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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,02).
(Interventi in relazione alla situazione in Myanmar - n. 2-00769)
PRESIDENTE. L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00769, concernente interventi in relazione alla situazione in Myanmar (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
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PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, mi scuserà, così come mi scuserà il rappresentante del Governo, ma desidero continuare a chiamare Birmania il Myanmar, perché questo è il nome che orgogliosamente ed eroicamente i birmani continuano ad usare.
Il nome Myanmar è stato artificialmente imposto nel 1989 da un regime ideologizzato, che già nel XIII secolo avevano tentato di imporre i mongoli senza riuscirci per la eroica resistenza opposta dai birmani, i quali già altre volte nel corso della loro storia si sono liberati da varie invasioni, l'ultima delle quali quella giapponese. Purtroppo, ormai da quarantacinque anni, questo piccolo e coraggioso popolo è vittima di un regime, ripeto, ideologizzato e violento, come emerge dai fatti avvenuti in questi giorni.
La situazione geopolitica in cui si trova la Birmania ne fa un Paese strategico posto tra due colossi asiatici - Cina e India - che hanno rappresentato per un certo periodo il cosiddetto impero economico di Cindia (la situazione attuale non consente più l'utilizzo di questa definizione). La Birmania riveste per questi due colossi una funzione strategica. La Cina soprattutto ambisce a instaurare relazioni non soltanto per sfruttare i giacimenti di gas birmani, ma anche perché la Birmania le darebbe la possibilità, in caso di emergenza, di aggirare il collo di bottiglia rappresentato dalla Malacca, in modo da accedere direttamente e strategicamente all'Oceano indiano.
Oggi purtroppo constatiamo che la situazione della Birmania, per quanto riguarda la Cina, riapre una grande, grandissima ferita culturale, che non abbiamo mai cessato di avvertire: la persecuzione tibetana. Si riaccende ed è ritornata d'attualità questa grave ferita, di cui certamente la Cina si preoccupa molto. In questi giorni vi è stata una missione dell'ONU e la Cina si è dichiarata soddisfatta (devo dire, per correttezza, che in parte anche l'India si è dichiarata soddisfatta) di tale visita e della disponibilità dimostrata dal Governo birmano ad ascoltare, ma quando l'inviato dell'ONU è tornato in sede e ha riferito in proposito, se si legge attentamente il suo rapporto, peraltro evidentemente commentato dal Segretario generale dell'ONU, tale soddisfazione non emerge, anzi, si nota una grande preoccupazione.
A questa situazione come reagiamo? Credo che bisogna tener presente ciò che afferma Aung San Suu Kyi, una donna a cui è stato conferito il premio Nobel, che vive agli arresti domiciliari e che lotta da anni per la democrazia del suo Paese: ella chiede sanzioni totali. Quindi, non bisogna temere che le sanzioni ricadano sulla popolazione, dato che essa stessa le chiede: perfino Aung San Suu Kyi, che ha così a cuore la sua popolazione, sa che tali sanzioni potrebbero agire nel senso di una democrazia e non di una penalizzazione. Quindi, credo che sia necessario - e sul punto, signor Presidente, mi rivolgo al Governo - esercitare una pressione sul Consiglio di sicurezza dell'ONU con decisione, e non tiepidamente come ha fatto il Ministro Rutelli, cinicamente tiepido su una questione così importante: egli afferma, infatti, che non bisogna inasprire i nostri rapporti con la Cina. Perché? Alla Cina e alla Russia bisogna chiedere conto del loro atteggiamento in tale situazione con decisione: non chiediamo di andare a portare la guerra, ma esortiamo ad essere decisi e non, come ripeto, cinicamente tiepidi. Non perdiamo queste occasioni! Devo dire che sono anche abbastanza preoccupata per il viaggio che ha annunciato il nostro Ministro degli affari esteri; spero che la presente interpellanza sensibilizzi tale missione, che non deve recarsi in Cina, ma deve recarsi in Vietnam e in India, con una - e ciò mi preoccupa un po' - nutrita delegazione economica: va benissimo, siamo tutti felici che vi siano le nutrite delegazioni economiche, ma quando vi sono problemi maggiori, di grazia, gerarchizziamo, così come deve essere fatto.
Finora abbiamo constatato che il tema in esame si colloca sicuramente in modo trasversale: so perfettamente che vi sono sensibilità diverse nell'attuale Governo e vorremmo contribuire a far emergere lePag. 58sensibilità che premono per una posizione molto decisa del nostro Paese in merito a questa situazione.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, ha facoltà di rispondere.
PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo comprende e condivide la preoccupazione, direi quasi l'angoscia, che ispira l'interpellanza dell'onorevole Paoletti Tangheroni. La scorsa settimana il Viceministro Intini ha ricostruito in quest'aula la genesi e gli sviluppi più recenti della crisi in Birmania. Mi limiterò quindi a fornire alcuni aggiornamenti e a rispondere in maniera mirata ai quesiti sollevati dall'interpellante. Come è noto, in un primo momento le autorità birmane avevano preferito mantenere un controllo a distanza delle proteste, limitandosi a filmare i cortei e a compiere arresti sporadici di dimostranti, ma il successivo ampliarsi della protesta popolare, dopo l'introduzione del coprifuoco, ha portato ad una degenerazione violenta delle repressioni; ciò, malgrado il movimento popolare fosse dichiaratamente ispirato ad una sostanziale adesione, anche per volere degli stessi monaci, ai principi della non violenza.
Il precipitare degli eventi ha destato enorme emozione nella intera regione e nel resto della comunità internazionale. Ricordo che l'organizzazione dei Paesi del sud est asiatico, di cui la Birmania fa parte, ha condannato la violenta repressione delle dimostrazioni antigovernative. Infatti, in una lettera inviata dal presidente di turno, il Premier di Singapore Lee Hsien Loong, al leader della giunta militare birmana, generale Than Shwe, questa condanna è stata espressa in termini inequivocabili. Si legge, nella lettera datata 29 settembre: «Siamo assai turbati dalle notizie dei mezzi violenti utilizzati dalle autorità contro i dimostranti, che hanno causato morti e feriti; le immagini e le fotografie di ciò che sta accadendo a Rangoon e in altre città birmane» - continua la lettera - «hanno suscitato la repulsione della gente in tutto il sud est asiatico e nel resto del mondo».
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato convocato in una riunione straordinaria il 26 settembre a New York, per permettere all'inviato speciale del Segretario generale per il Myanmar, Gambari, di riferire al Consiglio sugli ultimi sviluppi prima della sua partenza alla volta di Yangon. Al termine della riunione, la presidenza di turno francese, a nome dell'intero Consiglio di sicurezza, ha reso una dichiarazione in cui ha espresso grande preoccupazione per gli ultimi sviluppi, invocando la ripresa del dialogo politico, e ha chiesto alle autorità birmane di dar prova di moderazione ed espresso pieno sostegno ai buoni uffici del Segretario generale e di Gambari. La missione del consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite è appena terminata. Gambari ha incontrato - lo ricordava anche l'interpellante - il capo della giunta militare, al quale ha manifestato la viva preoccupazione della comunità internazionale per la violenta repressione della protesta. L'inviato speciale dell'ONU ha visto in due occasioni la leader della Lega nazionale per la democrazia, Aung San Suu Kyi. Gambari dovrebbe riferire venerdì prossimo al Consiglio di sicurezza sugli esiti e sui colloqui avuti nel corso della sua visita.
Per quanto riguarda il Governo italiano, l'Esecutivo si è mosso fin da subito con determinazione a fronte della crisi birmana. Già all'inizio di settembre abbiamo effettuato un passo con l'ambasciata di Myanmar a Roma per manifestare il nostro rammarico per il sostanziale fallimento della Convenzione nazionale in Myanmar, che era nata con l'obiettivo di dare avvio ad un reale processo di riconciliazione nazionale e di apertura democratica del Paese. Al tempo stesso, avevamo espresso la nostra condanna per le repressioni allora attuate dalla giunta militare al potere, deplorando gli arresti di cittadini birmani avvenuti nel corso delle dimostrazioni pacifiche cominciate dopo il 15 agosto scorso in tutto ilPag. 59Paese, nonché la perdurante detenzione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, così come di altri dirigenti dell'opposizione e prigionieri politici. Il 25 settembre, inoltre, il Ministro degli affari esteri D'Alema, a New York per l'Assemblea generale dell'ONU, ha dichiarato che l'Italia è solidale con le manifestazioni per la democrazia in corso a Myanmar e chiesto alla giunta militare di rispettare il diritto del suo popolo di esprimersi e protestare. Nella stessa giornata del 25 settembre il sottosegretario per gli affari esteri Vernetti ha convocato alla Farnesina l'incaricato d'affari dell'ambasciata di Myanmar a Roma, titolare della stessa rappresentanza diplomatica in assenza dell'ambasciatore, al quale, a nome del Governo, ha chiesto di trasmettere alla giunta militare al potere in Birmania la richiesta del Governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National league for democracy, e con tutta l'opposizione birmana, e di non far ricorso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e non violente di questi giorni.
Il sottosegretario ha inoltre stigmatizzato, già in quella occasione, gli episodi di repressione che avevano portato all'arresto di decine di manifestanti, a condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime, reiterando la richiesta di libertà immediata del premio Nobel per la pace, da anni segregata agli arresti domiciliari, insieme a quella del rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario. All'incaricato di affari birmano è stata anche fatta presente la grande attenzione con cui il Parlamento italiano segue le vicende birmane, con la presentazione di diversi atti di sindacato ispettivo e l'approvazione di precisi atti di indirizzo. Alla luce della grave crisi in atto, è stato inoltre deciso di annullare la partecipazione di due diplomatici birmani al corso di formazione in materia di diritti umani e diritto nei conflitti armati previsto in Italia per il mese di ottobre.
L'Italia ha operato e continua ad operare in sede multilaterale per promuovere, in tutti gli ambiti opportuni, dalle Nazioni Unite all'Unione europea, le iniziative necessarie a sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e ad indurre il regime di Yangon ad avviare finalmente un dialogo con l'opposizione democratica. Su precisa richiesta del nostro Paese, la Presidenza dell'Unione europea ha convocato, il 27 settembre, una riunione urgente dei rappresentanti permanenti presso l'UE, per valutare la situazione e assumere una posizione comune. I prossimi passi della discussione in sede di Unione europea riguarderanno l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della Birmania, le iniziative politiche da mettere in atto a livello di Unione europea, le misure da adottare per portare la giunta militare di Yangon ad attenersi alle esortazioni provenienti dall'intera Unione, nonché l'adozione di un appello a Cina, India e ad ASEAN affinché esercitino sulla giunta birmana un'influenza moderatrice.
Altrettanto chiare sono state le prese di posizione del nostro Paese a New York. In occasione della riunione del Consiglio di sicurezza a livello di ambasciatori del 26 settembre scorso, cui ho fatto cenno, il Ministro D'Alema ha dato istruzioni al nostro rappresentante permanente di manifestare la più viva preoccupazione del Governo italiano per la crescente tensione nel Paese e di assicurare che l'Italia coopererà strettamente con la comunità internazionale per porre in essere ogni opportuna iniziativa a sostegno del desiderio di libertà del popolo birmano e per incoraggiare il dialogo tra la giunta militare e l'opposizione democratica. Nello stesso contesto, l'Italia ha colto con grande favore e ha appoggiato la decisione del Segretario generale di inviare Gambari in missione in Myanmar. L'Italia ha inoltre richiesto, assieme ad altri membri del Consiglio per i diritti umani, la convocazione di una sessione speciale del Consiglio stesso sulla situazione dei diritti umani in Birmania, al fine di dare un segnale tempestivo alla luce degli sviluppi delle ultime settimane. La riunione si è conclusa, il 2 ottobre scorso, con l'adozione per consenso di un testo di risoluzione proposto dall'Unione europea, successivamentePag. 60emendato, che deplora con forza la violenta repressione delle dimostrazioni popolari e richiama il Governo birmano a liberare tutti i prigionieri politici, ad impegnarsi in un dialogo politico con tutte le parti coinvolte e, soprattutto, a consentire l'effettivo accesso nel Paese alle organizzazioni umanitarie. La risoluzione richiede, inoltre, a Yangon di collaborare con il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Birmania del Consiglio dei diritti umani, permettendo di verificare l'effettiva attuazione della risoluzione, così da informare il Consiglio degli sviluppi. Quest'ultimo aspetto consentirà al Consiglio di tornare ad occuparsi in futuro della questione Myanmar.
Continuiamo, nel frattempo a svolgere la nostra azione a tutti i livelli. Il 28 settembre il Presidente del Consiglio ha avuto una conversazione telefonica con il Primo Ministro portoghese Socrates, presidente di turno dell'Unione europea. La telefonata è stata dedicata alle misure da adottare e ai seguiti da dare alle iniziative europee nei confronti di Yangon. Il Presidente del Consiglio ed il Primo Ministro Socrates hanno inoltre discusso di un'eventuale missione dell'Unione europea nell'area a seguito di quella dell'inviato speciale dell'ONU. Entrambi hanno condiviso la valutazione che sia necessario tenere mobilitata la comunità internazionale. In tale prospettiva, il Presidente Prodi ha inviato propri messaggi sia al Primo Ministro cinese sia al Primo Ministro indiano, per rappresentare la viva preoccupazione italiana ed europea sull'evoluzione della situazione in Myanmar, esortando tali due Primi Ministri a continuare ad usare tutta la loro «autorevole influenza per convincere il Governo di Yangon a tornare a ragionare e a ricondurre il Paese ad una condizione di umana dignità».
Vorrei, quindi, assicurare all'onorevole interpellante che l'attenzione del Governo sulle vicende della Birmania è massima. Non manca, non mancherà in futuro, la determinazione a continuare l'azione sistematica, piena, a trecentosessanta gradi, che abbiamo finora condotto.
PRESIDENTE. L'onorevole Paoletti Tangheroni ha facoltà di replicare.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, mi ritengo parzialmente soddisfatta. Non avevo dubbi sul fatto che l'onorevole Sentinelli rappresentasse proprio quell'anima del Governo che ha grande sensibilità nei confronti di questo problema. Tuttavia, continua a preoccuparmi che esistano anche i cinicamente tiepidi, come il ministro Rutelli. Inoltre, francamente non credo che la risposta data mi rassicuri fino in fondo su questo punto. Signor Presidente, noi che da tempo ci occupiamo di politica estera, sappiamo che certamente gli statement avvenuti all'ONU e le prese di posizione sono molto importanti e talvolta possono anche contribuire a mettere in moto alcuni meccanismi di democrazia. Tuttavia, purtroppo, a valle viviamo un tempo di tanti fallimenti da parte dell'ONU. Statement ve ne sono stati moltissimi: sulla Somalia e sul Ruanda, per citarne qualcuno. Tuttavia, alla fine non abbiamo ottenuto ciò che volevamo, cioè un miglioramento sostanziale delle condizioni di libertà e talvolta di vita per le popolazioni.
Inoltre, per contribuire ancora una volta all'anima un po' più sensibile del Governo su questi temi, vorrei far presente che non tutti sono cinici. Vi è chi - come, ad esempio, il rappresentante della CISL Bonanni - chiede addirittura di «staccare la spina». Si va oltre le sanzioni; cioè per quanto riguarda l'Italia, autonomamente, oltre a ciò che verrà deciso - per ora l'inasprimento è stato solo annunciato, ma non è stato ancora deciso - si afferma che le imprese italiane non possono macchiarsi di sangue e che, pertanto, bisogna «staccare la spina». Soprattutto, signor Presidente, se me lo consente, vorrei rivolgermi anche al Governo per far presente che il bersaglio giusto su cui mirare non è la Birmania o il Governo birmano, ma sono la Cina, l'India e la Russia (quest'ultima è stata completamente omessa, sebbene anch'essa svolga in tale scacchiere un ruolo di geopolitica, che ruota intorno a questo piccolo, eroicoPag. 61Stato, così tanto penalizzato da un regime ideologizzato). Pertanto, mi ritengo parzialmente soddisfatta della risposta. Tuttavia, teniamo alta l'emozione, l'attenzione e la tensione, non accontentiamoci di statement, di enunciazioni di principio, ma andiamo oltre, colpendo i bersagli giusti, cioè i ricordati due colossi economici e la Russia, non un piccolo Stato.
Preannunzio anche che chiederemo di mettere in discussione la partecipazione dell'Italia alle future Olimpiadi, qualora la Cina non assuma una posizione più chiara, perché le esse dovrebbero essere il momento dell'acme della solidarietà tra i popoli. Celebrare tale grande cerimonia, che rappresenta l'apogeo della solidarietà giovanile in un paese che gronda di sangue, credo che non sia il modo migliore di farlo.