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TESTO AGGIORNATO AL 5 OTTOBRE 2007
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Progetto di riqualificazione e valorizzazione del comparto urbano di Parma costituito da piazza Ghiaia - n. 2-00764)
PRESIDENTE. La deputata Motta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00764, concernente il progetto di riqualificazione e valorizzazione del comparto urbano di Parma costituito da piazza Ghiaia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Danielle Mazzonis, ha facoltà di rispondere.
DANIELLE MAZZONIS, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, vorrei ricordare anzitutto che agli inizi del 2006 la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ha ricevuto, da parte del comune di Parma, un progetto di riqualificazione dell'area che prendeva in considerazione sia piazza Ghiaia, sia un'area più ampia comprendente via Romagnosi e l'adiacente Ponte Romano.
Considerata la contiguità di queste aree è stato sin dall'inizio chiesto all'amministrazione comunale di mantenere un'unitarietà nella progettazione, cogliendo così l'opportunità per procedere ad una serie di indagini archeologiche che servivano non solo a chiarire l'assetto del sottosuolo lungo il margine destro di via Romagnosi, ma anche a valorizzare la visibilità del Ponte Romano, al momento coperto da un muro di cemento.
L'intervento è stato dunque articolato in due lotti: la progettazione, infatti, èPag. 38stata portata avanti rapidamente per quanto riguarda via Romagnosi e il Ponte Romano, con molta più difficoltà per quanto attiene invece al mercato di piazza Ghiaia. Per quest'ultimo la proposta progettuale iniziale presentata dal comune prevedeva l'apertura nel piano di superficie di tre asole destinate a dare aria e luce a ben tre livelli sotterranei, di cui il primo sarebbe stato destinato a servizi commerciali, il secondo a funzioni di supporto agli stessi, infine il terzo a parcheggio interrato; il tutto sarebbe stato coperto da una tettoia in vetro e metallo.
Il progetto di piazza Ghiaia è stata trasmesso all'amministrazione centrale dei beni culturali dalla direzione regionale dell'Emilia-Romagna il 2 novembre 2006 ed è stato sottoposto all'esame del comitato tecnico per i beni architettonici e paesaggistici. Il comitato ha esaminato il progetto nella seduta del 14 novembre 2006.
Successivamente è stata sottolineata l'opportunità di verificare l'intera questione anche sotto il profilo etnoantropologico, trattandosi di una piazza di mercato, come afferma l'interpellante, che ha una lunghissima storia.
Il 27 dicembre 2006, la direzione regionale ha provveduto ad emanare il provvedimento di tutela dell'immobile denominato «sistema urbano di piazza Ghiaia», sito in Parma, piazza Ghiaia - sottopasso Ponte Romano - via Romagnoli, ai sensi degli articoli 10, commi 1 e 12, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Effettivamente, la competenza etnoantropologica è stata considerata rilevante. Il comitato tecnico scientifico a cui è stato sottoposto questo documento nella seduta del 21 marzo 2007 ha concluso il suo lavoro affermando che la questione deve essere esaminata in una seduta congiunta tra il comitato tecnico scientifico per i beni architettonici e paesaggistici e il comitato tecnico scientifico per il patrimonio artistico, storico ed etnoantropologico, per valutare insieme il progetto in questione.
I comitati si sono riuniti in seduta congiunta il 28 maggio 2007 e il 21 giugno 2007. Nel corso di tali riunioni, dopo ampia discussione, è stato affidato al professore Carlo Bertelli un sopralluogo con la richiesta di riferire ai comitati l'esito di tale sopralluogo. Il sopralluogo è stato effettuato il 27 giugno 2007.
I comitati tecnico scientifici si sono riuniti nuovamente in seduta congiunta, anche alla luce di tale sopralluogo, lo scorso 17 settembre, al fine di esprimere il parere sull'intera questione. Hanno valutato globalmente tanto gli aspetti architettonici quanto quelli etnoantropologici relativi a ciò che ormai viene denominato il sistema piazza della Ghiaia, considerando l'importanza della funzione mercatale che si è andata consolidando nell'arco di un millennio e rimettendo il parere definitivo ad una formalizzazione in tempi brevi, comunque entro e non oltre il 9 ottobre, data della riunione indetta con tutti i soggetti interessati.
PRESIDENTE. La deputata Motta ha facoltà di replicare.
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, apprezzo la ricostruzione puntuale di questa lunga vicenda svolta dalla sottosegretaria Mazzonis. Quanto alla risposta ai due quesiti che ho posto e sui quali ovviamente s'incentra maggiormente il mio interesse, premetto, sottosegretaria, che ho rinunciato all'illustrazione perché nell'interpellanza ho elencato una serie di fatti e mi sono astenuta dall'esprimere giudizi di merito, anche perché la vicenda è notissima ed è da lungo tempo all'attenzione mia, in particolare, ma anche del Ministero.
Ritornando ai quesiti, se non ho capito male lei, sottosegretaria, risponde in maniera precisa al primo quesito, ossia a quello nel quale chiedo se, in previsione dell'incontro del 9 ottobre prossimo, i pareri resi dai comitati tecnico scientifici potranno essere inoltrati tempestivamente e preventivamente alle competenti soprintendenze periferiche del Ministero per i beni e le attività culturali. Dalla sua risposta mi sembra di capire, anche se lei non ha citato espressamente le soprintendenze periferiche competenti del Ministero,Pag. 39che tali pareri verranno inoltrati non oltre il 9 ottobre; quindi, immagino intendesse dire che gli stessi saranno inoltrati alle competenti soprintendenze.
Quanto, invece, al secondo quesito, volto a conoscere quando il Governo ritenga che detti pareri possano essere considerati formalmente pubblici, quindi resi accessibili ai soggetti interessati (tra i quali vi è chi vi parla), lei non ha fornito una risposta esplicita; tuttavia, immagino che il riferimento a una data successiva al 9 ottobre possa essere considerato come termine ultimo e utile per portare i pareri a conoscenza di tutti i soggetti interessati al merito degli stessi.
Non voglio utilizzare tutto il tempo che ho a disposizione, ma tengo a ribadire alcune questioni affinché restino agli atti della Camera dei deputati. Da questo punto di vista posso considerarmi soddisfatta nel senso che, seppure non esplicitata pienamente, mi sembra che la risposta della sottosegretaria ai due quesiti che ho avanzato sia implicitamente affermativa.
Ciò che mi preme sottolineare, affinché rimanga agli atti della Camera, è che i quesiti che ho posto presentando l'interpellanza urgente non sono attinenti tanto al merito, sul quale effettivamente ci sarebbe moltissimo da discutere. Infatti, sottosegretaria, in questa vicenda si è verificato che di fatto vi sono due procedure di carattere tecnico-amministrativo «aperte»; quindi occorre soprattutto capire verso quale delle due (o verso quali procedure) s'intenderà procedere e perché.
La prima, quella autorizzativa, che è iniziata - come lei ricordava - nel 2006, prevedeva in base all'articolo 21 del codice dei beni culturali e del paesaggio (il cosiddetto codice Urbani) i pareri dei comitati tecnico scientifici competenti. Tale procedura si è conclusa - non voglio ripetere tutta la ricostruzione da lei fatta - per quanto riguarda i pareri dei comitati il 17 settembre in una seduta congiunta.
Come lei ricordava, nel parere si è tenuto conto del vincolo etnoantropologico. Tuttavia, vi è un aspetto che non è chiaro e per questo motivo è molto importante che i pareri siano messi a disposizione delle soprintendenze periferiche competenti in maniera estensiva. Dalle informazioni che ho desunto dalla stampa, ma che sono state rese anche da un'istituzione pubblica importante, ovvero dal comune nella persona del suo sindaco, emerge che, in accordo con il Ministero, non si farà più riferimento all'articolo 21, ma all'articolo 24 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Dunque, l'autorizzazione necessaria ai sensi dell'articolo 21 potrà essere espressa nell'ambito di accordi diretti tra il Ministero e il soggetto pubblico. Questo è sostanzialmente il cuore del problema che si affronterà nell'incontro del 9 ottobre.
Gli organi di stampa ci hanno inondato delle notizie più disparate, nel senso che l'amministrazione ha spostato diverse scadenze anche in ordine alla collaborazione e al pre-contratto concluso con l'ATI, che ha vinto il progetto di riqualificazione di piazza Ghiaia.
Al di là di ciò, vorrei capire - ma ciò si comprenderà il 9 ottobre - se si debba considerare estinto, ossia concluso, l'iter autorizzatorio (o autorizzativo) in base all'articolo 21 e se sia necessario aprirne sostanzialmente un altro: ciò sarebbe legittimo. Tuttavia, proprio per tale motivo, era assolutamente indispensabile - lo ribadisco e ringrazio la sottosegretaria Mazzonis di averci rassicurato sotto questo profilo - che il parere reso dai comitati tecnico scientifici fosse messo a disposizione delle soprintendenze periferiche. Queste ultime devono assolutamente conoscere le motivazioni sottostanti il parere per poter entrare nel merito della discussione, atteso che teoricamente si dovrebbe dare corso ad un altro procedimento, che però - penso - non può prescindere dal parere espresso dai comitati.
Ciò è ancora più indispensabile, in quanto in realtà il cuore del parere è già stato posto all'attenzione dell'opinione pubblica e dei soggetti interessati, sempre tramite notizie di stampa, quindi in modo non ufficiale. Tale contenuto è stato giàPag. 40esplicitato e anticipato da notizie di stampa, dalle quali si apprende anche che lo stesso è stato inoltrato al sindaco. Quindi sostanzialmente il cuore del parere emesso dai due comitati tecnico scientifici congiunti è già stato preannunciato.
Ciò che non era chiaro - ma ora lo è - è se il parere nella sua completezza possa essere reso pubblico e trasmesso alle sopraintendenze periferiche competenti prima del 9 ottobre, per consentire ai tecnici che dovranno discutere ed esprimersi sulla questione di conoscere compiutamente tutti gli aspetti problematici attinenti a tale progetto molto contrastato e complicato.
Alla fine, dopo il 9 ottobre, anche la sottoscritta potrà finalmente conoscere per esteso il parere: signora sottosegretaria, avevo chiesto di poter conoscere sostanzialmente il parere espresso a luglio dallo PSAE e quello emesso il 17 settembre dai due comitati congiunti; tali pareri, però, nonostante io abbia inoltrato richiesta formale, non mi sono stati forniti.
È chiaro che, in qualità di parlamentare, non voglio alcun privilegio e agisco nell'assoluto rispetto delle norme: anche al parlamentare, però, deve essere data certezza dei tempi. Perché questi pareri siano resi pubblici ed accessibili occorrono dieci, quindici, venticinque giorni dalla data in cui i comitati sono riuniti? Non mi è stato comunicato in modo preciso: apprendo da lei che dal 9 ottobre ciò sarà possibile e di questo, ovviamente, la ringrazio.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Franzoso n. 2-00691)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del presentatore e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Franzoso n. 2-00691, concernente tutela dei livelli occupazionali e condizioni di sicurezza presso l'aeroporto «Arlotta» di Grottaglie, è rinviato ad altra seduta.
(Richiesta di trasferimento di due magistrati della procura di Catanzaro - n. 2-00744)
PRESIDENTE. Il deputato Falomi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Migliore n. 2-00744, concernente la richiesta di trasferimento di due magistrati della procura di Catanzaro (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2), di cui è cofirmatario.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, l'interpellanza urgente è incentrata sulla richiesta di rendere pubblici tutti gli atti che hanno portato alla proposta di trasferimento del dottor Luigi De Magistris e del dottor Mariano Lombardi del tribunale di Catanzaro: rendere pubblici, cioè tutti gli elementi che hanno convinto il Ministero ad avviare l'ispezione sul tribunale di Catanzaro e sui magistrati e rendere pubblica la relazione conclusiva degli ispettori.
In questa vicenda riteniamo che la trasparenza massima sia il migliore antidoto al clima di sospetti e di dubbi che intorno alla stessa si è creato. Se si vogliono evitare dubbi e sospetti, non bisogna aver paura di rendere pubblici tutti gli atti: non bastano, infatti, i brandelli di informazione forniti al Parlamento fino a questo momento, né le anticipazioni di stampa incontrollate o, peggio ancora, interessate.
L'esigenza di una massima trasparenza dell'azione del Governo sul caso De Magistris scaturisce con forza dalla natura delle inchieste, che lo vedono impegnato.
Come è noto, sotto indagine vi sono persone che ricoprono rilevanti ruoli di potere nelle istituzioni, nella politica, nella pubblica amministrazione, nell'economia e nella finanza. Ritengo che la credibilità dell'operato del Governo e delle istituzioni si difenda solo sgombrando il campo dal sospetto che la richiesta di trasferimento sia stata motivata da ragioni politiche, ossia dal tentativo di «togliere di mezzo» un magistrato scomodo: ciò è possibile solo adottando la linea della massimaPag. 41trasparenza sull'operato del Ministero. Credo che nella trasparenza possano essere fornite risposte agli interrogativi presenti nell'opinione pubblica e nell'interpellanza del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, che oggi ho il compito di illustrare.
È necessario, innanzitutto, chiarire una questione: cosa ha convinto il Ministero a mandare gli ispettori al tribunale di Catanzaro?
A giudicare dalla lettura dei numerosi atti parlamentari dedicati alle vicende di tale tribunale, emerge che sono state le precise sollecitazioni di parlamentari ad aver mosso gli ispettori ministeriali. Soltanto in questa legislatura - ma numerose sono state le interrogazioni presentate in quella scorsa - vi sono state le interrogazioni del senatore Iannuzzi di Forza Italia, che chiedeva di indagare sul dottor De Magistris; dei senatori Centaro ed altri, che chiedeva di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del dottor De Magistris; dei senatori Palma e Biondi, che chiedevano l'adozione di provvedimenti d'urgenza nei confronti del pubblico ministero De Magistris.
Ovviamente, non è in questione il diritto-dovere dei parlamentari di svolgere la loro attività istituzionale in assoluta e totale libertà, né credo che in questa sede ci si possa soffermare più di tanto sulla curiosa circostanza politica che la richiesta di ispezioni, di censure e di sanzioni provenga soltanto da una stessa parte politica: il centrodestra, la Casa delle libertà.
In questione, invece, sono i criteri che il Ministero adotta nell'avviare l'ispezione. Tra le tante interrogazioni parlamentari che chiedono di attivare ispezioni - ve ne sono veramente tante e di tutti i tipi - come fa il Ministero a stabilire quali siano degne di avere un seguito e quali, invece, debbano essere cestinate e, tra quelle degne di avere un seguito, quali abbiano priorità sulle altre?
È chiaro che, se non si vuole dare adito a sospetti di ispezioni mosse da logiche politiche, occorre rispondere a questi interrogativi.
Vi è, ad esempio, un'interrogazione dei colleghi Mancini, Villetti e Buemi a proposito di comportamenti giudicati anomali del sostituto procuratore della procura di Matera, attraverso la quale si chiede l'avvio di un'attività ispettiva. Perché anche questa interrogazione non viene presa in considerazione? Vi è, cioè, il problema dei criteri che avviano il processo ispettivo.
Vi è poi una seconda questione su cui c'è bisogno della massima chiarezza, quella relativa al trasferimento del dottor De Magistris come misura cautelare motivata da ragioni di urgenza.
Come lei stesso, sottosegretario Li Gotti, ha ricordato al Senato il 21 febbraio scorso, nei confronti del dottor De Magistris il Ministero ha promosso due ispezioni: la prima promossa dal Ministro Castelli il 15 novembre 2005, la seconda attivata dal Ministro Mastella il 18 ottobre 2006.
Della prima non abbiamo avuto alcuna notizia, ossia non sappiamo quale fine abbia fatto, ma sarebbe interessante poterne leggere le risultanze. Della seconda, promossa dall'attuale Ministro della giustizia, sappiamo solo che la relazione conclusiva è stata depositata l'8 marzo 2007, cioè sette mesi fa.
La domanda è oggettiva: perché chiedere un provvedimento urgente dopo aver lasciato trascorrere ben sette mesi dalla conclusione dell'ispezione? Vi è una contraddizione evidente e sarebbe bene avere una risposta.
Vi è un'ulteriore questione, che credo meriti maggiore chiarezza e che la pubblicità della relazione ispettiva aiuterebbe a comprendere meglio. Un'agenzia ANSA del 24 settembre scorso riportava la notizia secondo la quale la relazione ispettiva, da cui è stata attivata la richiesta di trasferimento dei due magistrati di Catanzaro, avrebbe chiesto il trasferimento di cinque magistrati (due del tribunale di Catanzaro, il dottor De Magistris e il dottor Mariano Lombardi, e tre del tribunale di Potenza), ritenendo gravi le loro condotte.
Quali sono le ragioni che hanno spinto il Ministero a chiedere il trasferimento deiPag. 42soli magistrati di Catanzaro, a fronte di una richiesta che, secondo notizie di agenzia, avrebbe riguardato cinque magistrati (tre di Potenza e due di Catanzaro)? Credo che sia importante fornire una risposta a tale domanda.
Infine, chiedo se corrisponda al vero che il dottor Lombardi, capo della procura e del tribunale di Catanzaro, sarà collocato in pensione tra tre mesi. Chiedo se tale notizia risulti confermata. La questione che sorge è la seguente: qual è il senso di una richiesta di trasferimento nei confronti di una persona che fra tre mesi andrà in pensione? Non è una domanda peregrina: la risposta serve a chiarire la vera portata dell'iniziativa assunta dal Ministero.
Come si può constatare, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, ho posto molte domande, però esse hanno un solo obiettivo: non quello di prendere le parti di Tizio contro Caio, o viceversa, ma di rendere trasparente e comprensibile all'opinione pubblica tutto l'iter che ha portato alla richiesta di trasferimento. Infatti, consideriamo la massima trasparenza come condizione fondamentale per diradare il clima di sospetto che si è creato attorno a questa vicenda e per dare una credibilità forte alle nostre istituzioni.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ho colto lo spirito dell'interpellanza e cercherò di essere esauriente, anche attraverso una ricostruzione cronologica degli avvenimenti.
Peraltro, si deve puntualizzare che il 26 settembre del 2007 il Ministro, in occasione della risposta a due interrogazioni a risposta immediata, ha già posto in luce le ragioni che lo hanno indotto a chiedere al CSM il trasferimento in via cautelare del procuratore della Repubblica di Catanzaro, dottor Mariano Lombardi, e del sostituto procuratore, dottor Luigi De Magistris.
Pare comunque opportuno inquadrare la materia oggetto dell'odierna interpellanza attraverso una sommaria ricostruzione cronologica.
La procura della Repubblica di Catanzaro è stata oggetto di plurimi rapporti ispettivi, a seguito di plurime segnalazioni che muovevano censure all'attività professionale di magistrati di detta procura. Una prima relazione, depositata il 12 ottobre 2005, evidenziava profili di irregolarità nella gestione dell'ufficio giudiziario e aspetti di conflittualità nei rapporti interpersonali tra i magistrati stessi. In detta relazione ispettiva, considerate le segnalazioni, le interrogazioni parlamentari e gli esposti pervenuti frattanto nei confronti del dottor De Magistris, l'ispettorato proponeva che venisse disposta un'autonoma indagine nei confronti dello stesso per poter verificare e valutare i fatti denunciati, segnatamente quelli rappresentati nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-09170 del 25 luglio 2005 del senatore Bucciero.
Il Ministro della giustizia, il 15 novembre 2005, disponeva un'apposita inchiesta amministrativa. Nel corso dell'attività ispettiva, il 12 ottobre 2006 sopravveniva l'interpellanza n. 2-00072 del senatore Centaro, con cui si segnalavano ulteriori irregolarità.
Il Ministro della giustizia il 18 ottobre 2006 disponeva quindi un'estensione dell'inchiesta in corso, con riguardo alle vicende riportate nell'interpellanza del senatore Centaro. Questa inchiesta amministrativa si concludeva l'8 marzo 2007 e gli atti venivano trasmessi alla direzione generale magistrati del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria per le valutazioni di competenza e per la formulazione delle conseguenti proposte al Ministro.
Il successivo 2 aprile 2007 il Ministro della giustizia disponeva accertamenti preliminari a seguito della pubblicazione di articoli di stampa su talune iniziative assunte nei confronti del dottor De Magistris da parte del dottor Mariano Lombardi, procuratore della Repubblica di Catanzaro. In particolare, risultava che al dottor De Magistris fosse stata revocata la delegaPag. 43relativa all'inchiesta denominata «Poseidone», concernente presunti illeciti nella gestione dei finanziamenti dell'Unione europea nel settore della depurazione in Calabria.
A seguito degli accertamenti preliminari, il Ministro ha disposto, il 17 maggio 2007, un'inchiesta amministrativa con estensione in data 30 maggio. Dal complesso delle inchieste amministrative e dei fatti accertati anche nel corso di procedure azionate da altri organi titolari del potere di iniziativa disciplinare - mi riferisco alla procura generale della suprema Corte di cassazione - e comunicati ritualmente agli uffici, sono state evidenziate gravi irregolarità nella gestione di alcuni procedimenti penali assegnati al dottor De Magistris.
In particolare, tali irregolarità hanno avuto effetti negativi sul procedimento denominato «Toghe lucane», al dottor De Magistris coassegnato. Sono state rilevate, in primo luogo, gravi anomalie del decreto di perquisizione del 5 giugno 2007 emesso nei confronti del dottor Tufano, procuratore generale presso la Corte di appello di Potenza, eseguito il 7 giugno 2007 ed annullato dal tribunale del riesame il 3 luglio 2007.
In particolare, è emersa la non pertinenza della motivazione del suddetto decreto laddove vengono richiamati procedimenti penali sforniti di attinenze ai reati ipotizzati, con conseguente illegittima diffusione dei relativi atti di indagine e violazione del diritto alla riservatezza di persone completamente estranee ai fatti e, tuttavia, impropriamente citate per circostanze del tutto indifferenti ai fini della motivazione dell'atto. È altresì emersa la violazione del dovere di preventiva informazione nei confronti del procuratore della Repubblica, capo dell'ufficio e codelegato alla trattazione del procedimento.
Nell'ambito di altri procedimenti penali, inoltre, sono state rilevate l'omissione della richiesta di convalida di un provvedimento di fermo nei confronti di più indagati, nonché l'adozione di un decreto di perquisizione anch'esso in violazione del dovere di informazione verso il capo dell'ufficio.
Sono state rilevate, inoltre, analoghe anomalie nella gestione di altro delicato procedimento penale a lui coassegnato, il procedimento «Poseidone», ove il magistrato ha omesso di iscrivere nel registro degli indagati i nominativi di un generale della Guardia di finanza e di un parlamentare, nonostante il compimento di atti di indagine nei loro confronti, e non ha informato gli altri magistrati coassegnatari in merito alle iniziative assunte.
Il dottor De Magistris, inoltre, benché non più legittimato a procedere, poiché era intervenuta la revoca della codelega (mi riferisco sempre al processo «Poseidone»), compiva un ulteriore ed importante atto del procedimento, disponendo la trasmissione degli atti ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno, sottraendone così la disponibilità ai magistrati coassegnatari.
Le reiterate violazioni del dovere di preventiva informazione verso il capo dell'ufficio evidenziavano, d'altro canto, una situazione di obiettiva e grave incompatibilità nei rapporti tra procuratore e sostituto. È emerso ancora un rapporto ritenuto scorretto con gli organi di stampa, avendo il dottor De Magistris reso un'intervista al quotidiano il Giornale, avente per contenuto fatti oggetto di indagini in corso.
Il concreto comportamento del dottor De Magistris, così come è emerso dalle risultanze ispettive, ha indotto quindi il Ministro, in sintonia con quanto prospettato dagli uffici tecnici del Ministero, a ritenere sussistenti i presupposti per attivare la procedura di incompatibilità ambientale e funzionale.
In particolare, le ragioni dell'urgenza sono connesse alla reiterazione e alla gravità delle violazioni rilevate nella gestione di delicati procedimenti penali e, conseguentemente, alla necessità di provvedere tempestivamente a porre rimedio a tale situazione.Pag. 44
Per tali motivi, il Ministro ha ritenuto che il predetto magistrato non possa continuare ad esercitare le funzioni giudiziarie requirenti presso la sede di Catanzaro con il dovuto prestigio e con la necessaria trasparenza.
Va sottolineato, peraltro, che l'intero sistema disciplinare e paradisciplinare è stato oggetto di profonde riforme a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 109 del 2006. L'articolo 13 non contempla più il potere del Consiglio superiore della magistratura di disporre il trasferimento d'ufficio di un magistrato per incompatibilità ambientale indipendentemente dall'esercizio di un'azione disciplinare, così com'era previsto dall'articolo 2 della legge sulle guarentigie, ed affida, invece, al Ministro della giustizia la responsabilità di tale iniziativa, nei casi di urgenza, in connessione con l'esistenza di un procedimento disciplinare da lui promosso. Conseguentemente, il nuovo sistema sarebbe vanificato se il Ministro, in presenza delle condizioni previste dalla normativa, non esercitasse tempestivamente i poteri attribuitigli dalla legge.
Pertanto, così come già in altri cinque casi in cui il Ministro ha avanzato al CSM richiesta di trasferimento di magistrati, si giustifica la preoccupazione che condotte di gestione anomala e individualistica di procedimenti delicatissimi e rapporti scorretti con la stampa possano gravemente compromettere, anche con effetti sulle inchieste in corso, sia l'efficienza sia l'immagine della procura di Catanzaro.
Con specifico riferimento alla posizione del dottor Lombardi, si comunica che a carico del medesimo il procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione ha promosso un'azione disciplinare per una serie di anomalie emerse nella gestione della procura della Repubblica di Catanzaro, essendo incorso il dottor Lombardi, nella sua qualità di procuratore della Repubblica, in gravi violazioni di legge, nonché nella reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari e delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dal CSM e dal consiglio giudiziario della corte di appello di Catanzaro.
Le violazioni riscontrate dall'ispettorato generale del Ministero mettono in luce una persistente negligenza nella gestione dell'ufficio cui il magistrato è preposto, con effetti negativi sull'attività della procura della Repubblica e, in particolare, sulla gestione del procedimento denominato «Toghe lucane», a lui coassegnato.
In particolare, il dottor Lombardi, nonostante la codelega, ha omesso di interessarsi delle relative indagini, di fatto svolte esclusivamente dal dottor De Magistris, e conseguentemente di segnalare agli organi competenti condotte, pur disciplinarmente apprezzabili, del sostituto coassegnatario, nei confronti del quale non esercitava adeguatamente il proprio dovere di vigilanza.
Il concreto comportamento del capo dell'ufficio, che ha manifestato una grave e obiettiva incompatibilità nei rapporti con il dottor De Magistris, ha fatto, quindi, ritenere sussistenti i presupposti per l'attivazione della procedura di incompatibilità ambientale e funzionale.
Infatti, le delicate funzioni assegnate al procuratore e la visibilità derivante proprio dall'incarico ricoperto, soprattutto ove si consideri che si tratta della direzione di un ufficio sito in un territorio nel quale gravitano numerosi soggetti di elevato spessore criminale, contrastano con la propensione rivelata dal magistrato ad essere del tutto inerte e a non intervenire, in particolare, quale capo dell'ufficio e coassegnatario in un procedimento di rilievo per la veste pubblica dei destinatari e per i dirompenti effetti che si sarebbero poi verificati.
Le ragioni dell'urgenza sono connesse alle anzidette funzioni di capo dell'ufficio e, conseguentemente, alla necessità di provvedere tempestivamente a porre rimedio a tale situazione. Né può assumere alcun rilievo la prossimità del collocamento a riposo del magistrato, quando, come nel caso del dottor lombardi, siano appunto gravi e reiterate le anomalie riscontrate e influenti sul buon andamento dell'ufficio da lui diretto.
Per tali motivi il Ministro ha ritenuto che il magistrato non possa continuare adPag. 45esercitare le funzioni giudiziarie requirenti, né a permanere nella sede di Catanzaro con il dovuto prestigio e la necessaria trasparenza.
Per completezza di informazione, deve infine osservarsi che non è esatta l'affermazione degli interroganti secondo cui il Ministro della giustizia avrebbe accolto soltanto in parte le richieste di trasferimento formulate dagli ispettori, giacché alcune posizioni sono ancora oggetto di valutazione da parte del Ministro.
Si precisa, infine, che il Ministro della giustizia, nelle iniziative che ha assunto, non è stato mosso da alcuna volontà di interferenza con l'autonomo potere giudiziario bensì, al contrario, da una seria preoccupazione relativa al corretto funzionamento della procura di Catanzaro, preoccupazione che lo ha indotto ad attivare le iniziative di carattere cautelare che la legge gli attribuisce.
Va chiarito, infine, che la relazione ispettiva depositata all'esito dell'inchiesta amministrativa da cui sono emerse le rilevate anomalie è un atto, allo stato, non ostensibile, trattandosi di documento attualmente al vaglio del Consiglio superiore della magistratura.
PRESIDENTE. Il deputato Falomi ha facoltà di replicare.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, mi ritengo solo parzialmente soddisfatto, perché molte delle questioni testé illustrate dal sottosegretario Li Gotti hanno già formato oggetto di risposta da parte del Governo in altre occasioni. Se si considerano i resoconti stenografici di altri momenti parlamentari di confronto sulla stessa materia tra Parlamento e Governo in occasione dello svolgimento di atti di sindacato ispettivo, ci si accorge che sono tutti discorsi già fatti.
Prendo atto che, in realtà, è stata data risposta solo ad alcune delle richieste già avanzate con l'interrogazione in esame; ne avevo infatti formulate sostanzialmente cinque: quella relativa alla pubblicità della relazione degli ispettori (e degli atti che hanno motivato l'ispezione); quella che riguarda i criteri utilizzati dal Ministero nell'utilizzazione di segnalazioni, esposti o articoli di giornale in base ai quali, successivamente, vengono promosse le ispezioni (vi deve pur essere, infatti, un criterio di oggettività e di priorità); quella riguardante la questione dell'urgenza; quella relativa ai motivi in base ai quali si è proceduto alla richiesta di trasferimento soltanto per due magistrati, sebbene le richieste degli ispettori fossero riferite a cinque di essi; infine, la richiesta relativa al significato del trasferimento di un magistrato sul punto di essere collocato a riposo.
Ad alcune di queste domande, in realtà, ho ricevuto delle risposte, sebbene (lo dico subito) non tutte soddisfacenti. Prendo atto delle risposte che mi sono state date, del fatto che, se non ho capito male, con riferimento al collocamento a riposo vi sarebbe un giudizio di irrilevanza rispetto alle questioni che sono al centro della vicenda. Prendo atto, altresì, di quanto affermato in questa Assemblea dal sottosegretario Li Gotti in relazione agli altri tre magistrati della procura di Potenza, su cui il Ministro sta ancora compiendo delle valutazioni.
Non ho ricevuto risposta sulla questione dell'urgenza. Se la questione fosse stata talmente urgente, francamente i sette mesi che si sono fatti trascorrere dal deposito della relazione degli ispettori mi sembrano un tempo eccessivamente lungo, perché soltanto un provvedimento chiesto immediatamente, dopo una valutazione rapida della relazione degli ispettori, avrebbe dato senso alla richiesta d'urgenza. Invece, francamente, trovo contraddittorio lasciar trascorrere sette mesi e chiedere successivamente interventi d'urgenza.
Allo stesso modo, non ho ricevuto alcuna risposta sul tema relativo alle modalità con cui il Ministero attiva le ispezioni ministeriali. Lei conosce - per averlo sicuramente seguito - il dibattito svoltosi, nella scorsa legislatura, sulla riforma dell'ordinamento giudiziario in relazione anPag. 46che a tale tematica e ricorderà come settori del centrosinistra si siano opposti a tale tipo di procedura.
Certo tale procedura adesso esiste, ma forse, proprio per le ragioni di quella opposizione, andrebbe utilizzata con maggiore prudenza ed equilibrio, e con una migliore valutazione dei vari aspetti. In assenza, però, di chiari criteri attraverso cui il Ministero deve agire per potere avviare le ispezioni, il rischio è che poi le logiche siano veramente di tipo politico. Sono decine le interrogazioni parlamentari che chiedono al Governo ispezioni nei riguardi di questo o quel tribunale ma l'ispezione presso il tribunale di Catanzaro si è mossa con una singolare velocità; si deve sottolineare tale circostanza in ordine alla quale, invero, non ho avuto risposta.
Quanto alla pubblicità della relazione, lei, signor sottosegretario, mi ha risposto che non si tratta di un atto ostensibile dal momento che è in corso una decisione del Consiglio superiore della magistratura. Non so a quale norma di legge faccia riferimento tale orientamento circa la non ostensibilità e la non pubblicabilità delle relazioni degli ispettori; non lo so, e forse sarebbe meglio precisarlo. A fronte, tuttavia, del fatto che frammenti di relazione escono, virgolettati, su tutti i giornali e sulle agenzie di stampa, non sarebbe meglio rendere tutto pubblico in modo che tutto sia trasparente?
Tale modalità di intervento nel procedimento alimenta molti sospetti. Il senso del nostro intervento è esattamente quello di dare la massima pubblicità. Infatti, se non esistono ostacoli legislativi che impediscono la pubblicità degli atti, si dovrebbe insistere ancora su questo punto nevralgico. Servirebbe a chiarire come ci si è attivati, chi è intervenuto, come e quali siano state le risultanze concrete in modo che anche l'opinione pubblica possa esprimere un suo giudizio. Soprattutto, è importante che possa farlo il Parlamento italiano, sempre costretto a giocare di rimessa sulle parti di relazione che escono sui giornali e sulle agenzie, senza avere mai il quadro preciso delle questioni da esaminare.
Per tale motivo non posso dichiararmi soddisfatto delle risposte; ne ho avuta qualcuna, ma molte altre sono rimaste inevase.
(Iniziative ispettive in relazione al provvedimento di concessione degli arresti domiciliari al signor Marco Ahmetovic - n. 2-00747)
PRESIDENTE. La deputata Carlucci ha facoltà di illustrare l'interpellanza Leone n. 2-00747, concernente iniziative ispettive in relazione al provvedimento di concessione degli arresti domiciliari al signor Marco Ahmetovic (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmataria.
GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, l'interpellanza a mia firma è stata scritta il 19 settembre sull'onda dello sconcerto e dello stupore provocati dalla notizia della scarcerazione di Ahmetovic che - vi ricordo - qualche mese prima, guidando un suo sgangherato furgoncino a centoventi chilometri orari, di notte, ubriaco, aveva ucciso quattro ragazzi che tornavano dall'aver comprato il gelato.
Sull'onda di questa emozione decido di scrivere, insieme ad altri colleghi, l'interpellanza in oggetto, ma devo dire che l'emergenza e la costernazione sono quotidiane perché - guarda caso - è proprio di ieri la notizia del brigatista Piancone che ha partecipato ad una rapina essendo stato scarcerato o comunque trovandosi nella possibilità di uscire dal carcere (peraltro era stato condannato all'ergastolo). Di conseguenza - ripeto - la quotidianità di tali notizie ci porta a dimenticare che ogni giorno stampa e telegiornali diffondono dei veri e propri bollettini di guerra.
Quindi Ahmetovic, dopo aver ucciso questi quattro ragazzi, viene scarcerato e gli vengono riconosciuti gli arresti domiciliari che sconta in un residence a San Benedetto del Tronto. Il giovane delinquente ha ottenuto gli arresti domiciliari grazie alla confessione di una precedentePag. 47rapina avvenuta in un ufficio postale di un paese limitrofo per la quale è stato raggiunto in carcere da un ordine di arresto.
Nonostante il parere contrario della procura, quindi, il GIP del tribunale di Ascoli, Annalisa Gianfelice, ha concesso una misura detentiva diversa. Per evitare possibili tentativi di fuga da parte dell'imputato la procura della Repubblica ha disposto una sorveglianza massiccia attorno a tale residence.
Mi viene in mente che il Governo, proprio perché si tratta di un'emergenza continua, sbandiera tutti giorni la certezza della pena mentre poi, nell'amministrazione quotidiana della pena, lascia correre.
Secondo notizie provenienti dalla procura la prossima udienza si terrà domani ed è probabile che lo stesso giorno il giudice pronuncerà la sentenza, che non potrà essere inferiore ai quattro anni, e quindi Ahmetovic tornerà in carcere, dove avrebbe potuto tranquillamente rimanere per tutto questo periodo. Non dimentichiamo - ripeto - che nel bollettino quotidiano di guerra figurano omicidi - quello di Sanremo o quello dei coniugi trevigiani - compiuti da persone uscite dal carcere ma in attesa di farvi ritorno nelle more della sentenza definitiva ovvero di un giudizio definitivo.
Nei giorni scorsi il Ministro dell'interno, dottor Giuliano Amato, ha sollevato il problema di una possibile deriva autoritaria del Paese a causa del crescente allarme sociale dovuto alle attività illecite e criminali dei clandestini - e non solo - e tale allarme oggettivamente è accresciuto dai comportamenti di magistrati come Annalisa Gianfelice, che da sola rende invisa ai cittadini l'intera magistratura.
Ma vorrei anche aggiungere che il Ministro, sempre il Ministro Amato, ha sentenziato proprio in questi giorni, credo proprio oggi, che i giudici devono essere consapevoli di esercitare una responsabilità enorme (questo lo sapevamo anche noi, non c'era bisogno che ce lo dicesse Amato). Quanto noi vorremmo capire a questo punto, e che anche i cittadini vorrebbero capire, è se i giudici hanno la preparazione, la mentalità, l'esperienza necessarie per essere davvero responsabili.
Giungo così alle domande che riguardano il giudice in questione, Annalisa Gianfelice: anzitutto, chiedo quale sia il costo complessivo della massiccia sorveglianza disposta presso l'appartamento in cui Marco Ahmetovic si trova tuttora agli arresti domiciliari; quindi, se la dottoressa Gianfelice possa disporre così liberamente delle risorse, peraltro scarse, del Ministero della giustizia in favore di un imputato che dovrà tornare in carcere, e anche avverso il parere della procura; infine, se non si ritenga opportuno avviare un'ispezione sul funzionamento del tribunale di Ascoli e se non si ritenga opportuno invitare il Consiglio superiore della magistratura a predisporre una direttiva che imponga ai magistrati un'interpretazione più restrittiva delle norme che sanzionano comportamenti di elevato allarme sociale.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ovviamente nel rispondere all'interpellanza vertente su questo caso, devo richiamare la dovuta attenzione sulla differenza che esiste nel nostro Paese, ma anche in altri, tra pena e misura cautelare, nel senso che sono due istituti diversi, regolati da regimi diversi.
Le informazioni che sono a noi pervenute - trasmesse dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dal tribunale di Ascoli Piceno e dalla procura della Repubblica presso il tribunale, nonché dal Ministero dell'interno - mettono in evidenza che Marco Ahmetovic, nato a Caserta il 25 aprile 1985, è stato arrestato il 24 aprile 2007 e successivamente condotto in stato di custodia cautelare presso la casa circondariale di Ascoli Piceno su ordinanza del GIP di Ascoli Piceno, emessa nell'ambito del procedimento penale n. 1326 del 2007 per reati commessi in Appignano del Tronto il 23 aprile.Pag. 48
In data 14 settembre 2007, mentre l'Ahmetovic si trovava già in carcere, gli è stata notificata l'ordinanza di custodia in carcere emessa dal GIP nell'ambito del procedimento penale n. 1158 del 2007, aperto nei suoi confronti per i reati di tentata rapina, ricettazione e violazione della legge sulle armi commessi il 10 novembre 2006 in località Malignano in concorso con altri soggetti.
Il 17 settembre 2007 l'Ahmetovic è stato dimesso dal carcere di Ascoli Piceno per essere ristretto agli arresti domiciliari in un appartamento ubicato in un residence sito in San Benedetto del Tronto.
Più nello specifico, deve dirsi che il detenuto era stato arrestato dai carabinieri per i reati di omicidio colposo plurimo, resistenza a pubblico ufficiale e guida in stato di ebbrezza e quindi sottoposto alla misura cautelare su ordinanza emessa dal GIP, dottoressa Annalisa Gianfelice.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 15,55)
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il 14 giugno successivo il medesimo GIP ha respinto l'istanza di sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari e ha motivato il provvedimento di rigetto rilevando che «non emergono fatti o circostanze tali da far ritenere che siano venute meno o che siano attenuate le esigenze cautelari poste a fondamento dell'ordinanza del 26 aprile 2007 applicativa della custodia cautelare in carcere».
Durante il periodo di restrizione cautelare in carcere, all'Ahmetovic è stata notificata la successiva ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP, dottoressa Gianfelice, per concorso nei reati di tentata rapina per i fatti del 10 novembre 2006 in località Malignano.
Il 17 settembre 2007 il GIP, su istanza della difesa dell'imputato, ha sostituito la misura della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. Nel motivare la sostituzione della misura, il GIP ha tenuto conto del periodo di carcerazione sofferto dall'imputato e dell'atteggiamento collaborativo da lui tenuto nell'interrogatorio, nel corso del quale vi era stata un'ampia ammissione degli addebiti e l'indicazione del nome dei complici. Le esigenze cautelari, pertanto, sebbene ancora esistenti, sono state valutate dal GIP come «affievolite» e come tali contenibili con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari.
Sempre nella medesima data del 17 settembre 2007, il tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica nella persona del giudice dottor Marco Bartoli, si è pronunziato sulla istanza avanzata dalla difesa dell'Ahmetovic nell'ambito del procedimento penale n. 1326 del 2007 per i fatti commessi in Appignano (configurati quali omicidio plurimo colposo) e, su parere favorevole della pubblica accusa, ha sostituito, per l'Ahmetovic, la custodia in carcere con gli arresti domiciliari. Nel suo provvedimento il tribunale ha ritenuto l'adeguatezza della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, ponendo in luce: in primo luogo, lo stato di incensuratezza dell'imputato, allo stato non ancora gravato da condanne definitive; quindi, la natura colposa del reato di omicidio contestato; infine, la non attualità del pericolo di fuga, da ritenersi non più «ragionevolmente probabile» alla luce dell'idoneità del domicilio indicato dall'Ahmetovic come luogo di restrizione domiciliare.
Tanto premesso, non si ritiene che la vicenda in esame si presti ad ambiguità ed incertezze, poichè in tutti i provvedimenti destinati a incidere sullo status libertatis dell'Ahmetovic, l'autorità giudiziaria ha indicato circostanze di fatto e motivazioni di diritto poste a fondamento delle proprie decisioni. È di tutta evidenza, quindi, che le doglianze in questione appaiono inquadrabili nel merito dell'attività giurisdizionale e, come tali, sottratte al sindacato amministrativo ove, come nel caso di specie, non emergano, prima facie, elementi di abnormità. Le valutazioni decisionali esplicitate nei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, invero, possono essere confutate ricorrendo ai rimedi processuali prePag. 49disposti all'uopo dall'ordinamento e non possono, ma soprattutto non devono, essere oggetto di verifica ministeriale, ancorché di natura disciplinare, se non appaiono abnormi sul piano deontologico.
Per quanto riguarda, poi, i controlli disposti sia dall'Arma dei carabinieri che dalla Polizia di Stato per garantire la sorveglianza presso l'abitazione dell'Ahmetovic, occorre sottolineare che si tratta di controlli normalmente previsti per le persone in regime di detenzione domiciliare e che la maggiore sorveglianza predisposta in occasione della manifestazione di protesta posta in essere dai familiari dei giovani deceduti è stata necessitata da ragioni di ordine pubblico e, come tale, è stata disposta in totale autonomia dall'autorità di pubblica sicurezza. Pertanto, così come rappresentato dalla prefettura di Ascoli Piceno, i servizi svolti a San Benedetto del Tronto sono stati effettuati nel normale svolgimento delle attività di istituto, e non hanno determinato alcun costo aggiuntivo oltre all'indennità di ordine pubblico corrisposta nella misura di 13 euro giornaliere lorde per il personale in sede e di 18,20 euro per il personale fuori sede.
PRESIDENTE. L'onorevole Carlucci ha facoltà di replicare.
GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, naturalmente non mi posso dichiarare soddisfatta. La sua risposta è tecnicamente perfetta, anche se devo osservare che durante il processo il tribunale fu blindato, a spese dei contribuenti, in quanto non solo i parenti delle vittime, ma una folla impressionante lo avevano circondato, proprio perché avrebbero voluto fare qualcosa a questo Ahmetovic. Si tratta di soldi dei contribuenti, e nel momento in cui si parla di tagli ai costi inutili, mi domando perché una persona che avrebbe potuto tranquillamente stare in galera si trovi invece in un residence ed è guardato a vista per paura non che scappi, ma che qualcuno gli possa far del male.
Dunque, la risposta è tecnicamente perfetta, così come sono tecnicamente perfetti i provvedimenti di scarcerazione: è infatti evidente che se queste persone escono dopo pochi giorni lo fanno in base alla legge. Quel che però trovo pericolosissima è questa cultura del perdonismo e questo diffuso buonismo che la sinistra predica: mischiati insieme, infatti, producono una miscela esplosiva, che esplode purtroppo in faccia al cittadino.
Ripeto che, se non si troverà un rimedio per queste sentenze o per queste risposte tecnicamente perfette, le parole del Ministro Amato, che ha affermato che bisogna stare attenti a una deriva pericolosissima, avranno purtroppo un riscontro, poiché la gente è stufa Ho preparato una piccola rassegna stampa degli ultimi tre mesi sui fatti di sangue e i crimini commessi da persone che erano uscite dal carcere con facilità, grazie a provvedimenti di perdono. Dobbiamo dunque mettervi sull'avviso: questo è quel che accadrà, perché la gente è stufa di vedere che persone che hanno commesso omicidi sono fuori dal carcere dopo pochi giorni in virtù di provvedimenti tecnicamente perfetti.
(Iniziative per garantire il pieno rispetto dei diritti dei fanciulli in tema di affido con particolare riguardo alle convenzioni internazionali - n. 2-00765)
PRESIDENTE. L'onorevole Balducci ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00765, concernente iniziative per garantire il pieno rispetto dei diritti dei fanciulli in tema di affido con particolare riguardo alle convenzioni internazionali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, svolgo anzitutto una breve premessa. Ai sensi della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, gli Stati firmatari si impegnano a garantire ad ogni bambino il godimento dei diritti previsti dal trattato, senza alcuna forma di discriminazione. In tale Convenzione - ed è questo il punto importante - si evidenziaPag. 50il superiore interesse del minore, che deve costituire la priorità in ogni provvedimento a lui relativo, anche attraverso il suo ascolto in quegli aspetti della vita che lo riguardino. Viene infatti stabilito dall'articolo 3, I parte, della Convenzione, che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione». Nella stessa linea logica si colloca anche - non ne cito il testo - l'articolo 12, I parte, della Convenzione, commi 1 e 2. Tali principi sono stati sostanzialmente ribaditi nella Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996. La portata della citata normativa dovrebbe comportare una chiara gerarchia degli interessi da tutelare, con particolare riguardo alla salvaguardia dell'equilibrio psichico del minore ed al suo mantenimento, nei limiti del possibile, all'interno della famiglia d'origine.
Vengo così al caso che ha determinato la presentazione di questa interpellanza: si tratta del caso drammatico - di cui si è ampiamente dato conto nella stampa nazionale e regionale - di due minori, figli della signora Cicioni, la quale, in data 24 maggio 2007, veniva trovata morta in circostanze ancora da chiarire. Dopo alcuni giorni dal fatto, veniva disposto l'arresto del coniuge, e, a seguito di ciò, i figli venivano affidati informalmente alla nonna materna Simonetta Sangallo. Dopo quasi un mese di amorevoli cure da parte dei nonni materni, il tribunale per i minorenni disponeva il collocamento dei minori presso una struttura in Passignano sul Trasimeno.
Con tale provvedimento, il tribunale per i minorenni riconosceva piena facoltà alla nonna di vedere i nipoti, al fine di assicurare la sua presenza in modo continuativo. Fin dall'inizio, però, ella incontrava crescenti difficoltà nel contattare e visitare i nipoti presso le strutture affidatarie. Voglio aggiungere che in tale vicenda i minori sono vittime innocenti, perché hanno una mamma morta a seguito di un omicidio ed il padre indagato per il reato di omicidio.
All'udienza del 20 luglio 2007 la nonna avanzava istanza di affidamento dei minori, evidenziando la necessità di un rapido ritorno in famiglia dei nipoti, al fine di contrastare i traumi del distacco dagli affetti più cari. Occorre rilevare che proprio una consulenza tecnica disposta dal tribunale evidenziava, in data 7 agosto 2007, come l'unica soluzione - questo è un punto importante - fosse quella di una collocazione dei minori presso la nonna materna, mantenendo l'affidamento ai servizi sociali. Il tribunale per i minori di Perugia, in data 31 agosto 2007, confermava però l'affidamento ai servizi sociali dei due bambini e allo stesso tempo rivedeva la facoltà di visita dei parenti, con ulteriore restringimento della facoltà di visita della nonna materna. Successivamente, in data 17 dicembre 2007, il tribunale per i minori di Perugia, sulla base di una nota del procuratore della Repubblica, che segnalava genericamente forti pressioni sui minori da parte dei tre nuclei familiari, disponeva con effetto immediato (fino all'espletamento dell'incidente probatorio) la sospensione di ogni facoltà di visita o di contatto telefonico dei minori con i nonni materni e i parenti paterni.
Come si intuisce, senza entrare nel merito delle decisioni della magistratura nel caso di specie, emerge comunque un problema di necessaria tutela dell'interesse alla stabilità affettiva dei minori, i quali, a nostro avviso, dovrebbero essere salvaguardati, in modo da tener conto anche dei loro legittimi desideri di ritorno nella famiglia. Appare necessario assicurare - tenuto conto delle rispettive inclinazioni e delle aspirazioni, nonché della residenza affettiva, quale luogo cui il minore è più legato - il diritto dei minori ad intrattenere sempre relazioni familiari idonee a consentire un armonioso sviluppo educativo ed affettivo. L'interesse del minore deve essere necessariamente valutato in rapporto alle relazioni interpersonali tra lo stesso e i genitori (o, nel caso di specie,Pag. 51i nonni). Tali relazioni comprendono un insieme di investimenti affettivi prioritari per lo sviluppo psichico-emotivo.
Appare chiara quindi, nel caso in esame come in altri analoghi, la difficoltà di un recupero psicologico-evolutivo dei bambini, tenuto conto della sospensione della facoltà di visita, con delega al servizio sanitario di curare per il momento soltanto dei prudenti contatti indiretti con i parenti, così da riallacciare i rapporti diretti solo dopo l'espletamento dell'incidente probatorio. Non pare dunque agli interpellanti che le esigenze investigative, cui fanno riferimento gli organi inquirenti, possano avere assoluta prevalenza rispetto agli interessi dei minori con riguardo alle decisioni sul loro affidamento.
In conclusione, chiedo al Governo quali iniziative intenda intraprendere secondo le rispettive competenze - l'interpellanza è infatti rivolta anche al Ministero delle politiche per la famiglia - per assicurare, da parte del tribunale per i minori e, in generale, da parte dei servizi sociali, il pieno rispetto dei diritti del fanciullo in tema di affido, con particolare riguardo alle richiamate convenzioni internazionali.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la vicenda sottoposta all'attenzione del Ministro è di estrema delicatezza e drammaticità e richiede una necessaria, umana attenzione ed ogni possibile forma di solidarietà nei confronti dei minori coinvolti nella tragedia verificatasi nella loro famiglia.
Proprio la delicatezza del caso mi consiglia rispetto e considerazione per i protagonisti innocenti, ma anche per la difficilissima opera di protezione e sostegno cui è chiamata la magistratura minorile.
Nel merito, secondo quando comunicato dagli uffici giudiziari interessati, risulta che nella serata del 24 maggio 2007 la signora B.C. venne rinvenuta cadavere nella sua casa di Compignano di Marsciano. Le indagini, svolte dalla procura della Repubblica di Perugia, provocarono l'apertura del procedimento n. 4394, nell'ambito del quale il signor S.R., marito della persona deceduta, veniva attinto da un'ordinanza di custodia cautelare con l'accusa di omicidio e di maltrattamenti in danno sia della moglie, sia dei due figli rispettivamente di 8 e 4 anni.
Su richiesta della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Perugia quest'ultimo, con decreto del 31 maggio 2007, disponeva l'immediato affidamento dei bambini ai nonni materni, incaricando i servizi sociali del comune di Marsciano di svolgere accertamenti e relazionare all'esito degli stessi. Pervenuta la relazione sociale ed espletata l'audizione dei parenti, con successivo decreto del 15 giugno 2007 il tribunale per i minorenni disponeva l'affidamento dei minori ai servizi sociali locali, con collocamento presso un'idonea struttura residenziale e con facoltà, per i tutti parenti, di incontrarli, previ gli opportuni accordi con gli operatori sociali. Alla nonna materna era invece riconosciuta una facoltà praticamente illimitata di visita. La decisione era motivata dalla necessità di sottrarre i bambini dai luoghi e contesti ambientali nei quali era maturata la tragedia, anche tenuto conto del fatto che tali luoghi e contesti erano coinvolti nell'espletamento di ripetuti e doverosi atti di indagine penale. Non poteva inoltre ignorarsi che l'ambiente di vita sin lì proprio dei minori era destinatario di una serrata attenzione dei mass media.
Stante la delicatezza della situazione e la pendenza di parallele indagini, veniva fissata una nuova udienza per il giorno 20 luglio 2007. In tale udienza veniva nominato un consulente tecnico nella persona della neuropsichiatra dottoressa Niccheri Gineprai, alla quale fu richiesto di accertare le condizioni psicofisiche dei bambini e suggerire le più opportune soluzioni per il loro sostegno. In una relazione preliminare e provvisoria, depositata nel mese di agosto, la consulente prospettava un ricollocamento dei minori presso la nonna materna. Il tribunale, a fronte della stessa,Pag. 52con decreto del 31 agosto 2007 decideva comunque di confermare provvisoriamente l'affidamento extrafamiliare, motivando sulla base della necessità di ottenere, prima di assumere definitive decisioni, gli esiti completi e definitivi dell'accertamento peritale in corso e peraltro di prossima conclusione. Nel citato decreto, il tribunale rilevava altresì come i nuclei familiari coinvolti esercitassero contrapposte pretese affettive nei confronti dei bambini e come quindi vi fosse la necessità di consentire agli stessi di sottrarsi a tali dinamiche, finché anche i rapporti tra i vari adulti non si fossero avviati verso una fase di chiarificazione e rasserenamento.
In data 10 settembre 2007 pervenne al tribunale minorile una nota della Procura della Repubblica ordinaria. Veniva con la stessa segnalato, così come relaziona il procuratore della Repubblica di Perugia, che « nel corso dell'attività investigativa è emerso che in coincidenza con le attività connesse allo svolgimento dell'incidente probatorio i piccoli sarebbero stati sottoposti a forti pressioni da parte di tre distinti nuclei familiari anche a causa delle diverse e confliggenti aspettative dei familiari sulle eventuali dichiarazioni dei minori».
Sulla base di tale segnalazione ed allo scopo di tutelare non già la genuinità delle indagini, compito estraneo al giudice minorile, ma la serenità dei minori sottoposti a pressioni in uno snodo tanto stressante quale quello della testimonianza nel processo penale, il tribunale per i minorenni, con decreto del 10 settembre 2007, sospendeva temporaneamente e per il periodo di espletamento dell'incidente probatorio ogni facoltà di visita da parte dei nonni, in attesa delle finali determinazioni che il giudice si riservava di assumere al pervenimento della definitiva relazione peritale.
In tale decreto risulta espressamente indicato il carattere provvisorio della statuizione, confermato dalla delega, contenuta nello stesso, ai servizi sociali e ai Carabinieri di curare taluni urgenti accertamenti finalizzati al ricollocamento dei minori presso i parenti materni.
Si rileva, come già anticipato, che il caso sottoposto ai giudici minorili presenta profili di eccezionale difficoltà e drammaticità, vedendo contrapposti nell'ambito del nucleo familiare i nonni paterni a quelli materni. I provvedimenti adottati dalla magistratura, se pure ovviamente possono formare oggetto di critica e di dissenso, risultano motivati e ponderati. I giudici minorili nell'assumerli hanno indicato la tutela dei minori quale unico criterio seguito nella deliberazione, in conformità di intenti alle convenzioni internazionali, sul rispetto rigoroso delle quali non possono ammettersi incertezze e compromessi.
Siamo certi che l'ulteriore sviluppo del fisiologico iter processuale oggi in corso consentirà ancora ai magistrati di valutare i fatti con ogni attenzione ed equilibrio, allo scopo di assumere le decisioni finali, che solo ad essi spettano, nell'esclusivo e superiore interesse dei due bambini, già così duramente provati all'inizio della loro vita.
Non si mancherà, comunque, per il tramite degli uffici competenti e nello spirito di consentire ogni possibile collaborazione al sostegno dei minori, secondo le competenze che spettano al Ministero, di seguire gli sviluppi ulteriori di questa drammatica vicenda.
PRESIDENTE. L'onorevole Balducci ha facoltà di replicare.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la tempestiva risposta all'interpellanza, ma mi ritengo parzialmente soddisfatta per i chiarimenti forniti su questa vicenda così dolorosa.
Il presunto omicidio di Barbara Cicioni ha sconvolto la tranquilla comunità di questo paese, ma ha finito per travolgere anche la normale esistenza della famiglia Spaccino, dopo l'arresto di Roberto Spaccino, coniuge della donna trovata morta. Senza volere, come ho già detto prima, entrare in un'indagine che appare - come ha affermato anche lei, signor sottosegretario - molto delicata, vorrei rammentarePag. 53che la nostra interpellanza è stata originata da una situazione per certi versi paradossale, nella quale sono venuti a trovarsi, loro malgrado, i figli minori della coppia dopo l'affidamento ai servizi sociali. Né va dimenticata l'apprensione dei familiari più stretti, desiderosi di un rapido ritorno in famiglia dei due bambini e giustamente preoccupati per la loro sorte.
Signor sottosegretario, anche lei faceva riferimento alla cronologia dei fatti. Il provvedimento in data 17 settembre 2007 che dispone, con effetto immediato, la sospensione di ogni facoltà di visita o contatto telefonico dei minori con i nonni materni e i parenti paterni, ci lascia sinceramente perplessi, perché non vedo come l'interesse dei minori sia stato considerato al centro dell'attenzione, in quanto i minori stessi si domanderanno per tutta la vita come mai, all'improvviso, dopo la grande tragedia che è accaduta loro per la morte drammatica della madre, anche i nonni, sia materni che paterni, non hanno potuto più essere in contatto con i minori medesimi.
La preoccupazione è aumentata a seguito della decisione del tribunale. Se le esigenze legate al procedimento penale in corso appaiono importanti, altrettanto primarie - lo ribadisco, signor sottosegretario - si profilano le esigenze di tutela dei minori, tenuto conto della normativa internazionale, cui ho fatto riferimento, che impone di dare massima considerazione in tutte le decisioni che li riguardano agli interessi superiori dei fanciulli.
In generale, l'ambiente più adatto per i minori in casi simili sembra essere quello dei familiari più prossimi, vale a dire i nonni materni, ai quali furono del resto affidati subito dopo la scoperta della tragica morte della madre.
È opportuno ricordare che l'allontanamento dei bambini dalle figure affettive per essi più importanti può rappresentare una grave sofferenza per i minori i quali, invece, avrebbero tutto il diritto di ritrovare negli altri familiari adeguati sostituti affettivi della madre scomparsa.
Non è certamente nostro intendimento discutere le decisioni del tribunale per i minori sull'affidamento; tuttavia l'interpellanza urgente in esame vuole concentrare l'attenzione su un'opportuna riflessione da farsi sulla normativa riguardante la protezione dei minori. Credo sia importante assicurare ad essi, in ogni fase successiva al trauma subito, un'attenta assistenza, in modo da tenere conto anche delle loro legittime aspettative di ritorno nell'ambiente familiare.
Appare indispensabile, come riconosciuto nei più qualificati studi effettuati sul lutto infantile, mettere a disposizione del minore, nel più breve tempo possibile, un permanente sostituto al quale si possa affidare emotivamente, al fine di riorganizzare la sua armonia interiore. In caso contrario, un prolungato allontanamento dall'ambiente familiare potrebbe contribuire a far sentire i minori traditi, così da spingerli verso una fase depressiva, con ovvia tristezza e sofferenza.
In conclusione, ritengo sia opportuno avviare un'attenta riflessione sulla normativa anche nazionale, in modo da apportarvi quelle modifiche che si rendono necessarie per assicurare il diritto dei minori ad essere ascoltati in tutte le decisioni più rilevanti per essi. Avremo così adempiuto agli obblighi di natura internazionale e scongiurato il rischio di far divenire i bambini, anziché soggetti da assistere amorevolmente, vittime incolpevoli e inconsapevoli della giustizia.
(Misure a tutela dell'esercizio delle funzioni di delegato militare - n. 2-00762)
PRESIDENTE. L'onorevole Carta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00762, concernente misure a tutela dell'esercizio delle funzioni di delegato militare (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
GIORGIO CARTA. Signor Presidente, in premessa mi preme chiedere quali saranno le soluzioni che il Governo intende adottare a seguito dei fatti che si stanno verificando all'interno della rappresentanza militare.Pag. 54
Tre delegati della rappresentanza militare dei carabinieri - il maresciallo Serra e gli appuntati Cau e Ranzuglia - sono stati sottoposti a procedimento disciplinare di rigore per avere, nell'ambito delle prerogative del mandato ricevuto, inviato al comandante della regione carabinieri del Lazio una denuncia-diffida a svolgere azione di vigilanza e di controllo sulle attività di missione dei delegati militari. I medesimi tre delegati militari sono stati poi sottoposti ad ulteriore procedimento disciplinare per il solo fatto di essersi avvalsi di un legale nella formulazione delle previste memorie difensive. Tale circostanza denota uno svilimento degli istituti garantiti dalla Carta costituzionale.
I tre militari sono componenti dell'organismo di rappresentanza militare ed esercitano la propria funzione in virtù del mandato ricevuto. L'articolo 20 della legge 11 luglio 1978, n. 382, stabilisce infatti che «sono vietati gli atti diretti comunque a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza militare».
Chiedo, dunque, al Presidente del Consiglio, al Ministro dell'interno e al Ministro della difesa quali concrete misure il Governo e, in particolare, il Ministro della difesa intendano adottare a tutela del diritto ad esercitare le funzioni di delegato militare in ragione del mandato ricevuto; se e quali soluzioni il Governo e il Ministro della difesa intendano adottare per ovviare a quelli che agli interpellanti appaiono dei veri e propri abusi posti in essere dall'amministrazione militare.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi, ha facoltà di rispondere.
MARCO VERZASCHI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, la rappresentanza militare è stata istituita con le «Norme di principio sulla disciplina militare» (legge 11 luglio 1978, n. 382) che, in sintesi, hanno stabilito i principi legislativi fondamentali relativi ai diritti e ai doveri del cittadino militare e, per la prima volta nell'ordinamento militare, hanno introdotto gli organismi di rappresentanza.
Nel suo complesso, la rappresentanza è un istituto dell'ordinamento militare costituito da un insieme di organi collegiali elettivi, avente il compito di esprimere pareri, formulare richieste e avanzare proposte, prospettando istanze di carattere collettivo del personale alle autorità militari competenti nei vari settori d'interesse, individuati dalla citata legge istitutiva.
In particolare, le materie di cui si occupa tale istituto sono quelle concernenti la condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari. È di tutta evidenza, dunque, l'importanza che rivestono il ruolo e l'attività della rappresentanza militare, grazie alle quali l'amministrazione è in grado di integrare e perfezionare la conoscenza di molteplici esigenze, aspettative, istanze e problematiche delle diverse categorie del personale militare, intraprendendo le iniziative ritenute necessarie.
Svolta questa doverosa premessa, passo ad analizzare le questioni di merito che sono state sollevate dall'interpellanza urgente in esame. Il comandante della regione carabinieri Lazio ha recentemente avviato un procedimento disciplinare per l'irrogazione della consegna di rigore, tuttora in corso, nei confronti dei militari citati dagli onorevoli interpellanti, in quanto questi ultimi, inosservanti della via gerarchica, inviavano al citato comandante, nonché al presidente del Cobar Lazio, una denuncia-diffida per invitarli a non svolgere un'azione di vigilanza e di controllo sulle missioni dei componenti dello stesso consiglio di rappresentanza.
A tale procedura, che ha portato all'avvio del procedimento disciplinare, è stato associato l'ulteriore addebito contestato agli interessati, per aver prodotto medio tempore una memoria difensiva tramite legale, fatto qualificabile come un'interferenza nel rapporto gerarchico, lesiva delle esigenze di coesione e di efficienza proprie dell'organizzazione militare, come da recente giurisprudenza (sentenza del TAR Veneto del 13 marzo 2003, n. 4599).Pag. 55
Al riguardo è il caso di sottolineare che, dalla documentazione agli atti, i due procedimenti ora riuniti si appalesano correttamente incardinati da parte dell'autorità militare competente, il cui esclusivo e precipuo potere sanzionatorio, nel campo della disciplina, è stabilito dalla legge n. 382 del 1978, recante norme di principio sulla disciplina militare e dal regolamento di disciplina militare di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986. Né, tantomeno, risulta che siano state poste in essere dalle competenti autorità militari forme di condizionamento o esercitate indebite pressioni dirette a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza militare. In particolare, si osserva che il rapporto gerarchico-funzionale e l'impiego del personale sono materie che fuoriescono dalla competenza della rappresentanza militare (articolo 19 della legge n. 382 del 1978). Inoltre, le forme di comunicazione per il Cobar sono già disciplinate dalla normativa di settore, che prevede, in primo luogo, che il verbale delle deliberazioni collegiali venga trasmesso al comandante dell'unità di base corrispondente (articolo 24 del decreto del Presidente del Repubblica n. 691 del 1979); in secondo luogo, che anche un solo delegato possa promuovere la deliberazione dell'assemblea tramite mozione (articolo 23 del decreto ministeriale 9 ottobre 1985).
Infine, il procedimento disciplinare in argomento si sviluppa interna corporis, senza che sia previsto il ricorso alla difesa tecnica, la quale, viceversa, viene garantita dall'intervento di un militare difensore.
Sia consentita a questo punto una considerazione a margine dell'intera vicenda. La Difesa è pienamente consapevole della funzione della rappresentanza militare, in termini di proposizione, consultazione e concertazione nelle varie materie di interesse del personale. È proprio in ragione di tale consapevolezza che la Difesa ha sempre assunto un atteggiamento di disponibilità e di apertura nella valutazione ed approfondimento di esigenze di adeguamento di tale istituto, che derivano da sollecitazioni sociali e dal continuo evolvere delle aspettative del mondo militare, nel quadro della completa trasformazione dello strumento militare su base volontaria.
D'altro canto, la Difesa segue con molta attenzione, assicurando ogni utile contributo, il dibattito parlamentare tuttora in atto sulla riforma della rappresentanza militare. È nota, infatti, l'attività svolta dal Comitato ristretto, costituito presso la IV Commissione (Difesa) del Senato, che ha il compito di elaborare un testo unificato dei vari progetti di riforma finora presentati durante la legislatura (sono più di cinque), finalizzato a consegnare al personale militare uno strumento rappresentativo al passo con i tempi ponendo, al contempo, ciascuna sua componente nelle migliori condizioni per assolvere le attribuzioni della rappresentanza militare per la tutela degli interessi della collettività militare.
Tuttavia, è di tutta evidenza che la delicata materia della rappresentanza militare deve necessariamente armonizzarsi con le prioritarie esigenze di organizzazione, coesione interna e operatività delle Forze armate.
PRESIDENTE. L'onorevole Carta ha facoltà di replicare.
GIORGIO CARTA. Signor sottosegretario, pur nutrendo il massimo rispetto per la sua persona e per gli istituti militari, con rammarico devo dichiararmi profondamente insoddisfatto. La risposta, puntuale e burocratica, fornita alla mia interpellanza urgente si incentra sull'esame di episodi, mentre io ho posto un problema politico che sta a monte di tutto ciò.
Quello delle rappresentanze, che operano nel settore militare e che devono conciliare le esigenze di un'organizzazione ed il rispetto delle prerogative, è un tema delicatissimo. Il passo avanti compiuto con le rappresentanze non è ancora abbastanza definito ed è insoddisfacente per una parte e per l'altra. Da un lato si rivendicano organizzazioni rigide, dall'altro si tenta di tutelare principi sanciti dalla Costituzione, nel rispetto delle gerarchie.Pag. 56
Non è mia intenzione entrare nello specifico della risposta data dal sottosegretario, rispetto alla quale ho riscontrato alcune inesattezze; in particolare, faccio notare che le denunce inviate dai suddetti militari erano legate a un richiamo alla vigilanza e alla tutela di questioni inerenti il bene comune e non di beni o interessi personali. Trovo sconcertante, o perlomeno stravagante, che si voglia insistere su un'ulteriore penalizzazione solo perché i soggetti in questione si sono avvalsi della tutela di un legale - che non dovrebbe essere prevista - per tutelare o per meglio esplicitare e farsi coadiuvare nella richiesta di svolgere compiutamente il loro lavoro. È chiaro ed evidente che il meccanismo dell'interna corporis ha un significato anche in termini di gerarchia, ma questa procedura non può essere considerata esaustiva con la sola presenza della consulenza di un militare per portare avanti le istanze della rappresentanza; ricordo, infatti, che i militari in questione per reclamare la tutela di quei diritti non si sono rivolti a soggetti esterni, ma hanno presentato una denuncia-diffida al Comando dei carabinieri della regione Lazio a svolgere azione di vigilanza.
Non entro nel merito delle competenze dell'organismo regionale e di quello interregionale; tuttavia, il richiamare l'attenzione sul fatto che l'organismo interregionale ha compiti che non possono sostituire quelli dell'organismo regionale non costituisce certo un reato di lesa maestà! Se dal punto di vista gerarchico questa procedura fosse stata anche imperfetta, la strada da percorrere sarebbe stata quella di invitare a seguire la via corretta e non a pensare all'intervento punitivo per un presunto reato di lesa maestà!
Signor sottosegretario, il problema sembra apparentemente secondario, ma è di forte rilevanza: nel Paese vi è grande malcontento; vi sono istituzioni amate e rispettate dal Paese e da me stesso, tra le quali i Carabinieri e le Forze armate. Sarebbe un bene per tutti se anche all'interno di questi Corpi, per questioni o motivazioni nel merito delle quali non voglio entrare, emergessero, a torto o a ragione, malumori o malcontenti, questi dovrebbero essere corretti da una gestione sensata degli argomenti.
Percorrere la via punitiva per un semplice richiamo a svolgere un'azione di vigilanza e di controllo da parte degli organismi competenti, affinché ciò che è di competenza dell'organo interregionale non sia compiuto da quello regionale e viceversa, non può, a mio avviso, comportare l'avvio di un procedimento disciplinare, né tantomeno si può pensare di avviare un ulteriore procedimento disciplinare perché tali soggetti si sono fatti coadiuvare, non tutelare, da un legale nella formulazione delle loro memorie difensive. Credo che quella intrapresa sia una deriva pericolosa. Non entro nel merito delle gerarchie e delle istituzioni militari, che rispetto, ma, come parlamentare, invito il Governo a porsi questo problema. Considerato che si tratta di un problema delicato, il Senato e la Camera dovranno occuparsene, affinché si possa giungere ad affermare, anche in quell'ambito, un principio sacrosanto: il diritto e la tutela dei cittadini, esterni e interni, sono garantiti dalla Costituzione e le gerarchizzazioni non possono superare questi limiti.
Per tale motivo, signor sottosegretario, con rammarico, lo ripeto - e con tutto il rispetto per la sua persona, che non è certamente chiamata in causa nelle vicende oggetto della mia interpellanza ma solo tenuta a rispondere nella veste di rappresentante del Governo -, nonché per le forze e le istituzioni chiamate in causa, militari e non, mi ritengo completamente insoddisfatto della sua risposta, che considero burocratica e inadeguata al problema politico posto.
(Interventi in relazione alla situazione in Myanmar - n. 2-00769)
PRESIDENTE. L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00769, concernente interventi in relazione alla situazione in Myanmar (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
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PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, mi scuserà, così come mi scuserà il rappresentante del Governo, ma desidero continuare a chiamare Birmania il Myanmar, perché questo è il nome che orgogliosamente ed eroicamente i birmani continuano ad usare.
Il nome Myanmar è stato artificialmente imposto nel 1989 da un regime ideologizzato, che già nel XIII secolo avevano tentato di imporre i mongoli senza riuscirci per la eroica resistenza opposta dai birmani, i quali già altre volte nel corso della loro storia si sono liberati da varie invasioni, l'ultima delle quali quella giapponese. Purtroppo, ormai da quarantacinque anni, questo piccolo e coraggioso popolo è vittima di un regime, ripeto, ideologizzato e violento, come emerge dai fatti avvenuti in questi giorni.
La situazione geopolitica in cui si trova la Birmania ne fa un Paese strategico posto tra due colossi asiatici - Cina e India - che hanno rappresentato per un certo periodo il cosiddetto impero economico di Cindia (la situazione attuale non consente più l'utilizzo di questa definizione). La Birmania riveste per questi due colossi una funzione strategica. La Cina soprattutto ambisce a instaurare relazioni non soltanto per sfruttare i giacimenti di gas birmani, ma anche perché la Birmania le darebbe la possibilità, in caso di emergenza, di aggirare il collo di bottiglia rappresentato dalla Malacca, in modo da accedere direttamente e strategicamente all'Oceano indiano.
Oggi purtroppo constatiamo che la situazione della Birmania, per quanto riguarda la Cina, riapre una grande, grandissima ferita culturale, che non abbiamo mai cessato di avvertire: la persecuzione tibetana. Si riaccende ed è ritornata d'attualità questa grave ferita, di cui certamente la Cina si preoccupa molto. In questi giorni vi è stata una missione dell'ONU e la Cina si è dichiarata soddisfatta (devo dire, per correttezza, che in parte anche l'India si è dichiarata soddisfatta) di tale visita e della disponibilità dimostrata dal Governo birmano ad ascoltare, ma quando l'inviato dell'ONU è tornato in sede e ha riferito in proposito, se si legge attentamente il suo rapporto, peraltro evidentemente commentato dal Segretario generale dell'ONU, tale soddisfazione non emerge, anzi, si nota una grande preoccupazione.
A questa situazione come reagiamo? Credo che bisogna tener presente ciò che afferma Aung San Suu Kyi, una donna a cui è stato conferito il premio Nobel, che vive agli arresti domiciliari e che lotta da anni per la democrazia del suo Paese: ella chiede sanzioni totali. Quindi, non bisogna temere che le sanzioni ricadano sulla popolazione, dato che essa stessa le chiede: perfino Aung San Suu Kyi, che ha così a cuore la sua popolazione, sa che tali sanzioni potrebbero agire nel senso di una democrazia e non di una penalizzazione. Quindi, credo che sia necessario - e sul punto, signor Presidente, mi rivolgo al Governo - esercitare una pressione sul Consiglio di sicurezza dell'ONU con decisione, e non tiepidamente come ha fatto il Ministro Rutelli, cinicamente tiepido su una questione così importante: egli afferma, infatti, che non bisogna inasprire i nostri rapporti con la Cina. Perché? Alla Cina e alla Russia bisogna chiedere conto del loro atteggiamento in tale situazione con decisione: non chiediamo di andare a portare la guerra, ma esortiamo ad essere decisi e non, come ripeto, cinicamente tiepidi. Non perdiamo queste occasioni! Devo dire che sono anche abbastanza preoccupata per il viaggio che ha annunciato il nostro Ministro degli affari esteri; spero che la presente interpellanza sensibilizzi tale missione, che non deve recarsi in Cina, ma deve recarsi in Vietnam e in India, con una - e ciò mi preoccupa un po' - nutrita delegazione economica: va benissimo, siamo tutti felici che vi siano le nutrite delegazioni economiche, ma quando vi sono problemi maggiori, di grazia, gerarchizziamo, così come deve essere fatto.
Finora abbiamo constatato che il tema in esame si colloca sicuramente in modo trasversale: so perfettamente che vi sono sensibilità diverse nell'attuale Governo e vorremmo contribuire a far emergere lePag. 58sensibilità che premono per una posizione molto decisa del nostro Paese in merito a questa situazione.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, ha facoltà di rispondere.
PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo comprende e condivide la preoccupazione, direi quasi l'angoscia, che ispira l'interpellanza dell'onorevole Paoletti Tangheroni. La scorsa settimana il Viceministro Intini ha ricostruito in quest'aula la genesi e gli sviluppi più recenti della crisi in Birmania. Mi limiterò quindi a fornire alcuni aggiornamenti e a rispondere in maniera mirata ai quesiti sollevati dall'interpellante. Come è noto, in un primo momento le autorità birmane avevano preferito mantenere un controllo a distanza delle proteste, limitandosi a filmare i cortei e a compiere arresti sporadici di dimostranti, ma il successivo ampliarsi della protesta popolare, dopo l'introduzione del coprifuoco, ha portato ad una degenerazione violenta delle repressioni; ciò, malgrado il movimento popolare fosse dichiaratamente ispirato ad una sostanziale adesione, anche per volere degli stessi monaci, ai principi della non violenza.
Il precipitare degli eventi ha destato enorme emozione nella intera regione e nel resto della comunità internazionale. Ricordo che l'organizzazione dei Paesi del sud est asiatico, di cui la Birmania fa parte, ha condannato la violenta repressione delle dimostrazioni antigovernative. Infatti, in una lettera inviata dal presidente di turno, il Premier di Singapore Lee Hsien Loong, al leader della giunta militare birmana, generale Than Shwe, questa condanna è stata espressa in termini inequivocabili. Si legge, nella lettera datata 29 settembre: «Siamo assai turbati dalle notizie dei mezzi violenti utilizzati dalle autorità contro i dimostranti, che hanno causato morti e feriti; le immagini e le fotografie di ciò che sta accadendo a Rangoon e in altre città birmane» - continua la lettera - «hanno suscitato la repulsione della gente in tutto il sud est asiatico e nel resto del mondo».
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato convocato in una riunione straordinaria il 26 settembre a New York, per permettere all'inviato speciale del Segretario generale per il Myanmar, Gambari, di riferire al Consiglio sugli ultimi sviluppi prima della sua partenza alla volta di Yangon. Al termine della riunione, la presidenza di turno francese, a nome dell'intero Consiglio di sicurezza, ha reso una dichiarazione in cui ha espresso grande preoccupazione per gli ultimi sviluppi, invocando la ripresa del dialogo politico, e ha chiesto alle autorità birmane di dar prova di moderazione ed espresso pieno sostegno ai buoni uffici del Segretario generale e di Gambari. La missione del consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite è appena terminata. Gambari ha incontrato - lo ricordava anche l'interpellante - il capo della giunta militare, al quale ha manifestato la viva preoccupazione della comunità internazionale per la violenta repressione della protesta. L'inviato speciale dell'ONU ha visto in due occasioni la leader della Lega nazionale per la democrazia, Aung San Suu Kyi. Gambari dovrebbe riferire venerdì prossimo al Consiglio di sicurezza sugli esiti e sui colloqui avuti nel corso della sua visita.
Per quanto riguarda il Governo italiano, l'Esecutivo si è mosso fin da subito con determinazione a fronte della crisi birmana. Già all'inizio di settembre abbiamo effettuato un passo con l'ambasciata di Myanmar a Roma per manifestare il nostro rammarico per il sostanziale fallimento della Convenzione nazionale in Myanmar, che era nata con l'obiettivo di dare avvio ad un reale processo di riconciliazione nazionale e di apertura democratica del Paese. Al tempo stesso, avevamo espresso la nostra condanna per le repressioni allora attuate dalla giunta militare al potere, deplorando gli arresti di cittadini birmani avvenuti nel corso delle dimostrazioni pacifiche cominciate dopo il 15 agosto scorso in tutto ilPag. 59Paese, nonché la perdurante detenzione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, così come di altri dirigenti dell'opposizione e prigionieri politici. Il 25 settembre, inoltre, il Ministro degli affari esteri D'Alema, a New York per l'Assemblea generale dell'ONU, ha dichiarato che l'Italia è solidale con le manifestazioni per la democrazia in corso a Myanmar e chiesto alla giunta militare di rispettare il diritto del suo popolo di esprimersi e protestare. Nella stessa giornata del 25 settembre il sottosegretario per gli affari esteri Vernetti ha convocato alla Farnesina l'incaricato d'affari dell'ambasciata di Myanmar a Roma, titolare della stessa rappresentanza diplomatica in assenza dell'ambasciatore, al quale, a nome del Governo, ha chiesto di trasmettere alla giunta militare al potere in Birmania la richiesta del Governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National league for democracy, e con tutta l'opposizione birmana, e di non far ricorso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e non violente di questi giorni.
Il sottosegretario ha inoltre stigmatizzato, già in quella occasione, gli episodi di repressione che avevano portato all'arresto di decine di manifestanti, a condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime, reiterando la richiesta di libertà immediata del premio Nobel per la pace, da anni segregata agli arresti domiciliari, insieme a quella del rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario. All'incaricato di affari birmano è stata anche fatta presente la grande attenzione con cui il Parlamento italiano segue le vicende birmane, con la presentazione di diversi atti di sindacato ispettivo e l'approvazione di precisi atti di indirizzo. Alla luce della grave crisi in atto, è stato inoltre deciso di annullare la partecipazione di due diplomatici birmani al corso di formazione in materia di diritti umani e diritto nei conflitti armati previsto in Italia per il mese di ottobre.
L'Italia ha operato e continua ad operare in sede multilaterale per promuovere, in tutti gli ambiti opportuni, dalle Nazioni Unite all'Unione europea, le iniziative necessarie a sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e ad indurre il regime di Yangon ad avviare finalmente un dialogo con l'opposizione democratica. Su precisa richiesta del nostro Paese, la Presidenza dell'Unione europea ha convocato, il 27 settembre, una riunione urgente dei rappresentanti permanenti presso l'UE, per valutare la situazione e assumere una posizione comune. I prossimi passi della discussione in sede di Unione europea riguarderanno l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della Birmania, le iniziative politiche da mettere in atto a livello di Unione europea, le misure da adottare per portare la giunta militare di Yangon ad attenersi alle esortazioni provenienti dall'intera Unione, nonché l'adozione di un appello a Cina, India e ad ASEAN affinché esercitino sulla giunta birmana un'influenza moderatrice.
Altrettanto chiare sono state le prese di posizione del nostro Paese a New York. In occasione della riunione del Consiglio di sicurezza a livello di ambasciatori del 26 settembre scorso, cui ho fatto cenno, il Ministro D'Alema ha dato istruzioni al nostro rappresentante permanente di manifestare la più viva preoccupazione del Governo italiano per la crescente tensione nel Paese e di assicurare che l'Italia coopererà strettamente con la comunità internazionale per porre in essere ogni opportuna iniziativa a sostegno del desiderio di libertà del popolo birmano e per incoraggiare il dialogo tra la giunta militare e l'opposizione democratica. Nello stesso contesto, l'Italia ha colto con grande favore e ha appoggiato la decisione del Segretario generale di inviare Gambari in missione in Myanmar. L'Italia ha inoltre richiesto, assieme ad altri membri del Consiglio per i diritti umani, la convocazione di una sessione speciale del Consiglio stesso sulla situazione dei diritti umani in Birmania, al fine di dare un segnale tempestivo alla luce degli sviluppi delle ultime settimane. La riunione si è conclusa, il 2 ottobre scorso, con l'adozione per consenso di un testo di risoluzione proposto dall'Unione europea, successivamentePag. 60emendato, che deplora con forza la violenta repressione delle dimostrazioni popolari e richiama il Governo birmano a liberare tutti i prigionieri politici, ad impegnarsi in un dialogo politico con tutte le parti coinvolte e, soprattutto, a consentire l'effettivo accesso nel Paese alle organizzazioni umanitarie. La risoluzione richiede, inoltre, a Yangon di collaborare con il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Birmania del Consiglio dei diritti umani, permettendo di verificare l'effettiva attuazione della risoluzione, così da informare il Consiglio degli sviluppi. Quest'ultimo aspetto consentirà al Consiglio di tornare ad occuparsi in futuro della questione Myanmar.
Continuiamo, nel frattempo a svolgere la nostra azione a tutti i livelli. Il 28 settembre il Presidente del Consiglio ha avuto una conversazione telefonica con il Primo Ministro portoghese Socrates, presidente di turno dell'Unione europea. La telefonata è stata dedicata alle misure da adottare e ai seguiti da dare alle iniziative europee nei confronti di Yangon. Il Presidente del Consiglio ed il Primo Ministro Socrates hanno inoltre discusso di un'eventuale missione dell'Unione europea nell'area a seguito di quella dell'inviato speciale dell'ONU. Entrambi hanno condiviso la valutazione che sia necessario tenere mobilitata la comunità internazionale. In tale prospettiva, il Presidente Prodi ha inviato propri messaggi sia al Primo Ministro cinese sia al Primo Ministro indiano, per rappresentare la viva preoccupazione italiana ed europea sull'evoluzione della situazione in Myanmar, esortando tali due Primi Ministri a continuare ad usare tutta la loro «autorevole influenza per convincere il Governo di Yangon a tornare a ragionare e a ricondurre il Paese ad una condizione di umana dignità».
Vorrei, quindi, assicurare all'onorevole interpellante che l'attenzione del Governo sulle vicende della Birmania è massima. Non manca, non mancherà in futuro, la determinazione a continuare l'azione sistematica, piena, a trecentosessanta gradi, che abbiamo finora condotto.
PRESIDENTE. L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di replicare.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, mi ritengo parzialmente soddisfatta. Non avevo dubbi sul fatto che l'onorevole Sentinelli rappresentasse proprio quell'anima del Governo che ha grande sensibilità nei confronti di questo problema. Tuttavia, continua a preoccuparmi che esistano anche i cinicamente tiepidi, come il ministro Rutelli. Inoltre, francamente non credo che la risposta data mi rassicuri fino in fondo su questo punto. Signor Presidente, noi che da tempo ci occupiamo di politica estera, sappiamo che certamente gli statement avvenuti all'ONU e le prese di posizione sono molto importanti e talvolta possono anche contribuire a mettere in moto alcuni meccanismi di democrazia. Tuttavia, purtroppo, a valle viviamo un tempo di tanti fallimenti da parte dell'ONU. Statement ve ne sono stati moltissimi: sulla Somalia e sul Ruanda, per citarne qualcuno. Tuttavia, alla fine non abbiamo ottenuto ciò che volevamo, cioè un miglioramento sostanziale delle condizioni di libertà e talvolta di vita per le popolazioni.
Inoltre, per contribuire ancora una volta all'anima un po' più sensibile del Governo su questi temi, vorrei far presente che non tutti sono cinici. Vi è chi - come, ad esempio, il rappresentante della CISL Bonanni - chiede addirittura di «staccare la spina». Si va oltre le sanzioni; cioè per quanto riguarda l'Italia, autonomamente, oltre a ciò che verrà deciso - per ora l'inasprimento è stato solo annunciato, ma non è stato ancora deciso - si afferma che le imprese italiane non possono macchiarsi di sangue e che, pertanto, bisogna «staccare la spina». Soprattutto, signor Presidente, se me lo consente, vorrei rivolgermi anche al Governo per far presente che il bersaglio giusto su cui mirare non è la Birmania o il Governo birmano, ma sono la Cina, l'India e la Russia (quest'ultima è stata completamente omessa, sebbene anch'essa svolga in tale scacchiere un ruolo di geopolitica, che ruota intorno a questo piccolo, eroicoPag. 61Stato, così tanto penalizzato da un regime ideologizzato). Pertanto, mi ritengo parzialmente soddisfatta della risposta. Tuttavia, teniamo alta l'emozione, l'attenzione e la tensione, non accontentiamoci di statement, di enunciazioni di principio, ma andiamo oltre, colpendo i bersagli giusti, cioè i ricordati due colossi economici e la Russia, non un piccolo Stato.
Preannunzio anche che chiederemo di mettere in discussione la partecipazione dell'Italia alle future Olimpiadi, qualora la Cina non assuma una posizione più chiara, perché le esse dovrebbero essere il momento dell'acme della solidarietà tra i popoli. Celebrare tale grande cerimonia, che rappresenta l'apogeo della solidarietà giovanile in un paese che gronda di sangue, credo che non sia il modo migliore di farlo.
(Compatibilità ambientale di un progetto dell'ENI per la costruzione di un impianto in territorio di Ortona (Chieti) - n. 2-00763)
PRESIDENTE. L'onorevole Costantini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00763, concernente la compatibilità ambientale di un progetto dell'ENI per la costruzione di un impianto in territorio di Ortona (Chieti) (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, signor Viceministro, l'ENI ha deciso di realizzare un impianto per il trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi alimentato da diversi pozzi petroliferi in Abruzzo, per l'esattezza ad Ortona. La centrale è prevista in luoghi densamente abitati, nel cuore di una zona vitivinicola DOC, su 12 ettari circa di terreno coltivato a vigneto, in una posizione panoramica a circa 500 metri di distanza in linea d'aria dal mare. In tale area operano alcune centinaia di aziende vitivinicole e agricole in generale, proprio per la qualità del contesto ambientale che le ospita.
Sempre in tale zona, insieme ad altre dell'Abruzzo (che ha un terzo del suo territorio vincolato), sono state messe in campo diverse iniziative finanziate dalla regione, che puntano sul marketing turistico: a poca distanza, in provincia di Chieti, c'è la Costa dei Trabocchi, che negli ultimi anni ha stimolato l'interesse di migliaia di turisti, soprattutto stranieri.
Si tratta di iniziative, che puntano sull'agricoltura biologica, con formali dichiarazioni di impegno per investimenti nel settore, esternate da assessori regionali e, più in generale, sull'agricoltura di qualità.
Le preoccupazioni delle imprese vitivinicole delle popolazioni residenti sembrano, quindi, più che giustificate. È infatti ragionevole la possibilità che tale insediamento - a prescindere dagli interventi per certi versi scontati per assicurare la salute dei cittadini e la salvaguardia dell'area - possa, di fatto, imporre un radicale cambiamento alla vocazione di un'economia, che sull'ambiente e sull'integrità del proprio territorio ha costruito uno sviluppo dal quale dipendono alcune migliaia di posti di lavoro.
È avvenuto un cambiamento, che ben difficilmente potrà essere compensato dall'impresa petrolifera, che, superata la fase degli investimenti iniziali, ha dichiarato che a regime occuperà circa trenta dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato.
Fatta tale premessa devo anche rappresentarle alcune novità, che si sono succedute negli ultimi giorni, dalla presentazione dell'interpellanza ad oggi, e che potrebbero anche condizionare in qualche misura la sua risposta.
Pochi giorni fa l'assessore regionale all'agricoltura aveva testualmente dichiarato la propria contrarietà ad un intervento tanto invasivo da compromettere gli sforzi compiuti finora per l'agricoltura e vanificare diversi progetti di sviluppo territoriale basati sui prodotti tipici: si tratta di dichiarazioni dell'assessore regionale all'agricoltura.
Sempre pochi giorni fa, l'assessore all'ambiente aveva dichiarato che la decisione non poteva che essere il frutto di scelte del territorio ed il territorio non haPag. 62certo perso occasione per manifestare, in tutte le forme civili, la propria contrarietà all'impianto. Addirittura il 25 settembre si è espresso anche il consiglio regionale, che con una risoluzione votata a larga maggioranza ha espresso la propria contrarietà all'impianto ed ha impegnato il presidente della giunta regionale e la stessa giunta a mettere in campo ogni iniziativa per sospendere la realizzazione di tale progetto.
Fino a ieri, quindi, i soli pareri favorevoli erano quelli tecnici degli uffici regionali, relativi alle sole caratteristiche tecniche del progetto. Del resto in nessun atto di programmazione, mai, gli organi democraticamente eletti avevano formalizzato il proprio consenso all'iniziativa ed il conseguente stravolgimento dei propri originali progetti di valorizzazione dell'ambiente, dichiarati - come ho detto prima - dagli stessi assessori regionali ed in modo impegnativo con la risoluzione votata dal consiglio e dallo stesso presidente della regione.
La novità sorprendente, o meglio sconcertante, è arrivata ieri proprio dal presidente della regione Abruzzo che, smentendo il suo assessore regionale all'agricoltura, il suo assessore all'ambiente e disattendendo il voto del suo stesso consiglio regionale ha dichiarato che, sul centro oli, la regione Abruzzo avrebbe già deciso.
Il sì della regione Abruzzo, secondo il presidente Del Turco, andrebbe ricercato in un investimento di 60 milioni di euro messi in campo dalla regione sul porto di Ortona, un investimento - a detta del presidente della regione - incompatibile con il rifiuto degli investimenti dell'ENI.
Il problema, secondo me, è che nessuno aveva detto o aveva scritto che un tratto di mare così importante per l'economia turistica abruzzese dovesse ospitare non già mercantili, merci e traghetti, ma petroliere ed oleodotti.
Il problema, inoltre, è che non credo che il presidente della regione abbia il potere di decidere per tutti, in assoluta solitudine, contraddicendo attività ed investimenti della sua stessa giunta e andando contro la volontà formalmente espressa dal consiglio regionale.
Tale dichiarazione è servita evidentemente a costruire le condizioni perché il consiglio comunale di Ortona potesse esprimere anche il proprio consenso. È in corso in questi minuti una riunione del consiglio comunale di Ortona, ma, dalle informazioni che ho, con ogni probabilità sarà espresso il consenso alla realizzazione dell'impianto.
Anche su ciò voglio evidenziare alcune anomalie: ad Ortona si è votato da pochissimi mesi e l'attuale maggioranza - sindaco compreso - sapevano perfettamente che, a poche settimane dalle elezioni amministrative, avrebbero dovuto prendere una decisione importantissima sul futuro della città.
Ebbene, ho letto personalmente il programma amministrativo del sindaco Fratino, che neppure un rigo ha speso per comunicare agli elettori quale tipo di decisione avrebbe assunto.
Il sindaco ha pensato bene, quindi, di «incamerare» prima il voto di tutti cittadini di Ortona, anche della stragrande maggioranza contraria all'insediamento, per poi utilizzare il mandato elettorale ricevuto contro la volontà degli stessi cittadini che lo hanno eletto.
Emerge quindi una situazione desolante, con una politica arrogante, totalmente priva di sensibilità nei confronti dei propri amministrati e per certi versi, addirittura, scorretta; considero infatti scorretto il voto del consiglio comunale di Ortona se sarà espresso, nei prossimi minuti o nelle prossime ore, in assenza di qualsiasi forma di consultazione delle popolazioni interessate e senza alcuna indicazione di mandato nel programma amministrativo votato solo poche settimane fa dagli elettori di Ortona.
Per questo oggi, forse, è ancora più importante il contributo che può dare il Governo alla soluzione di questo problema rispetto ad una situazione che vede nascere un impianto di dimensioni enormi e di forte impatto sul territorio, senza che alcun organo democraticamente eletto abbiaPag. 63espresso il proprio consenso ed, anzi, con il voto contrario del consiglio regionale, che non solo ha detto «no», ma ha anche messo in evidenza gravi anomalie procedurali.
Cito le irregolarità nel procedimento, le violazioni di legge, in particolare dell' articolo 68 della legge regionale n. 18 del 1998, che tutela le colture agricole intensive. Cito l'incompatibilità con il piano di sviluppo rurale e con la vocazione vitivinicola del comprensorio. È un «no» argomentato, quello espresso dal consiglio regionale abruzzese. Per questo, tra le domande e gli inviti posti, considero fondamentale l'invito ad intervenire presso l'ENI perché renda trasparenti le procedure, renda noti i progetti, faccia conoscere i nomi di professionisti e di imprese. Non si limiti ad interloquire esclusivamente con gli uffici tecnici regionali!
Chiedo al Governo di valutare se e quali iniziative sia possibile intraprendere rispetto alle denunce circostanziate del consiglio regionale ed alle violazioni di legge riportate nella risoluzione dello stesso consiglio regionale; di verificare se esista una carta dei rischi, degli inconvenienti e degli incidenti in impianti analoghi e di renderli disponibili a tutte le istituzioni interessate, ai comuni e non solo a quello di Ortona, perché interessati al progetto sono anche i comuni di Miglianico, di Tollo, di Francavilla; di valutare l'opportunità di intervenire per rinnovare le strategie di sviluppo dell'Eni, che sembrano ancora esclusivamente incentrate per i prossimi decenni sul petrolio; di valutare l'opportunità di promuovere una procedura di valutazione di impatto ambientale nazionale, proprio in considerazione delle evidenti lacune della procedura fin qui seguita, denunciate dallo stesso consiglio regionale; di valutare la compatibilità di questo intervento con un territorio come quello abruzzese, costituito per un terzo da aree protette; di valutare se la trasformazione del porto di Ortona in porto petrolifero sia compatibile con le caratteristiche di quel tratto di costa; di valutare, infine, se e come intervenire, anche direttamente presso l'ENI, se possibile, per evitare o compensare i danni gravissimi che l'impianto produrrebbe al settore vitivinicolo locale, ormai da anni protagonista sui mercati nazionali ed internazionali.
PRESIDENTE. Il Viceministro dello sviluppo economico, Sergio Antonio D'Antoni, ha facoltà di rispondere.
SERGIO ANTONIO D'ANTONI, Viceministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, l'impianto di trattamento di oli di cui l'interpellante si occupa sta per essere realizzato, come è stato ricordato, nel territorio di Ortona, nell'ambito della concessione «Miglianico», conferita con decreto ministeriale del 19 aprile 2002 alla società ENI Spa per la durata di anni venti su un'area di 29 chilometri quadrati.
Nell'area della concessione risultano perforati tre pozzi: due hanno dato esito negativo, mentre uno, il Miglianico 2, lo ha dato positivo.
La revisione dello studio di giacimento, condotta dalla società ENI a seguito di risultati negativi dei pozzi, ha dimezzato l'estensione del giacimento Miglianico; le riserve producibili in diciotto anni ammontano a 2,7 milioni di metri cubi di olio e 581 milioni di metri cubi di gas.
Conseguentemente è stato ridimensionato anche il progetto, che attualmente prevede: una centrale per il trattamento degli idrocarburi comprendente la desolforazione del gas, sempre in contrada Feudo; gli impianti di superficie per l'estrazione e il trasporto degli idrocarburi e per la reiniezione dell'acqua; le condotte di collegamento della centrale di trattamento con il deposito costiero della società ENI di Ortona.
Il totale degli investimenti, di cui una parte già effettuati, viene stimato, secondo il nuovo programma lavori, pari a 130 milioni di euro, mentre la stima dei costi operativi previsti per l'intera vita del giacimento ammonta a 34 milioni di euro.
Si segnala inoltre che sono in corso lavori di ammodernamento degli impianti del deposito costiero della società ENI di Ortona, per i quali è stato rilasciato inPag. 64data 19 giugno 2007 parere favorevole ai fini della compatibilità ambientale dalla regione Abruzzo in relazione agli adeguamenti impiantistici e risulta in corso l'iter di variante urbanistica e permesso a costruire presso il comune di Ortona, come veniva ricordato dall'interpellante.
Per quanto riguarda la risoluzione del 25 settembre 2007 del consiglio regionale d'Abruzzo, si fa presente in base alle informazioni acquisite che in primo luogo il procedimento seguito per la localizzazione dell'impianto produttivo risulta svolto secondo il disposto dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1998: sono stati richiesti infatti allo sportello unico del comune di Ortona, in data 24 luglio 2006, il rilascio del permesso a costruire e in data 10 agosto 2006 il rilascio della variante urbanistica. Il comune, conformemente a quanto prescritto dal citato articolo 5, ha espresso in data 1 settembre 2006 parere negativo al rilascio del permesso, come veniva ricordato, in quanto in contrasto con lo strumento urbanistico. Conseguentemente, sempre ai sensi dell'articolo 5, è stata convocata la conferenza dei servizi finalizzata all'adozione della variante urbanistica e al rilascio del permesso di costruire. Inoltre, in sede di conferenza dei servizi nell'aprile 2007, presso il comune di Ortona, è stato espresso parere favorevole per l'adozione della variante urbanistica e il rilascio del permesso di costruire. Infine, relativamente al presunto difetto di legittimazione del comune di Ortona, che veniva descritto nell'interpellanza, si segnala che tutti gli impianti di estrazione esistenti nonché le opere da realizzare ricadono nell'ambito del comune medesimo.
Per quanto concerne la carta dei rischi, degli inconvenienti e degli incidenti, si evidenzia che gli impianti in oggetto sono sottoposti al rispetto delle norme di sicurezza vigenti in materia (decreto del Presidente della Repubblica n. 624 del 1996). È previsto infatti che il titolare, al fine di ottenere l'autorizzazione all'inizio dei lavori da parte dell'autorità di vigilanza, deve depositare il documento di sicurezza e salute, contenente l'analisi dei rischi e le misure di prevenzione. Il titolare inoltre deve attuare le procedure previste dal decreto legislativo n. 334 del 1999, come modificato dal decreto legislativo n. 238 del 2005, in quanto applicabili, per gli impianti a rischio di incidente rilevante.
A tal proposito, si segnala che, da elementi forniti dal Ministero dell'ambiente, risulta che il gestore dello stabilimento ai sensi della normativa vigente ha presentato la notifica e ha anche il redatto rapporto di sicurezza.
Il Ministero dell'ambiente segnala inoltre che risulta ancora in corso l'istruttoria tecnica per la valutazione dell'aggiornamento quinquennale del rapporto di sicurezza, avviata dal comitato tecnico regionale (CTR) in data 10 luglio 2006.
Lo stesso ministero ha poi precisato che il gestore, ai sensi del decreto legislativo n. 334 del 1999, ha presentato al comitato tecnico regionale un rapporto preliminare di sicurezza per «la realizzazione di due serbatoi da 10 mila metri cubi cadauno per prodotti petroliferi e potenziamento oleodotto per il trasferimento del prodotto via mare - riduzione di un serbatoio esistente relativo al deposito costiero di idrocarburi sito in località Peticcio e San Pietro-Ortona». Il comitato tecnico regionale ha rilasciato il nulla osta di fattibilità in data 27 marzo 2007, con prescrizioni integrative che il gestore dovrà recepire nel rapporto definitivo di sicurezza. Non risulta ad oggi avviata l'istruttoria per il rilascio del parere tecnico consultivo.
Per quanto riguarda la promozione dell'uso delle energie rinnovabili (che veniva descritto nel testo dell'interpellanza in una parte poi non riportata nell'esposizione orale) e dell'uso delle biomasse per fini energetici, si segnala che in data 8 aprile 2004 il Ministero dell'ambiente ha sottoscritto con la regione Abruzzo un accordo di programma finalizzato ad attivare nella regione medesima lo sviluppo di filiere complete per lo sfruttamento delle biomasse di origine agri-forestale e residuale. In merito, il predetto Ministero ha precisato che si tratta di un'attività chePag. 65prevede la raccolta, il trattamento, la distribuzione, la commercializzazione, l'utilizzo negli usi finali e la termovalorizzazione in impianti dedicati delle biomasse utilizzate.
Con tale accordo si punta alla valorizzazione delle biomasse forestali, delle biomasse di origine agricola, quali ad esempio le portatore di ulivi e vigneti, nonché delle biomasse residuali derivanti dagli scarti prodotti dalla lavorazione artigianale ed industriale del legno vergine. In particolare, le attività dell'accordo si sviluppano secondo un programma triennale che porterà, fra le altre cose, alla definizione di criteri e linee guida finalizzati alla replicabilità dell'esperienza su scala regionale, nonché allo sviluppo di filiere più idonee nei diversi contesti ambientali.
Per quanto riguarda la valutazione di impatto ambientale - le cui competenze in materia erano state trasferite dallo Stato alle regioni con il decreto legislativo n. 112 del 1998, in quanto inerenti i progetti di ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma - il progetto risulta aver superato favorevolmente una serie di iter procedimentali in materia, attraverso l'emanazione degli atti necessitati. Detti atti sono: il parere favorevole di compatibilità ambientale (VIA) rilasciato dalla regione Abruzzo in data 12 marzo 2002; il parere di compatibilità ambientale rilasciato dalla regione Abruzzo in data 9 agosto 2002; il parere favorevole alla compatibilità ambientale (VIA) rilasciato dalla regione in data 20 dicembre 2005, relativo alla variazione del programma dei lavori che prevedeva la reiniezione dell'acqua di giacimento; il nulla osta beni ambientali della regione Abruzzo, rilasciato in data 9 agosto 2002; il parere positivo di compatibilità idrogeologica della regione Abruzzo, rilasciato in data 6 dicembre 2005.
Si segnala inoltre che il progetto di sviluppo del giacimento Miglianico risulta inserito fra quelli di interesse strategico per l'approvvigionamento di energia di cui alla legge n. 443 del 2001.
In riferimento alla tematica del rispetto delle disposizioni in materia di aree protette, si evidenzia infine che dalla verifica cartografica, secondo quanto comunicato dal Ministero dell'ambiente, risulta che i comuni di Ortona e Miglianico distano circa venti chilometri dai confini del parco nazionale della Majella e da alcuni siti «Natura 2000» distribuiti sul territorio.
L'identificazione delle località citate, formulata in ambito di comitati preposti alla pianificazione dei programmi, dovrà tenere conto della tutela delle aree protette a diverso titolo individuate ed eventualmente interferite.
Pertanto, la richiesta formulata dalla società ENI dovrà essere sottoposta al vaglio di tutte le procedure previste in materia ambientale, nel rispetto delle normative vigenti. Su questo punto, per quel che riguarda la nostra responsabilità, come Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente, possiamo dare la più ampia assicurazione che queste procedure saranno rispettate in maniera tale da garantire il rispetto dell'ambiente, la tutela della salute dei cittadini e insieme la salvaguardia della natura di quei territori.
PRESIDENTE. L'onorevole Costantini ha facoltà di replicare.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, sul piano personale ringrazio il Viceministro per le puntuali informazioni che ci ha fornito, ma evidentemente non posso esprimere soddisfazione. Ciò per tutta una serie di considerazioni.
In primo luogo, prendo atto del forte ridimensionamento dell'impianto sia in termini di capacità estrattiva sia in termini di investimenti. Credo pertanto che saltino completamente gli equilibri valutati: dato infatti quel che questo impianto aggiunge, non vi è alcuna compensazione rispetto a quel che si perde in termini delle attività economiche che esistono e che - come ho detto - occupano centinaia di migliaia di lavoratori. Mi pare che manchi il punto di equilibrio e che nessuno si sia occupato di svolgere questa fondamentale verifica.
Trovo per altro verso sconcertante il riferimento a pareri rilasciati nelPag. 662002: quando la pubblica amministrazione si esprime, infatti, essa ha bensì la capacità di prendere decisioni ma ha anche quella di rimuoverle. Tale rimozione può avvenire in due forme: in forma tacita, quando si assumono provvedimenti o iniziative incompatibili con le decisioni precedenti; in forma esplicita, quando si esprime una volontà diversa sul piano formale. Nel caso della regione Abruzzo, vi è stata sia incompatibilità tacita sia incompatibilità esplicita. Dal 2001-2002 in poi, infatti, i territori di cui si parla sono stati interessati da enormi investimenti sul piano della produzione e dello sviluppo del turismo, nonché sul piano della promozione dell'agricoltura biologica, dell'ambiente e dell'agricoltura di qualità. Simili comportamenti, decisioni ed investimenti manifestano evidentemente una volontà politica assolutamente incompatibile con i pareri resi cinque o sei anni fa.
A tale incompatibilità tacita, legata a comportamenti contraddittori, deve aggiungersi un'incompatibilità esplicita, perché soltanto pochi giorni fa il consiglio regionale ha con chiarezza detto «no» all'impianto. Scopro, in maniera davvero sorprendente, che la realizzazione dell'impianto sta andando avanti - nonostante manifestazioni di volontà contrarie e ripetute della regione Abruzzo - sulla base di pareri tecnici rilasciati cinque o sei anni fa.
Devo quindi purtroppo ribadire, pur confermando il mio ringraziamento sul piano personale per la ricostruzione puntuale dell'attività amministrativa messa in campo dall'ENI, la mia valutazione negativa in merito alla risposta ricevuta.
(Interventi in relazione ai disagi e ai ritardi della linea ferroviaria Milano-Mortara-Alessandria - n. 2-00759)
PRESIDENTE. L'onorevole Adenti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00759, concernente interventi in relazione ai disagi e ai ritardi della linea ferroviaria Milano-Mortara-Alessandria (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, tra i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini vi è sicuramente quello della mobilità, che è messo a dura prova sulla linea ferroviaria Milano-Vigevano-Mortara-Alessandria, che svolge, tra l'altro, un ruolo importante nel sistema dei trasporti del nord ovest, sia per quanto riguarda i treni di lunga percorrenza, sia per quanto riguarda il pendolarismo.
Ormai si assiste a troppi, frequenti e ripetuti disagi e disservizi che pongono tale linea ferroviaria all'ultimo posto in Lombardia per quanto riguarda l'indice di affidabilità, in virtù del quale la soglia di tolleranza è fissata al 5,25 per cento, mentre sulla linea ferroviaria in oggetto il dato è addirittura pari al doppio. Ormai i viaggiatori e i clienti sanno che quando si verifica un acquazzone sicuramente vi sarà un ritardo o un disservizio. Ultimamente, per compiere 30 chilometri i ritardi hanno raggiunto addirittura circa 65 minuti.
Si tratta, dunque, di una situazione assolutamente intollerabile, in parte riconducibile alla linea ferroviaria, sulla quale sono in corso lavori finalizzati al raddoppio della linea stessa, che ci auguriamo venga migliorata. Il problema è però determinato anche da un materiale rotabile assolutamente obsoleto, e mi chiedo per quale ragione Trenitalia non provveda alla sua sostituzione. In quasi tutte le corse i convogli hanno un numero di carrozze inferiore a quello previsto.
Quindi, di fronte a tale situazione intollerabile chiedo al Governo quali provvedimenti intenda adottare, anzitutto per sollecitare Trenitalia ad intervenire per la sostituzione del materiale rotabile. La situazione si va facendo, infatti, veramente insostenibile, anche perché il comune di Vigevano, a fronte dell'esasperazione dei cittadini, ha addirittura destinato un funzionario presso la stazione ferroviaria per raccogliere proteste e segnalazioni di ritardi da parte di viaggiatori e clienti e dar loro risposte (manca, quindi, anche l'informazione sui ritardi da parte di Trenitalia). In secondo luogo, chiedo al Governo se non sia il caso di istituire o sollecitarePag. 67l'istituzione di un tavolo tecnico che possa fornire comunque risposte, attraverso, eventualmente, una calendarizzazione di interventi volti a porre rimedio a una situazione che ritengo davvero insostenibile e, per certi versi, da paese del Terzo mondo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, giova innanzitutto sottolineare un aspetto della questione posta in evidenza dal quale non si può prescindere: la gestione dei servizi di interesse regionale, ai sensi del decreto legislativo n. 422 del 1997, come modificato dal decreto legislativo n. 400 del 1999, è regolata, incluse anche le questioni relative al materiale rotabile, con contratti di servizio stipulati tra l'autorità regionale e Trenitalia.
D'altra parte, salvo la disciplina del contratto di servizio nazionale che regola gli espressi notte, anche la sostituzione del materiale rotabile assegnato alla media e lunga percorrenza rientra nell'ambito dell'autonomia commerciale dell'impresa ferroviaria, e come tale non è suscettibile di diretto controllo da parte del Ministero dei trasporti, titolare delle funzioni di vigilanza sullo svolgimento dei servizi ferroviari. Tuttavia, l'amministrazione è senz'altro disponibile all'istituzione di un tavolo di lavoro, come si propone, e si è attivata in tal senso per avviare una cooperazione e un coordinamento tra i soggetti interessati, e quindi pervenire a una soluzione della questione.
Nel dettaglio di quanto rappresentato nell'interpellanza, Ferrovie dello Stato Spa ha fatto presente che sulla direttrice Milano-Mortara-Alessandria circolano mediamente - in un giorno feriale - 48 collegamenti, per un totale di oltre 28 mila posti offerti, dei quali la maggior parte interessanti la tratta Milano Porta Genova-Mortara e in numero minore la tratta Milano-Alessandria (transitanti via Mortara). Il servizio è utilizzato lungo l'intera direttrice - in un giorno feriale medio - da circa 12 mila viaggiatori.
Secondo quanto comunicato, l'indice di puntualità nella fascia di arrivo entro cinque minuti dall'orario previsto, riscontrato dall'inizio del corrente anno sulla direttrice in questione, è in progressivo miglioramento e, dopo un calo registrato nel luglio scorso pari al 63 per cento, ha raggiunto nella prima metà dello scorso mese di settembre il 77 per cento. Pertanto, abbiamo assistito ad un passaggio dal 63 al 77 per cento.
Sulla direttrice il materiale rotabile impiegato è costituito, prevalentemente, da carrozze del tipo «a piano ribassato», climatizzate e ristrutturate negli interni, trainate dai nuovi locomotori E 464, pur oggetto di frequenti atti di vandalismo. Tuttavia, al fine di assicurare alla clientela un migliore standard di qualità e comfort del servizio, Trenitalia sta ponendo una particolare attenzione alla pulizia dei convogli, alla manutenzione dei mezzi di trazione e delle carrozze e al rispetto della composizione programmata dei convogli.
In considerazione del fatto che, come è noto, i servizi di trasporto regionale, come quelli indicati nell'interpellanza, sono regolati, ai sensi del già citato decreto legislativo n. 422 del 1997, con contratti di servizio stipulati tra l'autorità regionale e l'impresa ferroviaria, la collaborazione tra la regione Lombardia e Rete Ferroviaria Italiana Spa, gestore dell'infrastruttura e della circolazione, ha portato alla costituzione di un'unità operativa con il compito di affrontare le problematiche più urgenti che interessano la direttrice, quali puntualità, soppressioni e qualità del servizio.
In particolare, nel mese di luglio, sono state esaminate le problematiche relative ai lavori di ammodernamento infrastrutturale della linea e all'affidabilità delle tracce orarie in caso di turbative della circolazione. Più recentemente, in un ulteriore incontro, sono state illustrate alcune iniziative intraprese, tra le quali il presenziamento, lungo la linea, di personale tecnico di circolazione, al fine di limitare quanto più possibile gli impatti derivanti da anormalità infrastrutturaliPag. 68che si ripercuotono sulla circolazione; interventi di manutenzione straordinaria per il ripristino di particolari apparati; l'effettuazione di lavori connessi al raddoppio fuori dalle ore di punta della mattina. Inoltre, dallo scorso 10 settembre, sono state adottate variazioni di orario su alcuni collegamenti regionali, mirate soprattutto ad ottenere una maggiore affidabilità delle tracce orarie. Infine, allo scopo di ridurre il più possibile i disagi alla clientela in caso di soppressioni, vengono mantenuti a disposizione, sia pure temporaneamente, servizi di bus sostitutivi nelle stazioni di Milano Porta Genova, Mortara, Vigevano e Abbiategrasso.
Nel contempo, Ferrovie dello Stato Spa mantiene incontri periodici anche con i rappresentanti dei comitati dei pendolari della linea Milano-Mortara, allo scopo di verificare i risultati conseguiti attraverso le azioni avviate. L'ultimo incontro ha avuto luogo il 24 settembre scorso e in tale occasione è stato condiviso il trend di miglioramento del servizio riscontrato nell'ultimo periodo.
PRESIDENTE. L'onorevole Adenti ha facoltà di replicare.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la cortese risposta, però non posso dichiararmi soddisfatto, anche perché i dati non confermano quanto esposto dal sottosegretario stesso sulla base di notizie che, molto probabilmente, provengono dalla società Trenitalia, in quanto, sebbene vi sia stato un miglioramento, questa linea è sempre all'ultimo posto tra quelle della Lombardia.
È importante fornire anche indirizzi a Trenitalia, affinché certi investimenti non vengano effettuati solamente sui treni a lunga percorrenza, poiché occorre un'attenzione particolare soprattutto ai pendolari, in particolar modo in certe zone, come ad esempio la Lomellina, dove, non essendovi autostrade o infrastrutture particolarmente moderne, il trasporto ferroviario costituisce sicuramente un mezzo di locomozione molto importante. Prendo atto di quanto riferito, tuttavia mi aspetto anche che il Governo fornisca indirizzi o che, comunque, vi siano sollecitazioni nei confronti di Trenitalia affinché si investa anche in favore dei pendolari.
Sono inoltre abbastanza insoddisfatto per quanto riguarda l'informazione nei confronti dei viaggiatori-clienti. Se un comune come Vigevano, vale a dire una città di oltre 50 mila abitanti, ha destinato un proprio dipendente alla stazione ferroviaria per mantenere i rapporti con i viaggiatori-clienti, vi sono evidentemente dei problemi.
I parlamentari pavesi continueranno questa battaglia nelle sedi competenti perché, a nostro parere, non si sta facendo tutto il possibile per migliorare la situazione.
(Predisposizione da parte di Trenitalia dei nuovi orari dei treni e soppressione di alcune tratte - n. 2-00768)
PRESIDENTE. L'onorevole Laratta ha facoltà di illustrare l'interpellanza Oliverio n. 2-00768, concernente la predisposizione da parte di Trenitalia dei nuovi orari dei treni e la soppressione di alcune tratte (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9), di cui è cofirmatario.
FRANCESCO LARATTA. Signor Presidente, illustro brevemente l'interpellanza in esame, di cui è primo firmatario l'onorevole Oliverio e di cui sono cofirmatari anche i colleghi Bianchi e Laganà Fortugno, al fine di inquadrare l'argomento, relativo alla soppressione di alcuni treni. Potrebbe sembrare un fatto piuttosto banale, in realtà questo avviene in una realtà che, in quanto a sistemi di trasporto, è piuttosto debole, se non in profondo degrado.
Mi riferisco alla zona ionica della Calabria, interessata dalla linea ferroviaria Metaponto-Sibari-Catanzaro-Catanzaro Lido-Roccella-Reggio Calabria, che pur avendo un bacino di utenza superiore al milione di abitanti è da anni mal collegata al resto d'Italia ed è servita daPag. 69mezzi scarsi ed inefficienti, soprattutto per quanto riguarda i collegamenti tra le varie zone della Calabria e quelli interregionali.
L'utenza a lunga percorrenza di questa fascia è composta soprattutto da studenti universitari, che studiano nel centro e nel nord d'Italia, e da molti lavoratori. Occorre tenere presente che la Calabria ha una propensione alla mobilità notevolissima: sono infatti molto numerosi gli studenti e i lavoratori che viaggiano continuamente e periodicamente tra la Calabria ionica e il resto d'Italia. Vengono preferiti i treni e gli autobus rispetto all'automobile e rispetto al trasporto aereo, anche perché, al di là di Lamezia e Reggio Calabria, distanti dalla zona ionica, vi è solo l'aeroporto di Crotone, piuttosto limitato nell'offerta.
Guardandola da lontano, dalla prospettiva dei centri decisionali, la linea ferroviaria ionica potrebbe apparire un doppione di quella tirrenica, tanto da poter sembrare quasi inutile. Ma in realtà, conoscendo la Calabria, si sa benissimo che la distanza per raggiungere la linea tirrenica è notevole e che vi sono molte difficoltà.
Dobbiamo anche considerare che il sistema dei trasporti in questa fascia ionica è datato, vecchio, obsoleto. Oltre alla ferrovia ionica, che si trova in uno stato di profondo degrado (un solo binario non elettrificato e mezzi sporchi, dismessi da altre linee) vi è la statale n. 106 ionica, una famigerata strada, conosciuta in quanto pericolosissima, sulla quale mi riservo alcune ulteriori considerazioni.
L'uso del treno, quindi, non viene incoraggiato, anzi viene scoraggiato da Trenitalia, perché assistiamo ad un servizio pessimo che denota carenze, ritardi, convogli vecchi e vagoni sporchi. Basti pensare - l'ho già ricordato, ma lo ribadisco per far capire il contesto nel quale ci troviamo - che si continua, come decenni fa, a lavorare su un solo binario non elettrificato e in condizioni pessime.
Mancano del tutto collegamenti veloci e comodi, soprattutto diurni, diretti ai centri del Nord Italia; sono anche inesistenti collegamenti diretti e veloci con la vicina Puglia; scarsa o nulla è la presenza degli agenti della Polizia ferroviaria e le carrozze sono del tutto inutilizzabili per un Paese civile. Gli stravolgimenti degli orari e dei servizi, i treni soppressi e subito dopo ripristinati senza preavviso, i tempi di percorrenza elevati, nonché le fermate assurde e lunghe fanno da contorno a tutto ciò che rappresenta la realtà della ferrovia ionica. Non si capisce perché si continui ad operare in tali condizioni.
Per tornare al tema dell'interpellanza in esame, abbiamo inteso denunciare che nel predisporre la riformulazione dei nuovi orari stagionali di circolazione dei treni a media e a lunga percorrenza su tutto il territorio nazionale, Trenitalia ha provveduto a sopprimere diverse tratte; in sostanza, quei pochi collegamenti ferroviari esistenti vengono cancellati. Si immagini, quindi, la reazione delle popolazioni e dei cittadini, che si sentono gravemente danneggiati, ed anche offesi, in quella parte del Mezzogiorno costituita dalla Calabria e, soprattutto, nei numerosi centri urbani situati lungo la costa ionica calabrese; che sono costretti a non utilizzare più il treno, con tutti i rischi e i disagi che ne conseguono, considerato il contesto in cui tali paesi si trovano.
Quindi, dal prossimo 9 dicembre (data di entrata in vigore del nuovo orario ferroviario) per l'ennesima volta risultano soppresse diverse corse a lunga percorrenza che ricoprono alcune fasce privilegiate di collegamento con il centro e il nord d'Italia; cito soltanto gli intercity Reggio Calabria-Milano e Crotone-Torino, per quanto riguarda la fascia ionica.
Le decisioni di Trenitalia ovviamente hanno suscitato diffuse preoccupazioni nelle amministrazioni locali interessate e i cittadini si sentono trattati come cittadini di serie B. Trenitalia, in effetti, non sembra tener conto dell'importanza che tale arteria ferroviaria riveste per il territorio, soprattutto in considerazione della scarsa efficienza, alla quale prima ho fatto cenno, delle infrastrutture e dei problemi in cui versa la strada statale n. 106 Jonica. Riguardo a quest'ultima, a dire il vero, negli ultimi anni si è registrato un certo interessamento,Pag. 70e di recente un importante interessamento, da parte del Governo, che intende investire e realizzare ammodernamenti; alcune opere sono già avviate, altre sono in corso, altre ancora vanno programmate, affinché la 106 possa definirsi una vera strada statale di collegamento veloce o, comunque, decente.
Signor Presidente, con la presente interpellanza si chiede di conoscere quali urgenti iniziative si intendano tempestivamente adottare affinché sia assicurato in tempi certi il ripristino delle suddette corse soppresse da Trenitalia lungo la fascia ferroviaria ionica e se, alla luce delle considerazioni svolte, non si ritenga opportuno sollecitare i vertici di Trenitalia a compiere un'ulteriore attenta riflessione, nell'obiettivo di determinare il ripensamento del nuovo piano strutturale e di ripristinare i treni soppressi.
Gli interpellanti chiedono, inoltre, di conoscere quale sia il futuro di una tratta ferroviaria così fuori dal tempo, che tenere in tali condizioni è offensivo non solo per i calabresi, ma per tutti i cittadini italiani. A questo punto, forse, sarebbe più conveniente e utile sopprimerla completamente.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, gli onorevoli interpellanti pongono la questione di un'ipotesi di soppressione dei collegamenti intercity Reggio Calabria-Milano e Crotone-Torino con l'inizio del nuovo orario ferroviario, il prossimo 9 dicembre.
Com'è noto, si tratta di collegamenti non soggetti a regolazione con contratto di servizio nazionale, ma a servizi demandati all'autonoma gestione dell'impresa ferroviaria.
A tale questione si aggiunge quella più generale relativa alla soppressione di alcuni servizi tra Calabria (soprattutto l'area jonica) e il centro-nord Italia e ai conseguenti disagi per l'utenza. Tali collegamenti sono assicurati anche dai treni inclusi in contratto di servizio, ovvero espressi notturni. Si sottolinea che attraverso tale strumento è regolata, nei limiti delle risorse pubbliche all'uopo stanziate, l'erogazione di servizi che, in quanto economicamente non remunerativi, l'impresa ferroviaria non produrrebbe, ove essi fossero deferiti alle autonome scelte aziendali.
Sulla questione dell'adeguamento dei servizi che collegano il sud, in particolare la Calabria e la Sicilia, con il centro-nord, fin dallo scorso mese di luglio sono stati avviati contatti e si sono svolte apposite riunioni tra il Ministero dei trasporti e l'impresa ferroviaria Trenitalia Spa con la partecipazione di rappresentanti delle realtà territoriali interessate.
L'obiettivo prefissato è quello di ripristinare, fin da quest'autunno, taluni treni soppressi in precedenza, nonché di attivare nuovi collegamenti anche sulla linea ionica. Più in generale, tali approfondimenti sono altresì finalizzati a verificare le linee guida del nuovo orario, con particolare riferimento a quanto di pertinenza del contratto di servizio. In quest'ambito, peraltro, dovranno essere rielaborate e definite le caratteristiche del servizio universale ed individuate, in ragione dell'insufficienza dei ricavi da mercato, le relative misure di sostegno pubblico.
Sulla base degli esiti degli approfondimenti in corso, nonché delle risorse che saranno rese disponibili della legge finanziaria per il 2008, si procederà alla determinazione dell'offerta per il 2008 stesso. In quest'ambito resta fermo l'obiettivo per il Ministero di consentire l'effettività del diritto alla mobilità, dunque sarà posta in essere ogni possibile azione volta ad assicurare un adeguato livello dell'offerta anche nelle aree oggetto dell'atto ispettivo in esame. Pertanto, come anche riferito da Trenitalia Spa, non esiste al momento alcuna definizione consolidata della nuova programmazione, ma si ribadisce l'impegno del Governo a seguire e a tutelare le esigenze di mobilità nel territorio calabro.
PRESIDENTE. L'onorevole Laratta ha facoltà di replicare.
FRANCESCO LARATTA. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto soprattutto per l'impegno assunto dal Governo ad un confronto con Trenitalia Spa, che deve garantire e rispettare il diritto alla mobilità dei cittadini italiani.
Insisto sul fatto che è necessario farsi carico del problema complessivo delle infrastrutture dei trasporti in Calabria, in quanto i calabresi sono esasperati a causa di una rete stradale e ferroviaria ormai fuori dal tempo, capace solo di frenare lo sviluppo e la crescita della regione. Conseguentemente, anche la sola ventilata soppressione di una tratta ferroviaria, di un treno di media o lunga percorrenza, giustamente agita e crea profonde insoddisfazioni nella popolazione calabrese.
L'intero sistema dei trasporti in Calabria rappresenta, dunque, il vero problema. In quella regione non vi sarà mai sviluppo fino a quando le infrastrutture non saranno adeguate ai tempi. Tuttora in Calabria i collegamenti e i trasporti sono garantiti da un'autostrada, la famigerata Salerno-Reggio Calabria, in perenne ammodernamento: speriamo che l'azione incisiva del Governo possa chiudere definitivamente tale fase nel giro di pochissimi anni.
I collegamenti sono garantiti anche da strade statali ormai inadeguate, pericolose ed insufficienti. Ho citato la strada statale 106 Jonica (anche questa oggetto di un crescente «interessamento», su cui vorremmo vigilare con attenzione); la statale 18 del Tirreno, la statale 107 Silana-crotonese. Si tratta di strade che hanno urgente bisogno di interventi per garantire la mobilità e il diritto a trasporti e a servizi efficienti in una regione, che lo ripeto, non si potrà mai sviluppare se non sarà garantito un sistema più moderno di trasporti.
Per quanto riguarda la rete ferroviaria, ricordo che la TAV si ferma ad un certo punto dell'Italia e non raggiunge la Calabria. Anche questo aspetto deve essere ripensato e ragionato in quanto è necessario garantire investimenti importanti perché anche questa regione ha diritto a linee ferroviarie veloci e a tutto ciò che garantisce servizi adeguati: corse efficienti e puntuali e treni che siano degni di tale nome. La ferrovia ionica (quella adiacente alla statale 106) non può essere trattata come una ferrovia da Terzo mondo.
E pensare che in Calabria si voleva realizzare un grande ponte che la collegasse con la Sicilia! Colleghi, abbiamo bisogno prima di tutto di strade, di autostrade e di ferrovie efficienti e moderne, non di mulattiere e di interpoderali!
Dopo anni di grande disattenzione sul problema delle infrastrutture in Calabria, ci auguriamo che qualcosa finalmente si possa sbloccare. Abbiamo visto qualche segnale: alcune risorse cominciano ad essere destinate al sistema dei trasporti (strade, ferrovie e collegamenti). Forse è ancora poco per una regione rispetto alla quale si registrano ritardi enormi da parte dello Stato, che da troppi anni ha prestato poca attenzione a quella realtà.
(Procedura del servizio idrico integrato dell'ambito territoriale ottimale Palermo 1 - n. 2-00668)
PRESIDENTE. L'onorevole Dioguardi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00668, concernente procedure del servizio idrico integrato dell'ambito territoriale ottimale Palermo 1 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
DANIELA DIOGUARDI. Signor Presidente, la mia interpellanza urgente verte sull'affidamento del servizio idrico integrato dell'ATO Palermo 1. È una vicenda oscura, con aspetti di particolare gravità, che dimostra ulteriormente che l'acqua deve restare un bene pubblico, per quanto riguarda sia la proprietà, sia la gestione.
La vicenda è iniziata nel 2002, quando l'assemblea dei sindaci dell'ATO Palermo 1 ha scelto a larghissima maggioranza di pervenire alla selezione del gestore tramite asta pubblica aperta a tutti (imprese pubbliche, miste e private). Il primo bando diPag. 72gara, del 2003, prevedeva che, affinché l'asta pubblica fosse valida, fossero presentate almeno due offerte. Nel caso specifico, poiché è pervenuta una sola offerta, la gara è andata deserta. A quel punto, con gli stessi parametri di gara è stata attivata una procedura negoziata: anche in questo caso, però, essendo pervenuta una sola offerta, la procedura è stata dichiarata deserta.
Considerato che le procedure amministrative intraprese non avevano portato all'individuazione del gestore e verificato l'alto livello di contenzioso che si era ingenerato, il presidente della regione siciliana, nella sua qualità di commissario straordinario per l'emergenza idrica in Sicilia, con decreto emanato nel mese di agosto del 2005 ha nominato un commissario ad acta, che ha esautorato i poteri conferiti per legge all'assemblea dei sindaci. Il commissario ad acta è stato individuato nella persona del professore ingegner Mazzola, il quale fra l'altro qualche anno prima era stato presidente della Sogesid Spa, la società pubblica che aveva definito il piano d'ambito.
Il commissario ad acta ha ricevuto dal presidente il compito di provvedere, in via sostitutiva dell'assemblea dei sindaci e del presidente della provincia di Palermo, al compimento delle procedure per l'affidamento del servizio idrico integrato entro i successivi tre mesi. Con due decreti successivi, il termine di scadenza del commissariamento è stato prorogato fino al mese di giugno del 2006. A fine dicembre del 2005 è stato pubblicato uno nuovo bando di gara, in cui era previsto specificamente che, anche in presenza di una sola offerta, la gara sarebbe stata considerata valida. Il nuovo articolato posto a gara è stato notevolmente modificato dal commissario Mazzola.
In data 18 gennaio 2006 è stato emanato il nuovo bando, la cui scadenza è stata fissata per il 28 febbraio 2006. In data 10 marzo 2006 - quindi più di tre mesi prima della scadenza, fissata per il 30 giugno - il commissario per l'autorità dell'ambito territoriale, il professore Mazzola, ha rassegnato le dimissioni.
Nel luglio 2006 l'assemblea dei sindaci ha approvato l'atto d'indirizzo, nel quale era prevista la possibilità che il gestore potesse accordare una gestione stralcio e salvaguardata all'Amap Spa, l'azienda municipalizzata delle acque potabili di Palermo.
Nella medesima data, l'assemblea dei sindaci ha nominato la commissione di gara per la valutazione dell'unica offerta pervenuta. La commissione di gara si è riunita in tutto - voglio sottolinearlo - tre volte (31 luglio, 30 agosto e 31 agosto 2006), per controllare tutta la documentazione e ha aggiudicato provvisoriamente la gara all'associazione temporanea di imprese che aveva presentato l'unica offerta.
Nella seduta del 4 settembre 2006 l'assemblea dei sindaci aggiudicava provvisoriamente l'affidamento in concessione della gestione del servizio idrico integrato dell'ambito territoriale Palermo 1 all'unico soggetto partecipante, l'associazione raggruppamento temporanea di imprese con a capo la mandataria Acque potabili Spa, alla quale si aggiungono altre dieci imprese, (inizialmente erano nove). Nel gennaio 2007, l'assemblea dei sindaci ratificava l'affidamento ad Acque potabili Spa.
Nell'aprile 2007 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato faceva pervenire - particolare significativo - dietro richiesta, una segnalazione, un parere, in cui si evidenziava in maniera chiara che il bando di gara per l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato dell'ATO Palermo 1 aveva gravemente - così si esprime l'Autorità - violato i più elementari principi in materia di tutela della concorrenza ed efficacia dell'attività amministrativa. Alla fine, l'Autorità garante - parliamo di un'autorità nazionale - auspicava che le istituzioni interessate intervenissero, anche attraverso il meccanismo dell'autotutela amministrativa, per assicurare che le gare per l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato si svolgessero in base a un effettivo confronto concorrenziale, funzionale alla fornitura di servizi sempre migliori per la collettività. La provincia e il comune richiedevano un ulteriore parere all'Autorità,Pag. 73che nel giugno 2007 confermava il parere già espresso, ritenendo che non sussistevano elementi in base ai quali potesse essere cambiato. Nel maggio 2007 l'assemblea dei sindaci sospendeva le procedure per la sottoscrizione del contratto in autotutela. Nel frattempo il TAR della Sicilia, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sospensiva, non lo ha fatto più - dal momento che la sospensione era stata già disposta dall'assemblea dei sindaci e dal presidente della provincia - e si è riservato di decidere nel merito.
Improvvisamente, il 14 giugno 2007, all'indomani dell'approvazione da parte della Camera dell'articolo 9 del cosiddetto decreto Bersani, che prevede una moratoria dell'affidamento a privati, è stata sottoscritta dal presidente della provincia, che non ha convocato l'assemblea dei sindaci, la convenzione di gestione e, conseguentemente, il servizio è stato affidato alla società Acque potabili siciliane Spa.
L'intera vicenda e le procedure adottate presentano aspetti poco trasparenti, che l'Autorità garante ha evidenziato in maniera molto chiara. Si capisce anche dalle somme in gioco che vi sono interessi enormi di milioni e milioni di euro: soltanto per i primi tre anni fa riferimento ad importi pari a quasi 300 milioni di euro.
Tutto ciò dimostra ulteriormente come l'acqua debba essere preservata da speculazioni e appetiti di vario tipo.
Altro aspetto su cui l'Autorità si esprime e che lascia sicuramente molto perplessi è il fatto che sembra che si possa ingenerare un vero e proprio problema di conflitto di interessi, considerato che l'ingegner Mazzola, contestualmente all'incarico di commissario ad acta per l'attuazione dell'affidamento del servizio idrico integrato, ricopriva anche l'incarico di consigliere d'amministrazione nella società Genova acque Spa, che è una delle società che entra a far parte del raggruppamento temporaneo di imprese. L'ingegner Mazzola siede anche nel consiglio di amministrazione di un'altra azienda, che fa sempre parte di questo raggruppamento, la Mediterranea acque.
Alla luce di quanto esposto e anche di come si è espressa la stampa - ricordo il Corriere della sera del 3 settembre 2007, che titolava: «Acque potabili Spa e l'oro blu di Palermo. Partita chiusa? Dopo 18 mesi di stop, ricorsi al TAR e critiche Antitrust, la società controllata da Iride entra in un business miliardario» - si può affermare che vi sono, come ripeto, interessi enormi e speculazioni, su cui, probabilmente, sarebbe stata necessaria, anche da parte dei Ministeri competenti, una maggiore attenzione e un maggiore controllo. Di fatto, invece, ci troviamo in una situazione in cui sembra che ormai, in un certo qual modo, l'affidamento è stato concesso.
In conclusione, chiediamo se non si ritenga, al fine di assicurare la razionalizzazione e la solidarietà nell'uso delle acque, che la titolarità delle concessioni di derivazione delle acque debba essere assegnata ad enti pubblici, affinché siano rispettati i parametri di salvaguardia del patrimonio idrico e la garanzia di controllo sulle tariffe, sulla conservazione dell'equilibrio biologico, sul risparmio idrico e l'eliminazione delle dispersioni.
Provengo da una regione particolarmente difficile, la Sicilia, in cui l'acqua, prima della sua pubblicizzazione, fino agli anni Cinquanta, è stata una grande fonte di ricchezza per la mafia, la quale controllava tutti i pozzi. Questa è la storia: non vorremmo ritornare al passato.
Chiediamo, inoltre, se non si ritenga indispensabile, stante la mole degli investimenti, mettere in campo tutte le necessarie accortezze, attraverso un coordinamento operativo tra le varie istituzioni interessate, affinché sia evitato il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti, prevedendo tutta una serie di misure che possano garantirci da questo punto di vista.
Ritengo che, alla luce di quanto detto, occorrerebbe sia prestare maggiore attenzione su come si svolgono queste procedure sia intervenire immediatamente per fissare una moratoria in ordine all'affidamento ai privati.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Gianni Piatti, ha facoltà di rispondere.
GIANNI PIATTI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, in relazione all'interpellanza urgente presentata dall'onorevole Dioguardi ed altri, con la quale gli interpellanti evidenziano - ed è stato fatto in modo efficace nell'illustrare in maniera puntuale la vicenda che ha portato all'affidamento in concessione della gestione del servizio idrico integrato nell'ATO 1 Palermo - la necessità che il servizio stesso sia erogato nel rispetto dei criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, e che le tariffe applicate siano sostenibili dalla generalità degli utenti e specialmente da parte delle categorie che versano in condizioni di disagio sociale ed economico, si rappresenta che, essendo sorte questioni, che sono state diffusamente richiamate, di illegittimità nell'affidamento della gara, il tutto è al vaglio della magistratura amministrativa, che dovrà pronunciarsi nel merito.
Condividendo il principio che l'acqua deve essere considerato un bene comune a forte valenza sociale e non orientato alle logiche di mercato, al fine di assicurare la razionalizzazione e la solidarietà nell'uso delle acque è opportuno che la titolarità delle concessioni di derivazione delle acque debba essere assegnata ad enti pubblici affinché siano rispettati i parametri di salvaguardia del patrimonio idrico e la garanzia di controllo sulla misura delle tariffe.
Si rappresenta che è stato approvato dalla Camera dei deputati il 13 giugno 2007 - evocato anche dall'interrogante - e trasmesso al Senato il disegno di legge atto Senato n. 1644, recante: «Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza nazionale». In particolare, l'articolo 9, al comma 1, stabilisce che «Al fine di assicurare la razionalizzazione e la solidarietà nell'uso delle acque, fino all'emanazione delle disposizioni adottate in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308 integrativa e correttiva del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, contenente la revisione della disciplina della gestione delle risorse idriche e dei servizi idrici integrati, non possono essere disposti nuovi affidamenti a soggetti privati. La titolarità delle concessioni di derivazione delle acque pubbliche è assegnata ad enti pubblici». Inoltre, lo stesso articolo, al comma 3, prevede che «Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, predispone e trasmette alle Camere una relazione sullo stato delle gestioni esistenti circa il rispetto dei parametri di salvaguardia del patrimonio idrico ed in particolare riguardo all'effettiva garanzia di controllo pubblico sulla misura delle tariffe, alla conservazione dell'equilibrio biologico, alla politica del risparmio idrico e della eliminazione delle dispersioni, alla priorità nel rinnovo delle risorse idriche per il consumo umano».
Richiamandosi alla problematica rappresentata dagli onorevoli interroganti, la stessa ATO1 di Palermo ha comunicato quanto segue: «Riguardo alla titolarità delle concessioni di derivazione, al comma 2 dell'articolo 21 della Convenzione di cooperazione, scaturita dalla volontà dei sindaci interessati, stipulata il 14 giugno 2007, è stabilito che l'ottenimento del riconoscimento all'uso dell'acqua o di una nuova concessione è di competenza degli enti locali convenzionati in quanto proprietari degli impianti».
In merito poi al rischio - richiamato anche poco fa dall'interpellante - di infiltrazioni mafiose nell'ambito degli appalti, e premesso che le imprese che realizzano le opere previste nel piano d'ambito sono soggette alla vigente legislazione antimafia, l'ATO1 di Palermo ha rappresentato che, al fine di fornire garanzie di trasparenza e di rigorosa applicazione delle norme in materia di appalti e forniture, la società affidataria del servizioPag. 75ha dichiarato di voler aderire a un protocollo di legalità con la prefettura di Palermo per assicurare tutele contro ogni forma d'infiltrazione malavitosa in un settore ad alto rischio, quale quello delle opere pubbliche.
Dal canto suo, anche la prefettura di Palermo, da noi sollecitata, ha assicurato che avrà cura di intraprendere ogni iniziativa - anche quelle contemplate dalla parte finale dell'interpellanza in esame - con il supporto delle forze dell'ordine per un costante monitoraggio delle aziende affidatarie e di quelle in regime di subappalto, al fine di scongiurare collusioni con organizzazioni criminali.
PRESIDENTE. L'onorevole Dioguardi ha facoltà di replicare.
DANIELA DIOGUARDI. Signor Presidente, sono parzialmente soddisfatta, nel senso che ritengo che il parere espresso dall'Autorità garante per la concorrenza e per il mercato, con cui si afferma la violazione delle norme sulla concorrenza e la possibilità del conflitto di interessi, sia chiaro e non dia adito ad equivoci ed ambiguità, e tra l'altro l'Autorità ha ripetuto il concetto una seconda volta.
Accanto all'Autorità garante richiamata esiste anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che già in alcune relazioni (in cui richiede ulteriore documentazione), ha espresso - non è ancora pervenuto, ma dovrà pervenire - parere negativo su quanto è avvenuto. Ritengo, pertanto, che i Ministeri competenti sarebbero dovuti intervenire immediatamente e bloccare un'operazione di fatto illegittima, che invece, purtroppo, è andata avanti - credo sempre in maniera illegittima - fino alla stipula della convenzione e all'affidamento. Sappiamo, inoltre, che il cosiddetto decreto Bersani è fermo e che non a caso - come affermavo in precedenza - il provvedimento di affidamento è stato siglato il 14 giugno, perché probabilmente nasceva la preoccupazione di non poter portare a compimento la realizzazione del menzionato grande affare. Ci troviamo, pertanto, di fronte ad una situazione di fatto e ritengo che dobbiamo impegnarci in tutti i modi per intervenire e correggerla, considerato che si è espressa al riguardo un'autorità nazionale, che, anche se non in modo vincolante lo ha fatto avendo un suo peso e una sua validità. In Italia, oggi, si discute dei costi della politica: spero, quindi, che tale autorità sia utile in maniera concreta ai fini dell'assunzione delle decisioni conseguenti.
Ritengo, pertanto, che sia necessario intervenire con un'ispezione, per verificare tutti i documenti della gara d'appalto, riguardo sia al momento della predisposizione delle procedure preparatorie, sia a quello del suo svolgimento, anche perché non credo che - come affermavo in precedenza - tre sedute, come è avvenuto per la commissione che ha controllato la gara d'appalto, possano essere sufficienti per verificare tutti gli atti. Ritengo che su questo aspetto sia necessario intervenire con maggiore forza, tornando indietro: forse anzi, sicuramente dobbiamo adoperarci per la predisposizione di un provvedimento che possa revocare un affidamento di fatto illegittimo. Sostengo ciò per la salvaguardia degli interessi dei cittadini e delle cittadine rispetto ad un bene - lo ripetiamo, l'acqua - che non può essere oggetto di speculazioni, di appetiti e di obiettivi, che nulla hanno a che fare appunto con i loro interessi.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Capotosti - n. 2-00725)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Capotosti n. 2-00725, concernente misure per il risanamento del lago di Piediluco, è rinviato ad altra seduta.
(Problematiche conseguenti al ritrovamento di rifiuti tossici in Campania - n. 2-00727)
PRESIDENTE. L'onorevole Iacomino ha facoltà di illustrare l'interpellanza MigliorePag. 76n. 2-00727, concernente le problematiche conseguenti al ritrovamento di rifiuti tossici in Campania (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11), di cui è cofirmatario.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, con questa interpellanza urgente intendiamo richiamare l'attenzione dei Ministeri interessati sul ciclo dei rifiuti tossici illegali e sulle implicazioni sulla salute dei cittadini dei rapporti esistenti tra appalti, criminalità organizzata e settori dello Stato. Ogni grande opera pubblica può essere stata - e potenzialmente può essere - oggetto di pratiche illegali, come il luogo di smaltimento dei rifiuti tossici. Se ci troviamo di fronte a un'operazione di smaltimento di rifiuti tossici illegale, interna alla stessa regione, non è da escludere - come in diversi casi si è verificato per altri siti di stoccaggio - che in quelle aree si smaltiscano rifiuti tossici provenienti da altre regioni, con l'intermediazione di poteri criminali, che a costi nettamente inferiori hanno determinato un mercato di rifiuti illegali molto più remunerativo. Nella fattispecie, la Campania può essere definita il terminale dello sversamento di rifiuti illegali.
Lo stesso rapporto del Procuratore nazionale antimafia, dottor Grasso, che denuncia la mancata tracciabilità di circa 18 milioni di tonnellate di rifiuti tossici, fornisce il quadro di una condizione di disastro ambientale e d'impatto sulla salute dei cittadini, dimostrato da studi scientifici effettuati in diversi comuni della provincia di Napoli e di Caserta da parte dall'Organizzazione mondiale della sanità, che dimostrano come in tali aree si muore per patologie neoplastiche e malformative in forte aumento. Una rilevazione effettuata dal dipartimento della protezione civile nel 2005 - cui è stato commissionato un apposito studio statistico - ha preso in esame venti cause di morte tra cui la mortalità per tutte le cause, quella per cause tumorali e quella per un insieme di cause tumorali specifiche, spesso associate dalla letteratura scientifica alla presenza di discariche di rifiuti, tossici e non, nonché di inceneritori sul territorio circostante. Tali analisi hanno consentito l'identificazione di un'area, nella quale la mortalità generale e i tassi specifici per diverse patologie tumorali sono molto elevate, al punto tale da non poter essere più considerate casuali. La parte sud della provincia di Caserta ed alcuni comuni della parte nord della provincia di Napoli si caratterizzano per un elevato livello di mortalità per tumore maligno dello stomaco, del rene, del fegato, della trachea, dei bronchi e dei polmoni. Le conclusioni dello studio sottolineano che dove c'è una significativa presenza di discariche di rifiuti, per lo più illegali, si sono verificati significativi incrementi della mortalità per tumori.
Nell'aprile 2006, la seconda fase dello studio pilota è stato condotto su otto comuni della Campania (tra i quali anche Caivano, il comune oggetto dell'interpellanza urgente in discussione) in rapporto ad altri comuni divisi in cinque classi. Tale studio giunge ad una conclusione molto allarmante: per entrambi i sessi, al crescere dell'indicatore ambientale, si registra un trend crescente e statisticamente significativo del rischio di mortalità, pari al 4 per cento negli uomini e al 7 per cento nelle donne. In alcuni gruppi di comuni, in particolare per quanto riguarda i suddetti otto, in relazione all'indice di patologie tumorali si registra un aumento del rischio del 19 per cento negli uomini e del 29 per cento nelle donne. Invece, per quanto riguarda le malformazioni congenite, sono stati studiati due apparati del nostro corpo: il sistema nervoso, dove il rischio cresce mediamente dell'8 per cento - nella classe più alta, quella del ricordato gruppo di otto comuni, è pari all'84 per cento delle malattie congenite del sistema nervoso - e l'apparato urogenitale, ove si arriva fino all'83 per cento.
Si tratta di alcuni dati all'esame della letteratura scientifica, che ancora oggi fanno molto clamore. Inoltre, se a ciò si aggiunge ciò che riteniamo essere il mancato monitoraggio da parte degli organi preposti, in particolare quelli sanitari, la situazione ci induce ad avere forti preoccupazioniPag. 77circa le prospettive di vita delle popolazioni suddette. Non vorremmo assistere in futuro persino a deportazioni dalle aree ricordate di intere popolazioni, per incompatibilità di vita. Nel corso dell'audizione svoltasi nella Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse - si tratta di un atto pubblico ufficiale della stessa Commissione - i vertici amministrativi e sanitari della ASL Napoli 4, in un modo che ritengo scandaloso, hanno persino dichiarato - è agli atti - che per quanto riguarda i loro uffici non risulta in costruzione un termovalorizzatore sul territorio di Acerra e non esisterebbero condizioni tali da suscitare allarme. Se si considera che proprio questa stessa ASL è stata commissariata per infiltrazioni camorristiche (in Italia è la prima ad essere commissariata per tale motivo); che i vertici, sia sanitario sia amministrativo, durante tale commissariamento sono rimasti al loro posto e che ancora oggi si sta procedendo allo smantellamento e alla chiusura di servizi nonché di reparti di ospedali, si comprende la nostra perplessità e preoccupazione su coloro ai quali sono affidati la prevenzione e il monitoraggio sui processi legati all'inquinamento ambientale delle aree menzionate.
L'intreccio tra appalti, poteri illegali e parti dello Stato è la rappresentazione della degenerazione politico-sociale, che porta all'annientamento della salute dell'uomo. In Italia ogni anno si producono circa 108 milioni di tonnellate di rifiuti tossici, di cui 57 milioni non sono pericolosi, 5,3 milioni sono pericolosi ed oltre 46 milioni di tonnellate provengono da costruzioni e demolizioni. I rifiuti speciali, a fronte dei 108 milioni summenzionati, ammontano a circa 95 milioni di tonnellate, di cui il 93 per cento è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 7 per cento da rifiuti pericolosi. Non si sa che fine fanno i restanti 13 milioni di tonnellate, non ne abbiamo la tracciabilità ! Di molti di tali rifiuti si perdono le tracce, sono trasferiti in altre regioni, anche all'estero! La legge ambientale, infatti, non ne vieta lo smaltimento al di fuori dei confini regionali - come invece accade per i rifiuti urbani - e ciò aumenta ulteriormente il rischio che se ne perda il controllo durante il trasporto, oppure gli scarti passino attraverso laboratori chimici che ne diminuiscano la pericolosità e trasformino i rifiuti industriali in urbani, che possono essere smaltiti in discariche. Il meccanismo illegale avviene nella fase di trasporto e stoccaggio: il produttore affida i suoi rifiuti ad un trasportatore che, attraverso un formulario, lo identifica e ne attesta il livello di pericolosità. Tali rifiuti non possono essere trasportati subito nel sito di smaltimento perché dovrebbero essere trattati e resi innocui in impianti intermedi di stoccaggio, il che costerebbe migliaia di euro in più, somma che pochi imprenditori sono disposti a pagare.
Quindi alcuni non fanno altro che declassificare il rifiuto attraverso la miscelazione con altri materiali senza alcun trattamento chimico: il produttore paga meno e chi smaltisce si aggiudica quantità di rifiuti sempre maggiori. Quando va bene, il rifiuto speciale diventa urbano e finisce in discarica senza che nessuno si accorga del rischio ambientale e sanitario, nei casi peggiori - come i fanghi conciari - i rifiuti speciali divengono fertilizzanti ed il materiale idrocarburo finisce nei sottofondi stradali. Un ruolo importante nel traffico illecito di rifiuti speciali è esercitato dalle bonifiche, aree in cui vi sono impianti che hanno lasciato materiali inquinanti e che devono essere ripuliti dall'enorme quantità di rifiuti tossici. Se, però, l'azienda non li lavora chimicamente risparmia e fa risparmiare al committente il costo dell'operazione o, nel caso di lavori pubblici, il committente non risparmia nemmeno ed i guadagni illeciti sono più che quadruplicati. Tali materiali tossici vengono interrati in opere pubbliche e in costruzioni e così la bonifica dei territori diventa inquinamento generalizzato e occasione di business illecito. Basta aggiudicarsi l'appalto di un sito da bonificare e allo stesso tempo la gara di un'opera pubblica per nascondere quintali o tonnellatePag. 78di materiali tossici. Così scompaiono rifiuti speciali e tossici da un luogo da ripulire e finiscono sotterrati per sempre, senza alcun trattamento, come il caso di rifiuti tossici provenienti dai cantieri per l'ampliamento dell'aeroporto di Capodichino, oggetto dell'interpellanza. Tali rifiuti sono finiti sotto i binari della linea ferroviaria veloce dei cantieri di Caivano ed Afragola, caso non unico se si ricorda la vicenda del traffico illecito dei rifiuti avvenuto tra il 2003 e il 2005 tra Veneto, Lombardia ed Emilia e scoperto circa un anno fa, in cui un mare di rifiuti tossici industriali sono finiti in sottofondi stradali e manufatti in cemento anche dell'alta velocità ferroviaria.
Occorre quindi una grande attenzione sul movimento di materiali inquinanti delle bonifiche e sulla capacità per alcune imprese, legate alla criminalità organizzata, di giocare al ribasso aggiudicandosi l'appalto per la bonifica. Si tratta di imprese legali: uomini d'affari, funzionari pubblici, operatori del settore rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio e imprenditori del trasporto. Tali soggetti sono inseriti nei gangli essenziali del mercato legale, ma iniziano a fare dell'illegalità, della simulazione, dell'evasione sistematica di qualsiasi regola e della corruzione, le regole ispiratrici della propria condotta. L'impressione generale suggerisce che l'affare rifiuti sia legato ad un preciso orientamento di alcuni settori del mondo produttivo, sia locale sia nazionale, desiderosi (come può essere per un'impresa) di ridurre i costi aumentando i profitti e disponibili a fare ciò anche attraverso una costante violazione delle regole del gioco.
È necessario, dunque, uno stretto monitoraggio dell'area e delle strutture pubbliche adibite ai controlli. Lo Stato deve monitorare le strutture pubbliche adibite ai controlli e le valutazioni sui rischi sanitari, che i rifiuti tossici provocano, obbligano a tenere alta l'attenzione del Parlamento e dei Ministeri competenti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Gianni Piatti, ha facoltà di rispondere.
GIANNI PIATTI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, in riferimento all'interpellanza n. 2-00727, presentata dall'onorevole Migliore ed altri ed illustrata dall'onorevole Iacomino con grande passione poc'anzi, con la quale si chiede, a seguito del rinvenimento di rifiuti tossici provenienti dai cantieri per l'ampliamento dell'aeroporto di Capodichino, occultati sotto i binari della TAV nei comuni di Caivano e Afragola, rientranti nel sito da bonificare di interesse nazionale denominato «Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano», nonché in alcune discariche abusive alle porte della città di Napoli, se non si ritenga opportuno attivare un permanente monitoraggio per verificare l'esistenza di depositi incontrollati di rifiuti all'interno dei cantieri della TAV o di altri cantieri delle grandi opere pubbliche, si rappresenta, innanzitutto, che sono state svolte da parte della Guardia di finanza, in collaborazione con la locale polizia provinciale, indagini delegate di polizia giudiziaria nell'ambito del procedimento penale n. 13868/D6, instaurato presso il tribunale di Napoli.
Tenuto conto dei delicati aspetti che riguardano la suddetta vicenda, sia sotto il profilo igienico-sanitario che sotto l'aspetto dell'ordine pubblico, la direzione per la qualità della vita del Ministero che rappresento ha coinvolto tutti gli enti e gli organi tecnici competenti, cioè il commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque della regione Campania, l'APAT e l'ARPA Campania.
Inoltre, si è provveduto ad attivare il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di effettuare un sopralluogo nelle aree dei comuni in questione, nonché a promuovere specifiche attività di verifica sull'intero territorio nazionale per fronteggiare eventuali ed analoghe situazioni di inquinamento.
Infine il Ministero dell'ambiente, in quanto persona offesa dal reato che dovesse configurarsi, intende agire in giudizioPag. 79per ottenere il ristoro dei danni cagionati. Ha richiesto anche alla procura della Repubblica di Napoli la trasmissione degli atti accessibili e delle consulenze tecniche, che potrebbero essere disposte in relazione all'eventuale instaurando procedimento penale. È nostra intenzione, inoltre, segnalare tale questione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, poiché si tratta, come ricordava il presentatore, di traffici illeciti che possono richiedere un'indagine approfondita, così come sollecitato anche dall'interpellanza, mentre abbiamo segnalato alle autorità di controllo (NAS e polizie provinciali, la cui responsabilità, ricordiamolo, è pertinente per i controlli) tali situazioni per un controllo e monitoraggio permanente anche su altri cantieri, al fine di evitare simili episodi e fare in modo che non possano ripetersi.
In merito alle altre questioni che l'interpellante richiamava con forza, voglio ricordare che hanno attinenza al danno ambientale e che proprio qui alla Camera è aperto in Commissione giustizia il procedimento legislativo per rafforzare le norme che disciplinano i reati ambientali. La fase emendativa è aperta e quindi il Governo parteciperà volentieri ai lavori, anche tenendo conto delle sollecitazioni espresse dall'interpellante.
In Commissione ambiente, in questi giorni, inizia l'iter degli atti Camera recanti modifiche al decreto legislativo n. 152, il cosiddetto decreto dei rifiuti, che disciplina il codice ambientale, e sarà anch'esso uno strumento per affrontare i temi richiamati nell'interpellanza.
PRESIDENTE. L'onorevole Iacomino, ha facoltà di replicare.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, mi ritengo soddisfatto della risposta del sottosegretario: devo dire che, per quanto riguarda gli interventi promossi da parte di questo Ministero, essi sono effettivamente giornalieri, anche nelle aree di cui si discute. L'unico rammarico è che la nostra interpellanza coinvolgeva anche la competenza del Ministero della salute, per quanto riguarda il servizio sanitario nazionale e i settori operativi di prevenzione epidemiologica: non abbiamo ricevuto su tali aspetti una risposta puntuale alla nostra interpellanza. Sollecitiamo quindi non solo un intervento di tipo preventivo ma anche un intervento del servizio sanitario nazionale, attraverso le sue strutture periferiche, le ASL, che in questo caso si sono invece dimostrate assenti, negligenti. Su questo versante, lo ripeto, la risposta non è soddisfacente.
(Attività svolta dal Ministero della salute in relazione alla questione delle confezioni di dentifrici contenenti sostanze nocive e iniziative per garantire adeguati controlli sui prodotti immessi nel territorio italiano - n. 2-00687)
PRESIDENTE. L'onorevole Pedrizzi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00687, concernente attività svolta dal Ministero della salute in relazione alla questione delle confezioni di dentifrici contenenti sostanze nocive e iniziative per garantire adeguati controlli sui prodotti immessi nel territorio italiano (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 12).
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, illustrerò brevemente l'interpellanza urgente.
Nello scorso mese di maggio alcuni Paesi del centro America, tra cui Panama e la Repubblica dominicana, hanno rinvenuto in numerose confezioni di dentifrici di provenienza cinese sostanze nocive per la salute dell'uomo. Il 29 maggio e il 6 luglio 2007 il sistema europeo di vigilanza dei prodotti ha proceduto ad allertare tutti gli Stati membri europei. A seguito di tale segnalazione, le autorità spagnole si sono immediatamente attivate attraverso una serie di controlli che hanno rilevato la presenza di sostanze tossiche in alcuni dentifrici sospetti provenienti dalla Cina. Il 13 e il 14 giugno 2007 l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici,Pag. 80nonché la stessa ditta interessata, la Colgate, hanno denunciato il ritrovamento in altre parti del mondo di confezioni contraffatte di dentifricio Colgate, provenienti, apparentemente, non dall'Unione europea.
In Italia il Ministero della salute, nonostante le allarmanti notizie diffuse dalle autorità dei diversi Paesi dell'Unione europea e del centro America, ha aspettato fino al 6 luglio, quindi con due mesi di ritardo, per dare disposizioni ed attivare il comando dei carabinieri dei NAS. Oltretutto, il Ministero e il competente dipartimento della prevenzione e comunicazione hanno dato istruzioni per limitare i controlli ed i sequestri solo alle confezioni del dentifricio Colgate non riportanti la dicitura in italiano, e non anche a quelle relative a tutti i dentifrici di origine cinese. I NAS quindi hanno circoscritto i controlli solo al dentifricio con marchio Colgate, e hanno sequestrato 20 mila confezioni sospette di possibile contraffazione per quanto riguarda la dicitura e le indicazioni sanitarie (oltretutto, mi risulta, intasando anche i locali dove sono stipate queste confezioni).
Con la nostra interpellanza urgente (sono passati due mesi e mezzo) chiediamo quali siano le ragioni per le quali il Ministero della salute si sia attivato con così notevole ritardo rispetto agli altri Stati. Avremmo infatti potuto fare un elenco di Stati che hanno agito più celermente: ad esempio il Canada è intervenuto, ha proceduto a sequestri, ha individuato la provenienza di questi prodotti.
Chiediamo per quale motivo la direzione generale dei farmaci e dei dispositivi medici, alla quale spetta la sorveglianza sui prodotti, nonostante gli avvertimenti pervenuti anche da parte dell'autorità comunitaria, si sia del tutto disinteressata del problema; oltretutto, nel momento in cui è intervenuta, essa ha impartito istruzioni errate a NAS e carabinieri. Chiediamo inoltre quali urgenti iniziative i Ministri interpellati - in particolare il Ministro della salute - intendano adottare affinché vengano garantiti adeguati controlli su tutti i prodotti (non solo su quelli della Colgate) immessi sul territorio italiano, e se essi non ritengano opportuno predisporre un sistema di etichettatura relativa alla provenienza dei singoli prodotti in modo obbligatorio e vincolante per le case farmaceutiche.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, occorre precisare in via preliminare che la prima notifica ufficiale europea riguardante la diffusione dei dentifrici con presenza di sostanze pericolose risale al 13 luglio 2007 (sistema di allerta europeo RAPLEX, allerta n. 685 del 2007): tale segnalazione concerneva i dentifrici Spearmint e Spearmint Tri Leaf.
Il primo intervento del Ministero della salute del 6 luglio 2007 è stato quindi adottato a seguito delle notizie inerenti all'avvenuto sequestro in Canada e Spagna di confezioni di dentifrici provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione Europea. L'attività svolta costantemente dal Ministero della salute - anche attraverso i propri uffici periferici ed avvalendosi del comando carabinieri per la tutela della salute (NAS) e dell'Istituto superiore di sanità - ai fini della protezione della salute e per la prevenzione di eventuali danni derivanti dall'uso di prodotti non conformi alla vigente normativa nazionale o comunitaria, sia per la qualità intrinseche, sia per etichettatura o per altri motivi formali, persegue livelli di rilevante efficienza ed efficacia.
Vengono certificati tutti gli aspetti dei prodotti messi in commercio nel nostro Paese, quali, ad esempio, la presenza di coloranti pericolosi, la correttezza dell'etichettatura, la sussistenza di sostanze vietate dalla normativa del settore, la sicurezza microbiologica e così via.
L'azione preventiva del Dicastero ha comportato, nel corso del 2007, il sequestro di numerose e differenti tipologie di prodotti, fra i quali: 76.952 thermos di provenienza cinese contenenti amianto;Pag. 8131.500 kit per la riparazione di ruote di bicicletta provenienti dalla Cina contenenti benzene; un rilevante quantitativo di torce provenienti dalla Cina contenenti guarnizioni in amianto; circa 25 mila camicie contenenti coloranti azoici provenienti dal Bangladesh.
Si segnalano inoltre gli interventi in corso nei confronti di alcuni prodotti distribuiti da Mattel, degli yo-yo con elastico di provenienza cinese, delle migliaia di trenini Thomas & Friends prodotti in Cina, delle migliaia di tonnellate di prodotti chimici fabbricati in Paesi terzi, il cui impiego è vietato in Italia o nel territorio comunitario ovvero che risultano non correttamente etichettati.
Per quanto riguarda il rischio determinato dalla falsificazione di prodotti medicinali, si precisa che il comando carabinieri per la tutela della salute, nell'anno 2006 e nel primo semestre 2007, ha sottoposto a sequestro prodotti della medicina tradizionale cinese confezionati in varie forme commerciali (compresse, fiale, pomate, eccetera) per un totale di 20.567 confezioni. Nello stesso breve tempo, la Guardia di finanza, nell'ambito dei propri compiti di prevenzione e di investigazione, ha individuato e sequestrato prodotti medicinali provenienti dalla Cina, introdotti illegalmente nel nostro Paese, tra cui 22.308 confezioni di medicinali e migliaia di confezioni di creme, integratori, cerotti, oli ed unguenti medicinali.
In Italia il controllo della produzione di farmaci è effettuato secondo criteri e metodiche regolari, e ricomprende sia i medicinali branded sia quelli generici.
La normativa europea in materia di norme di buona fabbricazione dei medicinali, recepita con il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, prevede per i titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci l'obbligo di controlli e verifiche stringenti.
Il sistema viene, peraltro, monitorato tramite le ispezioni effettuate dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), alle quali sono soggetti i produttori di farmaci e di materie prime farmacologicamente attive.
Relativamente ai Paesi terzi, dove possono essere prodotti medicinali e principi attivi a rischio, si precisa che il citato decreto legislativo ha consentito anche per questi Paesi la verifica del rispetto delle norme richiamate.
Sono state disposte diverse ispezioni, effettuate con la collaborazione di esperti dell'Istituto superiore di sanità; va precisato, peraltro, che già antecedentemente alla normativa citata, l'Italia ha partecipato alle ispezioni svolte dalle organizzazioni internazionali.
Nella lotta ai farmaci contraffatti, il nostro Paese è certamente all'avanguardia in Europa, poiché ha da tempo avviato una cooperazione ufficiale con l'OMS e il Consiglio d'Europa.
Infatti, a seguito dell'allarme lanciato dall'OMS, secondo il quale il 10 per cento circa dei farmaci che circolano nel mondo sarebbero contraffatti, nello scorso mese di aprile è stato costituito un tavolo tecnico, che vede la partecipazione dell'AIFA, del Ministero della salute, dei NAS e dell'Istituto superiore di sanità, per l'adozione delle opportune iniziative di controllo.
Negli ultimi mesi sono stati realizzati corsi formativi per gli ispettori che operano sul territorio nazionale, e sono state individuate le necessarie procedure.
L'AIFA ha designato un coordinatore delle attività anti-contraffazione, il quale, in collaborazione con i NAS, deve verificare i casi che possono interessare il nostro Paese, tramite il collegamento con le organizzazioni internazionali.
Tra le attività già in corso, coordinate dall'AIFA e relative al territorio nazionale, si segnala quella che riguarda il commercio illegale dei medicinali su Internet, che costituisce senz'altro una delle principali fonti di diffusione di medicinali di dubbia qualità.
A tale riguardo, si sta provvedendo ad un campionamento dei siti sospetti, che fornirà i dati utili per avviare una campagna informativa a beneficio dei cittadini sui rischi degli acquisti di farmaci da fonti non controllate.Pag. 82
Lo scopo della campagna è quello di una corretta ed obiettiva informazione su tali rischi che possono compromettere la salute dei pazienti, senza creare, tuttavia, ingiustificati stati di allarme nella collettività.
Per quanto riguarda più in particolare il caso dei dentifrici a marchio Colgate, si precisa che il competente dipartimento del Ministero, facendo seguito alle notizie diffuse nel primo pomeriggio del 6 luglio da un'agenzia di stampa, relative alla presenza sul mercato spagnolo di dentifrici contraffatti del suddetto marchio, risultati tossici per alta concentrazione di dietilen glicole, prodotti in Sudafrica, Camerun e Cina, riferiva al comando NAS che le autorità sanitarie canadesi avevano diramato un'allerta concernente il rinvenimento di un ulteriore dentifricio a marchio Colgate, presumibilmente contraffatto, risultato contaminato da batteri aerobici altamente patogeni della famiglia enterobacteriacee.
Venivano subito attivati i NAS per verificare la presenza in commercio di dentifrici a marchio Colgate che, indipendentemente dalle tipologie segnalate, riportassero sulle confezioni indicazioni esclusivamente in lingua straniera e, pertanto, non conformi alla legge n. 713 del 1986 concernente norme attuative di direttive europee riguardanti produzione e vendita di cosmetici.
Il comando, pertanto, disponeva: la ricerca dei dentifrici a marchio Colgate privi di indicazioni in lingua italiana; il sequestro del prodotto e il contestuale prelievo di campioni da recapitare ai reparti chimico e microbiologico del dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità.
In aggiunta alle specifiche tecniche fornite dall'Istituto superiore della sanità nella mattinata del 7 luglio 2007, che prevedevano la composizione del campione in due aliquote da due confezioni ciascuna, i NAS disponevano anche il prelievo di ulteriore aliquota da mettere a disposizione dell'autorità giudiziaria competente per territorio, per gli aspetti di rilevanza penale correlati all'eventuale rinvenimento di prodotti contraffatti.
Le ricerche dei reparti dei carabinieri, eseguite nella giornata del 7 luglio ultimo scorso terminavano con il sequestro amministrativo, nell'ambito di 27 province, di 19.402 dentifrici Colgate non conformi, rinvenuti presso 53 esercizi commerciali, e con il contestuale prelievo di 61 campioni, di cui 48 rimessi all'Istituto superiore di sanità.
Le verifiche, proseguite nella giornata del 9 luglio e concluse il 12 luglio successivo, hanno consentito di rinvenire e sequestrare, in ambito nazionale, un numero complessivo di 980.860 confezioni di dentifricio Colgate con etichettatura non conforme, che riportano, nella maggior parte dei casi, indicazioni in lingue inglese, francese e dell'est Europa. Sono stati prelevati in totale 212 campioni.
Con un comunicato del 9 luglio 2007, il Ministero della salute ha reso noto il cessato allarme per contaminazione microbica, in quanto le autorità sanitarie del Canada avevano comunicato, nello stesso giorno, l'esito definitivo, negativo, delle ulteriori analisi di laboratorio riguardanti le confezioni di dentifricio sequestrate per sospetta contraffazione. Queste nuove analisi, infatti, hanno consentito di escludere la contaminazione dal batterio, in precedenza segnalata a seguito delle prime analisi del 6 luglio 2007.
Per effettuare le analisi sui campioni di dentifrici sequestrati, l'Istituto superiore di sanità ha predisposto uno specifico protocollo analitico, allo scopo di rilevare e dosare il solvente dietilen glicole, eventualmente presente nei campioni, a livelli superiori allo 0,1 per cento. Infatti, livelli inferiori possano essere normalmente presenti in questo tipo di cosmetici, in quanto il dietilen glicole è un'impurezza riscontrabile in alcuni ingredienti di ampio uso, come la glicerina e i polietilenglicoli, anche se di grado farmaceutico, senza costituire rischio per la salute dei consumatori.
L'Istituto superiore di sanità ha svolto le analisi tenendo conto delle seguenti caratteristiche del prodotto: tracciabilitàPag. 83(o meno) dello stesso, relativamente all'identificazione del sito produttivo; città nella quale esso è stato sequestrato; paese di produzione; codice e lotto. Le risultanze analitiche ottenute, attualmente in fase di formalizzazione e completamento, hanno consentito di rilevare, in due soli campioni, una particolare sussistenza di dietilen glicole. In un campione, rinvenuto in un esercizio di importatori cinesi e completamente etichettato in lingua cinese, si è riscontrata positività al dietilen glicole, ma con una concentrazione dello 0,2 per cento, ben al di sotto dei livelli considerati a rischio per tale prodotto. Un secondo campione, anch'esso etichettato in lingua cinese, presentava livelli attorno allo 0,02 per cento. Il resto dei campioni è risultato costituito da dentifrici fabbricati dalle aziende produttrici per la commercializzazione nei vari Paesi del mondo, secondo elevati standard di qualità e sicurezza, ma importati da terzi illegalmente e privi di etichettatura in lingua italiana. È opportuno sottolineare, altresì, che tra le confezioni di dentifricio poste sotto sequestro amministrativo non figurano le tipologie di prodotto indicate dalle autorità sanitarie spagnole e canadesi.
Pertanto, in attesa del risultato degli ulteriori accertamenti mirati a stabilire i canali di commercializzazione impiegati per l'approvvigionamento dei cosmetici sequestrati, si ritiene che i dentifrici, ancorché non conformi sul piano amministrativo, siano originali e provenienti dal mercato parallelo, poiché all'origine destinati ad altre nazioni. Si segnala, inoltre, che parte degli importatori-distributori emersi dall'esame della documentazione commerciale hanno sede in Olanda, Irlanda, Sudafrica, Thailandia, Vietnam, Brasile e Repubblica ceca.
Si precisa, altresì, che oltre ai prodotti Colgate, sono state sequestrate anche 1.389 confezioni di dentifricio di altri marchi con etichettatura non conforme, presumibilmente di importazione parallela.
PRESIDENTE. L'onorevole Pedrizzi ha facoltà di replicare.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, non sono assolutamente soddisfatto della risposta, anche perché dalle date citate dal sottosegretario si rileva, ancora una volta, l'inerzia del Ministero della salute, della direzione generale dei farmaci e del dipartimento della prevenzione e comunicazione. Il sottosegretario sostiene che la direzione generale dei farmaci è stata allertata da una notizia di agenzia il 6 luglio scorso. Il 29 maggio il sistema europeo di vigilanza aveva avvisato tutte le autorità competenti e, per l'Italia, il Ministero delle attività produttive (dispongo di una copia della mail, che le posso consegnare).
Il 1o giugno 2007 il sito Internet dell'autorità sanitaria statunitense comunica la notizia relativa alla scoperta del Deg in alcuni dentifrici cinesi. Il 13 e il 14 giugno la stessa autorità statunitense e la ditta Colgate comunicano il ritrovamento di confezioni contraffatte di dentifricio Colgate (anche in tal caso, le fornirò la documentazione): il 13 e il 14 giugno, dunque un mese prima della data cui lei fa riferimento. È poi eclatante che la direzione generale dei farmaci debba apprendere da un'agenzia di stampa italiana che in Italia c'è un dentifricio che può procurare un danno alla salute.
Pertanto, mentre le autorità sanitarie italiane non prendono alcun provvedimento, le autorità spagnole, edotte dal comunicato di un mese prima dell'autorità comunitaria, iniziano una serie di controlli, e il 13 luglio su un sito, di cui le fornirò l'indirizzo, vengono elencati i dentifrici segnalati dall'autorità statunitense, affermando che forse in Spagna potrebbero non essere presenti. Il 5 luglio, invece, a seguito di analisi svolte, il Ministero della sanità e del consumo spagnolo comunica che anche in Spagna erano state ritrovate mini-confezioni di dentifrici di origine cinese contenenti Deg, distribuiti in alberghi o in ospedali. Anche tutto ciò si trova sul sito del Ministero spagnolo e nella documentazione che le consegnerò. Vengono forniti anche consigli su come riconoscerli.Pag. 84
Sul territorio nazionale italiano vengono sequestrate, come giustamente diceva lei, 190 mila confezioni (ne ho citate circa 20 mila in precedenza) per motivi amministrativi. Il risultato è il seguente: il dentifricio Colgate, come la maggior parte dei cosmetici prodotti da multinazionali, è oggetto di importazioni parallela; è facile trovarlo in ipermercati (forse anche nelle cooperative) o in mercatini a prezzi scontati. Si tratta di prodotti irregolari per l'assenza di dicitura in italiano, ma non pericolosi per la salute. Per questo motivo si sono intasati i locali dove sono state depositate queste 200 mila confezioni. Sono prodotti sempre dalla stessa multinazionale, in differenti siti produttivi, ed a prezzi più bassi che in Europa.
Questo fenomeno rappresenta un illecito amministrativo, e deve essere combattuto dalle dogane e dalle ASL competenti sul territorio. Ma l'esperienza ci dimostra che ciò non avviene normalmente. Forse, a seguito dell'allerta e della chiamata ad una maggiore attenzione, per il futuro ciò accadrà. È infatti prassi comune trovare, nei punti vendita che ho citato, cosmetici di marca a prezzi nettamente inferiori rispetto a quelli consigliati dall'azienda.
In buona sostanza, signor sottosegretario, i NAS erano sicuri di aver sequestrato dentifrici contraffatti, in quanto privi di dicitura in italiano. È chiaro che l'indicazione pervenuta da parte del dipartimento e della direzione dei farmaci era sbagliata, perché i NAS sono andati ovunque a cercare dentifrici che avevano nella dicitura una lingua non conforme alla normativa.
Quindi, l'Istituto superiore di sanità si è riempito di campioni e, come afferma lo stesso comunicato del Ministero della salute del 12 luglio, sui primi campioni analizzati non ha trovato il Deg, e lei me lo ha confermato. Nel frattempo, nessuno è andato a controllare tutti i dentifrici i cinesi che sono ancora in commercio; la direzione generale dei farmaci, alla quale spetta la sorveglianza sui prodotti cosmetici è, a mio avviso, ancora latitante, mentre il dipartimento della prevenzione e comunicazione, del cui capo non voglio fare il nome per buon gusto, non ha saputo impartire ordini precisi ai NAS.
Lei però, signor sottosegretario, non ha risposto alle domande poste nell'interpellanza: verrà introdotta l'etichettatura con l'indicazione della provenienza del prodotto? La direzione generale dei farmaci è in grado di effettuare analisi a così largo raggio con le apparecchiature in sua dotazione? Che fine hanno fatto le 20 mila confezioni sequestrate? Cosa è stato trovato?
Infine, lei non ha accennato ad alcun provvedimento nei confronti dei dirigenti della direzione generale dei farmaci e del dipartimento. A fronte della documentazione che le consegno, e che è apparsa su tutti i siti specializzati, il fatto che il nostro Paese debba aspettare un'agenzia di stampa per poter allertare le autorità, mi sembra veramente troppo e veramente grave.
(Iniziative per un aggiornamento delle linee guida applicative della legge n. 40 del 2004, in materia di procreazione medicalmente assistita - n. 2-00758)
PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00758, concernente iniziative per un aggiornamento delle linee guida applicative della legge n. 40 del 2004, in materia di procreazione medicalmente assistita (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 13).
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, il tema che intendiamo sottoporre all'attenzione del Governo e, in particolare, del Ministro della salute è chiaramente illustrato nel testo dell'interpellanza e, com'è noto, è stato ampiamente commentato nei giorni scorsi da tutti gli organi di informazione, a seguito di una sentenza che, purtroppo, ha suscitato scalpore, del tribunale civile di Cagliari, che ha accolto l'istanza di una donna, portatrice sana di betatalassemia, per la diagnosi preimpianto nel suo embrione criocongelato, disponendone contestualmentePag. 85l'esecuzione in un centro ospedaliero fra i più qualificati del nostro Paese nel campo della fecondazione medicalmente assistita e della prevenzione delle malattie genetiche.
Signor Presidente e signor sottosegretario, da cosa nasce la sentenza del tribunale cagliaritano? Vorrei dire in premessa che nell'applicazione delle leggi e nelle frequenti controversie che a valle ne derivano, e sulle quali i giudici sono poi chiamati a pronunciarsi, entrano in campo non solo interessi economici, ma sempre di più anche libertà e diritti umani fondamentali. Si tratta di controversie che spesso, come in questo caso, generano anche sofferenza e drammi personali molto rilevanti, ai quali questa Assemblea legislativa - la massima Assemblea rappresentativa del popolo italiano - dovrebbe guardare con la massima attenzione.
La sentenza nasce dalla battaglia condotta in questi anni da tante donne italiane - sono lieto del fatto che a presiedere l'Assemblea vi sia una donna che, tra l'altro, porta un cognome che nella terra sarda è indigeno, e che a rispondere vi sia il sottosegretario Patta, che conosce bene tali problematiche - e, in particolare, dopo l'approvazione della legge n. 40 del 2004, con grande sofferenza e determinazione, da una donna e da una coppia sarda per affermare il diritto alla procreazione responsabile.
Si tratta di una coppia di portatori sani della condizione genetica della betatalassemia. Signor Presidente, in Sardegna una coppia su settanta corre il rischio di procreare un figlio affetto da anemia mediterranea; un quinto della popolazione sarda è portatore sano, e spesso inconsapevole, di tale condizione genetica.
Tuttavia, non si tratta di una malattia della mia regione, in quanto è diventata planetaria, è presente in molte parti del mondo e nei paesi meno sviluppati rischia di divenire una patologia incontrollata. La donna, consapevole del rischio di procreare un figlio affetto da anemia mediterranea, ha progettato e avviato qualche anno fa una gravidanza e un progetto di vita. Dopo i primi mesi di gestazione, attraverso gli esami diagnostici prenatali ha accertato che nel proprio grembo vi era un feto portatore di una gravissima patologia. La donna è andata incontro a complicanze molto serie e a una grave forma depressiva, che l'hanno condotta, purtroppo, ad un aborto terapeutico al terzo mese di gravidanza.
La donna, però, non si è arresa e ha iniziato un nuovo percorso attraverso la fecondazione medicalmente assistita in uno dei centri più qualificati del nostro Paese. Il Parlamento, nel frattempo, approvava la legge n. 40 del 2004 e a luglio, con qualche ritardo, il Ministero della salute - come prescrive la stessa legge - ha emanato le linee guida del provvedimento. La donna è incappata, come tante altre donne e coppie italiane, in una congiuntura particolarmente delicata e sfavorevole, in quanto le è stata negata la diagnosi preimpianto, le è stato ricordato l'obbligo di trasferimento in utero di tre embrioni e prospettata, successivamente, la diagnosi prenatale e l'interruzione volontaria di gravidanza.
La donna, dunque, ha subìto la ferocia di quelle norme, ma ha chiesto ad un tribunale di verificare se le linee guida, approvate dal Ministero della salute, siano legittime e compatibili con le prescrizioni effettive della legge sulla fecondazione medicalmente assistita nel nostro Paese. La donna ha rifiutato l'impianto, l'embrione viene crioconservato ed è tuttora vivo nel freddo del congelatore dell'ospedale cagliaritano. Tuttavia, i tempi della pronuncia del tribunale sono lunghi e il calvario continua, come per tante altre donne italiane. La donna, di condizioni economiche molto modeste, anche grazie alla solidarietà dei medici, delle organizzazioni che operano in questo settore e di tanti cittadini italiani spesso anonimi, è riuscita comunque, grazie a una colletta, a recarsi in Turchia. Quindi, quello che è negato in Italia, ma è permesso e consigliato in tutto il mondo e in tutti i paesi civili, ha consentito alla donna di avviare una nuova gravidanza attraverso la diagnosi preimpianto. Ella ora aspetta una bambina, chePag. 86si chiamerà Sofia: ha otto mesi di vita intrauterina e tra poco si affaccerà al mondo esterno. Questa donna - che chiamo con il nome di fantasia di Eleonora Deledda, per rispettare la sua privacy - pensa anche all'altro possibile figlio che potrebbe nascere dall'embrione conservato a Cagliari, quando le fu negata la diagnosi preimpianto.
È un caso emblematico, signor Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi. Il tribunale di Cagliari ha risposto all'appello della donna e con la sentenza ha riaperto una speranza di vita. Altro che ispettori del Ministero della giustizia nei confronti dei giudici di Cagliari, come, purtroppo, ha improvvidamente sollecitato un collega in Assemblea la scorsa settimana! La procura generale di Cagliari ha dichiarato, proprio oggi, che non intende impugnare la sentenza, che fa finalmente chiarezza su uno dei punti più controversi della legge n. 40 del 2004. Il dispositivo di quella norma, come è noto, non era chiaro. Nella legge, però, non vi è un divieto alla procreazione medicalmente assistita e neanche alla diagnosi preimpianto. La stessa legge contiene norme che riconoscono alla coppia, che abbia fatto ricorso a quelle tecniche procreative, il diritto di essere informata sul numero e, dietro esplicita richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e destinati al trasferimento in utero.
Le linee guida ministeriali a valle della legge n. 40 del 2004 hanno, invece, stabilito che ogni indagine relativa alla salute degli embrioni creati in vitro ai sensi dell'articolo 14 dovrà essere di tipo «osservazionale».
Questa coppia rappresenta emblematicamente tante altre coppie: penso a tutte quelle che, attraverso le suddette tecniche, hanno partorito negli ultimi anni un milione e mezzo di esseri umani in tutto il mondo.
Il ricorso di quella paziente (è il caso di dire molto «paziente» e determinata) di Quartu Sant'Elena - in provincia di Cagliari - tendeva a verificare appunto se quella disposizione dell'allora Ministro della salute, avente carattere amministrativo, fosse conforme alla legge n. 40 del 2004 oppure, in caso contrario, se essa dovesse essere disapplicata dal giudice, quindi considerata priva di effetti. I giudici non si erano finora espressi sul tema; neanche la Corte costituzionale ha mai preso posizione: non essendo entrata nel merito, non ha mai pronunciato una sentenza - come si è affermato in quest'aula la settimana scorsa - contro l'utilizzazione della fecondazione medico-assistita e della diagnosi preimpianto. Sono assolutamente infondate, pertanto, le dichiarazioni riportate in questi giorni anche dalla stampa, secondo le quali il tribunale di Cagliari avrebbe violato la pronuncia della Corte costituzionale.
Signor Presidente, la sentenza del tribunale di Cagliari non ha riproposto questioni di costituzionalità sotto questo profilo, ma, sulla base di un'ampia ed argomentata motivazione, ha interpretato la legge n. 40 del 2004 affermando direttamente la liceità delle diagnosi preimpianto e la conseguente illegittimità delle linee-guida. La sentenza medesima ha affermato che la diagnosi è legittima a queste condizioni: se è richiesta dai soggetti interessati; se ha per oggetto gli embrioni destinati all'impianto nel grembo materno; se è finalizzata all'accertamento di eventuali malattie degli embrioni e a garantire, a coloro che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, un'adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare.
Signor Presidente, signor sottosegretario, questo ha deciso un tribunale della Repubblica! Attendiamo adesso, fiduciosi, le decisioni che devono essere assunte - sentiti, naturalmente, gli organi scientifici e tecnici competenti - dal Governo della Repubblica. Il tribunale ha affermato un principio chiaro: accogliendo la domanda, ha disposto l'obbligo del medico e della struttura sanitaria di procedere alla diagnosi preimpianto sull'embrione, destinato ad essere trasferito nell'utero della signora «X» - che chiamo Eleonora Deledda - al fine di poterne accertare lo stato di salute; la sentenza ha, altresì, disposto che l'acPag. 87certamento diagnostico sia effettuato anche con tecniche invasive, secondo metodologie che, in base alla scienza medica, offrano il maggior grado di attendibilità alla diagnosi e il minor margine di rischio possibile per la salute e le potenzialità dello sviluppo dell'embrione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, in risposta a quanto richiesto dagli interpellanti, si ritiene opportuno riassumere brevemente i passaggi istituzionali dovuti per l'aggiornamento delle linee guida della legge n. 40 del 2004.
In premessa, si sottolinea che le linee guida previste dall'articolo 7 della legge n. 40 sono vincolanti per tutte le strutture autorizzate e contengono l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Esse, sempre secondo il dettato della legge n. 40, sono aggiornate periodicamente ogni tre anni, in rapporto all'evoluzione tecnico-scientifica. Le linee guida sono definite con decreto del Ministro della salute e avvalendosi dell'Istituto superiore della sanità, previo parere del Consiglio superiore della sanità. In tal senso, il Ministro della salute, in data 27 aprile 2007, ha formalmente richiesto il suddetto parere al Consiglio superiore della sanità, che lo ha espresso in data 19 luglio 2007.
Il Ministro della salute ha deciso di rendere pubblico il parere del Consiglio superiore della sanità, sia tramite comunicato stampa, sia attraverso la pubblicazione integrale sul sito del Ministero nella stessa data del 19 luglio scorso.
Successivamente, in data 30 giugno 2007, il Ministro ha presentato al Parlamento la relazione sull'applicazione della legge 19 febbraio 2004, n. 40, come previsto dall'articolo 15 della legge medesima.
Si ritiene utile riassumere i principali dati presentati nella relazione, riferiti in particolare alle tecniche a fresco Fivet e Icsi negli anni 2003 e 2005: complessivamente sono stati censiti 169 centri contro i 120 del 2003, dai quali risultano 6.235 gravidanze contro le 4.807 del 2003, con una media di gravidanza per centro del 36,9 per cento a fronte del 40,1 per cento del 2003; le pazienti trattate sono state 27.254 nel 2005 contro le 17.125 del 2003; le percentuali di gravidanze ottenute sui prelievi passano dal 24,8 per cento del 2003 al 21,2 per cento del 2005, con una riduzione di 3,6 punti percentuali; applicando la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi nel 2003 ai prelievi eseguiti nel 2005, si evince una perdita ipotetica di 1.041 gravidanze; il numero di trasferimenti effettuati con un solo embrione è passato dal 13,7 per cento del 2003 al 18,7 per cento del 2005, mentre più del 50 per cento dei trasferimenti viene effettuato con tre embrioni contro il 44 per cento del 2003; è aumentata dal 22,7 per cento del 2003 al 24,3 per cento del 2005 la percentuale di parti plurimi (gemellari, trigemini e multipli); sono aumentati dal 23,4 per cento nell'anno 2003 al 26,4 per cento nell'anno 2005 gli esiti negativi delle gravidanze, per aborti spontanei, morti intrauterine, gravidanze ectopiche correlate all'obbligo di impianto di tutti gli embrioni previsto dalla legge n. 40 del 2004.
Rispetto alla situazione precedente all'entrata in vigore della legge risulta: una diminuzione delle percentuali di gravidanze, con conseguente diminuzione di bambini nati; una più elevata percentuale di trattamenti che non giungono alla fase del trasferimento o con bassa possibilità di successo (trasferimento di un embrione non elettivo); un numero di ovociti inseminati minore a fronte di un numero maggiore di embrioni trasferiti; una più elevata incidenza di parti plurimi, con i conseguenti effetti negativi immediati e futuri per i nati e per la madre; un aumento degli esiti negativi delle gravidanze.
In conclusione alla sua presentazione alla relazione il Ministro Turco ha sottolineato: «Auspico che, a tre anni dall'applicazione della legge, si continui a riflettere, con grande rigore e sobrietà, sullaPag. 88legge medesima, a partire dagli esiti dell'applicazione delle tecniche, al fine di garantire alle donne e alle coppie la migliore efficacia e sicurezza delle tecniche e al fine di garantire al meglio proprio i principi ispiratori dichiarati dalla legge, che sono la tutela della salute delle donne e la tutela degli embrioni».
Inoltre, si sottolinea che il Ministro Turco parteciperà in data 17 ottobre prossimo in Commissione affari sociali alla discussione parlamentare concernente la relazione richiamata.
In relazione alla prossima emanazione delle nuove linee guida, nel prendere atto della sentenza del tribunale di Cagliari, che, come hanno ricordato gli interpellanti, ha accolto l'istanza di una donna portatrice sana di beta talassemia per la diagnosi preimpianto del suo embrione congelato, disponendone l'esecuzione, si ribadisce che il Ministro della salute, avendo concluso il percorso istituzionale previsto dalla legge, sta predisponendo lo specifico decreto ministeriale.
Infine, si segnala che, sebbene non esplicitamente previsto dalla normativa vigente, ma per il rispetto istituzionale del ruolo del Parlamento, è intenzione del Ministro della salute informare le Commissioni parlamentari competenti, come già dichiarato in altre occasioni pubbliche.
PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di replicare.
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, replico molto brevemente: sono soddisfatto e allo stesso tempo preoccupato per i dati che il Governo ha fornito testé in aula. Sono dati significativi, eloquenti e allo stesso tempo inquietanti, perché dimostrano che l'applicazione distorta della legge n. 40 del 2004, varata dal Parlamento italiano e che tutti dobbiamo rispettare perché è stata sottoposta anche a referendum popolare, sta producendo frutti molto negativi: meno gravidanze, più complicanze, più parti plurimi, più aborti, più morti intrauterine. Nascono meno bambini, alla faccia della crisi di natalità del nostro Paese!
Signor sottosegretario, bisogna continuare a riflettere, come il Governo suggerisce, ma non solo e non tanto sugli esiti dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita: mi sembra che dovremmo riflettere molto rigorosamente sulla mancata applicazione delle tecniche, che oggi la scienza medica mette a disposizione della vita umana per la tutela della salute e per una procreazione responsabile e consapevole.
Nascono meno bambini. Parteciperemo con grande attenzione alla relazione e all'audizione del Ministro della salute del prossimo 17 ottobre in Commissione. Nel frattempo, però, penso che il Paese - non solo noi, ma tutta la comunità nazionale - si attenda una correzione saggia di quelle norme, che un tribunale della Repubblica ha dichiarato assolutamente illegittime e dannose per la salute delle donne e delle coppie italiane.
PRESIDENTE. Prima di passare all'esame della prossima interpellanza urgente dispongo una breve sospensione di cinque minuti.
Sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 19,15, è ripresa alle 19,20.
(Progetto di realizzazione di una moschea nel comune di Bologna - n. 2-00678)
PRESIDENTE. L'onorevole Garagnani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00678, concernente il progetto di realizzazione di una moschea nel comune di Bologna (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 14).
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, intendo indurre il Governo a riflettere sul fatto che pur essendo l'interpellanza in esame datata - in quanto è stata presentata il 24 luglio scorso e da allora sono sopraggiunti alcuni fatti nuovi, come il rigetto del progetto originario da parte della giunta Cofferati - tutti i problemi sottesi alla medesima permangono allaPag. 89luce di una serie di domande, che la società civile di Bologna ha posto e continua a porre alla giunta comunale.
L'interpellanza ha preso lo spunto dall'arresto dell'imam della moschea di Perugia e di alcuni complici coinvolti in azioni eversive, nonché dalle dichiarazioni che, in occasione di quell'arresto, il Ministro dell'interno Amato ha reso in merito alla presenza in molte moschee - non intendo generalizzare, però il Ministro si è espresso in modo estremamente chiaro - di imam che trasformano le medesime da luogo di culto a luogo di incitamento all'odio razziale e religioso, spesso anche di incitamento ad azioni di terrorismo politico.
Considerato tutto ciò, ho presentato, insieme ad altri colleghi, l'interpellanza in esame perché in quel momento a Bologna si parlava di un progetto di realizzazione di una moschea su un'area di oltre seimila metri quadrati, con annessi centro di cultura islamica e centro coranico. Tale progetto andava oltre le esigenze della comunità islamica locale, che sulla base di indagini demoscopiche si aggira sulle 5-7 mila persone, non di più, di cui il 5-10 per cento praticanti, quindi non giustificava affatto la realizzazione, in presenza peraltro - sono dati tuttora attuali - di incertezza circa il finanziamento, promotori della medesima (i quali risiedono nel milanese a Segrate) e soprattutto in presenza di circostanze, a dir poco anomale, che riguardavano il suddetto luogo di culto.
Questo progetto - si trattava, lo ricordo, di una permuta - è stato ritirato dal sindaco. Non voglio entrare nel merito di tale decisione sulla quale si è espresso il consiglio comunale. Sulla realizzazione di tale progetto si sono tenute assemblee, soprattutto nei quartieri dove è più forte la presenza delle componenti politiche, che hanno appoggiato Cofferati nell'ultime elezioni amministrative e che, a mio avviso, lo hanno costretto a ritirare la delibera, ma si è registrata anche una presa di posizione dell'intera cittadinanza.
Bologna nell'ultimo anno è stata un po' il centro di atti di terrorismo particolarmente significativi. Mi riferisco in primo luogo al tentato attentato, in occasione dell'elezioni politiche del 2006, alla basilica di San Petronio, tuttora protetta costantemente dalle forze dell'ordine ed interdetta al culto per alcune ore della giornata (fatto anomalo); in secondo luogo, all'espulsione da Bologna, nel dicembre 2006, di quattro marocchini per connivenze con il terrorismo internazionale; in terzo luogo, alla recente rogatoria - non richiamata nell'interpellanza, in quanto ho ricevuto gli atti solo adesso - inoltrata dalla procura della Repubblica di Bologna a quella di Parigi al fine di avere informazioni su alcuni terroristi islamici che risiedevano a Castel Sant'Pietro, San Lazzaro di Savena e a Bologna e che attualmente si trovano in Francia, sospettati di collusioni con le cellule più eversive di Al-Qaeda.
Fatte queste premesse, chiedo al Governo di segnalare e di farsi carico non soltanto dei problemi sottesi all'atto di sindacato ispettivo in esame, ma anche delle aspettative dell'opinione pubblica, che è particolarmente preoccupata per la recrudescenza di questi atti criminosi.
Non cito in questa sede, ad esempio, i continui tentativi e i collegamenti fra giovani esponenti dell'integralismo islamico e settori dei no global, per quanto riguarda la gestione del CPT di Via Enrico Mattei, che pure ho visitato e che assolutamente non è luogo di detenzione, ma di temporanea sosta, dotato di tutte le strutture che consentono ad una persona di vivere con la propria dignità, in attesa del rimpatrio. Nel rispetto dell'autonomia dell'ente locale, che comunque deve farsi carico dei problemi della propria collettività, chiedo al Governo di esprimersi in merito al rischio potenziale che le moschee diventino, sempre più, non luoghi di culto, ma di propagazione di idee eversive, di incitamento all'odio razziale ed altro. In secondo luogo, chiedo al Governo se disponga di informazioni precise sui reali, anche se occulti finanziatori della moschea, sui promotori e sui problemi che concernono l'utilizzo delle forze dell'ordine per la sorveglianza della medesima.Pag. 90
Il problema - lo ripeto - non è superato se non parzialmente, dal momento che il ritiro del progetto presuppone un altro progetto che la giunta di Bologna ha già dichiarato di voler promuovere. Affermo tutto ciò - e concludo - non all'insegna di una voluta discriminazione da parte mia o di una volontà di non integrazione con la realtà extracomunitaria presente nella mia città, ma all'insegna di fatti e atti significativi, che credo debbano indurre ad un'attenta riflessione non solo l'opposizione, ma anche la maggioranza e il Governo stesso, perché essi sono stati acclarati e dimostrati. Bologna, per la sua configurazione geografica, quale snodo essenziale dal punto di vista ferroviario, aeroportuale e autostradale, è in una condizione di particolare delicatezza, essendo a cavallo delle grandi vie di comunicazione e in grado di congiungere il nord Italia al centro-sud.
Questi sono i motivi della presente interpellanza, che si fa carico di una realtà complessa - lo ripeto - che può essere considerata solo parzialmente superata, ma non lo è, perché se è vero che la delibera per la grande moschea è stata ritirata, ritengo che i motivi di fondo che l'hanno ispirata permangano. Vi è tutto il problema significativo, proposto anche in questa interpellanza, della natura - e in proposito il mio ruolo di componente la Commissione cultura lo rende evidente - di una scuola coranica avulsa dal sistema scolastico italiano o di una scuola islamica o ancora di un centro di cultura. Vi è la necessità che anche tali strutture siano sottoposte, come tutte le scuole paritarie o private, al controllo del Ministero della pubblica istruzione. Sono molti i problemi connessi che sono stati parzialmente disattesi (o ignorati) dalla giunta di Bologna, nonostante i ripetuti avvertimenti dello stesso Ministro dell'interno. Queste sono le ragioni della mia interpellanza, che - mi creda, signor sottosegretario - risponde a esigenze sentite non soltanto dalla mia parte politica, ma da tutta la collettività bolognese: nelle assemblee pubbliche indette dalla giunta comunale, infatti, erano più i cittadini di orientamento di centrosinistra che quelli di centrodestra ad esprimersi contro la pericolosità di un progetto, che di fatto così come configurato - insisto, così come configurato, non in sé e per sé - destabilizzava l'intera convivenza civile.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, l'onorevole Garagnani richiama l'attenzione - mi riferisco, soprattutto, all'ultima parte del suo intervento - sulla crescita quantitativa delle moschee sul territorio nazionale. Egli esprime una preoccupazione con riferimento alla natura delle attività svolte all'interno di questi luoghi di culto; se, effettivamente, dette attività possano considerarsi o no rispondenti all'esercizio di funzioni religiose e, soprattutto, ritiene necessario che proprio su tali attività vengano attuate incisive azioni di controllo, anche al fine di scongiurare il rischio di possibili attività illecite.
Vorrei rispondere su questo punto all'onorevole Garagnani, dicendo che chiaramente la stessa premura e attenzione che si pone sulla diffusione di questa realtà e sui possibili rischi è già presente nella preoccupazione del Ministero dell'interno, soprattutto per quei profili che possono rappresentare un pericolo per la sicurezza pubblica. D'altra parte, come egli stesso sa, lo stesso Ministero non ha mancato negli anni - proprio nella persona del Ministro dell'interno - di adottare i necessari provvedimenti di espulsione per motivi di ordine e sicurezza dei confronti di soggetti presenti a diverso titolo nelle moschee di Torino, Como, Varese, Reggio Emilia e di recente in quella di Perugia. Il Ministero dell'interno svolge soprattutto un costante monitoraggio di tutte le realtà religiose e non solo di quella islamica, anche per rilevare nelle modalità di espressione del diritto alla libertà religiosa in forma individuale o associata, la capacità e l'intendimento delle comunità di svilupparsi secondoPag. 91principi democratici e integrarsi nel tessuto sociale, pur mantenendo la propria identità religiosa.
A tal proposito, come ha dichiarato lo stesso Ministro Amato, la chiusura delle moschee non farebbe altro che creare le premesse per accentuare un'ulteriore radicalizzazione e separatezza degli islamici. Negare ad una minoranza i propri luoghi di culto significherebbe negare il diritto di esistere e quindi spingerla alla ricerca di una esasperata identità alternativa, in alternativa, in forma di reazione. Per quanto riguarda il problema dei finanziamenti - da lei stesso posto nell'interpellanza urgente in esame - sicuramente il tema si inserisce in un quadro più ampio già da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno. Si tratta da un lato di evitare che finanziamenti provenienti dall'estero possano condizionare impropriamente l'attività dei suddetti centri, dall'altro di vigilare affinché nei luoghi di culto islamici non si proceda a raccolte di fondi in parte o totalmente destinati a fini illeciti. A tal proposito, le ricordo che dal mese di agosto del 2005 la guardia di finanza, nel quadro di una iniziative interforze attivata nell'ambito del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, ha in corso sull'intero territorio nazionale uno specifico piano di intervento, volto al monitoraggio del settore del money transfer, attraverso l'esecuzione dei controlli di natura amministrativa nei confronti degli stranieri operanti nel settore, anche allo scopo di verificare l'osservanza della disciplina antiriciclaggio e la regolarità delle operazioni di trasferimento dei fondi per accertare l'utilizzo eventuale per finanziare il terrorismo internazionale o altri illeciti.
Questi interventi si inquadrano in una costante attività di prevenzione, che viene condotta dalle forze dell'ordine verso i luoghi di aggregazione delle comunità musulmane: call center, internet point, money transfer - come ho già detto - in cui sia possibile riscontrare l'eventuale presenza di stranieri gravitanti nell'area dell'integralismo islamico. Solo nel 2006, tramite tale azione, sono stati controllati oltre 10 mila obiettivi, identificati circa 40 mila stranieri, di cui 927 denunciati per l'inosservanza delle norme in materia di soggiorno e 386 arrestati per vari reati. Sono state inoltre avviate 1.088 procedure di allontanamento dal territorio nazionale ed eseguiti 20 provvedimenti di espulsione per motivi di ordine e sicurezza pubblica.
Dal 1o gennaio al 15 agosto 2007 sono stati controllati 2.600 obiettivi, identificati 10.259 stranieri - di cui 252 denunciati e 60 arrestati - e avviate 236 procedure di espulsione. Inoltre, sono state irrogate 231 contravvenzioni per irregolarità amministrative, nei confronti di gestori di call center, internet point, money transfer. Le diverse azioni giudiziarie, condotte negli anni in Italia e quelle recentemente avviate a Perugia, hanno permesso di accertare come nell'ambito di taluni centri culturali islamici, ubicati principalmente nel nord Italia, alcuni Imam abbiano, nei loro sermoni, veicolati sentimenti anti-occidentali, diffondendo anche materiale audiovisivo di matrice jihadista.
Si tratta tuttavia di una minoranza rispetto ad un orientamento generalmente moderato dei luoghi di culto islamico presenti sul territorio nazionale. Nel caso di Bologna, l'attenzione sul tema di infiltrazioni e possibili progettualità terroristiche è particolarmente alta; ciò anche in considerazione dell'attenzione particolare e specifica che lei ricordava essere data alla basilica di San Petronio. Proprio con riferimento all'attività investigativa che ha riguardato tale basilica, coordinata dalla procura della Repubblica del capoluogo, sono emersi concreti elementi in ordine all'esistenza di una progettualità terroristica di matrice islamica. I successivi sviluppi investigativi hanno portato all'arresto, da parte degli organismi di sicurezza marocchini, di uno dei principali ispiratori del progetto, nonché all'identificazione e localizzazione, in territorio italiano, di alcuni presunti componenti della cellula potenzialmente coinvolta, che, anche in ragione dell'urgenza, sono stati raggiunti da provvedimenti espulsivi emessi dal Ministro dell'Interno.
Oltre all'attività investigativa, la città di Bologna, in particolare l'area della basilicaPag. 92di San Petronio, è da sempre oggetto di accurata opera di prevenzione. A riprova di ciò sono gli innumerevoli controlli effettuati nei confronti di tutti quei cittadini stranieri, che in forme diverse manifestano particolare interesse all'affresco contenuto nella basilica: l'affresco di Giovanni da Modena. Detto questo, comunque, allo stato non risulta alcun elemento che porti a collegare l'azione progettata contro San Petronio con la comunità islamica locale o la vicenda relativa alla realizzazione della moschea. Non sussistono, al momento, neppure elementi significativi che facciano emergere collegamenti strutturati e/o sinergie operative tra esponenti dell'integralismo islamico e militanti dell'antagonismo di sinistra o dell'area anarchica.
Passando alla costruzione della moschea - sorrido perché credo che di ciò, onorevole Garagnani, abbiamo parlato proprio in occasione di un precedente atto di sindacato ispettivo, quindi mi veniva in mente che già ci eravamo confrontati su tale punto - inizialmente, l'8 maggio 2007, il consiglio comunale di Bologna ha deliberato di cedere all'ente di gestione dei beni islamici in Italia, in permuta di un terreno di 6.800 metri quadri, un'area di 52 mila metri quadri presso la zona ex CAAB del quartiere San Donato, al fine di costruire sulla stessa un complesso di circa seimila metri quadrati idoneo ad ospitare il «Centro di cultura islamica», luogo di culto e aggregazione culturale ora provvisoriamente collocato in uno stabile di via Pallavicini 13.
Con la medesima delibera venivano approvati l'accordo infraprocedimentale ex articolo 11 della legge n. 241 del 1990, relativo alla permuta, e lo schema di protocollo d'intesa tra comune e Centro di cultura islamica inerente alle modalità di utilizzazione dell'edificio e alla gestione delle attività dell'erigendo centro di culto. Il protocollo contemplava l'istituzione di un comitato di garanzia a composizione paritetica mista comune-centro, chiamato a vigilare sulla regolarità della raccolta dei fondi e sulle iniziative assunte. Attualmente né l'accordo né il protocollo sono stati stipulati, probabilmente in ragione delle polemiche seguite alla vicenda. Il progetto ha difatti registrato, fin da subito - lei, onorevole Garagnani, lo ricordava - prese di posizione critiche, da parte sia di alcuni partiti, sia della curia. Le perplessità della curia si incentravano principalmente sull'assenza di una preventiva consultazione popolare e sul pericolo che, all'ombra dei luoghi di preghiera, si svolgessero attività di proselitismo per il jihad militare o si educasse a valori confliggenti con la libertà religiosa. La permuta invece è stata oggetto di ricorso alla Corte dei conti, il 3 agosto, nel quale si recepiva la mancanza di congruità tra il valore dei terreni e un conseguente danno erariale.
Inoltre si è avviata una raccolta di firme per l'indizione di un referendum contro la costruzione della moschea; sull'ammissibilità del quesito referendario, formalizzato il 20 giugno e integrato nelle motivazioni a inizio settembre, si dovrebbe pronunciare prossimamente il comitato dei garanti. Gli stessi firmatari hanno poi comunicato che sull'area destinata alla costruzione della moschea insiste un oleodotto militare sotterraneo della rete NATO-POL, che fornisce le basi dell'Alleanza atlantica del nord Italia, per cui sarebbe stato necessario anche un nulla osta dell'autorità militare. In risposta a tali critiche, l'amministrazione comunale ha sottolineato la necessità primaria, in un contesto di pluralismo etnico e religioso, di garantire un luogo di culto agli appartenenti a qualsiasi professione religiosa, fermo restando l'ineludibile obbligo, in capo agli amministratori, di curare che esso mantenga rigorosamente la propria funzione e che non ospiti attività di altro genere, aspetto che avrebbe dovuto essere assicurato dal comitato di garanzia paritetico previsto nello stipulando protocollo di intesa tra comune e centro di cultura islamica.
Anche la CGIL di Bologna, in un comunicato del 16 settembre, esprimeva solidarietà alla comunità musulmana, chiedendo che fosse riaffermata con forza la libertà di culto e il diritto costituzionale diPag. 93poterla esprimere in sedi a ciò deputate. Da ultimo, il 18 settembre, l'esecutivo ha revocato la delibera di giunta sulla costruzione della moschea per avviare un iter di confronto partecipato con i cittadini e le associazioni del quartiere San Donato. La nuova delibera da un lato ribadisce la necessità e la volontà di costruire un nuovo luogo di culto islamico, perché la libertà di culto è un diritto e perché l'attuale collocazione della moschea in via Pallavicini è oberata da problemi logistici e di traffico, dall'altro dà un'indicazione precisa circa la collocazione della stessa nel quartiere San Donato, nell'area ex CAAB. Il provvedimento avvierà un iter di partecipazione che sarà gestito dal quartiere San Donato, cui prenderanno parte il comitato di cittadini residenti, i rappresentanti del centro islamico e le associazioni di quartiere, dal centro sociale alle categorie economiche. La comunità islamica dovrà presentare uno schema progettuale di massima che indichi gli usi e le attività del nuovo centro di culto, col vincolo che ci sarà spazio solo per le attività strettamente connesse al luogo di culto. Tale iter si concluderà entro il 18 ottobre e la giunta comunale adotterà entro il 30 ottobre la nuova proposta di delibera che sottoporrà poi al voto del consiglio.
PRESIDENTE. L'onorevole Garagnani ha facoltà di replicare.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la sua risposta abbastanza comprensiva di alcuni interrogativi posti dal sottoscritto e, in genere, dall'opinione pubblica bolognese, ma non mi posso dichiarare soddisfatto per la genericità di alcune riflessioni. In particolare, avevo chiesto se fossero stati monitorati adeguatamente i collegamenti e soprattutto le fonti finanziarie che hanno dato luogo alla progettata moschea, dal momento che questo progetto di 6 mila metri quadrati, con annesso centro commerciale, centro coranico e centro di cultura, è estremamente costoso e significativamente rilevante nel contesto del nord Italia. Si parlava della seconda moschea in Italia dopo quella di Roma per dimensione, per profusione di materiale impiegato ed altro.
Ora, di fronte a ciò, credo sia doveroso da parte di un Governo, in presenza dei ricordati collegamenti, di elementi di turbativa dell'ordine pubblico sui quali si è soffermato anche il sottosegretario recentemente, avere informazioni precise sui finanziamenti, sulla fonte dei finanziamenti, sulle caratteristiche dei promotori dell'iniziativa, che non risiedono a Bologna, uno dei quali è stato a suo tempo indagato (doveva svolgere un'iniziativa a Bologna nel periodo pasquale ed è stato trattenuto dalla DIGOS a Milano).
Siamo quindi in presenza di alcuni elementi preoccupanti, tant'è che lo stesso vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, in un'intervista a un locale quotidiano, Il Resto del Carlino, che è il quotidiano di Bologna, ha dichiarato la sua personale perplessità, se non contrarietà alla definizione del progetto di questa moschea, per come è configurato, alla luce proprio degli elementi ambigui della medesima, e soprattutto alla luce della pericolosità di alcuni dei promotori: pericolosità sociale, pericolosità politica, pericolosità per le affermazioni svolte dai medesimi in favore di attività potenzialmente eversive. In considerazione di tali elementi, anche un musulmano, una persona stimata ovunque, ha dichiarato che il progetto di moschea, come configurato, confliggeva sicuramente con ragioni di tutela dell'ordine pubblico non giustificandosi peraltro con ragioni di rispetto della fede religiosa.
Vede, sottosegretario, non è in discussione la libertà religiosa - ci mancherebbe! - o il diritto di ogni comunità, nel rispetto delle leggi dello Stato, a edificare un luogo di culto. Occorre però tenere presente una considerazione che viene ripetuta molto spesso in questa Assemblea, soprattutto da esponenti dell'attuale maggioranza: lo Stato è laico e non deve favorire alcuna confessione religiosa. In questo caso, si è avuta l'impressione di un atteggiamento di sostanzialePag. 94favoreggiamento, per non dire oltre, verso la minuscola comunità islamica. Personalmente ritengo invece che lo Stato debba essere neutrale rispetto alle problematiche religiose; ho anzi dichiarato ieri che esso - intendo anche le sue emanazioni periferiche (come regioni, comuni e province) - ha un dovere: il nostro popolo ha una propria tradizione culturale e spirituale che deve essere valorizzata e difesa, non per comprimere altre tradizioni ma per meglio favorire quel processo di integrazione al quale tutti ci dichiariamo favorevoli. Se non correttamente inteso, tale processo di integrazione determina infatti quei rischi di xenofobia e razzismo che, caro sottosegretario, ho visto personalmente in alcune assemblee nelle aree più vicine alla sua parte politica. Le proteste venivano proprio da lavoratori dipendenti, da lavoratori che si collocano sicuramente in un alveo politico diverso dal mio e alternativo al mio. E questo dovrebbe indurre a riflettere sulla facilità con cui molto spesso certi enti locali e certe giunte difendono a parole una presunta libertà religiosa che nessuno mette in discussione, però nei fatti tradendo così una loro sostanziale abdicazione nei confronti del diritto-dovere di difendere la collettività nella sua storia e nella sua identità venendo incontro alle istanze che essa pone.
Connesso a ciò è l'assenza di qualsiasi verifica sull'oleodotto militare, sul quale si è soffermato il sottosegretario, nonché il fatto che gli enti di gestione dei beni islamici in Italia non hanno chiarito fino in fondo la loro posizione in merito a questo progetto che, ripeto, come configurato, era assolutamente sproporzionato - ripeto: assolutamente sproporzionato - alle esigenze della comunità islamica, molto più piccola nelle sue dimensioni rispetto al progetto medesimo.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione. Mi è parsa fuori luogo l'attestazione della CGIL sulla libertà di culto. Chi la nega? Nessuno! Tutto deve solo svolgersi nel rispetto della legge. E in questo senso ho colto positivamente l'accenno al fatto che, se viene chiesto il permesso per la costruzione della moschea, ciò deve essere per l'esercizio di un culto, non per l'edificazione di una scuola islamica o di un centro coranico. In tali casi credo debbano valere le leggi che regolamentano le istituzioni scolastiche ovvero l'ordinamento scolastico italiano, il cui rispetto deve imporsi a tutte le principali istituzioni scolastiche; i valori della nostra Costituzione debbono inderogabilmente essere trasmessi nelle scuole, che devono essere sottoposte alla vigilanza delle direzioni scolastiche regionali o provinciali per gli adempimenti che caratterizzano tutte le scuole presenti nel nostro Paese, siano esse pubbliche, paritarie o meramente private.
In conclusione, inviterei il Governo a prestare maggiore attenzione sia al rischio che corre permanentemente la basilica di San Petronio, sia ai collegamenti fra settori marginali - non voglio colpevolizzare un'intera collettività, sia ben chiaro - dell'estremismo islamico e settori dei no global.
Aggiungo inoltre che - anche se ciò non costituisce oggetto della presente interpellanza (ma riguarda lo stesso argomento) - in una recente perquisizione presso il CPT di via Enrico Mattei nella tasca di un immigrato extracomunitario irregolare sono stati trovati i numeri di cellulari di esponenti no global fra cui anche alcuni esponenti politici italiani e bolognesi in particolare. Ciò a dimostrare - non faccio nomi in Assemblea per non intralciare le indagini e per un dovere di riservatezza, ma sicuramente la DIGOS e il Ministero dell'interno ne hanno notizia - come tali collegamenti esistano; ma la materia, come dicevo, è oggetto di una differente interpellanza che ho presentato e sulla quale ci confronteremo.
Concludo pertanto manifestando ancora la mia preoccupazione e la mia insoddisfazione. Do atto di una certa serietà nella risposta che mi è stata data: essa però non ha esaurito tutti i quesiti che avevo posto. Auspico infine che il Governo si faccia carico di questi problemi senza indulgere ad una facile demagogia e ad un facile populismo che caratterizzanoPag. 95talune forze di questa maggioranza, le quali - in nome del presunto recupero del dialogo e di una omologazione fra tutte le culture - di fatto penalizzano lo stato di diritto e le istanze ultime della nostra popolazione.
(Decesso del commerciante Nabi Noor - n. 2-00689)
PRESIDENTE. L'onorevole Duranti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Frias n. 2-00689, concernente il decesso del commerciante Nabi Noor (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 15), di cui è cofirmataria.
DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, il 17 luglio 2007, all'ospedale di Grosseto, è morto - forse d'infarto - il commerciante Nabi Noor di 53 anni, coinvolto nell'operazione di polizia condotta dalle forze dell'ordine sulla spiaggia di Follonica per reprimere presunti fenomeni di abusivismo commerciale. Da molte dichiarazioni dei presenti al fatto, risulta che l'uomo sia caduto riverso sulla spiaggia e che non siano stati tempestivamente chiamati i soccorsi. È stato il titolare di un bagno, che conosceva la vittima, a chiamare l'ambulanza quando ha avuto modo di intuire il rischio che questi stava correndo.
Follonica è una cittadina balneare con 22 mila residenti, che in estate supera le 100 mila presenze, trasformandosi in un mercato e in un'occasione di lavoro per molti cittadini italiani e cittadini stranieri. Questa, come altre realtà dei luoghi del turismo di massa, merita a nostro giudizio la massima attenzione e cura.
Il rigore dispiegato nei riguardi di presunti abusi dovrebbe essere rivolto nei confronti di caporali e sfruttatori della manodopera italiana e straniera, che sono ben più difficilmente raggiungibili dalle forze dell'ordine: non invece nei confronti delle persone più povere, che puntualmente subiscono interventi repressivi, senza che peraltro, allo stato, si sia provveduto a definire una nuova e più idonea disciplina del piccolo commercio itinerante, praticato soprattutto, ma non esclusivamente, da cittadini immigrati in forme e misure che il nostro Paese non conosceva più da decenni.
Chiediamo dunque al Ministro dell'interno - e perciò alla sottosegretaria Lucidi - quali siano gli accertamenti in corso, che si rendono necessari per far luce sull'esatta dinamica dei fatti descritti in premessa e per accertare le eventuali responsabilità nello svolgimento dell'operazione, in particolare per quanto riguarda i tempi e i modi dei soccorsi.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, desidero preliminarmente comunicare agli onorevoli interroganti che l'operazione di contrasto cui essi fanno riferimento ha impegnato sostanzialmente cinque finanzieri, due appartenenti alla Capitaneria di porto e tre vigili della polizia municipale di Follonica.
Dico ciò per ribadire che a quell'operazione non hanno partecipato unità della Polizia di Stato e dei carabinieri; inoltre, la valutazione delle modalità di effettuazione del servizio di pronto soccorso, in particolare in ordine alla celerità dell'intervento, non rientra nella competenza del Ministero dell'interno. Ricordo, altresì, che la procura della Repubblica del tribunale di Grosseto ha aperto un procedimento penale per valutare eventuali profili di responsabilità circa la tempestività dei soccorsi.
Per quanto riguarda gli avvenimenti, riferisco sulla base della ricostruzione fatta dalla locale prefettura: ci confrontiamo, quindi, sulle informazioni di cui disponiamo, in attesa anche degli sviluppi delle indagini, per poi tornare successivamente, ove lei riterrà, sull'argomento.
Il giorno 17 luglio 2007 a Follonica il personale sopra ricordato della Guardia di finanza, della Capitaneria di porto e della polizia municipale è intervenuto nel trattoPag. 96di spiaggia antistante al quartiere Senzuno per un servizio congiunto al fine di contrastare il fenomeno della vendita abusiva sulle spiagge di prodotti con marchi contraffatti. Il personale operante, nell'effettuare il controllo, sequestrava merce a carico di ignoti, sia in spiaggia, sia nell'adiacente pineta, in quanto i commercianti ambulanti, alla vista delle forze dell'ordine, si allontanavano lasciando incustodita la merce.
Fra gli ambulanti interessati si trovava anche Nabi Noor, cittadino extracomunitario, con regolare permesso di soggiorno in Italia, nato a Feni (Bangladesh) il 10 ottobre 1956, che era lì con la propria bancarella insieme al fratello Ruhul Amin. Quando l'operazione di controllo si era conclusa e gli agenti si erano allontanati, Nabi Noor, che si era soffermato a parlare con il fratello, improvvisamente è stato colto da malore, accasciandosi a terra fra le braccia di quest'ultimo, che lo portava fino allo stabilimento balneare «Ombretta» dove, alle ore 12,15, con l'aiuto del personale dello stabilimento balneare, ha chiesto l'intervento del 118.
Il personale medico e paramedico intervenuto sul posto alle ore 12,21, avendo appreso dallo stesso Nabi Noor di un suo pregresso infarto del miocardio, gli ha apprestato prontamente le prime cure. Poiché emergevano problemi all'esame di elettrocardiogramma, il paziente è stato immediatamente accompagnato alla sede del 118 a Follonica, dove è stato visitato da un medico che ne ha disposto il trasferimento all'ospedale di Massa Marittima. Durante il tragitto le condizioni si sono, però, aggravate, tanto che è stato deciso l'invio al nosocomio di Grosseto, più attrezzato per tali emergenze, e l'intervento in ambulanza di un medico specialista, intervento che avveniva a Braccagni, località a pochi minuti da Grosseto. Giunto all'ospedale di Grosseto, purtroppo Nabi Noor decedeva poco dopo per presunto infarto cardiaco.
Il Ministero della giustizia ha precisato che, a seguito dei fatti sopra descritti, per verificare compiutamente le cause e le modalità del decesso di Nabi Noor ed eventuali responsabilità penali, è stato già iscritto il richiamato procedimento a carico di ignoti per il reato di cui all'articolo 593 del codice penale (omissione di soccorso).
Il pubblico ministero ha conseguentemente disposto la consulenza autoptica, che ha avuto luogo il 19 luglio, e, all'esito degli accertamenti sulla salma, la stessa è stata riconsegnata ai familiari del defunto per il rientro in patria. Il medico legale incaricato della consulenza ha chiesto ed ottenuto il termine di sessanta giorni per il deposito della relazione definitiva, termine successivamente prorogato su istanza del medesimo.
Le indagini sono state delegate alla squadra mobile di Grosseto ed è stato disposto il sequestro probatorio della cartella clinica relativa al ricovero del deceduto. Il procuratore della Repubblica ha riferito che l'attività investigativa, espletata con la celerità e l'accuratezza imposte dalla delicatezza del caso, non ha evidenziato circostanze di rilievo penale e si può ritenere che la ricostruzione dei fatti non dovrebbe, allo stato, essere smentita dagli accertamenti medico-legali ancora in corso.
PRESIDENTE. L'onorevole Duranti ha facoltà di replicare.
DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, ringrazio la sottosegretaria, anche per la disponibilità al confronto sulle diverse notizie che abbiamo e per la disponibilità a ritornare, qualora ve ne fosse la necessità. So perfettamente che le questioni che riguardano il pronto soccorso non sono di stretta competenza del Ministro dell'interno, però nella sua risposta lei, signora sottosegretaria, è stata molto dettagliata e mi ha dato tutte le informazioni del caso. Sarà necessario verificare - e su tale punto potremo confrontarci - le diverse testimonianze e dichiarazioni. Tuttavia, resta questa vicenda gravissima, una tragedia che è avvenuta in una località turistica del nostro Paese, che ha riguardato un commerciante, una persona, un cittadinoPag. 97straniero che era regolarmente presente e cercava di vivere e di lavorare nel nostro Paese, probabilmente, mi permetto di dire, per responsabilità degli enti locali, che molto spesso sono disattenti e non operano politiche corrette di inclusione. Nella nostra interpellanza dichiariamo che le forze dell'ordine, Guardia di finanza ed altri corpi, erano impegnate in un'operazione per reprimere l'abusivismo commerciale, ma non esistono un piano e una disciplina del piccolo commercio. Pertanto, se le condizioni fossero diverse uomini e donne, cittadini stranieri, migranti che sono nel nostro Paese potrebbero avere condizioni di vita migliori.
Credo che il nostro Governo, ma anche gli enti locali debbano in qualche maniera cambiare passo rispetto al tema della sicurezza, che è sicuramente delicato, difficile, ma che deve essere affrontato proponendo e sostenendo modelli diversi, includenti, solidali, che tutelino tutti i cittadini presenti sul nostro territorio, tenendo conto soprattutto che la povertà, la marginalità, l'insicurezza, la precarietà colpiscono fasce di cittadini, sia italiani sia stranieri, sempre più larghe. La risposta deve combattere le cause di tali situazioni. Penso che la soluzione non possa essere costituita dai patti per la sicurezza. Gli enti locali devono invece sperimentare politiche di accoglienza e di convivenza, per creare luoghi dove possano crescere anche le occasioni di lavoro per chi viene nel nostro Paese per trovare e costruirsi condizioni di vita migliori. Tali politiche sono le uniche che possono servire a sottrarre tali fenomeni alla tenaglia del binomio regolarità e repressione, altrimenti la risposta sarà sempre repressiva e soprattutto la legalità si allontanerà sempre di più dalla giustizia e dai valori dell'umanità.
Credo che avvenimenti come quelli oggetto di questa interpellanza turbino tutti noi e ci richiamino ad un impegno maggiore rispetto alle scelte politiche che adottiamo, ad un impegno diverso che permetta di cambiare passo.
(Delibera della giunta del comune di Reggio Emilia relativa alla sostituzione di un campo nomadi con alcune micro aree nell'ambito di programmi finanziati dal Ministero dell'interno - n. 2-00760)
PRESIDENTE. L'onorevole Barbieri ha facoltà di illustrare l'interpellanza Alessandri n. 2-00760, concernente la delibera della giunta del comune di Reggio Emilia relativa alla sostituzione di un campo nomadi con alcune micro aree nell'ambito di programmi finanziati dal Ministero dell'interno (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 16), di cui è cofirmatario.
EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, sottosegretaria Lucidi, il 20 giugno 2007 la giunta comunale di Reggio Emilia (dirle che si tratta di una giunta di sinistra è superfluo) ha approvato una delibera recante «approvazione di un progetto da presentare alla prefettura per l'accesso ai contributi di cui alla gestione 2007 della riserva lire UNRRA, nell'ambito degli interventi finalizzati alla realizzazione di attività di sostegno a favore di persone in stato di indigenza e delle fasce sociali più deboli, ivi compresi stranieri e nomadi». Vorrei che non le sfuggisse un'equazione interessante: gli stranieri e i nomadi, a giudizio della giunta di Reggio Emilia, appartengono alla categoria delle fasce più deboli. Ciò è molto opinabile, come lei sa, anche alla luce dei dati pubblicati oggi dall'Istat: ci sono molti italiani che appartengono alle fasce deboli, quanto e forse più degli stranieri.
La circolare del Ministero di cui lei è sottosegretario, divulgata il 26 marzo 2007 dal dipartimento competente, disciplina le modalità e i requisiti di accesso ai finanziamenti ed è, a giudizio mio e del collega Alessandri, di una chiarezza cristallina. In primo luogo, i programmi devono essere ben articolati ed ampiamente descritti nei contenuti, nei costi e negli obiettivi. In secondo luogo, le spese ammesse a finanziamento sono destinate a potenziare centri socio-assistenziali e riabilitativi e/o per il funzionamento di centri e servizi socio-Pag. 98assistenziali. In terzo luogo, la domanda, a pena di esclusione, deve contenere tra l'altro una relazione analitica sul singolo progetto - resa pubblica dagli interpellanti nella conferenza stampa dell'11 settembre 2007 - che presumo le sia stata inviata dal comune di Reggio Emilia, supportata obbligatoriamente da idonea documentazione. Inoltre - si tratta di un aspetto importante - non è ammessa documentazione integrativa. Infine, la commissione esaminatrice, ove necessario, potrà disporre specifici accertamenti prima di decidere sulle istanze.
La delibera di giunta citata è stata trasmessa il 26 giugno 2007 al dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione per le valutazioni di competenza ed era corredata di tutti gli allegati richiesti, tra cui la proposta di progetto denominato «Tra il campo e la città», con tutta una serie di espressioni, quali, ad esempio, «azioni innovative per il miglioramento della qualità della vita e il sostegno all'inclusione», in cui, come lei sa, onorevole Lucidi, le amministrazioni di sinistra sono maestre e in cui non si capisce dove cominci la grammatica, finisca la sintassi, cominci la sociologia... Voi, da questo punto di vista, siete un'università! Il progetto è finalizzato, come si legge nel testo della delibera a «migliorare l'habitat (si usa un termine latino... nessun termine italiano può tradurre il latino habitat!) della comunità sinta anche attraverso il superamento dei campi sosta nella loro concezione originaria».
Devo dire che questo è veramente un capolavoro: perché un campo sosta deve essere tale nella sua concezione originaria e non in quella attuale? Un campo sosta è un campo sosta, lo dice il termine stesso!
Da ciò emerge con chiarezza l'intendimento della giunta comunale di Reggio Emilia di chiudere un campo nomadi pubblico per realizzarne diversi di dimensioni minori. Infatti, nella delibera di cui stiamo discutendo è scritto in più punti che per l'attuale campo nomadi sito in via Gramsci 132 non si prevede alcun intervento di ristrutturazione. Sottosegretaria Lucidi, le vorrei segnalare, anche se immagino che lei risponderà sulla base del testo scritto dell'interpellanza, che via Gramsci 132 si trova in una circoscrizione nella quale il vecchio PCI, per il quale nutro un grandissimo rispetto e dal quale lei proviene, otteneva percentuali di voti che superavano il 60 per cento; se lei oggi andasse ad interpellare i residenti per sapere cosa pensino del campo nomadi, scoprirebbe che l'80 per cento dei voti lo prendiamo noi, perché tutti sostengono che è opportuno che il campo nomadi sia collocato da qualche altra parte.
In tale quadro si inserisce anche il trasferimento di una famiglia sinta dal campo nomadi comunale di via Antonio da Genova, in località Roncina (che per una stranissima combinazione dista 300 metri da casa mia), in via Spagni, nella frazione del comune di Reggio Emilia denominata Pratofontana, nota, signor sottosegretario, per avere un prete che si colloca più a sinistra delle sue ex colleghe di Rifondazione Comunista! Tale trasferimento ha comportato persino il trasporto eccezionale di una baracca, con un costo complessivo di 2.520 euro. Vi è stato, inoltre, all'insaputa degli amministratori comunali interessati, il trasferimento di un'altra famiglia nomade dal campo di via Gramsci in un terreno di proprietà del comune di Cadelbosco di Sopra.
Nella relazione illustrativa allegata al progetto s'individuano quattordici siti demaniali suscettibili di poter ospitare sei nuovi microcampi (che da noi adesso si chiamano «campine»), tra cui il primo, sperimentale. Nella stessa delibera si afferma che il campo nomadi di via Gramsci sarà ridimensionato; inoltre, si esprime con grande forza la convinzione che molti nuclei familiari di cittadini di origine sinta risiedano in terreni agricoli ove sono stati accertati innumerevoli casi di abusi edilizi. La giunta comunale di Reggio Emilia non ha inteso rendere pubblico il progetto e solo l'azione istituzionale di alcuni gruppi consiliari ha potuto far luce su un argomento, la cui delicatezza e sensibilità ha coinvolto tutta la città. A tal proposito, pur appartenendo al gruppo dell'UDC, devoPag. 99dare atto dell'azione svolta dal gruppo della Lega Nord e preciso che questa interpellanza urgente è stata sottoscritta congiuntamente dai due gruppi. Successivamente si è reso pubblico il fatto che l'amministrazione comunale aveva inviato al Ministero la rassegna completa e la valutazione dell'insieme delle aree adeguate ad una progettazione di questo tipo, ovvero i quattordici siti demaniali.
A questo punto, la giunta ha diramato un comunicato ufficiale... la lascio telefonare... (Commenti del sottosegretario Lucidi)... sottosegretaria, ci mancherebbe altro, ho grande rispetto dei problemi sia familiari che politici... dunque le lascio finire la telefonata, perché ho la presunzione che lei mi ascolti, quindi s'immagini...
PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Barbieri.
EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, quando un deputato parla in un'aula deserta e neanche chi lo dovrebbe ascoltare lo fa, lei capisce che subentra un problema di carattere psicologico!
La giunta dirama un comunicato ufficiale recante il titolo «Materiali istruttori di giugno su aree già escluse», nel quale è scritto (questo è l'aspetto interessante): «Come già affermato dal sindaco più volte e dagli assessori competenti, le aree non sono state scelte per la destinazione della microarea come nessun altro territorio», lasciando intendere alla cittadinanza che si tratterebbe di atti istruttori. Il problema, al di là dell'interpellanza, è che a Reggio Emilia le «campine» non le vuole nessuno. Abbiamo avanzato la proposta - che spero lei, sottosegretario, approverà - di collocarle vicino alla casa del sindaco e degli assessori: a mio avviso, il modo migliore per dimostrare che il sindaco e gli assessori sono solidali con i rom e con gli zingari è quello di collocare le «campine» a 200 metri dalle loro case, in modo tale che il problema non ricada sulle spalle del cittadino - che lavora e che ha il timore che gli vengano a rubare in casa - ma sulle spalle di chi ha compiuto tali scelte.
La nostra proposta non ha trovato grande attenzione da parte della giunta. A questo punto, ci interessa sapere cosa lei e il Governo pensiate di questa vicenda, anche alla luce di ciò che sta accadendo nel resto d'Italia. Vorrei che non le sfuggisse che non sono passate molte ore da quando il futuro segretario del Partito democratico, nonché sindaco di Roma, ha affermato che a Roma la situazione dei rom rumeni è drammatica e che è necessario mandarli a casa. Quindi, voglio capire perché le amministrazioni di sinistra continuino a coltivare la cultura dell'accoglienza quando il loro futuro segretario sostiene che i rom devono essere mandati in Romania, possibilmente anche in tempi rapidi. È questa l'ipocrisia che regge il vostro Governo. Dovete prendere atto che la cultura dell'accoglienza - come voi l'avete chiamata - agli italiani non va bene. Spero che la sua risposta all'interpellanza si collochi lungo tale linea.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi scuso se prima ero al telefono, ma ritenevo di conoscere già e bene gli argomenti che l'onorevole Barbieri stava esponendo, anche perché si limitava a leggere un testo già depositato agli atti. Quindi, la mia non era una distrazione, ma il mio comportamento derivava da una previa conoscenza di ciò che lei, onorevole Barbieri, stava esponendo.
Premetto alcune considerazioni, in quanto la sua interpellanza mi sollecita in ordine ad un tema sul quale mi trovo spesso a intervenire in Assemblea e che, come lei ha ricordato, è ricorrente nel Paese. È un tema, dunque, che mi interessa, soprattutto rispetto alla complessità e alla difficoltà di governarlo. Mi piacerebbe avere un confronto leale e sereno con l'opposizione, anche perché dalle sue considerazioni non emerge una possibile indicazione su come gestire tale problematica.
Non vi è dubbio che nella maggioranza tali questioni suscitino discussione, e benPag. 100venga che sia così, in quanto esse sono emergenti e attuali, ed esistono oggi come esistevano negli anni precedenti. Se ne discute perché vi è interesse ad affrontare e governare il fenomeno e a non voltare le spalle: oggi questo tema ci mette a confronto con una delle componenti delle comunità rom, sinti e camminanti presenti in Italia, ovvero i rom rumeni.
Tuttavia, onorevole Barbieri, quando parliamo di rom non ci riferiamo solo a questo, ma ad un mondo molto più ampio e complesso. Vorrei che vi fossero risposte complesse, che non possono essere «non nel mio giardino», così come, mi permetto di dire, non possono essere nemmeno «vadano nel giardino del sindaco».
Come forza di Governo mi pongo la responsabilità di come affrontare e gestire un problema che, ripeto, ha molti profili di complessità, sui quali preferirei un dialogo sereno: dobbiamo capire cosa possiamo fare, ad esempio, rispetto a quei rom provenienti dalla ex Jugoslavia, che si trovano nel nostro Paese privi di documenti e di una patria di riferimento, o che non hanno più documenti, né riescono ad averli, e magari hanno figli nati sul territorio del nostro Stato. Dobbiamo anche capire come intervenire rispetto ai rom rumeni da lei stesso citati, considerato che alcune soluzioni adottate in altri Paesi europei - invocate in questi giorni - si sono dimostrate fallaci: in Francia, ad esempio, dove si è pagato affinché i rom uscissero dal territorio, quegli stessi rom sono successivamente rientrati.
È necessario porsi il problema anche nel momento in cui, in ambito europeo, ci si sollecita con forza a tener conto del fatto che queste popolazioni e queste comunità non debbano essere discriminate. Lo affermo pensando al fatto che il lavoro di accoglienza svolto dai nostri enti locali non va certo in direzione della discriminazione - sento di dirlo - ed anzi, probabilmente, merita di essere posto in rete, per le entità di risorse che vengono investite. Il tema esiste: non affrontiamolo, pertanto, nell'ottica del contenzioso politico tra centrodestra e centrosinistra. Cerchiamo anche di deideologizzarlo e di guardarlo per quello che è. Con riferimento a ciò, il Ministero dell'interno sarebbe molto interessato a un confronto e a un dialogo che aiutassero a individuare azioni concrete e positive tali da agevolare la comprensione delle realtà delle comunità, che spesso comprende al suo interno fenomeni di devianza e di delinquenza. Non è, però, solo questo: ho svolto un breve excursus, affinché ordinassimo gli argomenti e comprendessimo quali azioni concrete intraprendere, in un'ottica di non discriminazione e di attenzione alle esigenze, ai diritti e ai doveri di tutti.
A proposito della questione di merito affrontata nell'interpellanza - della quale, tra l'altro, l'onorevole Alessandri mi aveva anticipato il contenuto - sono utili alcune osservazioni in ordine al Fondo UNRRA, che è una riserva di fondo istituita dall'articolo 5 dell' accordo del 12 novembre 1947 sottoscritto dal Governo italiano e dall'Amministrazione delle Nazioni Unite per l'assistenza e la riabilitazione, reso esecutivo in Italia con decreto legislativo n. 1019 del 1948. Si tratta di proventi che costituiscono una riserva derivante dalla gestione dei Fondi UNRRA (rendimento del patrimonio mobiliare ed immobiliare), la quale viene impiegata per programmi socio-assistenziali di recupero e di integrazione, propri delle funzioni storicamente svolte dal Ministero dell'interno in tema di amministrazione generale. La titolarità dell'amministrazione del patrimonio, in seguito a una serie di interventi normativi, è stata attribuita al dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, al quale spetta il compito di curare l'esecuzione dell'accordo nella sua globalità.
In data 13 febbraio 2007 il Ministro dell'interno ha emanato la direttiva contenente gli obiettivi, i programmi da attuare e l'individuazione delle priorità e delle specifiche modalità per la concessione, nell'anno 2007, dei contributi a valere sulla riserva. Con tale provvedimento è stata istituita presso il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione una commissione con il compito di valutare i progetti che possano essere destinatariPag. 101dei contributi sulla base di criteri predeterminati e di formulare la graduatoria dei progetti ritenuti sovvenzionabili. Voglio evidenziare - credo che ciò possa essere apprezzato e condiviso - che in questo modo si cerca di dare organicità non solo alla destinazione, ma anche alla distribuzione delle somme del fondo su tutto il territorio nazionale, valorizzando in tal senso anche le prefetture e i consigli territoriali per l'immigrazione. La successiva circolare del dipartimento del 26 marzo 2007 ha dato tutti i chiarimenti in ordine alla partecipazione e alla valutazione dei progetti.
Lei ricordava il progetto presentato dal comune di Reggio Emilia, con una denominazione che a me piace, anche se non provengo dal partito comunista, onorevole Barbieri. Mi piace perché suona bene: «Tra il campo e la città - Azioni innovative per il miglioramento della qualità della vita e il sostegno all'inclusione sociale della comunità nomade sinta a Reggio Emilia». È immediatamente comprensibile, tant'è che voi avete subito presentato un'interrogazione parlamentare. Per tale progetto l'ente ha chiesto di conseguire il cofinanziamento da parte del Ministero dell'interno con i fondi UNRRA. In data 25 luglio 2007, la prefettura di Reggio Emilia ha inviato la documentazione presentata dal comune capoluogo al dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, dopo aver ritenuto che il progetto rientrasse tra i «programmi prioritari» indicati al punto n. 2 della direttiva del 13 febbraio 2007, che fa specifico riferimento a «progetti che si concretino in attività di sostegno a favore delle persone in stato di indigenza e delle fasce sociali più deboli, ivi compresi stranieri e nomadi». Gli obiettivi del progetto sono: implementare l'attuale linea di intervento dell'amministrazione comunale, che prevede, come priorità, il miglioramento dell'habitat della comunità sinta, anche attraverso il superamento dei campi sosta nella loro concezione originaria; proporre nuove forme abitative (in particolare per le famiglie dell'area di via Gramsci 132, per la quale non si prevede alcun intervento di ristrutturazione), attraverso l'individuazione e la sistemazione di nuovi spazi destinati a piccoli nuclei familiari e sperimentando, altresì, una nuova forma di collaborazione tra uffici tecnici ed équipe di progettazione sociale; operare per l'accompagnamento concreto di un nucleo specifico verso un percorso di autonomia, responsabilizzazione, inclusione, che preveda l'ingresso nella nuova area, la sua gestione e manutenzione, il sostegno alla scolarizzazione, alla formazione, all'insegnamento lavorativo; intervenire sul territorio a tutti i livelli per stimolare percorsi di conoscenza-accoglienza reciproca, condivisione dei diritti e dei doveri, così da superare stigmatizzazioni da entrambe le parti e favorire un'effettiva convivenza.
La proposta di realizzare una «micro-area» per un gruppo familiare della comunità sinta, presentata dal comune di Reggio Emilia, a giudizio della locale prefettura potrebbe rientrare nei requisiti prescritti dal bando, poiché la progettazione proposta si configura come l'implementazione di un servizio finalizzato all'integrazione, alla responsabilizzazione e all'autonomia delle famiglie nomadi, già da alcuni anni attuato dall'amministrazione comunale attraverso una successione di azioni mirate e specifiche.
In tale prospettiva, la microarea si configura come un luogo in cui una famiglia può vivere in modo stabile. Si prevede, in prospettiva, il superamento di uno dei tre campi sosta comunali, quello di via Gramsci, con lo spostamento delle famiglie ivi residenti in piccoli appezzamenti. L'attuale campo di via Gramsci, oggi in degrado e soprattutto sovraffollato, potrebbe eventualmente diventare a sua volta microarea, destinata ad uno o due gruppi familiari. L'amministrazione comunale, nei propri atti deliberativi e nei vari comunicati, ha sempre precisato che si tratta di una progettazione sperimentale e di un percorso per il superamento, nel tempo, del campo nomadi, operazione che, a giudizio dell'amministrazione stessa, va condivisa con il territorio, con le famiglie sinti e con le altre strutture pubbliche e private coinvolte nel progetto. Le ipotetiPag. 102che aree di intervento di proprietà comunale sono state individuate sulla base della presenza di servizi, mezzi di trasporto e sistemi di elettrificazione. Solo al termine del percorso sociale, da compiere con una famiglia con la quale poter avviare il percorso di autonomia lavorativa, economica e di gestione, si individuerà l'area in cui avviare la sperimentazione, in accordo con i nuclei abitati e la circoscrizione interessata.
Per quanto riguarda la situazione della provincia, la stampa locale, nello scorso mese di agosto, si è puntualmente interessata al problema. La decisione dell'amministrazione ha suscitato valutazioni negative da parte delle forze politiche di opposizione, che hanno anche iniziato una raccolta di firme contro il programma di trasferimento dei nomadi, ipotizzando anche un referendum comunale sull'argomento. Il sindaco, in relazione ai forti dissensi espressi, ha ritenuto di dover ribadire, tramite un articolo di stampa, che inizialmente verrà coinvolta una sola famiglia nomade, per poi proseguire con un graduale ridimensionamento del campo nomadi da delocalizzare.
In merito alla questione sollevata, circa il trasferimento di una famiglia di nomadi sinti dal campo nomadi comunale di via Antonio Da Genova, l'amministrazione comunale ha rappresentato che la recente ristrutturazione del campo sosta per i sinti residenti in via Da Genova ha comportato, oltre al costo delle opere primarie (urbanizzazione e realizzazione dei servizi igienici) anche spese secondarie per l'allestimento, a seguito dei predetti lavori, di un'area provvisoria, dove sono state collocate roulotte, caravan e case mobili, abituali residenze dei sinti. Alcune di tali strutture mobili, peraltro molto vecchie, dovevano essere spostate solo con mezzi adeguati ed attrezzati per trasporti speciali, perché il traino ne avrebbe messo a rischio la tenuta strutturale. Sono stati realizzati due trasporti speciali: il primo per trasferire una casetta mobile dall'area definitiva a quella provvisoria e viceversa; il secondo per trasportare una struttura mobile dall'area provvisoria, anziché nel campo ristrutturato, in un'area di proprietà privata. Nel periodo di permanenza nel campo provvisorio, infatti, un nucleo familiare di dieci persone ha maturato la scelta di trasferirsi in un terreno di proprietà di un parente, ubicato in via Spagni (località Pratofontana di Reggio Emilia). Si è ritenuta molto positiva la scelta di questa famiglia, poiché consentiva un ridimensionamento del numero delle persone presenti nell'area, ed era in linea con le scelte dell'amministrazione di favorire l'uscita dai campi sosta. Infatti, le famiglie che escono dai campi comunali e vivono nelle aree di loro proprietà avviano percorsi di autonomia e responsabilizzazione, che l'ente intende promuovere.
Per queste ragioni è stata richiesta, dall'ufficio politiche per l'integrazione del comune di Reggio Emilia, la collaborazione del competente ufficio tecnico per il trasferimento della casetta mobile nel terreno di proprietà. La spesa per il trasferimento è stata sostenuta dal servizio tecnico del comune e ammonta complessivamente a 2.520 euro. Spese analoghe non sono state sostenute in nessun altro campo sosta. Inoltre, risulta all'amministrazione comunale la decisione di una famiglia di sinti, residente in via Gramsci, di trasferirsi in un terreno di proprietà collocato nel comune di Cadelbosco Sopra.
Nessun contributo è stato erogato nei confronti di questa famiglia che effettivamente ha provveduto a proprie spese al trasporto di un prefabbricato mobile, appoggiandolo su alcuni plinti di cemento.
Per quanto sopra l'amministrazione comunale di Cadelbosco di Sopra, ritenendo l'intervento in parola e la posa della casetta prefabbricata contraria alla normativa urbanistica vigente, in data 6 settembre 2007 ha emesso ordinanza di sospensione dei lavori con l'obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi, rimuovendo la casetta prefabbricata dal lotto e riportando il terreno interessato dall'intervento abusivo alla condizione precedente. Contro tale ordinanza gli interessati, che risultano tuttora dimoranti nel citato lotto di terra, hanno proposto ricorso al TAR.Pag. 103
Per quanto riguarda la valutazione del progetto presentato, riferisco che esso ora è al vaglio dell'apposita commissione operante presso il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, che provvederà ad esaminare l'intera documentazione pervenuta alla luce dei criteri fissati negli atti ministeriali. Sulla base della graduatoria formulata dalla commissione e nel limite delle somme disponibili si procederà ad attribuire i relativi finanziamenti.
Per quanto di competenza, mi preme comunque far presente che le spese finanziate sono soggette all'ordinario controllo contabile e, a tal fine, i beneficiari dei contributi sono tenuti a trasmettere la relativa documentazione giustificativa.
Nel caso pertanto se ne dovesse ravvisare la necessità, il dipartimento competente provvederà a disporre i necessari accertamenti, volti a verificare l'effettivo e corretto impiego del contributo per le attività programmate, adottando, qualora gli esiti di tali accertamenti dovessero richiederlo, i provvedimenti di revoca o di ripetizione degli emolumenti stessi a norma di legge.
PRESIDENTE. L'onorevole Alessandri ha facoltà di replicare.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, cosa si può dire di peggio che non soddisfatto? Non mi viene in mente niente di più cattivo.
PRESIDENTE. Qualunque cosa sia, non la dica. Grazie.
ANGELO ALESSANDRI. Però la sto pensando intensamente! Replico a tutte le argomentazioni portate dal sottosegretario Lucidi, che sono state molte. Lo farò in maniera sintetica, altrimenti occorrerebbero molte ore, che vi risparmio.
Non sono assolutamente soddisfatto perché il sottosegretario ha letto una relazione scritta in cui sono riportati fatti contenuti nella nostra interpellanza, di cui già eravamo a conoscenza, altrimenti non li avremmo citati in maniera così dettagliata.
Io ed il collega Barbieri ci siamo proposti di presentare l'interpellanza in esame proprio perché a Reggio Emilia, ancorché vi abbiano raccontato magari cose diverse, i cittadini sono completamente contrari a quella delibera della giunta comunale. La provocazione di raccogliere circa 4 mila firme - i cittadini facevano la fila per firmare - per collocare le cosiddette campine sotto la casa del sindaco Delrio non è stata un'invenzione della stampa. La gente ha dichiarato: «se questo qui vuol andare avanti con delle pazzie, se le faccia a casa sua»!
Il problema vero non è che ciò sia realizzato nel giardino di chicchessia, ma che da tale situazione derivano problematiche sociali. È bello fare demagogia, signor sottosegretario! Una sua collega - moglie di un altro suo collega parlamentare, l'altro giorno in televisione affermava che sugli zingari la colpa è nostra perché noi occidentali, gente progredita e ricca, abbiamo i neuroni all'incontrario. È vero che il termine «zingari» non dovrebbe essere usato perché etimologicamente deriva da «essere ladri», ma è altrettanto vero che per molti di loro il termine vale, forse non per tutti, sinti, rom, caminanti, chiamateli come volete. Quella appena esplicitata è una teoria scientifica, provata anni fa - così sembra - da un luminare. Secondo tale teoria noi, guardando i cosiddetti zingari, abbiamo l'impressione di sentirci in colpa: mentre loro vivono in queste condizioni, noi invece siamo il popolo benestante e, conseguentemente, dobbiamo sentirci in colpa perché non interveniamo. Personalmente, credo che siate voi del centrosinistra ad avere i neuroni all'incontrario: voi, forse, vi sentite in colpa per motivi per i quali non dovreste.
Questa terra è stata «costruita» dai nostri padri, dai nostri nonni, sulla base di valori e principi basati sul lavoro, sullo stare insieme e sul rispetto delle regole. Se sui temi dell'immigrazione voi riuscite ancora a raccontarci favole - e qualcuno ancora ci crede - sugli zingari, i sinti, i rom e i caminanti nessuno ci crede più.Pag. 104
A Reggio Emilia le prime comunità sinti sono residenti dal Quattrocento, per cui si tratta di gente che conosciamo. Gente che ha dichiarato più volte che è inutile che i ragazzi vadano a scuola, anche se risultano regolarmente iscritti. Voi, a tale riguardo, avete dichiarato - in libri, convegni e seminari - che avete scolarizzato un certo numero di sinti e rom, ma ciò non è affatto vero.
Essi dichiarano apertamente che vanno a scuola: alle nove e trenta escono e vanno a rubare perché si sta molto meglio e si guadagna molto di più così anziché andando a scuola. Vivono all'interno di una comunità dove il furto, purtroppo, è legittimato. Quelle poche volte che si riesce a entrare e a eseguire dei controlli, nelle baracche o nelle roulotte si trovano i gioielli di casa nostra, i nostri averi, il rame rubato nelle nostre aziende.
Ritengo che un Paese civile - e lei, signor sottosegretario, nell'avallare la situazione esistente e nel non entrare nel merito di tutto ciò, testimonia un Governo che è incivile, di cui lei fa parte e che lei legittima - non possa tollerare questo. Il collega Barbieri si interrogava in precedenza su quale fosse la soluzione possibile. Io ritengo che la soluzione sia molto semplice: in casa nostra esistono diritti e doveri - lei li ha citati - e sono soprattutto le persone di centrosinistra ad essere adirate, ancor più di quelle di centrodestra. I diritti si devono conquistare, mentre i doveri ricadono su tutti: perché in questo Paese vi è gente che ha soltanto diritti e non ha anche doveri? Perché si continua - e questa è in particolare la posizione del centrosinistra - a lasciare loro tutti i diritti, mentre i doveri restano a noi? Vorrei fare riferimento al sindaco di Verona, Tosi, famoso perché con riferimento ai nomadi ha portato avanti diverse battaglie. Egli, appena divenuto sindaco, ha fatto una cosa fondamentale: ha «tagliato» tutte le delibere che destinavano fondi ai rom, ai sinti e ai caminati. E loro cosa hanno fatto di contro? Hanno semplicemente preso la loro bella roulotte sono andati a Reggio Emilia, a Modena e ora stanno andando a Mantova; vanno dove continuate a dargli i soldi, senza rispetto delle regole.
Lei dice bene, signor sottosegretario, ma non so se, a questo punto, vi siano anche gli estremi per ricorrere alla magistratura: viene, infatti, avallato - anche da parte di un Governo che si ritiene serio - il fatto che un comune, a spese nostre, prenda una casa mobile e la trasporti senza allacciamenti, senza condizioni igieniche, senza controlli; viene avallato istituzionalmente l'abusivismo - e lei, di fatto, lo avallava, signor sottosegretario, perché non ha stigmatizzato in alcun modo il comportamento del comune - e il fatto che a Cadelbosco i rom siano ancora residenti (fanno ricorso al TAR, così passano gli anni e rimangono lì fermi) in condizioni igieniche precarie, con figli e bambini. Ma di quale Paese facciamo parte? Quali sono le regole che vogliamo insegnare ai nostri figli e di cui vogliamo parlare alla gente?
Capisco che il titolo di questo progetto le piaccia, perché non dice niente: è come il Governo di centrosinistra da un anno e mezzo a questa parte, non dice nulla ma fa finta di dire tutto! Credo che sia un po' lo specchio di questo Paese. Ritengo che le persone, dall'indulto in poi, si siano rese conto di non voler più gente che sia aiutata nel non rispettare le regole e che sia sempre, in qualche modo, giustificata.
Ai rumeni che stanno arrivando, ai rom, ai sinti, ai caminati, è necessario fare un discorso molto semplice: all'entrata di casa nostra ci sono delle regole da rispettare, esse riguardano tutti: se si ruba, si va in galera e ci si resta! E non si può, grazie alla nostra legislazione, uscirne mandando a rubare donne incinte e bambini minorenni. No! Variamo una legislazione durissima! Facciamoglielo capire! Non è possibile vivere in baracche: i campi sosta vanno benissimo se si sosta, appunto, e poi si va via. Vi sono campi sosta che durano da quarant'anni. Ma che sosta è? Non sono campi nomadi, sono un'altra cosa: sono semplicemente isole che restano fuori dagli schemi, dalle regole e per i quali, purtroppo, le amministrazioni di centroPag. 105sinistra hanno una gravissima colpa, che è quella di voler essere buonisti. O, forse, seguono altri calcoli; spero che non vi siano, ma il dubbio che viene - e, a pensare male, si fa peccato, però, molte volte, ci si azzecca! - è che vi siano altre complicità alle spalle. Questi campi nomadi, allora, diventano davvero ingestibili, diventano qualcosa fuori dalle regole. Non scandalizzatevi se le persone che sentono parlare di quattordici campine (com'è nel progetto del comune di Reggio Emilia) - addirittura di sessantacinque - di fronte alla localizzazione inveiscono, iniziano a raccogliere le firme e a protestare.
Esiste, inoltre, un aspetto sociale. Nessuno nasconde - e penso che neanche lei possa farlo - che spesso li abbiamo visti fare da palo, l'uno con l'altro, i campi nomadi: servono per far arrivare i nomadi da fuori, a rubare. Chi se li trova sotto casa per forza è preoccupato. Ma voi non dovreste preoccuparvi di cosa pensano i sinti, i rom e i caminati; dovreste preoccuparvi di cosa pensano i reggiani, i vostri concittadini. Spesso vi dimenticate che sono loro che dovreste amministrare. Di loro dovreste preoccuparvi! Le case iniziano a calare di prezzo e iniziano a crearsi tensioni sociali. Se qualcuno ha perso la testa - come è accaduto a Reggio in questi giorni -, ciò va ascritto ad una colpa grave che voi dovreste assumervi. Se voi esasperate gli animi dei cittadini, alla fine qualcuno reagisce anche in maniera scomposta. Si tratta di una responsabilità che dovreste assumervi completamente e, invece, evitate ogni volta di farlo.
Allo stesso modo, lei stessa un mese fa ha risposto ad un'interrogazione relativa alle truffe accertate, che vengono compiute dagli zingari - lo dico all'onorevole Barbieri - i quali si fanno tamponare con le macchine, appositamente per lucrare sull'assicurazione, addirittura 25 mila euro per volta, collocando i bambini dentro i van, al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico per tutti gli occupanti. Se li tamponi, sono cavoli tuoi!
Le ho rivolto una domanda che avrebbe potuto essere utile per i cittadini, i quali avrebbero ricevuto con piacere una risposta, chiedendole se il Governo si impegna a risarcire i cittadini truffati e ad andare a chiedere conto a questi ultimi. Lei ha affermato che non è necessario ed ha svolto un panegirico di filosofia sugli zingari e sui nomadi. Credo che lei stia dando, esattamente, la risposta peggiore che un Governo può dare ai cittadini. Inoltre, onestamente, non ha risposto neanche all'interpellanza urgente in esame. L'onorevole Barbieri è stato molto chiaro. Nell'interpellanza si afferma che è stata fatta una richiesta con un progetto specifico, formale e dettagliato su quattordici campine, rivolta al Ministero dell'interno per ottenere finanziamenti. Il sindaco di Reggio Emilia, a febbraio, ha dichiarato che avrebbe realizzato tale progetto e che tutta la città avrebbe dovuto dargli seguito. Lo ha realizzato, ha chiesto il finanziamento a giugno. Tutta la città non lo ha seguito, anzi sta firmando contro il sindaco Delrio. Ritengo che, essendovi pervenuta, in qualità di Ministero, una richiesta di finanziamento relativa ad un progetto specifico, sconfessato a luglio dalla stessa amministrazione, di fronte alla ribellione di cittadini, oggi, avreste dovuto rispondermi che se tutto è cambiato, il progetto è da cestinare, perché non si tratta più di quattordici aree, ma solo di una sperimentale. Non si tratta di ciò che è previsto nel progetto ricordato e nella relativa richiesta di finanziamento (mi riferisco ad un atto pubblico). Si tratta di qualcosa che il Ministero dovrebbe esaminare, punto per punto, mediante una commissione appositamente nominata e non concedere il finanziamento se si cambi idea, non essendo consentito fare varianti - lei stessa lo ha ammesso - come è previsto nella delibera dell'UNRRA.
Pertanto, lei avrebbe dovuto sostenere che il progetto del sindaco di Reggio Emilia - così come è testimoniato in base a quanto detto da egli stesso - vertendo sulla sperimentazione di una sola famiglia, non rientra più all'interno del progetto originario che prevedeva quattordici campine. Pertanto, mi chiedo, lei signor sottosegretario, che mestiere sta svolgendo? La filosofa - ritengo - possiamo trovarlaPag. 106anche al di fuori del Parlamento. Se lei sta facendo il sottosegretario al Ministero dell'interno, mi chiedo se si tratti del Ministero dell'interno italiano, padano o dei rom rumeni. In quest'ultima ipotesi ritengo che stia svolgendo malamente il proprio compito e che stia anche portando via lo stipendio indebitamente.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Presidente, un pò di rispetto per il Governo!
ANGELO ALESSANDRI. Concludendo, vorrei far presente che se continuate così - forse non ve ne siete resi conto - i cittadini italiani faranno propria la massima di Churchill: chi non è di sinistra fino a trent'anni, magari non ha cuore, ma chi lo rimane ancora dopo i trent'anni, forse non ha testa. A Reggio Emilia cominciano a pensarci.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.