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TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FEDERICA ROSSI GASPARRINI, RICCARDO PEDRIZZI E DOMENICO ZINZI IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Il gruppo Popolari-Udeur esprime un giudizio positivo sul DPEF nel suo complesso, apprezzando la progettualità volta a sviluppo e sostenibilità sociale.
I cittadini, e tra questi in particolar modo le donne, da sempre poco inclini alle conflittualità politiche che stanno animando questi ultimi giorni di lavoro prima della pausa estiva, guardano con molta attenzione alle linee programmatiche contenute in questo Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) per gli anni 2008 - 2011 allo scopo di capire in che modo si voglia intervenire per attuare quelle misure in grado di indirizzare l'azione dell'Esecutivo verso quella svolta auspicata da più parti.
A questo scopo è necessario da un lato superare la logica assistenzialista che ha finora caratterizzato le politiche della famiglia e dall'altro prevedere politiche dirette anche all'inclusione delle minoranze, ma più che altro dirette al sostegno dell'istituzione famiglia.
Noi Popolari-Udeur, che nell'ambito della coalizione di centrosinistra ci siamo sempre distinti per la coerenza ed innovazione su temi di politica sociale, economica e di welfare, vogliamo dare il nostro contributo a definire in maniera decisa una seria e strutturale politica di sostegno vero alla famiglia.
Il complesso tema della famiglia, per la soluzione dei problemi che evidenzia, non può essere affidato soltanto a meri dati statistici, a tecniche interpretazioni giurisprudenziali, o ad iniziative episodiche e scollegate, ma deve essere affrontato con impegno continuo e coordinato, che susciti e convogli il contributo scientifico, di esperienza e di sensibilità di ognuno, attraverso l'affinamento e l'interscambio con i cittadini, che troppo spesso stentano a riconoscersi nelle identità politiche e programmatiche che incontrano, e che sempre più si scoraggiano e si demotivano all'impegno attivo, nella certezza di vedere evase le pur ineludibili istanze che avanzano.
Sulla base di queste considerazioni appare imprescindibile ampliare il concetto di rappresentatività, dando ascolto a quelle associazioni che dall'ambito domestico promanano e che sono dirette a farsi portatrici delle necessità ed aspirazioni tipiche del sistema familiare.
Si tratta di associazioni che rappresentano oltre nove milioni di cittadini e che fanno, da decenni, parte della vita sociale del nostro sistema civile.
L'istituzione per la prima volta nel nostro Paese di un Ministero per le politiche familiari, con il compito di valorizzare in modo non solo nominale le politiche dedicate alle famiglie, deve essere significativo dell'impegno che il nostro Governo intende porre in essere su questi temi.
Nella Finanziaria 2007 già sono stati previsti tutta una serie d'interventi che fanno riferimento alla condizione dell'infanzia e su questa falsariga salutiamo con favore la previsione nel DPEF 2008-2011 di un fondo per le politiche familiari purché venga strutturato in modo da consentire la più ampia gamma di interventi.
Nell'agenda del Governo la questione abitativa, e quindi un rinnovato intervento pubblico per alleviare il disagio sociale, è sempre stata d'attualità
La legge finanziaria 2007, puntando più sulla realizzazione di nuove infrastrutture, a fronte dell'aumento del 25,9 per cento in termini reali rispetto al 2006 da dedicare ai progetti di infrastrutturazione del Paese, ha previsto infatti uno stanziamento complessivo destinato all'edilizia residenziale pubblica per il triennio tra il 2007 e il 2009 per un ammontare complessivo di 60 milioni, così articolato: 30 milioni per il 2008 e 30 milioni per il 2009.
Ora, in considerazione delle risorse, appare opportuno prevedere la costruzione di edifici ad uso abitativo con tecniche costruttive ecocompatibili, che permettonoPag. 79di realizzare strutture a costi contenuti anche attraverso l'utilizzo di parti prefabbricate, tecniche queste già molto diffuse in altri Paesi europei.
Ma in particolare intendiamo contestare un punto del DPEF nella parte riferita al piano d'azione per le pari opportunità, citando fra l'altro, in particolare, il punto dove è scritto e ripetuto che «vanno attuate politiche di formazione permanente volta ad accrescere l'occupabilità delle donne, segnatamente migranti, e le donne che abbiano interrotto l'attività lavorativa».
Quindi prima, in via prioritaria le migranti; poi le donne italiane.
I dati dicono che in Italia sono le donne con figli, le mamme, a dover interrompere il lavoro extrafamiliare per esercitare quello di casalinghe.
E queste cittadine italiane sono 8 milioni e 241 mila (secondo dati ISTAT).
Queste donne contestano la politica del Ministero delle pari opportunità che costantemente le discrimina, nelle dichiarazioni e nelle azioni, tanto che se pone loro un po' d'attenzione, la pone dopo, sempre dopo, le donne migranti (che pur riteniamo degne di ogni attenzione).
Questi 8 milioni e 241 mila di cittadine e cittadini stanno chiedendo al Governo la fine di una evidente discriminazione e della cancellazione dei loro diritti di cittadinanza; anzi, chiedono l'apprezzamento e il diritto anche alla riqualificazione e ricollocazione possibile di milioni di risorse umane, attualmente calpestate.
Il gruppo Popolari-Udeur chiede che il DPEF preveda un'azione nuova e coerente, sintetizzata in tre punti: dare attuazione alla legge n. 493 del 1999, che ha dichiarato le casalinghe «lavoratrici e produttrici di valore economico»; accogliere i sindacati storici di questa categoria sul tavolo dello Stato sociale, perché possano dare voce alle attese di questi 9 milioni di persone che nessun altro può rappresentare e che non ha mai rappresentato; inserire sempre, laddove si parla di sicurezza sui luoghi di lavoro, anche la sicurezza dei luoghi di vita, che purtroppo contano ogni anno milioni di incidenti ed oltre 8.400 morti.
Ringraziamo Rifondazione Comunista che ha ricordato i diritti delle famiglie monoreddito.
In finanziaria 2007 abbiamo proposto un ordine del giorno sulla necessità di una tassazione equa sulla famiglia monoreddito. Il Governo ha accolto l'ordine del giorno. Chiediamo sia applicato.
RICCARDO PEDRIZZI. Per prassi il DPEF, che ha lo stesso contenuto sia al Senato che alla Camera, è stato sempre approvato da due rami del Parlamento nello stesso giorno o quasi contemporaneamente.
Non si tratta di una prassi costituzionale, evidentemente, ma di una prassi consuetudinaria delle due Camere. E sarebbe stato importante che fosse rispettata anche quest'anno, magari con un accordo dei Presidenti di Montecitorio e di Palazzo Madama. Invece per la prima volta nella storia repubblicana quest'anno non è stata rispettata questa prassi. Eppure osservare la prassi sarebbe stato ancora più vincolante nell'attuale legislatura perché vi è una prevalenza schiacciante, in termini di interesse politico, del Senato rispetto alla Camera.
Votare perciò la risoluzione sul DPEF a distanza di quasi una settimana svilisce indubbiamente il dibattito e fa sì che non vi sia alcun interesse, da parte dell'opinione pubblica e nemmeno da parte di noi parlamentari, per quello che deciderà la Camera domani.
Ma tant'è, sottoponiamoci a questo inutile, e per giunta noioso, rituale.
È passato poco più di un anno dalle elezioni, e già ci troviamo in una situazione che sembra da fine legislatura. Il Governo anche questa volta riuscirà a sopravvivere; una cosa è certa: non è riuscito a decidere niente e lo si vede nelle impostazioni e nella filosofia che ispirano il DPEF.
Il Governo non decide perché i partiti che lo sostengono hanno interessi e posizioni troppo divergenti e le istituzioniPag. 80politiche (legge elettorale) conferiscono potere di veto ai partiti, anche a quelli più piccoli.
Per questo il Governo Prodi assomiglia sempre di più a un governo balneare. Nella cronaca politica di questi giorni è difficile, infatti, trovare traccia dell'esistenza di un esecutivo con una sua autorità e un'autonoma capacità di proposta. La presunta trattativa sulle pensioni si prolunga da giorni ed i ministri responsabili vanno a ruota libera e si contraddicono tra di loro. I sindacati hanno ripreso forza e battono i pugni sul tavolo. A Serravalle il Vicepremier Massimo D'Alema aveva osato sfidarli sostenendo poche elementari verità. Ma il Presidente del Consiglio non ha trovato la forza di seguirlo.
E veniamo al DPEF nel dettaglio.
Mai come in questa occasione si percepisce in questo DPEF la distanza tra il «dover essere» e la realtà italiana, che pure lo stesso documento descrive bene, la sua lettura fa credere che esso non riguardi l'Italia, qual è, ma un'altra nazione, con governanti più lungimiranti, sindacati meno corporativi, burocrazia snella ed efficiente. L'elenco di paesi dove hanno avuto successo riforme analoghe a quelle proposte come indispensabili per il sistema italiano comprende Spagna, Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia.
In ciò il DPEF è un sogno a occhi aperti ed ha aspetti veramente paradossali.
Il primo sottolinea l'ingente esigenza di liberare risorse abbattendo il debito pubblico, e un percorso di rientro estremamente graduale e basato su ipotesi poco credibili di un fabbisogno nettamente e costantemente inferiore al deficit e di una spesa pubblica che cresce meno del PIL.
Ma, se l'abbattimento del debito è così cruciale (e lo è), perché non perseguirlo qui e ora? Invece si è confermato l'obiettivo di deficit del 2007: un 2,5 per cento del PIL con una crescita del 2 per cento equivale al 2,8 per cento fissato quando un anno fa si pensava che la ripresa non sarebbe andata oltre l'1,2 per cento; e si è peggiorato nettamente quello del 2008. Cosicché si perde un anno intero nel risanamento e si rinvia tutto a fine legislatura. Tutto ciò ricorda le buone intenzioni di Pinocchio di cominciare a studiare dal giorno seguente o delle signore che devono sempre iniziare la dieta per dimagrire.
Così lo sforzo di ridurre la spesa pubblica è perdente in partenza.
Un altro aspetto di incoerenza è accettare le «prassi consolidate» che da sole aggiungono quattro miliardi alla spesa 2008 e diverranno la base cui si aggiungeranno richieste per accontentare le varie componenti della maggioranza. In questo contesto è difficile credere che la finanziaria 2008 sarà realizzata davvero solo con risparmi di spese.
Ci potrebbero perciò essere nuovi aumenti di tasse, magari sugli utili delle imprese.
Proprio per questo sono preoccupati tutti gli organismi internazionali.
«Il tentativo di consolidamento fiscale abbozzato nel nuovo DPEF - ha detto il portavoce dell'FMI, Olga Stankova, infatti - non è all'altezza dei bisogni dell'Italia non solo di migliorare lo stato dei conti pubblici, ma anche di centrare gli obiettivi di governo in termini di crescita e di giustizia sociale». «II fondo - ha aggiunto il portavoce dell'organizzazione che ha base a Washington - raccomanda da tempo un processo di consolidamento fiscale, incluso il pareggio dei budget entro il 2010 e, più recentemente, ha chiesto che si usi l'attuale surplus per ridurre il deficit. Ma, nonostante un punto di partenza migliore, il nuovo DPEF non rappresenta un miglioramento rispetto ai precedenti e ha chiaramente obiettivi di riduzione del deficit per il triennio 2008-2011 poco ambiziosi». Anche per l'Unione europea il Documento di programmazione economica e finanziaria rallenta gli sforzi di consolidamento, mettendo l'Italia a rischio di ricadere in deficit eccessivo qualora l'attuale congiuntura favorevole si invertisse. È stata la portavoce di Almunia, Amelia Torres, a leggere il commento del commissario europeo.
Almunia ha espresso «profonda preoccupazione per il limitato consolidamentoPag. 81previsto per il 2008 e per gli anni successivi, che non rispetta gli orientamenti presi dall'Eurogruppo il 20 aprile» in cui si chiedeva di correggere il rapporto deficit-PIL dello 0,5 per cento strutturale annuo e di destinare tutto l'extragettito al risanamento. Il commissario ha anche messo in evidenza come la linea adottata dal Governo Prodi comporti un rallentamento nel percorso di riduzione del debito, che attualmente viaggia ben al di sopra del 100 per cento dei PIL, con degli interessi che si aggirano attorno ai 68 miliardi di euro all'anno.
Un debito che costringe l'Italia a «pagare interessi pari al 5 per cento del PIL, ossia il doppio rispetto agli investimenti pubblici, sacrificando risorse che altrimenti potrebbero essere utilizzate in modo più produttivo».
Gli avvertimenti di Almunia hanno riguardato anche le modifiche del sistema pensionistico. Il commissario ha ricordato come «qualunque cambiamento dell'attuale legislazione debba essere a impatto zero per il bilancio nel termine medio-lungo e non debba peggiorare la sostenibilità dei conti pubblici»
Dinanzi a queste parole non serve minimizzare come fa il ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa, che ha sostenuto che Almunia non ha «bocciato» il DPEF.
Ma le osservazioni di Almunia si aggiungono al fermo richiamo alla responsabilità, e a destinare l'extragettito italiano al risanamento, del presidente dell'Eurogruppo, Jean Claude Juncker.
Tutto questo nonostante che i conti dello Stato, intanto, continuino a migliorare grazie alle entrate tributarie: a giugno, l'avanzo primario è risultato infatti pari a 18,5 miliardi - oltre 4 in più rispetto all'attivo dello stesso mese del 2006 - e il fabbisogno è sceso a 26,2 miliardi (circa 7,2 miliardi in meno nel confronto con l'anno scorso).
Anche la Banca d'Italia ci ha messo il suo carico da 90. L'audizione di Draghi, infatti, è suonata come un'esortazione a mostrare più coraggio nell'azione di risanamento. «Gli interventi correttivi necessari per raggiungere il pareggio sono rinviati al triennio 2009-2011; in particolare, circa la metà è programmata per il 2011, ultimo anno della legislatura». Inoltre ha aggiunto il Governatore: «La fase congiunturale favorevole avrebbe consentito di accelerare il riequilibrio dei conti». «II rischio è il dover correggere in futuro, in condizioni cicliche più difficili, le scelte di oggi». Infatti nelle prossime manovre finanziarie saranno necessari interventi correttivi pari ad almeno 11 miliardi, lo 0,7 del PIL. Quanto alla diatriba sul «tesoretto», Draghi ha spiegato che «il termine stesso è fuorviante: con il debito che abbiamo, con un disavanzo strutturale pari al 3 per cento del PIL, con gli oneri previdenziali implicati dalla demografia, non esiste un tesoretto da spendere». La pressione fiscale è passata dal 40,6 per cento al 42,3 per cento nell'ultimo anno e sarà al 42,8 per cento del PIL quest'anno secondo il DPEF. «In campo fiscale, la prima linea da adottare è infatti quella di far pagare le tasse a tutti coloro che le devono pagare per ridurre la pressione fiscale che grava sui contribuenti onesti».
La riduzione della pressione fiscale è comunque necessaria e in molti casi è imposta dalla competizione fiscale dei paesi: Draghi ha ricordato che in Germania le imposte sulle imprese si sono ridotte, dall'inizio del decennio, dal 50 per cento al 33 per cento del reddito e anche la Spagna ha ridotto la tassazione.
E poi a queste critiche si è aggiunta Confindustria con Pininfarina che ha sottolineato che la ripresa è stata «in buona parte frutto dello sforzo delle imprese italiane che hanno accettato la sfida della globalizzazione e hanno modificato i modelli produttivi e organizzativi».
Ma resta il nodo della politica economica. «Il DPEF 2008-2011 non indica una discontinuità, è un documento senza un chiaro progetto di medio termine, senza una linea precisa sulla manovra che ci attende per l'autunno». Il Governo, nonostante il miglioramento dei conti pubblici nel 2006, «non ha concentrato gli sforzi per avviare revisioni dei meccanismi diPag. 82spesa, non si è posto obiettivi ambiziosi di abbattimento del rapporto debito/PIL come richiesto ripetutamente.
La svolta di cui ha parlato il Presidente del Consiglio Romano Prodi non c'è. Eppure secondo artigiani e commercianti, che sono stati sentiti dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato a proposito del Documento di programmazione economica e finanziaria, sarebbe quanto mai necessario un cambio di marcia. In primis sulla spesa pubblica e poi sulla pressione fiscale.
In un comunicato congiunto Cna, Confartigianato, Casartigiani, Confcommercio e Confesercenti hanno sottolineato che «occorre la piena consapevolezza politica del fatto che oggi siamo di fronte a un vero e proprio cortocircuito fra elevati livelli di spesa pubblica ed elevati livelli di pressione fiscale e contributiva». Risolvere questo cortocircuito, per le associazioni di categoria, «è condizione essenziale per imboccare il cammino della crescita stabile e strutturale». Per poter sperare di ottenere questo obiettivo, allora, «è necessaria una scelta che renda contestuali gli effetti di tre grandi politiche: recupero di evasione ed elusione; controllo, riqualificazione e riduzione della spesa pubblica; progressiva riduzione della pressione fiscale». E poi «un'amministrazione più snella ed efficiente che consenta di ridurre la tassa della burocrazia, ostacolo che incide negativamente sulla competitività delle imprese italiane».
Note dolenti, sempre in tema di DPEF, sono emerse anche dall'analisi dei costruttori dell'Ance. Secondo il presidente dell'associazione, Paolo Buzzetti, «agli investimenti per nuove infrastrutture viene destinata una quota assai ridotta: il 2,9 per cento nel 2007 del complesso delle spese stanziate nel bilancio».
Ma non basta.
Quali e quante sono le risorse da destinare, nel 2008, al superamento dello «scalone» pensionistico? Quanto costerà il rinnovo dei contratti pubblici? Quanto il reintegro dei tagli alle spese dei ministeri che non hanno funzionato nel 2007? Lo chiedono, analizzando il DPEF 2008-2011, i Servizi Bilancio di Camera e Senato e il Servizio studi di Montecitorio che, per la prima volta, hanno prodotto un'unica, corposa relazione.
Il DPEF elenca spese che, pur non entrando nelle stime, dovranno essere sostenute e coperte nel 2008, 2009 e 2010. Si tratta di 21,3 miliardi l'anno prossimo e 19,3 nei successivi. Ma Mario Baldassarri ha documentato al Senato che forse potrebbe trattarsi di una nomina molto più grande: forse 25/30 miliardi di euro.
I 21,3 miliardi del 2008 derivano da impegni sottoscritti per 4,1 miliardi; sono spese inevitabili. A 7,2 miliardi ammontano poi le «prassi consolidate», che non potranno essere interrotte. E a 10 miliardi le «nuove iniziative», una »qualificazione indicativa« che potrebbe non bastare a saziare gli appetiti che si sfrenano durante la preparazione della Finanziaria.
Gli esperti di Camera e Senato osservano innanzitutto che, mentre nessuna correzione dei conti è prevista per il 2008, per quelle programmate nel 2009, 2010 e 2011 (rispettivamente 6,3, 6,5 e 11,4 miliardi) il Governo non fornisce indicazioni su come intenda attuarle. Sul 2008 grava però il rischio delle spese probabili, alcune non qualificate, altre non previste.
In primis, lo «scalone»: «Non vengono fornite indicazioni, si legge nell'analisi, circa le eventuali risorse da destinare alla trattativa in corso sull'aumento dell'età pensionabile». C'è insomma da chiarire se queste risorse siano incluse tra le «nuove iniziative», per le quali si prevede di stanziare 10 miliardi annui, o se siano invece aggiuntive». Nel qual caso i 21,3 miliardi aumenterebbero.
Altra lacuna: non è qualificata, neppure in via indicativa, la spesa per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, che dev'essere peraltro aggiunta alla somma totale da finanziare.
Ancora: tra le «nuove iniziative» di spesa rientrano gli interventi che dovranno dare seguito al decreto-legge n. 81.
Questa ingente massa di pagamenti che, per ora, non figura nei saldi, non dovrà pesare sul disavanzo. Il DPEF, rileva l'analisi, sottolinea l'impegno prioritario a contenere e ridurre la pressione fiscale. LePag. 83risorse dovranno pertanto essere reperite con riduzioni di spesa. Ma il Documento di programmazione «non fornisce alcuna indicazione» su quali spese si intendano ridurre. Questo, con tutta evidenza, è un altro punto debole del DPEF.
In conclusione, abbiamo sentito i radicali, Lamberto Dini, Natale D'Amico, Walter Veltroni, persino Massimo D'Alema, anche Francesco Rutelli. Ma si è trattato di voci nel deserto.
La verità è che manca una vera cultura riformista nel Governo Prodi. L'identità della sinistra radicale si è affermata. Viceversa l'identità riformista è apparsa quasi sempre nebulosa se non addirittura assente.
Il Governo si regge perciò sui rinvii, le elusioni e il rifiuto di prendere atto della realtà. Occorre un chiarimento di fondo fra chi coltiva un disegno riformatore e chi opera per garantire l'immobilismo. Altrimenti non finirà solo il Governo Prodi, ormai paralizzato da tempo. Finiranno anche le speranze e le illusioni di quella parte del popolo italiano che l'aveva votato. L'altra parte le aveva già perse da tempo.
DOMENICO ZINZI. Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad un Documento di programmazione economica e finanziaria che non risponde ai bisogni dell'Italia, sia in termini di contenimento dei conti pubblici, sia in termini di crescita e di giustizia sociale.
È un DPEF poco ambizioso, che rinvia l'obiettivo di riduzione del pareggio di bilancio e che ha sollevato, per questo, non pochi dubbi e perplessità tra tutte le istituzioni internazionali, a cominciare proprio dall'Unione europea per passare al Fondo monetario internazionale.
Nonostante i giudizi più che severi, tuttavia, il Governo ha proseguito nella sua testarda quanto dannosa strategia, rallentando in maniera determinante la corsa al pareggio di bilancio, confidando forse sui buoni segnali dell'andamento delle entrate tributarie, che si reggono sulla attuale congiuntura favorevole.
È un percorso vulnerato, perché da una parte rivede l'obiettivo dell'indebitamento per il 2007, fissandolo al 2,5 per cento del PIL e dall'altra si tuffa in una manovra espansiva, bruciando il tesoretto in mille rivoli di misure a carattere elettoralistico, con il rischio di dover correggere i conti in futuro, quando la congiuntura sarà meno favorevole.
Tutto questo, mentre la pressione fiscale sale ancora, passando dal 41 per cento del DPEF dello scorso anno, al 42,8 per cento e per la quale il Governo ha preso il «solenne» impegno di una riduzione di 0,7 punti percentuali, da qui al 2011!
Il Documento ribadisce a parole l'importanza del controllo della qualità e della quantità della spesa che (come dimostra l'esperienza di paesi europei come la Germania) contribuisce in maniera determinante alla riduzione del disavanzo; ma per un riequilibrio duraturo, come ha affermato il Governatore Draghi, occorrono scelte in materia previdenziale coraggiose, tenuto conto della situazione demografica che si profila per i prossimi anni.
Evidentemente il monito del Governatore della Banca d'Italia non è stato recepito dal Governo che, invece, ha proceduto in una direzione completamente opposta.
Il recente accordo sulla riforma delle pensioni è, da questo punto di vista, illuminante.
Esistono tre modi per tenere sotto controllo la spesa previdenziale: ridurre le prestazioni, aumentare i contributi o innalzare l'età pensionabile. Ora, mentre in tutti i paesi industrializzati hanno innalzato l'età pensionabile (in Germania addirittura si vuole portarla a 67 anni!) in Italia si procede in senso inverso e dei 65 miliardi di risparmi garantiti dalla Maroni da qui al 2018, ne spendiamo, dicono, 10 per coprire un mix di misure che, tra scalini e quote, ha finito anche per scontentare l'ala più radicale, rinviando ancora il regolamento di conti all'interno della coalizione tra riformisti e massimalisti.
Per non parlare, poi, di coloro sui quali ricadrà il peso di questa scelta. Oggi sui parasubordinati, sicuramente il settore più debole del mondo del lavoro, che si vedranno aumentare la percentuale di contribuzione per coprire parte delle riformaPag. 84di 9 punti percentuali, e sui giovani in generale, che forse preferiranno entrare nel sommerso. Non è un caso che nella nota di variazione del bilancio preventivo dell'INPS manchino all'appello circa 80 mila iscritti.
Un altro pasticcio è quello confezionato dal Governo e dai sindacati sui lavori usuranti, in cui sono scomparsi i criteri oggettivi del decreto Salvi, che individuava con parametri concreti la creazione di un diritto, svolgendo una ben precisa attività usurante e per tutta la durata della sua attività lavorativa ed allargando invece le maglie ad una serie imprecisata di attività, svolte anche solo per alcuni anni.
In definitiva, su questo versante, è venuto meno quel patto generazionale, invocato da tutti, e di cui aveva anche parlato il ministro Padoa Schioppa, prima di essere richiamato all'ordine dalla sinistra radicale.
E proprio al ministro Padoa Schioppa rivolgerei la domanda che indirettamente gli ha rivolto il Governatore Draghi nella sua audizione sul DPEF, e cioè quante tasse dovranno pagare i giovani, da oggi ai prossimi 10-15 anni, per sostenere il sistema pensionistico attuale?
Ecco perché torna attuale il dibattito che, in quello più generale riguardante l'utilità del DPEF in sé, verte sulla necessità di non limitarsi a fissare i saldi di finanza pubblica, ma di fissare subito anche il valore massimo della spesa primaria corrente, atteso che si tratta della componente del bilancio dello Stato su cui si può più agevolmente agire senza avere ripercussioni ulteriori (a differenza della pressione fiscale o degli investimenti, che deprimerebbero la crescita).
Fissare già una percentuale di spesa primaria corrente, in rapporto al PIL, per l'anno successivo, cui uniformare la successiva legge finanziaria, ci sembra il metodo più corretto per tentare di raggiungere il pareggio di bilancio. Certo ci vuole coraggio per questo tipo di intervento, e non è certamente una qualità di questo Governo.
Che il rigore decantato sia soltanto apparente, lo conferma l'allarme lanciato nel corso della sua audizione in Commissione bilancio, dal Presidente della Corte dei conti, che ha previsto una manovra correttiva dei conti per compensare la leggerezza o la debolezza, a seconda se compensare la leggerezza o la debolezza, a seconda di come vogliamo chiamarle, del ministro Padoa Schioppa.
Diciamo che questo DPEF è riuscito nel poco lodevole tentativo di scontentare tutti: a cominciare da Confindustria che lo boccia, perché non ha un chiaro progetto di medio termine e una precisa linea sulla manovra di autunno, per finire agli enti locali, che lamentano anche la poca considerazione del loro contributo per favorire la ripresa economica ed il miglioramento della situazione della finanza pubblica.
Avverto una certa preoccupazione tra la gente del sud, preoccupazioni che originano da un lento allontanamento, un distacco graduale dell'esecutivo dal Mezzogiorno. È una preoccupazione supportata dai dati contenuti nel DPEF, in cui la spesa in conto capitale scende dal 45 per cento del totale al 41,1 per cento.
Un decremento che ritorna anche a livello di spesa ordinaria, soprattutto nel settore pubblico allargato (ANAS e Ferrovie), il cui livello di spesa si attesta sotto la soglia del 30 per cento del totale.
Non vi è traccia di interventi di carattere ordinario e, quando si rinvengono, si tratta di interventi con risorse straordinarie o comunitarie che invece dovrebbero avere carattere aggiuntivo e non sostitutivo. Per non parlare del capitolo infrastrutture, per le quali l'investimento complessivo previsto ammonta a 6,7 miliardi di euro finanziati esclusivamente dai Fondi strutturali e dal Fondo aree sottoutilizzate, che costituiscono il PON reti e mobilità.
Come hanno sottolineato le associazioni degli industriali, non ci sono indicazioni programmatiche relative né alla declinazione nel Mezzogiorno, del nuovo sistema di interventi di Industria 2015, né ad un più ampio ricorso alla fiscalità compensativa né, soprattutto, alcun accennoPag. 85al rafforzamento della presenza industriale ed allo sviluppo dell'occupazione nelle regioni meridionali.
Diciamo, e concludo, che l'unica vera nota positiva di questo DPEF è di aver ammesso la bontà delle scelte del precedente Governo e che la politica fiscale del centrodestra ha contribuito alla ripresa economica del Paese e ai vari tesoretti che sono emersi, nonostante quanto affermato del centrosinistra prima e dopo la campagna elettorale.
In definitiva, un DPEF poco coraggioso che mostra tutta l'impotenza del Governo Prodi, che rimanderà al futuro Governo l'onere di riequilibrare la finanza pubblica.