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TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI ROBERTO ULIVI, FRANCESCO MARIA AMORUSO, PEPPE DE CRISTOFARO, FRANCESCO PAOLO LUCCHESE E DANIELE GALLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 2849
ROBERTO ULIVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi fa molto piacere intervenire in quanto quello della sicurezza sul lavoro è un tema che interessa da sempre la mia parte politica; non dimentichiamo infatti che il senatore Tofani è il presidente della Commissione di inchiesta che il Senato ha istituito proprio sul tema degli infortuni sul lavoro, anche grazie agli auspici del Presidente Marini.
Il lavoro che il Senato ha svolto, sia nelle Commissioni sanità e lavoro che in aula, ci ha portato, sì, un testo migliore rispetto a quello iniziale del Governo, nel senso che, ad esempio, sono state introdotte norme direttamente attuative al posto di deleghe, ma ciò non toglie che il disegno di legge n. 2849 del Governo aggrava e non allevia la proliferazione normativa, come invece dovrebbe fare un testo unico.
Ammetto di aver apprezzato la norma contenuta nell'articolo 1, che prevede di modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici, in quanto la inveterata prassi dell'accettazione del massimo ribasso ha troppo spesso causato gravi danni, ma la troppa attenzione del Governo e della maggioranza nei riguardi di aspre norme sanzionatorie, senza una normativa premiale nei riguardi delle aziende più virtuose, e la poca attenzione alle problematiche del lavoro autonomo ancora una volta ci mostrano quali siano ledifferenze di approccio tra maggioranza e opposizione nei riguardi della sicurezza sul lavoro.
Apprezzo anche le norme che facilitano la costituzione di parte civile da parte dell'INAIL, ma in relazione ai fondi INAIL di cui si è parlato in Commissione riterrei utile che questi fossero utilizzati per gli scopi istituzionali e fondamentalmente la prevenzione, sempre nel rispetto delle altre attività dell'INAIL.
In un momento in cui i riflettori sembrano tutti accesi sugli infortuni sul lavoro, siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo ed il ministro della salute, in audizione presso la Commissione di inchiesta del Senato, ci ha fatto sapere che intende portare avanti un processo con le regioni e con quei soggetti che possono concorrere a quel patto per la sicurezza di cui ha parlato. Ne prendiamo atto, ma dovremmo risolvere i problemi che proprio le regioni creano in merito, fermo restando che comunque sono proprio le regioni ad avere ampia delega, principalmente attraverso le ASL, in materia di contrasto, prevenzione e repressione degli infortuni.
Anche a tale scopo spero che venga posto l'accento sulla cultura del lavoro, con un piano che preveda insegnamenti nelle scuole di ogni ordine e grado capaci di sensibilizzare i nostri ragazzi fin dalla più giovane età, sì da creare almeno un terreno fertile per un futuro di lavoratori sensibili alla problematica e capaci di considerare l'attività di prevenzione come una parte naturale dell'attività lavorativa e magari anche di agire su una futura classe dirigente capace di prendersi le proprie responsabilità evitando i palleggiamenti che spesso oggi vediamo in atto tra Stato, regioni ed organi territoriali e periferici.
Complessivamente, ritengo che il disegno di legge del Governo, benché non privo di pregi, sia troppo sanzionatorio, poco premiale e poco attento al lavoro autonomo e non mi sembra preveda la razionalizzazione e la semplificazione normativa che ci augureremmo.
Io penso che ci sarebbe stato bisogno di un testo concettualmente e strutturalmente più semplice, magari composto da norme direttamente attuative e non da deleghe, che avesse una portata non solamente compilativa, ma anche innovativa e di semplificazione e dedicata ad un campo più vasto di lavoratori, che prevedesse un campo di applicazione della normativa sulla salute e sulla sicurezza del lavoro maggiore rispetto a quello delimitato dalla legge n. 626 del 1994 e che desse anche maggiore risalto ai lavoratori subordinati o parasubordinati, ai lavoratori autonomi e componenti dell'impresa familiare, perché non dobbiamo dimenticare che nel nostro Paese l'impresa familiare è una realtà ampiamente diffusa che non poco contribuisce all'economia italiana. Il tutto, unito ad un atteggiamento meno punitivo, avrebbe secondo me favorito il raffreddamento delle controversie tra imprese e sindacati ed avrebbe così beneficiato le piccole e medie aziende in vari modi, sempre comunque garantendo una semplificazione della normativa. Tutto questo non mi pare poco, se consideriamo che stiamo parlando di una buona fetta della popolazione produttiva e di una parte di società che, lavorativamente parlando, ha un notevole peso nell'economia del nostro Paese.
FRANCESCO MARIA AMORUSO. Il provvedimento oggi all'esame dell'aula riguarda una materia di grande importanza perché gli incidenti sul lavoro rimangono una piaga amara per l'Italia.
Mi riferisco alle morti sul lavoro che si sono verificate in questi giorni.
È un fatto senz'altro positivo quindi che le istituzioni ne prendano atto e si comportino di conseguenza, dai forti richiami in materia del Presidente della Repubblica alle molte iniziative parlamentari.
È necessario intervenire in modo concreto attraverso normative più stringenti e soprattutto più adeguate, essendo passati già tredici anni dall'emanazione della disciplina-quadro contenuta nel decreto legislativo n. 626 del 1994.
Quella disciplina, è vero, rispetto al passato ha innovato in modo fortementePag. 135positivo il quadro della sicurezza sul lavoro e non c'è dubbio che nelle successive modificazioni ad essa apportate negli anni abbia influito anche il principio della prevenzione (e non solo del momento risarcitorio verso i lavoratori infortunati) fortemente sottolineato dall'articolo 137 del Trattato di Maastricht.
In definitiva, se paragonata al 1994, la situazione è migliorata in modo notevole. Tuttavia è necessario fare ancora di più. Questo è un dovere del Parlamento. Le discussioni nelle Commissioni lavoro prima del Senato e poi della Camera sono andate nella giusta direzione. In entrambe le Camere, mi preme sottolineare, Alleanza Nazionale ha dato il suo apporto in modo costruttivo e dialogante perché la dialettica politica non deve andare sopra gli interessi comuni, in particolare di fronte a problemi così drammaticamente attuali come le cosiddette morti bianche.
La necessità di fare ancora di più sul piano legislativo è ben spiegata dal fatto che gli infortuni sul lavoro rimangono ancora troppi. Ciò significa che il principio della prevenzione applicato dal 1994 in poi ha sì funzionato, ma non così come si pensava, ed ha conosciuto molte difficoltà sul piano applicativo.
Proprio la necessità di migliorare il momento applicativo delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è il punto centrale sul quale concentrarsi. Le norme attuali sono buone, ma troppo spesso la cronaca ci racconta di come incidenti sul lavoro (a volte mortali) avvengano in cantieri che non sono in regola e dove le vittime spesso sono lavoratori non dotati dell'adeguata strumentazione di sicurezza.
I dati dell'INAIL sono eloquenti: nel 2006 gli infortuni denunciati sono calati dell'1,3 per cento rispetto all'anno precedente. Il dato è di per sé positivo. Ma dall'altra parte della bilancia pesa il fatto che proprio nel 2005 il calo percentuale era stato maggiore (-2,8 per cento). Soprattutto, sul versante delle cose negative, pesa un dato insopportabile: nel 2006 gli infortuni mortali sono stati 1.280, cioè addirittura in pur lievissima crescita rispetto al 2005. Tra il 2002 e il 2006, inoltre, la media annuale nel calo degli infortuni è stata solo dell'1,6 per cento: davvero troppo poco.
Nel primo trimestre del 2007 i dati dell'INAIL indicano che gli infortuni mortali sono stati già 229. Nel loro complesso, sempre nel primo trimestre del 2007, gli infortuni denunciati sono stati ben 220.953. Quella delle morti sul lavoro è una situazione insopportabile, su cui si deve intervenire. Riguardo al numero totale di infortuni è bene ribadire con forza che, grandi o piccoli, gravi o meno gravi, tutti gli infortuni sul lavoro, quando avvengono, sono una sconfitta morale per il nostro Paese.
Ecco quindi la necessità di intervenire attraverso questo provvedimento.
Il progetto di legge in esame delega il Governo ad emanare entro un anno una serie di decreti legislativi sulla materia. Sottolineo in particolare tre aspetti dei criteri che dovranno ispirare gli atti del Governo: da una parte la necessità di misure di particolare tutela per i lavoratori autonomi che ad oggi sono quelli più a rischio; la semplificazione degli adempimenti formali in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; una particolare attenzione alle piccole, medie e micro imprese.
Sottolineo questi tre aspetti perché in tutti i comparti nei quali si verificano il maggior numero di infortuni (l'industria e l'agricoltura soprattutto) il tessuto economico italiano è costituito da imprese medie e piccole e vede una forte presenza di lavoratori autonomi. Lavoratori autonomi ai quali, peraltro, la normativa del 1994 non si applicava e ai quali, nonostante alcuni cambiamenti normativi, tuttora si può applicare solo in parte. Anche l'eccessiva farraginosità delle attuali norme va combattuta.
Queste - che dovrebbero essere le grandi finalità del progetto governativo - sono questioni di grande importanza e sulle quali non c'è dubbio che tutte le parti politiche debbano convergere al di là della contrapposizione di parte.Pag. 136
Tuttavia non posso non rilevare come i buoni principi non siano seguiti da un percorso all'altezza.
Sul tema della semplificazione, balza subito all'occhio la massa di disposizioni che in questo provvedimento si accavallano tra loro, dal numero abnorme (articolo 1) dei criteri che dovranno guidare l'emanazione dei decreti attuativi al numero degli articoli seguenti. Questo può essere tutto, ma non certo semplificazione. Il rischio - passando ai temi delle piccole-medie imprese e dei lavoratori autonomi - è che proprio le norme a loro dirette (cioè le più importanti in assoluto, come detto) affoghino in una montagna di altre norme.
Poi è da sottolineare che il progetto del Governo parla molto degli ispettori del lavoro da un lato prevedendone l'assunzione di nuovi (attingendo agli idonei non vincitori dei concorsi passati, finalmente, mi viene da dire! È da un intero anno che il centrodestra - anche con un mio atto di sindacato ispettivo - chiede ciò!), dall'altro meglio coordinandone l'azione e potenziando i mezzi a loro disposizione.
L'augurio è che ciò avvenga davvero e che finalmente, dopo la vaghezza di un'analoga norma contenuta in finanziaria, gli ispettori del lavoro siano di più, meglio coordinati e soprattutto forniti di mezzi davvero adeguati. Tuttavia resta in ogni caso da sottolineare in modo negativo che ad oggi gli idonei non vincitori sono circa seicento, mentre il testo che stiamo discutendo parla dell'assunzione di soli trecento di loro.
A proposito degli ispettori del lavoro, è forte il rammarico per il rifiuto del Governo - dimostrato al Senato con la bocciatura di emendamenti del centrodestra che andavano in tal senso - di aumentare la copertura finanziaria per allargare il numero degli ispettori del lavoro da assumere.
Si fa un gran parlare del cosiddetto «tesoretto: in fondo, per assicurare un maggiore controllo sui luoghi di lavoro sarebbe bastato destinare a tale scopo una quota infinitesimale di questo «tesoretto». Così non è stato e il rammarico resta forte. Ma anche le responsabilità politiche di ciò - devono essere forti e ben chiare a tutti gli italiani.
Tra l'altro è da sottolineare che secondo il Servizio studi, a proposito della norma sugli ispettori del lavoro (articolo 12), «appare necessario che il Governo fornisca maggiori informazioni sulla quantificazione degli oneri recati dal comma 2 nonché sulla loro natura, anche in relazione alla possibilità di ricondurli al limite di spesa, stante la eterogeneità degli stessi (aggiornamento, formazione, attrezzature, buoni pasto, lavoro straordinario e spese di missione)». Ciò significa che non solo il Governo ha fatto una scelta inspegabilmente riduttiva nell'assunzione degli ispettori del lavoro, ma lo ha fatto anche in modo pasticciato dal punto di vista della contabilità.
Un altro punto molto importante riguarda il fatto che nel corso dei lavori al Senato è stato fortemente condizionato a stretti parametri economici il riferimento alla necessità che le scuole di ogni grado possano istituire, pur nel rispetto della loro autonomia e dei programmi scolastici, dei corsi di «cultura del lavoro».
È stato detto, dal Governo, che questa scelta è dovuta a motivi economici. Ne prendiamo atto, ma con forte rammarico perché la cultura della prevenzione - che in fondo lo stesso governo dice essere alla base del provvedimento oggi al nostro esame - per essere tale deve necessariamente partire dalle scuole.
Infine, due considerazioni che non attengono allo specifico del progetto governativo ma che hanno una grande importanza, a nostro parere, per far sì che la fase della prevenzione, attraverso l'azione dell'INAIL, funzioni con efficacia. Mi riferisco al fatto che il governo, nei confusi progetti annunciati periodicamente sul riordino degli enti previdenziali, non ha mai chiarito il fatto che, in caso di un accorpamento che per inciso giudico disastroso se fatto, la funzione assistenziale non dovrebbe confondersi con quella previdenziale dell'INPS o dell'INPDAP e non dovrebbe perdere incisività in un megaente pubblico.Pag. 137
L'altra considerazione riguarda il fatto che troppe volte, in questo anno di governo, si è addirittura sentito parlare di attingere all'attivo patrimoniale dell'INAIL per fare interventi sociali. lo dico che bisogna fare molta attenzione quando si parla di INAIL. L'istituto ha una importanza troppo grande perché la sua funzione di assistenza affiancata all'azione di prevenzione e di assistenza nella fase di reinserimento per gli infortunati sul lavoro venga depotenziata finanziariamente (o addirittura, qualche volta si torna a parlare di privatizzazione). Poiché nel progetto governativo (articolo 2) si parla espressamente di INAIL e del fatto che esso debba ricevere dal pubblico ministero eventuali notizie di reati penali legati alla sicurezza sul lavoro, dandogli così modo di costituirsi parte civile e di adire l'azione di regresso, non mi sembra coerente che lo stesso Governo persegua una sua linea molto ambigua nei confronti dell'INAIL.
Un'ultima postilla riguarda la grave connessione che esiste tra lavoro nero e infortuni sui luoghi di lavoro. Io vengo da una regione, la Puglia, in cui soprattutto d'estate e nel comparto agricolo vi sono molti incidenti sul lavoro che colpiscono lavoratori irregolari. Un ulteriore dato che conferma questa osservazione è l'alto numero di infortuni denunziati nel primo giorno di lavoro.
Quella del lavoro nero è quindi una piaga che non solo incide pesantemente sul piano previdenziale sulle casse dell'INPS - che ogni anno subisce perdite in milioni di euro - ma che va a incidere pesantemente anche sul piano assistenziale.
L'articolo 36-bis del primo decreto Bersani (legge n. 248 del 2006) - anche per il fine esplicito di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare - prevede che il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione dell'INPS e dell'INAIL, possa adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell'ambito dei cantieri edili qualora riscontri gravi violazioni relative all'impiego di personale «in nero». Inoltre, in base allo stesso decreto Bersani, nell'ambito dei cantieri edili i datori di lavoro debbono munire il personale occupato di apposita tessera di riconoscimento con fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro. I lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento. Tale obbligo riguarda anche i lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nei cantieri.
Purtroppo si constata, finora, che queste misure sono servite a ben poco (senza dimenticare che - come detto prima - norme come quella ricordata servono a ben poco se non c'è un numero sufficiente di ispettori del lavoro; e si è visto come il testo al nostro esame non sia affatto adeguato a tal fine!). Quindi il provvedimento in esame non va ad incidere sulla lotta al lavoro nero. E d'altronde, mi viene da dire, non potrebbe essere altrimenti di fronte a un Governo che sta smantellando tutta la politica - all'insegna non della chiusura ottusa ma di un flusso regolato di extracomunitari - del Governo precedente.
Il disegno politico complessivo che anima il Governo è il frutto di una pessima combinazione tra lassismo nel far entrare i clandestini e incapacità di controllare il fenomeno del lavoro in nero il quale in ultima istanza è una delle cause principali di incidenti sul lavoro.
Speriamo che questo provvedimento non sia solo un provvedimento di bandiera per accontentare alcuni componenti di un Governo eternamente in fibrillazione.
La questione è molto seria e sono convinto che ben altra attenzione meriterebbe da parte di tutti. Noi dell'opposizione stiamo facendo tutto intero il nostro dovere.
Mi auguro che altrettanto faccia la maggioranza. Purtroppo così non appare, anche dal fatto che si è preferita una legge delega ad un provvedimento più organico, frutto del lavoro di tutto il Parlamento.
PEPPE DE CRISTOFARO. Signor Presidente, aggiungerò solo qualche considerazione a quelle per me condivisibili dell'onorevole Burgio.
Vorrei cominciare dicendo che le autorevoli prese di posizione degli ultimi mesi, a partire da quella del Presidente Napolitano, hanno avuto il pregio di cominciare ad incrinare il muro di silenzio che, per anni, ha avvolto il dramma quotidiano delle morti e degli infortuni sul lavoro. Per la prima volta è cresciuta, significativamente, l'indignazione dell'opinione pubblica, e il movimento dei lavoratori ha oggi la possibilità di ottenere qualche risultato concreto.
Le cifre del dramma con cui ci confrontiamo sono ben note: ogni anno in Italia si registrano 1.300 morti, ma la situazione complessiva mostra la sua gravità con più di un milione di infortuni ufficiali (che colpiscono maggiormente lavoratori immigrati, precari e donne) cui vanno aggiunti i circa duecentomila infortuni non denunciati a causa del lavoro nero, quelli occultati sotto forma di malattia o sotto forma di infortunio domestico, magari a causa di qualche datore di lavoro.
A ciò si somma l'insorgenza di nuove patologie che interessano donne e uomini per via delle loro attività lavorative.
Non va dimenticato, inoltre, che in Italia si muore, ci si infortuna e ci si ammala sul lavoro a ritmi incomparabili con il resto d'Europa, forse perché nel nostro paese alcune caratteristiche del mondo del lavoro assumono alcuni connotati specifici, a partire dalla disarticolazione produttiva con una notevole presenza di piccole e piccolissime imprese, spesso derivanti in via diretta o indiretta dalle scelte di esternalizzazione e dalle catene di appalti e subappalti, fino alla più generale condizione di precarietà che coinvolge oggi buona parte del mondo del lavoro. La particolarità del lavoro autonomo che non sempre è espressione di libera scelta imprenditoriale, l'illegalità e la criminalità organizzata, una storicamente deficitaria cultura della prevenzione, una insufficiente attenzione alla condizione delle donne lavoratrici, il degrado del territorio, lo scarso livello di controllo, completano questo drammatico quadro.
Senza tralasciare un ulteriore problema, cioè l'approccio di quella parte datoriale che persegue la produttività e la competitività interna e internazionale non basandosi sulla qualità dei prodotti e sul lavoro, con investimenti in ricerca, innovazione, tecnologia e sicurezza, ma puntando esclusivamente alla competizione dei costi: queste imprese vedono certamente la salute e la sicurezza dei lavoratori come un peso.
In questo quadro, il provvedimento in esame ci sembra un passo in avanti importante, anche perché si razionalizzano e si innalzano i livelli di tutela, come per esempio nel significativo aumento di numero degli ispettori del lavoro. Anche per questo, giustamente, il mondo del lavoro, i soggetti sindacali e sociali, chiedono a noi e a tutto il governo del paese segnali chiari, inequivocabili, su una questione che mai più potrà tornare ad essere un fatto di cui ci si occupa solo sulla base dì una emotività, ma che viceversa deve essere affrontata in maniera strutturale.
Un'ultima considerazione: proprio perché questa questione non può essere separata, estrapolata da un giudizio complessivo sul mondo del lavoro, non nascondiamo la nostra profonda amarezza e la profonda preoccupazione sulle misure avanzate in questi giorni sull'età pensionabile e sul mercato del lavoro.
Non servirà a molto anche un buon testo sulla sicurezza se non sarà accompagnato da una visione complessiva: anche per questo non rinunceremo ad una dura battaglia parlamentare per migliorare in aula provvedimenti ad oggi largamente insoddisfacenti.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento di legge che stiamo discutendo si occupa della salute e della sicurezza sul lavoro e delega il Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia.
Si è instaurata, ormai, una prassi costante, per cui il Senato approva la legge e la Camera non può più modificarla. In questo modo vengono esautorate le prerogativePag. 139di una delle due Camere. Ci viene data solo la possibilità ed il «conforto» che gli ordini del giorno saranno esaminati benevolmente.
Lo stesso relatore aveva detto che il provvedimento poteva essere migliorato con qualche modifica e che il Senato in tempi brevi poteva riesaminare la legge. È stato dato atto di un grande lavoro delle Commissioni lavoro e affari sociali, ma questo lavoro è stato vanificato, perché non ha prodotto alcun miglioramento al testo in esame.
Come componente la Commissione affari sociali voglio mettere l'accento sul problema della salute; infatti il diritto alla salute è un «diritto forte», capace di riconoscere e promuovere tutti gli altri diritti sociali, economici e civili.
Pertanto, ben venga la promozione e la divulgazione della cultura della salute assieme alla cultura della sicurezza sul lavoro.
Un particolare accento e una particolare attenzione voglio porre sulle condizioni di lavoro che coinvolgono le donne, per le quali non sono opportunamente considerate le specifiche caratteristiche bio-psichiche e socio-economiche; inoltre, le malattie professionali che riguardano le donne ed il loro tipo di impiego non sono sufficientemente prese in considerazione dalla medicina e dalla organizzazione sanitaria.
Ancora minore è l'attenzione data agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico ed in particolare nei confronti degli infortuni domestici. Lo stress patologico è associato esclusivamente al lavoro produttivo, senza considerare il maggiore rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro. Vorrei ancora segnalare, per le imprese di maggiori dimensioni, la presenza sul luogo di lavoro di una figura professionale sanitaria e la possibilità di prevedere una reperibilità con un medico rianimatore, nonché la presenza in loco di attrezzature di rianimazione e di defibrillatori. Pertanto, noi condividiamo lo spirito del provvedimento e la necessità di interventi idonei a limitare e possibilmente eliminare gli infortuni sul lavoro. Presenteremo i nostri emendamenti, che non saranno approvati, nonché i nostri ordini del giorno, nella speranza che, trattandosi di una legge delega, se ne tenga conto al momento della emanazione dei relativi decreti legislativi. Ci rimane qualche dubbio che, assieme alla prevenzione, questo provvedimento contiene molti elementi di repressione. Le nostre riserve riguardano il metodo per cui non ci è consentita una maggiore apertura della maggioranza, al fine di un miglioramento del provvedimento.
La nostra speranza è che ogni provvedimento che va nella direzione della sicurezza sul lavoro, e soprattutto verso la tutela della salute, possa essere utile al fine di tutelare il bene supremo della vita e del benessere di vita.
DANIELE GALLI. Voglio innanzi tutto sottolineare l'impegno di Forza Italia e di tutta l'opposizione per favorire un doveroso e aperto confronto al fine di valorizzare, in relazione a un comune obiettivo, tutti gli elementi di possibile convergenza tra le forze politiche; l'obiettivo possibile era ed è di giungere alla definizione di un intervento normativo condiviso con le caratteristiche della concretezza e della efficacia.
La proposta di legge n. 2636 a firma Fabbri e altri contiene, a differenza del disegno di legge n. 2849 del Governo, una disciplina immediatamente dispositiva e non una semplice delega in bianco all'Esecutivo; inoltre, prospetta contenuti che da un lato sono riconducibili ai principi dello stesso disegno di legge n. 2849, dall'altro potevano fornire utili indicazioni qualora, come auspicavo nell'intervento in Commissione, le Commissioni XI e XII avessero voluto verificare la possibilità di addivenire all'elaborazione di un testo unificato nel quale, oltre alla delega legislativa, si affiancavano anche delle norme precettive su aspetti preminenti, per i quali è urgente definire un quadro regolatorio e sui quali non si può lasciare in sospensione per nove mesi il mondo del lavoro.
Ritengo opportuno ricordare che nella XIV legislatura l'Esecutivo in carica avevaPag. 140presentato un decreto legislativo n. 479, che non poté completare il proprio iter a causa di un forte conflitto di interessi con le regioni rispetto ad alcuni profili concorrenziali che mi risultano ad oggi ancora non superati. E che dovranno ovviamente essere affrontati da parte dell'attuale Esecutivo nell'espletare la delega - anche se il Governo oggi ha annunciato che vi è il parere unanime delle regioni.
È importante ribadire che il principio al quale il testo Fabbri si ispirava era l'esigenza di evitare una eccessiva disarticolazione territoriale riguardo alle normative in materia di sicurezza sul lavoro, fatto da cui potrebbe derivare (se non tenuto in considerazione) un legittimo pregiudizio alla certezza di razionalizzazione della disciplina in materia e delle competenze degli organi di vigilanza.
Ulteriore nodo problematico cardine del provvedimento e che mi preoccupa è quello della rimodulazione dell'approccio complessivo agli adempimenti previsti dalle normative di sicurezza, volta a prospettare lo stesso più che meramente sul piano formale, quanto su piani di concretezza e di sostanzialità, articolati per obiettivi, la cui attuazione andrebbe monitorata attraverso dei parametri di valutazione oggettivi ed efficaci, determinati d'intesa con tutte le parti sociali. A tal fine, è importante che dette determinazioni non risultino sperequative.
Il ruolo della bilateralità è un'altra questione cruciale relativa alla sicurezza sul lavoro, che deve essere valorizzata e tutelata più di quanto emerga dai contenuti del disegno di legge del Governo.
Né bisogna dimenticare il riassetto dell'apparato sanzionatorio, rispetto al quale occorre un approccio equilibrato tra le parti che compongono il variegato sistema Italia, evitando possibilmente il condizionamento da fattori di emotività, comprensibili alla luce dell'incremento nell'ultimo anno degli incidenti sul lavoro con purtroppo una forte incidenza di quelli mortali; ma detto condizionamento rischia di compromettere la razionalità e l'efficacia delle misure: occorre in particolare, a tal fine, che si presti doverosa attenzione al condivisibile principio contenuto tra i principi del provvedimento di delega all'esame, che riguarda la differenziazione tra le sanzioni concernenti le violazioni meramente formali e le sanzioni concernenti le violazioni di tipo sostanziale.
Per quanto concerne i profili connessi all'adozione delle più opportune misure tecnologiche al fine di prevenire gli infortuni sul lavoro, è importante sottolineare che questo obbiettivo si può conseguire solamente attraverso una normazione soft law, flessibile e permeabile al costante progresso ed evoluzione tecnologica/scientifica.
La proposta di legge Fabbri, che si contrapponeva in forma costruttiva al disegno di legge del Governo, riproponeva con degli aggiustamenti lo schema del già richiamato decreto legislativo recante il testo unico delle norme di sicurezza del lavoro, varato nella scorsa legislatura ai sensi della delega conferita al Governo con l'articolo 3 della Legge n. 229 del 2003, che non ha avuto seguito in quanto ritirato a causa delle difficoltà nel poter superare i rilievi di carattere costituzionale mossi presso altre sedi istituzionali per la presunta violazione delle norme costituzionali in materia di riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, che ribadisco non sono superate e con cui il Governo dovrà confrontarsi.
A mio avviso comunque il testo dell'opposizione di cui avreste dovuto tenere conto in Commissione e, in particolare, dovrete tenere conto nell'esercizio della delega è, come quello della passata legislatura, pienamente congruo con le disposizioni costituzionali ed inoltre consente di pervenire finalmente al coordinamento e alla semplificazione di un sistema normativo estremamente complesso e sedimentato al quale occorre assicurare concreta operatività e efficacia operativa.
Tale ineffettività è il problema principale che il legislatore deve affrontare per garantire al sistema Paese regole chiare nonché un'applicazione interpretativa condivisa delle stesse, al fine di tutelare il lavoratore e l'imprenditore su piani di responsabilità di ruolo e di corresponsabilitàPag. 141attive evitando, come emerge dal testo di Governo, di continuare ad affrontare la problematica della sicurezza del lavoro essenzialmente con riferimento alle grandi imprese, fondando un approccio prescrittivo supportato da adempimenti di carattere formale, con un elevato livello di burocratizzazione, un'impostazione del tutto inefficace e dannosa nei confronti delle piccole e medie imprese che costituiscono essenzialmente il sistema produttivo italiano, fortemente decentrato ma fortemente motivato nel chiedere certezze normative, nella piena tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, con la certezza di non avere freni burocratici alla loro capacità di stare sui mercati internazionali.
Bisogna mutare la filosofia del sistema normativo della sicurezza sul lavoro e, a mio giudizio, si doveva dare vita a un testo unificato la cui effettività nei confronti della piccola impresa doveva garantire effettività anche nei confronti della grande impresa; connotandosi per certezza e semplicità della norma, presupposto per la sua applicabilità.
A tale scopo è essenziale un approccio concreto per obbiettivi, con una logica di azione che preveda, in primo luogo, che le funzioni pubbliche nel campo della sicurezza sul lavoro devono essere svolte con il concorso di tutte le parti sociali, applicando il principio della sussidiarietà, e traendo spunto dalle esperienze applicative della bilateralità, realizzate in settori come quelli artigianali e nell'edilizia, ed infine una proporzionale riduzione degli adempimenti e dei controlli che si presuppone ottenibile per esperienza incentivando la bilateralità, con conseguenti risparmi di sistema e massima garanzia sul lavoro.
Un altro importante fattore, la cui risoluzione positiva deve essere punto essenziale del provvedimento del Governo , riguarda l'esigenza di individuare delle modalità operative condivise dalle regioni, al fine di superare le cause che hanno prodotto uno smisurato contenzioso innanzi alla Corte costituzionale; sarebbe errato e con effetti estremamente dannosi accreditare l'idea di una disciplina differenziata a livello territoriale.
Si rende pertanto indispensabile, anche per evitare l'effetto della differenzialità applicativa sul territorio nazionale, garantire uniformità applicativa della normativa di prevenzione e, nell'ambito del coordinamento, va garantito il diritto di interpello, nei termini già previsti dalla legislazione vigente, al fine di venire incontro agli operatori chiamati ad applicare la norma e a coloro che devono vigilare.
Come già detto, richiamo l'attenzione del Parlamento e del Governo sulla necessità di introdurre nella norma delle disposizioni immediatamente precettive: l'idea di limitarsi al semplice varo di una delega al Governo, che potrebbe protrarsi entro un termine massimo di diciotto mesi, contraddice l'esigenza fortemente richiamata da più parti e in sedi istituzionali autorevolissime di disporre prontamente di un insieme di norme in grado di incidere efficacemente sul fenomeno degli infortuni sul lavoro.
A tal fine occorre introdurre norme immediatamente operative per quanto riguarda la disciplina delle bilateralità, del coordinamento delle funzioni di vigilanza, nonché in materia di sanzioni.
È necessario evidenziare in questa sede il dissenso unanime delle organizzazioni datoriali nei confronti dei principi della delega contenuti nel disegno di legge del Governo, in quanto nel particolare si evince che questi ultimi non sono tali da assicurare sanzioni proporzionate alla responsabilità e al danno prodotto a seguito delle violazioni della norma e questo potrebbe indurre l'effetto indesiderato di incoraggiare il lavoro sommerso.
Emerge anche la necessità di introdurre come disposizioni immediatamente precettive le norme relative ai profili della formazione, dell'informazione e dell'incentivazione dei comportamenti virtuosi sul modello del bonus-malus applicato dall'INAIL ai premi assicurativi.
Inoltre, per l'attuazione del provvedimento occorre fare chiarezza sull'effettiva disponibilità di risorse pubbliche per sicurezzaPag. 142e prevenzione; il dimensionamento delle risorse indicherà senza dubbi la reale volontà del Governo di fare fronte alle problematiche del lavoro.
Ulteriore perplessità mi deriva dalla eccessiva ampiezza dei termini assegnati per l'esercizio della delega e del contenuto del provvedimento che non si smarca dalla logica basata su regole spesso formali e sulle connesse sanzioni anziché su un nuovo auspicabile approccio per obiettivi partendo da un sistema di monitoraggio concordato tra Stato, regioni e parti sociali, tutti in funzione di un orientamento improntato alla programmazione delle politiche attive di prevenzione e al principio della sussidiarietà.
Un'impostazione innovativa è imperniata su strumenti quali l'informazione, il potere di disposizione esercitato dai servizi ispettivi a sostegno delle buone tecniche, l'incentivazione della norma di ravvedimento operoso, la valorizzazione degli organismi bilaterali costituiti dalle parti sociali ed infine il diritto di interpello, che contribuisce a fornire interpretazioni certe della disciplina vigente.
Su questi temi il disegno di legge proposto dal Governo è fortemente lacunoso, non sorretto da appropriate risorse finanziarie da investire per la sicurezza dei luoghi di lavoro, né tanto meno a sostegno dei datori di lavoro nello sforzo di adeguamento delle loro strutture e in particolare per le piccole imprese; inoltre l'apparato sanzionatorio appare sproporzionato, inidoneo, tendente sempre a garantire la grande impresa e fortemente punitivo per le piccole imprese e per il lavoro autonomo.
Ciò nonostante auspico che nel corso della discussione in aula si possa convenire sulla ineluttabilità di un testo migliore.