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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 2)
PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2008-2011.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi in sede di discussione.
È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, signor sottosegretario, il Documento di programmazione economico-finanziaria che oggi stiamo esaminando è la prova del fallimento della politica economica di questo Governo: purtroppo, infatti, ancora una volta si è persa un'occasione preziosa per rendere un servizio utile al Parlamento e al Paese.
La funzione propria del DPEF è quella di ricondurre ad una coerenza complessiva le scelte che devono essere adottate in materia di politica economica e finanziaria. Avremmo dunque sperato che, durante le numerose audizioni con i soggetti intervenuti (imprenditori, artigiani, commercianti, rappresentanti dei lavoratori), ci fossimo concentrati sulle vere priorità che il Parlamento ed il Governo dovranno affrontare: la realizzazione di una reale politica di contenimento della spesa; i rischi che può provocare una controriforma in materia pensionistica che si muovesse in una direzione diametralmente opposta rispetto a quelle realizzate negli altri Paesi; la necessità di concentrare tutti gli sforzi e le risorse disponibili nel rafforzare le deboli prospettive di crescita dell'economia, con particolare riferimento alle aree sottoutilizzate, che sono completamente dimenticate da questo documento. Nulla di tutto ciò.Pag. 12
Per comprendere l'assoluta inadeguatezza di questo DPEF si deve brevemente ricordare quali sono - o quantomeno quali dovrebbero essere - le funzioni di un simile documento: informare sulle dinamiche economiche e di finanza pubblica; fissare, come afferma lo stesso Ministro, i paletti per la legge finanziaria; delineare il quadro delle politiche in atto e di quelle da realizzare.
Cosa fa, invece, il Ministro? Innanzitutto, in occasione della presentazione del Documento (avvenuta lo scorso 5 luglio di fronte alle Commissioni bilancio della Camera e del Senato), specifica - cosa mai avvenuta in passato - che il DPEF non è un documento con cui si prendono impegni operativi, quasi a mettere le mani avanti. Quindi, dopo aver fatto questa incomprensibile affermazione, parla di una legge finanziaria sostanzialmente a saldo zero e a politiche invariate: individua infatti per il 2008 (cito cifre tratte dal lavoro che il Ministro ha presentato in Commissione) in 4,1 miliardi di euro le spese relative agli impegni già sottoscritti, in 7, 1 miliardi quelle relative alle prassi consolidate, in 10 miliardi le spese per le ipotesi di nuove iniziative. Sono insomma oltre 21 i miliardi che il Ministro ritiene vadano reperiti con la legge finanziaria.
Ma questo è come dire: signori ministri, onorevoli colleghi della maggioranza, se volete raggiungere gli obiettivi assunti con gli impegni elettorali, ebbene allora trovate i soldi! In altri termini, il Governo - che sino ad oggi ha reso operativo non più del 30 per cento della corposa legge finanziaria per il 2007 - oggi invita il Parlamento a trovare i soldi necessari per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Ebbene: è sufficiente svolgere un'elementare riflessione sui conti pubblici per comprendere che l'unica strada per reperire tali fondi altro non è che un possibile e probabile ulteriore aumento della pressione fiscale.
Ma quel che in tale DPEF lascia più sbigottiti - lo dico con serenità, come parlamentare eletto nel Mezzogiorno - è l'assoluta assenza di una politica per il Mezzogiorno ed in particolare per le regioni dell'obiettivo 1. Del resto, dei sei o sette commi della precedente legge finanziaria relativi al Mezzogiorno, ad oggi, nessuno è stato applicato dall'Esecutivo. Per la prima volta, il Governo non ha ritenuto di tenere informato il Parlamento sulla trattativa sul quadro strategico nazionale dei fondi strutturali per gli anni 2007-2013.
Abbiamo atteso più volte in Commissione il Ministro per avere un aggiornamento su tale trattativa. L'Esecutivo - come ricorderete - nella precedente legge finanziaria ha fatto un uso allegro del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS): molti commi furono utilizzati come copertura con il FAS ed il Ministro Bersani venne a riferirci che quelle somme sarebbero state rimesse al loro posto, ma ad oggi non mi risulta che ciò sia avvenuto.
La verità sulla politica del Mezzogiorno è che l'obiettivo di portare la quota di spesa in conto capitale destinata al Mezzogiorno verso il 45 per cento del totale, più volte - ricorderete - annunciato nei precedenti Documenti di programmazione economico-finanziaria, è ormai abbandonato: esso, già ridimensionato al 42,3 per cento nel 2011 dal DPEF dello scorso anno, è ulteriormente ridotto al 41,1 per cento dal DPEF che è oggi in discussione, a causa soprattutto, lo riconosco, del basso concorso della spesa ordinaria nel settore pubblico allargato (si vedano le tabelle relative alle Ferrovie ed all'ANAS), ben al di sotto del raggiungimento di un livello di spesa nel sud pari al 30 per cento del totale.
Ciò segnala il pericolo di un ritorno ad una logica passata di intervento sostitutivo e non aggiuntivo nel Mezzogiorno, che si pensava fosse oramai superata, oggi svolto dalle risorse comunitarie e nazionali raccolte nel Quadro strategico nazionale.
Una riprova di ciò è data, in particolare, dal capitolo riguardante le infrastrutture, per le quali l'investimento complessivo previsto ammonta a 6,7 miliardi di euro, ma la fonte finanziaria indicata è rappresentata dai fondi strutturali, il FAS, che costituiscono il PON di reti e mobilità. L'unica opera infrastrutturale meridionale esplicitamente citata nel DPEF è il completamentoPag. 13della Salerno-Reggio Calabria: è auspicabile che nell'allegato al DPEF dedicato alle infrastrutture si tenga conto anche delle altre priorità indicate nel piano delle infrastrutture prioritarie. In tal senso, do atto al relatore, onorevole Ventura, di aver maggiormente integrato, nella risoluzione di maggioranza, il tema della politica del Mezzogiorno.
Si segnala in negativo, signor sottosegretario, l'assenza di qualunque accenno alla crescita della capacità produttiva delle regioni meridionali e degli strumenti per promuoverla. Al di là, infatti, di un richiamo alla reintroduzione del credito di imposta per gli investimenti, non vi sono indicazioni programmatiche relative alla declinazione nel Mezzogiorno del nuovo sistema di interventi, delineato da Industria 2015, a cui si accenna nel capitolo dedicato ad innovazione e competitività, né all'utilizzo della leva fiscale come specifica attenzione al Mezzogiorno d'Italia.
L'occasione potrebbe essere costituita dalla sperimentazione delle zone franche urbane, per le quali, tuttavia, si rinvia la definizione delle specifiche agevolazioni fiscali pluriennali da applicare ad un nuovo intervento legislativo, con presumibile allungamento dei tempi. Nessun accenno viene assolutamente fatto, poi, all'attrazione di investimenti nel Mezzogiorno, né alla struttura che di tale programma dovrebbe occuparsi, Sviluppo Italia.
In conclusione, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, in merito al Mezzogiorno il DPEF si limita a fare riferimento alla strategia delineata con il Quadro strategico nazionale (QSN) ed al relativo cospicuo stanziamento di risorse, non prevedendo, però, alcuno strumento specifico per sostenere il sistema produttivo e promuovere l'occupazione.
In tal senso, noi dell'opposizione abbiamo predisposto una risoluzione di minoranza che sottoporremo all'Assemblea, di cui parlerà in conclusione il nostro capogruppo in Commissione bilancio, l'onorevole Zorzato, con la quale chiederemo, almeno ai parlamentari eletti nel Mezzogiorno, di dare il loro consenso ed esprimere un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Aurisicchio. Ne ha facoltà.
RAFFAELE AURISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, già in occasione della recente conversione in legge del decreto-legge n. 81 del 2007 recante: «Disposizioni urgenti in materia finanziaria», il gruppo della Sinistra Democratica. Per il Socialismo Europeo, che qui mi onoro di rappresentare, ha avuto modo di esprimere il proprio convinto sostegno alla linea di politica economica adottata dal Governo nell'utilizzo dell'extragettito in conformità ai principi e agli obiettivi enunciati nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 2008-2011. Intendo cioè dire che, esprimendo consenso all'impianto del decreto-legge n. 81 del 2007, si finiva per esprimere condivisione anche rispetto al Documento di programmazione economico-finanziaria.
Le maggiori entrate nette che si sono realizzate per gli effetti combinati della ripresa economica che il nostro Paese, a discapito di tanti scettici, è stato in grado di agganciare e della incisiva azione del Governo sul fronte del contrasto all'elusione e all'evasione fiscale, sono state destinate in direzione di una manovra espansiva finalizzata a dare ossigeno all'economia con una serie di interventi verso le imprese pubbliche e private e a sollevare le amministrazioni centrali dello Stato e gli enti locali dalle difficoltà imposte dall'eccessiva rigidità dei criteri di spesa contenuti nella legge finanziaria dello scorso anno.
Si è scelto, cioè, di rifiutare la logica dei due tempi (subito il risanamento e, chissà quando, l'equità e lo sviluppo) in considerazione della situazione tutta particolare, nel contesto europeo, in cui si trova il nostro Paese, dove esiste un disagio sociale molto esteso, una larga fetta di popolazione è sotto gli indici minimi diPag. 14povertà, dove c'è una forte compressione della remunerazione del lavoro e una limitazione dei diritti e, nello stesso tempo, una scarsa capacità di produrre innovazione e capacità competitiva, a causa dei cronici ritardi nello sviluppo infrastrutturale ed una insufficienza degli investimenti verso le scuole, le università e la ricerca.
Nel nostro Paese si tratta, cioè, di agire contemporaneamente verso l'alto, verso gli investimenti immateriali, e verso il basso, per fare modo di sostenere le fasce sociali più svantaggiate.
Perciò particolarmente significativa è stata la scelta di intervenire in favore delle pensioni sotto la soglia minima, per oltre tre milioni di pensionati ultrasessantaquattrenni, perché era ormai da anni che non vi erano stati interventi di questo tipo e, sopratutto, perché si è avviata finalmente un'azione di tipo redistributivo verso le categorie più in difficoltà.
Queste scelte sono state possibili perché il Governo e la maggioranza hanno rifiutato di sottostare all'indicazione degli organismi europei e di scegliere un percorso autonomo di convergenza, entro il 2011, sugli obiettivi di risanamento che prevedono l'azzeramento del deficit e il debito riportato al di sotto del 100 per cento del PIL.
Questi obiettivi sono confermati dal Documento di programmazione economico-finanziaria presentato, in continuità con l'impostazione del Documento dello scorso anno che era stato condensato nella triade: risanamento, equità e sviluppo.
Cambia, però, la scansione temporale: scegliamo, cioè, un percorso più graduale, in considerazione della situazione del nostro Paese, del grande sforzo di risanamento operato con la corposa manovra dello scorso anno e dei risultati conseguiti in questo anno.
L'Italia è, infatti, tornata a crescere nella misura tendenziale del 2 per cento. Si tratta di una crescita sostenuta per lo 0,8 per cento dagli investimenti e per l'1,2 per cento dalla ripresa della domanda interna e dei consumi. La crescita potrebbe essere ancora più sostenuta, intorno al 3 per cento, se si riuscisse a far crescere la produttività totale dei fattori e a conseguire un superiore tasso di partecipazione della popolazione in età lavorativa, cioè se fossero accresciute insieme l'efficienza del sistema Italia e le opportunità per le diverse categorie di cittadini e per i giovani in particolare.
Diventa, perciò, imprescindibile agire nella direzione della piena e buona occupazione e della coesione sociale. È in rapporto a tali necessità che va considerato il Documento proposto dal Governo. Tante volte è stata messa in discussione l'utilità di tale strumento, perché spesso ci si è trovati di fronte a Documenti presentati in ritardo, poco chiari, omissivi e reticenti, insufficienti nell'analisi degli andamenti dell'economia reale e nella proposta degli indirizzi da seguire. Non è certamente il caso del Documento di quest'anno, che è giunto abbondantemente per tempo e si segnala positivamente per chiarezza, leggibilità e trasparenza, realizzando così una vera e propria operazione verità sullo stato della nostra economia e della finanza pubblica e, soprattutto, consentendo di operare scelte sul fronte della spesa, superando il limite delle politiche invariate e puntando ad una riqualificazione della spesa stessa.
Non ci sarà una manovra correttiva in corso d'anno per il 2007 e, per il 2008, non si prevede la correzione del deficit tendenziale a legislazione vigente. Si assume l'impegno a non far crescere la pressione fiscale e ad agire soprattutto sul lato della spesa attraverso una sua rimodulazione e una qualificazione della stessa. Si assumono con nettezza le scelte dello sviluppo sostenibile della qualità ambientale e del pieno rispetto degli impegni assunti a livello internazionale di operare per una forte limitazione delle emissioni in atmosfera, recependo gli indirizzi proposti con il pacchetto energia dell'Unione europea. Si assume come centrale, dal punto di vista delle politiche sociali, la strategia di Lisbona, il che significa centralità della ricerca, dell'educazione, dell'apertura dei mercati, della semplificazione amministrativa per le imprese, della riduzione dei divari infrastrutturali esistenti.Pag. 15
La risoluzione che sarà presentata sceglie con nettezza la qualità, la sostenibilità e la via di un modello di sviluppo sostenibile, in cui la competitività è ricercata attraverso lo sforzo per rinnovare e qualificare e rifiuta la strada del vecchio modello di sviluppo, centrato su uno standard qualitativo medio-basso, in cui l'elemento centrale diventa l'abbattimento del costo del lavoro e la limitazione dei diritti dei lavoratori.
Come Sinistra Democratica ci riconosciamo pienamente nella risoluzione presentata. Voglio, tuttavia, indicare alcuni punti centrali ai quali il nostro gruppo annette la massima importanza. Voglio parlare della qualità dell'occupazione, in particolare di quella dei giovani. Si è tanto parlato di dare meno ai padri e più ai figli; in realtà, molti di coloro che sostengono tale tesi vogliono dare meno ai padri e niente ai figli. Se si volessero effettivamente migliorare le pensioni future dei giovani, si dovrebbe agire oggi, da subito, eliminando la precarizzazione del lavoro cui sono costretti quasi tutti i giovani. Ci sarebbero più contributi, più certezze per la loro vita, pensioni future più alte. Combattere la precarietà significa limitare fortemente l'istituto dei contratti a termine. Non va in tale direzione il protocollo sul welfare proposto dal Governo.
Noi critichiamo il protocollo presentato dal Governo sulla competitività e il mercato del lavoro. Una critica di fondo che rivolgiamo alla sua impostazione è che esso si ispira ad una logica secondo cui una maggiore competitività si ottiene con il perseguimento dell'abbattimento del costo del lavoro. Questa è un'idea del lavoro che noi consideriamo sbagliata. I provvedimenti sulla competitività, nel momento in cui, per esempio, defiscalizzano lo straordinario, facendo costare un'ora di straordinario esattamente come un'ora di lavoro normale, si preoccupano più delle aspettative di Confindustria, anche dal punto di vista culturale, piuttosto che di contrastare la precarietà e di proporre un'idea di lavoro di qualità. È evidente che in tal modo non si aumenta l'occupazione dei ragazze e delle ragazze. Su tale aspetto condurremo una battaglia unitaria con il sindacato. Per noi la questione rappresenta un punto dirimente.
In secondo luogo, passando al fisco, l'evasione fiscale, il cui livello è piuttosto elevato in Italia, rappresenta un fattore distorsivo della concorrenza, così come distorsiva è l'attuale tassazione dei capital gain.
Si deve prevedere per essi un'aliquota pari al 20 per cento, destinando le maggiori entrate provenienti da tale comparto ad una riduzione del carico fiscale dei redditi più bassi, restituendo il drenaggio fiscale ai lavoratori e ai pensionati ed attuando i primi interventi a favore degli incapienti. Siamo anche favorevoli alla riduzione dell'ICI sulla prima casa di abitazione, purché riguardi in eguale misura la detrazione dal reddito degli inquilini di un importo analogo per gli affitti, salvaguardando, al contempo, le entrate per i comuni che, altrimenti, verrebbero penalizzati.
In terzo luogo, vi è la questione del Mezzogiorno. L'ultimo rapporto della SVIMEZ ci ricorda che le prospettive per il reale avvio di un processo di accelerazione dello sviluppo del Mezzogiorno sono legate al superamento di alcuni vincoli strutturali, che hanno impedito all'economia del Sud di reagire positivamente agli shock provenienti dal nuovo contesto competitivo internazionale.
A nostro avviso, è innanzitutto necessario declinare la problematica dello sviluppo meridionale in tutti gli ambiti delle politiche settoriali. A tal riguardo, in particolare, proponiamo di trasformare gli incentivi previsti dalla legge 19 dicembre 1992 n. 488 per la realizzazione di un credito d'imposta automatico, legato all'assunzione di lavoratori a tempo indeterminato, ovvero all'emersione del lavoro nero. Proponiamo, inoltre, di predisporre un piano per il lavoro e contro la povertà nel Mezzogiorno, a partire dall'attuazione del reddito minimo d'inserimento e dalla riforma degli ammortizzatori sociali, nella convinzione che solo la crescita occupazionale e le misure di inclusione sociale possono consolidare l'aumento della domandaPag. 16interna e la crescita. Tali misure, peraltro, sono necessarie a rendere efficaci anche interventi già previsti per la sicurezza e contro la criminalità organizzata.
Prospettiamo, inoltre, la necessità di rimodulare le spese previste dall'allegato sulle infrastrutture per il quinquennio 2008-2012, in maniera tale da garantire già nel prossimo triennio (2008-2010) una massa ideale di investimenti per le opere pubbliche nel Sud, superiore al 30 per cento di tutti gli investimenti previsti per il Paese. L'allegato relativo alle infrastrutture rinvia, infatti, al 2012 la maggior parte delle risorse finanziarie per le opere pubbliche previste per il Mezzogiorno.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
RAFFAELE AURISICCHIO. Mi avvio a concludere, Presidente. È necessario, dunque, correggere il tiro. Infine, vi è la questione dei costi della politica: si può e si deve fare di più rispetto al disegno di legge che i Ministri Santagata e Lanzillotta stanno predisponendo.
Per tutte le considerazioni svolte, con le sottolineature che ho rimarcato, esprimo il sostegno di Sinistra democratica al Documento di programmazione proposto e alla risoluzione della maggioranza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Verro. Ne ha facoltà.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Signor Presidente, da diversi commentatori molto autorevoli (non solo dall'opposizione), il DPEF al nostro esame è stato ripetutamente definito come un documento di fine legislatura, dalla natura sostanzialmente elettorale.
Malgrado le osservazioni e gli stimoli di autorevoli organismi internazionali e nazionali, quali il Fondo monetario, l'Unione europea, la Banca d'Italia e la Corte dei conti, il documento rinuncia a realizzare quello che poteva - anzi doveva - fare, in un periodo in cui l'economia va sostanzialmente bene. Proprio perché l'economia ha un andamento positivo, sarebbe stato possibile adottare interventi coraggiosi, a sostegno del risanamento e dello sviluppo; invece, non si è previsto niente di tutto ciò. Infatti, il DPEF non opera in direzione del risanamento in quanto il rapporto deficit/PIL passa dal 2,1 al 2,5 per cento; non opera in direzione dello sviluppo, perché, se l'avesse fatto, avrebbe contenuto il livello dell'insostenibile pressione fiscale - oggi al 42,8 per cento - con la conseguenza che è calata la domanda interna.
Alcuni colleghi della maggioranza, in Commissione, hanno sostenuto che, in fondo, anche la Francia sposta l'obiettivo di pareggio di bilancio di due anni, ma si dimenticano di dire che la Francia lo ha deciso per sostenere la crescita, diminuendo la pressione fiscale. Noi, invece, lo facciamo per sostenere le spese.
Il Documento rinuncia a effettuare qualsiasi intervento coraggioso, perché deve concedere qualcosa a ciascuno degli eterogenei partiti dell'attuale maggioranza e avviare una politica di spesa facile e clientelare, tipica dei periodi preelettorali. Si rinvia tutto al futuro, ma ciò potrebbe non bastare a tenere coesa la maggioranza.
Durante l'approvazione del DPEF dello scorso anno, Rifondazione Comunista, componente fondamentale della maggioranza, espresse giudizi critici sul DPEF, manifestando un orientamento che indusse il Ministro Ferrero a non partecipare al voto con cui il Consiglio dei Ministri approvò tale documento. Quest'anno, l'approvazione nei palazzi è stata unanime, ma, subito dopo, si sono levate voci poco rassicuranti. Il capogruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea al Senato, infatti, ha tuonato: O Prodi cambia rotta o si rischia di andare tutti a casa! Inoltre, sul protocollo del welfare del Ministro Damiano si sono subito fatte sentire le critiche da esponenti della sinistra dei DS, i quali hanno minacciato di non votare i provvedimenti che dovessero arrivare in aula. D'altronde, è sufficiente sfogliare e leggere le agenzie di queste ultime ore - per non dire di questi ultimi giorni - per capire qual è il clima che si sta respirando all'interno della maggioranza. Sgobio, infatti, afferma: daremoPag. 17battaglia nel Paese e in Parlamento per modificare questo accordo che non ci soddisfa per nulla, mentre la senatrice Palermi del gruppo dei Comunisti italiani non accetta lezioni morali da Rutelli, la cui carriera politica, dice, definendola un po' ballerina, non è un esempio di coerenza. Inoltre, il capogruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea sostiene che questo Governo rischia di isolarsi dalle domande della società.
Queste sono fratture, Presidente, che non incidono solo sui rapporti quasi autoreferenziali dei partiti della maggioranza, ma sono destinate a produrre politiche economiche che vanno contro il futuro e lo sviluppo del Paese. Il DPEF che sta per essere varato è contestato dall'Europa ed è stretto a sinistra - come abbiamo visto - dalla morsa dei comunisti, che chiedono soldi, spesa corrente e controriforme che, purtroppo per il Paese, avete già cominciato a realizzare sotto dettatura di sindacati e corporazioni. Questo è un DPEF tutto «a dare» - e a dare male -, incapace di consolidare il risanamento e, contestualmente, inadeguato a sostenere la crescita economica e che avrà, come solo e unico obiettivo, quello di tentare di recuperare il consenso perso proprio per l'assurda politica economica di quest'anno del Governo Prodi.
Sul fronte della spesa, inoltre, il Governo sostiene che il contenimento della stessa sarà operato mediante la riduzione di spese. Ciò non è vero; nessuno ci crede e, forse, neanche voi, a dispetto del superficiale ottimismo con cui il Ministro Padoa Schioppa si presenta in Commissione per illustrare alcune slide improbabili, ma evitando accuratamente di rispondere, sul merito, alle obiezioni avanzate dai colleghi.
Il comma 509 della scorsa legge finanziaria prevedeva, infatti, un taglio di oltre 4 miliardi ai Ministeri, ma non ci siete riusciti, forse non ci avete nemmeno provato e, comunque, con il decreto-legge sul cosiddetto «tesoretto» avete dovuto rimpinguare questo fondo per circa 2 miliardi. Ciò ve lo ha ricordato pochi giorni fa il senatore Dini, che ha testualmente dichiarato: sui tagli alla spesa bisogna essere credibili. Io ribadisco che, francamente, non siete credibili.
La verità è che la politica dei tagli della spesa operata da voi in questo modo non funziona, come non funziona certamente quella affidata alla cosiddetta spending review, ovvero la revisione complessiva della spesa pubblica. Quindi, come direbbe Prodi: per favore cercate di essere seri! Non si tratta, infatti, di operazioni di imbellimento o di facciata, in quanto la spesa pubblica si riduce solo in un modo, ovvero intervenendo sulla legislazione sostanziale di spesa, sulle singole leggi e cancellando prestazioni ed interventi uno per uno, non semplicemente effettuando generici riferimenti alla compatibilità dei singoli Ministeri.
Il Fondo monetario è subito intervenuto, affermando che ciò che Prodi sta facendo non è quello di cui l'Italia ha bisogno e le agenzie di rating si sono affrettate a dichiarare che le scelte su «tesoretto» e DPEF rivelano la debolezza politica del Governo. Dunque, mi chiedo se si sentano a disagio Prodi e, soprattutto, il Ministro dell'economia per aver firmato un documento che non va solo contro l'interesse del Paese, ma anche contro la storia personale del Ministro e tutti i principi per i quali si è battuto quando ricopriva i precedenti incarichi presso le istituzioni europee ed italiane.
Continuate a parlare di lotta all'evasione, ma i risultati che il Viceministro Visco ci ha illustrato sono a dir poco deludenti. Intendiamoci bene: quando si parla di lotta all'evasione siamo tutti d'accordo; infatti, nel gruppo di Forza Italia e nella Casa delle libertà nessuno vuol favorire gli evasori. Tutti siamo d'accordo che ognuno deve pagare ciò che gli compete.
Ho molto apprezzato, come sempre, l'onestà intellettuale del relatore: caro onorevole Ventura, in alcuni punti la sua relazione può anche essere condivisa. Tuttavia, in tema di lotta all'evasione è bene intendersi. Non avete l'esclusiva su tale tema e l'obiettivo della lotta all'evasione fiscale è perfettamente condiviso dalPag. 18gruppo di Forza Italia e, personalmente, da me. Sono gli strumenti da voi utilizzati che ci dividono e che contestiamo, perché riteniamo che il recupero della lotta all'evasione vada effettuato riducendo le aliquote nominali, in modo da rendere meno conveniente e moralmente più discutibile il comportamento evasivo da parte dei contribuenti.
Onorevole Ventura, legga i titoli de l'Unità di alcuni giorni prima dell'approvazione della legge finanziaria dello scorso anno. Uno recitava: «Colpiremo gli arricchiti e gli evasori». Più che un titolo, sembrava una dichiarazione di guerra al capitalismo e all'economia di mercato. Per fortuna, nonostante quel titolo, l'arricchimento in quanto tale, almeno fino ad oggi, se avviene con mezzi leciti, non è ancora considerato reato. Il titolo, però, evoca un clima, spero non un indirizzo politico.
Lottare contro l'evasione fiscale è dovere dei Governi, ma il problema non può essere riportato ad una questione criminale. La forma più efficiente di lotta all'evasione che conosco, ripeto, è far pagare poche tasse: più leggero è il carico, maggiore sarà l'incentivo a pagare. Voi, invece, continuate a parlare sempre e soltanto di aumento di tasse. Adesso, l'obiettivo dichiarato dal Viceministro Visco è quello della tassazione dei titoli di Stato, che comporta un aumento della tassazione sui risparmi. Spero tanto che non riusciate a raggiungerlo, perché è una sciocchezza demagogica; intanto, però, il semplice effetto-annuncio ha provocato consistenti fughe di capitali all'estero.
Anche la vostra tanto conclamata redistribuzione non funziona: essa si basa sulla ricchezza. Se non vi è sviluppo, però, non vi è alcuna ricchezza da distribuire: si innesca solo una lotta fra poveri che non conduce al miglioramento di nessuno, ma produce solo invidia sociale
Ritengo opportuno, inoltre, spendere qualche parola sul recente accordo sulle pensioni. Il Presidente Prodi ha definito iniquo lo «scalone», con cui si eleva l'età pensionabile da cinquantasette a sessant'anni. Ricordo a tutti che, nella trattativa con i sindacati svolta all'epoca del Governo Berlusconi per la riforma Maroni, si sarebbero potuti elevare gli anni dell'età pensionabile in modo graduale, da cinquantasette a sessant'anni, nel triennio 2005-2007. Questa, francamente, era tra le ipotesi più accreditate all'interno delle forze politiche dell'allora maggioranza. È bene ribadire che, su richiesta dei sindacati - e in virtù della concertazione a voi tanto cara - si è preferito prorogare l'innalzamento dell'età pensionabile, facendolo iniziare nel 2008 (da qui deriva il famoso «scalino»).
Allora, mi chiedo: in una società in cui si vive ormai ben oltre gli ottant'anni, si può continuare a lavorare per trentacinque anni per poi trascorrerne altri trenta gravando sulle spalle dei giovani? Ancora una volta, i sindacati sono riusciti a far prevalere l'interesse di una piccola, piccolissima minoranza - i lavoratori vicini alla pensione - sugli interessi generali, e in particolare quelli dei giovani, confermando, ancora una volta, che i sindacati altro non sono che una delle tante lobby a difesa di privilegi di pochi fortunati.
Chi è indifendibile, francamente, è però il Ministro Padoa Schioppa. Solo pochi anni fa, da membro del Comitato esecutivo della BCE, egli, infatti, scriveva (cito testualmente): deve essere innalzata l'effettiva età di pensionamento che, nonostante il continuo aumento della speranza di vita, negli ultimi anni si è ridotta.
Così, mentre in tutto il mondo si cerca di alzare l'età pensionabile, da noi si fa esattamente il contrario.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
La mia posizione - e quella del gruppo di Forza Italia - è nettamente contraria all'impostazione di questo documento, che va nella direzione opposta a quella indicataci dall'Europa e non persegue gli obiettivi fondamentali di crescita e di risanamento. Tali obiettivi, cruciali per il nostro Paese e per il futuro dei nostri figli, si potranno raggiungere solo se cambieràPag. 19questa maggioranza. Speriamo solo che ciò avvenga nel più breve tempo possibile.
PRESIDENTE. Onorevole Verro, la Presidenza consente sulla base dei criteri costantemente seguiti la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del suo intervento.
È iscritto a parlare l'onorevole Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, mi limiterò a svolgere alcune brevi considerazioni di carattere generale e politico.
Per prassi, il Documento di programmazione economico-finanziaria è stato sempre approvato contestualmente e contemporaneamente dalla Camera e dal Senato. Sarebbe stato importante rispettare tale consuetudine anche quest'anno, magari con un accordo tra i Presidenti di Montecitorio e di Palazzo Madama.
Quest'anno, invece, per la prima volta nella storia repubblicana, questa prassi non è stata rispettata; eppure osservarla in questa legislatura sarebbe stato ancora più importante degli altri anni, perché vi è, come l'opinione pubblica sa, una prevalenza schiacciante, in termini di interesse politico, del Senato rispetto alla Camera.
Pertanto, votare la risoluzione sul Documento di programmazione economico-finanziaria a distanza di una settimana svilisce indubbiamente il dibattito e fa sì che non vi sia alcun interesse da parte non solo dell'opinione pubblica, ma anche dei parlamentari e dei partiti politici, per ciò che la Camera deciderà domani.
Sottoponiamoci, quindi, a questo inutile e per giunta noioso rituale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è trascorso poco più di un anno dalle elezioni e già ci troviamo in una situazione che sembra di fine legislatura. Il Governo evidentemente riuscirà a sopravvivere anche questa volta, ma una cosa è certa: non è riuscito a decidere niente e lo si rinviene nelle impostazioni e nella filosofia che sottende e che ispira il Documento di programmazione economico-finanziaria.
Il Governo non decide perché i partiti che lo sostengono hanno interessi e posizioni troppo divergenti e le istituzioni politiche, in base ad una sciagurata legge elettorale, conferiscono potere di veto anche ai partiti più piccoli. Per tale motivo, il Governo Prodi assomiglia sempre più a un Governo balneare. Chi è della mia generazione ricorderà i Governi balneari della prima Repubblica. Nella cronaca politica di questi giorni, infatti, è difficile trovare traccia dell'esistenza di un Esecutivo con una sua autorevolezza ed un'autonoma capacità di proposta.
La presunta trattativa sulle pensioni si è prolungata per giorni. I Ministri responsabili vanno a ruota libera e si contraddicono tra loro. I sindacati hanno ripreso forza e battono i pugni sul tavolo. A Serravalle, qualche giorno fa, il Vicepremier Massimo D'Alema aveva osato sfidarli, sostenendo poche ed elementari verità: non ci sono soldi da distribuire! Ma il Presidente del Consiglio non ha trovato la forza né la voglia di seguirlo.
Per quanto riguarda il Documento di programmazione economico-finanziaria nel dettaglio, mai come in questa occasione si percepisce nel DPEF la distanza tra il dover essere e la realtà italiana, che pure lo stesso Documento descrive bene. La sua lettura fa credere che esso non riguardi l'Italia quale è, ma un'altra nazione, con governanti più lungimiranti, responsabili e seri, con sindacati meno corporativi, con una burocrazia snella ed efficiente. Per tale aspetto, il Documento di programmazione è un sogno ad occhi aperti e presenta aspetti veramente paradossali.
Il primo di tali aspetti sottolinea l'urgente esigenza di liberare risorse, abbattendo il debito pubblico. Se, però, l'abbattimento del debito è così cruciale - e lo è, come tutti riconosciamo - perché non perseguire quest'obiettivo qui ed ora con questo Documento di programmazione economico-finanziaria? Invece, secondo le stime, si perderà un anno intero nel risanamento e si rinvierà tutto a fine legislatura. È troppo facile per questo GovernoPag. 20rimandare tutto al 2011: così lo sforzo di ridurre la spesa pubblica è evidentemente perdente in partenza.
Un altro aspetto di incoerenza è accettare le «prassi consolidate» (una nuova espressione che viene usata in questo Documento per la prima volta), che da sole aggiungono miliardi alla spesa del 2008 (4 miliardi) e diverranno la base cui si aggiungeranno richieste per accontentare le varie componenti della maggioranza.
In tale contesto è difficile credere che la legge finanziaria per il 2008 sarà realizzata davvero con risparmi di spesa: sicuramente vi saranno aumenti delle tasse, in particolare per imprese e famiglie.
È proprio per questo che tutti gli organismi internazionali sono preoccupati: il Fondo monetario internazionale, l'Unione europea con Almunia, il presidente dell'Eurogruppo Juncker, la Banca d'Italia con Draghi (che ha messo il «carico da novanta» durante la sua audizione presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato).
A tali critiche, poi, si è aggiunta Confindustria, con Pininfarina, che ha affermato che il merito della ripresa è delle imprese, ma che la pressione fiscale è ancora pesantissima.
Ed ancora: un comunicato congiunto di CNA, Confartigianato, Cassa artigiani, Confcommercio e Confesercenti ha sottolineato che occorre la piena consapevolezza politica del fatto che oggi siamo di fronte a un vero e proprio corto circuito fra elevati livelli di spesa pubblica ed elevati livelli di pressione fiscale e contributiva e che tale corto circuito doveva essere smantellato.
Anche l'ANCE, con il suo presidente, Paolo Buzzetti, si è lamentata per la mancanza di investimenti.
Ma non basta: quali e quante sono le risorse da destinare per l'anno 2008? Qual è il costo dell'eliminazione dello «scalone» pensionistico? Quanto costerà il rinnovo dei contratti pubblici? Se lo chiedono il Servizio bilancio e il Servizio studi di Camera e Senato che, per la prima volta, hanno lavorato in sintonia e in maniera congiunta.
Tutte queste risposte non vengono fornite nel Documento di programmazione economico-finanziaria e il Servizio studi e il Servizio bilancio se ne lamentano, per la prima volta, in maniera molto chiara e molto pesante.
In conclusione, abbiamo ascoltato i radicali, abbiamo ascoltato e abbiamo letto le affermazioni di Lamberto Dini, Natale D'Amico, Valter Veltroni e persino - come citavo - Massimo D'Alema, come anche quelle di Francesco Rutelli, ma si è trattato di voci che sono rimaste nel deserto.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
RICCARDO PEDRIZZI. Ho terminato, signor Presidente. La verità è che manca una vera cultura riformista nel Governo Prodi: l'identità della sinistra radicale si è affermata e confermata; viceversa, l'identità riformista è apparsa quasi sempre nebulosa, se non addirittura assente.
Il Governo si regge perciò su rinvii, su elusioni e sul rifiuto di prendere atto della realtà. Occorre, quindi, un chiarimento di fondo fra chi coltiva un disegno riformatore e chi opera per garantire l'immobilismo, altrimenti non finirà solamente il Governo Prodi - ormai paralizzato da tempo - ma finiranno anche le speranze e le illusioni di quella parte del popolo italiano che lo aveva votato; l'altra parte, le aveva già perse da tempo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Pedrizzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Cacciari. Ne ha facoltà.
PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, intervengo solo sull'allegato al DPEF, dedicato alPag. 21piano delle infrastrutture definite «strategiche». Si tratta di una parte decisiva per le politiche territoriali nazionali, ma anche per il bilancio dello Stato, considerati gli ingenti impegni finanziari che contiene, destinati a segnare l'indebitamento non solo di questa legislatura, ma anche di quelle che vedranno i nostri figli: ricordo che, da una ricognizione che ha eseguito l'VIII Commissione sullo stato di attuazione della legge obiettivo, risulta che le delibere approvate dal CIPE sulla base della legge obiettivo comportano un costo complessivo di 305 miliardi, per un totale di 243 opere e 534 sottoprogetti. Questo è il lascito, diciamo così, della «megalomania» del Governo precedente.
Desidererei aprire un'interlocuzione con il Ministro che è principalmente competente sulle opere pubbliche, nella speranza che vi sia qualcuno che ascolti per lui.
Il Ministro Di Pietro ama affermare che le infrastrutture non sono né di destra né di sinistra: esse (i ponti, le strade, i porti, gli acquedotti) sicuramente non hanno colore politico. Ma il Ministro converrà con me sul fatto che ogni infrastruttura fornisce risposte specifiche ai diversi bisogni della nostra società. Compito, allora, della politica, è proprio quello di scegliere ciò che è prioritario e più appropriato.
Ad esempio, se prima non si opera la sistemazione idrogeologica di una vallata, non sarà prudente costituirci sopra un viadotto, così come una identica infrastruttura non produce gli stessi effetti se viene realizzata in un territorio o in un altro, al sud o al nord, in un'area deficitaria o in una satura. Potremmo continuare a lungo nell'elencare tali banalità per dire però sostanzialmente tre cose: non tutte le infrastrutture sono uguali; non tutte sono inerenti ai trasporti; non tutta la domanda di mobilità è risolvibile con le strade. Per rimanere nel campo della mobilità, un vettore su sede dedicata per trasporti collettivi ha una capacità di trasporto ben diversa da una corsia automobilistica.
Anche gli impatti ambientali cambiano a seconda della modalità di trasporto che si scelgono e, come viene detto correttamente nella parte generale del DPEF, i trasporti su gomma incidono per un quarto sulle emissioni di CO2 consentite a livello nazionale, per non parlare delle polveri sottili inalabili e di altri inquinanti.
Anche i costi indotti, esogeni e non contabilizzati cambiano, a partire da quelli della incidentalità automobilistica: 32 miliardi di euro l'anno, pari al 2 per cento del prodotto interno lordo, vanno a compensare i danni sanitari, i costi vivi e le perdite di produttività; è il tributo di sangue che la nostra civiltà offre al suo feticcio, l'automobile.
Quindi, la politica e le sue istituzioni sono chiamate a scegliere, selezionare e indirizzare secondo visioni e obiettivi strategici. Questi sì, caro Ministro Di Pietro, possono essere progressivi e riformisti o inerziali e al traino degli interessi consolidati, possono essere di interesse generale o utili solo ai profitti degli investitori, dei costruttori e dei gestori delle reti, che sono gestite sempre più in regime monopolistico o di oligopolio.
Alla mia parte politica sembra che l'allegato infrastrutturale, contraddicendo la stessa relazione generale, continui a privilegiare le modalità di trasporto su gomma (oltre il 50 per cento dei fondi previsti) rispetto al ferro (le ferrovie hanno solo il 32 per cento dei fondi) o al mare (i porti hanno solo l'1,7 per cento dei fondi mobilitati dall'allegato sulle infrastrutture), per non parlare della manutenzione e della messa in sicurezza della rete esistente o dei trasporti locali.
Le seconda considerazione che vorrei rivolgere al Ministro Di Pietro - ma non solo a lui, per la verità - è la seguente: lui ama ripetere che esisterebbe nel nostro Paese un partito del «no» di ambientalisti fondamentalisti e luddisti, che manipolerebbero le popolazioni locali e ricatterebbero gli amministratori dei comuni che si oppongono, sempre più spesso e numerosi, a certe grandi opere contenute nell'allegato infrastrutture, così come ad altre costruzioni di iniziativa privata.
C'è solo una possibilità per rovesciare questo vecchio e sbagliato pregiudizio, maPag. 22è fuori dalle mie possibilità; posso solo esprimere un auspicio accorato, un invito ai nostri governanti: incontratevi con queste famiglie, con questi comitati, con le comunità locali e con i sindaci. Troverete gente comune, ma niente affatto sprovveduta: genitori e pediatri sempre più preoccupati per le affezioni e le allergie polmonari dei bambini, capifamiglia che desiderano difendere la qualità delle loro abitazioni, giovani pieni di idee per il futuro delle loro comunità locali, professionisti competenti e anche straordinarie figure della cultura italiana, come nel mio Veneto il poeta Andrea Zanzotto o lo scrittore Rigoni Stern, che ci richiamano ad un dovere civico a difesa del paesaggio, della memoria e del genius loci.
Non stupitevi, quindi, e non arrabbiatevi se queste persone normali, vive, queste vite reali non si entusiasmano di fronte alla prospettiva di vivere in un «hub della logistica», ai bordi di un corridoio intermodale o sotto i camini di un polo energetico, immersi nello sprawl urbanistico. Vedete, vi sono due ottiche diverse da cui guardare la cose: una è quella dei business man, che riempiono i meeting alle fiere campionarie, che dettano gli articoli ai grandi giornali e che frequentano le stanze dei ministeri con portafoglio.
Vi è poi l'ottica delle famiglie, dei residenti, degli abitanti, dei pendolari, dei bambini, del popolo inquinato - per usare una vecchia espressione - che in genere non hanno grande audience.
L'abilità di un Governo dovrebbe essere quella di far rientrare in parametri di sostenibilità le iniziative economiche e per questo vi sono tecniche progettuali ormai consolidate, modalità procedurali codificate e azioni sperimentate. Si chiamano: valutazione degli impatti ambientali (ordinaria, strategica, di incidenza), Agenda XXI, locale e nazionale, strategia tematica e piani integrati di gestione dell'ambiente urbano, Sesto programma di azione in materia ambientale, indicatori comuni europei e obiettivi di qualità ambientale, piani della mobilità, piani di trasporto urbani sostenibili, rapporto sullo stato dell'ambiente, audit ambientale (EMAS), calcolo dell'impronta ecologica ed energetica, piani di correlazione e controllo epidemiologici, Convenzione di Aarhus, Carta di Aalborg, direttive Natura 2000 e Habitat e difesa della biodiversità. Mi fermo, ho solo citato i capisaldi della buona e corretta pianificazione e amministrazione. Invece, il Governo negli anni passati è andato nella direzione opposta.
Si è realizzata la legge obiettivo con l'intento di aggirare le normative europee e comprimere la partecipazione dei soggetti interessati, anche di quelli istituzionali. Si è trattato di vera furbata, che ha portato a conseguenze inevitabili: l'Italia ha il record di infrazioni comunitarie in materia ambientale, alcune delle quali cominciano a costare parecchio in termini di multe e di deficit competitivo con gli altri Paesi europei. Inoltre, il suolo patrio è diventato un campo di battaglia, un proliferare di conflitti ambientali, di comunità costrette a lottare per potere avere audizione.
Per una vertenza che riesce ad emergere sulle pagine dei giornali locali - mi riferisco, ad esempio, ai casi di Val di Susa, Monticchiello, Serre, Civitavecchia, Porto Tolle, Aprilia e Vicenza - altre centinaia di vertenze contrappongono i nostri concittadini a usi disinvolti, approssimativi e gravemente impattanti del territorio. Tali cittadini devono lottare anche solo per avere una barriera fonoassorbente, un marciapiede protetto o una vettura passeggeri in più nelle ore di punta dei pendolari.
Allora, se è vero che solo il 6 per cento delle opere previste dalla legge obiettivo del 2001 è andato a buon fine e se è vero - come è affermato sul Corriere della sera - che il 50 per cento delle opere è fermo per contestazione sui progetti, vi è da chiedersi se le cause di questo fallimento, come correttamente è scritto nel programma dell'Unione, non derivi proprio da una cattiva progettazione, da un'assenza di programmazione e da una mancanza di collaborazione preventiva con gli enti locali.
Non è una VIA in più che frena le maxiopere - come titola il Sole 24 ore -Pag. 23ma esattamente il contrario: è la mancanza di una buona progettazione che impedisce la realizzazione delle infrastrutture utili.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
PAOLO CACCIARI. Superare la legge obiettivo - ho finito, Presidente - diventa quindi un'esigenza per tutti, anche per chi è convinto che le grandi opere infrastrutturali debbano essere realizzate.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, il DPEF parte da una fotografia economica e finanziaria del Paese e indica, di conseguenza, quali saranno le linee guida attraverso le quali modificare l'immagine del Paese stesso.
Tuttavia oggi, diversamente dall'anno scorso, ovverosia nel primo anno di legislatura nel quale più che i fatti valevano le parole e le promesse, possiamo, a ragion veduta, intersecare le promesse della maggioranza con quanto realizzato dalla stessa in un anno di lavoro parlamentare, e giudicare la credibilità delle buone intenzioni, argomentate tra l'altro in modo esauriente e corretto questa mattina dal relatore.
Innanzitutto, però, vi è una regola da tenere presente: avere sempre, come obiettivo primario, l'abbattimento del debito. Infatti, la vera fotografia del Paese Italia non è quella di un territorio dove scavando qualche metro vi si trova un tesoretto da poter spendere.
In Italia, se si scava, non vi sono tesoretti, né petrolio, né minerali; importiamo l'energia e siamo affossati dal debito: 1.600 miliardi. Ricordiamoci questa cifra.
Ciò che preoccupa, inoltre, è la comparazione con gli altri Stati europei, che hanno una crescita del loro PIL di quasi un terzo superiore alla nostra, riescono nel contenimento della spesa e non si sognano nemmeno valori di imposizione fiscale paragonabili ai nostri. Oltre al valore delle tasse e delle imposte, abbiamo anche una tassa tutta nostra, tutta italiana: la tassa sulla burocrazia, che oltre a costare un punto percentuale del PIL alle nostre aziende, quello che è peggio è che rende loro la vita invivibile.
Partendo da una situazione che vede il Paese malato, bisognoso di una cura radicale tale da modificare il sistema di gestione centrale, oltre che il management dell'azienda Italia, diamo una nostra valutazione sulla credibilità dei buoni propositi di questa mattina.
Primo: occorreva dimostrare di saper tagliare la spesa pubblica e non alzare il carico fiscale e non ci siete riusciti; anzi, in termini di valore assoluto - come sarebbe corretto leggere il dato della spesa, anziché in termini percentuali, come invece ci è stato proposto - la spesa è cresciuta.
Secondo: occorreva dare slancio e aiutare l'economia, non con trasferimenti centrali, che a volte arrivano agli amici degli amici, ma con una tassazione in linea con l'Europa, ma non ci siete riusciti.
Terzo: occorreva diminuire la burocrazia, invece l'avete aumentata. Quindi, non ci siete riusciti.
Quarto: occorreva dare credibilità al fisco, almeno rispettando i principi contenuti nello statuto del contribuente, ma, derogando a questi numerosi principi in continuazione - lo abbiamo ricordato in occasione della finanziaria e di altri numerosi provvedimenti -, non ci siete riusciti.
Quinto: occorreva intervenire sui costi veri della politica. Invece, siete partiti con il provvedimento che ha preso il nome di «spacchettamento», con il quale avete battuto ogni record di creazione di vostre sedi governative per accontentare il gran numero di partiti e partitini che esiste all'interno della vostra Unione. Se questo è abbassare i costi della politica!
Non si deve dimenticare che, oltre ai costi, bisognerebbe contenere soprattutto gli sprechi della politica e anche in questo non siete riusciti.
Sesto: occorreva sviluppare le infrastrutture del Paese, invece avete pensatosoltanto a smantellare ogni progetto del precedente Governo: solo la scorsa settimana - vorrei ricordarlo - al Senato, con 13 voti contro 12, avete iniziato a bloccare la Brebemi, consigliando di rivedere gli appalti, quindi, bloccando le opere. Quindi, non siete riusciti neanche a rilanciare lo sviluppo.
Occorreva dare risposta all'esigenza di sicurezza: invece, siete partiti approvando l'indulto e avete liberato assassini, stupratori e delinquenti. Quando, proprio io, proposi un ordine del giorno che chiedeva, in seguito all'indulto, di liberare gli extracomunitari irregolari - delinquenti perché condannati e già in carcere - solo se fossero stati rispediti a casa loro, avete tirato dritto, li avete liberati in mezzo alle strade, in mezzo a noi, in mezzo alla gente. Signori, non siete per nulla riusciti neanche a dare sicurezza.
Occorreva dare inizio alla creazione del federalismo fiscale: qui, peggio, vi siete accordati - è stato ricordato durante l'audizione in Commissione al Senato - solo sui trasferimenti perequativi e sui trasferimenti addizionali: vale dire, in sostanza, soldi dal Nord a Roma o ai soliti noti, non certo alle regioni virtuose. Intanto, però, Lamon scappa.
Non siete riusciti a fare molto: ciò toglie ogni credibilità alle vostre promesse, ai vostri progetti e ai progetti di questa mattina e alle vostre parole certamente non possiamo più credere.
Concludo velocemente perché voglio lasciare al mio collega Garavaglia il tempo per portare un ulteriore contributo. In Commissione è stato affermato che chi parla di «questione settentrionale» oggi è fuori dai tempi. Sono affermazioni molto gravi, purtroppo sostenute nei fatti e negli atteggiamenti da questo Governo. Esiste, invece, oggi più che mai, la «questione settentrionale», che, se è fuori dai tempi, lo è solo nel senso che si sta aspettando troppo a darvi una soluzione credibile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
MARIO BARBI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti del DPEF, che riguardano le grandi linee di modernizzazione del Paese, le infrastrutture, la mobilità e le reti di comunicazione, facendo tuttavia una breve premessa.
Un anno fa, la maggioranza affrontava una situazione difficile e quasi di emergenza per i conti pubblici: doveva reperire risorse straordinarie per non chiudere i cantieri dell'ANAS e di Trenitalia. Oggi, ANAS e Trenitalia hanno le risorse necessarie per portare avanti le opere previste e il Governo onora i contratti di programma e di servizio. Oggi il Paese ha ripreso a crescere; siamo usciti dall'emergenza dei conti pubblici, pur trascinandoci un debito elevatissimo, che non ci consente di abbassare la guardia. Un gettito superiore alle attese, anche grazie ad un efficace contrasto all'evasione, ha consentito di reperire risorse che danno sostanza a quelle linee guida di risanamento, sviluppo ed equità, che hanno ispirato, e tuttora ispirano, la politica del Governo.
Di questo DPEF abbiamo particolarmente apprezzato l'introduzione di una nozione di sostenibilità, che si aggiunge alle tre appena indicate: la nozione di sostenibilità, appunto, ambientale, ma non solo, anche sociale e finanziaria; sostenibilità perché vogliamo un Paese moderno, ma anche meno congestionato e meno inquinato; sostenibilità per rispettare gli impegni della riduzione delle immissioni dei gas serra e gli obiettivi ambientali del protocollo di Kyoto; sostenibilità per garantire ai cittadini aria più pulita nei centri urbani. In un contesto come quello italiano, in cui il comparto dei trasporti incide per oltre un quarto sul totale delle immissioni di gas serra, la parola sostenibilità è strettamente intrecciata con la parola mobilità: mobilità in senso ampio, dalle persone alle merci, ma soprattutto mobilità in un'ottica di lungo periodo. Per migliorare le cose, infatti, serve una strategia di lungo respiro, guidata dall'obiettivo del riequilibrio modale, vale a dire del potenziamento del trasporto su ferro e via mare. È in questa cornice che si inseriscono gli impegni per le infrastrutture e per la mobilità indicati dal DPEF.Pag. 25
Nelle Commissioni di merito, l'opposizione ha sostenuto che tutto ciò che vi è di buono nei documenti di programmazione del Governo, sarebbe frutto delle scelte della scorsa legislatura: non è vero. Al contrario, il disordine della legge obiettivo non è ancora stato sistemato, anche se le priorità sono in corso o in via di ridefinizione e i punti più critici e più difficili sono stati affrontati con spirito nuovo. Penso al consenso delle popolazioni interessate alla linea Torino-Lione, che è fondamentale; si tratta di un consenso che non è variabile né insignificante, anzi è una necessità di cui il Governo, quelli locali e questa maggioranza si sono fatti e si stanno facendo carico. I progetti, peraltro, sono stati presentati nei tempi previsti dall'Unione europea, gli impegni sono stati mantenuti e i finanziamenti europei non andranno perduti. I collegamenti transeuropei sono e restano fondamentale necessità dell'Italia, di un Paese che persegue una precisa strategia per inserirsi, a pieno titolo, nel mercato mondiale e che intende tornare ad essere centrale nel sistema logistico di trasporto - europeo e mondiale - a partire dai collegamenti con l'Asia e con l'Africa, attraverso il Mediterraneo; un Paese, il nostro, che deve sentire la responsabilità di non mancare l'impegno della realizzazione della zona di libero scambio del Mediterraneo del 2011 e che deve, pertanto, vedere, nel mare, il proprio futuro.
Anche da ciò, deriva la scelta di grande respiro del DPEF, che conferma molte delle politiche messe in campo con l'ultima finanziaria e che è ben riassunta nell'allegato Infrastrutture, che cito: «Il miglioramento e il potenziamento della dotazione infrastrutturale (in termini di reti e nodi, di plurimodalità e di logistica) e soprattutto dei grandi assi di collegamento, dei corridoi paneuropei e nazionali, costituiscono, con tutta evidenza, una prima condizione necessaria per prevenire fenomeni di marginalizzazione ed incrementare (...) la competitività territoriale (...)». Quindi, queste scelte riguardano non solo le reti europee, ma anche le dorsali tirreniche e adriatica, nonché quelle che attraversano gli Appennini e gli impegni specifici per lo sviluppo e il potenziamento delle infrastrutture nel Mezzogiorno. Occorre in altri termini fare sistema, per stringere le maglie della rete, quindi collegare porti e retro-porti, centri logistici, ferrovie ed aeroporti, gomma, mare e ferro: tutto questo in una logica, come dicevo, di riequilibrio dei modi di trasporto, garantendo una mobilità sostenibile, a partire dal potenziamento del trasporto pubblico locale, con incentivi ai pendolari.
In questo quadro non è stata ignorata, né dimenticata, la necessità di ammodernamento delle reti di telecomunicazioni e la digitalizzazione delle reti televisive, con l'obiettivo di rendere accessibile a tutti la banda larga e di ridurre il divario digitale.
Elemento centrale per lo sviluppo di un efficiente sistema di trasporti intermodale è il coordinamento delle politiche settoriali, fare sistema anche a livello istituzionale, per scongiurare il rischio più grande, che a nostro avviso sta correndo il sistema dei trasporti italiano, rappresentato dalla deriva verso assetti non sistemici, che tendono a fare crescere il sistema in modo casuale come sommatoria di microesigenze locali e settoriali, piuttosto che in modo programmato secondo precise priorità. Il Governo si sta muovendo con responsabilità anche in questo senso. Si pensi al provvedimento sulla realizzazione di un'authority di settore, che raccordi in unica istituzione pubblica compiti oggi dispersi tra una pletora di soggetti a svantaggio degli attori che operano in tale comparto.
Nell'esame di una materia così ampia e complessa, nelle Commissioni di merito l'apprezzamento è stato accompagnato anche da richieste di chiarimento e raccomandazioni migliorative. Ne ricordo soltanto due. In primo luogo, è stata avanzata la richiesta che vi sia coerenza sicura e certa tra l'elenco delle priorità, l'obiettivo di potenziare i modi di trasporto sostenibili e la relativa distribuzione delle risorse. In secondo luogo, è stata chiesta la garanzia che si prosegua nella direzione di un riequilibrio infrastrutturale a livelloPag. 26territoriale, in grado di recuperare il ritardo del Mezzogiorno e di garantire la destinazione della quota minima di risorse già prevista.
Vorrei concludere con un richiamo al tema della sicurezza. La sicurezza dei trasporti è - e non può che essere - un impegno di tutti e per tutti. Perciò, occorre la forza di affrontare di petto alcune urgenze del Paese.
PRESIDENTE. Onorevole Barbi, concluda.
MARIO BARBI. Concludo, Presidente. Mi riferisco in particolar modo alla sicurezza stradale. Gli ultimi dati completi riferiscono di 5.625 morti l'anno, tra i quali più di mille sono giovani tra i 18 e i 24 anni. Si tratta di un bilancio inaccettabile, sia dal punto di vista morale sia da quello economico e di fronte al quale il Governo è unito nel sostenere che non è possibile continuare a parlare di fatalità, perché la maggior parte degli incidenti possono essere evitati.
Per queste ragioni, questo DPEF rappresenta un ulteriore passo avanti, un chiaro messaggio anticipatore di una politica di forti investimenti in favore della sicurezza, della formazione delle persone e del potenziamento dei controlli sulle strade. Forse non basta, ma non rassegniamoci: è una questione che ci riguarda, che riguarda tutti (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, mi perdoni se inizio il mio intervento con una citazione: «Il recente miglioramento dei conti pubblici è dovuto al forte aumento delle entrate». Non si tratta di Platone citato, come lei sa, nelle premesse del Documento di programmazione economico-finanziaria, bensì del Governatore della Banca d'Italia, ancora lui! Le stime del Governo indicano per quest'anno un ulteriore incremento della pressione fiscale. Il livello è più alto della media europea e prossimo ai livelli più alti raggiunti negli ultimi decenni. Basterebbe questa citazione per sgombrare il campo dalle illusioni, che ancora oggi ho sentito aleggiare in quest'aula: nessuno sviluppo, nessuna politica del Governo, semplicemente gli effetti dell'aumento della capacità economica e produttiva del Paese che hanno rafforzato le entrate! L'aggravante è che a fronte di quanto stava accadendo, in termini di ripresa economica, il Governo ha aumentato l'imposizione fiscale ormai in maniera da raggiungere il record a livello europeo.
Signor Presidente, assistiamo non alla restituzione dell'aumento della pressione fiscale nei confronti delle categorie vessate, che rappresenterebbe senso di responsabilità e indice di buona politica, ma avviene esattamente il contrario: si fa finta di trovare il tesoretto, siamo già al secondo, con una sorta di caccia al tesoretto sotto il profilo politico, per alimentare la spesa. In effetti, il tasso di indebitamento netto nell'anno in corso, in assenza del recente decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, sarebbe stato del 2,1 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Con l'ultima manovra, mi riferisco al citato decreto-legge, l'indebitamento netto sale al 2,5 per cento. Vi è, quindi, un aumento della spesa, anziché una riduzione. Si tratta di una politica sostanzialmente dissennata.
Pertanto, mi meraviglio se il nostro effimero Ministro - non mi riferisco al vero Ministro, ossia Visco, ma a Padoa Schioppa - si balocchi con i sogni che possiamo leggere, ad esempio, a pagina 43, una vera «perla» del Documento di programmazione economico-finanziaria.
L'estensore infatti si diverte ad immaginare cosa accadrebbe in Italia se si potesse copiare quanto accade in Inghilterra, quindi con un'accelerazione della produttività e un aumento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro: i due elementi che consentono l'Inghilterra, com'è noto, di surclassarci sotto il profilo degli indicatori di crescita economica. Si sostiene che anche se riuscissimo ad ottimizzare tali aspetti la crescita italiana a fine periodo, ossia nel 2011, si avvicinerebbePag. 27alla soglia del 3 per cento. È evidente, signor Presidente, che siamo nel mondo dei sogni, anzi oserei dire che quando ci si risveglia poi ci si rende conto che in realtà si tratta di in incubo perché di fronte si hanno i «magnifici quattro», cioè i ministri della sinistra massimalista. Lei immagina quale potrebbe essere la discussione per aumentare la produttività in tema, ad esempio, di straordinario con quei «magnifici quattro»? Immagina, signor Presidente, la possibilità di aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro con i «magnifici quattro» che tramano per far saltare la legge cosiddetta Biagi? Vogliono fare esattamente il contrario di quando, secondo le linee di indirizzo politico ed economico del Governo di centrodestra, si è diminuito il tasso di disoccupazione e quindi si è aumentato il tasso di partecipazione. Signor Presidente, siamo nel mondo delle favole!
A pagina 44 del DPEF (è sufficiente leggere le prime dieci pagine di questo Documento, le altre 160 si possono tranquillamente buttare nel cestino) si rammenta cosa dovrebbe fare l'Italia secondo le raccomandazioni dell'Unione europea: dovrebbe utilizzare tutto il miglioramento dei conti emerso nel 2007 a riduzione del disavanzo ed effettuare una riduzione strutturale del disavanzo in ragione dello 0,5 per cento del Prodotto interno lordo annuo a partire dal 2008. Lei pensa che si otterrà tale risultato riducendo la spesa? Si farà esattamente il contrario, signor Presidente, perché il Ministro Padoa Schioppa, finché non era ancora assurto alle cronache europee era ligio ai conti pubblici, all'inflazione e alle politiche monetarie, mentre da quando è diventato Ministro si è scordato di tutto ciò: è una sorta di schizofrenia politica che prende probabilmente tutti quelli che sono prestati alla politica. Il risultato è che siamo alla politica tipo carta revolving, ossia una di quelle carte di credito grazie alle quale si compra un oggetto desiderato con l'intesa che la prima rata - lo dice anche a pubblicità - verrà pagata in seguito. Si tratta della stessa politica del Governo: nessuna manovra per il 2008. Si è di fronte al falso in atto pubblico! In realtà la manovra - lo spiegherò tra poco - ci sarà anche nel 2008, comunque si invitano i cittadini a non preoccuparsi e a prendere i benefici odierni, il conto poi sarà presentato negli ultimi tre anni di legislatura, con le manovre già previste per pareggiare i conti nel 2009, 2010 e 2011.
A pagina 45 del DPEF vi sono due righe molto sibilline: «Gli interventi che il Governo disporrà con la legge finanziaria per il 2008 consisteranno pertanto» - noti bene, signor Presidente - «in una riprogrammazione della spesa, con aumenti in alcuni settori che saranno compensati da riduzioni in altri, al fine di non aumentare la pressione fiscale». Ormai sono così scafati che ci spiegano anche come faranno a prenderci in giro! In sostanza, vogliono mantenere la pressione fiscale ai livelli ormai da record cui ho fatto riferimento, ma all'interno di questo record vogliono modulare, colpendo i nemici a favore di qualche categoria di amici. Ecco perché l'estensore, citando Platone sul bene comune, farebbe bene a rileggerselo e soprattutto, oltre a leggerlo, a capirlo.
Voglio concludere, signor Presidente, con il vero artefice della politica economica e finanziaria del Governo del centrosinistra, cioè il mio amico Vincenzo Visco. Devo chiamarlo ormai amico perché oltre alla banda dei «magnifici quattro», il Ministro Visco è l'alleato per eccellenza nel centrodestra. L'ultimo provvedimento da lui proposto in materia di incombenze di carattere economico e finanziario - leggasi fiscale: altro che lotta all'evasione! - è il famoso provvedimento noto come Visco-Bersani.
Ho con me, signor Presidente, la stima della Confartigianato pubblicata sul giornale economico Il Sole - 24 Ore proprio in queste ore: alla luce di questi studi, la stima computa che le imprese pagheranno - grazie al mio amico Vincenzo Visco - la bellezza di 740 milioni di euro! Non male per il Ministro dell'economia e delle finanze che governa a nome del centrosinistra! Allora, signor Presidente, concludo con una domanda: sa chi ha fatto ilPag. 28peggiore investimento nel corso dell'anno relativo alla campagna elettorale? La confederazione nazionale dell'artigianato di Modena perché ha dato 15 mila euro alla campagna di Vincenzo Visco per le elezioni politiche!
Spero - e concludo, signor Presidente - che almeno la Confederazione dell'artigianato di Modena chieda in restituzione a Visco i 15 mila euro, perché sono il peggior investimento cui ho assistito negli ultimi anni (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.
ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, dopo cinque anni di stagnazione l'Italia, cioè quel paese che The Economist poco tempo fa aveva definito il vero malato d'Europa, si è rimessa in piedi ed è tornata a crescere. Un anno fa, nel luglio 2006, tutti gli indicatori economici descrivevano un Paese in grande affanno: crescita zero, deficit di competitività, conti pubblici fuori controllo, un forte disagio sociale. Dodici mesi dopo si è in presenza di un'economia in espansione, con la disoccupazione ai minimi livelli dalla fine degli anni Settanta, con l'inflazione sotto controllo e con l'emergenza dei conti pubblici ormai alle nostre spalle. Fra il 2005 e il 2007 il deficit è stato abbattuto dal 4,2 al 2,5 per cento, l'avanzo primario è ricostituito fino al 2,3 per cento e il rapporto tra debito e prodotto interno lordo è nuovamente in calo dopo due anni di crescita. Questi sono dati molto positivi, che tuttavia non cancellano i molti problemi che il nostro Paese si trascina dal passato. Vi è una crescita economica che è ancora inferiore di un terzo rispetto a quella degli altri Paesi europei e vi è un malessere sociale ancora profondo: l'ISTAT ci ricorda che una famiglia su sette, nel nostro Paese, fa molta fatica ad arrivare a fine mese; che un pensionato su quattro vive con meno di 500 euro al mese; che la distribuzione dei redditi e della ricchezza in Italia è ancora tra le più diseguali tra i Paesi europei. L'evasione fiscale, ci ha ricordato pochi giorni fa il viceministro Visco, continua ad essere un fenomeno pandemico ed è un grave fattore di disuguaglianza sociale. Il debito pubblico, infine, nel 2007 sottrarrà due punti di prodotto interno lordo in interessi passivi in più rispetto agli altri Paesi europei. Sono 32 miliardi di euro sottratti alle politiche di sviluppo e di equità sociale!
L'Italia, infine, è un Paese in forte ritardo per quanto riguarda gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo. Questi sono i problemi che il nostro Paese si trascina da anni ed è in questo quadro che il Documento di programmazione economico-finanziaria delinea una vera e propria svolta nella politica economica del Paese.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16)
ANTONIO MISIANI. C'è una prima importante scelta, che è quella di un percorso di risanamento più graduale rispetto alle indicazioni della Commissione europea. È una decisione ragionevole! Il Paese è reduce da due anni di terapia d'urto, che si sono tradotti in 62 miliardi di euro di manovre finanziarie, con un inasprimento della pressione fiscale. Seguire alla lettera le indicazioni della Commissione avrebbe comportato un'ulteriore manovra netta di 10 miliardi di euro, 31 miliardi sommando le spese eventuali indicate con trasparenza dal Documento di programmazione economico-finanziaria. Difficilmente questo impegno sarebbe stato sopportato dal Paese! La scelta è stata diversa: una manovra zero nel 2008 e una correzione di 1,4 punti concentrata nel triennio 2009-2011. È una rimodulazione che è stata contestata, ma in realtà il quadro programmatico del DPEF conferma e, in alcuni casi migliora, gli obiettivi che erano stati concordati con l'Unione europea a dicembre 2006. L'obiettivo del risanamento, quindi, non viene meno, a differenza di quanto pensano coloro che oggi si scoprono rigoristi dopo avere sfondatoPag. 29i parametri di Maastricht per cinque anni di seguito.
Il problema del nostro Paese è un altro: in questo quadro, gli spazi di manovra, dal punto di vista della finanza pubblica, rimangono limitati. Vi è una pressione fiscale alta che non possiamo che pensare di ridurre nei prossimi anni; vi è una spesa di interessi nuovamente in aumento dopo il minimo toccato nel 2005; vi sono investimenti pubblici largamente al di sotto delle necessità. All'inizio degli anni Ottanta, l'Italia investiva il 3,5 per cento del prodotto interno lordo come investimenti pubblici: oggi, negli ultimi anni, siamo fermi al 2,3 per cento. Il Paese ha bisogno di infrastrutture, materiali e immateriali; di ferrovie, di autostrade del mare, di metropolitane, ma anche - lo dico con forza - di nuove strade e autostrade. Ha bisogno, quindi, di investimenti pubblici.
Per recuperare risorse la strada obbligata è una: contenere la spesa primaria corrente. Serve un impegno importante - oltre due punti di prodotto interno lordo da oggi al 2011 - se si vuole mantenere la pressione fiscale in un profilo di riduzione indicato dal tendenziale.
Per fare questo, occorre spendere meglio i soldi dei contribuenti, riqualificare la spesa, ridurre sprechi e inefficienze, riformare in profondità i meccanismi del bilancio pubblico. È un obiettivo difficile, certo, ma non è impossibile: tra il 1993 e il 1995 questo Paese è riuscito a ridurre di oltre tre punti di prodotto interno lordo la spesa primaria corrente. E come ce l'abbiamo fatta in quegli anni difficili, ce la possiamo fare fra il 2008 e il 2011.
C'è una seconda grande novità nel Documento di programmazione economico-finanziaria: è una scelta chiara e netta nella direzione dello sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, che diventa la priorità di politica economica. Questo vuol dire che si agirà con decisione per ridurre le emissioni di gas serra, per tutelare la natura e la biodiversità, per sviluppare le fonti rinnovabili; ciò si tradurrà in aiuti per i pensionati al minimo, nella rivalutazione delle pensioni, in agevolazioni previdenziali per i giovani e per chi perde il lavoro; si tradurrà in sgravi per l'ICI sulla prima casa e per chi vive in affitto; nella revisione dello scalone pensionistico, che viene superato in favore di un aumento più graduale e più equo dell'età pensionabile; in nuove regole del mercato del lavoro, che renderanno meno precario e meno instabile il lavoro di tanti giovani; in interventi per la famiglia e in investimenti in nuove infrastrutture. Molte di queste scelte, quelle in particolare che riguardano il lavoro e il welfare, sono contenute nell'accordo del 23 luglio tra Governo e organizzazioni sindacali. I contenuti di questa intesa sono molto positivi: si supera lo scalone, ma soprattutto - ed è la parte più rilevante dell'accordo - si compie uno sforzo reale di innovazione del welfare, a favore dei giovani, delle donne, dei pensionati al minimo; si investono risorse aggiuntive consistenti, ma si evita di concentrarle sulla previdenza: una scelta giusta, perché l'Italia è un Paese che in tutto quello che non è previdenza spende l'11 per cento del prodotto interno lordo, contro il 15 per cento degli altri Paesi europei.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ANTONIO MISIANI. La risoluzione - e mi avvio alla conclusione - potrà dare un ulteriore contributo a definire le priorità di politica economica. Cito due temi. È sicuramente un tema di grande importanza la sicurezza dei cittadini, che è un diritto di libertà che le politiche pubbliche hanno il dovere di garantire: dobbiamo indicare in modo netto le nostre priorità sotto questo profilo. Inoltre, è una grande priorità nazionale il federalismo fiscale. Il disegno di legge è stato approvato in via preliminare dal Governo: bisogna approvarlo definitivamente e portarlo in Parlamento. Va rivisto, in accordo con le rappresentanze degli enti locali, il patto di stabilità interna.
Signor Presidente, i numeri, nella loro freddezza, descrivono la strada difficile che abbiamo di fronte, ma è lungo questa strada che dobbiamo incamminarci se vogliamo che l'Italia torni a crescere stabilmentePag. 30e diventi una nazione più giusta. Viviamo in una fase di grandi trasformazioni epocali. Siamo un grande Paese, ma non è detto che lo saremo ancora in futuro. Ilvo Diamanti ha definito l'Italia «il Paese dove il tempo si è fermato»: per troppi anni ci siamo rassegnati alla stagnazione, ora dobbiamo tornare a credere in noi stessi. Premiare il merito, cancellare ingiustizie sociali non più tollerabili, scommettere su uno sviluppo compatibile con l'ambiente, in una parola investire sul nostro futuro. Rispetto ad un anno fa le cose sono cambiate in meglio, il declino non è un destino ineluttabile, ma rimangono aperti molti problemi. Vinceremo questa sfida se sapremo affrontarli con lo spirito giusto: coraggio, responsabilità e determinazione (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.
MAURO PILI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, illustre rappresentante del Governo, il Documento di programmazione economico-finanziaria, nelle intenzioni del legislatore, nasce come uno strumento di lunga gittata per pianificare la politica economica del Paese: aveva sostanzialmente l'ambizione di essere un faro e una prospettiva per la crescita del Paese, traguardando gli scenari europei e mondiali.
Oggi - mi rivolgo in particolar modo al rappresentante del Governo - quell'aspettativa si è infranta, si è trasformata in un'evidente e palese contraddizione. Questo DPEF non solo non pianifica, ma è lo strumento che usate come una clava per perseguire l'unico obiettivo che vi unisce, cioè quello di galleggiare. È un DPEF che spudoratamente dichiara di non voler scegliere: non vi è un solo passaggio in cui esso faccia scelte chiare per il nostro Paese, non vi è una sola scelta strategica, anzi il documento di strategia per antonomasia viene relegato a registratore di cassa per segnare l'unico vero indicatore che è destinato a salire, vale a dire quello della spesa e dell'indebitamento.
A conferma della totale delegittimazione dello strumento di pianificazione, questo Governo ha dato prova della sua coerenza - lo dico ovviamente con ironia - anticipando il DPEF con una manovra vergognosa quanto spartitoria, degna della peggiore prima Repubblica. In altri termini, prima di pianificare, il Governo ha deciso di spendere e spandere, avvelenando i pozzi del risanamento e inquinando le falde della ripresa economica.
Tutto ciò, colleghi, ha un senso e una spiegazione: con questo DPEF si confrontano due filosofie economiche e politiche. Con questo DPEF, voi dite sostanzialmente tre cose: più spese, più tasse, meno economia. Noi, invece (e Forza Italia in particolar modo) sosteniamo una tesi diametralmente opposta: meno tasse, più economia, e, conseguentemente, più entrate. A testimoniare questa sostanziale differenza non è solo una banale equazione, ma è anche la comparazione del nostro con il vostro Governo. Per un anno, avete avuto l'ardire di affermare che il Governo Berlusconi aveva lasciato un buco infausto nelle casse dello Stato. Mentivate - onorevole sottosegretario, il suo Ministro, quello vero e quello falso - sapendo di mentire: non foss'altro perché, non appena si sono avuti i primi rendiconti annuali, siete stati sonoramente e irrimediabilmente smentiti. Va detto però, per sottolineare la differenza, che il processo di risanamento avviato dal Governo Berlusconi nasceva in condizioni economiche disperate, legate ad una congiuntura internazionale senza precedenti negli ultimi decenni: Berlusconi e il suo Governo erano infatti riusciti a riprendere il cammino del risanamento in un periodo di vacche magre. Voi invece, signor rappresentante del Governo, avete ripreso la strada dell'indebitamento e del deficit proprio quando arrivava il periodo delle vacche grasse; state così riuscendo in un'impresa ardua, quasi impossibile: trasformare i periodi di vacche grasse in tempi di carestia.
Qualche giorno fa, il soave Ministro dell'economia Padoa Schioppa, insieme all'ineffabile Presidente del Consiglio dei ministri, hanno avuto l'ardire di sostenerePag. 31la tesi che, con questo DPEF, l'Italia mette una marcia in più. Ci dispiace ammetterlo, ma avevano ragione: hanno messo una marcia in più, hanno messo la retromarcia! Non lo dice il centrodestra: lo sostiene, invece, con i documenti presentati alla Commissione bilancio, la Corte dei conti; lo spiega in tutta la sua evidenza il Governatore della Banca d'Italia; lo afferma sommessamente, ma anche con parole chiare, il Commissario dell'Unione Europea Almunia. Per la prima volta da cinque anni, i conti pubblici segnano una dolorosa inversione di tendenza.
Un risultato lo ottiene, questo DPEF: riprende a crescere la spesa e la capacità di disperdere le risorse del Paese sin qui accumulate; riprende a crescere l'indebitamento; si arresta inevitabilmente la crescita economica, legata a un insopportabile carico fiscale che grava sulle imprese e sulla società. Avete pianificato un taglio della spesa, per il prossimo anno, del 9,9 per cento: neppure voi, che avete il folle ardire di scriverlo, potete crederci (e la Corte dei conti ve lo ha dimostrato). E considerato che mai riuscirete ad operare un taglio del 9,9 per cento della spesa pubblica, non vi resterà che perseguire l'unica strada che voi conoscete bene, quella delle nuove tasse.
Questo DPEF è immorale, poiché mette i padri contro i figli: andare in pensione a 58 anni significa infatti che più italiani continueranno a lavorare sottobanco e con la pensione in tasca, mentre vi saranno sempre più giovani con un futuro senza pensione e con un presente senza lavoro. È un DPEF irresponsabile, poiché non pensa al futuro, incrementa le spese e non riallinea i conti, proprio nel momento in cui le regole comunitarie e quelle dell'economia avrebbero suggerito a ciascuno di voi di forzare le azioni di riequilibrio dei conti nel momento in cui l'economia marcia più speditamente.
Questo è il DPEF dell'imposizione fiscale. Come avete scritto, prevedete di recuperare, nel 2007, 26 miliardi di entrate in più, ovvero di nuove tasse: un carico che la società e l'economia non potranno assolutamente reggere.
Ma, come ha sostenuto la Corte dei conti, in questo DPEF insolvente vi è di peggio. Avete dimenticato, infatti, di dichiarare 20 miliardi di euro di nuova spesa, non dichiarati e nascosti per dichiarata insolvenza o irresponsabilità; gli sgravi dell'ICI sulla prima casa, che avete preannunciato ma che non sono contenuti nel DPEF; i 4 miliardi di euro delle Ferrovie; il miliardo dell'ANAS; 1,2 miliardi per agevolazioni fiscali (sono tutte somme dichiarate ma non iscritte nelle nuove uscite del DPEF). Si tratta di un DPEF inconsistente, e non è un caso che il profilo tendenziale di crescita del Paese coincida proprio con il profilo programmatico.
Provo ad esemplificare tale concetto, che è stato ripreso dal Governatore della Banca d'Italia: se anche non vi fosse il Governo Prodi, non cambierebbe niente. Insomma, è un Governo davvero inutile! L'unico risultato si otterrebbe nel 2011 con uno 0,1 per cento di crescita del PIL rispetto all'andamento tendenziale a legislazione vigente.
PRESIDENTE. Onorevole Pili, la invito a concludere.
MAURO PILI. Si tratta di un DPEF improvvido, signor sottosegretario, perché non riesce a chiarire e a perseguire un bilancio in pareggio se non verso il 2011.
Concludo, signor Presidente, accennando molto rapidamente ad alcune questioni. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, non vi è una sola strategia, ma vi è l'assenza totale di un obiettivo da perseguire, sia nella coesione interna sia in quella esterna.
Il programma strategico del 2007-2013 è la testimonianza più eloquente di una coalizione confusa e senza progettualità.
PRESIDENTE. Onorevole Pili, deve concludere.
MAURO PILI. Il fatto politico più rilevante - e concludo davvero, signor Presidente - relativo all'area di libero scambioPag. 32nel 2010 è totalmente eluso: è come se l'Italia non conoscesse il Mediterraneo.
Concludo, signor Presidente, citando la Sardegna. Anche il dato di 2 miliardi di entrate che la legge finanziaria per il 2007 aveva annunciato è totalmente assente: oggi di quelle cifre nel DPEF non se ne parla, non ve ne è traccia (né un richiamo, né una sommatoria che le individui). Così come per l'Italia, anche per la Sardegna ci troviamo di fronte solo ad impegni, impegni e cifre al vento.
Onorevoli colleghi, questo DPEF è la reale rappresentazione dell'attuale Governo: irresponsabile, improvvido, incapace e drammaticamente inadeguato (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piro. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, vorrei sottolineare, innanzitutto, come il DPEF di quest'anno presenti importanti novità, formali e sostanziali, coerenti con la linea di riforma che il Governo e la maggioranza intendono portare avanti e di cui sono elementi costitutivi: la spending review, avviata già in alcuni Ministeri e che a breve sarà estesa in tutti i rami dell'amministrazione; la ristrutturazione del bilancio, che sarà, già a partire dal bilancio di previsione per il 2008, articolato su missioni e programmi; la direttiva del Presidente del Consiglio, emanata per orientare i Ministeri a selezionare le priorità in vista della preparazione della legge finanziaria e ad individuare la copertura di nuove o maggiori spese all'interno della dotazione storica.
La presentazione del DPEF, che, così come vuole la legge, è stato costruito sul tendenziale a legislazione vigente, costituisce anche uno schema di tendenziale a politiche invariate, con l'elencazione tassonomica degli impegni già assunti dal Governo, delle prassi consolidate e non modificabili, degli impegni su cui, invece, insisterà una decisione politica.
Tutte le iniziative, ma in particolare quest'ultima scelta, vanno nella direzione della massima trasparenza e di una precisa assunzione di responsabilità: il Governo non ha nascosto le carte, come spesso avveniva nel passato, ma ha chiaramente detto quali sono le cose che intende fare, per le quali è necessario reperire 21 miliardi di euro, non aumentando la pressione fiscale, ma attraverso una rimodulazione delle spese in modo da liberare risorse adeguate.
Da circa dieci anni non veniva presentato un DPEF così puntuale e veritiero, così come, dopo tanti anni, per la prima volta, esso ci consegna il raggiungimento di un risultato ragguardevole: il rientro nel 2007 sotto la soglia del 3 per cento del rapporto deficit/PIL, che viene traguardato al 2,5 per cento e fissato al 2,2 per cento per il 2008. Non viene, dunque, prevista alcuna manovra netta per il 2008, perché il tendenziale corrisponde al programmatico.
È lo straordinario risultato del 2007, ottenuto grazie alla legge finanziaria, alla ripresa dell'economia, all'incremento del gettito, frutto anche dell'efficace lotta avviata all'evasione fiscale, che ha portato il Governo e la maggioranza ad una manovra espansiva verso i redditi più bassi e gli investimenti, in coerenza con la strategia di risanamento, equità, sviluppo.
L'allegato relativo alle infrastrutture fa finalmente chiarezza sullo stato delle opere e ne individua una selezione coerente. Contiene, inoltre, un capitolo che, molto opportunamente, per la prima volta, focalizza le politiche per la casa. Mi auguro che con il prossimo DPEF possa essere anche presentato un allegato che riguardi le infrastrutture immateriali, oltre alla sezione da dedicare alle politiche ambientali e sui cambiamenti climatici.
Vi è, nel DPEF, la piena assunzione della primaria importanza dei temi della sostenibilità ai fini dell'orientamento delle strategie e delle politiche complessive. Occorre lanciare un grido di allarme sul Protocollo di Kyoto. L'Italia avrebbe dovuto ridurre del 6,5 per cento le emissioni di CO2 nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990. Le stime ci dicono, invece, che le emissioni sono aumentate, nel nostroPag. 33Paese, del 12,5 per cento. L'obiettivo diventa, dunque, quello della riduzione, nel prossimo quinquennio, di almeno il 19 per cento. Il mancato rispetto dell'obiettivo non ci costerà solo in termini ambientali, ma ci costringerà a pagare multe salatissime: da 2,5 a 4 miliardi di euro l'anno. La sfida dei cambiamenti climatici impone nuovi modelli di contabilità economica e finanziaria integrati da sistemi contabili e di bilancio in grado di rilevare l'incidenza sull'ambiente delle politiche pubbliche. Va introdotto, dunque, un sistema di contabilità e di bilancio ambientale, a tutti i livelli, come anche il bilancio ambientale sociale.
La contrazione e la riqualificazione della spesa corrente primaria, oltre che su una puntuale e profonda rivisitazione della spesa storica, devono poggiare su almeno altri due pilastri: lo sviluppo del Mezzogiorno e il federalismo fiscale, dall'attuazione del quale è lecito attendersi anche effetti importanti in direzione di una maggiore responsabilizzazione dei gruppi dirigenti a tutti i livelli nel Mezzogiorno, il quale, nel 2006, ha fatto registrare una crescita del PIL pari all'1,4 per cento, tuttavia lontana dal livello di crescita del PIL nazionale.
La crescita è inferiore alle altre aree deboli d'Europa. Il PIL pro capite è appena il 57,4 per cento, rispetto a quello fatto registrare nel centro-nord. La debolezza del Mezzogiorno - sono parole dello Svimez - si conferma particolarmente evidente, come evidente è il sostanziale abbandono del sud operato dal Governo Berlusconi.
Uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del sud continua ad essere l'assenza di beni primari, tra i quali la legalità e la sicurezza. Nel 2006 sono aumentate le estorsioni, che, insieme all'usura, costituisce un vero e proprio cappio al collo delle imprese. Si concentrano in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia - non a caso le quattro regioni considerate ancora in ritardo di sviluppo - gli illeciti ambientali e le cosiddette ecomafie.
I recenti terrificanti incendi che hanno messo a ferro e fuoco estese zone in Puglia e nelle altre regioni, ci dicono che siamo di fronte a forme di criminalità diverse, ma capaci di portare la devastazione, ed alla necessità, quindi, di intensificare le iniziative sul fronte della sicurezza, una sicurezza a tutto tondo, al nord come al sud, pur nell'articolazione dei problemi che i cittadini, le imprese e i lavoratori si trovano ad affrontare.
Un altro fra i rilevanti problemi da risolvere è quello delle risorse investite al sud. La spesa per investimenti è ferma al 37,5 per cento e quella ordinaria della pubblica amministrazione non supera la soglia minima del 30 per cento. La spesa per abitante, che nel centro-nord è di 1.270 euro, nel sud è di 1.200 euro.
Se si vuole raggiungere l'obiettivo ambizioso, ma indispensabile, di una crescita del PIL nel sud nei prossimi anni del 2,6-2,8 per cento, occorre far sì che la spesa per investimenti non sia comunque inferiore al 41,4 per cento programmato, mentre va mantenuto un incremento annuo dei volumi di spesa di almeno il 37 per cento, anche solo per rispettare il principio di addizionalità nell'utilizzo dei fondi europei. Il Mezzogiorno, però, ha bisogno soprattutto di una strategia di respiro.
PRESIDENTE. Deputato Piro, concluda.
FRANCESCO PIRO. Concludo, Presidente. La nuova fortissima rilevanza del Mediterraneo e gli scambi internazionali delineano uno scenario dentro il quale vanno inquadrate le prospettive di sviluppo del Mezzogiorno e, quindi, dell'intero nostro Paese attraverso, in particolare, due obiettivi: lo sviluppo delle attrezzature materiali e immateriali per fare del sud la piattaforma di interconnessione tra Europa e Asia - non va dimenticato che esiste un nuovo corridoio, che va dallo stretto di Gibilterra al canale di Suez - e l'affermazione della centralità politica, commerciale e culturale all'interno dell'area euromediterranea.
È nel Mediterraneo che si collocano i nuovi termini della questione mediterranea,Pag. 34vale a dire della crescita di tutto il Paese (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, dovremmo parlare oggi del DPEF, ma prima occorre introdurre un argomento ad esso strettamente collegato, cioè il fatto che, senza saperlo, abbiamo cambiato sistema parlamentare e oggi non ci troviamo più in una democrazia parlamentare, bensì in uno Stato di democrazia puramente e unicamente formale. Lo abbiamo visto nella discussione del DPEF, sostanzialmente ridicola.
Guardandoci in giro, in quest'aula, siamo in quattro gatti a discutere di un Documento che è già stato approvato al Senato; conseguentemente, se anche qualche idea buona emergesse nel nostro dibattito, non sarebbe possibile modificare la risoluzione. Altrimenti, il Governo sarebbe vincolato dalla risoluzione della Camera o da quella del Senato? Siamo, quindi, qui a prenderci in giro. Delle due l'una: o il Governo ha deciso che la Camera è composta di persone non dotate della capacità di contribuire allo sviluppo e al benessere del Paese, oppure abbiamo veramente abdicato al sistema, mutandolo da parlamentare in democrazia puramente formale.
Chi ha studiato sui libri di scuola la questione della Repubblica di Weimar parlava all'epoca di parlamentarismo, cioè di blocco, di incapacità del Parlamento di decidere. La forzatura della sinistra nella legislatura in corso va ben oltre, perché a fronte di un'incapacità di decidere, ha deciso di cambiare il metodo di decisione. Non decide più il Parlamento. Questo è veramente l'aspetto peggiore!
Come si prendono decisioni? Chi le prende? Parliamo di procedure: per esempio, in Commissione bilancio, si è svolta una discussione del DPEF puramente e unicamente volta a mantenere la forma. Anche il nostro gruppo ha partecipato a tale discussione puramente formale, sperando che non si cambiassero le procedure e la prassi, di modo che la prossima volta quando ci sarà - ce lo auguriamo tutti - un Governo diverso e si ritornerà al sistema di democrazia effettiva, almeno non ci sarà stato un buco delle procedure e nella prassi. Pertanto, abbiamo partecipato ad una discussione formale, assolutamente inutile, dove si faceva in fretta in vista dei decreti-legge che incombono, la fiducia e le scadenze previste dalla cosiddetta legge Castelli. È più importante, quindi, rispettare il fatto che vi sono tutta una serie di provvedimenti da far passare perché c'è la fiducia, perché altrimenti scadono e cade il Governo. Chi se ne frega se cade il Governo! Noi non siamo qui a fare i «gioppini», ma - in teoria - per partecipare al processo legislativo. Tuttavia, non è più così.
A parte le procedure, si tratta anche di capire chi prende decisioni. L'articolo 81, comma 1, della Costituzione stabilisce che: «Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo». La sessione di bilancio inizia con il DPEF. Ma siete sicuri che è la Camera che approva il DPEF? Chi l'ha scritto il DPEF? Non lo hanno scritto né la Camera, né il Senato e nemmeno il Governo, ma le segreterie di partito. Ciò è veramente grave. Non abbiamo, pertanto, trasformato la democrazia in una di tipo presidenziale con forti poteri al Governo, ma siamo andati ben oltre. Il Governo è superato! Comandano e governano le segreterie di partito sulla base dei veti incrociati, le quali consentono di stare in piedi al Governo Prodi, il quale oramai è alla frutta, al caffè, all'amaro; ha fatto tutto quello che c'era da fare, eppure sta ancora in piedi. Come ha dichiarato giustamente Tremonti ieri: il Governo è talmente debole che non riesce a cadere. È una cosa veramente allucinante, e su ciò siamo d'accordo.
L'articolo 81 della Costituzione, al quarto comma, recita che: «Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». EPag. 35voi che cosa fate a questo proposito? Nel DPEF prevedete 21,2 miliardi di euro non coperti.
Siamo davvero qui a prenderci in giro? E poi andate dicendo che non vi saranno nuove tasse e che la prossima legge finanziaria non avrà bisogno di una nuova manovra di copertura! Ma come? Scrivete che vi sono 21,2 miliardi di euro da coprire! Inoltre, l'operazione demenziale delle pensioni alza l'età pensionabile e riesce a far spendere addirittura 2 miliardi all'anno: è veramente una genialata! Lasciare le cose com'erano era troppo semplice! E invece no, riuscite in questa genialata che costa alle casse dello Stato e fa andare in pensione dopo. È veramente una cosa da persone fuori di testa!
Ebbene, tra i 21 miliardi che ho citato prima, i due connessi alla riforma delle pensioni ed altre voci di spesa, vi sono almeno 25 miliardi di euro che devono trovare copertura. È già stato detto che non vi è alcun problema; non si alzeranno le tasse e si provvederà alla copertura mediante riduzione della spesa. Anche su tale questione, chi volete prendere in giro? Nella legge finanziaria avete inserito nei saldi 4,7 miliardi di euro di tagli delle spese dei Ministeri. Il risultato è che dopo sei mesi ridiamo due miliardi perché non siamo capaci di tagliare la spesa...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MASSIMO GARAVAGLIA. Concludo, Presidente. Il risultato è il seguente: non siete capaci di tagliare la spesa, ma siete capaci - ce ne siamo accorti molto bene - di alzare le tasse. Il problema è che il nord non accetterà mai una legge finanziaria di altri 25 miliardi di euro (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.
LUDOVICO VICO. Signor Presidente, il DPEF per gli anni 2008-2011 ci offre un quadro economico del Paese più tranquillo rispetto al recente passato. A partire dal 2006 l'economia italiana appare in significativa ripresa, con una crescita - bisogna dirlo - contenuta, e comunque agganciata alla ripresa in atto in Europa, con la conseguenza positiva che la finanza pubblica è migliorata in termini di saldi. Tuttavia, il forte peso del debito che grava sui conti pubblici, la sottodotazione del sistema delle infrastrutture, la persistenza di rendite e di chiusure sui mercati dei servizi, insieme a forti squilibri territoriali, continuano a caratterizzare la struttura economica e sociale del Paese, condizionandone la possibilità di trasformare tale ripresa ciclica positiva in uno sviluppo duraturo e più elevato. È evidente che occorrerà reperire e avere nuove risorse finanziarie da indirizzare verso lo sviluppo e la competitività lungo un percorso pluriennale, sapendo che l'avanzo primario, saccheggiato e dissipato nel corso della precedente legislatura, ha ripreso a crescere, sia spontaneamente, sia nel suo profilo programmatico, mentre la spesa primaria corrente è rimasta immutata. Occorre, pertanto, aggredire la rigidità della spesa primaria, riqualificandola attraverso un provvedimento di revisione della spesa pubblica.
Lo sviluppo e la competitività sono lo snodo della struttura economica di un Paese. La vitalità economica del sistema produttivo vede l'Italia e le sue ripartizioni in una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi d'Europa. L'Italia, con un indice di 84,6, si colloca al ventunesimo posto, il centro-nord, con un indice del 96,3, al sedicesimo posto e il Mezzogiorno, con un indice del 54,1, si colloca all'ultimo posto, sorpassato anche dalla Grecia.
Gli elementi che contribuiscono ad abbassare l'indice sintetico del nostro Paese, presenti nel Mezzogiorno, sono: il ridotto volume degli investimenti fissi lordi per abitanti, il ridotto grado di internazionalizzazione, la bassa quota di export e la quasi assenza di investimenti dall'estero. In Italia il flusso medio annuo di investimenti esteri per abitante è stato, ed è, di 350 euro, con livelli di 292 euro per abitante al centro-nord, mentre nel Mezzogiorno è di 13 euro per abitante.Pag. 36
Cari onorevoli colleghi, dai dati sommari appena citati si ricava un indice di potenzialità competitiva del sistema produttivo Italia che spiega bene, da una parte, l'inadeguatezza del Mezzogiorno rispetto alle sfide dei mercati, dall'altra, il grande sforzo che il Parlamento e il Governo dovranno compiere per innescare un processo rapido di reale convergenza fra le due macro-aree del Paese, il Nord e il Sud.
Il Mezzogiorno ritorna, per il Paese, come problema nazionale. Il sud è in difficoltà seria e, tuttavia, non può essere riassunto in una definizione unica, in quanto distinguere è utile e necessario. Pertanto, è necessario differenziare le realtà del sud che funzionano da quelle in declino e in crisi.
Onorevoli colleghi, penso che si sia conclusa, ormai da molto tempo, la lunga fase in cui il pensiero economico dominante riteneva bastasse riattivare le risorse endogene, accompagnate dall'intervento pubblico diretto nell'economia, per conseguire tassi di sviluppo più elevati nel nostro Mezzogiorno. Se il Mezzogiorno ha bisogno di un contributo aggiuntivo, questo dovrà essere la capacità di intercettare i flussi di investimento, nazionali ed internazionali, al fine di incentivare il cambiamento strutturale delle specializzazioni produttive nell'interesse dell'intero Paese. In questa direzione la politica industriale deve assumere un ruolo importante per il Mezzogiorno. Non si tratta, dunque, di mettere in campo solo interventi compensativi o la creazione di condizioni di contesto - come si è detto per anni - ma di orientare la struttura produttiva verso processi di rinnovamento tecnologico dell'offerta e di sviluppo del capitale fisico e umano.
Il disegno di legge Bersani «Industria 2015» e il Mezzogiorno rappresentano il cammino da percorrere. Il DPEF e la legge finanziaria per il 2008, attraverso il disegno di legge citato, potranno e dovranno dedicare una maggiore attenzione al Mezzogiorno. Se si coniugherà l'evoluzione della politica industriale nazionale con il rinnovamento degli strumenti della politica regionale e un rilancio delle politiche di attrazione, si potranno disegnare le coordinate di un nuovo impegno per il sud.
Penso che negli istituendi progetti di innovazione industriale potranno essere comprese le medie imprese e le aree produttive di eccellenza del Mezzogiorno, come l'aeronautica, l'aerospaziale, alcuni comparti dell'agricoltura di qualità, le biotecnologie e la microelettronica. Inoltre, attraverso l'utilizzo dello strumento cosiddetto «rete di impresa», si potrà aprire un più congruo accesso alle residue leggi di agevolazione nazionale mirate ad obiettivi orizzontali, quali la crescita dimensionale, l'internazionalizzazione, la ricerca e l'innovazione. Infine, dalla legge n. 488 del 1992 è necessario passare agli automatismi.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUDOVICO VICO. Ritengo, inoltre, che una qualche fiscalità di vantaggio sia temporaneamente utile ai fini di compensare le diseconomie esterne in funzione delle politiche di attrazione per ridurre i costi di transazione.
Nel Paese ci si deve rendere conto che i valori e i dati non positivi, che caratterizzano a livello internazionale l'Italia sul versante economico della competitività, dipendono da un 40 per cento del Paese che è diverso e si chiama Mezzogiorno e che non resisterà a lungo, a meno che quella diversità non sia riconosciuta come problema, non solo dei meridionali ma dell'Italia intera. È necessario rendersi conto di ciò, cosicché il DPEF e la legge finanziaria del 2008 potranno essere l'inizio impegnativo e comune di una nuova stagione per il Mezzogiorno (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, desidero porre la mia attenzione suPag. 37due tematiche: il motivo per il quale questo DPEF è dannoso per il Paese e ciò che in esso manca.
In ordine alla prima tematica, il DPEF in esame finisce di essere dannoso per il Paese perché non affronta i nodi strutturali. È, infatti, un DPEF elettorale, che rimanda i problemi al 2009-2010 e non li affronta nel 2008.
Per intenderci, è come se un padre di famiglia decidesse di chiedere un mutuo per acquistare la nuova casa e chiedesse alla sua banca di non pagare l'anno successivo, ma di rimandare il pagamento delle rate agli anni a venire, pur sapendo che queste saranno più gravose. È come se egli, infischiandosene di ciò che lascia ai propri figli, dicesse: «Va bene, ci penseremo dopo». Un buon governante non si comporta così, ma affronta subito i problemi, ponendoli al centro della propria politica.
Questo DPEF finisce per spostare i problemi agli anni successivi. C'è un obiettivo che condividiamo: quello del pareggio di bilancio, che viene previsto per l'anno 2010. Si sostiene, però, che il 2008 non darà alcun contributo al pareggio, mentre lo daranno gli anni 2009-2010. Ciò nasconde un doppio problema: uno tecnico ed uno politico. Il problema tecnico è questo: il DPEF in esame è il primo che ricordi - degli ultimi nove anni - a peggiorare il tendenziale. In altre parole, se lasciassimo andare le cose come vanno e non ponessimo alcun paletto all'economia, il prossimo anno la nostra economia chiuderebbe con un indebitamento pari al 2,1 per cento del PIL (per intenderci, mi riferisco a quel numeretto magico che, secondo quanto l'Unione europea ci richiede, deve essere inferiore al 3 per cento). Il nostro Paese è in grado di raggiungere da solo, senza alcun intervento del Governo, tale 2,1 per cento. Questo DPEF interviene, come detto, per peggiorare il tendenziale e prevede di effettuare interventi tali che dal 2,1 si passi al 2,5 per cento. In sostanza, si prevede un aumento delle spese, in maniera che l'indebitamento del Paese diventi più pesante: si penserà nel 2009 e nel 2010 come azzerare questo dato del 2,5 per cento. Il problema politico consiste nel fatto che ciò avvenga perché si crede - o si vuole far credere - che l'economia versi in uno stato migliore rispetto a quello in cui essa versa effettivamente. Ciò accade perché il Governo è talmente debole da non poter affrontare i temi che un risanamento di bilancio pone.
È come se preparassimo, lo ripeto, un DPEF elettorale, fatto apposta per affrontare le elezioni nel 2008. È, infatti, consuetudine che l'anno delle elezioni si prepari con una legge finanziaria molto morbida: si tratta, ormai, di una prassi consolidata nel modo di far politica nel nostro Paese. Quello in esame ha le caratteristiche di un DPEF di fine legislatura, elettorale: esso imposta una legge finanziaria che non comporta alcun beneficio per il Paese ed aumenta la spesa in una prospettiva non di beneficio, ma puramente elettorale.
In questo DPEF, a mio parere, mancano due cose fondamentali. Se si compara quello di quest'anno con quello dell'anno scorso, l'enfasi sulle liberalizzazioni, che il primo, giustamente, poneva, viene quasi totalmente abbandonata nel secondo. Possiamo escludere che ciò avvenga perché le liberalizzazioni si sono effettuate, perché è sotto gli occhi di tutti che, in questo settore, poco o nulla si è fatto: il Governo, resosi conto di non avere la forza per affrontare questo tema, lo ripone nel cassetto. Questo è uno di quei nodi strutturali senza i quali il risanamento è impossibile.
Colleghi, denuncio il fatto che il disegno di legge sulle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali giace ormai da un anno e mezzo nell'altro ramo del Parlamento: non c'è la forza politica di portarlo avanti. Non c'è liberalizzazione che non passi attraverso quel disegno di legge, cioè attraverso la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, che significa tariffe di gas, acqua ed elettricità più basse, proprio quello che stanno chiedendo i cittadini.
Se questo Governo non è in grado di portare avanti quel disegno di legge, svanisce tutta l'enfasi che quest'anno abbiamoPag. 38posto sulle liberalizzazioni; queste ultime, infatti, occupano nel DPEF un posto residuale e mancano all'appello.
La seconda cosa che manca è la politica per gli enti locali.
Guardate che in Italia si sta verificando una cosa grave, perché le regole del patto di stabilità imposte l'anno scorso agli enti locali hanno comportato una riduzione degli investimenti degli stessi di oltre il 50 per cento. Per intenderci, ciò vuol dire che i comuni stanno investendo la metà nei propri territori e che, quindi, non stanno più realizzando quelle opere che sono essenziali per lo sviluppo del nostro Paese: mi riferisco a strade, scuole, centri per anziani e per i giovani.
Si tratta di un dato importante: questo DPEF non affronta il nodo strutturale del problema del patto di stabilità per gli enti locali. Queste sono le ragioni fondamentali che ci spingono a votare decisamente contro il DPEF in esame.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, il Documento di programmazione economico-finanziaria è il documento che, secondo la legge, deve indicare le strategie che l'Esecutivo intende adottare, attraverso le scelte di bilancio, per raggiungere gli obiettivi che si è dato e che sono previsti dal programma di Governo e di coalizione.
È stato sottolineato che questo DPEF si caratterizza, diversamente da altri, per chiarezza di impostazione e di esposizione. Viene descritto il quadro macroeconomico generale ed illustrata la situazione economica complessiva, nonché l'andamento tendenziale e programmatico negli anni di riferimento, 2008-2011, in modo dettagliato e trasparente.
Le scelte strategiche e le politiche settoriali vengono assunte, quindi, sulla base di un'attenta valutazione dell'andamento dei conti pubblici e della crescita economica, che tende a mantenersi positiva, seppure in termini contenuti.
Si esce dall'incubo del deficit e del debito fuori controllo. L'avanzo primario, dopo la cura dimagrante della passata legislatura, riprende a crescere. Gli indicatori macroeconomici ci fanno tirare un respiro di sollievo. Consapevole, tuttavia, della necessità di non abbassare la guardia, a fronte di un debito pubblico che - va ricordato - rimane enorme e che può essere abbassato solo destinando risorse direttamente a tal fine, il Governo valuta che per il 2008 non si ponga come necessaria una manovra di segno correttivo. Ne consegue che gli eventuali aumenti di spesa devono essere compensati da riduzioni in altri settori o, comunque, in modo tale da lasciare invariata la pressione fiscale.
È della scorsa settimana l'approvazione del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, il cosiddetto decreto-tesoretto - o mal detto, forse non è proprio il termine più corretto - presentato dal Governo in pratica congiuntamente con il Documento di programmazione economico-finanziaria e che è con quest'ultimo fortemente collegato.
Il decreto-legge ha rappresentato un momento particolarmente significativo, proprio per la finalità di voler utilizzare parte delle risorse aggiuntive provenienti dall'extragettito per la redistribuzione delle risorse, l'equità e lo sviluppo.
Il DPEF che stiamo esaminando mantiene e rilancia questa filosofia di intervento nelle linee di politica economica e di sviluppo previsto dal Governo per i prossimi anni.
Dopo un primo anno di Governo di centrosinistra, ci troviamo di fronte ad un quadro economico sicuramente più favorevole e ad uno scenario di crescita certamente più positivo di prima: la lunga fase di declino sembra essersi interrotta, il nostro Paese è tornato a crescere, è previsto un incremento dei consumi delle famiglie, i conti pubblici - lo ripeto - sono in netto miglioramento, l'inflazione è al minimo storico, comincia a dare i primissimi risultati la politica di lotta e di contrasto all'evasione fiscale, che è il vero flagello del nostro sistema, come il decreto-legge sull'extragettito sta a dimostrare.
Uno degli obiettivi è garantire che la ripresa, da congiunturale, si trasformi inPag. 39duratura e sostenibile. Ciò significa attenzione ai settori più deboli ed esposti della nostra società e alle scelte che si operano, affinché esse siano davvero compatibili con la necessità di mantenerci dentro ai parametri e agli impegni del Protocollo di Kyoto e, comunque, affinché vi sia davvero la compatibilità e la sostenibilità con l'ambiente.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2008-2011 si muove in tale contesto, puntando a coniugare, per i prossimi quattro anni, la crescita del Paese con forti connotati in grado di garantire l'equità e la sostenibilità.
Cito solo i titoli dei temi affrontati: il Mezzogiorno, i giovani, la formazione, la ricerca, le politiche ambientali, la tutela delle fasce deboli della popolazione, la sanità e la solidarietà. Sotto quest'ultimo aspetto, giova ricordare come l'Italia presenti ancora oggi un tasso di povertà superiore alla media europea e un investimento inferiore nelle politiche dello stato sociale.
A ciò vanno aggiunte tutte quelle situazioni di forte disagio e di nuovo disagio, che rappresentano ulteriori fonti di esclusione e di impoverimento. È nota la sproporzione, che caratterizza il nostro welfare, tra spese destinate alle pensioni e quanto, invece, viene previsto per il finanziamento di politiche sociali in grado di affrontare le modificazioni strutturali della nostra società: dall'invecchiamento della popolazione ad una gioventù precaria, al mutamento delle strutture familiari, che tendono a non sostenere il peso delle trasformazioni stesse.
Il Governo, fin dalla scorsa legge finanziaria per il 2007, ha comunque iniziato a invertire tale tendenza, dedicando maggiore attenzione - ciò va riconosciuto - al nostro Stato sociale, per tentare di riportarlo in linea con quello degli altri Paesi europei e con quanto stabilito dalla strategia di Lisbona.
In tal senso, è positivo l'impegno - indicato nel DPEF - di sviluppare nuove politiche sociali in collaborazione con gli enti locali, per un progetto di legislatura, individuando alcune priorità, a partire dalla lotta alla precarietà del lavoro e dalla politica per il diritto alla casa. Infatti, a fronte dell'80 per cento di popolazione proprietario di casa, vi è il 20 per cento che, invece, ha ancora a che fare con un mercato della locazione molto rigido e che naturalmente sanziona pesantemente, soprattutto nelle grandi città, famiglie a reddito anche non bassissimo.
Inoltre, vi sono il sostegno alle famiglie con figli, le politiche per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro delle donne e l'adeguamento dei servizi all'infanzia. Ricordiamo che si tratta di famiglie con molti figli quelle sulla soglia o, addirittura, all'interno di situazioni di grave disagio e di povertà.
Suggerisco anche al Governo di reimpostare, in modo più convinto, il dialogo con gli enti locali. Va assolutamente completato l'iter legislativo che introduce un vero federalismo fiscale, ma va considerata anche la necessità di prevedere che i comuni - specialmente quelli di aree metropolitane, che devono affrontare determinati gravi problemi, come quello del sovraccarico da turismo nelle città d'arte - si possano dotare di strumenti fiscali che consentano loro di governare con margini più ampi. Penso, per esempio, ad una rivisitazione e a una riforma in questo senso dell'ICI.
Altro punto di svolta indicato espressamente nel DPEF è l'individuazione della sostenibilità ambientale tra i punti chiave e prioritari. Ciò rappresenta indubbiamente un grande passo in avanti nell'impostazione di un quadro di programmazione dell'economia del nostro Paese. In tale ambito si sottolineano gli impegni assunti a livello comunitario per la riduzione dei consumi energetici attraverso il ricorso ad almeno il 20 per cento delle fonti rinnovabili, l'aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica e la riduzione dell'emissione dei gas serra.
Insomma, non può farci che piacere la consapevolezza presente nel Documento di programmazione economico-finanziaria della centralità dell'ambiente e della lotta ai cambiamenti climatici. Da tutto ciò siPag. 40evince la necessità di rispettare - lo sottolineiamo ancora - gli impegni del Protocollo di Kyoto all'interno dei quali si trova la riforma energetica, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, il risparmio e l'efficienza. L'ambiente non è più visto solo come un vincolo, ma diventa una grande opportunità per costruire un progetto di sviluppo vero e un'idea di sostenibilità che renda il nostro Paese più competitivo e in grado di vincere le sfide della competizione globale.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUANA ZANELLA. A proposito di ambiente, rilevo tuttavia una grande contraddizione all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria laddove, all'interno dell'allegato infrastrutture, tutte le premesse, pur presenti e condivisibili, vengono in grande misura (ciò ci rende assolutamente insoddisfatti) non accompagnate da scelte conseguenziali a proposito di mobilità e trasporti. Ritengo che all'interno della discussione sulla legge finanziaria tutto ciò possa essere un punto centrale.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zanella, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Raiti. Ne ha facoltà.
SALVATORE RAITI. Signor Presidente, onorevole colleghi, signor rappresentante del Governo, ci troviamo ad affrontare la discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2008-2011. In proposito, voglio cominciare il mio ragionamento proprio da un'affermazione del Governatore della Banca d'Italia Draghi contenuta nella relazione svolta al Senato in una riunione congiunta delle Commissioni bilancio di Camera e Senato.
Il Governatore inizia la sua relazione individuando il quadro macroeconomico nel quale nell'ultimo anno si è mosso il nostro Paese e - a differenza da quanto sostenuto dal collega di Alleanza Nazionale, che mi ha preceduto - ha parlato di un contesto di ripresa dell'attività produttiva. Sappiamo tutti che l'attività produttiva ha registrato nell'ultimo anno una crescita vicina al 2 per cento, che il nostro Paese non registrava da cinque anni a questa parte, certamente dovuta al miglioramento delle condizioni internazionali, ma anche - secondo noi dell'Italia dei Valori - ad un miglioramento della competitività del nostro Paese, frutto delle politiche messe in atto in un anno di Governo.
Il Governatore afferma, altresì, che la situazione dei conti pubblici è nettamente migliorata. È un altro aspetto che vogliamo sottolineare: abbiamo un Paese che cresce, che in un anno di Governo dell'Unione, un anno di Governo Prodi, migliora i propri conti pubblici. Basterebbe già questo elemento per smentire tutte le affermazioni che sono state fatte dai colleghi dell'opposizione in aula durante la discussione, e non solo.
Abbiamo trovato un Paese in grande difficoltà, nel quale vi era una crescita inferiore all'1 per cento e l'abbiamo riportata al 2 per cento. Vi era un disavanzo nei conti pubblici e il rapporto tra deficit e PIL tendeva al 4,6 per cento, mentre oggi ci attestiamo al 2,5 per cento (poteva attestarsi anche al 2,1 per cento), dopo una manovra di carattere espansivo, come quella relativa al decreto-legge n. 81, approvato in questo ramo del Parlamento la settimana scorsa.
Sostanzialmente abbiamo agganciato l'Unione europea e ora speriamo di consolidare questa fase di crescita e di regolamentazione della struttura del nostro debito pubblico. Abbiamo certamente fatto un grande lavoro, ma ce ne resta tanto da realizzare. Continueremo a muoverci in tal senso e le linee guida tracciate nel DPEF vanno nella giusta direzione.Pag. 41
Sappiamo che vi è un disavanzo strutturale che resta rilevante all'interno del nostro Paese e ciò non garantisce una rapida flessione del peso del debito.
Inoltre, per il forte debito e per il disavanzo strutturale, abbiamo la necessità di affrontare, per il medio e lungo periodo, la questione previdenziale, che è assolutamente importante per mettere in ordine i nostri conti pubblici e per pensare ad un futuro migliore, non soltanto in relazione alla loro regolarità, ma anche alle esigenze delle future generazioni.
Considerato che il nostro Paese, per fortuna, ha un tasso di crescita della vita media notevolissimo, in quanto supera i settant'anni, abbiamo la necessità di realizzare, sia dal punto di vista strutturale dei conti pubblici, sia per creare un Paese più giusto, una riforma previdenziale che garantisca il futuro dei giovani.
Ci stiamo muovendo per raggiungere anche tale obiettivo. Non so se le politiche messe in atto nel corso degli ultimi mesi avranno gli sviluppi previsti e prevedibili, ma certamente stiamo andando nella direzione giusta.
Questo è il quadro nel quale ci muoviamo e rispetto al quale il DPEF traccia alcune linee guida assolutamente importanti.
Per migliorare i conti pubblici occorre certamente migliorare la qualità della spesa, non solo della pubblica amministrazione centrale, ovverosia in relazione al bilancio dello Stato, ma anche di quella locale e territoriale. Dobbiamo muoverci in tale direzione e noi dell'Italia dei Valori teniamo particolarmente al fatto che vi sia un maggior controllo nella quantità e nella qualità della spesa.
Nella risoluzione che stiamo preparando - mi riferisco al lavoro dei capigruppo di maggioranza - relativa all'approvazione del DPEF, si fa espressamente cenno al patto per la qualificazione e la razionalizzazione della spesa pubblica. Riteniamo che sia un elemento fondamentale, che può consentire, insieme agli interventi in materia previdenziale, di conferire il giusto taglio ed il giusto equilibrio al disavanzo strutturale dello Stato.
Se riusciremo a raggiungere tale obiettivo, riducendo anche la spesa primaria corrente - ricordo che l'obiettivo previsto dal DPEF 2008-2011 è di conseguire un saldo positivo già dal 2010-2011 - avremo finalmente e definitivamente sistemato i conti e, dal punto di vista del risanamento, avremo centrato l'obiettivo fissato con il DPEF dello scorso anno.
Siamo totalmente favorevoli a seguire questa strada, che riteniamo sia una delle priorità, ma oltre all'aspetto dell'ordine dei conti pubblici attraverso politiche serie di medio e di lungo periodo, equilibrate e di risanamento, riteniamo che occorra mettere subito mano all'altro aspetto - l'altra faccia della medaglia - rappresentato dalla pressione fiscale.
Riteniamo che bisogna agire subito per abbassare la pressione fiscale. Certamente l'alta pressione fiscale del nostro Paese, da un certo punto di vista, è obbligata per la situazione che abbiamo ereditato, ma oggi, considerato che la situazione sta migliorando, abbiamo il dovere di tendere verso un suo abbassamento, continuando a contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, perché pensiamo che è giusto che paghino tutti, ma che è anche giusto pagare meno.
Il DPEF contiene alcuni segnali in questa direzione, mi riferisco all'obiettivo di abbassare l'imposta sulla casa, alla possibilità di riequilibrare le rendite finanziarie al venti per cento così come era previsto nel programma dell'Unione, ma riteniamo che bisogna impegnarsi in tutti i modi per fare di più e meglio nell'ambito della riduzione della pressione fiscale, pensando soprattutto alle famiglie e alle piccole e medie imprese, che sono il tessuto, il nerbo centrale della produttività economica del nostro Paese. Vorremmo che venisse prestata una maggiore attenzione in tale direzione, così come vorremmo che ci fosse un cambiamento anche dal punto di vista di impostazione culturale. Abbiamo ascoltato con particolare interesse la relazione del Viceministro Visco in Commissione bilancio, il quale ha affrontato con un taglio nuovo - per noi, assolutamente condivisibile - la impostazione di un fisco diverso, che abbia unPag. 42rapporto con i cittadini quasi da soggetto amico e non solo impositore. Il fatto che si possa instaurare un rapporto di «concordia» tra l'ente impositore e il cittadino, dal nostro punto di vista è un fattore assolutamente importante che avvicina il cittadino allo Stato e che lo induce a volte a compiere il proprio dovere con maggiore serenità e, quindi, con risultati ancora maggiori.
Queste sono le nostre riflessioni dal punto di vista della regolazione dei conti dello Stato, ma l'altro aspetto assolutamente importante sul quale bisogna porre l'attenzione e sul quale il DPEF fornisce risposte è quello concernente la crescita sostenibile. Il fatto che ci sia un espresso riferimento al Protocollo di Kyoto, è ritenuto da noi molto importante perché le problematiche dell'ambiente sono di priorità assoluta nell'agenda politica del Governo e le sosteniamo con forza. A ciò, bisogna aggiungere il riferimento agli obiettivi previsti dal protocollo Industria 2015, che sono menzionati anche nella risoluzione di approvazione del DPEF, che condividiamo totalmente. Il fatto che ci si possa accordare per agevolare e mettere in campo strumenti che rafforzino l'azione di sostegno alla competitività e alla produttività, con incentivi automatici alle nostre imprese, è accolto da noi con assoluto favore, perché eliminiamo il grado di discrezionalità da parte dei funzionari pubblici, prevediamo procedure più snelle e diamo la possibilità di avere certezze di diritto che aiutino gli investimenti non solo degli operatori nazionali ma anche di quelli stranieri.
Vorremmo che fosse posta una attenzione particolare, così come tra l'altro il DPEF prevede, per quanto riguarda la sicurezza. Il DPEF contiene un cenno serio sulla materia e apprezziamo il fatto che ci sia un riferimento ad un più incisivo coordinamento delle forze di polizia: riteniamo che sia un elemento importante e che sia necessario continuare su questa strada. La sinergia tra le forze di polizia che si muovono nel Paese è assolutamente importante per razionalizzare la spesa e per garantire una attenzione maggiore ai cittadini che hanno bisogno di sicurezza. Certo, il problema della sicurezza è una sfida vera per il Paese: basti pensare che ci sono studi di illustri economisti che parlano, soprattutto per il Mezzogiorno d'Italia, ma non solo più per il Mezzogiorno d'Italia, di quanto incide la cosiddetta «tassa sulla paura», la tassa degli imprenditori che sono costretti ad organizzarsi per far fronte al bisogno di sicurezza che avvertono nella loro attività produttiva. Essa incide per l'1,5-1,7 per cento del PIL che si produce in loco, soprattutto nel Mezzogiorno.
Il legame tra sicurezza e Mezzogiorno è un elemento fondamentale, perché riteniamo - così come abbiamo più volte sostenuto - che non riparte l'Italia se non riparte il Mezzogiorno. Ci convince totalmente, nella risoluzione, l'indicazione della prospettiva di lavoro nei prossimi anni, per rendere il Mezzogiorno piattaforma logistica del Mediterraneo.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Raiti.
SALVATORE RAITI. Riteniamo che sia uno degli elementi centrali dell'azione del nostro Governo. A questo si collegano, per quanto ci riguarda, il collegamento del corridoio 1, Berlino-Palermo, così come il completamento e la realizzazione del corridoio mediterraneo, la Banca euromediterranea: tutte attività, così come le zone franche urbane, che, insieme, possono fornire gli strumenti necessari a far ripartire lo sviluppo nel Meridione e a fare in modo che sia agganciato all'Italia cosiddetta del nord, ma, soprattutto, per fare in modo che il nostro Paese cresca in maniera più equilibrata, più giusta e più solidale per diventare un grande Paese.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Raiti.
SALVATORE RAITI. Questo è l'obiettivo che il DPEF si prefigge e che ci convince a sostenerlo, con il nostro impegno, come gruppo parlamentare Italia dei Valori (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
Pag. 43PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata De Biasi. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria, con l'obiettivo di riportare l'economia italiana ai livelli dello sviluppo sostenibile, non predispone una manovra esclusivamente finanziaria, ma pone le basi per ridefinire le priorità per la crescita civile e sociale del Paese. La coerenza con le scelte dell'anno passato e i primi apprezzabili risultati sul fronte della riduzione del debito incitano a proseguire nella politica di rigore e di equità sociale. Voglio ricordare, ancora una volta, che la riduzione della metà del debito pubblico consentirebbe la liberazione di risorse per 35 miliardi di euro e che, per la prima volta dopo tanto tempo, non si è resa necessaria una manovra correttiva di metà anno.
Credo che l'esigenza di risanamento sia tutt'uno con quella di sviluppo e modernizzazione del Paese rispetto all'Europa; tuttavia, per cambiare rotta, occorre stabilire una nuova relazione tra interessi particolari e interesse generale, affinché quest'ultimo torni a prevalere, anche attraverso nuove forme di responsabilità sociale degli attori economici. Una crescita più alta richiede coesione, equità sociale e un welfare moderno, includente, intergenerazionale e più rispondente alle nuove esigenze che i cambiamenti sociali esprimono, sia dal punto di vista delle famiglie, sia da quello, non meno importante, delle persone. Dinamizzare la società italiana, allargare lo spettro delle pari opportunità di partenza per tutti, valorizzare la creatività e i talenti degli individui, riconoscere il ruolo delle donne e le attese dei giovani, sono obiettivi che richiedono di definire, come priorità per il Paese, cultura, sapere, ricerca e innovazione tecnologica.
L'Italia è in grave ritardo rispetto alla media europea e alla strategia di Lisbona per livelli di istruzione: la quota dei giovani tra i diciotto e i ventiquattro anni che hanno conseguito solo il titolo di istruzione secondaria inferiore è pari al 20 per cento, la strategia di Lisbona prevede il 10 per cento; la percentuale degli studenti che non supera il livello minimo di competenze è pari al 23,9 per cento, mentre Lisbona prevede il 15,2 per cento; il tasso di dispersione e abbandono scolastico è ancora elevato; il livello di apprendimento è ancora molto disomogeneo tra le diverse aree del Paese. La prima risposta è stata l'innalzamento dell'obbligo di istruzione, l'attuazione dell'autonomia scolastica, la valutazione degli insegnanti, la valorizzazione dell'istruzione tecnica e professionale, l'avvio della soluzione del problema del precariato nella scuola e i finanziamenti per l'edilizia scolastica. Non è poco, poiché si interviene sulla qualificazione del sistema, sul suo ammodernamento, sulla qualità della spesa e, nel contempo, si amplia la platea degli inclusi nel sistema del sapere, leva fondamentale di crescita economica e civile, nonché fonte di compimento di cittadinanza. Certamente, vi è ancora molto da fare; penso, in particolare, al potenziamento della scuola e dell'infanzia e alla formazione permanente, come occasione di aggiornamento, ma anche come risposta alla flessibilità del lavoro che cambia.
La seconda grande priorità è l'università e la ricerca: in Italia gli investimenti in ricerca rappresentano l'1,1 per cento del prodotto interno lordo, contro l'1,81 per cento dell'Europa a 25 Stati membri, il 2,7 per cento degli Stati Uniti e il 3,15 per cento del Giappone; l'obiettivo del Governo è il raggiungimento della media OCSE, ossia il 2,5 per cento; ma tutto ciò richiede una maggiore propensione delle imprese a investire nella ricerca, poiché oggi le imprese investono il 30 per cento in meno rispetto alla media europea. Vi è, dunque, una nuova responsabilità sociale che le imprese dovrebbero sostenere - nel Paese e per il Paese - senza dover far leva esclusivamente sulle quote di sostegno pubblico diretto, ma anche attraverso interventi sulle infrastrutture per la ricerca e la valorizzazione dei ricercatori. Tuttavia, l'università richiede un intervento più profondo e a lungo termine sul versante della qualità della platea dei laureati,Pag. 44dell'efficienza e trasparenza del sistema, a partire dalla riforma del reclutamento dei ricercatori, nonché sul versante, non meno urgente, delle risorse. Da questo punto di vista, l'extragettito ha iniziato a dare risposte, recuperando risorse per i consumi intermedi, il diritto allo studio, il bando di progetti di ricerca di interesse nazionale per le borse di studio e per i dottorati di ricerca, per i piani di sviluppo delle università, per l'edilizia universitaria e per il riordino degli enti di ricerca (provvedimento approvato di recente proprio dalla Camera).
A mio avviso, occorre andare avanti, in particolare sul versante dell'internazionalizzazione dell'università italiana. La spesa per la cultura rappresenta un vero e proprio investimento per il futuro del paese. L'obiettivo del Governo, come già detto più volte, è giungere ad investire l'1 per cento del prodotto interno lordo. In tale direzione si muove il DPEF, mediante la previsione di risorse per cinema, spettacolo dal vivo - due riforme che non possono aspettare a lungo - per nuovi modelli organizzativi per i musei, per la promozione del libro e della lettura e per il completamento del museo per le arti del XXI secolo. Inoltre, vorrei aggiungere che bisognerebbe fare di più anche per quanto riguarda la musica, la quale si trova realmente in grande difficoltà sia dal punto di vista normativo sia da quello dell'erogazione finanziaria. Infine, è necessario promuovere l'innovazione tecnologica, la transizione al digitale, l'adeguamento dell'Italia ad una rivoluzione che cambierà il modo di fare televisione, comunicazione, cultura e il modo di fruire della comunicazione nell'era della convergenza multimediale. Le due leggi di sistema sulla RAI e sulla transizione di sistema in discussione nei due rami del Parlamento richiederanno risorse per l'adeguamento strutturale al digitale, per i nuovi apparecchi televisivi, per i decoder, per la nuova grande alfabetizzazione dei cittadini rispetto al nuovo sistema.
Si tratta di una sfida di modernità, ma anche di democrazia dell'accesso, che il Governo ha intrapreso fin dalla scorsa legge finanziaria e che prosegue con questo DPEF. Non è un aspetto irrilevante saper rinnovare risanando e risanare senza rinunciare a rendere i cittadini maggiormente informati, istruiti e consapevoli del comune destino che li lega in un'idea di sviluppo umano. Mediante tali scelte sarà possibile iniziare ad applicare il Titolo V della Costituzione, mantenendo, certamente, un'idea di perequazione solidale, ma iniziando anche a compiere scelte concrete per i diversi territori del Paese.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Mi riferisco al nord Italia e all'esigenza stringente di infrastrutture, alla semplificazione burocratica per le imprese, nonché alla sicurezza, non solo come ordine pubblico, ma come realizzazione di città amiche, in cui la percezione dell'insicurezza lasci il posto alla serenità, la violenza sulle donne venga debellata con azioni di prevenzione, educazione e repressione e la società del sospetto e della paura dell'altro lasci spazio alla società della convivenza, perché mai come oggi sicurezza è libertà (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zinzi. Ne ha facoltà.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad un Documento di programmazione economico-finanziaria che non risponde ai bisogni dell'Italia, in termini sia di contenimento dei conti pubblici sia di crescita e giustizia sociale. Si tratta di un DPEF poco ambizioso, che rinvia l'obiettivo di riduzione del pareggio del bilancio e che ha sollevato, per tale ragione, non pochi dubbi e perplessità tra tutte le istituzioni internazionali, dall'Unione europea sino al Fondo monetario internazionale. Tuttavia, nonostante i giudizi più che severi, il Governo ha proseguito nella sua strategia testarda, quanto dannosa, rallentando in maniera determinante la corsa al pareggio di bilancio, confidando forse su alcuni segnali dell'andamento delle entrate tributariePag. 45che si basano sull'attuale congiuntura favorevole. Si tratta di un percorso vulnerato, in quanto da un lato rivede l'obiettivo dell'indebitamento per l'anno 2007, fissandolo al 2,5 per cento del PIL, e dall'altro si tuffa in una manovra espansiva, bruciando il «tesoretto» in mille rivoli di misure a carattere elettoralistico, con il rischio di dover correggere i conti in futuro, quando la congiuntura sarà meno favorevole.
Tutto ciò accade mentre continua a salire la pressione fiscale - passando dal 41 per cento del DPEF dello scorso anno, al 42,8 per cento - per la quale il Governo ha preso l'impegno solenne di una riduzione di 0,7 punti per cento entro il 2011. Il Documento ribadisce, a parole, l'importanza del controllo della qualità e della quantità della spesa che contribuisce in maniera determinante alla riduzione del disavanzo. Tuttavia, per un riequilibrio duraturo - come affermato dal Governatore Draghi - occorrono coraggiose scelte in materia previdenziale, tenuto conto della situazione demografica che si profila per i prossimi anni.
Evidentemente, il monito del Governatore della Banca d'Italia non è stato recepito dal Governo, che invece ha proceduto in una direzione completamente opposta. Da questo punto di vista, è illuminante il recente accordo sulla riforma delle pensioni.
Esistono tre modi per tenere sotto controllo la spesa previdenziale: ridurre le prestazioni, aumentare i contributi o innalzare l'età pensionabile. Mentre tutti i Paesi industrializzati hanno innalzato l'età pensionabile, in Italia si procede in senso inverso e dei 65 miliardi di euro di risparmi garantiti dalla legge cosiddetta Maroni da oggi al 2018 ne spenderemo - dicono - dieci per coprire un mix di misure che, tra scalini e quote, ha finito anche per scontentare l'ala più radicale, rinviando ancora il regolamento di conti all'interno della coalizione tra riformisti e massimalisti. Per non parlare poi di coloro sui quali ricadrà il peso di questa scelta: oggi sui parasubordinati, sicuramente il settore più debole del mondo del lavoro, che si vedranno aumentare la percentuale di contribuzione per coprire parte della riforma di nove punti percentuali, e sui giovani in generale, che forse preferiranno entrare nel sommerso. Non è un caso che nella nota di variazione del bilancio preventivo dell'INPS manchino all'appello circa 80 mila iscritti.
Un altro pasticcio è quello confezionato dal Governo e dai sindacati sui lavori usuranti in cui sono scomparsi i criteri oggettivi del decreto-legge cosiddetto Salvi che individuava con parametri concreti la creazione di un diritto per chi svolge una ben precisa attività usurante e per tutta la durata della sua attività lavorativa ed allargava invece le maglie ad una serie imprecisata di attività esercitate anche solo per alcuni anni. In definitiva su questo versante è venuto meno quel patto generazionale invocato da tutti di cui aveva anche parlato il Ministro Padoa Schioppa prima di essere richiamato all'ordine dalla sinistra radicale. Proprio al ministro Padoa Schioppa rivolgerei la domanda che indirettamente gli ha rivolto il Governatore Draghi nella sua audizione sul DPEF, ossia quante tasse dovranno pagare i giovani da oggi ai prossimi dieci - quindici anni per sostenere il sistema pensionistico attuale. Ecco perché torna attuale il dibattito che, in quello più generale riguardante l'utilità del DPEF in sé, verte sulla necessità di non limitarsi a fissare i saldi di finanza pubblica, ma sull'esigenza di fissare subito anche il valore massimo della spesa primaria corrente, atteso che si tratta della componente del bilancio dello Stato su cui si può più agevolmente agire senza ripercussioni ulteriori, a differenza della pressione fiscale o degli investimenti che deprimerebbero la crescita.
Fissare già una percentuale di spesa primaria corrente in rapporto al PIL per l'anno successivo, cui uniformare la legge finanziaria prossima ci sembra il metodo più corretto per tentare di raggiungere il pareggio di bilancio. Certo, ci vuole coraggio per questo tipo di intervento e nonPag. 46è certamente una qualità di questo Governo. Che il rigore decantato sia soltanto...
PRESIDENTE. Onorevole Zinzi, concluda.
DOMENICO ZINZI... apparente lo conferma l'allarme lanciato, nel corso della sua audizione in Commissione bilancio, dal presidente della Corte dei conti, che ha previsto una manovra correttiva dei conti per compensare la leggerezza o la debolezza, a seconda di come vogliamo chiamarle, del Ministro Padoa Schioppa. Si può affermare che questo DPEF è riuscito nel poco lodevole tentativo di scontentare tutti, a cominciare da Confindustria, che lo boccia.
PRESIDENTE. Onorevole Zinzi deve concludere.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zinzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Elpidio. Ne ha facoltà.
DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo abbiamo vissuto giornate un po' concitate e questa concitazione dei lavori parlamentari prima della pausa estiva sta rischiando di far passare in sordina il dibattito sul DPEF, come se si trattasse di un atto dovuto. Forse ciò è dovuto in parte al mancato allineamento della discussione con l'altro ramo del Parlamento. Quest'anno deve essere riconosciuto innanzitutto al Governo di aver presentato al Parlamento nei tempi previsti un Documento che ha il merito della completezza, della chiarezza, e che rappresenta un contributo alla trasparenza e al servizio di un'operazione verità di cui il Paese aveva veramente bisogno.
Per noi del gruppo dei Popolari-Udeur è necessario riconoscere in maniera esplicita i punti che sin dall'inizio hanno caratterizzato il nostro programma e questi sono i principali temi che abbiamo sottoposto all'attenzione del relatore. In primis il riconoscimento del ruolo attivo della famiglia, che le permette di svolgere la sua funzione sociale ed economica con adeguati mezzi e risorse, ma soprattutto con la consapevolezza che la funzione della stessa famiglia è insostituibile con altre forme di istituzioni sociali.
Riteniamo, quindi, che si debbano promuovere politiche economiche e fiscali dirette a sostenere le famiglie con figli, finalizzate anche ad un sostegno oltre il periodo di riconoscimento dell'indennità di maternità facoltativa, allo scopo di non penalizzare il lavoro delle donne e rimuovere gli ostacoli che frenano la costituzione di nuove famiglie.
In questo contesto, appare prioritario sostenere i redditi delle famiglie incapienti con figli, prevedere un rafforzamento della rete dei servizi all'infanzia, a partire dagli asili nido, e prevedere agevolazioni tributarie relative alle spese per servizi domestici e di assistenza personale e familiare, a tutela della famiglia e per l'emersione del lavoro sommerso nell'ambito domestico.
Uno dei fattori critici che limitano la costituzione delle nuove famiglie, ritardano il matrimonio e, in sostanza, penalizzano l'assunzione di responsabilità familiari e genitoriali dei giovani, è indubbiamente costituito dalla casa. Su queste premesse, appare opportuno sostenere le giovani coppie nella locazione degli immobili, prevedere incentivi all'acquisto della prima casa, con l'istituzione del fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa, e stabilire un percorso progressivo di abbattimento dell'ICI sulla prima casa.
Nel considerare la famiglia la colonna portante del sistema di welfare, riteniamo opportuno che alle prestazioni offerte inPag. 47ambito socio-sanitario si aggiungano altre forme di servizi, la cui organizzazione e gestione sia partecipata il più possibile dalle stesse famiglie, accedendo alle risorse degli enti locali in materia di servizi alle persone. Tutto ciò per sviluppare le capacità delle famiglie ad assumere efficacemente la pienezza delle proprie funzioni educative e sociali.
Quanto al Mezzogiorno, esso deve essere al centro della politica di questo Paese, perché rappresenta la più grande opportunità di sviluppo che ha oggi l'Italia. Appare quindi opportuno porre il Mezzogiorno al centro del rilancio economico e sociale, prevedendo investimenti e risorse adeguati per garantire, innanzitutto, la lotta alla grande criminalità organizzata.
Appare prioritario inoltre bonificare i siti inquinati, con uno specifico programma per il Mezzogiorno e la Campania, superando le gestioni commissariali; prevedere programmi per il disinquinamento dei fiumi e del mare e di tutela ed implementazione delle risorse idriche; prevedere un programma di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e di costruzione di nuove abitazioni di edilizia economica e popolare, in particolare prevedendo maggiori disponibilità di alloggi per i giovani; riprendere su più larga scala la sperimentazione del reddito minimo di inserimento, collegata a progetti produttivi e di pubblica utilità; rafforzare il credito di imposta, con meccanismi automatici per le imprese che realizzano nel Mezzogiorno nuovi investimenti finalizzati all'acquisto di macchinari e impianti; prevedere un'ulteriore deduzione dell'imponibile IRAP per le aziende che attuano nuove assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato.
Il mare in Italia, con i suoi 8 mila chilometri di costa, deve essere considerato una risorsa non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico, turistico e commerciale. Si pone quindi la necessità di prevedere interventi volti ad introdurre misure fiscali tese ad agevolare il settore nautico e portuale, nonché a valorizzare nel complesso i porti del nostro Paese e, nell'ottica del coinvolgimento, di prevedere opportuni rafforzamenti dei rapporti con le isole minori, che spesso si sono rivelati carenti, con grave pregiudizio per le popolazioni residenti.
Quello della sicurezza è uno dei temi più sentiti non solo dai cittadini, ma anche dalle categorie economiche. Solo in una condizione di sicurezza, infatti, è possibile lo sviluppo delle attività economiche e la conseguente generale diffusione del benessere. La percezione di vivere in comunità non in grado di proteggere e difendere i cittadini dai pericoli derivanti dalla criminalità suscita un sentimento di disagio, di paura e di sfiducia, che si autoalimentano e si autoaccrescono quando dalle amministrazioni non giungono risposte efficaci.
A questo proposito, è opportuno prevedere adeguati stanziamenti su tutto il comparto sicurezza, in particolare, viste le vicissitudini degli ultimi giorni, per i vigili del fuoco e per la Polizia di Stato. Ringraziamo per il lavoro svolto la Commissione e il relatore, onorevole Ventura, perché con questo documento abbiamo voluto evidenziare: il carattere prioritario che nell'ambito del DPEF assumono le politiche per l'equità e l'inclusione sociale; l'importanza di promuovere l'occupazione stabile a tempo indeterminato, regolare e inclusiva, riducendo le forme di lavoro precarizzanti, anche attraverso una riforma degli ammortizzatori sociali; l'allargamento della base occupazionale, con particolare riguardo ai soggetti più deboli e ai disabili e al contrasto al fenomeno del lavoro nero e irregolare; la necessità di orientare le politiche economiche per una crescita sostenibile; la necessità di selezionare le opere infrastrutturali di carattere strategico, privilegiando la mobilità urbana, il trasporto ferroviario, le vie del mare e la portualità.
Per questo abbiamo affrontato i vari e più importanti temi, relativamente agli obiettivi di carattere finanziario, alla manovra di finanza pubblica, al sistema delle autonomie locali e al federalismo fiscale, alle procedure per la decisione di bilancio e alla crescita sostenibile. Sottolineiamo il nostro impegno in materia di politica industriale, per dare piena attuazione alla nuova politica industriale per lo sviluppoPag. 48e la competitività del sistema economico. Ci impegniamo a sostenere la capacità di penetrazione nei mercati mondiali delle piccole e medie imprese italiane, e, in materia di editoria, a determinare nell'ambito della prossima legge finanziaria le risorse necessarie al rilancio e al riequilibrio del settore. Ci impegniamo a sostenere le attività del settore no profit, confermando la previsione della destinazione del 5 per mille dell'IRPEF e, allo stesso tempo, incrementando la misura degli importi complessivamente erogabili.
Relativamente agli interventi per l'adeguamento infrastrutturale, ci impegniamo a destinare risorse per la costituzione di un fondo per finanziare la ristrutturazione e l'ammodernamento della rete idrica sull'intero territorio nazionale. Per quanto riguarda invece le politiche relative alla sicurezza, ci impegniamo a rafforzare il sistema nazionale di sicurezza quale strumento di garanzia e di democrazia ai fini del pieno esercizio dei diritti dei cittadini. Ci impegniamo a garantire il miglioramento del sistema del soccorso pubblico, e, per quanto attiene alle politiche di sviluppo e crescita del Mezzogiorno, a sviluppare le attrezzature materiali e immateriali per far diventare il Mezzogiorno stesso una piattaforma di interconnessione economica e culturale tra Europa, Asia, ed Africa; a definire un adeguato piano per l'occupazione del Mezzogiorno, per garantire più elevati tassi di occupazione e partecipazione, in particolare per la componente femminile; a condizionare l'erogazione di risorse pubbliche ai grandi investitori istituzionali, quali ad esempio ANAS, Ferrovie dello Stato, Enel, ENI, Poste italiane, al pieno rispetto del vincolo di destinazione territoriale della spesa ordinaria.
Questi sono solo alcuni dei contenuti del Documento di programmazione economico-finanziaria e alcuni degli impegni del Governo, che la maggioranza parlamentare ribadisce. Ma, in conclusione, è importante che arrivi non soltanto all'Assemblea, ma anche e soprattutto al Paese, il messaggio che vogliamo lanciare: l'idea che abbiamo in mente è una strategia che lega insieme obiettivi diversi, che abbia la finalità di riportare il bene comune come indirizzo principe. Il documento in esame mi sembra un buon inizio.
Vorrei concludere, signor Presidente, auspicando che la legge finanziaria per il prossimo anno traduca efficacemente le linee di intervento indicate nel Documento di programmazione economico-finanziaria: essa, infatti, sarà per il nostro Governo l'opportunità della legislatura per un impegno politico concreto a favore degli investimenti di qualità di breve e medio periodo, per rendere l'economia italiana autopropulsiva, soprattutto nel Mezzogiorno, e per favorire così lo sviluppo, per un impegno politico concreto a favore dell'equità fiscale, con misure forti per l'emersione dell'economia sommersa e della qualità dei servizi pubblici primari, da quelli amministrativi a quelli sanitari.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bocci. Ne ha facoltà.
GIANPIERO BOCCI. Meno tasse e più ecologia: così commentava un importante quotidiano nazionale, fotografando l'architettura e la strategia sottese al DPEF. Meno tasse e più ecologia, dunque; ma anche meno gomma e più ferro, meno libri dei sogni e più cantieri, con certezza di risorse e di tempi. Meno tasse, sì: anche grazie ad una seria lotta all'evasione, attraverso la quale possiamo recuperare risorse per arrivare ad una riduzione fiscale a favore delle famiglie numerose e povere, a favore delle piccole imprese, a favore degli artigiani. Un DPEF con più risorse alle famiglie, e per sostenere i redditi delle famiglie con figli. Insomma, un concreto e finalmente serio rafforzamento della tutela economica della famiglia.
Sono forti, dunque, i contenuti «verdi»: bisogna infatti dare atto al Governo di aver compiuto scelte ben precise sulle politiche ambientali e infrastrutturali. Si afferma, ad esempio, che il 40 per cento della manovra andrà speso in favore dell'attuazione del Protocollo di Kyoto; si afferma la rilevanza della sostenibilità ambientale, soprattutto in relazione agliPag. 49obiettivi su cui l'Italia si è impegnata in campo energetico; si conferma il ruolo strategico delle energie rinnovabili, che, nel 2020, potranno contribuire alla riduzione delle emissioni in misura pari almeno al 20 per cento; si intravede finalmente una precisa strategia ambientale per lo sviluppo sostenibile, con coraggiose iniziative per contrastare i cambiamenti climatici; si mettono in campo forme di incentivazione per incoraggiare comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale. Bella e innovativa, inoltre, è l'idea di spostare l'onere fiscale da tasse welfare negative, quali le tasse sul lavoro, a tasse welfare positive, quali le tasse su attività inquinanti, premiando quindi chi, con il lavoro, contribuisce a rendere l'Italia più bella, colpendo invece chi distrugge il nostro paesaggio e le nostre bellezze.
Considerazioni complessivamente positive debbono svolgersi anche sul versante delle infrastrutture. Il Governo pone giustamente l'attenzione principale su due grandi questioni: quella settentrionale e quella meridionale. Nel Nord del Paese vi è una forte domanda di mobilità per persone e merci non soddisfatta da un'offerta infrastrutturale che presenta oggettivamente deficit qualitativi e quantitativi. Il DPEF dà una risposta seria, compiendo inoltre una scelta ben precisa: gli interventi previsti vanno nella direzione di favorire le reti e i corridoi transnazionali, ma anche di mettere in campo interventi per decongestionare i centri urbani.
Emergono dati incoraggianti per il Mezzogiorno, per il quale il DPEF, oltre a prevedere grandi opere, sviluppa un ragionamento che punta a realizzare infrastrutture funzionali allo sviluppo del tessuto produttivo. Vorrei ricordare in proposito lo straordinario sforzo compiuto dall'VIII Commissione in occasione del parere sull'allegato relativo alle infrastrutture del DPEF: si è chiesto al Governo il rispetto della legge n. 443 del 2001, che prevede di riservare per gli investimenti nel Sud, al netto dei finanziamenti comunitari, una quota di risorse pari almeno al 30 per cento degli stanziamenti complessivi, garantendo in particolare il completamento delle infrastrutture ferroviarie. Anche da questo punto di vista, il lavoro della Commissione ha ricordato come per il sud sia importante portare a compimento due grandi opere su cui si gioca la credibilità all'estero del nostro Paese e che ne mettono a rischio l'autorevolezza: mi riferisco al completamento della Salerno-Reggio Calabria e, in secondo luogo, alla necessità di ammodernare le infrastrutture ferroviarie da Roma in giù.
Vorrei inoltre sottolineare che l'attuale Governo, a differenza di quello precedente, ha avviato una politica di riequilibrio modale di sviluppo. Per questa ragione, esso merita il nostro sincero apprezzamento, ma la grande sfida che dobbiamo continuare a portare avanti in questi anni, con determinazione, è quella di aumentare gli investimenti su opere ferroviarie e di orientare le scelte nel senso di una maggiore coerenza rispetto alla loro dimensione ambientale. Insomma, la sfida vera è quella di aiutare il trasferimento di merci e passeggeri dalla strada alla ferrovia e al mare, ma anche il potenziamento della mobilità urbana.
Un ulteriore elemento positivo sta nel fatto che, finalmente, si recupera un vero criterio di concertazione con i diversi livelli istituzionali, con un grande patto fra il centro e la periferia: un protagonismo dei territori coerente con il disegno nazionale del Paese, credibile alla luce delle risorse disponibili (e questo Governo ne sta impegnando molte, a differenza delle promesse mai mantenute da altri Governi e dal Governo Berlusconi) e con l'individuazione di tempi certi.
Dobbiamo quindi riconoscere lo sforzo manifestato con il DPEF, a cominciare dalle grandi opere che si intendono portare subito a compimento, dal completamento, come ricordavo, della Salerno-Reggio Calabria alla realizzazione del passante di Mestre, all'attivazione delle procedure per il corridoio n. 5, all'ammodernamento delle infrastrutture nel versante piemontese e lombardo, al potenziamento, infine, del corridoio tirrenico.Pag. 50
Ora, semmai, occorre un pizzico di coraggio in più, il coraggio di operare una più marcata scelta selettiva delle priorità con, se mi è consentito, un profilo riformatore più incisivo. Per queste ed altre ragioni, esprimo l'apprezzamento per il lavoro svolto e la proposta avanzata dal Governo con il DPEF oggi in discussione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, ogni anno il DPEF ci permette di dare non solo uno sguardo generale alle prospettive di sviluppo del Paese e alle politiche economiche che il Governo vuole attuare, ma anche, grazie alla legge obiettivo varata dal Governo Berlusconi, di avere un quadro dettagliato sullo stato dell'arte, sullo stato di attuazione della legge stessa e sulla programmazione futura, sia per quanto riguarda la pianificazione strategica sia per quanto riguarda, come la legge obiettivo tassativamente prevede, lo stato di attuazione e di programmazione e le risorse allocate.
Anche quest'anno, proprio perché previsto dalla legge, il Governo - in particolare, il Ministro Di Pietro - ci presenta in allegato al DPEF, come sua parte integrante, un documento che si occupa di infrastrutture e delinea il quadro della situazione. L'anno scorso il Governo si era appena insediato e, pertanto, all'inizio non venne neanche presentato tale allegato (venne poi elaborato un documento all'ultimo momento). Quest'anno non ci sono alibi per questo Governo e per il Ministro Di Pietro. Dal documento che è stato presentato appare evidente, in primo luogo, che la legge obiettivo voluta dal Governo Berlusconi e dalla maggioranza di centrodestra costituisce uno strumento importante e fondamentale per il nostro Paese. Si tratta di un provvedimento - ricordo che la legge obiettivo è diventata operativa nel 2002, quindi negli ultimi tre anni - che ha permesso non solo, da una parte, di presentare finalmente un piano decennale di infrastrutturazione del Paese, ma anche, dall'altra, di dare il via libera, attraverso procedure e stanziamenti chiari e precisi, all'attuazione ed alla realizzazione delle grandi opere.
Infatti, nell'allegato al DPEF si conferma quanto abbiamo dichiarato in questi anni e qual è lo stato dell'arte: in soli tre anni (2003, 2004 e 2005) il Governo Berlusconi aveva approvato opere per 90,9 miliardi di euro, garantito cassa per 45,4 miliardi di euro e cantierato interventi per 58,4 miliardi di euro. Non si tratta di dichiarazioni in campagna elettorale del centrodestra o del Presidente Berlusconi, ma di un documento presentato dal Ministro Di Pietro e dalla maggioranza di centrosinistra ed allegato al Documento di programmazione economico-finanziaria.
Partiamo, quindi, da un punto certo: la legge obiettivo c'è, ha funzionato ed ha permesso di iniziare e di portare anche a compimento alcune grandi opere nel Paese, ed il Governo - o meglio il Ministro Di Pietro - dichiara, per la prima volta dopo un anno, che bisogna continuare in questa linea di azione. Tutto sarebbe tranquillo, se questa dichiarazione del Ministro Di Pietro non avesse comportato, ancora una volta, una grande divisione all'interno della maggioranza che governa questo Paese. Abbiamo assistito, nelle ultime settimane, ad uno schieramento di fuoco contro il Ministro Di Pietro, accusato di essere un «Lunardi-bis», accusato di continuità con il Governo Berlusconi, accusato addirittura, nel momento in cui la Commissione ambiente procedeva all'approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria e del suo allegato, con una conferenza stampa, di andare contro il programma dell'Ulivo.
È da un mese che il Ministro Di Pietro non ha più una maggioranza che vota i suoi atti in Commissione ambiente. Non si tratta di un caso. Cito, a titolo di esempio, gli ultimi due eventi: la convenzione, prevista anche all'interno della cosiddetta legge obiettivo, per la realizzazione dell'Asti-Cuneo, della Brebemi e della Pedemontana, che ha fatto registrare il voto contrario di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e della Sinistra Democratica. Inoltre, non è un casoPag. 51che la settimana scorsa, per la convenzione e per il piano strategico ANAS, ancora una volta, si sia registrato un voto di astensione da parte della maggioranza.
Il secondo elemento che abbiamo dovuto constatare è che il Governo deve dirci quale sia la sua linea - e il Parlamento deve anche decidere - e cioè se seguire il documento allegato al DPEF o le posizioni presentate da oltre il 40 per cento della maggioranza (un'Unione che non è più un'unione). Nel documento c'è scritto che bisogna muoversi in continuità, mentre nella conferenza stampa sopra citata si dice che la legge obiettivo deve essere assolutamente eliminata e cambiata.
Non ci siamo confrontati soltanto su questo punto. Bisogna constatare e fare chiarezza anche su un altro elemento fondamentale. Una delle accuse mosse al Governo Berlusconi e alla legge obiettivo era di non aver operato una selezione strategica delle opere e di aver messo nel calderone tutto e quanto di più. Il Ministro Di Pietro - ricordo che nell'ultimo allegato al DPEF presentato dal Governo Berlusconi le opere ritenute strategiche erano 127 - oggi, dopo avere fatto un anno di consultazioni, presenta un allegato con una definizione del numero di opere strategiche esattamente identica a quella del Governo Berlusconi tranne due opere il ponte sullo Stretto di Messina e gli schemi idrici per il Mezzogiorno.
Delle due l'una: o avevamo sbagliato e detto falsità o, forse, la legge obiettivo era (finalmente!) un piano strategico e selezionato fondamentale. La verità è una sola, incontrovertibile: il Paese ha bisogno di realizzare le opere! C'è addirittura un paradosso: nel DPEF si legge che il Mose è un'opera fondamentale per il nostro Paese. Lo scrive il Ministro Di Pietro; contemporaneamente, il Ministro Pecoraro Scanio e tutti i rappresentanti da Rifondazione Comunista in là, dicono che non è assolutamente vero. Sembra, addirittura, che sarà discusso, in uno dei prossimi Consigli dei Ministri o in una riunione del CIPE, il disegno di stornare delle risorse che vadano dal Mose alla copertura finanziaria di altre opere.
Ulteriore constatazione. La cosiddetta legge obiettivo prevedeva obbligatoriamente (lo sottolineo) che il 30 per cento delle risorse destinate e previste dalla stessa - non risorse aggiuntive - fossero destinate al Mezzogiorno. L'Unione e il centrosinistra hanno sempre fatto dell'infrastrutturazione del Mezzogiorno la propria bandiera, forse troppo ideologica e mai concreta e pragmatica. Vi è un elemento chiaro e netto nella lettura dell'allegato al DPEF che non rispetta la legge. Avendo tolto il ponte sullo Stretto di Messina e gli schemi idrici nel Mezzogiorno le risorse destinate e previste per le infrastrutture nel Mezzogiorno sono il 22 per cento. Ancora una volta, viene sottovalutata l'emergenza del sud. Alla faccia del meridionalismo e alla faccia dell'infrastrutturazione del Mezzogiorno!
Inoltre, l'Unione ha sempre fatto dell'ambientalismo - e il collega che mi ha preceduto lo ha detto in maniera molto soft - una battaglia fondamentale. Ebbene - questa è una constatazione che addirittura arriva dall'Ufficio studi della Camera dei Deputati - si riscontra, con nostra meraviglia, un'inversione di tendenza.
PRESIDENTE. Deputato Lupi, concluda.
MAURIZIO ENZO LUPI. Concludo, Presidente. Mentre il Governo Berlusconi e il programma presentato dal Ministro Lunardi avevano invertito la proporzione sviluppando l'infrastrutturazione attraverso lo spostamento delle merci dal trasporto su gomma a quello su rotaia, oggi si registra, paradossalmente, con un Governo ambientalista, un'inversione di tendenza. Si può dire che sia facile fare gli ambientalisti quando si predica bene e si razzola male!
Infine, un'ultima considerazione concerne la copertura finanziaria. Siamo di fronte, ancora una volta, ad impegni non coperti da un punto di vista finanziario.
Il Ministro Di Pietro ha posto delle esigenze pari a 6 miliardi di euro l'anno.
PRESIDENTE. Deputato Lupi, la invito a concludere.
Pag. 52MAURIZIO ENZO LUPI. Il Governo non ha ancora detto come saranno coperti e finalizzati i 6 miliardi di euro necessari per le opere previste dalla cosiddetta legge obiettivo. Credo che, al di là della continuità con il Governo Berlusconi, stabilita e ammessa con verità dal ministro Di Pietro, ...
PRESIDENTE. Deputato Lupi, deve concludere.
MAURIZIO ENZO LUPI. ...la verità sia una sola, che si è perso ancora una volta un anno di tempo per il nostro Paese e si rischia di perdere la sfida di cui il Paese ha bisogno, cioè quella di realizzare le grandi opere che possono consentire lo sviluppo del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi (quelli presenti), onorevole rappresentante del Governo, gli orientamenti espressi nel Documento di programmazione economico-finanziaria in esame, ovvero indicazioni e indirizzi volti a definire i contenuti della prossima legge finanziaria, non appaiono in linea con i nostri auspici sulle prospettive di questo Paese, in termini di risanamento finanziario e di ripresa economica.
Noi riteniamo che le riforme necessarie al Paese in tali ambiti debbano mirare soprattutto alla ripresa di competitività, all'innovazione tecnologica, all'incremento qualitativo della nostra produzione, alla formazione dei giovani, alla crescita dell'occupazione e alla sua stabilità. A tal fine, riteniamo necessarie riforme strutturali che consentano la riduzione del debito e il contenimento ulteriore del deficit per creare condizioni favorevoli alla riduzione della pressione fiscale. Tale riduzione potrà concorrere ad incentivare investimenti ed iniziative imprenditoriali, volte a creare nuova occupazione e garantire alle nostre imprese la competitività sui mercati mondiali. La competitività nel nostro Paese oggi risulta sensibilmente compromessa, tanto dalle imposte troppo elevate che dalle giuste e irrinunciabili garanzie sociali molto avanzate che caratterizzano il nostro sistema, quanto dai costi energetici e dai vincoli ambientali e sanitari molto più rigidi rispetto a tanti altri nostri più recenti competitori.
La vera sfida per il nostro Paese, una democrazia occidentale caratterizzata da uno Stato sociale avanzato, in un'epoca di globalizzazione ancora non regolata da norme che garantiscano condizioni di equità e parità di base nella competizione, è proprio questa: investire nella qualità, nell'innovazione, nella preparazione adeguata di coloro che devono immettersi nel mercato del lavoro, favorire le sinergie e le collaborazioni nei settori affini, per poter potenziare le capacità produttive e di competizione, sopperire alle carenze di capitale. È necessario, quindi, investire nelle opere pubbliche, nelle infrastrutture, nell'alta velocità e nella produzione di nuove ed ulteriori risorse energetiche. Pensiamo al problema dei rigassificatori o a nuove considerazioni sulla politica del nucleare, alla promozione di iniziative che possano consentirci di uscire da tale stato di inferiorità e di penalizzazione rispetto ai nostri competitori nel settore della produzione energetica sul quale siamo penalizzati anche per le condizioni naturali del nostro territorio e del suolo.
Per raggiungere tali obiettivi e realizzare tali condizioni, occorre superare una pressione fiscale che tende a schiacciare il nostro sistema produttivo e, quindi, rimettere a posto i nostri conti pubblici. Non ci sembra che tale Documento di programmazione economico-finanziaria si riveli all'altezza di tali necessità e profili rimedi adeguati alle dimensioni di questa sfida. Il famoso «tesoretto», costituito dal maggiore gettito ricavato dalle imposte e dalla congiunturale crescita economica, avrebbe dovuto costituire l'occasione propizia per un'ulteriore contrazione del debito, che ipoteca il futuro delle nuove generazioni e che da decenni grava come un macigno sulla nostra economia. Il DPEF apre la strada, invece, ad una legge finanziaria chePag. 53va nella direzione opposta, utilizza le maggiori risorse per nuovi interventi che finiscono inevitabilmente per aumentare la spesa pubblica. Nel 2008 il deficit, che tendenzialmente in assenza di ogni manovra correttiva, si assesterebbe al 2,1 per cento del PIL viene corretto al 2,5 per cento. Ciò è l'effetto della decisione del Governo di utilizzare l'extragettito del 2007 per aumentare la spesa pubblica in diversi settori della pubblica amministrazione.
E ciò preoccupa non poco l'Unione europea e il Fondo monetario internazionale, ai fini anche della nostra permanenza nell'Unione monetaria. Quando, però, la congiuntura favorevole dovesse attenuarsi e si dovesse registrare una nuova contrazione della crescita, il debito, non affrontato con misure adeguate durante la congiuntura favorevole, sarà ancora molto elevato e la spesa pubblica sarà sempre più dilatata e pesante. Ciò comporterà di nuovo inasprimenti della pressione fiscale con effetti depressivi sulla nostra economia.
Inoltre, il Documento di programmazione economico-finanziaria, costituito a legislazione vigente, non tiene conto della difficoltà di far fronte alle spese che dovranno essere sostenute nel 2008, che non sono ancora contemplate nella legislazione vigente, pur rispondendo a precisi impegni già assunti dal Governo. Queste, contenute in allegato al Documento, non potranno probabilmente essere coperte con risparmi di spesa corrente, visti gli andamenti in crescita della stessa nell'anno 2007. Per far fronte a tali nuovi spese rischiamo, ancora una volta, futuri inasprimenti della pressione fiscale. La stessa Unione europea e il Fondo monetario internazionale, come dicevo prima, hanno mostrato le loro perplessità fin dall'inizio.
Nonostante le buone intenzioni del Ministro Padoa Schioppa, ogni proposta idonea a consentire...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ALESSANDRO FORLANI. ... il superamento del cosiddetto «scalone» Maroni, tanto vituperato dalla sinistra estrema, e a non disperderne del tutto, allo stesso tempo, gli effetti virtuosi sui nostri conti e sull'avvenire delle giovani generazioni, è stata respinta dalle resistenze della sinistra più oltranzista, in un gioco di continua competizione con la parte più conservatrice del sindacato, tendente a scavalcarsi reciprocamente il più possibile a sinistra.
Dunque, dalle previsioni e dagli orientamenti contenuti nel DPEF non emergono quelle ricette decisive per il rilancio della nostra economia e della competitività, per una maggiore equità sociale e fiscale, per il salto di qualità nella produttività e negli investimenti, per l'incentivazione alla creatività e all'assunzione di rischio e, infine, quelle misure che possano porre i giovani in condizione di garantire a se stessi un avvenire.
PRESIDENTE. Deputato Forlani, deve concludere.
ALESSANDRO FORLANI. Concludo, Presidente. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. Deputato Forlani, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, credo che la discussione sulle linee generali del Documento di programmazione economico-finanziaria debba essere anche il momento per fare chiarezza. Gli interventi svolti dai colleghi dell'opposizione, che si sono succeduti da questa mattina, non hanno chiarito invece qual era il quadro economico e finanziario esistente durante la passata legislatura e quanto l'attuale Governo sta realizzando.
Ricordo, a me stesso ed ai colleghi dell'opposizione, che ad inizio legislatura abbiamo trovato una situazione economico-finanziariaPag. 54estremamente delicata: i parametri di riferimento relativi alla crescita e alla finanza pubblica erano estremamente negativi. Basti fare riferimento all'indebitamento netto della pubblica amministrazione, al debito pubblico e alla continua crescita della spesa corrente primaria, per capire che ciò che quest'oggi afferma in quest'aula l'opposizione è frutto di un abbaglio e, come tale, va sottoposto a rivisitazione.
Il DPEF in esame si pone sostanzialmente in linea con la politica economica del Governo adottata lo scorso anno. Un Documento che fa chiarezza, che proietta nei prossimi anni gli obiettivi della crescita, della competitività del Paese, dell'equità e, soprattutto, il rientro del debito pubblico. Il prodotto interno lordo viaggia ormai intorno al 2 per cento del PIL e vi è la necessità - lo chiediamo al Governo - di stabilizzare tale crescita nei prossimi anni. Nonostante il decreto-legge n. 81 del 2007 sull'utilizzo dell'extragettito, abbiamo operato per mantenere l'indebitamento netto del Paese al di sotto della soglia del 2,8 per cento indicata dall'Unione europea.
Mi chiedo, e chiedo ai colleghi, nel momento in cui si registra una condizione di crescita - legata soprattutto ai consumi interni del Paese, che si aggirano intorno all'1,2 per cento - e un problema considerevole relativo agli investimenti all'interno del Paese, se era importante o meno - come scelta politica che il Governo doveva effettuare - continuare a dare fiducia ai cittadini italiani affinché, in virtù di un ciclo positivo e di una bassa inflazione, si creasse una situazione tale da consentire di migliorare le condizioni delle fasce più deboli della popolazione del nostro Paese. Faccio riferimento, alle pensioni minime, alle problematiche relative ai giovani e al riscatto degli anni di laurea. Abbiamo ritenuto che, comunque, bisognava intervenire su tali settori e, ciononostante, abbiamo mantenuto l'indebitamento al di sotto di ciò che era stato consigliato dall'Unione europea. Chiuderemo l'anno con un indebitamento pari al 2,5 per cento del PIL. Sappiamo che bisognerà intervenire sicuramente su quelle variabili che determinano un indebitamento maggiore. Ciò si sta realizzando, tant'è vero che il fabbisogno statale e, in generale, quello della pubblica amministrazione sta diminuendo.
Nel DPEF è indicato con chiarezza che la spesa corrente primaria può diminuire non soltanto negli anni futuri, ma anche per gli anni 2007-2008. La stessa legge finanziaria, che prevede un intervento di 21 miliardi di euro, determina una condizione affinché tali somme vengano ad essere reperite all'interno di una maggiore e migliore organizzazione della spesa. In tale logica, si avrà, con la definizione del nuovo quadro di riferimento, anche una modifica degli aspetti del bilancio dello Stato.
Personalmente, ritengo che ci troviamo di fronte ad una prospettiva importante, che dovrà essere migliorata, che consentirà al Paese di recuperare nel campo della competitività, di determinare condizioni di equità fiscale e di abbattere il debito pubblico che, nell'arco di due-tre anni, dovrà essere al di sotto del cento per cento del PIL.
Si tratta di elementi essenziali ed importanti per determinare una politica di sviluppo. Nel DPEF in esame vi sono indicazioni chiare, ad esempio, in ordine agli interventi infrastrutturali, agli interventi volti a determinare una maggiore compatibilità ambientale, soprattutto aumentando le dotazioni a favore delle cosiddette fonti di energia alternative per ridurre l'emissione dei gas serra. Noi vogliamo portare avanti una battaglia forte nella prossima legge finanziaria affinché si possa intraprendere una strada di sviluppo della nostra economia attraverso il rilancio di settori primari ed importanti, ovverosia quelli della ricerca e della scuola.
Siamo deficitari dal punto di vista della ricerca: l'Italia, prevedendo un intervento pari all'1,2 per cento, è il Paese che, a livello internazionale, investe di meno nel campo della ricerca nell'Europa a ventisette. Abbiamo la necessità di intervenire sulla ricerca applicata e di fare in modo che vi siano ulteriori interventi affinché si possano ottenere gli aspetti innovativi chePag. 55mettano in condizione le nostre piccole e medie aziende di essere competitive all'interno del sistema internazionale.
I dati a nostra disposizione dimostrano che, nel nostro Paese, vi è un deficit di cultura: vi è sicuramente un rapporto diverso tra il nord, il centro e il sud, in ordine alla scolarità e agli interventi di professionalità. Sono necessari, pertanto, interventi sostanziosi e sostanziali nel settore della scuola pubblica, a cominciare da una riforma discussa in Parlamento: una riforma della scuola complessiva, che non può essere determinata semplicemente da interventi a spezzoni, al fine di realizzare un recupero di competitività tra il nord, il centro e il Mezzogiorno d'Italia.
In questa logica, riteniamo necessario un ulteriore intervento proprio per il Mezzogiorno d'Italia, non perché quest'ultimo debba essere posto in correlazione con situazioni delle aree del nord in cui non vi sono difficoltà, ma perché, negli ultimi anni, sono stati effettuati interventi finanziari sulle infrastrutture estremamente precari. Basti considerare che la destinazione al Mezzogiorno d'Italia della famosa percentuale del 30 per cento non è stata mai soddisfatta. Occorre intervenire nel Mezzogiorno d'Italia anche perché, nonostante i segni di ripresa, il rapporto del prodotto interno lordo del Mezzogiorno d'Italia con quello del centro e del nord è ancora estremamente negativo. Ciò significa che si sta determinando, in questo Paese, un ulteriore divario tra le aree del nord, quelle del centro e quelle del Mezzogiorno. Occorre, pertanto, un intervento infrastrutturale forte, diretto al recupero della portualità e delle reti ferroviarie e autostradali. È necessario, altresì, prevedere interventi chiari, per il Mezzogiorno d'Italia, sul sistema scolastico e sulle reti immateriali.
Queste sono le nostre considerazioni in merito al DPEF che è ci stato presentato, che, a nostro avviso, va nella direzione che abbiamo stabilito: la competitività del Paese e gli interventi in ordine all'equilibrio di bilancio ed all'equità sociale. Su quest'ultima, consentitemi di svolgere alcune considerazioni: si è chiuso il capitolo delle pensioni, ma, per quanto ci riguarda, non siamo totalmente soddisfatti. Pensavamo che si potesse fare di più, ma questo è stato il limite che ci ha consentito anche di superare un problema che era presente all'interno della maggioranza e che lo è tuttora: si tratta del limite per poter determinare condizioni affinché i giovani possano ottenere un soddisfacimento futuro con riferimento alle loro pensioni. C'è, però, da lavorare ancora molto; crediamo che al di là del meccanismo delle cosiddette liberalizzazioni - che poi tali non sono state, anche se si è trattato di interventi importanti per i consumatori - sia necessario liberalizzare in settori fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese: penso alle telecomunicazioni, all'energia, a quei settori che vanno a determinare le condizioni di crescita per il Paese stesso.
Volevamo porre all'attenzione del Governo questi elementi, sui quali i socialisti della Rosa nel Pugno, nella legge finanziaria e con la legge finanziaria, condurranno una battaglia per lo sviluppo, l'equità ed il riequilibrio dei conti pubblici.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zorzato. Ne ha facoltà.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2008-2011 ci impone alcune considerazioni. Comincerei dalla metamorfosi avvenuta nell'ultimo anno nel Ministro dell'economia e delle finanze, Padoa Schioppa, che, da tecnico prestato alla politica, si è via via trasformato in un politico a tutto campo, con ciò, a mio avviso, rinnegando le sue precedenti esperienze, le sue convinzioni e molte sue dichiarazioni, diventando così la garanzia di attaccamento al potere - direi anche alle sedie - dei suoi colleghi e di tutta la sua maggioranza.
Svolgo alcune premesse per inquadrare il senso del mio intervento. Nel corso della XIV legislatura, la politica del GovernoPag. 56Berlusconi e del centrodestra ha consentito - sono dati ormai agli atti dei nostri lavori - di diminuire di un punto di PIL la pressione fiscale, che passò dal 41,6 per cento del 2000 al 40,6 per cento del 2005, di portare il tasso di disoccupazione dal 9,6 per cento del 2001 al 7,7 del 2005, di innalzare le pensioni minime a 516 euro al mese, di avviare più del 50 per cento del piano delle grandi opere, realizzando in questo modo il contratto che stipulammo con gli italiani.
La XV legislatura, la vostra, si è aperta, invece, con le risultanze della famosa Commissione Faini - credo che qualcuno di noi forse la ricordi - che aveva lo scopo di evidenziare le gravi carenze e il grave «buco» nei conti dello Stato italiano. A breve distanza, il Governo è stato costretto dall'evidenza ad ammettere che la situazione non era quella rappresentata e, quindi, ad ammettere la verità sui conti pubblici, a dimostrazione che tale operazione mirava solo a precostituire giustificazioni per una manovra di fine anno 2006 impostata totalmente sull'aumento della pressione fiscale, cosa di cui tutti gli italiani ovviamente si sono accorti. Ecco allora che, a fronte di una fase economica positiva, che sta interessando gran parte del mondo, e in particolare l'Europa, l'Italia stenta ad agganciare la ripresa.
Risultano elementi di preoccupazione la dinamica della spesa pubblica, che è ulteriormente aumentata rispetto al 2005, e l'incremento del debito pubblico, che ha raggiunto il 106,8 cento del PIL. A fronte di tali elementi di criticità, il Documento di programmazione economico-finanziaria tradisce un'impostazione, a nostro avviso, quasi da fine legislatura. Essa appare di breve respiro, ed è per questo che è stata oggetto di dure reprimende sia da parte dell'Unione europea, sia da parte del Fondo monetario internazionale. Nonostante ciò, gli impegni europei vengono definiti con grande disinvoltura, da autorevoli membri del Governo e dallo stesso Presidente del Consiglio, un eccesso di ortodossia di Bruxelles.
Ricordo, ancora, che molte partite di spesa già maturate non sono state inserite nel Documento di programmazione economico-finanziaria, nonostante si tratti in massima parte, se non per la totalità, di spese da onorare e, quindi, costituenti fattori da scontare nei tendenziali di spesa. Sono spese che ammontano ad un importo pari a 20 miliardi di euro, come riportato nel Documento di programmazione economico-finanziaria.
Ricordo inoltre la polemica di qualche fa giorno al Senato, quando i senatori si sono impuntati con il Governo, dicendo che non poteva affermare che mancano 20 miliardi e che noi dobbiamo preoccuparci di trovare la copertura: caro Governo, devi individuare tu le coperture delle spese che prevedi di fare. E su questo la polemica al Senato è stata abbastanza importante.
D'altra parte, sappiamo che si tratta di un complesso di spese ingenti, ed è quindi illusorio pensare che possano essere finanziate solo mediante la riduzione di altre spese. La realtà è che tali spese finiranno, quasi sicuramente, per essere coperte con ulteriori inasprimenti della pressione fiscale, pregiudicando ancora una volta le ragioni dello sviluppo del Paese e penalizzando i contribuenti italiani.
Tocco adesso il tema delle infrastrutture: è stata operata nel Documento di programmazione economico-finanziaria una vera e propria scelta politica, cioè quella di escludere opere considerate strategiche dal precedente Governo, come i sistemi idrici del Mezzogiorno ed il ponte sullo stretto di Messina, e di non finanziare il completamento di altre opere che, pur dichiarate e ritenute utili e prioritarie per lo sviluppo del Paese, avrebbero determinato tensioni nella coalizione di Governo, in particolare con la parte più a sinistra della coalizione e con i Verdi. Cito, ad esempio, il Mose di Venezia, che riguarda peraltro la mia regione.
Le incongruenze continuano: ecco allora che il testo del Documento di programmazione economico-finanziaria comprende la necessità di disincentivare il fenomeno dei distacchi dei comuni dalle regioni, dovuto ovviamente alle ancoraPag. 57presenti situazioni di privilegio delle regioni a Statuto speciale e, in contemporanea, le numerose proposte di legge di colleghi della maggioranza in senso contrario, non ultima quella di iniziativa governativa per il passaggio del comune di Lamon dal Veneto al Trentino-Alto Adige.
Anche il paragrafo del federalismo credo sia solo accennato nel DPEF, lasciando poi tutta la materia alla dinamica parlamentare, ovviamente, con la paura di affrontarla. Se prendiamo atto che nello scenario di ripresa economica attuale, di cui si avvertono i segnali anche in altri Paesi dell'area europea, l'Italia si colloca su valori di crescita decisamente più bassi rispetto agli altri, che l'incremento della tassazione effettiva è ormai un dato acquisito - e ciò si dimostra con l'aumento delle imposte locali (sulle addizionali IRPEF e ICI: noi avevamo posto il blocco e voi no), con la nuova curva delle aliquote IRPEF, con l'aumento dei contributi previdenziali, con la reintroduzione dell'imposta di successione e donazione, con la modifica dei criteri di ammortamento e deducibilità di alcuni costi, con l'inasprimento dei parametri sugli studi di settore e con l'introduzione degli indicatori di normalità economica con valenza retroattiva a partire dal 2006 (scelta che danneggia pesantemente i contribuenti, soprattutto quelli onesti, e rende assai arduo stimolare la ripresa economica attraverso investimenti e consumi privati) -; ebbene se prendiamo atto che, a fronte di tali indicazioni, il Documento di programmazione economico-finanziaria è stato praticamente bocciato dal Governatore della Banca d'Italia - il quale ha affermato l'insufficienza delle politiche preannunciate dal DPEF stesso -, che la Corte dei conti ha rinnovato le perplessità sollevate nel Rendiconto dello Stato e che le agenzie internazionali hanno già minacciato il declassamento del nostro Paese, tutto ciò ci porta a considerare questo Documento di programmazione economico-finanziaria una miscela perversa di politica economica: più tasse, più spesa corrente, più deficit.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,15)
MARINO ZORZATO. La filosofia di fondo della politica economica proposta in questo DPEF si presenta quindi contraria a tutti i dettami della sana gestione della finanza pubblica, poiché propone un forte incremento della spesa pubblica. In sostanza, anziché utilizzare le maggiori entrate per ridurre il disavanzo e diminuire la tassazione, ci si limita a utilizzarle per aumentare la spesa corrente, contro ogni principio, se non altro, di buonsenso.
Concludo; nel tempo a mia disposizione ho cercato di sviluppare almeno alcune parti e alcune considerazioni e sollevare alcune perplessità.
Voglio infine soffermarmi su un ultimo e, a mio avviso, significativo esempio, a dimostrazione - se ve ne era bisogno - della poca credibilità dell'Esecutivo. Analizziamo il collegato Infrastrutture al Documento di programmazione economico-finanziaria. Un occhio non attento potrebbe trovare soddisfazione nell'elenco delle opere ritenute prioritarie: vi sono quasi tutte le opere che anche noi avevamo previsto con il Governo Berlusconi. Invece no, non è così: per la maggior parte delle opere non vi è copertura finanziaria, vi è solo un elenco dei desiderata. Ecco, allora, le contraddizioni di questa maggioranza! Una parte di essa vuole eliminare la legge obiettivo (Verdi, Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista) e lo dichiara pubblicamente in Commissione al Senato. Il Ministro Di Pietro - e credo lo stesso Presidente Prodi - la ritiene una legge ormai importante e parte del nostro ordinamento. Il Ministro firma le convenzioni per la Asti-Cuneo e per la Brescia-Bergamo-Milano. La sua maggioranza, in Commissione, al Senato, vota contro, e senza i voti dell'opposizione le convenzioni firmate dal Ministro per tali opere sarebbero carta straccia. Il Ministro Di Pietro, Prodi, Letta, si recano in visita nel Veneto e affermano che il Mose è un'opera importante e straordinaria, da completare. Verdi e ambientalisti stanno lavorando, aPag. 58livello europeo, per bloccare tale opera. Intanto, non si stanziano le risorse necessarie al suo completamento. Il colmo è che anche per le opere per le quali le regioni chiedono il solo inserimento nella legge obiettivo per le procedure (sono opere che non costano nulla, il finanziamento è a carico delle regioni o sono progetti di finanza, opere che si finanzierebbero in proprio, quindi opere utili al rilancio dell'economia, alla competitività e a tutte quelle frasi fatte che ci diciamo ogni giorno), forse per il ricatto delle forze estreme - forse dei Verdi, forse dei Comunisti, non so più di chi - non otteniamo, nemmeno su queste, soddisfazione. Le inseriamo, nel collegato Infrastrutture, fra le opere prioritarie, ma non le inseriamo - lo ripeto, a costo zero - nemmeno fra le opere che seguirebbero la procedura veloce della legge obiettivo. Non so come si faccia a comprendere tale contraddizione. Certo, la nostra fiducia sull'accoglimento delle nostre sollecitazioni da parte del Governo è pari alla fiducia degli stessi italiani in questo Esecutivo e in questa maggioranza, cioè praticamente pari a zero, nulla.
Così come per le infrastrutture il Governo ha scritto il libro dei sogni, a noi non resta che sognare uno scatto di orgoglio da parte della maggioranza, che riporti il Parlamento all'esame degli italiani, (ci basterebbe anche un semplice incidente di percorso che ci riporti all'esame degli italiani). Restiamo fiduciosi, molte volte anche i sogni più difficili diventano realtà e noi abbiamo la fede di aspettare che tale sogno si realizzi.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fincato. Ne ha facoltà.
LAURA FINCATO. Signora Presidente, signori sottosegretari, onorevoli colleghi, il DPEF in esame ci permetterà di discutere la legge finanziaria senza «coltello alla gola» con saldi netti da finanziare tra 21 e 24 miliardi di euro, con gli impegni già sottoscritti, con le spese per le classi consolidate e le spese per nuove iniziative per un totale, appunto, che va dai 21 ai 24 miliardi di euro. La risoluzione approvata dal Senato conferma i disavanzi programmatici esposti nel Documento di programmazione economico-finanziaria, facendone un vincolo per la prossima legge finanziaria e ricorda che le spese nel 2008 dovranno trovare compensazione nei pagamenti dell'anno. Tale risoluzione impegna il Governo a destinare in via prioritaria il frutto della lotta all'evasione (se permanente e superiore a quanto serve per risanare i conti) alla riduzione del prelievo fiscale. Infine, vi è la riforma del bilancio: dalla prossima sessione di bilancio il voto parlamentare non sarà più espresso sulle unità previsionali di base, ma sui nuovi macroaggregati.
L'anno scorso, in questa stagione abbiamo affrontato il difficile compito di analizzare lo stato dei conti del Paese per avviare, a seguito della due diligence che un gruppo di lavoro esterno aveva effettuato, la manovra di risanamento che è stata fra le più rigorose degli ultimi decenni. Provenendo da una stagione di non decisioni, non è stato né semplice, né indolore; si è faticato a far comprendere la difficoltà degli interventi, soprattutto quelli mirati a combattere l'evasione fiscale che si era a tal punto radicata da raggiungere sistematicamente punte del 25 per cento, costringendo i cittadini perbene che pagano le tasse a pagare molto più e costringendo le aziende perbene a subire la concorrenza di quelle che vivono nel sommerso. La complessità della manovra può anche avere comportato misure drastiche in alcuni settori o inadeguate a conseguire gli obiettivi e se ciò è accaduto non bisogna aver paura di ammettere gli sbagli, sempre possibili, e correggere il tiro.
È importante che la lotta all'evasione ed all'elusione - un caposaldo meritorio dopo anni di politiche non esattamente rigorose - sia condotta verso tutti, evitando che vasti settori produttivi abbiano la percezione di essere particolarmente bersagliati. Il rigore - non è un argomento su cui si possa scherzare, altrimenti non si ristabiliranno le regole della convivenza civile - deve essere e apparire indirizzato a tutti i comparti della società e devePag. 59essere accompagnato da politiche che riducano aridi privilegi, sprechi e inefficienze. L'anno alle nostre spalle ci consente, con la discussione del DPEF per gli anni 2008-2011, di compiere valutazioni e di avviarci verso una stagione più serena per quanto concerne i conti pubblici, la lotta all'evasione, le innovazioni, le liberalizzazioni, la lotta agli sprechi su cui molta strada è tuttavia ancora da percorrere.
Passando al merito del Documento in esame, vi è da dire che il DPEF fissa i saldi della finanza pubblica e il perimetro entro cui si muove la legge finanziaria. L'auspicio che formulo è che per il futuro si arrivi a fissare nel DPEF, oltre ai saldi di finanza pubblica, anche i limiti di spesa perché ciò porterebbe ulteriore e concreto rigore alla manovra finanziaria, aiutando a rafforzare altresì la migliore opinione che le autorità internazionali si stanno formando sul nostro Paese, sulla sua capacità di ripresa e di stabilizzazione. Gli apprezzamenti che provengono dalle autorità estere non ci fanno dimenticare che il debito pubblico è ancora troppo alto, che soffoca lo sviluppo e che c'è una difficoltà a controllare la spesa pubblica, che rischia di essere un grave handicap per il risanamento nel medio periodo. Tuttavia, analizzando il quadro macroeconomico che accompagna il DPEF con la consapevolezza delle difficoltà che ancora dovremo fronteggiare, possiamo dire con il conforto dei dati che la situazione rispetto all'anno scorso è decisamente migliorata. La crescita è stata superiore alle stime, il gettito tributario è migliorato, la spesa è in linea con le previsioni; se occorreranno risorse aggiuntive condividiamo ampiamente ciò che ha affermato, senza tentennamenti, il Governo: non si farà ricorso alla leva fiscale, si rispetterà il vincolo dell'indebitamento. Una sola strada appare obbligata ed è quella di recuperare risorse all'interno dello stesso bilancio delle pubbliche amministrazioni, spendendo meno e meglio; sicuramente il Paese apprezzerà.
Per il perseguimento delle politiche fiscali l'obiettivo rimane quello dell'equità, dello sviluppo e della semplificazione. Il programma di lotta all'evasione fiscale, avviato dal Governo, ha dato frutti sorprendenti. Si è abbandonata la politica dei condoni, per intraprendere quella dell'emersione della base imponibile. L'evasione, ancora purtroppo alta, intorno al 25 per cento del valore aggiunto imponibile stimato, opera come un ostacolo alla crescita e alla redistribuzione. Solo quando questa azione sarà percepita come incisiva e strutturale dal contribuente si potrà ridurre il carico tributario a vantaggio soprattutto dei redditi bassi e medi. Dal 2008 ci si deve adoperare per ridurre il peso della fiscalità: assegno unico per i figli, riduzione delle tasse sulla casa e alle imprese, semplificazione fiscale per le piccole aziende, sono queste le priorità dell'Unione che il DPEF delinea e a cui la legge finanziaria per il 2008 dovrà dare risposte.
Mi soffermo sul tema delle tasse sulla casa, punto qualificante del DPEF. Già il disegno di legge delega, approvato dalla Commissione finanze, e per il quale ringrazio tutti i colleghi dell'Ulivo e dell'Unione per il gran lavoro svolto, fissa, a regime, una franchigia ICI fino ai 150 metri quadrati, con il risultato di esentare quasi il 70 per cento delle prime case. Attualmente la detrazione di 103 euro consente di arrivare all'esenzione solo del 40 per cento delle famiglie e solo nei comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, mentre si scende all'8 per cento nei comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti. L'esenzione di 290 euro, contenuta nella delega, farebbe salire la platea degli esenti fino al 70 per cento dei proprietari, procurando un notevole e diffuso alleggerimento del peso fiscale sulla casa. Vi sarà, poi, un nuovo sistema delle detrazioni fiscali su quanto pagato come affitto, di cui beneficeranno almeno un quarto delle famiglie italiane che vivono in affitto. Verrà rivista la tassazione dei redditi delle locazioni, con vantaggi conseguibili da proprietari e inquilini.
In conclusione, il DPEF in esame e la risoluzione che ci apprestiamo a votare indicano un percorso chiaro, quello dell'intervento senza rinvii e tentennamenti,Pag. 60per correggere le inefficienze strutturali, per recuperare i ritardi, per liberarsi di lacci e lacciuoli che impediscono al Paese di crescere, per ridurre i costi della politica e per riqualificare la spesa pubblica, soprattutto con riferimento ai quattro grandi comparti del pubblico impiego, della previdenza, della sanità e della finanza territoriale, ed infine per riformare la pubblica amministrazione secondo criteri di qualità, di efficacia e di modernizzazione.
È per questo motivo che continueremo a sostenere il Governo nelle scelte di politica economica.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.