venezia, di origine pugliese; egli era fuggito dagli Stati Uniti dove era accusato di un omicidio ed era riparato in Italia. In quell'occasione, ci fu un lungo braccio di ferro fra le autorità statunitensi e quelle italiane, che alla fine non concessero l'estradizione. In realtà mi riferisco soprattutto a quanto deciso dalla Corte costituzionale, perché le autorità politiche, ossia il Ministero, allora come oggi, concesse invece l'estradizione. Ma, a seguito di una grande mobilitazione da parte nostra e di «Nessuno tocchi Caino» e da parte del senatore - ora scomparso - Alò, di Rifondazione Comunista, che si occupò molto di quel caso, l'estradizione non fu concessa, perché vi fu una sentenza della nostra Corte costituzionale che molti ancora giudicano storica e che ha fatto scuola, non soltanto nel nostro Paese, ma in tutto il mondo.
Il caso in esame è molto simile, anche se formalmente diverso (entreremo poi nello specifico). Si tratta sempre di un cittadino italiano, che è stato accusato, negli Stati Uniti, di un triplice omicidio avvenuto nello Stato del Connecticut, per il quale è stato formalmente incriminato per i reati di omicidio plurimo e conspiracy (associazione finalizzata a commettere omicidi) per cui non è prevista la pena di morte, ma la pena di 60 anni di reclusione. Tuttavia, i suoi complici (secondo l'accusa) sono tre portoricani, e sono stati accusati di capital felony, reato capitale che può comportare la pena di morte e che consiste nello stesso fatto (omicidio plurimo e conspiracy), per il quale è prevista la pena capitale.
Ci si chiede come mai, per lo stesso fatto, vi siano due reati diversi. Forse questa stranezza è spiegabile soltanto con il «caso Venezia». L'Italia non estrada non soltanto negli Stati Uniti, ma in qualsiasi paese del mondo dove sia prevista la pena di morte, quando vi sia il rischio, anche solo teorico, di un'applicazione della pena di morte (non solo di un'esecuzione, ma anche della sola imputazione e applicazione della pena di morte).
Perché allora tale diversa fattispecie di reato per lo stesso fatto? Mi sembra evidente: solo in questo modo le autorità degli Stati Uniti preposte al giudizio possono ottenere da un Paese in cui vi è stata una sentenza così netta e chiara che vieta l'estradizione nei confronti dei paesi che prevedono la pena di morte, un'estradizione altrimenti non ottenibile, cambiando parzialmente il capo di imputazione. Il fatto, tuttavia, è lo stesso.
Ritengo molto probabile - mi rivolgo al rappresentante del Governo e al Ministro della giustizia, Mastella - che, in corso d'opera, l'accusa possa cambiare (conPag. 74un'aggravante, o altro) per cui, una volta sotto giudizio, nelle mani delle autorità americane, possa essere tramutata in capital felony oppure in un'aggravante che possa comportare la pena di morte.
Inoltre, le autorità statunitensi, nelle note che hanno inviato al nostro Ministro della giustizia (immagino per le vie diplomatiche) non hanno mai escluso in modo chiaro e non equivoco tale eventualità. Nelle garanzie ed assicurazioni che hanno fornito hanno sempre richiamato gli impegni, ma non hanno mai escluso che l'imputazione di capital felony o di un'aggravante che possa comportare la pena di morte potesse essere estesa anche al Cipriani, come è stata dall'inizio applicata ai suoi coimputati.
Hanno anzi ammesso che, in base alla legge dello Stato del Connecticut, un concorrente nel reato è penalmente responsabile del delitto come se fosse il reale esecutore, ed hanno aggiunto che la perseguibilità del delitto in questione non è assoggettata a limiti di tempo.
Se capisco bene, può anche significare che per ora non siamo in presenza di quella fattispecie, ma che, non essendo assoggettata a limiti di tempo la perseguibilità del delitto, fra un anno, fra due mesi o fra chissà quanto, l'accusa potrà essere riqualificata.
Così come accaduto nel caso di Pietro Venezia, dopo la Corte d'appello, la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato la Corte d'appello di Roma ha concesso l'estradizione. Infatti, secondo la Corte sussistono le condizioni per l'estradabilità del Cipriani, e si richiamano l'articolo 6 della Costituzione degli Stati Uniti (lo stesso fatto è avvenuto con Pietro Venezia) e il trattato bilaterale tra Italia e Stati Uniti del 1983. La Costituzione degli Stati Uniti stabilisce quello che tutti sappiamo, ovvero che i trattati che gli Stati Uniti firmano con altri paesi formano parte integrante del diritto comune, cioè della federazione, e sono vincolanti per tutti i tribunali degli Stati Uniti, indipendentemente da qualsiasi altra disposizione presente nelle leggi dello Stato. Il trattato bilaterale del 1983 precisa che una persona estradata non può essere detenuta, giudicata o punita all'interno dello Stato che ha richiesto l'estradizione, salvo che per il reato per il quale l'estradizione è stata concessa. Si parla di un reato, però possono esserci fattispecie diverse ed aggravanti.
È, tuttavia, interessante quanto rileva la Corte d'appello. Dopo aver richiamato la Costituzione e il trattato bilaterale, afferma che si deve ritenere - quindi non c'è neanche la certezza - che il Cipriani estradato non sarà giudicato che per omicidio plurimo e associazione, e non già per la fattispecie di capital felony. Tale «si deve ritenere» mi pare che sia tutto fuorché la certezza assoluta. Tale certezza non c'è, neppure in linea teorica.
Se dovessi scommettere un euro oggi, non scommetterei sul fatto che, estradato negli Stati Uniti, Cipriani non sarà condannato a morte. Tuttavia, non è questo in discussione. Infatti, abbiamo una sentenza della Corte costituzionale italiana che considera incostituzionale il sistema delle garanzie sufficienti. Tutto ciò equivale a dire, in termini politici, che la Consulta considera incostituzionale che ci sia un ruolo discrezionale dell'autorità politica, ovvero del Ministro della giustizia, che deve valutare se quello che viene dichiarato dalle autorità degli Stati Uniti è «a prova di bomba», ovvero se sia nell'ordine della certezza assoluta che non sarà irrogata la pena di morte
Il solo fatto che già la Corte d'appello si ponga il dubbio, dicendo che «si deve ritenere» - mi rivolgo al sottosegretario Maritati e, attraverso di lui, al Ministro Mastella - non offre garanzie. Sul punto si è espressa una prima autorità politica, l'allora Ministro della giustizia, Castelli, nel 2005. Poi il Ministro Castelli ha passato la mano, ma a seguito di una sentenza di primo grado della Corte d'appello, di una pronuncia della Cassazione che praticamente l'ha confermata, di una sentenza del TAR, che considera non correttamente e costituzionalmente fondate le ragioni per cui la Corte d'appello e la Corte di cassazione concedono l'estradizione, c'è opposizione del Ministro dellaPag. 75giustizia, poi si pronuncia il Consiglio di Stato. La legge prevede che l'estradizione debba essere eseguita entro quindici giorni dalla sentenza del Consiglio di Stato. Tale termine è trascorso, ma l'estradizione non è stata eseguita. Siamo in presenza di una deroga? Oppure c'è la consapevolezza, anche da parte del Ministro della giustizia, che forse è il caso di soprassedere?
Si configura una situazione nella quale tutto c'è fuorché certezza assoluta, come richiede la Corte costituzionale. Il sistema delle garanzie considerate sufficienti contempla un intervento discrezionale dell'autorità politica, che deve valutare le garanzie che ci giungono dagli Stati Uniti. Tutto ciò ci fa dire che non è assolutamente certo che, una volta estradato negli Stati Uniti, Cipriani sia condannato a pena diversa da quella capitale.
Perché mi riferivo alla coerenza e alla credibilità del nostro Paese, per quanto riguarda i suoi atti e le relazioni internazionali? Per quanto riguarda i suoi atti, il nostro Paese è impegnato in una campagna internazionale, leader riconosciuto nel mondo, per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. In questi 13-14 anni l'Italia non ha fatto nient'altro che proiettare nei rapporti internazionali quello che è un principio acquisito nel diritto interno, vale a dire un «no» assoluto alla pena di morte. Uso spesso il termine «assoluto» non perché sia un fondamentalista, ma perché è la Corte costituzionale che censura il sistema delle garanzie ritenute sufficienti e pone la garanzia «assoluta» come vincolo coerente con il dettato costituzionale e con il diritto alla vita, oltre che con l'articolo 27 della Costituzione, che vieta la pena di morte.
Seppure in teoria, corriamo il rischio di una condanna capitale, proprio noi che siamo il Paese leader della campagna contro la pena di morte nel mondo! Il Governo si assume la responsabilità, seppure teorica, di correre questo rischio? Ebbene, io non lo correrei, per un motivo di cautela e anche di credibilità nei rapporti internazionali.
Si rompe un vincolo con gli Stati Uniti? Si manda in crisi la cooperazione giudiziaria o anche politica con gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti rispettano tutti quei Paesi che operano nel contesto internazionale seguendo la regola prima, che non è quella della fedeltà, ma del rispetto dei propri principi e dei propri valori. Acquisiremmo credito nei confronti degli Stati Uniti se dicessimo che per ragioni di principio, oltre che per il rispetto della legge e della Costituzione, non possiamo accedere alla loro richiesta. Dimostreremmo forza e riceveremmo rispetto da quel Paese.
Pertanto chiedo al sottosegretario Maritati: perché correre questo rischio, perché perdere la credibilità che abbiamo conquistato a livello internazionale, con la nostra lotta per la moratoria? Il Ministro Mastella - la notizia è uscita su tutti i giornali - ha dichiarato ai suoi partner europei, ai ministri della giustizia, e lo abbiamo ringraziato per questo, che siamo impegnati nella lotta contro la pena di morte attraverso la moratoria, ottenendo il loro consenso. Non correrei questo rischio.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Alberto Maritati, ha facoltà di rispondere.
ALBERTO MARITATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta agli onorevoli interpellanti, preciso che il 12 novembre 2005, come è stato ricordato poc'anzi, il Ministro in carica, senatore Roberto Castelli, emise decreto di estradizione nei confronti di Cipriani Benedetto, accusato dalla Corte Superiore di Hardford (Connecticut) di omicidio e di associazione per commettere omicidio.
Nel decreto emesso viene precisato testualmente che, qualora il Cipriani sia condannato, non potrà essere eseguita nei suoi confronti la pena capitale. Contro tale decreto il Cipriani ha proposto numerosi ricorsi ai giudici ordinari ed amministrativi, i quali, tra le molteplici tematiche affrontate, hanno anche valutato - così come ricordato dagli stessi interpellanti e dall'onorevole D'Elia, che ha testé illustrato l'interpellanza - la questione relativaPag. 76all'eventualità che il Cipriani possa essere condannato alla pena capitale. Esauritisi i ricorsi, il decreto di estradizione nei confronti di Cipriani è divenuto esecutivo.
Ciò premesso, devo rilevare che proprio nei giorni scorsi, il 27 giugno, il Ministero della giustizia ha ricevuto una nota dall'ambasciata degli Stati Uniti d'America, in cui il Governo degli Stati Uniti precisa che i reati contestati al Cipriani non sono punibili con la pena di morte e che il Cipriani non corre, in concreto, alcun rischio di condanna a morte nel caso in cui venga estradato negli Stati Uniti. La lettera del Governo statunitense è all'attenzione del Ministro, il quale ne sta vagliando il contenuto. Per quanto attiene alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1996 deve rilevarsi che essa riguarda l'ipotesi in cui la domanda di estradizione sia avanzata per un reato punibile con la pena capitale. La Corte ha escluso che in tal caso l'estradizione possa essere concessa a seguito di «sufficienti assicurazioni» dello Stato richiedente. Nel caso del Cipriani l'estradizione è stata, invece, domandata e concessa per un reato che, per l'ordinamento dello Stato richiedente, non è punibile con la pena di morte.
Va ricordato - proprio a proposito del punto approfondito poc'anzi, ovvero del pericolo che venga mutata la contestazione, anche lasciando inalterato il fatto, quindi con una sorta di aggravante - che, secondo il principio di specialità dell'estradizione, un individuo non può essere giudicato e detenuto per un reato diverso da quello che ha motivato l'estradizione. Dunque, un'eventuale modifica della sola imputazione renderebbe necessario un ulteriore provvedimento concessorio da parte dello Stato italiano.
A proposito della discrezione, che è stata poc'anzi lamentata, da parte del Governo, di valutare la certezza e la fondatezza delle assicurazioni degli Stati o dello Stato richiedente, rilevo che su questo aspetto si sono già pronunciati gli organi giudiziari competenti. Quindi, non credo che si possa parlare, in questo caso, di una forma di discrezionalità, non riconosciuta o non riconoscibile, all'organo politico di Governo, perché l'organo di Governo ha atteso doverosamente che si completasse l'iter giudiziario nell'ambito del quale, sia nell'area amministrativa che in quella ordinaria, è stata proprio vagliata la fondatezza dei presupposti di certezza che il cittadino italiano estradando non possa correre rischi relativi all'esecuzione della pena di morte. Quindi, ritengo che non ci sia il rischio che il Cipriani possa essere condannato alla pena capitale.
Quanto, infine, alla sentenza pronunciata dal TAR del Lazio, devo far presente che la stessa è stata annullata con sentenza del 12 giugno 2007 dal Consiglio di Stato, il quale, pronunciandosi definitivamente, ha respinto il ricorso proposto dal Cipriani. Pertanto dobbiamo prendere in considerazione, per quanto concerne la giustizia amministrativa, la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, e non una sentenza che è stata annullata.
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di replicare.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta, e le ragioni sono espresse nella mia illustrazione. Posso soltanto aggiungere che abbiamo a che fare con il sistema federale degli Stati Uniti. Ho richiamato l'articolo della Costituzione, secondo cui gli Stati federati sono impegnati anche a livello internazionale per il tramite delle autorità federali.
Non sono soddisfatto per le motivazioni con cui è stata avanzata la richiesta di estradizione. Come ho già accennato, la perseguibilità di quei fatti non ha limiti di tempo e, quindi, vi è una ragione per nutrire qualche perplessità. Inoltre, lo stesso Stato del Connecticut ci ricorda che, in base alla sua legge, un concorrente nel reato è penalmente responsabile del delitto come se fosse il reale esecutore. Insisto, dunque, e non so se su tale problema il Parlamento potrà ritornare, ma credo che se è questa la posizione del Governo, dovremo ritornarci, presentandoPag. 77un atto di indirizzo. Il Governo sta facendo a gara, e mi riferisco al Ministro della giustizia, perché non voglio coinvolgere il Governo nella sua totalità, con il precedente Ministro per chi dimostra più fedeltà e lealtà nei confronti dell'alleato americano.
Non va in crisi la cooperazione giudiziaria con quel Paese per una ragione molto semplice: in base al nostro codice penale i fatti di cui Cipriani è imputato negli Stati Uniti possono essere giudicati in Italia, come è successo nel caso di Pietro Venezia, condannato a 23 anni per l'omicidio di cui è stato ritenuto colpevole in Florida. Non vi è, quindi, impunità. Si può perseguire il reato senza correre il rischio che l'esito del processo sia quello fatale di una sentenza capitale. Pertanto, Cipriani verrà processato in Italia e la cooperazione giudiziaria con gli Stati Uniti verrà fatta salva. Gli Stati Uniti coopereranno con le autorità italiane, affinché sia dimostrata la colpevolezza di Cipriani e, quindi, che lo stesso sia condannato in Italia.
Peraltro, nel decreto di estradizione - non so se le risulta sottosegretario Maritati - è posta anche una clausola, che gli Stati Uniti non hanno accettato, in base alla quale Cipriani, una volta condannato negli Stati Uniti, come è successo in altri casi, può ritornare a scontare la pena nel suo Paese di origine. Questo è scritto nel decreto. Gli Stati Uniti hanno accettato questa clausola? A me non risulta. Se non l'hanno accettata, anche questa è una ragione per la quale si può decidere di non concedere l'estradizione.
(Accadimenti verificatisi nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali di Cosenza - n. 2-00619)
PRESIDENTE. Il deputato Mancini ha facoltà di illustrare l'interpellanza Villetti n. 2-00619, concernente accadimenti verificatisi nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali di Cosenza (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8), di cui è cofirmatario.
GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, signori del Governo, in Calabria esiste una grande emergenza democratica. A rendere la situazione drammatica vi è il fatto che in quella regione opera un comitato di affari animato dalla pervicace volontà di depredare le risorse pubbliche, con l'obiettivo di raggiungere lucrosi interessi personali. Questa lobby affaristica è tentacolare, perché viene alimentata da un trasversalismo tra forze di destra e di sinistra, ed è tanto sperimentata e oliata da far risultare poco influente o del tutto ininfluente l'esito elettorale e il passaggio di alcune forze politiche dal ruolo di governo a quello di opposizione.
Questa alleanza trasversale ha operato, signori del Governo, prima, durante e dopo le ultime elezioni comunali di Cosenza, che si sono svolte nella primavera del 2006. Oggi attraverso questa interpellanza, firmata dal presidente del gruppo de La Rosa nel Pugno e sottoscritta da tutti gli appartenenti al gruppo stesso, chiediamo al Governo di sapere se apparati dello Stato, in particolare settori delle forze dell'ordine e della magistratura inquirente, abbiano consapevolmente supportato questa alleanza trasversale.
Signor Presidente, mi potrei fermare qui, rimandando al testo dell'interpellanza, ma i fatti che si sono verificati a Cosenza e in Calabria sono così gravi ed eclatanti che ritengo meritino di essere ricordati in questa aula solenne.
Signor Presidente, il 7 maggio 2006, l'onorevole Nicola Adamo, esponente di spicco del partito dei DS in Calabria, all'inizio della campagna elettorale per le elezioni comunali di Cosenza, partecipando ad una manifestazione, ebbe ad affermare che nelle liste dello SDI vi fossero dei delinquenti, dei gruppi criminali che ostacolavano la crescita della città, attraverso un impegno diretto in politica. Tali affermazioni tanto gravi, gravissime, quanto false, furono nei giorni successivi supportate da alcuni esponenti dello stesso partito dell'onorevole Adamo, cioè i Democratici di Sinistra, ma anche - ecco il trasversalismo - da esponenti del partito di Forza Italia.
La senatrice Maria Burani Procaccini annunziò la presentazione di un'interrogazionePag. 78parlamentare, nei fatti mai presentata, a supporto delle argomentazioni dell'onorevole Adamo. Insieme alla senatrice Burani Procaccini intervenne, a sostegno di quelle tesi, di quelle argomentazioni false, il senatore Antonio Gentile sempre del partito di Forza Italia.
È utile ricordare anche in questa aula che in quella competizione elettorale avrebbe dovuto candidarsi, fino a poche ore dalla presentazione delle liste, alla carica di sindaco per la coalizione della Casa delle libertà il fratello del senatore Antonio Gentile di Forza Italia, l'onorevole Giuseppe Gentile, consigliere regionale che nelle ultime ore decise - il pactum sceleris si intravede già lì, tra settori del centrosinistra e del centrodestra - di ritirare la sua candidatura e di ritirare le liste che erano state predisposte per sostenerla.
Torniamo ai fatti. Denunzie di Adamo: ci sono delinquenti nelle liste del partito dello SDI. Sostegno degli esponenti di Forza Italia. Qualche giorno dopo, rispetto alla vicenda interviene il prefetto dottor Luigi De Sena, il super prefetto, come comunemente viene chiamato in termini giornalistici, che è stato mandato dal Governo, dal nostro Governo a Reggio Calabria all'indomani dell'omicidio dell'onorevole Fortugno per sconfiggere la mafia. De Sena, interrogato dai giornalisti rispetto alla veridicità delle gravissime affermazioni dell'onorevole Adamo affermò: «sono valutazioni di carattere politico, per quanto ci riguarda non abbiamo ravvisato a Cosenza, come nelle altre realtà regionali interessate dalle elezioni, tali emergenze. Non c'è» - affermava perentoriamente De Sena - «un'influenza determinante della 'ndrangheta nelle elezioni».
Nonostante queste affermazioni chiare, chiarissime rilasciate il 9 maggio dal dottor Luigi De Sena presidente - è giusto ricordarlo - della Conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza in Calabria, il 22 maggio del 2006, a soli sei giorni dal voto, un funzionario della Digos si recò negli uffici del comune di Cosenza per sequestrare - così fu detto - le liste elettorali. Lo stesso giorno le televisioni, le radio locali, quelle regionali, i mass media, tutti comunicavano con grande enfasi la notizia, spiegando che l'operazione della Digos era stata ordinata su esplicito mandato a firma della dottoressa Raffaella Sforza sostituto procuratore della DDA di Catanzaro.
In questo scenario si va al voto. Il 22 maggio avviene la perquisizione, il sequestro da parte della Digos, si disse su mandato della dottoressa Raffaella Sforza della DDA di Catanzaro. Il 28 e il 29 maggio si vota in un contesto oggettivamente falsato. Le elezioni non determinano al primo turno il sindaco soltanto per 829 voti; questi sono i fatti! Poi, fortunatamente i fatti - la verità viene presto o tardi a galla - iniziano a chiarirsi. Infatti, il 14 marzo del 2007 il sottosegretario per la giustizia, Li Gotti, interpellato sulla vicenda dall'onorevole Buemi, responsabile nazionale dello SDI per i problemi della giustizia, affermava: «la procura della Repubblica di Catanzaro ha comunicato che il sostituto procuratore Sforza non ha conferito alcuna delega per l'acquisizione di copia delle liste dei candidati al consiglio comunale di Cosenza e che da parte dello stesso ufficio della procura non vi è stata alcuna richiesta di documentazione».
Quindi, la procura di Catanzaro, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro non c'entra affatto e non chiede nulla. Pertanto - ed è questa la richiesta che formulo al Governo - è bene chiarire e sapere, è bene che l'opinione pubblica cosentina, calabrese e nazionale sia informata su ordine di chi, in che forme, e per quali motivi, il funzionario della DIGOS, non avendo ricevuto alcun mandato dalla DDA di Catanzaro, si è recato ad acquisire i nomi dei candidati delle liste elettorali, depositate al comune di Cosenza. Per quale motivo si è deciso di acquisire i predetti nomi con tale clamore, anziché attraverso la semplice lettura delle pubblicazioni affisse sui muri della città?
Perché non sono state tenute nella debita considerazione dalla questura di Cosenza, e dal funzionario che ha operato, le autorevoli dichiarazioni rilasciate dal prefetto Luigi De Sena che smentivano, aPag. 79soli due giorni dalla loro formulazione, le affermazioni, tanto gravi quanto false, dell'onorevole Adamo? Perché la questura, nell'immediatezza dei fatti, non ha smentito la notizia apparsa con tanta evidenza sulla stampa locale, che non si trattava di sequestro e che non aveva ricevuto alcun mandato dalla DDA di Catanzaro, né per sequestrare né per acquisire le liste elettorali? Inoltre, considerato che la notizia dell'intervento della DIGOS fu pubblicata su tutti i mezzi d'informazione, utilizzando le medesime espressioni, quasi le stesse identiche parole, ritengo che il Governo debba chiarire chi fu a divulgare - e per conto di chi - quella che appare essere una velina.
Signor Presidente, signori del Governo, sono questi i fatti, che sono di una gravità inaudita.
Il nostro gruppo ha presentato l'interpellanza urgente in esame, non tanto e non solo per tutelare l'interesse di parte, non tanto e non solo per tutelare l'interesse e l'onorabilità del nostro partito e dei suoi dirigenti, ma per salvaguardare la democrazia. Qui vi è stata una campagna di odio, che è stata la causa di un'azione di funzionari dello Stato, e che ciò sia avvenuto in una regione dove la democrazia è così in pericolo e dove la sensibilità democratica è messa a dura prova e a repentaglio dall'azione devastante della criminalità organizzata, ritengo - signor Presidente - sia di una gravità inaudita. Su tali fatti, signor Presidente e signori del Governo, è doveroso fare piena luce, in tutte le sedi, e soprattutto ritengo che l'opinione pubblica debba essere informata veramente di quanto è successo in quelle elezioni di Cosenza.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Alberto Maritati, ha facoltà di rispondere.
ALBERTO MARITATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, sull'episodio del cosiddetto sequestro delle liste dei candidati all'elezioni comunali di Cosenza, cui si riferiscono gli interpellanti, il questore di quella provincia ha precisato che le notizie riportate dalla stampa si riferivano in realtà non ad un sequestro stricto iure, bensì ad un'attività di verifica che la locale DIGOS ha doverosamente espletato a seguito di denunce di taluni esponenti politici calabresi, pubblicate attraverso gli organi di informazione pochi giorni prima della consultazione elettorale amministrativa del 28 e 29 maggio 2006 e concernenti la presenza nelle liste elettorali di candidati con pregiudizi penali.
Lo stesso questore, nel precisare che non è stata sequestrata alcuna lista, come erroneamente indicato dalla stampa, ha evidenziato come siano stati solamente acquisiti i nominativi di tutti i candidati, peraltro ampiamente noti, essendo le relative liste già da tempo affisse negli appositi spazi, sottolineando che tali verifiche sono state eseguite nel pieno rispetto delle normative vigenti.
Tale ricostruzione corrisponde, del resto, alle notizie che anche il Ministero della giustizia ha già fornito in occasione di altro atto di sindacato ispettivo.
Infatti, in ordine alla circostanza riportata su alcuni organi di stampa secondo la quale l'acquisizione delle liste sarebbe stata disposta su iniziativa dell'autorità giudiziaria e precisamente del sostituto procuratore, dottoressa Rossella Sforza, ricordo che già il 13 marzo scorso in occasione della risposta ad una interrogazione in Commissione dell'onorevole Buemi relativa alla medesima vicenda, il rappresentante del Ministero della giustizia, sentita la procura della Repubblica di Cosenza, aveva chiarito che il predetto sostituto procuratore non aveva conferito alcuna delega per l'acquisizione di copia delle liste dei candidati al consiglio comunale. In quell'occasione è stato precisato che è in corso il procedimento penale n. 835/2005 del registro generale, ma che nell'ambito di questo, nel periodo precedente la consultazione elettorale, non sono state richieste o rilasciate deleghe per l'acquisizione di copia delle liste.
Il Ministero della giustizia ha anche precisato che, nell'ambito del medesimo procedimento o di altri procedimenti, non risulta vi sia stata da parte della procuraPag. 80nessuna richiesta per l'acquisizione della documentazione e che, nella segnalazione di reato e negli allegati, non è contenuto alcun atto che si riferisca alle liste dei candidati.
Sulla base di questi elementi, ritengo plausibile che il risalto dato dalla stampa all'episodio dell'acquisizione degli elenchi dei candidati da parte della DIGOS sia stato amplificato dal clima politico teso che ha contraddistinto la competizione elettorale in quel comune, dove, è bene ricordare, si era verificata l'esclusione delle liste di Alleanza nazionale, poi riammessa dal TAR, e di Forza Italia, circostanza quest'ultima che ha avuto un seguito giudiziario per una denuncia-querela presentata dal candidato sindaco Sergio Bartoletti.
A proposito di quest'ultimo procedimento, relativo ad asserite irregolarità verificatesi presso il comune di Cosenza in occasione della presentazione delle liste dei candidati, il Ministero della giustizia ha peraltro riferito che, da ultimo, il 18 aprile scorso il pubblico ministero ha reiterato la richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari, richiesta alla quale 21 maggio scorso il Bartoletti ha proposto opposizione. La relativa Camera di consiglio è stata fissata dal giudice per le indagini preliminari per il prossimo 4 ottobre.
Proprio in considerazione del clima acceso che, sin da principio, ha contraddistinto la competizione elettorale, convengo peraltro sul fatto che l'iniziativa della DIGOS, valutando meglio il risalto mediatico che ad essa avrebbe potuto essere riservato, probabilmente avrebbe potuto essere condotta con tempi e modalità in grado di assicurare una maggiore discrezione.
Sulla base delle informazioni acquisite presso le autorità locali non risultano tuttavia elementi per sostenere che vi sia stata un'interferenza sullo svolgimento democratico della campagna elettorale, il cui esito, peraltro, ha visto prevalere il candidato Salvatore Perugini con oltre 24 mila voti validi, pari a circa il 54 per cento dei suffragi, con ampio margine, quindi, rispetto al quorum richiesto per l'elezione al primo turno. Per quanto riguarda il merito delle denunce presentate, è doveroso invece rimettersi all'esito dei richiamati procedimenti penali in corso.
PRESIDENTE. Il deputato Mancini ha facoltà di replicare.
GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, sono senza parole. Innanzitutto, mi sia consentito di esprimere un rammarico per il fatto che non sia presente in aula, per rispondere alla nostra interpellanza, il Ministro dell'interno, né i quattro sottosegretari all'interno, dal momento che rientra tra i loro doveri istituzionali anche quello di rispondere alle interpellanze urgenti presentate dai deputati. Il Parlamento non è un «orpello» della democrazia. Dico questo con tutto il rispetto per il senatore Maritati. Tuttavia, signor sottosegretario, nella sua risposta manca il punto centrale.
Se è vero che il clima era «incandescente», immagino che non lo sia stato - lei è un dirigente politico come me - soltanto nel corso delle elezioni comunali di Cosenza, ma ovunque.
Ciò nonostante, la DIGOS non va a sequestrare le liste elettorali perché c'è un clima «incandescente». La DIGOS, signor sottosegretario, a Cosenza non doveva sequestrare le liste elettorali, perché non un dirigente politico, le cui denunce in campagna elettorale possono avere un peso anche condizionato dal clima della stessa, ma un prefetto, un superprefetto, il presidente della Conferenza regionale delle autorità di Pubblica Sicurezza aveva dichiarato in maniera chiara, netta, precisa e puntuale, il giorno dopo la presentazione di quelle denunce, che esse erano false.
Questo è il punto. Ho letto anch'io - lei le ha riportate - le dichiarazioni del questore. Forse ha sbagliato a dare una tale enfasi, che, però, signor sottosegretario, ha influito oggettivamente sull'esito elettorale. Mi consenta di preoccuparmi rispetto all'osservazione che lei ha fatto. L'avvocato Perugini ha vinto del 4 per cento (che rappresenta oltre 800 voti);Pag. 81signor sottosegretario, mi preoccupa molto l'osservazione secondo cui la DIGOS e gli apparati dello Stato possono agire come credono, anche oltrepassando le regole! Signor Presidente, il fondamento della democrazia consiste nel rispetto delle regole e delle leggi! Esse, invece, non sono state rispettate e il loro mancato rispetto ha causato un vulnus nell'esercizio e nell'espressione del libero voto da parte dei cittadini di Cosenza.
Questo è il testo di un articolo riportato sulla stampa locale (Il deputato Mancini mostra una copia di un articolo di giornale): liste in mano alla DDA, la foto dell'onorevole Adamo, quella del sostituto procuratore della Repubblica. Non so, signor Presidente, se esista uno zoom, ma questi sono i titoli e i fatti. Essi meritano una censura, una sanzione nei confronti di chi ha esercitato e ha prodotto una condotta, che ha falsato l'esito democratico.
Signor Presidente, nella sua risposta lei ha fatto riferimento all'interrogazione che anche io avevo citato. Il sottosegretario Li Gotti era stato chiaro e perentorio nell'escludere che la DDA avesse dato mandato al sequestro, tuttavia sosteneva - e lei lo cita - che esiste un procedimento giudiziario, il n. 835 del 2005. Immagino che esisterà il n. 836 del 2005, il n. 837 e così via! Il 2005 è però l'anno che precede la campagna elettorale. Mi vuole spiegare cosa c'entri quel procedimento con la campagna elettorale che si svolge nel 2006? Oggi, signor sottosegretario, siamo nel 2007! Quale fine ha fatto quel procedimento? Sono senza parole!
Ritengo che si sia verificato nelle elezioni comunali di Cosenza un vulnus grave per la democrazia; ritengo, altresì, che il nostro Governo, che conduce - e dovrebbe farlo sempre di più - una lotta alla criminalità organizzata e a tutte le consorterie mafiose, che purtroppo sono presenti nel Mezzogiorno e in Calabria - dovrebbe fare in modo che i suoi funzionari, i suoi servitori, rispettino le regole e diano un buon esempio.
A Cosenza non hanno dato quell'esempio. In qualche modo sottolineo positivamente il tenore della sua risposta, vi scorgo una timida censura, una critica, una sottolineatura negativa di quell'episodio. Questo Governo però, signor sottosegretario, ha il dovere di impedire che ciò avvenga di nuovo e che vi siano condizionamenti così evidenti dell'esito elettorale.
Infine, signor sottosegretario, mi lasci dire che il collegamento tra settori del centrosinistra, settori del centrodestra, azioni della Digos e di apparati dello Stato è veramente inquietante. Se non si lavora per cancellare tali connivenze negative, non ci sarà futuro per Cosenza, per la Calabria e per il Mezzogiorno, perché sarà negata la democrazia, la stessa che è stata cancellata nella vicenda comunale di Cosenza.
Questo è il punto e io ho il dovere di sottolinearlo nell'interesse - concludo come nella mia esposizione - non tanto e non solo dei dirigenti del mio partito, che sono stati infangati ingiustamente, ma nell'interesse dei cittadini che sono stati condizionati nel loro libero esercizio del diritto di voto. Questo è accaduto in Italia nel 2006 a causa di un comportamento negativo che si è verificato e che oggi qui abbiamo accertato.
(Opere infrastrutturali da realizzare in Sicilia con le risorse originariamente destinate alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina - n. 2-00568)
PRESIDENTE. Il deputato La Loggia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00568, concernente opere infrastrutturali da realizzare in Sicilia con le risorse originariamente destinate alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, l'argomento è molto noto non solo a tutta l'Assemblea, ma credo anche a tutti i cittadini siciliani e calabresi e a gran parte dell'opinione pubblica nazionale.
Il Governo ha deciso in maniera, secondo noi, errata di accantonare la realizzazione del ponte sullo stretto di MessinaPag. 82dopo che già erano state ultimate tutte le procedure propedeutiche, compreso l'affidamento dell'opera.
In quell'occasione il Governo affermò che avrebbe destinato le somme previste per la realizzazione del ponte ad altre infrastrutture situate, in particolare, in Sicilia e in Calabria. Appare pertanto doveroso, a distanza di quasi sette mesi, chiedere a quanto ammontano esattamente le somme accantonate, in quale parte nel bilancio dello Stato sono iscritte, quali opere infrastrutturali sono previste e quali sono i tempi di realizzazione.
Saremmo veramente grati di una risposta esauriente su questo argomento.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Antonangelo Casula, ha facoltà di rispondere.
ANTONANGELO CASULA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente n. 2-00568, gli onorevoli La Loggia e Leone pongono alcuni quesiti in ordine alle infrastrutture compensative del ponte sullo stretto di Messina.
Al riguardo si fa presente che l'articolo 2, comma 91, della legge 24 novembre 2006, n. 286, che ha convertito in legge il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (collegato fiscale), ha previsto, tra l'altro, l'abrogazione del precedente vincolo normativo che imponeva all'IRI, ora alla Fintecna, di detenere almeno il 51 per cento del capitale sociale della società Stretto di Messina Spa.
Il comma 92, conformemente alla decisione del Governo di non ritenere la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina un'opera prioritaria, stabilisce che «le risorse finanziarie inerenti agli impegni assunti da Fintecna Spa nei confronti di Stretto di Messina Spa, al fine della realizzazione del collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente, una volta trasferite ad altra società controllata dallo Stato le azioni di Stretto di Messina Spa possedute da Fintecna Spa, sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze ed iscritte, previo versamento in entrata, in due distinti capitoli di spesa del Ministero delle infrastrutture e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare».
Il comma 93 ha disposto, inoltre, che le risorse di cui al comma 92, nel rispetto del principio di addizionalità, siano assegnate per il 90 per cento alla realizzazione di opere infrastrutturali e per il 10 per cento ad interventi a tutela dell'ambiente e della difesa del suolo e che le stesse vengano destinate, per il 70 per cento, ad interventi nella regione Sicilia e, per la restante parte, ad interventi nella regione Calabria.
In attuazione di quanto sancito dalle predette disposizioni legislative, le modalità di utilizzo delle predette risorse dovranno essere stabilite, per la parte relativa agli interventi infrastrutturali, con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con le regioni Sicilia e Calabria, e, per la parte relativa agli interventi in materia ambientale, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con le regioni Sicilia e Calabria.
In data 5 giugno 2007, i consigli di amministrazione di Fintecna Spa e ANAS Spa hanno deliberato il progetto di scissione del ramo di azienda Fintecna costituito dalla partecipazione in Stretto di Messina Spa, con conferimento dello stesso ad ANAS Spa.
Secondo le stime di Fintecna Spa, il ramo d'azienda da scindere sarà costituito dal valore di carico della partecipazione della citata società in Stretto di Messina Spa, dall'attribuzione di mezzi propri di pari importo e dalle altre poste patrimoniali connesse al ramo d'azienda.
Si soggiunge che il giorno 28 giugno 2007 le assemblee di Fintecna Spa e ANAS Spa hanno approvato il progetto di scissione del ramo d'azienda deliberato dai rispettivi consigli d'amministrazione. Dopo il trasferimento delle azioni Fintecna Spa in Stretto di Messina Spa ad ANAS Spa, ai sensi delle citate disposizioni,Pag. 83si procederà al versamento delle risorse finanziarie, impegnate da Fintecna per la realizzazione del progetto, al bilancio dello Stato.
Per quanto concerne, infine, il quesito relativo alle specifiche opere infrastrutturali che si intendono finanziare e realizzare con tali risorse in Sicilia, il Ministero delle infrastrutture ha comunicato di aver avviato un approfondimento istruttorio con le regioni interessate al fine di identificare gli interventi prioritari che potranno essere realizzati con le risorse in questione.
Il confronto istruttorio ai fini della predisposizione degli schemi di accordo preliminare con le regioni Sicilia e Calabria è attualmente in fase conclusiva.
PRESIDENTE. Il deputato La Loggia ha facoltà di replicare.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, oserei dire che sono molto più che insoddisfatto, perché apprendiamo alcune notizie interessanti, sicuramente, ma tutte negative.
Il sottosegretario mi consentirà di affermare - non gliene voglio fare una colpa, ma d'altro canto ha sostanzialmente riferito quello che gli risulta - che ciò che egli ha detto non risponde minimamente alle domande che io gli ho posto.
Ancora alla data di oggi - siamo al 5 luglio -, quanto mai è stato opportuno il rinvio della risposta a questa interpellanza nelle ultime settimane! Abbiamo così potuto apprendere che, proprio in questi ultimi giorni di giugno, vi è stata una serie di trasferimenti di azioni da una società all'altra, da Fintecna all'ANAS e via di seguito. Con riferimento, signor sottosegretario, a che cosa?
La prima domanda è la seguente: a quanto ammontano queste somme? Lei ci ha detto che sono state trasferite delle azioni da qui a lì, ma non ci ha detto per quale valore.
Ci ha detto che queste somme sarebbero state appostate in due specifici capitoli del bilancio dello Stato, ma non ci ha specificato quali; sicché non è possibile sapere a quanto ammonti la somma destinata a tali eventuali opere infrastrutturali. Sono passati più di sei mesi, direi quasi sette, e lei oggi ci ripete che ancora non si è fatto lo studio relativo alla individuazione di quali opere devono essere realizzate con queste somme, il cui ammontare peraltro non si conosce. D'altronde, come si fa a individuare delle opere da realizzare se non si sa su quante disponibilità finanziarie si può contare per poterle realizzare?
Tutto ciò ovviamente avverrà d'intesa - ce ne compiacciamo molto - tra il Governo della Repubblica e quello della regione siciliana, ma io ricordo bene, come penso chiunque potrà ricordare (basta leggere anche i resoconti parlamentari), che si fece riferimento ad alcune specifiche opere, viarie e ferroviarie, quando si parlò dell'accantonamento della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina in quanto, a giudizio di questo Governo, esso non era più da considerare un'opera prioritaria.
Si svolse un amplissimo dibattito, al quale parteciparono eminenti esponenti, al massimo livello dei partiti dell'attuale maggioranza; ricordo i ministri Rutelli, Pecoraro Scanio, Di Pietro, lo stesso Padoa Schioppa, diversi autorevolissimi rappresentanti i quali criticavano l'impostazione del precedente Governo, affermando: «Come è possibile realizzare il ponte di Messina se prima, o quanto meno contestualmente, non vengono realizzate opere strutturali essenziali per poter rendere ancora più utile il collegamento viario e ferroviario tra la Sicilia e il Continente?».
Le opere erano dunque in qualche modo definite, perché le avevamo definite noi, col precedente Governo e le avremmo realizzate esattamente contestualmente alla realizzazione del ponte. Pertanto, la giustificazione che si sarebbe realizzato il ponte senza avere preventivamente o contestualmente realizzato le opere essenziali affinché esso potesse essere utilizzato al massimo della sua potenzialità era già prima un'accusa falsa. Oggi diventa sconvolgente apprendere che ancora si sta studiando quali siano le opere che debbono essere realizzate: erano quelle giàPag. 84individuate! E fu confermato, peraltro, all'interno di quel dibattito, al quale, come ho ricordato, avevano partecipato esponenti di particolare rilievo dell'attuale maggioranza, dell'attuale Governo.
Allora, non c'è niente di vero? Da cittadino e parlamentare siciliano ho il dovere di riferire ai siciliani che non solo non sarà realizzato il ponte, come purtroppo sanno - almeno sino a quando sarà in vita questo Governo, speriamo per poco: certo, se torniamo al Governo noi realizzeremo il ponte, questo è fuori discussione - ma non si hanno neanche certezze su quale sia l'ammontare delle somme disponibili e, soprattutto, su che cosa fare. È francamente sconvolgente apprendere, dopo sette mesi, che siamo non al punto di partenza, ma ancora prima del punto di partenza, anzi peggio. È vero infatti che vi erano delle somme appostate presso le società Fintecna e Ponte di Messina, ma, per ciò che risulta e come peraltro fu molto ben chiarito proprio in quel dibattito in cui noi insistevamo molto perché il Governo, cambiando opinione, si impegnasse nella realizzazione del ponte di Messina (il Governo sa benissimo questo, perché non sono notizie riservate, ma pubbliche: in particolare, lo sanno benissimo il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e tutti quelli interessati alla realizzazione di queste opere), i fondi erano in parte disponibili e in parte avrebbero dovuto essere reperiti sul mercato per la realizzazione di quell'obiettivo.
Non è che tali fondi uscivano dal cassetto di Fintecna ed entravano in quello del Ministero dell'economia e delle finanze per essere immediatamente disponibili per la realizzazione di qualunque opera!
Purtroppo, credo proprio che la situazione sia questa: le sue parole me lo confermano, poiché - lo ripeto ancora una volta e concludo - lei non indica dove sono questi fondi, ma si limita a citare semplicemente taluni capitoli, peraltro non indicando neppure i numeri. Per carità, vi sono bellissime intenzioni. Il 90 per cento dei fondi sarà destinato alle opere e il 10 alla tutela dell'ambiente: proposito ammirevole! Il 70 per cento andrà alla Sicilia e il 30 alla Calabria: ne siamo tutti contenti. Certo, forse sarebbe stato più corretto l'80 e il 20, ma va bene anche così, perché il 70 per cento di zero è zero e il 30 per cento di zero continua ad essere zero. Dunque, considerato che non vi sono fondi, saremo felici e contenti di avere una più ampia percentuale di disponibilità, ma di cosa? Di nulla: poiché, a quanto pare, di disponibile non c'è proprio nulla.
Lei non ci dice nulla neppure per quanto riguarda l'individuazione delle opere da realizzare. La ragione si comprende bene. L'ho già detto e lo ripeto: come si fa ad individuare opere che hanno un costo definito o definibile senza avere le risorse per poterle realizzare?
Signor sottosegretario, la ringrazio molto: lei mi ha fornito spunti notevoli per poter far conoscere ai miei concittadini siciliani e calabresi (ma mi auguro anche a una parte quanto maggiore possibile dell'opinione pubblica nazionale) come - per utilizzare una locuzione che in Parlamento può essere adoperata, anche se fuori sarei sicuramente più esplicito ed utilizzerei forse un'espressione gergale - non si stia facendo altro che prendere in giro i siciliani, i calabresi e il resto dei cittadini italiani.
In proposito, mi lasci dire che forse avreste potuto adoperare un minimo di accortezza in più, anche nell'interesse della vostra maggioranza e del vostro Governo, nel trattare una materia che sapete essere particolarmente sensibile per l'opinione pubblica siciliana, calabrese e dell'intero Mezzogiorno. Avreste potuto mostrare un atteggiamento un poco più serio e consono all'importanza dell'argomento in discussione.
In conclusione, dunque, la ringrazio molto, poiché mi ha dato modo di conoscere ulteriormente sino a qual punto si pretende di prendere in giro il popolo italiano e, in particolare, il popolo siciliano e quello calabrese.
(Disposizioni legislative recanti nuove imposizioni fiscali approvate dal Consiglio regionale della Sardegna - n. 2-00626)
PRESIDENTE. Il deputato Pili ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00626, concernente disposizioni legislative recanti nuove imposizioni fiscali approvate dal Consiglio regionale della Sardegna (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
MAURO PILI. Signor Presidente, visti i tempi trascorsi e considerata la possibilità che il Governo ha avuto di esaminare la mia interpellanza già oltre un mese fa, credo che la risposta che occorre aspettarsi sia autorevole, puntuale e decisiva, a fronte di un tema così delicato e importante, che non riguarda solo la Sardegna ma ha implicazioni su scala nazionale. È infatti evidente che l'argomento di cui stiamo parlando chiama in causa le norme costituzionali e le regole che sovrintendono la gestione dei rapporti fra lo Stato e il regime fiscale delle regioni.
Credo che in proposito sia assolutamente indispensabile - e lo dico al rappresentante del Governo, che ho avuto già modo di ascoltare nel corso della discussione della precedente interrogazione, di oltre un mese fa - un'assunzione di responsabilità da parte del Governo su un tema così importante sul piano non soltanto del rispetto del diritto, ma anche della salvaguardia degli interessi della Sardegna e dei sardi.
Credo che sia possibile per tutti comprendere che questo problema non ha un aspetto meramente politico, ma presenta risvolti che riguardano l'economia: in questi giorni, infatti, si sta riscontrando un calo evidente nella presenza turistica in Sardegna e altri Stati stanno traendo vantaggi da queste imposizioni fiscali e da queste nuove tasse (è il caso, ad esempio, della Francia, che attraverso la Corsica ne trae un diretto beneficio).
Ho il sospetto e la preoccupazione che, ancora una volta, il Governo voglia trincerarsi in una mancata risposta. Dico ciò nel preambolo, illustrando l'interpellanza, per spiegare al rappresentante del Governo che sarà il Governo stesso a scegliere il ruolo che esso intende condurre rispetto a questo tema. Vi sono, al riguardo, quattro fattispecie: la negligenza o la reticenza; si tratta, cioè, di scegliere la negligenza o la reticenza in ordine a questo tema. Ma vi sono anche altre due fattispecie: l'incapacità o la complicità del Governo nel dare risposte compiute.
Sta a lei, signor rappresentante del Governo e al Ministro Lanzillotta, che l'ha autorevolmente delegato a rappresentarla in questa sede, non confondere - e lo voglio sottolineare al Presidente della Camera, per il rispetto che deve essere portato a questa Assemblea - le ragioni di partito e di coalizione con quelle istituzionali e di diritto che regolano i rapporti tra il Governo e, appunto, il Parlamento.
Cercherò brevemente, signor Presidente, di spiegare per quale ragione il Governo non deve continuare a coprire, in maniera reiterata, le illegittimità che si stanno compiendo a mani basse e a piene mani in Sardegna. Se esiste ancora uno Stato di diritto, il Governo ha il dovere di tutelarlo, e se esso deve esistere, ciò serve soprattutto per tutelare gli interessi della Sardegna e dei sardi.
Signor rappresentante del Governo, partiamo da una considerazione dei danni: il deterrente per il turismo. Come dicono anche i vostri compagni di viaggio ed i rappresentanti della vostra stessa coalizione, in Sardegna vi è un deterrente per il turismo che si chiama nuova, pericolosa tassazione per il turismo. Si tratta di un deterrente per il ruolo della Sardegna come isola al centro del Mediterraneo. È, infatti, evidente che la tassazione sulla politica nautica al centro del Mediterraneo e la nuova imposizione fiscale costituiscono un deterrente rispetto alla possibilità di attrarre in Sardegna nuovi traffici e nuove opportunità di sviluppo, anche della nautica.
Quella che vi chiediamo di impugnare è, anche, una legge contro gli emigrati sardi: per la prima volta, nella storia autonomistica, la regione propone di trattarePag. 86gli emigrati sardi alla stregua di qualsiasi viandante che ritorna in Sardegna. Ciò non è accettabile! Se il Governo dovesse legittimarlo, coprendo una illegittimità palese, ne sarebbe complice a tutti gli effetti.
Si tratta di un provvedimento che porta la Sardegna verso il dissesto finanziario: un miliardo e mezzo di euro risultano impegnati con le risorse che dovrebbero arrivare - ed uso il condizionale, non a caso - nel 2013-2015; ma tali risorse sono oggi inesistenti, in alcun modo contabilizzabili nel bilancio di competenza del 2007, e ciò per una semplice ragione. Vi è stato, infatti, nell'ultima legge finanziaria un accordo-capestro con il quale lo Stato si è lavato le mani e si è sollevato dalla responsabilità economico-finanziaria e gestionale del più grande costo finanziario della regione, quello della sanità, scaricando su di essa, unico caso tra le regioni autonome, il cento per cento dei costi della sanità e della continuità territoriale. Alla fine, sommando e sottraendo, l'operazione così confezionata rappresenta un'operazione a perdere per la Sardegna e per i sardi.
Vorrei, signor Presidente, provare a spiegare le ragioni per le quali il Governo sarebbe negligente, complice ed incapace, qualora oggi non dovesse dichiarare l'impugnazione di questa legge finanziaria. Utilizzerò, al riguardo, le sole parole che il Consiglio dei Ministri ha impiegato per impugnare la precedente legge che istituiva queste nuove tasse. Quando lei, signor sottosegretario, qualche mese fa ha preannunciato la volontà di disporre per intero dei sessanta giorni, ha sottaciuto, invece, sulla decisione obbligatoriamente già assunta dal Consiglio dei Ministri relativamente ad una fattispecie di tassazioni, guarda caso, uguale a quella oggetto della nostra stessa interpellanza.
Lei sa, signor sottosegretario, cosa è scritto nell'impugnazione del Consiglio dei ministri? Vi è affermato che tali imposte sono illegittime sul piano costituzionale, e tale assunto è stato anche argomentato. Pertanto, se lei oggi sosterrà in questa sede che le leggi regionali non saranno impugnate, ciò è dovuto al fatto che lei farà da paravento, sarà il muro, la copertura del Ministro Lanzillotta, che magari sottobanco tenterà - come ha già fatto - di far passare tutte le illegittimità possibili e immaginabili come operazioni straordinarie, fortunatamente cassate dalla sezione della Sardegna della Corte dei conti, che ha stabilito che si tratta di operazioni illegittime sotto ogni punto di vista.
La ragione della necessità dell'impugnazione risiede solo in un concetto: la Corte costituzionale, richiamata dal Governo nel precedente ricorso, ha sancito che nessuna regione - tanto meno se autonoma, in vista anche della previsione statutaria dell'articolo 8 - può impegnare nuove risorse, e soprattutto non può prescindere dal fatto che la nuova legislazione regionale non è ammissibile perché non esiste un sistema di tributi sostanzialmente governati dalle regioni, ma vi è la possibilità di concretizzare l'articolo 119 della Costituzione solo se è presente una norma attuativa del Parlamento nazionale. Tale disposizione - onorevole sottosegretario, lei dovrebbe saperlo meglio di me - non esiste, non fosse altro perché il Governo, dieci giorni fa, ha licenziato un provvedimento, sul quale discuteremo nei prossimi mesi, assolutamente privo di contenuto, e che certamente dimostra che la Corte costituzionale aveva ragione a dichiarare illegittima qualsiasi nuova tassazione regionale.
Per quale motivo non si dovrebbe impugnare? Ritengo doveroso sottolineare che la Corte costituzionale, fra l'altro, afferma che non si possono desumere i principi fondamentali, per un sistema tributario nuovo, dalle leggi del sistema precedente. Quindi, la risposta, forse affrettata, data qualche settimana fa sulla circostanza che il Governo volesse modificare le stesse norme, non ha nulla a che vedere con la questione. Il Governo affermò, concludendo il suo ricorso, che non era necessario ritornare sui profili di legittimità costituzionale delle singole norme, perché vi è una violazione palese della Costituzione, richiamando appunto gli articoli 119 e 117 della Carta fondamentale.Pag. 87
Quanto al ruolo della Corte dei conti, signor sottosegretario, anche in questo caso vi è un abuso, un'illegittimità, una copertura palese da parte del Ministro per gli affari regionali, che con un'intesa, mai scritta, pronunciata, dichiarata o verbalizzata, ha sostenuto la tesi che si potessero impegnare risorse del 2013, 2014 e 2015 utilizzandole nel bilancio del 2006 e del 2007. Si tratta di una violazione che abbiamo evidenziato in un atto di sindacato ispettivo presentato nel gennaio 2007 e al quale il suo Ministro non ha dato alcuna risposta. In questa occasione mi permetto di far rilevare al Presidente della Camera la negligenza - e sottolineo tale termine - del Governo, che manca di rispetto a questa Assemblea e ai parlamentari che esercitano la funzione di sindacato ispettivo. Anche in quell'atto era denunciato che si assisteva ad una violazione palese del principio di veridicità del bilancio.
Signor sottosegretario, la sezione della Sardegna della Corte dei conti, tre giorni fa, ha emesso - per quanto ci riguarda - una sentenza di condanna, perché ha sostanzialmente sancito che la norma contrasta con il parametro costituzionale dell'annualità del bilancio e dell'obbligo di copertura attuale di ogni legge di spesa. Pertanto, finanziare leggi di spesa nell'esercizio corrente con entrate non attuali ma future non realizza l'obbligo della copertura, e quindi vi è una palese illegittimità costituzionale.
Signor sottosegretario, signor Presidente, credo che sia assolutamente palese il fatto che la sezione della Sardegna della Corte dei conti ha affermato che il bilancio e la legge finanziaria devono essere impugnati dinanzi alla Corte costituzionale.
Pensate cosa potrebbe accadere se, in tutte le regioni italiane, senza delimitazione di tempi, si potessero impegnare le risorse del 2020, 2030 o 2040 a discrezione del governatore maggiormente riluttante al rispetto delle leggi. Credo che ciò sia la dimostrazione della mancanza del fondamentale principio del rispetto costituzionale e, nel caso di specie, di un danno economico alla Sardegna e ai sardi del quale il Governo nazionale rischia di diventare complice, insieme a quello regionale.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, il problema cui ha fatto riferimento l'onorevole Pili, come ho già avuto modo di esporre nella seduta dell'Assemblea del 7 giugno, e anche come altri rappresentanti del Governo hanno illustrato presso la V Commissione (Bilancio) della Camera il 14 giugno, riveste una particolare delicatezza, per la quale le diverse amministrazioni coinvolte stanno operando i consueti approfondimenti per consentire, nei tempi previsti dall'ordinamento, una corretta ed efficace valutazione dei fatti da parte del Consiglio dei ministri.
D'altronde, onorevole Pili, nella gestione della cosa pubblica, vi sono questioni (come quella da lei sollevata), di particolare rilevanza e complessità tecnica, finanziaria e costituzionale, che inevitabilmente richiedono tempi di approfondimento, in ragione dei quali lo stesso legislatore ha accordato un periodo di sessanta giorni. Non è un caso che vi sia tale termine di fronte a questioni così complesse. Si tratta, infatti, di una materia complessa, che necessita di dovuti approfondimenti tecnico-giuridici, poiché riguarda i profili relativi al principio di uguaglianza tra i cittadini.
Peraltro - ciò mi permette di dissentire da alcune previsioni negative e, per certi versi, catastrofistiche, contenute nell'interpellanza in esame, relative ai flussi di turismo in Sardegna - non ci risulta che, al di là dei profili di legittimità per i quali abbiamo sessanta giorni di tempo per decidere, la tassa sugli aeromobili o su altri beni di rilievo abbia determinato un calo del turismo nella regione Sardegna; anzi, ci risultano dati di crescita, comePag. 88nella vicina Corsica. Pertanto, a nostro avviso, non vi sono motivi tali per cui bisogna affrettarsi, nelle prossime ore, per l'eventuale ricorso dinanzi alla Corte costituzionale, che peraltro non escludo. È inoltre opportuno rilevare che, a partire dallo scorso anno, sono state assunte tutte le iniziative nei confronti della regione Sardegna, come osservato dall'interpellante, tese a ricondurre le disposizioni in questione nell'ambito della legittimità costituzionale.
Segnalo, infine, per completezza di informazione, che la regione Sardegna ha fornito anche motivazioni, quali, ad esempio, quelle sui beni ambientali e sull'uso per fini privati dell'ambiente, che è un bene pubblico scarso e limitato, dimostrando quindi una volontà di tutelare l'ambiente, al di là della cogenza delle leggi poi effettivamente varate. Vi era dunque una ratio anche in alcuni provvedimenti, i quali devono essere attentamente valutati prima di assumere una determinazione.
In ogni caso, come avevo sottolineato anche nella risposta precedente, l'interpellanza rappresenta un'utile sollecitazione, ma torno a chiedere agli onorevoli interpellanti di rispettare i tempi di legge previsti (sessanta giorni). Non essendovi ragioni di straordinaria urgenza, è necessario rispettare i tempi di legge a disposizione per poter prendere precisi, adeguati ed informati provvedimenti di merito.
PRESIDENTE. Il deputato Pili ha facoltà di replicare.
MAURO PILI. Signor Presidente, credo che chiunque possa comprendere la mia totale e convinta insoddisfazione. Una risposta confusa, priva di rispetto per il Parlamento, del rispetto che il Governo dovrebbe avere per interpellanze puntuali e, soprattutto, priva del rispetto nei confronti di se stesso. Il Governo, fornendo tale risposta, dimostra che, quando ha impugnato la norma sulle tasse un anno fa, lo ha fatto a cuor leggero, senza approfondire, senza dare a quell'impugnativa la dimostrazione, che deve essere palese, di rispettare le norme. Come è stato possibile che un anno fa le stesse norme siano state impugnate? Non è cambiata una virgola!
Non so dove il sottosegretario si sia inventato l'utilizzo delle risorse in chiave ambientale. È un'invenzione forse giunta telefonicamente da qualche sprovveduto della Sardegna. Non è assolutamente accettabile che possano arrivare stoltezze di una tale portata in un'aula parlamentare. La superficialità o vi è oggi o vi era prima! Il Governo, da questo punto di vista, è responsabile! Sono convinto che i sessanta giorni servano all'Esecutivo per cercare di capire come può uscire dall'impasse di considerare il Parlamento una sezione di partito anziché un luogo istituzionale, e di considerare il Governo il luogo dove si esaminano tali questioni al di sopra delle parti, nell'interesse, soprattutto, in questo caso, del rispetto del diritto. In questa situazione avete dimostrato non solo di non rispettare il diritto, ma anche di voler tergiversare, prendere tempo e fornire argomentazioni assolutamente destituite di fondamento.
Il Governo nella risposta ha sostenuto che sta operando per dare agli uffici la possibilità di esaminare la complessità tecnica e costituzionale della questione. Ma come è possibile che la Corte dei conti, un organismo che sovrintende alla regolarità e alla verifica dei conti pubblici, abbia, molto prima del Governo, deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale il provvedimento, che riguarda l'imputazione di 3 mila miliardi delle vecchie lire? Non stiamo parlando di minuzie, ma di 3 mila miliardi delle vecchie lire, utilizzati nella competenza del 2007 a valere sul 2013, 2014 e 2015! Ma in quale altro Stato europeo, in quale altra regione italiana, sarebbe consentita una simile violazione costituzionale? Da nessuna parte! Forse avete interessi politici e di parte da tutelare, a scapito degli interessi costituzionali e del rispetto del diritto.
Lei ha dichiarato che risultano dati in crescita sul turismo. Non so con chi abbiate parlato. Vi è stata tre giorni fa unaPag. 89conferenza stampa degli operatori turistici della Sardegna settentrionale, che è l'area più sviluppata dal punto di vista del turismo, i quali hanno sostenuto che vi è un allarme rosso per le presenze in Sardegna. Tutti i dati che arrivano dall'osservatorio regionale della presidenza della regione sono destituiti di fondamento. Sarebbe illogico sostenere che più tasse ci sono e più viene la gente! Sono, onorevole sottosegretario, argomentazioni talmente banali e ridicole, poco credibili, che non possono essere accettate e che debbono essere respinte. Non credo che sia assolutamente accettabile un ulteriore rinvio.
Sappia che vigileremo ora per ora sul comportamento del Governo. Quell'atto che il Ministro Lanzillotta ha accettato, relativamente all'operazione straordinaria del 2006 che è stata poi reiterata nel bilancio 2007 costituisce un'operazione pilatesca. Il Governo si sta macchiando di una visione pilatesca, se ne lava le mani facendo finta di non vedere, creando le condizioni per attribuire alla Sardegna una sorta di azione franca del governo regionale, ai danni dei sardi e della Sardegna.
Non so se lei abbia contezza di quante seconde case in Sardegna sono di proprietà degli emigrati, vale a dire dei figli di quella terra che hanno rimandato in Sardegna e in Italia i sacrifici di una vita e che oggi questo governo regionale, con la complicità di quello nazionale, vorrebbe tassare. Non so se lei sia a conoscenza di questo, forse nella telefonata con la Sardegna non gli è stato riferito. Probabilmente era meglio che il Governo utilizzasse i sessanta giorni per riguardare quanto ha già scritto, proseguendo in quella logica che ha animato la precedente decisione, vale a dire tenere conto del diritto e del rispetto delle norme costituzionali.
Oggi il Governo è complice, oggi con le sue parole ha dimostrato di essere complice. Il Governo Prodi copre le malefatte costituzionali del governo regionale, e credo che siamo di fronte realmente ad una negazione del diritto e al mancato rispetto della sovranità del Parlamento, che meritava maggiore considerazione da parte del Governo su un tema così delicato che riguarda non le parti politiche e i partiti, ma gli interessi delle nostre comunità.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.