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Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (A.C. 553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3139-3151-A) (ore 10,18).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 17 ottobre 2007.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari L'Ulivo e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.Pag. 2
Ha facoltà di parlare la relatrice, deputata Amici.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, il testo del provvedimento che approda oggi in Aula, risente del clima che ne ha caratterizzato la gestazione in I Commissione. In quella sede, infatti, si è svolto un dibattito molto positivo fra forze di maggioranza e di opposizione, sebbene in un quadro di differenziazioni.
La discussione in Commissione ha evidenziato una serie aspetti, che sono poi le premesse sulla base delle quali i due relatori avevano ricevuto il mandato al fine di avviare un confronto in merito alla riforma della seconda parte della Costituzione, e, in particolare, relativamente ad alcuni articoli.
Ci si è sforzati di raggiungere tre obiettivi. Il primo, risponde a una necessità: il bisogno di modernizzazione delle istituzioni. Il secondo, è quello di rispondere alla richiesta, che emergeva nel Paese, di dare più forza ed efficienza al sistema di Governo. Il terzo, è quello di tentare una via, già altre volte provata, che avesse questa volta un perimetro molto ben delineato: quello di una discussione che riguardasse alcuni particolari articoli della Costituzione, senza impegnarsi a realizzare una grande riforma.
Si è partiti dal presupposto - e questo credo sia stato uno degli aspetti che ha più caratterizzato il lavoro dei relatori - di guardare a questa gradualità non come ad un elemento di minimizzazione, ma come ad una capacità di dare risposte concrete.
I relatori sono ben consapevoli dei nodi che il testo ha lasciato aperti, che devono trovare una soluzione anche all'interno del dibattito in Aula. Credo che, alla fine, il voto stesso con cui è stato affidato il mandato ai relatori abbia testimoniato la prevalenza dell'interesse per una discussione che riguardasse il funzionamento delle istituzioni sulla tentazione di ridurre il tutto, ancora una volta, alla semplice contrapposizione, salvaguardando quindi le questioni istituzionali e costituzionali dal gioco della politica.
Tali finalità rispondono ad alcuni elementi, riguardanti, in particolare, la necessità di adeguamento anche formale della Carta, di cui ricorre fra due mesi il sessantesimo anniversario dell'approvazione da parte dell'Assemblea costituente (avvenuta il 22 dicembre del 1947). Da un lato, infatti, ragionando su un adeguamento del testo costituzionale e non di una sua riforma radicale, si intende riconoscere la validità della Carta costituzionale dell'Italia post-bellica; dall'altro prendere atto dell'esigenza di un adeguamento significa rendersi conto che alcune delle scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica accusano l'usura del tempo e richiedono un aggiornamento.
Certo, quest'ultimo ha continuamente luogo anche in forme diverse dalla modifica formale, in ragione dell'apertura del progetto costituzionale, percepibile non solo nei principi previsti nella prima parte, ma anche nell'essenziale profilo del Governo parlamentare previsto nella seconda. Tuttavia, proprio per quanto attiene all'organizzazione costituzionale dello Stato, il lungo dibattito sulle riforme svoltosi dall'inizio degli anni Ottanta ad oggi ha isolato alcuni punti di consenso su due temi tra loro distinti, ma anche in un certo modo connessi.
Se, infatti, si ripercorre il lungo cammino segnato dal cosiddetto «decalogo Spadolini» (1982), dal Comitato Riz-Bonifacio (VIII legislatura), dalla Commissione Bozzi (IX legislatura), dalla Commissione De Mita-Iotti (XI legislatura), dal Comitato Speroni (1994), dalla Commissione D'Alema (XIII legislatura), dalla riforma del Titolo V nel 2001 e dal disegno di legge approvato dalle Camere nel 2005 e respinto dal corpo elettorale nel referendum confermativo del 2006, si individuano alcuni fili conduttori comuni, che attraversano progetti di riforma costituzionale pur molto diversi tra loro per vari aspetti.
Tali fili conduttori attengono a due grandi questioni: da un lato l'esigenza di superare il bicameralismo paritario, individuando nel Senato un'istanza di rappresentanza territoriale; dall'altro il rafforzamentoPag. 3del Presidente del Consiglio dei Ministri all'interno del potere esecutivo. Certo, non si può negare che i vari progetti di revisione costituzionale sin qui succedutisi abbiano individuato soluzioni fra loro molto diverse ai problemi ora accennati. Né si può tacere che tali progetti si sono fra loro differenziati per il grado di incisività delle riforme che proponevano e per la dimensione dello scostamento dall'ispirazione originaria della Costituzione. Tuttavia, pur fra queste differenze, si possono scorgere alcuni contenuti minimi comuni: ed è proprio su questi contenuti - sui quali si può forse ritenere che si sia formato un consenso «per intersezione» fra le varie forze politiche - che il presente testo tenta di intervenire.
Il metodo seguito ha privilegiato l'adozione di interventi mirati e limitati, pur se dalla portata fortemente innovativa. Questa scelta caratterizza il presente testo unificato di proposte di legge rispetto ai precedenti tentativi di realizzare una grande riforma onnicomprensiva. Il testo è perciò il frutto di un metodo pragmatico e graduale, che non impedisce affatto di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, le altre grandi questioni istituzionali che il Paese si trova dinanzi.
Dall'esperienza delle precedenti legislature ci giunge una lezione precisa, che è stata anch'essa adottata quale metodo: occorre evitare di complicare ulteriormente il funzionamento di un sistema già oggi sin troppo complesso. Tutti gli interventi mirano quindi a semplificare e a snellire il funzionamento delle istituzioni, e questo riteniamo debba essere il criterio fondamentale da adottare anche per migliorare e perfezionare il testo in esame, mirando altresì a conservare la sintesi e l'essenzialità che sono il pregio di un testo costituzionale.
Il bicameralismo paritario è, com'è noto, fonte di lentezza e di scarsa efficienza dell'azione di Governo. Ciò è ancor più visibile nel contesto attuale della democrazia bipolare e maggioritaria, ove il bicameralismo paritario rischia di paralizzare il funzionamento fisiologico delle istituzioni in presenza di (possibili, anche se improbabili) maggioranze contrastanti nelle due Assemblee parlamentari. L'esigenza di riformare il Senato si salda, d'altro canto, con un'istanza relativa all'assetto del sistema regionale italiano, rimasto incompleto a seguito della riforma del Titolo V della parte II della Costituzione approvata nel 2001. Tale riforma preannunciava un'ulteriore riforma della parte della Costituzione relativa alla composizione del Parlamento, con una formula - contenuta nell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - che è stata considerata come una «promessa costituzionale». A tale promessa il testo in esame tenta di dare adempimento.
La trasformazione del Senato in un vero e proprio Senato federale della Repubblica, eletto su base regionale, dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali è una scelta di grande rilievo, non priva certo di qualche controindicazione, ma finalizzata all'obiettivo di dare una voce ben identificata alle regioni nel Parlamento nazionale e, in particolare, nel procedimento legislativo. La modalità di elezione del Senato tiene conto, d'altro canto, della forma data alla Repubblica dall'articolo 114 della Costituzione, come riformato nel 2001: si tratta di un sistema che - pur attribuendo alle regioni una posizione privilegiata nella legislazione - valorizza fortemente anche il ruolo delle autonomie locali. A questa impostazione corrisponde la scelta di far eleggere i senatori dai consigli regionali e in misura minore dal consiglio delle autonomie locali.
Quest'ultimo organo dovrà d'altronde essere oggetto di alcune norme statali che ne prescrivano una omogeneità minima, che gli statuti regionali dovranno rispettare. A parte la novità rappresentata dai senatori eletti dalle autonomie locali, questo metodo di elezione del Senato riprende il noto modello del Bundesrat austriaco (ma il Senato delineato in questo progetto è ben più forte del Senato paritario), praticato anche in altri Paesi: in Spagna (peraltro solo per una minoranza dei senatori),Pag. 4negli Stati Uniti sino al 1913 e in India (articolo 80, 4 comma, della Costituzione del 1950).
In merito alla revisione del sistema bicamerale il testo, pur ritenendo necessario conservare al nostro ordinamento i caratteri di un sistema bicamerale, ha inteso procedere nel senso di un deciso superamento dell'attuale bicameralismo paritario, differenziando le due Camere con riguardo al titolo di legittimazione, alla composizione, alle modalità di partecipazione al procedimento legislativo e alla sussistenza del rapporto fiduciario con il Governo.
La trasformazione più profonda, come si dirà di seguito, riguarda proprio il Senato della Repubblica, ma anche la Camera dei deputati è oggetto di rilevanti interventi modificativi, con particolare riguardo alla composizione. L'articolo 2 del testo della Commissione, novellando l'articolo 56 della Costituzione, incide infatti sul numero dei deputati, che viene ridotto da 630 a 500, oltre al numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero. È questo uno degli aspetti su cui in Commissione si è registrato un consenso unanime senza distinzioni di sorta. Non viene modificata la disciplina dell'elettorato attivo, per il quale resta il suffragio universale e diretto; quanto all'elettorato passivo, l'età minima per essere eletti si abbassa invece dai 25 ai 18 anni.
Il Senato della Repubblica - come dispone l'articolo 1 del testo della Commissione, che riscrive il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione - muta il suo nome in Senato federale della Repubblica. La nuova denominazione evidenzia la volontà di individuare nel Senato l'organo costituzionale che connota la scelta in senso federalista del progetto di riforma, l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà legislative e normative delle autonomie territoriali e dello Stato - enti costitutivi della Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione - e la partecipazione del sistema politico regionale e locale alle funzioni «alte» dell'ordinamento costituzionale.
La maggior parte dei senatori è eletta da ciascun consiglio regionale, tra i propri componenti, con voto limitato al fine di garantire la rappresentanza delle minoranze. Le modalità di elezione saranno definite da una legge dello Stato. Il numero degli eletti in ciascuna regione varia in base alla popolazione, ma la natura dell'organo ha suggerito di abbandonare un criterio di stretta proporzionalità. In particolare, i consigli regionali eleggeranno: cinque senatori nelle regioni con popolazione sino a un milione di abitanti; sette senatori nelle regioni con più di un milione e fino a tre milioni di abitanti; nove senatori nelle regioni con più di tre milioni e fino a cinque milioni di abitanti; dieci senatori nelle regioni con più di cinque milioni e fino a sette milioni di abitanti; dodici senatori nelle regioni con più di sette milioni di abitanti.
Nelle regioni Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Molise i rispettivi consigli regionali eleggono un solo senatore. Un'ulteriore quota di senatori (uno nelle regioni sino a un milione di abitanti; due nelle regioni con popolazione superiore, anche in questo caso con voto limitato) è eletta in rappresentanza delle autonomie locali. Sono eleggibili i componenti dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane; il corpo elettorale è invece individuato nel consiglio delle autonomie locali.
Com'è noto, il consiglio delle autonomie locali è un organo di recente introduzione nell'ordinamento: esso è previsto dal quarto comma dell'articolo 123 della Costituzione, nel testo riformulato dalla legge di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, che lo definisce «organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali» e ne rimette la disciplina ai singoli statuti regionali. Proprio per questo il testo ha cercato di introdurre un'ulteriore modifica affinché tale organo di consultazione sia disciplinato da una legge dello Stato; ciò al fine di fissare criteri omogenei per tutto il territorio nazionale. Si tratta, cioè, di corrispondere esattamente a quel bisogno del Senato come luogo - sul serio - della rappresentanza territoriale.Pag. 5
Per quanto concerne la funzione legislativa dello Stato il nuovo articolo 70, come novellato dall'articolo 7 del testo della Commissione, configura quattro diversi procedimenti legislativi. Questo è stato uno degli argomenti su cui, all'interno della Commissione, si è riflettuto fra le forze politiche.
Permangono ancora nel testo elementi di differenziazione tra le forze politiche, ma è proponimento degli stessi relatori, attraverso un atteggiamento ancora una volta di grande e profonda capacità di ascolto, di prestare attenzione al dibattito che si svolgerà in Assemblea, manifestando disponibilità ad accogliere quegli emendamenti che consentissero di migliorare il procedimento legislativo.
Il primo procedimento potrebbe definirsi «bicamerale paritario», ed in esso, non diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la funzione legislativa; vi sono poi un procedimento «bicamerale a prevalenza Camera», nel quale il testo approvato, in prima lettura, dalla Camera dei deputati può essere modificato dal Senato federale, ferma restando in capo alla Camera la deliberazione sul testo definitivo; un terzo procedimento, secondo il quale, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, se le modifiche approvate dal Senato riguardano le materie di cui all'articolo 118, commi secondo e terzo, o 119, commi terzo, quinto e sesto, la Camera può ulteriormente modificarle o respingerle solo a maggioranza assoluta dei propri componenti; un quarto procedimento, nel quale è invece riservato al Senato l'esame del progetto di legge in prima lettura, spettando comunque alla Camera l'approvazione definitiva.
Il procedimento «bicamerale paritario», di cui al primo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione, non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore (non a caso il nuovo testo conserva il termine «collettivamente», già presente nel vigente articolo 70). Esso richiede che i due rami del Parlamento esaminino, in successive letture, il progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo.
Tale procedimento trova peraltro applicazione solo per alcune categorie di provvedimenti. Si tratta di quelli che direttamente incidono sull'assetto costituzionale, o definiscono il quadro delle regole generali che presiedono ai rapporti tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (regioni, province, comuni, città metropolitane: ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione): le leggi costituzionali (per le quali resta ferma la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione, che richiede la doppia lettura da parte delle due Camere e consente il ricorso al referendum) e quelle in materia elettorale; le leggi che disciplinano gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane; l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica (articolo 114, terzo comma, della Costituzione); l'attribuzione a regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di autonomia (articolo 116, terzo comma, della Costituzione); le procedure e l'esercizio del potere sostitutivo con riguardo alla partecipazione delle Regioni alla «fase ascendente» e «discendente» del diritto comunitario e all'esecuzione degli accordi internazionali (articolo 117, comma quinto, della Costituzione), nonché il «potere estero» delle Regioni (articolo 117, comma nono, della Costituzione); le procedure per l'esercizio (nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione) dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali (articolo 120, secondo comma, della Costituzione); i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali (articolo 122, primo comma, della Costituzione); i principi fondamentali per la formazione e la composizione dei Consigli delle autonomie locali (articolo 123, quinto comma, della Costituzione, introdotto dall'articolo 18 del testo della Commissione); il passaggio di province o comuni da una regione ad un'altra (articolo 132, secondo comma, della Costituzione), il mutamento delle circoscrizioniPag. 6provinciali e l'istituzione di nuove province; le leggi che istituiscono e disciplinano le autorità di garanzia e di vigilanza (che in questa sede, e per la prima volta, trovano un riconoscimento a livello costituzionale); le leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche.
La generalità degli altri progetti di legge, ai sensi del riformulato terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, è invece esaminata e approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati. Il Senato federale della Repubblica, al quale è trasmesso il testo approvato, su richiesta di un quinto dei suoi componenti può esaminarlo e (entro trenta giorni dalla trasmissione, termine ridotto alla metà per i disegni di legge di conversione di decreti-legge) può modificarlo. Spetta comunque alla Camera dei deputati pronunciarsi su tali modifiche in via definitiva. Le materie su cui è richiesta la maggioranza qualificata sono le seguenti: il conferimento di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo e il coordinamento dell'attività amministrativa tra Stato e regioni in determinate materie (articolo 118, comma terzo, della Costituzione); l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, comma terzo, della Costituzione); gli interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione); i principi generali di attribuzione del patrimonio a regioni ed enti locali.
Il secondo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione individua una terza modalità di approvazione, riservata unicamente alle leggi che hanno lo scopo di determinare i principi fondamentali nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere, d'intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica che, dunque, li esamina sempre in prima lettura.
Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale è trasmesso, dopo l'approvazione, alla Camera dei deputati, alla quale spetta l'esame in seconda lettura e l'approvazione in via definitiva. La Camera può dunque certamente modificare il testo approvato dal Senato: ma qualsiasi emendamento dovrà, in tal caso, essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea. È questo uno degli elementi forza, per dare conto di una modifica già avvenuta attraverso il Titolo V e che, in qualche modo, fornisce al Senato una prevalenza, rispetto ai progetti che riguardano le competenze concorrenti. Tuttavia, tale elemento confida nell'idea - proprio nel rapporto fiduciario alla sola Camera politica - che è possibile apportare modificazioni, innalzando il quorum dell'approvazione degli emendamenti esaminati dal Senato.
Gli articoli 14 e 15 del progetto di legge costituzionale intervengono rispettivamente sugli articoli 92 e 94 della Costituzione, che disciplinano la formazione del Governo e il rapporto di fiducia tra quest'ultimo e il Parlamento. La finalità perseguita è duplice: valorizzare la posizione del Presidente del Consiglio - sia nell'ambito dell'Esecutivo, sia nei rapporti con il Parlamento - e superare il bicameralismo perfetto che caratterizza anche la forma di governo parlamentare italiana, differenziando le due Camere sotto il profilo del rapporto fiduciario; ciò in correlazione con gli altri articoli del progetto di legge costituzionale, dei quali si è detto, che investono sia la composizione delle due Camere sia le modalità di esercizio della funzione legislativa.
L'articolo 15 introduce nel secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione due sostanziali novità. La prima consiste nell'esplicito collegamento tra l'esercizio del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato e la volontà espressa dal corpo elettorale. Il testo novellato dispone, infatti, che la nomina abbia luogo «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati».
PRESIDENTE. Deputata Amici, dovrebbe concludere.
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SESA AMICI, Relatore. La formulazione adottata mira ad evidenziare e rendere anche formalmente necessario tale collegamento senza, tuttavia, intaccare le prerogative costituzionali del Capo dello Stato, né ridurre la flessibilità necessaria in un così delicato passaggio istituzionale.
La riscrittura dell'articolo 94 della Costituzione, operata dall'articolo 15 del testo della Commissione introduce anch'essa due elementi di novità: la fiducia è accordata non più al Governo, bensì al Presidente del Consiglio dei ministri, che presenta il suo Governo alla Camera.
Vi sono poi altri punti che riguardano il ruolo del Presidente la Repubblica, alcuni elementi di coordinamento e la disciplina transitoria, che sono riportati nella relazione introduttiva al testo.
È del tutto evidente che ci siamo mossi nell'orizzonte di modificare alcuni punti rilevanti della seconda parte della Costituzione. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che lavorare con un metodo di gradualità avrebbe permesso di affrontare con serenità un dibattito difficile e complesso, ma che, proprio per la sua difficoltà e complessità, richiede da questo punto di vista la capacità di un testo che vorrei definire sobrio: la sobrietà delle questioni costituzionali e istituzionali non è segno di debolezza, ma di grande civiltà nella discussione politica tra le parti (Applausi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore deputato Bocchino.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Signor Presidente, nell'integrare la relazione della collega Amici, intendo anzitutto ringraziare il presidente della Commissione Affari costituzionali, Luciano Violante, per aver scelto una strada innovativa che ha già dato alcuni primi risultati. Tale strada consiste nel non considerare un tema così delicato e importante - abbiamo avuto anche esperienze negative nelle ultime due legislature - una questione di parte. Le riforme costituzionali riguardano la funzionalità delle nostre istituzioni: i poteri e la funzionalità del Parlamento e del Governo. Quindi, aver individuato due relatori, uno appartenente alla maggioranza e uno appartenente all'opposizione, per lavorare insieme alla stesura di questo testo, credo che sia un fatto innovativo, che ha già dato - come ho ricordato - alcuni primi risultati. Infatti, per la prima volta da molto tempo a questa parte, vi è stata in Commissione affari costituzionali, l'approvazione di un testo corposo, anche se non completo, di riforme costituzionali senza alcun voto contrario.
Il tema della riforma della Costituzione è ricorrente. Ormai sono molte legislature che ci si pone il problema di una Costituzione che, pur avendo dimostrato la validità del suo impianto, legislatura dopo legislatura, ci appare come un testo «vecchio», antiquato rispetto alla necessità di decisioni che oggi devono essere adottate rapidamente in politica e figlio di un'Italia che era appena uscita da una guerra civile e da una lunga autocrazia. Ciò ha fatto sì che il Parlamento si sia interrogato a lungo su come intervenire. Ci sono stati molti tentativi: anzitutto da parte di Commissioni bicamerali, di molte Commissioni bicamerali; poi tentativi attraverso l'articolo 138 della Costituzione, con il lavoro della Commissione affari costituzionali; infine gli ultimi due tentativi - del centrosinistra, due legislature fa, del centrodestra la legislatura scorsa - di dar vita a riforme costituzionali a colpi di maggioranza, che avevano un senso perché rispondevano alla logica di un mandato elettorale ricevuto dalla maggioranza degli elettori, ma non sono riusciti ad essere efficaci nel primo caso, e ad andare in porto nel secondo caso a causa della mancanza di conferma attraverso il referendum popolare.
Pertanto, il problema che ci siamo posti, con il presidente della Commissione, con i relatori e con tutti i componenti della stessa Commissione, è stato quello di trovare una strada che coinvolgesse non l'unanimità, ma una maggioranza quanto più ampia possibile, per introdurre riforme che potessero arrivare a compimento. Abbiamo lavorato sulle riforme possibili e siamo andati alla ricercaPag. 8di tutti i punti di contatto tra le forze politiche, tra i gruppi parlamentari, tra le coalizioni. I punti di contatto ovviamente sono minori di quelli che dovrebbero essere gli interventi.
Personalmente, ritengo che il Paese avrebbe bisogno di una grande riforma, affidata ad un'Assemblea costituente. Penso che per cambiare radicalmente la carta costituzionale ci sarebbe bisogno di un altro organismo, sganciato dalla quotidianità del confronto e del conflitto politico, perché è difficile litigare la mattina sulla legge finanziaria o su un decreto-legge e scrivere insieme le regole fondamentali di vita delle nostre istituzioni il pomeriggio. Tuttavia chi, come me, vorrebbe una grande riforma attraverso un'Assemblea costituente, riconosce con pragmatismo che oggi non ci sono le condizioni per dar vita ad un percorso del genere. Non sussistono le condizioni per riscrivere dal primo all'ultimo articolo la Costituzione, per superare la lentezza delle decisioni che, purtroppo, la nostra Costituzione prevede, per avere più democrazia diretta, per avere un sistema possibilmente presidenziale, dove chi è investito del mandato popolare possa decidere e poi rispondere dinanzi agli elettori. Per realizzare tutto ciò ci vorrebbero condizioni politiche che oggi non sussistono nel Parlamento. Pertanto, non con un accordo al ribasso, come qualcuno - sbagliando sostiene - ma con un accordo pragmatico, importante, con la ricerca di tutti i «sì» che ci uniscono e mettendo da parte i «no» che ci dividono, è necessario cercare di varare una riforma costituzionale che modifichi i punti ricordati, in modo da rendere più moderno e più funzionale il nostro sistema.
In sostanza, si è andati alla ricerca di una mediazione possibile, non di una mediazione al ribasso, ma di una mediazione alta, su temi condivisi. Si tratta di un passo avanti, sicuramente positivo, timido per alcuni, come me, che vorrebbero molto di più in tema di riforme costituzionali, ma comunque possibile, anche se appunto timido.
Analizziamo i punti importanti di questo provvedimento. Il primo è la riduzione del numero dei parlamentari, un tema che appartiene ai programmi elettorali sia del centrodestra sia del centrosinistra. La scorsa legislatura il centrodestra diede vita ad una riforma che riduceva sensibilmente il numero dei parlamentari e che poi fu bocciata con il referendum popolare. Oggi riproponiamo, con il voto favorevole, su questo punto, della stragrande maggioranza, della quasi unanimità, dei gruppi parlamentari, la riduzione del numero dei parlamentari. Si tratta di una riduzione importante, soprattutto in un momento in cui si critica tanto il ceto politico. Il Parlamento, credo, deve registrare le critiche, non tanto per il numero dei suoi componenti, quanto per la lentezza e l'incapacità, a volte, di prendere decisioni rapide a tutela degli interessi dei cittadini.
Oggi in Italia vi sono 945 parlamentari eletti dal popolo in un sistema di bicameralismo perfetto. La riforma prevede che si scenda da 945 a 500 deputati eletti direttamente (dunque quasi la metà), a cui si aggiungono i dodici deputati e i sei senatori eletti all'estero. Quindi avremo 518 parlamentari eletti direttamente, mentre i senatori saranno eletti di secondo grado dai consigli regionali, o di terzo grado dai consigli delle autonomie. Si tratta di una riduzione importante e sensibile che ci porta ad essere all'avanguardia dal punto di vista numerico e, soprattutto, in rapporto con la popolazione, a livello internazionale e sicuramente a livello europeo, dove forse siamo tra i primi (se non i primi). È una risposta importante, concreta e condivisa, nella quale noi abbiamo creduto e crediamo.
Vi è poi il superamento del bicameralismo perfetto, la cui logica aveva un senso molto importante negli anni in cui è stato scelto dai padri costituenti. Nel momento in cui si usciva da anni in cui il Parlamento sostanzialmente non era chiamato a decidere, pensare ad un meccanismo lungo di decisione, attraverso la «navetta» e il bicameralismo perfetto, significava allontanare, anzi, impedire (così com'è accaduto), il ritorno dell'autocrazia. Il bicameralismoPag. 9perfetto e la Costituzione che allungava i tempi della decisione hanno ottenuto tale risultato e l'Italia, infatti, non ha corso e non corre più rischi.
Oggi vi è un'altra esigenza: velocizzare i tempi delle decisioni politiche, perché è ciò che chiedono i cittadini. Quando dai sondaggi apprendiamo che gli elettori hanno voglia di un «uomo forte», in realtà si tratta di una risposta «di pancia» ad un'esigenza diversa; i cittadini hanno voglia di decisioni immediate, prese da chi si assume la responsabilità di farlo e guardano ad altri sistemi, quali quello francese, statunitense e tedesco, dove vi è maggiore capacità decisionale da parte di chi guida il Governo e maggiore rapidità da parte del Parlamento. Da noi, invece, mentre vi è rapidità nel sistema economico e in altri sistemi, vi è troppa lentezza nella decisione politica. Superare il bicameralismo perfetto significa, dunque, garantire un Governo in grado di ottenere risposte e coperture legislative dal Parlamento in tempi più brevi. Abbiamo scelto la strada di una Camera politica con i rappresentanti eletti direttamente che dà e revoca la fiducia al Governo e di una Camera di rappresentanza - il Senato federale della Repubblica -, introducendo il concetto di rappresentanza degli enti territoriali (regioni ed enti locali), attraverso l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali con voto limitato e, quindi, con la garanzia di una rappresentanza di maggioranza e di opposizione. Lo stesso vale per i rappresentanti dei consigli delle autonomie. In questo modo potremmo avere una Camera dei deputati in grado di assumere decisioni politiche e un Senato in grado di rappresentare gli interessi delle regioni e degli enti locali che oggi hanno un ruolo molto più importante di quello che avevano quando fu scritta la Costituzione. Avremo, inoltre, un Senato con un equilibrio tra le due coalizioni e che, quindi, non dovrà sostenere prove «muscolari» per costruire delle maggioranze, ma rappresenterà le istanze di assemblee legislative importanti, quali sono quelle regionali, e di soggetti amministrativi e politici altrettanto importanti, come le province e, soprattutto, i comuni, che si trovano costantemente a dover fare i conti con le esigenze dei cittadini, in particolare sui grandi temi. Pensiamo, infatti, a come è cambiato il rapporto tra i comuni e la questione della sicurezza o del fisco negli ultimi anni, solo per citare due grandi temi che sembrano interessare maggiormente i cittadini in questo momento. Superare il bicameralismo perfetto significa prevedere materie di esclusiva competenza della Camera e materie di competenza della Camera e del Senato, laddove vi è un interesse delle regioni su tali materie. Successivamente, ci siamo occupati di rendere più funzionale l'attività del Governo.
Oggi si è modificato il rapporto, anche in relazione all'iniziativa legislativa, tra Parlamento e Governo. Si deve prendere atto che, oggi, l'attività legislativa è svolta in gran parte dal Governo, attraverso decreti-legge inviati alla Camera e al Senato per la conversione e attraverso disegni di legge volti a rispondere all'elettorato, in quanto rappresentano la prosecuzione del programma presentato.
Si deve prendere atto, inoltre, che, oggi, la nostra Costituzione materiale è ben diversa da quella scritta. In Italia, infatti, vi è un sistema parlamentare nella Costituzione scritta e un sistema di premierato nella Costituzione materiale. Ci si presenta alle elezioni con simboli all'interno dei quali vi sono i nomi dei candidati premier; tuttavia, la Costituzione scritta prevede che il Presidente della Repubblica, teoricamente, il giorno dopo possa conferire l'incarico ad una persona diversa da quella scritta all'interno del simbolo grazie al quale la coalizione ha vinto le elezioni.
Dunque, non si può far finta che tutto ciò non esista e non si può far finta di non sapere che, oggi, l'attività d'iniziativa legislativa è, di fatto, demandata al Governo. Se uno schieramento vince le elezioni con il nome del candidato premier all'interno del simbolo e con un programma sottoscritto da tutti, è normale che il Governo abbia l'esigenza di sottoporre al Parlamento le iniziative legislative che rispondono a quel programma. Il Governo ha il dovere di farlo, perché così risponde alPag. 10mandato popolare. Tuttavia, spesso si scontra con il Parlamento, il quale, constatando che l'iniziativa legislativa del Governo non è normata costituzionalmente, la ritiene troppo pressante. Il Governo, pertanto, ha il problema di avere in Parlamento numerosi disegni di legge rispetto ai quali non ha garanzie né sull'approvazione, né sulla tempistica.
Dunque, abbiamo pensato di attribuire al Governo più forza sui disegni di legge e meno forza sui decreti-legge. Da una parte, vogliamo garantire al Governo e alla maggioranza il rispetto del proprio programma elettorale, con la possibilità, quindi, di presentare i disegni di legge in Parlamento e di avere una corsia preferenziale e tempi certi per la loro approvazione; dall'altra, vogliamo togliere al Governo la scusa dell'urgenza per strozzare il dibattito - come è accaduto tante volte, da una parte e dall'altra - con decreti-legge che si occupano di tutto lo scibile umano, che spesso non hanno alcunché di emergenziale, che non rispondono ai requisiti di necessità e di urgenza e che rappresentano l'unico strumento a disposizione del Governo per decidere velocemente.
Abbiamo cercato, quindi, di normare costituzionalmente ciò che lentamente si è affermato nella Costituzione materiale. Si tratta di una piccola parte, e si sarebbe dovuto fare molto di più, ma in tal caso non avremmo trovato un accordo. Ci siamo fermati al testo in esame, in quanto è sempre meglio arrivare a un risultato, seppur apparentemente minimo, e iniziare a modernizzare il nostro sistema.
In caso di approvazione della riforma, infatti, tutte le forze politiche potrebbero accorgersi che un maggiore decisionismo da parte del Governo non è pericoloso, né per il Parlamento, né per il Paese, ma potrebbe essere utile per rendere più funzionale e più veloce il nostro sistema politico. La proposta prevede l'inserimento nella Costituzione di alcune disposizioni che sembrano ultronee, ma che, in realtà, non lo sono. Laddove si stabilisce che il Presidente della Repubblica conferisce l'incarico «valutati i risultati delle elezioni», non si diffida della sua intelligenza e della sua sanità mentale - egli, ovviamente, dà l'incarico valutati i risultati elettorali - ma si va incontro al sistema di premierato sostanziale creatosi in Italia con l'evoluzione che i partiti, le coalizioni e l'elettorato hanno imposto con una democrazia diretta che passa attraverso le coalizioni e i simboli delle coalizioni, anziché attraverso la Costituzione. Dunque, siamo andati incontro a tale esigenza.
Lo stesso accade laddove si prevede che il Presidente del Consiglio possa proporre la nomina e la revoca dei propri Ministri. Non è possibile, infatti, che il Presidente del Consiglio (frutto, di fatto, di un'elezione diretta) non sia in grado di revocare un proprio Ministro che decida di non rispondere più alla logica di coalizione e di Governo, ma sia costretto ad utilizzare - come è accaduto nel Parlamento, e gran parte di noi lo ha vissuto - lo strumento della sfiducia parlamentare.
Il capo del Governo, per sostituire un membro del proprio Governo, si deve affidare ad altro organo costituzionale e ad altri proponenti, non potendo firmare la mozione di sfiducia, come Presidente del Consiglio e membro del Governo. Deve trovare componenti di altro organo costituzionale per revocare il membro di un proprio Governo. Ciò non è più possibile, con il sistema che è risultato dall'evoluzione degli ultimi quindici anni. Ecco perché prevediamo la nomina e la revoca dei ministri, e stiamo lavorando ancora, perché in Commissione non abbiamo concluso il lavoro sulla sfiducia costruttiva.
La sfiducia costruttiva è un grandissimo tema, ma dobbiamo stare molto attenti, perché, se è vero che la Costituzione materiale ci ha portato verso una sorta di premierato e di elezione diretta del premier, è anche vero che dobbiamo evitare che il Parlamento possa sfiduciare quanto, invece, ha votato la maggioranza dei cittadini. Dobbiamo trovare formule di sfiducia costruttiva che preservino le stesse maggioranze, in caso di problema di rapporto tra la maggioranza e la persona del Presidente del Consiglio. Occorre, quindi, studiare un meccanismo inPag. 11grado di garantire che la stessa maggioranza possa trovarsi anche a ricostruire un nuovo Governo, con un nuovo Presidente del Consiglio, evitando però che la sfiducia costruttiva sia un mezzo attraverso il quale si possa dar vita a ribaltoni, si possano creare maggioranze diverse e si possa dar vita a governi che non hanno alcuna legittimazione popolare ed elettorale.
Questo è il lavoro che abbiamo svolto. Infine, richiamo l'attenzione su un'altra modifica - in realtà, di natura formale - che abbiamo introdotto, quella dell'articolo 126 della Costituzione. Si prevede la possibilità, con decreto del Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti delle Camere, di scioglimento di un Consiglio regionale o di rimozione del Presidente di una Regione per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale. Dobbiamo intervenire per trovare una norma di chiusura, che la Costituzione, nell'ultima riscrittura dell'articolo 126, ha perso per strada, e anche per individuare le modalità di nomina di uno o più commissari di garanzia, che portino le regioni a elezioni, nel caso in cui si proceda con lo scioglimento del Consiglio regionale.
Concludendo, quindi, il nostro lavoro vuole consentire alle Camere l'approvazione di una riforma condivisa, che possa migliorare, modernizzare e velocizzare le nostre istituzioni. Non so se, come si sostiene, questo Parlamento non sarà nelle condizioni di approvare questa riforma, perché la legislatura sarà troppo breve, o perché in Senato lo scontro politico è tale per cui sarà difficile affrontare temi delicati, tra cui il superamento del Senato eletto direttamente dagli elettori, per dar vita a un Senato completamente diverso nelle funzioni e completamente innovativo nella composizione.
Ritengo comunque importante che, per la prima volta, si sia generato un lavoro comune che, in ogni caso, potrà servire in futuro come esempio per trovare strade condivise e accordi possibili, che modernizzino la nostra Costituzione, senza andare avanti a colpi di maggioranza, che nelle ultime due legislature non ci hanno portato a risultati felici (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, nessuno di noi, naturalmente, ha la sfera di cristallo per divinare il futuro. Di certo, aver portato in Aula la discussione sulle riforme costituzionali è già particolarmente incisivo, ed è un risultato politico e istituzionale particolarmente importante.
Come Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, faremo la nostra parte, come già abbiamo fatto in Commissione, affinché queste proposte di legge, nel testo unificato che ci hanno illustrato gli onorevoli Bocchino e Amici, possano andare avanti.
Devo innanzitutto ringraziare la relatrice, il relatore e il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante, che si sono impegnati per raggiungere questo risultato con la collaborazione attiva - lo ripeto - dell'intera Commissione.
Vi è un primo dato politico-istituzionale particolarmente importante, che va sottolineato e manifestato all'opinione pubblica: per la prima volta dopo il 1992, dunque da quindici anni a questa parte, non discutiamo più di riforme istituzionali sulla base di Commissioni bicamerali istituite con legislazione speciale, vale a dire con una legge costituzionale, come avvenne nel 1992 con la Commissione cosiddetta Iotti-De Mita o nel 1997 con quella presieduta dall'onorevole D'Alema, che vennero appunto istituite con una legge costituzionale che derogava all'articolo 138 della nostra Carta costituzionale. Ci troviamo oggi di fronte ad una proposta di legge, a un testo unificato, che è statoPag. 12discusso secondo le modalità prescritte dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale, è stato valutato, emendato e votato in Commissione affari costituzionali, e portato in Assemblea per la discussione generale, che coinvolge tutti i deputati e le deputate. In tal modo interrompiamo un percorso speciale e ritorniamo ai dettami della nostra Carta costituzionale, a quella che è la norma delle norme della nostra Costituzione, ovvero all'articolo 138, e così facendo evitiamo che maggioranze politiche diventino maggioranze costituenti e che maggioranze politiche modifichino, per i loro scopi particolari, la Carta costituzionale.
Inoltre, diamo seguito anche a ciò che è emerso dal referendum sulla riforma proposta dal centrodestra, tenutosi il 25 e il 26 giugno 2006, quando, per la prima volta dopo molti anni, il popolo italiano ha garantito la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto (oltre il 52 per cento), rafforzando l'efficacia della consultazione: su 26 milioni 110 mila elettori ed elettrici, ben 15 milioni 798 mila (circa il 61 per cento) votarono no alla riforma proposta dal centrodestra. Si trattò - onorevole Bocchino, mi consenta questa franca discussione, che peraltro abbiamo già avuto in Commissione - di un voto contro la grande riforma.
Tutto ciò è contenuto implicitamente nell'articolo 138 della nostra Costituzione, perché laddove si prevede che la revisione costituzionale possa essere sottoposta a referendum, che si svolge attraverso un sì o un no, ne consegue evidentemente che le materie devono essere omogenee e puntuali. Dunque, l'articolo 138 ci invita ad intervenire con puntualità su singoli istituti della Carta costituzionale, e in tale direzione va la proposta di legge costituzionale in esame.
Concludo la premessa del mio intervento sottolineando che queste modifiche costituzionali riguardano un impegno politico sottoscritto dall'Unione. L'opinione pubblica deve essere ben consapevole del fatto che il Governo dell'Unione, almeno in questo campo, risponde a quanto abbiamo proposto e deciso in vista delle elezioni dello scorso anno, allorché nella prima parte del nostro programma, che scrivemmo sotto l'autorevole guida di Maria Luisa Torchia, affermammo che avremmo evitato riforme costituzionali a colpi di maggioranza, e che avremmo evitato che la maggioranza politica potesse per sue finalità di parte stravolgere la Carta costituzionale.
E così abbiamo fatto. Siamo andati alla discussione in Commissione affari costituzionali e, sotto la presidenza molto attiva ed efficace dell'onorevole Violante, abbiamo raggiunto un primo importante risultato: non ci sono stati voti contrari da parte dell'opposizione, dimostrando così che è possibile riformare la nostra Carta costituzionale, anche in parti fondamentali come è quella che attiene alla forma di Stato, senza ricorrere a colpi di maggioranza.
Tutto ciò - è un punto che ribadirò alla fine del mio intervento - è particolarmente importante per avviare eventualmente anche la revisione dell'articolo 138 della nostra Carta costituzionale nel senso di innalzare i quorum, perché - come ben sappiamo - tale disposizione fu pensata e scritta avendo come riferimento un sistema elettorale proporzionale, mentre attualmente abbiamo un sistema elettorale maggioritario. Quand'anche tornassimo a un sistema elettorale proporzionale, ritengo che l'innalzamento dei quorum costituirebbe comunque la garanzia per mettere in sicurezza e per assicurare la supremazia - «sicurezza e supremazia», come è espresso nel programma dell'Unione - della nostra Carta costituzionale. Ritengo dunque che sia stato raggiunto un primo risultato, quello di rimanere nei limiti della nostra Costituzione e di rispettare l'impegno preso con i nostri elettori.
Certamente vi sono dei punti di dissenso, che mi accingo a richiamare, come ho già fatto in Commissione affari costituzionali. Ad esempio, sulla proposta dell'onorevole Bocchino relativa all'assemblea costituente e all'idea della grande riforma e della democrazia immediata vi è discussione, dissenso, confronto e contrapposizione.Pag. 13Tutto ciò non ci ha impedito però di intervenire specificamente su alcuni istituti, anche con la partecipazione attiva dell'onorevole Bocchino, membro autorevole di Alleanza Nazionale, e con l'astensione, per quanto riguarda il mandato al relatore, da parte delle forze dell'opposizione.
Per quanto riguarda la riduzione del numero dei parlamentari, certamente si può affermare che riduciamo il numero dei parlamentari sull'onda e sotto l'urto della cosiddetta antipolitica, in altre parole della frattura che si va accentuando tra classi dirigenti e politiche, da un lato, e popolo, dall'altro, tra classi dirigenti, da un lato, e cittadini e cittadine, dall'altro. Tuttavia ritengo che tale riduzione risponda anche ad una logica molto ragionevole, derivante dalla profonda modifica apportata dal centrosinistra - anche se con il voto contrario di Rifondazione Comunista - al Titolo V della nostra Carta costituzionale.
Infatti, nel momento in cui le regioni diventano organo legislativo a competenza generale, e al Parlamento rimane una competenza legislativa esclusiva o concorrente nelle sole materie elencate dalla Costituzione, non possiamo avere una pluralità di sedi legislative, che sono doppioni che si moltiplicano, perché ormai dobbiamo fare i conti con un sistema regionale con pienezza di poteri legislativi. Quindi, insieme ai mille legislatori regionali non possiamo mantenere seicentotrenta deputati. Dunque, la riduzione è, a mio avviso, una modifica ragionevole, imposta ormai dalla logica di sistema, che viene anche incontro alla giusta esigenza manifestata dall'opinione pubblica di ridurre i costi della politica, nonché di rendere autorevole l'intervento del Parlamento, perché non è detto che una ragionevole riduzione non possa comportare una migliore organizzazione dei lavori.
Ho parlato, signor Presidente, di ragionevole riduzione, perché nel momento in cui l'organo legislativo nazionale, vale a dire il Parlamento, deve riflettere gli interessi, gli ideali e le diverse conformazioni sociali del nostro Paese, è ovvio che una riduzione eccessiva del numero dei parlamentari intaccherebbe la possibilità di rappresentanza generale. Considerato che la Camera dovrebbe essere, e sarà, come lo è stato finora, l'organo della rappresentanza politica, non possiamo innalzare la soglia d'accesso, perché altrimenti si minerebbe la possibilità di rappresentanza e la pluralità della stessa. Pertanto ritengo che una riduzione a 500 deputati per la Camera sia una riduzione ragionevole, che non pregiudica in maniera drammatica - cioè rendendo impossibile l'operatività parlamentare - i diversi gruppi che le cittadine e cittadini decidono di inviare in Parlamento.
Su questo tema, signor Presidente, dirò anzitutto che il mantenimento della circoscrizione Estero sia per la Camera sia per il Senato, ma soprattutto per la Camera, non ci convince in alcun modo; infatti, essendo il nostro ramo del Parlamento, nella proposta che stiamo discutendo, la Camera politica, riteniamo abbastanza incredibile che cittadini non presenti sul territorio nazionale debbano incidere sull'indirizzo politico. Per tale motivo abbiamo presentato - li discuteremo - emendamenti soppressivi della circoscrizione Estero sia alla Camera sia al Senato. Però, abbiamo raggiunto un buon risultato, signor Presidente, con la proposta unitaria sulla riduzione dei parlamentari.
La vera grande riforma - anche se, in realtà, incide su un singolo istituto - è relativa alla forma di Stato; si tratta, infatti, della proposta di trasformare il Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie locali. Si è voluto parlare nel testo in esame di Senato federale della Repubblica: credo, però, che vadano rispettate le diverse culture politiche.
Parlando a titolo strettamente personale, sono un convinto federalista, aderendo a quel federalismo proprio degli scritti di Silvio Trentin, un federalismo dalle radici sociali che, partendo dal basso, riorganizza le cellule della società e federa la società, via via, verso i livelli più alti per poter decidere collettivamente le questioni che riguardano i cittadini nelle loro vestiPag. 14di lavoratori e lavoratrici: non di utenti o consumatori, ma di soggetti portatori di propri ideali e valori.
Sono un convinto federalista, ma, signor Presidente, credo che dobbiamo lasciar da parte le questioni culturali generali - che pure, ripeto, hanno una loro importanza - e, individuando l'effettivo oggetto del nostro esame, discutere le misure vere che proponiamo con la proposta di revisione costituzionale. Ovviamente si tratta della mia interpretazione.
Ritengo, signor Presidente, che la questione concernente il Senato sia stata da sempre molto travagliata nel nostro sistema istituzionale: se non ricordo male e non cito erroneamente, perché cito a memoria, in Assemblea costituente ben 102 emendamenti, su 1663 presentati, riguardavano il Senato, proprio perché si trattava di un argomento molto delicato.
Vi furono anche grandi costituenti come Costantino Mortati che ripresentarono la proposta di un Senato delle professioni. Consapevole, però, di cosa era stato il sistema delle corporazioni durante il fascismo, il costituente, alla fine, preferì una Camera di compensazione e di riflessione.
Tutti questi anni ci hanno accompagnato con il sistema bicamerale paritario, descritto molto bene nelle due relazioni che hanno introdotto il dibattito in corso, dove è sottolineata anche la difficoltà di procedere ulteriormente con un tale assetto.
Però, signor Presidente, secondo il mio punto di vista e senza arroganza, la riflessione vera che dobbiamo fare riguarda i motivi per i quali oggi necessitiamo di una revisione del procedimento legislativo. Questa, a mio avviso, è la questione centrale. In tale riflessione ci possono aiutare i lavori che l'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati ha prodotto durante questi anni.
Il risultato di fondo cui, a mio avviso, pervengono tali rapporti ruota intorno all'idea di legislazione complessa. Essendoci oggi una pluralità di interventi legislativi e una pluralità di organi chiamati a decidere a livello legislativo - e non solo a livello amministrativo ed esecutivo -, la legislazione è diventata organizzata: molto spesso le leggi individuano, fissandone le relative procedure, i compiti attribuiti ai diversi livelli legislativi; di frequente il sistema delega a livelli inferiori le decisioni finali tracciando, nella legge generale o nella legge di principi, o i procedimenti oppure, appunto, i principi generali che devono guidare la legislazione dei livelli chiamati a intervenire successivamente.
Tale tema della legislazione complessa si arricchisce anche del livello europeo perché siamo chiamati a tradurre in legge anche le direttive e le decisioni europee; anche in questo caso, il Parlamento o le regioni sono chiamate a svolgere un compito che non è solo di completamento, ma è anche di individuazione delle decisioni finali attinenti ad una certa materia.
Su ciò, a me sembra che lo sforzo fatto dall'Osservatorio sulla legislazione nel focalizzare tale complessità della legislazione costituisca un'acquisizione particolarmente importante. La legislazione complessa - che, naturalmente, oggi è incardinata nel titolo V della nostra Carta costituzionale - risponde all'esigenza di regolare e procedimentalizzare con legge la dinamica dei rapporti tra la pluralità di coautori dei moderni processi di Governo. In questi casi, il ricorso alla legge serve solo per definire obiettivi, metodi e procedure, e riflette anche il modo in cui il Parlamento, oggi, organizza tali procedure.
Certamente, vi è anche una patologia, perché nella legislazione complessa, ossia nell'intervento legislativo multilivello, molto spesso - e su ciò concordo in pieno con l'onorevole Bocchino - il Governo e il Consiglio dell'Unione «la fanno da padrone». Molto spesso si ricorre a deleghe legislative - peraltro non sempre ben definite - con un ruolo centrale, quindi, del Parlamento. Proprio l'uso delle deleghe rappresenta, dunque, un intervento per «riparlamentarizzare» le procedure per la definizione della legislazione complessa; si richiede, vale a dire, un intervento del Parlamento affinché il potere dell'Esecutivo non sia più esclusivo e predominante ma, al contrario, il Parlamento stesso torniPag. 15ad essere l'organo supremo della nostra legislazione, ove l'espressione «supremo» deve essere intesa in termini non di posizione apicale, ma di raccordo tra diversi livelli di legislazione. Infatti - e colgo così uno dei punti positivi, se non l'unico, della riforma del Titolo V della Costituzione (la legge costituzionale n. 3 del 2001) - stiamo costruendo un sistema istituzionale pluralistico in cui l'organo supremo non è più individuabile in una singola istituzione, neppure nel Parlamento, ma nel cui ambito, tuttavia, il Parlamento diventa un punto di snodo e di raccordo tra diversi livelli legislativi, intermedio tra l'Europa e gli enti infrastatuali.
Da questo punto di vista anche la definizione contenuta nell'articolo 114 della Costituzione - secondo la quale «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato» - supera, a mio avviso, la concezione puntuale e puntiforme della sovranità (quasi potesse esistere, ancora oggi, un sovrano all'interno delle società politiche, quando invece, ormai, la sovranità è decentrata e articolata coinvolgendo non solo organi legislativi, ma anche altre espressioni istituzionali come, ad esempio, a mio avviso, la Corte costituzionale).
Questo è il tema che abbiamo di fronte, ossia come riarticolare ed attribuire nuovamente agli organi eletti direttamente dai cittadini e dalle cittadine la funzione legislativa, anche controllando e limitando la funzione dell'Esecutivo e facendo in modo che - in questa procedura, anche negoziale, della legislazione - non vi sia un intervento dei cosiddetti poteri forti esterni al circuito politico, ma vi sia, al contrario, l'intervento dei circuiti rappresentativi eletti dai cittadini.
A mio avviso, signor Presidente, questo è il grande tema. Per tale motivo, come affermavo poc'anzi, pur rispettando in pieno la discussione sulle culture federaliste o meno federaliste, ritengo che abbiamo l'esigenza di riarticolare il sistema istituzionale. Inoltre, signor Presidente, tanto è vera questa mia posizione che - dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, in particolare dell'articolo 117, terzo comma, che individua le materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni - la Corte costituzionale è stata chiamata ad un lavoro di ridefinizione delle competenze, con un impegno intellettuale a mio avviso di grande portata. Non ho il tempo, né voglio annoiare a lungo quest'Assemblea, tuttavia voglio riferirmi almeno alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale.
A mio avviso, in tale sentenza, la Corte costituzionale raggiunge due risultati importanti - che noi dobbiamo rispettare - in quanto, in questi anni, è riuscita a gestire il rapporto Stato-regioni supplendo, in un certo qual modo, anche all'attività del Parlamento.
La prima considerazione svolta in tale sentenza è che non esistono più ambiti precisi di competenze nettamente distinguibili tra lo Stato e le regioni, cioè non è più possibile avere una ripartizione per materie, perché ormai la legislazione, essendo, come osservavo poc'anzi, complessa, è una legislazione di finalità, con ciò intendendo che sullo stesso oggetto e sulla stessa materia intervengono diversi livelli legislativi.
Per questo motivo, la Corte costituzionale è stata in grado di recuperare all'intervento dello Stato anche materie che il legislatore della revisione costituzionale del 2001 aveva affidato alle regioni; ad esempio, la Corte, ispirandosi ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, ha stabilito che è impossibile distinguere la materia della gestione del territorio da quella urbanistica, pur essendo l'una appannaggio delle regioni e l'altra dello Stato, cioè la prima di competenza delle regioni e la seconda dello Stato.
Pertanto, la Corte costituzionale ha costruito, anno per anno, sentenza per sentenza, un sistema di raccordo tra Stato e regioni non più ispirato alle singole materie ma alle finalità per cui una determinata legge viene varata. La stessa Corte costituzionale, ispirandosi ai principi di sussidiarietà e leale collaborazione,Pag. 16ha invitato ad una reciproca collaborazione Stato e regioni le cui competenze tendono a saldarsi.
Un altro punto di grande interesse culturale, prima ancora che politico-istituzionale, è rappresentato dalla definizione di interesse nazionale che la Corte costituzionale individua. Infatti, sempre con la sentenza n. 303 del 2003, la Consulta afferma che tale definizione ormai non è più risolvibile in una semplice equazione dell'interesse nazionale con la competenza statale in quanto secondo l'articolo 114 poc'anzi richiamato una pluralità di istituzioni convergono nel definire tale interesse.
Come ho già detto, la Corte costituzionale ha compiuto un lavoro costituzionale di grande levatura perché ha neutralizzato la nozione hobbesiana di sovranità (secondo la quale sono gli organi apicali quelli che dettano la legge: sic volo, sic iubeo), chiamando una pluralità istituzioni a definire l'interesse nazionale.
Per questo motivo, l'intervento che oggi ci si propone di compiere non risponde semplicemente ad istanze di cultura federalista, bensì, ormai, all'esigenza di rendere ragionevole e funzionante il nostro sistema istituzionale.
Signor Presidente, parlando a titolo personale ho affermato di essere un convinto federalista. Sono convinto che la proposta avanzata dalla Commissione sia molto interessante e intelligente. Essa, pur ispirandosi al modello austriaco, a differenza di quest'ultimo conferisce molti poteri al Senato, che non rappresenta, per così dire, un orpello istituzionale ma ha la possibilità di intervenire.
Ritengo - lo proporrò nell'ambito del Comitato dei nove e successivamente anche all'Assemblea - che dovremmo anche correggere un punto delle prescrizioni contenute nell'articolo 3, laddove si prevede il voto limitato per l'elezione dei senatori. Vi è un'ispirazione garantista per le minoranze e ritengo che al riguardo potremmo riprendere l'articolo 35 della Legge fondamentale austriaca (volto a rispettare la rappresentanza proporzionale all'interno dei consigli regionali), per evitare che le minoranze non vengano garantite.
Inoltre, vi è un secondo punto che vorrei far presente. Condivido in pieno la proposta presentata. Tuttavia, non si tratta dell'unica proposta di revisione delle funzioni del Senato possibile. Ad esempio, vi è un ampio saggio di Roberto Bin e Ilenia Ruggiu - che ho qui davanti a me - i quali sostengono che la seconda Camera di rappresentanza dei territori è una Camera fondamentalmente paragovernativa.
Bin e la Ruggiu sostengono che lo stesso Senato americano, e ancor più il Bundesrat tedesco, sono nati piuttosto per esser compartecipi della funzione di Governo che non per essere compartecipi della funzione legislativa, e che solo nel corso degli anni c'è stata un'evoluzione di questi organi verso funzioni legislative. E dunque la proposta di Bin e Ruggiu - ma non sono gli unici ad avanzarla - potrebbe essere quella di un sistema monocamerale, che prevedesse la Camera più il sistema delle Conferenze Stato-regioni e Stato-autonomie locali; ovviamente, non come sono oggi definite ma dando loro maggiori e più incisivi poteri, che peraltro in questo saggio Bin e la Ruggiu delineano. Possiamo quindi tratteggiare anche una riforma del Senato che vada verso un sistema monocamerale, con una Camera politica e con un sistema delle Conferenze Stato-regioni-autonomie locali, senza una seconda Camera a livello nazionale. È - guardate - una proposta possibile, una proposta pensabile; rimango convinto del voto che ho dato in Commissione, però vorrei che rimanesse agli atti della Camera anche una possibile proposta di riforma monocamerale senza un Senato della Repubblica che rappresenti il sistema delle autonomie.
Signor Presidente, se la Camera adotterà la proposta della Commissione - vale a dire, un Senato con funzioni legislative -, dovremmo a mio avviso intervenire con ancora maggior nettezza sull'articolo 70 della nostra Carta costituzionale, quello che disciplina il procedimento legislativo. Dobbiamo infatti tener fede al proposito diPag. 17adottare un'opzione per una sola Camera politica, la Camera dei deputati, la Camera che ha come competenza l'indirizzo politico del Paese, che esercita il controllo sul Governo, che esprime la fiducia allo stesso. Se è così, dobbiamo rendere più semplice e agevole le procedure di cui all'articolo 70 della Costituzione come modificato dall'articolo 7 del testo in esame prevedendo che solamente nei primi dei casi indicati - riguardanti, tra l'altro, le leggi di revisione costituzionale e leggi in materia elettorale - intervenga anche il Senato; in tutti gli altri casi ritengo che la procedura debba iniziare e concludersi alla Camera, con un potere emendativo rafforzato da parte del Senato superabile con un voto a maggioranza assoluta della Camera dei deputati stessa.
Ci sono altri punti, signor Presidente (e mi avvio alla conclusione) su cui il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si confronterà nel corso del dibattito in Assemblea. Il primo è che noi non condividiamo, onorevole Bocchino, l'inciso di cui all'articolo 92 della Costituzione come modificato dall'articolo 14 del testo in esame «(...) valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati (...)», inciso finalizzato ad affidare l'incarico di Presidente del Consiglio. Ciò, proprio per i motivi che l'onorevole Bocchino, con molta onestà, ha riconosciuto: essendoci ormai un sistema elettorale che prevede l'indicazione del nome del premier sulle schede elettorali, dobbiamo rafforzare la tendenza verso un premierato forte nel nostro Paese. Noi con questo rafforzamento dei poteri del premier - che preferiamo chiamar sempre Presidente del Consiglio - non siamo d'accordo, riteniamo che vada difesa la collegialità dell'organo Governo; d'altra parte, semmai la Camera dovesse approvare, signor Presidente, la sfiducia costruttiva, essa contraddirebbe l'espressione «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati». La sfiducia costruttiva rappresenta infatti proprio lo strumento che consente di modificare le maggioranze se si modificano gli orientamenti politici all'interno del Parlamento.
La democrazia parlamentare ha dalla sua la flessibilità, la possibilità di adattarsi ai mutamenti che si avvertono nell'opinione pubblica.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FRANCO RUSSO. Ho finito, signor Presidente. Per questo noi ci batteremo per la sfiducia costruttiva.
Signor Presidente, il sistema che abbiamo previsto complessivamente si ispira al modello tedesco; per questo anche abbiamo presentato un disegno di legge per il sistema elettorale che si ispira a quello tedesco.
Allo stesso modo - e mi avvio signor Presidente verso la conclusione, ringraziandola per i secondi aggiuntivi che mi ha concesso - ci auguriamo che, dopo l'approvazione di questo testo unificato di proposte di legge costituzionale, si possa porre mano anche all'innalzamento del quorum previsto dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale. Ciò, lo ripeto, perché per noi la sicurezza e la supremazia della Costituzione sono fondamentali; non è infatti la politica che deve guidare la Costituzione, ma è quest'ultima che deve guidare la politica (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola primaria «Salvatore Valitutti» del 71o circolo didattico di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare il deputato Brancher. Ne ha facoltà.
ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, debbo anzitutto svolgere una premessa che attiene ai rapporti fra maggioranza e opposizione in un sistema parlamentare.
Per molti anni - più di cinquanta - le modificazioni apportate alla nostra Costituzione sono state ampiamente condivise da maggioranza ed opposizione (o, perlomeno, non sono state approvate con il voto contrario di quest'ultima). Tale convenzionePag. 18è venuta meno, per la prima volta, nel 2001, in occasione dell'approvazione della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione: una riforma che fu infatti votata da una sola parte - il centrosinistra - delle forze politiche. È altrettanto vero che anche la riforma da noi presentata nella scorsa legislatura subì la stessa sorte.
In questa luce, va detto che, nel corso della discussione in Commissione, abbiamo preso atto del fatto che - a dispetto delle dichiarazioni di principio - numerose proposte, ragionevoli ed equilibrate, avanzate dal gruppo di Forza Italia, non sono state prese assolutamente in considerazione: una scelta che certo non costituisce un buon avvio per un procedimento necessariamente lungo e complesso.
Un secondo aspetto da sottolineare è rappresentato dai numerosi punti di convergenza fra la riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura - e poi non confermata dal successivo referendum - e il progetto di modifica attualmente in discussione. Ciò testimonia che numerose delle scelte adottate da quella riforma erano valide; peraltro, va detto che essa aveva recepito una serie di proposte contenute negli emendamenti presentati da parlamentari all'epoca l'opposizione.
Scelte quali la riduzione del numero dei parlamentari, l'istituzione del Senato federale quale espressione della rappresentanza delle autonomie territoriali, la differenziazione fra le funzioni delle due Camere, la modificazione della forma di Governo, sono condivise e coincidono almeno in parte con le soluzioni allora individuate. Tuttavia, taluni aspetti del presente progetto di riforma sono molto criticabili, poiché non forniscono una risposta alle aspettative e alle esigenze che si dovrebbero soddisfare: mi riferisco soprattutto alla questione della legittimazione popolare diretta del Presidente del Consiglio, o Premier, alle funzioni del Senato federale, alle norme cosiddette anti-ribaltone.
Vorrei a questo punto affrontare taluni aspetti del testo della riforma che per ora desidero esaminare in una prospettiva complessiva e generale.
Un primo aspetto, che è senz'altro da condividere, è costituito dalla riduzione del numero dei parlamentari. Nel testo approvato nella scorsa legislatura, tale riduzione portava i deputati a cinquecento più diciotto eletti nella circoscrizione Estero: l'attuale articolato, dal canto suo, prevede cinquecento deputati più dodici eletti nella circoscrizione Estero. L'esperienza insegna però che, per raggiungere un obiettivo del genere, occorre affrontare e risolvere i problemi di praticabilità che possono ingenerare perplessità nel ramo - o nei rami - del Parlamento dei cui componenti si propone una significativa riduzione. Se dunque si intende giungere davvero a scelte praticabili ed efficaci, occorre studiare un'adeguata - ma non per questo semplice - normativa di carattere transitorio per un più morbido passaggio alla nuova composizione.
Anche la riduzione del numero dei senatori costituisce un elemento ampiamente condivisibile: i senatori dovrebbero, infatti, passare a centoottantasei, di cui sei eletti nella circoscrizione Estero. Le stesse difficoltà previste per la riduzione dei deputati potrebbero riproporsi per i senatori, con l'aggiunta di un ulteriore elemento: la diversa natura e le diverse funzioni eventualmente attribuite al Senato rispetto ad oggi.
Anche in questo caso, la nostra esperienza (la legge costituzionale da noi approvata riduceva i senatori a duecentocinquantadue) ci induce a ritenere che, soprattutto in ragione della modifica alla radice della composizione e delle funzioni del Senato, occorra un'adeguata normativa di carattere transitorio.
Un secondo elemento da esaminare è costituito dalla permanenza dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. In un Senato federale eletto su base regionale dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali, lascia a dir poco perplessi la scelta di mantenere sei senatori eletti nella circoscrizione Estero, chePag. 19avrebbero un carattere «spurio» rispetto agli altri senatori. Come si possono ricondurre alla base regionale? Come giustificare la loro elezione - a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione - a suffragio universale e diretto? Come spiegare una situazione quasi paradossale al Senato, ossia parità di funzioni per senatori eletti con un diverso tipo di legittimazione popolare? La nostra riforma, per esempio, aveva individuato una soluzione diversa: manteneva inalterato il numero complessivo di deputati e senatori eletti all'estero (in numero di diciotto), prevedendone la presenza nella sola Camera dei deputati.
Un terzo aspetto è dato dalla modificazione dell'elettorato attivo e passivo: per la Camera l'elettorato passivo viene fissato a diciotto anni. La nostra riforma modificava l'elettorato passivo, abbassandolo a ventuno anni per la Camera e a venticinque per il Senato, mentre uniformava l'elettorato attivo a diciotto anni per entrambi i rami del Parlamento. La scelta indicata dal provvedimento di riforma in discussione dell'abbassamento a diciotto anni è, nel complesso, condivisibile, né si vedono ragioni per mantenere l'attuale distinzione di età tra elettorato attivo e passivo.
Esaminiamo ora come dovrebbe essere composto il Senato federale. Com'è noto la nostra riforma costituzionale manteneva inalterato il carattere diretto dell'elezione del Senato, laddove il carattere regionale derivava, invece, dalla contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori. Inoltre, ciascun gruppo di senatori eletti nella regione cessava di far parte del Senato al rinnovo del rispettivo consiglio regionale, con il subentro dei nuovi eletti: il ciclo politico regionale di ciascuna regione determinava così il rinnovo parziale dei senatori della regione.
Non del tutto diversa è la scelta adottata dal testo in esame, con forme di rinnovo parziale del Senato in corrispondenza con il ciclo politico regionale. Tuttavia, la forte differenza è data dal carattere indiretto dell'elezione: i senatori di ciascuna regione vengono eletti dal rispettivo consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli comunali o provinciali o delle città metropolitane.
Pongo alcune domande: quale tipo di legittimazione avrebbe un consigliere regionale rispetto ai propri colleghi non eletti al Senato? Inoltre, quale reale possibilità avrebbero i senatori di partecipare costantemente - e talora contestualmente - ai lavori del consiglio regionale e del Senato federale con inevitabili conseguenze per il numero legale dei due organi? Ancora, qual è il senso di una compresenza, a parità di poteri, di senatori espressione delle regioni e di senatori espressione degli enti locali della regione? Mi permetto di formulare un'osservazione: la funzione legislativa del Senato è funzione di cui le regioni sono titolari, a differenza degli enti locali che ne sono privi.
Un elemento di grande rilevanza è dato dalle funzioni svolte dalle due Camere, argomento questo che determina o meno il carattere realmente federale del Senato. A tale riguardo svolgo due osservazioni. In primo luogo, se il Senato diventa espressione vera delle autonomie, appare difficile mantenere in capo a quel ramo del Parlamento il rapporto fiduciario con il Governo. In secondo luogo, non bisogna dare per scontata l'individuazione di una soluzione realisticamente praticabile e accettabile dai due rami per quanto concerne il riparto delle competenze e delle funzioni, che dovrebbe essere chiaro, equilibrato, ma soprattutto capace di dirimere eventuali conflitti che dovessero insorgere in ordine al riparto delle competenze stesse.
In base al testo in esame sembra troppo penalizzato il ruolo del Senato, con competenze troppo limitate rispetto al suo carattere federale e rappresentativo delle autonomie. Ad esempio, in materie come la concorrenza, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e le norme generali sull'istruzione, di competenza esclusiva statale, hanno un carattere trasversale che taglia pressoché tutte le materie di competenza regionale. Su taliPag. 20materie è del tutto sproporzionato negare un incisivo ruolo del Senato e al Senato nel procedimento legislativo, ovverosia la possibilità di stare su un piano paritario con le Camere. Inoltre, nel testo in esame non è presente un qualsiasi meccanismo di conciliazione tra le due Camere in caso di disaccordo. Non vi è, altresì, un qualsiasi meccanismo di raccordo che consenta di risolvere uno dei nodi più intricati, ossia il riparto di competenze tra le due tipologie di provvedimenti. In altre parole, chi dovrebbe decidere le modalità di esame di un determinato progetto di legge, secondo le varie procedure previste? Occorre conciliare governabilità e rappresentanza delle autonomie nel Parlamento nazionale e individuare metodi di risoluzione delle controversie. A tali esigenze il testo in esame non sembra dare adeguate risposte.
Passo ora ad esaminare la forma di Governo e la legittimazione dell'Esecutivo nel testo in esame. La riforma in discussione mantiene sostanzialmente inalterato l'attuale sistema, ossia in un primo momento si svolgono le elezioni e successivamente si decide, discrezionalmente, sulla formazione del Governo. Nella nostra riforma si prevedeva, invece, la candidatura alla carica di Primo Ministro attraverso il collegamento con i candidati. Veniva così costituzionalizzato il collegamento diretto tra elettorato e Primo Ministro, come pure tra Governo e sua maggioranza parlamentare. L'obiettivo evidente era quello di rafforzare gli elementi di governabilità del sistema e di chiara individuazione, da parte dell'elettorato, del Premier, incardinando il ruolo del Governo nella leadership del Primo Ministro.
In ordine al potere di dare e revocare la fiducia al Governo, è giusto e naturale attribuire alla sola Camera dei Deputati tale potere, ma non è sufficiente. Secondo Forza Italia è ormai necessario prevedere chiaramente che il Governo, nominato sulla base del risultato elettorale, viva e muoia con la stessa maggioranza. In termini divulgativi ciò significa un no chiaro, in Costituzione, ai ribaltoni, ai cambi di schieramento o in dispregio alla volontà del corpo elettorale.
Allo stesso modo siamo fermamente convinti che si debba ipotizzare il cambio del capo dell'Esecutivo con soluzioni quali la sfiducia costruttiva, purché ciò non si traduca in ribaltoni e cambi di schieramenti che non trovino legittimazione nella volontà del corpo elettorale. In tal senso la disposizione contenuta nella nostra riforma costituiva, ancora una volta, una soluzione più che valida che avevamo riproposto in maniera chiara con un nostro emendamento presentato in Commissione, senza trovare però ascolto.
Un'ultima osservazione: sarebbe quanto mai auspicabile accompagnare la riforma con corrispondenti adeguamenti dell'articolo 95 della Costituzione. Tale articolo, che disciplina il ruolo e le responsabilità dei Ministri e del Presidente del Consiglio, è ignorato dal testo unificato in discussione. Si tratta di una serie di adattamenti circa il ruolo e i poteri del Primo Ministro che così riassumo. In primo luogo, spetta al Primo Ministro nominare e revocare i Ministri. In secondo luogo, il primo Ministro determina e ne è responsabile (e non soltanto dirige, come oggi è previsto), la politica generale del Governo. In terzo luogo, il Primo Ministro garantisce l'unità di indirizzo politico e amministrativo, oltre a promuovere e coordinare l'attività dei Ministri, secondo quanto attualmente previsto dalla Costituzione.
Vi sono altri aspetti non certo marginali che il testo unificato disciplina, che nel complesso sono da condividere come, ad esempio, la disciplina dei decreti legge, l'esame parlamentare degli schemi di decreti legislativi, i quorum relativi alla presentazione e discussione della mozione di sfiducia.
Nel complesso il testo in esame presenta tuttora forti limiti e difetti che saranno ulteriormente evidenziati nel corso dell'esame dell'articolato ((Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
Pag. 21
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor presidente della I Commissione, signori relatori, colleghi deputati, riprendiamo oggi un cammino, più volte interrotto, di riforma costituzionale, relativamente ad alcuni aspetti della seconda parte della Costituzione, che riguarda l'ordinamento della Repubblica, dopo una lunga storia parlamentare al riguardo.
I colleghi relatori, Sesa Amici e Bocchino, hanno ricordato, nel testo della relazione scritta (pregevole) e anche nella relazione orale, da parte della collega Amici, molto sinteticamente - forse l'ha fatto anche il collega Bocchino - il lungo percorso che risale all'VIII legislatura (che per me è stata la prima legislatura di presenza in Parlamento), rievocando il cosiddetto «decalogo Spadolini» e i due Comitati che si istituirono nelle due Commissioni affari costituzionali, di Camera e Senato, al termine della legislatura (il Comitato Riz e il Comitato Bonifacio, dai nomi dei presidenti delle due Commissioni), la Commissione bicamerale, ma solo con poteri consultivi, presieduta dal compianto collega Bozzi nella IX legislatura, la prima Commissione bicamerale con poteri referenti istituita con legge costituzionale: la cosiddetta Commissione De Mita-Iotti, dal nome dei due presidenti che si sono succeduti nella XI legislatura, di cui personalmente ho anche fatto parte. È stato anche ricordato un Comitato consultivo istituito nel corso del primo Governo Berlusconi, presieduto dal senatore Speroni nella XII legislatura e, da ultimo, è stata ricordata la Commissione D'Alema (XIII legislatura), istituita, come la Commissione De Mita-Iotti, con una legge costituzionale ad hoc.
È stato, inoltre, ricordato ovviamente - tornerò sull'argomento - ciò che è stato fatto invece con la procedura ordinaria prevista dall'articolo 138 della Costituzione alla fine della XIII legislatura, con la parziale riforma del Titolo V della Costituzione e il più ampio e ambizioso disegno di riforma approvato dal centrodestra nel corso della precedente legislatura, respinto con il referendum oppositivo o confermativo (a seconda dei punti di vista) che si tenne nel giugno del 2006.
Vorrei, tuttavia, ricordare - in questa sorta di heri dicebamus, di ripresa del percorso del processo riformatore, che sta prendendo avvio oggi in quest'Aula - che la storia che ci ha preceduto non è soltanto di tentativi totalmente o parzialmente falliti. Infatti, nella XIII legislatura approvammo in Parlamento, a larghissima maggioranza, proprio riprendendo una parte del testo di cui io stesso ero stato relatore nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, la profonda modifica dell'articolo 111 della Costituzione, costituzionalizzando i principi del giusto processo. Tutto ciò avvenne attraverso la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2.
Vorrei, inoltre, ricordare che, sempre nella XIII legislatura e sempre a larghissima maggioranza (quasi all'unanimità), approvammo la modifica radicale della forma di Governo regionale, anche quella contenuta nel Titolo V della parte seconda della Costituzione, ma mirata soltanto su alcuni articoli, introducendo nella Costituzione l'elezione diretta dei presidenti delle regioni e attribuendo - fu una novità assoluta - la piena autonomia statutaria - ovviamente, nel quadro dell'ordinamento costituzionale - alle regioni stesse, con la legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1. Tale autonomia statutaria, debbo affermarlo con rammarico, non è stata ancora esercitata da alcuna regione, a distanza di otto anni. Successivamente, al termine della XIII legislatura, lo ricordava poco fa anche il collega Brancher, sia pure da un punto di vista diverso, abbiamo approvato in Parlamento, fu la terza riforma costituzionale della predetta legislatura, la riforma di alcuni aspetti più ampi rispetto a quelli riguardanti solo la forma di governo regionale, concernente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di forma di Stato. Si trattò della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che fu confermata, per questo motivo la data è successiva all'approvazione parlamentare,Pag. 22dal referendum popolare, che si tenne proprio nell'ottobre 2001, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.
È vero - l'abbiamo affermato più volte, anche con accenti autocritici - che la riforma del Titolo V, quella del 2001, non quella dell'elezione diretta dei presidenti delle regioni e dell'introduzione dell'autonomia statutaria, prende spunto dalla riforma del Titolo V, che fu, alla fine, approvata dalla sola maggioranza di centrosinistra. Ancora oggi riflettiamo tutti se sia stato opportuno vararla in tal modo. Tuttavia, per ragioni di verità storica e parlamentare, bisogna anche ricordare che essa riprendeva pressoché alla lettera gli aspetti riguardanti la forma di Stato che erano stati elaborati nel corso della Bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema. Su tali aspetti si era riscontrata, sia nella predetta Commissione bicamerale, sia nell'inizio dell'esame da parte dell'Assemblea, una convergenza amplissima da parte di tutte le forze politiche, sia di maggioranza (anche allora di centrosinistra), sia di opposizione. Soltanto nella fase conclusiva, l'opposizione, approssimandosi ormai il termine della legislatura, sottrasse il suo consenso ad una riforma che però nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema e anche nel primo esame da parte dell'Assemblea, secondo le procedure prevista dalla stessa Bicamerale, era stata ampiamente condivisa.
Voglio pacatamente ricordare ciò, perché non è stata la stessa esperienza che poi si ebbe nella legislatura successiva, la XIV, prima con il tentativo di imporre soltanto la materia specifica della cosiddetta devolution, poi con i cosiddetti lavori della «baita di Lorenzago» (soltanto evocare questo ricordo fa capire che l'ambito di elaborazione non era propriamente parlamentare, ma vagamente extra-parlamentare).
Un disegno di amplissima riforma di gran parte della seconda parte della Costituzione, alla fine, di oltre 50 articoli, fu proposto, per certi versi imposto, dalla maggioranza di allora, di centrodestra, senza alcuna condivisione da parte dell'opposizione, di centrosinistra. Pertanto è vero che, in entrambi i casi, alla fine l'approvazione fu della sola maggioranza, ma nel primo caso - la riforma del Titolo V - c'era stato un lavoro comune di elaborazione e di condivisione, venuto meno nella fase conclusiva, nel secondo caso - la riforma di gran parte della seconda parte della Costituzione nella scorsa legislatura da parte del centrodestra - una condivisione, un confronto e una capacità di trovare larghe convergenze con l'allora opposizione di centrosinistra non furono mai realizzati. Non è un caso, anche per questo motivo oltre che per motivi soprattutto di merito, che l'ultima riforma trovò l'opposizione del corpo elettorale - fu bocciata, per dirla con una linguaggio semplice - nel referendum popolare che si tenne nel giugno del 2006.
Non si tratta di un caso che, sempre nella fase conclusiva della scorsa legislatura, sia stata imposta unilateralmente da parte del centrodestra, allora maggioranza, non direi la riforma, ma il totale stravolgimento della legge elettorale, con quella legge elettorale, più volte è stato ricordato in quest'aula, che lo stesso principale responsabile - non l'unico, per la verità - l'allora Ministro delle riforme istituzionali Calderoli, successivamente definì «una porcata» e ancora più tardi «una porcata riuscita male». Ripeto, non è un caso che alla fine della scorsa legislatura sia stata imposta unilateralmente anche la riforma, o meglio lo stravolgimento, della legge elettorale (che oggi non ha più né padri né madri), interrompendo - lo voglio ricordare, perché non molti lo ricordano - un iter avviato da mesi in Commissione affari costituzionali della Camera, allora presieduta dal collega Donato Bruno, un iter di riforma condiviso, della legge Mattarella, arrivato fino alla data dell'8 settembre del 2005, quando fu messo in atto il colpo di mano istituzionale che portò all'imposizione, in poche settimane, in pochissimi mesi, della nuova legge elettorale, alla soglia dell'appuntamento elettorale del 2006.
Anche per queste vicende che hanno preceduto il nostro lavoro odierno, sia sul versante costituzionale sia su quello elettorale,Pag. 23anche per queste ragioni, nell'elaborazione del programma dell'Unione, cui io stesso ho partecipato con molti colleghi, per quanto riguarda la parte delle riforme istituzionali ed elettorali abbiamo affermato il principio e l'indirizzo, che abbiamo mantenuto fedelmente, che mai più si sarebbero dovute perseguire riforme costituzionali o elettorali in forza della sola maggioranza pro tempore di Governo. Questi sono lo spirito e la finalità, vale a dire trovare non l'unanimità, che sarebbe praticamente impossibile e forse nemmeno auspicabile, ma una larghissima convergenza parlamentare, che abbiamo perseguiti fin dall'inizio della presente legislatura. Credo che il progetto riformatore che oggi inizia il suo iter in quest'Assemblea abbia in sé evidenti i segni politici e istituzionali della ricordata finalità, dello spirito con cui abbiamo lavorato, sotto la guida egregia del presidente Violante e con un grande sforzo di collaborazione fra tutti noi e fra i due relatori nominati dallo stesso presidente Violante.
È stato ricordato più volte, anche da uno dei due relatori, dal collega Bocchino, che si tratta di due relatori appartenenti una, la collega Amici, al centrosinistra, l'altro, lo stesso collega Bocchino, al centrodestra. Ma non sono un relatore di maggioranza e uno di opposizione, sono entrambi relatori di maggioranza. Ciò fa la differenza dal punto di vista istituzionale.
In quest'Aula non c'è un relatore di minoranza; ci sarebbe potuto essere, ai sensi del nostro Regolamento se, alla fine dei lavori in sede referente in Commissione, il collega Brancher, ad esempio, che ha parlato abbastanza criticamente poco fa, ma molto pacatamente, o qualche collega del suo gruppo, Forza Italia, avesse voluto rivendicare e annunciare una relazione di minoranza che, invece, non c'è. Quindi, all'esame dell'Assemblea vi è un progetto con due relatori di maggioranza, uno dei quali appartiene alla maggioranza di governo, mentre l'altro appartiene all'opposizione, ma entrambi hanno ricevuto il mandato da parte del presidente della Commissione di guidare il nostro lavoro riformatore e di accompagnarlo fino alle soglie di quest'Aula e oltre.
Per non ripetere sempre e solo le osservazioni, le valutazioni e le informazioni che, uno dopo l'altro, coloro che intervengono stanno giustamente fornendo all'Assemblea e, tramite essa, anche all'esterno, all'opinione pubblica, vorrei ricordare aggiuntivamente che abbiamo iniziato questa legislatura con una amplissima indagine conoscitiva, per così dire bicamerale, nel senso che è stata condotta in modo congiunto dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato (quest'ultima è presieduta dal senatore Enzo Bianco), sul Titolo V della Costituzione. La materia in esame, che ha vissuto una profonda riforma in due tappe - prima sulla forma di governo regionale, poi sulla forma di Stato, nel corso della XIII legislatura - nel corso della fase iniziale dell'attuale legislatura è stata fatta oggetto di una amplissima indagine conoscitiva che ha coinvolto tutti i soggetti istituzionali, sociali, imprenditoriali, nonché della dottrina, che potevano essere interessati al tema. Ciò ha consentito di focalizzare tutta la complessa problematica, anche sotto il profilo della giurisprudenza costituzionale e del corretto funzionamento del sistema Paese, anche in termini economici e sociali. Dopo la conclusione dell'esame da parte di questo ramo del Parlamento di questa parte di riforma costituzionale che non riguarda, se non marginalmente, il Titolo V, si potrà e si dovrà assistere (lo auspico) alla ripresa dell'esame da parte della Commissione affari costituzionali sempre di questo ramo del Parlamento (in base ad una sorta di riparto informale di competenze tra le due Camere), della possibile revisione di alcuni aspetti della riforma del Titolo V che ormai, dall'esperienza di sei anni, sono apparsi come i più problematici e che più hanno dato occasione per un intervento imponente da parte della Corte costituzionale e hanno portato, quindi, a un'imponente collazione e collezione di giurisprudenzaPag. 24costituzionale, preziosa anche sotto il profilo dell'orientamento del futuro lavoro di riforma costituzionale.
Come è stato espresso bene nella relazione scritta dei due relatori e ripetuto dalla collega Amici nella sua parte di relazione, al nostro esame vi è oggi un provvedimento che non ha ambizioni onnicomprensive, né l'aspirazione di essere totalizzante rispetto all'intera problematica della seconda parte della Costituzione che ormai, da quasi vent'anni, nelle varie tappe che abbiamo ricordato, è sottoposta alla riflessione dei Parlamenti che si sono succeduti. Vi è, invece, un progetto che focalizza alcuni temi essenziali, oltre ad altri aspetti «minori» ma comunque importanti.
I tre temi essenziali - l'hanno già ricordato tutti i colleghi che mi hanno preceduto, ma lo ripeto anch'io, perché è inevitabile - sono quelli del superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto con un bicameralismo differenziato e quindi, conseguentemente, della profonda modifica del procedimento legislativo che, nell'ambito del bicameralismo perfetto, è giuridicamente semplicissimo, ma politicamente molto complesso, poiché prevede il meccanismo della navette tra Camera e Senato finché non si arriva ad una doppia lettura conforme dello stesso testo legislativo; infine, la terza questione - ma non è terza per importanza - attiene alla modifica della riforma della forma di governo.
Dunque, come ricordavo, oggi non si affronta un disegno di riforma onnicomprensivo, bensì un disegno mirato ad alcuni specifici obiettivi di riforma di grande portata. L'altro aspetto di grande rilevanza è che si agisce secondo le procedure ordinarie previste dall'articolo 138 della Costituzione. A tal proposito, vorrei svolgere una riflessione incidentale. Pur essendo personalmente presentatore di due proposte di legge costituzionale miranti alla riforma futura ed eventuale dell'articolo 138 della Costituzione e pur essendo anche cofirmatario di una terza proposta - sempre di riforma dell'articolo 138 della Costituzione sottoscritta da molteplici esponenti appartenenti a diversi gruppi dell'Unione - ritengo, tuttavia, inopportuno porre in tale fase, come prioritaria, la questione di una possibile revisione dell'articolo 138.
A mio parere - e a parere della maggior parte dei membri della Commissione affari costituzionali, che ha esaminato il tema nella fase iniziale della legislatura - è opportuno anzitutto verificare la concreta praticabilità di una più ampia possibile convergenza sulla riforma di specifici aspetti della seconda parte della Costituzione (ovvero quelli che sono al nostro esame oggi e che saranno al nostro esame quando si riprenderà la riflessione sul Titolo V della Costruzione) Soltanto nella seconda parte della legislatura dovremmo, e potremmo, eventualmente riflettere insieme sull'opportunità di una revisione dell'articolo 138 della Costituzione, in ordine al profilo che va sotto il nome giornalistico (e non solo) di « messa in sicurezza della Costituzione». Ho presentato alcune proposte di legge al riguardo (in quanto si tratta di un tema a me caro) e ritengo che anche per l'eventuale futura riforma dell'articolo 138 della Costituzione dovremmo - e dovremo - procedere sulla base di una larga convergenza. Soltanto se vi sarà una larga convergenza parlamentare un'iniziativa di tal genere potrà riguardare uno degli articoli chiave, ovvero il penultimo della Costituzione (l'ultimo riguarda la non revisionabilità della forma repubblicana). Ripeto, quindi, che l'articolo 138 rappresenta l'articolo di chiusura del sistema, è importantissimo e delicatissimo e lo potremmo, o potremo, eventualmente modificare solo se vi sarà una larga convergenza parlamentare. Tale convergenza sarà eventualmente possibile solo se sarà stata sperimentata prima, nel merito, una larga convergenza parlamentare delle riforme che oggi - e, successivamente, anche con la riflessione sul Titolo V - sono già al nostro esame.
Tutta l'attuale proposta di riforma costituzionale all'esame dell'Assemblea - come già è stato ricordato e lo ricordo anch'io sinteticamente - è improntata su vari aspetti. Un primo aspetto, che rappresentaPag. 25un profilo di grande impatto sull'opinione pubblica all'esterno del Parlamento, è relativo ad un equilibrato e non demagogico contenimento numerico della rappresentanza politica in Parlamento. Come è già stato ricordato, se questo provvedimento sarà approvato la Camera passerà da 630 componenti a 512: 500 eletti nel territorio della Repubblica italiana e dodici eletti (in quanto già previsti dalla Costituzione) nella cosiddetta circoscrizione estero. Nel testo del provvedimento non è prevista una definizione numerica del Senato, tuttavia, se si elaborano le varie previsioni contenute nella nuova formulazione dell'articolo 57 della Costituzione in ordine alla composizione del Senato, risultano 184 membri, più sei eletti nella circoscrizione estero.
Credo sia importante, in questo momento, mandare, ai cittadini italiani residenti all'estero e anche ai senatori e deputati che in questa legislatura, per la prima volta, sono stati eletti nella circoscrizione Estero, un segnale di rassicurazione e di rasserenamento rispetto a ventilate ipotesi di riduzione, poiché la Commissione affari costituzionali ha confermato - e mi auguro lo faccia anche l'Assemblea - la composizione della loro rappresentanza (dodici alla Camera e sei al Senato), così come previsto dal testo vigente della Costituzione, modificato nella XIII legislatura.
Un ulteriore aspetto - lo cito all'inizio, perché ha un impatto significativo e importante sull'opinione pubblica e, più generale, sul nostro Paese - è caratterizzato da un abbassamento di tutte le soglie di età. Per quanto riguarda l'elettorato passivo, oggi si può essere eletti alla Camera dei deputati soltanto a venticinque anni e al Senato soltanto a quarant'anni, mentre si può votare per il Senato soltanto a venticinque anni. Con la proposta di riforma al nostro esame, invece, tutte le suddette soglie di età vengono abbassate all'età in cui un cittadino diventa maggiorenne, ossia a diciotto anni. Ciò ha un senso, perché un conto è il Senato concepito come una sorta di Camera alta, di moderazione, come previsto nei progetti originari, altro conto è se il Senato assume una funzione di rappresentanza dei territori o, in termini tecnici, di rappresentanza del sistema delle autonomie regionali e locali. Sotto questo profilo, anche se non succederà concretamente, sappiamo che un diciottenne ha titolo per essere eletto presidente della regione Lombardia o sindaco di Roma, di Milano o di qualunque altra città. Se, in teoria, a diciotto anni - ovviamente è una possibilità giuridica - si può arrivare ad essere sindaco di Roma o presidente della regione Lombardia o di qualunque altra regione, è evidente che non avrebbe senso che questa stessa soglia di età, vale a dire la maggiore età, non fosse prevista anche per l'elezione alla Camera e al Senato. In questa logica di ringiovanimento, anche sotto il profilo costituzionale, del nostro sistema politico e istituzionale, si colloca anche la riduzione della soglia minima per l'eleggibilità alla carica suprema nel nostro Paese, quella di Presidente della Repubblica, da cinquanta a quarant'anni, che la Commissione ha approvato in modo unanime.
Detto questo, credo sia giusto sottolineare che la riforma più ambiziosa e lungimirante consiste nel superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto ed egualitario, sostituito da un bicameralismo differenziato, che prevede - non entro nel dettaglio, perché lo hanno già fatto egregiamente i relatori ed altri colleghi - una Camera politica, la Camera dei deputati, che diventa l'esclusiva titolare del potere di dare o revocare la fiducia al Governo, e un meccanismo differenziato con un Senato federale della Repubblica che rappresenta il sistema delle autonomie regionali e locali.
Soltanto nel modo in cui abbiamo prefigurato il Senato credo che si possa parlare di un'effettiva rappresentanza delle autonomie regionali e locali, e, in questo senso, si spiega la nuova denominazione di Senato federale della Repubblica. È bene che resti il riferimento alla Repubblica, perché, in forza dell'articolo 114, primo comma, della Costituzione, modificato alla fine della XIII legislatura, la Repubblica è costituita dai comuni,Pag. 26dalle province, dalle città metropolitane, finora non istituite, dalle regioni e dallo Stato.
È proprio la logica costituzionale e istituzionale del primo comma del nuovo articolo 114 della Costituzione, introdotto nel 2001, che giustifica il mantenimento della denominazione «Senato della Repubblica» e l'aggiunta dell'aggettivo «federale», in quanto il Senato rappresenta nel suo insieme il sistema delle autonomie regionali e locali. Questa scelta ha portato a una larga convergenza in Commissione, che non emerge interamente dal voto di astensione di tutti i gruppi della Casa delle libertà.
Affinché resti agli atti, è bene ricordare, sul punto specifico, che tre su quattro gruppi facenti parte della Casa delle libertà (Lega Nord, UDC e Alleanza Nazionale) hanno votato a favore dell'ipotesi del Senato federale della Repubblica contenuta nel testo in esame.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12,17)
MARCO BOATO. Questa larga convergenza in Commissione, che ha portato sul progetto complessivo e sul mandato ai relatori ad un'astensione significativa da parte dei gruppi della Casa delle libertà, viene da noi considerata positiva, anche se siamo consapevoli che probabilmente in questa fase tale scelta incontrerà resistenze nell'altro ramo del Parlamento. Tuttavia, sarebbe importante - lo dico con assoluta pacatezza e con grande rispetto, essendo stato, nella mia vita parlamentare, anche senatore - che in una fase di riforma costituzionale i componenti di entrambe le Camere guardassero non tanto a se stessi e al proprio destino personale, come pure umanamente sarebbe comprensibile, ma soprattutto all'esigenza di un miglior funzionamento del nostro sistema politico-istituzionale nel suo insieme, al di là - lo ripeto - dei destini personali di ciascuno.
Molto importante è anche la scelta di un procedimento legislativo differenziato ma equilibrato, nell'attribuzione delle diverse competenze tra Camera e Senato. La collega Amici ha descritto tale aspetto in modo così puntuale e dettagliato che posso senz'altro richiamarmi al suo intervento, nonché alla relazione scritta, sua e del collega Bocchino.
È altresì significativa, a mio parere, la riforma della forma di Governo, realizzata in modo tale da rafforzare la figura e i poteri del Presidente del Consiglio dei ministri, sempre nel quadro di una Repubblica parlamentare, che però tenga conto anche dei mutamenti avvenuti negli ultimi quindici anni nel nostro sistema politico e nella cosiddetta Costituzione materiale. Non a caso, in materia di forma di Governo il progetto prevede che la nomina del Presidente del Consiglio da parte del Presidente della Repubblica avvenga anche «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati». Non vi è un automatismo e non vi è una predeterminazione, perché sappiamo che le vicende e gli scenari politici possono essere i più diversi, e anche Paesi non lontani da noi, nel centro Europa, stanno facendo esperienze singolari rispetto al loro sistema istituzionale.
Il fatto che la nomina del Presidente del Consiglio avvenga «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati» fa capire come nella modifica dell'articolo 92 si sia tenuto conto dei cambiamenti profondi che vi sono stati nel nostro sistema politico-istituzionale, ma non ancora costituzionale, sia attraverso la legge elettorale, sia attraverso la Costituzione materiale.
Per quanto riguarda la nomina e la revoca dei ministri da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, tale norma, se approvata, comporterà definitivamente la fine della logica delle crisi di Governo e dei rimpasti di Governo dovuti soltanto all'esigenza, comune in tutti i Paesi occidentali, di sostituire in corso d'opera qualche ministro. Non sarà più necessaria una crisi di Governo, in quanto il Presidente del Consiglio potrà proporre al Presidente della Repubblica non solo laPag. 27nomina dei ministri, all'inizio del suo iter istituzionale, ma anche la loro revoca.
Passando dall'articolo 92 all'articolo 94 della Costituzione, richiamo l'attenzione sulla fiducia accordata al Presidente del Consiglio, e non tanto al Governo nel suo insieme. Il Presidente del Consiglio si assume la responsabilità di presentare il suo Governo e il suo programma al Parlamento, ottenendo in forza di ciò la fiducia della sola Camera dei deputati.
Un ulteriore elemento di rafforzamento della stabilità e della governabilità deriva dal fatto che la mozione di sfiducia nel nostro progetto è approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camera, se presentata da un terzo dei deputati.
È anche molto importante che sia stata prevista, all'articolo 72, la possibilità per il Governo di chiedere che un proprio disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno, e quindi votato entro una data certa. Tutto ciò conferisce all'Esecutivo poteri di governo più significativi e più incisivi, perché se un disegno di legge è essenziale per il proprio programma è giusto che chiunque eserciti la funzione esecutiva pro tempore disponga di questa possibilità.
Ovviamente la Camera può anche bocciare il disegno di legge, ma deve pronunciarsi in un tempo certo, e ciò rende più comprensibile la ragione per cui abbiamo conseguentemente disciplinato in modo più stringente la materia della decretazione d'urgenza, all'articolo 77 della Costituzione, per limitare il fenomeno dei decreti-legge, che tutti i Governi - di qualunque colore essi siano - tendono ad implementare eccessivamente: la ragione è proprio il fatto che contestualmente abbiamo conferito al Governo maggiori possibilità di far esaminare e approvare dal Parlamento, entro una data certa, i disegni di legge considerati prioritari.
Nella logica di un bilanciamento equilibrato tra i poteri del Governo e quelli del Parlamento vi è anche l'obbligatorietà dei pareri parlamentari sugli schemi di decreti legislativi, da rendersi prima dell'emanazione degli stessi decreti, che sono il frutto di leggi delega approvate dal Parlamento. Anche in questo caso, si tratta di una procedura in gran parte già prevista nella legislazione ordinaria, ma in tal modo assumerebbe il rango di norma costituzionale.
Nel provvedimento in esame vi sono anche alcune modifiche che riguardano il Presidente della Repubblica, ma si tratta prevalentemente di cambiamenti conseguenti alle riforme già citate. Il potere di scioglimento in capo al Presidente della Repubblica si riferirà solo alla Camera dei deputati. L'elezione del Presidente della Repubblica avverrà solo da parte di un'assemblea congiunta di deputati e senatori, senza più la necessità di ricorrere ai delegati regionali, essendo le regioni ampiamente rappresentate direttamente nel Senato federale della Repubblica. È conseguenza delle modifiche precedentemente citate anche la funzione di eventuale supplenza del Capo dello Stato in capo al Presidente della Camera dei deputati. Infine, ho già ricordato l'abbassamento della soglia di età per essere eleggibile a Presidente della Repubblica da cinquanta a quarant'anni.
Preannuncio infine alcune ulteriori ipotesi di riforma che sottoporrò ai colleghi attraverso la presentazione di proposte emendative, e ritengo che esse saranno condivise anche da altri colleghi (ne abbiamo già discusso in Commissione, senza aver però deliberato).
Mi riferisco, in primo luogo, alla modifica della rappresentanza al Senato per quanto riguarda le due province autonome di Trento e Bolzano, che costituiscono la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nel senso di prevedere direttamente l'elezione di tre senatori da parte dei due consigli provinciali, in modo da garantire - soprattutto nella provincia autonoma di Bolzano - un maggiore pluralismo politico e «linguistico».
In secondo luogo, proporrò ai colleghi di prevedere, all'articolo 66 della Costituzione, la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale, in caso di elezione contestata; all'articolo 94, il principio della sfiducia costruttiva, di cui abbiamo già discusso; ed infine, all'articolo 120, laPag. 28sostituzione del riferimento al Governo con quello allo Stato, perché i poteri sostitutivi riguardino non solo quelli amministrativi, ma anche quelli legislativi.
Resta aperta la questione, di cui tanto si discute, e che comunque nel provvedimento in esame è affrontata nelle norme transitorie, della riforma della legge elettorale, che riguarda sia la Costituzione vigente (perché comunque dovremmo sempre avere un sistema elettorale valido a Costituzione vigente) sia l'adeguamento del sistema elettorale alla Costituzione riformata, se il progetto di modifica verrà approvato. Ritengo che la strada da percorrere sia quella di riprendere l'ipotesi di far rientrare in vigore la legge Mattarella con alcune limitate modifiche; tuttavia, non si tratta di un tema oggetto della presente discussione, ma di un tema del dibattito politico generale, peraltro all'esame dell'altro ramo del Parlamento, e avremo occasione di affrontarlo.
Ringrazio della loro attenzione il Presidente, il rappresentante del Governo e i colleghi (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io desidero ringraziare i relatori, per il lavoro serio e impegnato svolto in I Commissione, e il presidente, onorevole Violante, per la ricerca di un'ampia convergenza su un atto parlamentare sicuramente di grande spessore politico, relativo a un tema che ormai da tempo - probabilmente troppo - ha impegnato non solo questo Parlamento, ma anche i Parlamenti e i parlamentari delle scorse legislature.
Tuttavia, permettetemi di dire che il dibattito iniziato oggi in quest'aula appare un po' surreale, e anche molto ipocrita. Infatti, noi dell'UDC siamo assolutamente favorevoli alla riforma costituzionale in esame, perché, in realtà, a differenza di altri, non siamo pentiti della riforma della scorsa legislatura. Tuttavia, non possiamo sottacere e non rilevare il fatto che il progetto di riforma si inserisce in un contesto politico in cui la maggioranza, che attualmente governa il Paese, è in palese crisi. La maggioranza è sempre più incerta al Senato: leggiamo di ipotetiche e probabilmente realistiche «transumanze» di senatori. Si combatte una guerra all'arma bianca sugli emendamenti alla legge finanziaria in discussione al Senato, tra gruppi appartenenti alla stessa maggioranza. La sinistra radicale, sabato scorso, ha dimostrato che preferisce essere di lotta e meno di Governo, scegliendo per le proprie manifestazioni più la piazza che non l'espressione nelle aule parlamentari. Vi sono sondaggi che indicano una grave disaffezione degli elettori nei confronti di questa maggioranza. Assistiamo ad accuse violente tra ministri dello stesso Governo. Dunque, esaminiamo questa importante proposta di legge - ancora una volta ne sottolineo l'importanza - in un clima politico assolutamente compromesso. È un dato al quale non possiamo ovviare.
In realtà, la proposta in esame dovrebbe rappresentare, al di là dei contenuti, che affronteremo nel seguito dell'esame del provvedimento e degli emendamenti, un segnale politico importante da affidare al Paese. È necessario un provvedimento che non deve e non può essere di chiusura, ma, al contrario, di grande disponibilità, per tentare di offrire un orizzonte ad una legislatura che, obiettivamente, ogni giorno di più, appare asfittica, e per contribuire a chiudere una transizione politica che dura da troppo tempo, e che non sopravvive più in questo bipolarismo muscolare in cui le alleanze sono fatte per vincere ma, come ormai è sotto gli occhi di tutti, con grande difficoltà offrono la possibilità di governare.
Discutiamo di questo provvedimento in un momento in cui, purtroppo, la legge elettorale è parcheggiata, e continua ad essere parcheggiata, al Senato. Sono stato tra coloro che si auguravano che la proposta di riforma del sistema elettorale potesse essere trasferita alla Camera, per evidenti motivi di praticabilità, ma, ancora una volta, abbiamo visto come questo bipolarismo perfetto funzioni in modoPag. 29anomalo anche e soprattutto su questioni che soltanto con un «pizzico» di logica si sarebbero potute risolvere. Dico con preoccupazione che la legge elettorale è parcheggiata al Senato, perché se essa non prende un abbrivio positivo, anche la proposta di legge riguardante le riforme costituzionali avrà un futuro molto incerto. Noi dell'UDC chiediamo da sempre una contestualità. Sappiamo bene che una cosa sono le riforme costituzionali, altra cosa è la legge elettorale, ma chiediamo sul piano politico che la legge elettorale venga contestualizzata con il disegno di riforma costituzionale, pur nella considerazione che i tempi di approvazione dell'una e dell'altra sarebbero difformi.
Chiediamo una contestualizzazione perché vogliamo costruire un sistema omogeneo ed articolato, che possa offrire complessivamente una riforma costituzionale ed una legge elettorale che possano convivere ed essere coordinate l'una con l'altra.
Siamo d'accordo sul Senato federale, anche se, probabilmente, dovrà essere chiamato in modo diverso: non più Senato federale, ma Camera federale; siamo d'accordo con una diminuzione equilibrata e ragionevole dei parlamentari; vorremmo che fosse inserita la sfiducia costruttiva - a tal proposito abbiamo presentato una proposta emendativa che riproporremo in Assemblea - in quanto per noi è una soluzione assolutamente necessaria; infine, siamo d'accordo sul rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri.
In Commissione, questo provvedimento ha ottenuto una posizione uniforme da parte del centrodestra, interamente astenutosi nonostante che - e possiamo dirlo con grande schiettezza - tra i partiti che lo compongono vi siano diversità di vedute e sfumature diverse rispetto all'approccio complessivo di questa proposta di legge.
Tuttavia, sarebbe sbagliato interpretare tale astensione complessiva come una completa apertura di credito nei confronti di questa proposta, così come sarebbe sbagliato interpretarla come una «bocciatura»; per noi che, oggi, viviamo l'esperienza dell'opposizione, questa astensione rappresenta soprattutto una sfida nei confronti della maggioranza, affinché quest'ultima riesca a superare le difficoltà e le contraddizioni che vive al proprio interno, non soltanto su questa proposta di legge di riforma costituzionale, ma anche su un progetto e su un modello di legge elettorale.
Con qualche preoccupazione, in queste ultime ore, abbiamo appreso dalla stampa delle posizioni obiettivamente diversificate tra il neosegretario del Partito Democratico e l'ex (non so se definirlo «ex» o «quasi ex») de La Margherita, Rutelli. Ebbene, non è una divaricazione da poco, ma si tratta di una questione che dev'essere risolta (ormai i giorni sono contati), altrimenti ci avvieremo verso l'abbrivio del referendum, anche se ritengo che, con molta probabilità, se non riusciremo a rimettere mano, con una riforma, alla legge elettorale, ci avvieremo davvero verso l'abbrivio di elezioni anticipate. Dunque, dobbiamo andare avanti. Siamo d'accordo a procedere con questa proposta di riforma costituzionale, a patto che venga sbloccata la questione della legge elettorale.
Sui contenuti di questa proposta di legge, evidentemente, abbiamo molte perplessità che speriamo possano essere risolte nel corso dell'iter parlamentare, un iter complesso come, giustamente, deve esserlo quello che riguarda le leggi di riforma costituzionale.
Chiediamo un ulteriore riflessione complessiva, da parte di questa Assemblea, sul numero dei deputati. Siamo infatti d'accordo con una diminuzione del numero dei deputati che, tuttavia - ripeto - dev'essere equilibrata. Siamo dell'idea di riflettere ancora sul numero dei deputati eletti all'estero: infatti, altro è inserire dodici deputati eletti all'estero in un corpo di 630, altro evidentemente è inserirli in un corpo di 500. Un conto è inserire i parlamentari eletti all'estero in un sistema bicamerale perfetto, un conto è inserire dodici deputati più sei senatori (o come siPag. 30chiameranno) in un sistema bicamerale imperfetto, in cui i ruoli saranno, evidentemente, profondamente distinti.
Una diminuzione drastica di parlamentari mal si concilia, a mio avviso, con un Senato eletto tra i consiglieri regionali (quindi, di secondo livello), con un Senato più che dimezzato.
Vi è una diminuzione del numero dei componenti del Senato, se così si può ancora definire. A mio avviso, come ho detto poc'anzi, probabilmente, nella proposta di legge in discussione sarebbe più opportuno definirlo Camera federale, in quanto, fra l'altro, oltre alle modifiche circa le competenze, è stata equiparata l'età minima degli eletti a quella fissata per i deputati. Pertanto, evidentemente, non c'è alcuna ragione per continuare a chiamare Senato un Senato che non è più tale. Si tratta di una Camera federale - più che dimezzata nel numero dei membri - e della fine del bicameralismo perfetto.
Anche in Commissione ho posto l'attenzione sul fatto che si affida a 500 ipotetici deputati il compito oggi svolto - in un sistema sicuramente bizantino, ma di bicameralismo perfetto - da 630 deputati e 315 senatori. L'attuale è dunque un sistema molto più complesso e molto meno controllabile dall'esterno da forze extraparlamentari e lobby che agiscano fuori dall'Assemblea rispetto ad una Camera dei deputati esclusivamente monocratica e formata unicamente da 500 membri.
Inoltre, se dovessimo dar seguito ad una diminuzione così drastica dei deputati, rischieremmo anche di alterare gravemente il rapporto di rappresentanza fra cittadini ed eletti. Questa è un'altra questione sulla quale non possiamo sorvolare allegramente, perché una delle critiche più forti che l'opinione pubblica rivolge ai politici è data dalla distanza che si è stabilita - sinceramente, anche con la legge elettorale vigente - e dalla incomunicabilità che si sta verificando fra i parlamentari eletti e i cittadini.
Occorre, quindi, fare attenzione, perchè con 500 eletti in ambito nazionale che hanno lo stesso identico compito - ma diverso rispetto a quello svolto dai membri del Senato - si rischierebbe di scavare un «fosso» di incomunicabilità fra cittadini ed eletti ulteriore e ancora più profondo.
Inoltre riferirsi a modelli di altre nazioni non è peccato ed è anzi sempre utile farlo per poi dar seguito ad una valutazione serena; dobbiamo pertanto anche considerare quei Paesi cui comunque facciamo riferimento e che guardiamo con un pizzico di invidia perché sono riusciti prima di noi a stabilire sistemi che garantiscono governabilità al proprio paese. Mi riferisco alla Germania, alla Francia e alla Gran Bretagna, i quali conoscono un assetto di monocameralismo o comunque di bicameralismo non perfetto e che hanno però un numero di deputati nettamente superiore a quello che oggi vorremmo proporre per l'istituzione della nuova Camera.
Eppure, anche tali Paesi (sicuramente la Germania) possiedono un sistema federale ancora più radicato storicamente e culturalmente rispetto a quello che vorremmo stabilire nel nostro Paese. Siamo d'accordo in relazione alla Camera federale. Tuttavia, personalmente vorrei proporre una nuova riflessione sulla composizione del Senato federale.
Con tutta sincerità vorrei rifarmi al modello tedesco, sic et simpliciter, un modello in cui i membri della Camera federale non vengono eletti dai consigli regionali ma, evidentemente, sono espressione degli esecutivi.
Ha ragione il rappresentante di Rifondazione Comunista nel dire che se scegliamo una strada, abbiamo il dovere di percorrerla sino in fondo, senza deviazioni di comodo.
Pertanto, dobbiamo lavorare per avere una Camera federale che, in un certo qual modo, possieda e svolga una funzione paragovernativa, proprio per evitare il verificarsi di contrapposizioni e divaricazioni fra le due Camere, che sarebbero molto pericolose.
Si tratterebbe peraltro anche di evitare che i senatori eletti nell'ambito dei consigli regionali con voto limitato assumano, obiettivamente, funzioni sovrabbondantiPag. 31persino rispetto agli stessi deputati, potendo svolgere, evidentemente a pieno titolo, il compito e il ruolo di consiglieri regionali, ma contestualmente - magari nei giorni dispari! - anche quello di senatori della Repubblica.
Se abbiamo poi scelto di percorrere la strada del federalismo, della Camera federale, dobbiamo percorrerla fino in fondo. Ho qualche perplessità, anche in questo caso, nel registrare un numero di senatori diversificato a seconda delle regioni, eletti in modo proporzionale in base alla popolazione di ciascuna regione. Se scegliamo il modello del Senato federale il numero di senatori deve essere identico per ogni regione, al di là del numero degli abitanti della regione, perché il Senato federale, se davvero è tale, è composto dalle rappresentanze delle autonomie regionali nel loro complesso, in un rapporto paritario tra di esse, e non da una serie di rappresentanze regionali diversificate proporzionalmente in base al numero dei cittadini elettori di quelle regioni.
Infine, una riflessione ulteriore - che però a noi dell'UDC sta molto a cuore - è relativa alle materie affidate alla Camera federale (anche in tal caso, con l'obiettivo di costruire un sistema omogeneo e complessivo).
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURIZIO RONCONI. Sto concludendo, Presidente. Le questioni dell'energia, la questione delle infrastrutture debbono rimanere di esclusivo interesse nazionale. Ormai quotidianamente le forze di Governo affrontano tali difficoltà, prima è accaduto al centrodestra e oggi capita al centrosinistra. Ebbene, dobbiamo liberare dai localismi e dagli interessi localistici le questioni che riguardano le infrastrutture di interesse nazionale...
PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.
MAURIZIO RONCONI. ...e in qualche caso anche di interesse internazionale.
Concludo ribadendo la disponibilità dell'UDC - pur nella consapevolezza del fatto che a causa di un clima politico molto difficile il percorso della riforma sarà in salita - per un esame serio ed approfondito della proposta in esame (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, inizia oggi alla Camera il dibattito sulla riforma costituzionale, intorno a un buon testo e in un clima in parte diverso rispetto al recente passato; in particolare diverso rispetto alla XIV legislatura, quando si affrontò tale questione con un metodo che portò poi ad una contrapposizione frontale tra maggioranza e opposizione e al referendum già più volte ricordato il cui esito negativo ha fatto sì che quel progetto di riforma non venisse poi confermato. Qualcuno lo ha definito troppo ambizioso, qualcuno troppo vasto; certamente la sensazione che il corpo elettorale ha avuto, e che ha provocato il suo pronunciamento negativo, era quello di un testo che stravolgesse troppo l'impianto della nostra Costituzione.
Oggi ho sentito - da ultimo dall'onorevole Ronconi, ma mi pare che siano così intervenuti anche altri (certamente i colleghi in Commissione) - una specie di motivo conduttore (che giustifica o giustificherebbe anche l'astensione dell'opposizione, che pure noi apprezziamo, nel corso dell'iter in Commissione) intorno al rapporto tra le riforme e la maggioranza, il Governo.
Credo che sia legittimo, da parte dell'opposizione, fare una polemica - perfino assai consistente - nei confronti del Governo, poiché ciò fa parte del gioco della democrazia. Però, il legame che viene instaurato fra riforme costituzionali da un lato e Governo e maggioranza dall'altro mi sembra sinceramente non giustificabile.
In proposito, vorrei rileggere alcune righe di un resoconto dei lavori dell'AssembleaPag. 32costituente: quello della seduta pomeridiana di martedì 13 maggio 1947, sotto la Presidenza del Presidente Terracini. All'avvio della seduta, alle ore 16,30, il resoconto recita «Annunzio di dimissioni del Governo». Il Governo di cui si parla è il terzo governo De Gasperi, dalle cui dimissioni nasce una nuova compagine governativa che esclude sostanzialmente i socialisti e i comunisti: ci si trova dunque in una situazione di tensione politica attorno al Governo senza precedenti, almeno per quell'epoca, e davvero traumatica. Ebbene, dopo la presentazione delle dimissioni del Governo ed una breve sospensione, alle 16,40 la seduta riprende e nel resoconto si legge: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana». Quel che intendo sottolineare è che in una situazione di gravissime tensioni politiche, la Costituente ed i costituenti seppero comunque comprendere che i due piani su cui ci si muoveva erano diversi: il dibattito così continuò e giunse alla sua conclusione, com'è noto, alla fine del 1947, dandoci la Costituzione italiana. Vorrei dunque ammonire i colleghi che legano questi due aspetti a rileggere almeno queste pagine della storia italiana, che non sono prive di significato.
Una terza considerazione che vorrei svolgere attiene al patto su cui si fonda la nostra convivenza democratica. La nostra Costituzione - e in questo mi ricollego a quanto dicevo un momento fa - conserva ancora un impianto complessivo assai solido ed un valore attuale da difendere. In proposito, mi viene da pensare ad una personalità che per me ha un grande significato, Giuseppe Dossetti, che parlava di «patriottismo della Costituzione»: patriottismo, cioè, come ripresa di un concetto e di un senso di patria che è definito nei principi costituzionali fondanti. Ecco: quei principi, quella impalcatura e quei valori restano; e l'intervento al nostro esame non ha certo l'obiettivo di modificarli.
Più di recente, Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, ha osservato come esistano due tipi di riforme costituzionali: quelle di tipo palingenetico, che riguardano l'assetto complessivo del disegno costituzionale; e quelle di tipo funzionalistico, che mirano a rimediare a profili di disfunzionalità certamente non trascurabili (quando si parla della Costituzione, nulla è trascurabile), ma circoscritti.
Ora, al termine dei lavori della Commissione, il testo al nostro esame incide direttamente (il calcolo degli articoli è sempre difficile ed opinabile) su una ventina di articoli, anche se ve ne sono altri che vengono toccati indirettamente, come conseguenza di quelle modifiche. Non è poca cosa, ma è meno della metà dei 54 articoli che venivano modificati con il progetto di riforma costituzionale approvato nella scorsa legislatura.
Quel che più conta, poi, è che questo testo presenta un perimetro unitario: esso riguarda infatti essenzialmente la forma di Governo. Si interviene su un tema - per così dire - monografico: il che consentirà (o consentirebbe) al corpo elettorale di intervenire in sede di referendum a garanzia dei suoi diritti in maniera appropriata, poiché il testo presenta un perimetro circoscritto.
Ebbene, quali sono le principali disfunzioni della Costituzione del 1948? Lo abbiamo detto più volte, ma ne cito rapidamente gli aspetti essenziali. In primo luogo, il bicameralismo paritario (qualcuno continua a chiamarlo perfetto, ma di questa perfezione noi vediamo soprattutto le imperfezioni: chiamiamolo dunque paritario), che porta spesso ad un rallentamento insopportabile dell'attività legislativa.
In secondo luogo, vi è il tema del Governo. Faccio riferimento al ruolo del Premier rispetto alla sua coalizione, come delineato indirettamente attraverso i rapporti tra Primo Ministro e Ministri, ed al ruolo, da mettere a punto, del Governo in Parlamento, che può essere debole e finisce per essere esuberante in alcune circostanze (pensiamo, ad esempio, alla vicenda dei decreti-legge «accoppiati» con la posizione della questione di fiducia che rappresenta certamente una distorsione).Pag. 33Nella riforma in esame si affronta tale nodo al fine di individuare una soluzione più corretta.
Infine, vi è anche il tema relativo all'assenza di un regionalismo cooperativo che non abbiamo mai saputo realizzare, nonostante la riforma del Titolo V.
Quali siano i punti salienti della proposta di riforma al nostro esame li vedremo nel dettaglio in seguito. Mi limito a richiamarli per titoli: il Senato federale, le funzioni della Camera (nella direzione di un superamento del bicameralismo paritario), la riduzione del numero dei deputati, l'elettorato passivo a diciotto anni, la corsia privilegiata dei disegni di legge governativi (altro aspetto che riguarda il nodo del Governo in Parlamento), la nomina del Presidente del Consiglio valutati i risultati delle elezioni (anche questo è un raccordo con il sistema elettorale), la fiducia della Camera al solo Presidente del Consiglio (ma ottenuta quando è formata la compagine governativa), la revoca dei Ministri, accanto alla nomina, su proposta del Presidente del Consiglio (anche sotto questo profilo si tocca il nodo delicato dei rapporti tra Presidente del Consiglio, forze politiche e coalizioni).
Mi permetto di svolgere alcune considerazioni con riferimento al Senato federale. È stato sottolineato che si tratta di un modello lineare - il collega Ronconi lo criticava - di cui dobbiamo tener conto. Tale modello forse incarna l'utopia della Costituzione, come poteva essere allora quando si pensò al Senato federale, a base regionale. Stavolta lo chiamiamo Senato federale della Repubblica. Richiamandomi a quanto detto dal collega Boato, si tratta di una definizione molto appropriata in relazione alla composizione (che tiene conto anche di modelli stranieri), ma l'aggiunta di Senato federale della Repubblica è particolarmente significativa (di esso ne abbiamo ricordato le funzioni e ne parleremo in seguito abbondantemente). Al riguardo, credo che vada richiamato un aspetto, per così dire, di equilibrio costituzionale: questo disegno di riforma del Senato, al quale naturalmente sarà apportata qualche modifica da parte delle Camere - completa e dà un senso ancora più chiaro alla riforma del Titolo V, che acquista adesso una filosofia più complessiva e significativa.
Fra breve affronteremo anche la questione dell'articolo 117 della Costituzione. Insieme alla collega Amici abbiamo presentato una proposta di riforma che rende più flessibile il riparto di competenze tra Stato e regioni, ma abbiamo voluto evitare di allargare troppo il perimetro dell'intervento.
In conclusione, il giudizio del gruppo de L'Ulivo sul testo in discussione è positivo già oggi. Ricordo che nei giorni scorsi abbiamo improvvisato un incontro con una quarantina di costituzionalisti (certamente non era presente tutta l'accademia italiana, ma una sua parte significativa), che hanno espresso un giudizio positivo sul testo al nostro esame sia pure con una serie di osservazioni di cui naturalmente il Parlamento e noi dovremo tener conto. A tale proposito, faccio notare che non è frequente riunire quaranta professori di diritto costituzionale e ascoltare un giudizio così convergente; ciò ha impressionato perfino noi che siamo direttamente coinvolti nella vicenda. Si tratta di un fatto che ci rincuora.
Quali potrebbero essere oggi alcune modifiche da apportare al testo in esame da valutare nel confronto con gli altri gruppi parlamentari? Si tratta di modifiche molto limitate, che desidero ricordare, sia pure per titoli. Sono d'accordo sul fatto che il tema della sfiducia costruttiva, se presentato in maniera lineare, possa rappresentare un ulteriore rafforzamento del Governo e del Premier. Occorre valutare, però, se introdurre o meno una soluzione lineare. Occorre prestare attenzione al fatto che con le Costituzioni non è possibile disciplinare tutti i comportamenti della vita politica: se vogliamo raggiungere troppi scopi con le norme, la politica poi riesce ad espandersi in terreni che non le appartengono. Credo, quindi, che bisognerà prospettare alcune soluzioni: la Costituzione parla poco, dice cose essenziali,Pag. 34fissa paletti. Noi siamo disposti a riflettere su questo aspetto, che mi pare interessi anche altre forze politiche.
Credo che vi siano alcune modifiche tecnico-consequenziali da tenere presente nel definire i rapporti tra Camera e Senato. Il Senato ha un ruolo che può essere, tenuto conto dell'articolo 117, terzo comma, addirittura di iniziativa. Sarà necessario impedire che tale iniziativa possa trasformarsi in un blocco. Occorrerà trovare, quindi, una soluzione che renda chiaro che se l'iniziativa non va a buon fine trascorso un certo periodo, essa passa alla Camera dei deputati. Si tratta di una conseguenza tecnica relativamente ad una soluzione già presente nell'impianto della disciplina.
Alcuni colleghi hanno posto il problema di rafforzare ulteriormente il ruolo del Senato nel rapporto Senato-Camera in modo da tenere conto delle esigenze delle regioni. Si dovrà valutare, quindi, se i quorum stabiliti siano adeguati. Certamente, non si deve bloccare l'attività della Camera, ma ritengo che potremo riflettere su quelle proposte che vadano in tale direzione.
Credo anche che si potrà riprendere a riflettere su quella procedura redigente che il gruppo de L'Ulivo aveva richiamato in Commissione, che risponde ad un'esigenza di funzionalità della Camera, senza influire sul principio democratico della rappresentanza e sul significato che assume il plenum. Chi lavora in Parlamento è cosciente di quanto sia delicato tale rapporto e sa quanto sarebbe, forse, più importante valorizzare ulteriormente il ruolo delle Commissioni.
Qualche breve considerazione in tema di composizione del Senato. Con riferimento a questo modello parlavo poc'anzi di utopia. Se qualcuno poi voglia riflettere ulteriormente sulla possibilità di una presenza dei presidenti delle giunte regionali accanto ai rappresentanti dei consigli - mi riferisco sempre a soggetti che potrebbero partecipare, teoricamente, in via di diritto, al Senato federale della Repubblica - tale opportunità potrebbe essere valutata, anche nel quadro di un ripensamento del sistema delle conferenze. Uso sempre formule prudenti perché credo che, a questo punto, in Assemblea noi appoggeremo soltanto le soluzioni che potranno consentire una maggiore convergenza parlamentare, non certo quelle proposte fatte unicamente per sventolare in questa sede delle bandiere.
Vi è anche il problema della rappresentanza di genere, che è stato sollevato in Commissione. Credo che la risposta sia contenuta nell'articolo 51 della Costituzione; tuttavia, se i relatori trovassero soluzioni a questo riguardo, noi non saremmo contrari. Bisogna sempre prestare attenzione alla Costituzione, perché essa va letta nel suo insieme. Non è che intervenendo su venti articoli dobbiamo predisporre venti disposizioni normative autosufficienti. Vi sono altre norme con cui la Costituzione si lega. Noi incidiamo su venti articoli della Costituzione, ma occorre tenere presente che non modificheremo solo questi in quanto questi vanno ad assestarsi su un sistema complesso. A tale riguardo, qualcuno nei giorni scorsi faceva notare come l'articolo 94 si rapporti con l'articolo 95. Il presidente Violante - colgo questa occasione per ringraziare lui e i relatori Amici e Bocchino - è consapevole di tale problema. Si rilevava, in particolare, che nello Statuto Albertino era presente una norma che parlava di Ministri responsabili. Lavorando su tale norma si costruì successivamente, in via di prassi, il rapporto di fiducia in seno al Parlamento perché si sostenne che i Ministri non erano responsabili solo verso il re che li aveva nominati, ma anche verso il Parlamento; in tal modo nacque l'istituto della fiducia.
Credo che oggi la lettura che potremmo dare sia quella che il Presidente del Consiglio risponde al Parlamento perché ne ottiene la fiducia. I Ministri, che sono nominati e revocati dal Presidente del Consiglio, rispondono a quest'ultimo. Mi sembra uno schema abbastanza logico. Colleghi, come vedete, stiamo interpretando l'articolo 94 in relazione al 95, che pure non è modificato da questa riforma, ma la questione si pone. Quindi, se moltiplichiamoPag. 35i venti articoli facendo riferimento a tutte le bretelle costituzionali che si possono immaginare, la riforma in esame sarà assolutamente di portata non trascurabile.
Ribadisco, infine, il giudizio positivo del gruppo L'Ulivo. Penso che il dibattito parlamentare potrà confortarci, nel senso di aumentare il consenso su tale riforma.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, l'interrogativo che pende sull'esame del provvedimento in esame più che nel merito è sull'opportunità del dibattito in sé: ha senso, in questa fase della vita politica italiana, riprendere e proseguire un dibattito che dura da molto tempo, purtroppo con nessuna conclusione reale? Ha un senso o no nel momento in cui la cronaca dimostri come il confronto politico sia non solo arroventato nello scambio di posizioni diverse tra maggioranza e opposizione (fatto normale), ma all'interno dello stesso Governo? Oggi basterebbe leggere i giornali e vedere come taluni Ministri si apostrofano e si offendono per affermare che nemmeno l'opposizione usa toni come quelli che alcuni Ministri hanno reciprocamente usato, l'uno contro l'altro, nelle ultime ore. L'opzione dello sbocco elettorale di questa legislatura appare dalla cronaca e non solo dagli auspici dell'opposizione che, in quanto tale, spera sempre che la rivincita sia vincente e sia prossima per un fatto fisiologico. Al di là dei nostri auspici, la cronaca sembra spingere in questa direzione e non siamo certo noi a dolercene o a ritenere la possibilità di un ritorno alle urne un fatto negativo.
Potrebbe apparire contraddittorio - nel nostro schieramento se n'è parlato negli ultimi giorni -, ma ha senso fornire un contributo a questo dibattito? La disponibilità al dibattito potrebbe, infatti, essere equivocata, anche per la presenza di un relatore, l'onorevole Bocchino, che ha svolto con passione e convinzione il suo ruolo insieme ad altri colleghi di altro schieramento sotto l'impulso del presidente della Commissione che, anche per l'autorevolezza che riscuote nel Parlamento, ha dato uno stimolo non secondario a tale processo. Fornire un contributo ha un senso, perché si tratta di un tema comunque all'ordine del giorno e proprio l'onorevole Bocchino, nel suo ruolo di relatore, ha concluso, dopo aver esaminato il provvedimento, che il presente dibattito potrà servire in futuro. Vedremo poi quali saranno le circostanze.
Rispondo all'interrogativo, che grava sul dibattito, sostenendo che noi abbiamo il dovere, comunque, di dare un contributo chiaro perché l'opinione pubblica non conosce tutte le alchimie e non sa che necessitano quattro passaggi parlamentari per realizzare una riforma costituzionale.
Non lo sappiamo noi, figuriamoci se lo sanno i cittadini se e quando si voterà, se, come politicamente (ed abbiamo il diritto di farlo) auspichiamo, vi sarà un ricorso anticipato alle urne o se si voterà alle scadenze ordinarie. Nel frattempo, quindi, partecipiamo al dibattito con spirito sincero. Peraltro, cogliamo l'occasione per denunciare alcune contraddizioni della sinistra. Infatti, molte norme contenute nella parziale riforma costituzionale al nostro esame erano contenute in un disegno ben più ampio che siamo riusciti a portare a compimento nella precedente legislatura. Quando a volte si contesta l'insufficiente capacità riformatrice del Governo di centrodestra non solo si fa un'ingiustizia nei confronti delle tante leggi approvate - dalla legge Biagi alla legge Fini-Bossi, dalla legge sulla droga alla riforma della scuola e a tante altre riforme importanti che sono state varate nel corso della scorsa legislatura - ma si dimentica che noi abbiamo completato, in termini parlamentari, l'iter di una riforma costituzionale che, con una legislatura di cinque anni, arrivò a concludersi con i fatidici quattro passaggi. Successivamente, con il referendum confermativo, celebrato dopo le elezioni politiche in un clima particolarmente complesso, quella riforma non passò.
A mio giudizio la sinistra sbaglia perché, a differenza del testo in esame, quelloPag. 36che portammo al giudizio degli elettori affrontava anche il problema del rapporto Stato-Regioni che è stato invece eluso nel provvedimento in esame, in quanto trattasi di un tema complesso.
Com'è noto, i veri problemi sul Titolo V della Costituzione non sono nati dal Governo di centrodestra che, avendo la Lega Nord al suo interno, poteva essere considerato un Esecutivo che sotto il profilo dell'equilibrio tra Stato e regioni avrebbe potuto creare difficoltà alle istituzioni centrali. Invece, i problemi sono nati dalla riforma del Titolo V approvata dalla legislatura ancora precedente, periodo 1996-2001, con i famosi soli quattro voti di scarto del centrosinistra. Noi abbiamo, con quel disegno che la sinistra non volle sostenere né in Parlamento, né con il referendum confermativo, messo un po' d'ordine nel Titolo V.
Nello svolgere un intervento dialettico (anche se mi auguro che queste riforme prima o poi abbiano un esito positivo), nell'apprezzare alcune cose che ci sono nel testo oggi all'esame dell'Assemblea, mi rammarico del fatto che in questo contesto non ci sia stata possibilità di rimettere mano ad alcune parti della Costituzione, che nel rapporto Stato-regioni hanno creato una grande confusione.
Oggi abbiamo la preoccupazione sul piano energetico, i rigassificatori si fanno o no? L'autonomia energetica dell'Italia c'è o no? Leggiamo cifre allarmanti: ogni tanto l'amministratore dell'ENEL o un altro esponente di punta del sistema energetico ci dice quanto ci costa il ritardo nella realizzazione di impianti e quanto non aver chiarito le competenze dello Stato sulle reti infrastrutturali del Paese o sulle reti energetiche o finanche sulle reti di telecomunicazione. Oggi abbiamo ancora in vigore il «cattivo» Titolo V della parte seconda della Costituzione che nemmeno la sinistra, che ha scritto e approvato, oggi difende. In questa occasione non registriamo alcuna novità su tale versante.
Quali sono le cose che ci sono e scritte, che noi approviamo? Certamente il numero dei parlamentari! Prima un giornalista mi chiedeva per quale motivo partecipiamo a questo dibattito. È un po' come un questionario: come potremmo rispondere negativamente se i relatori e il presidente della I Commissione Affari costituzionali ci propongono di ridurre il numero dei parlamentari? Eravamo favorevoli anche prima che scoppiasse questa sorta di «moda» per cui c'è un atteggiamento «iconoclasta» verso il Parlamento e le istituzioni politiche, quasi che poi non ci debba essere qualcuno che rappresenti chi.
Leggevo, con riferimento al Partito Democratico, che i nuovi partiti che nascono non debbano avere iscrizioni o adesioni. Faccio parte di un partito che, attraverso diverse trasformazioni, ritiene che l'iscrizione, l'adesione sia un fatto fondamentale in democrazia. Può darsi che poi in futuro non sarà più così. Si era criticato qualche partito perché era di plastica e virtuale, ma vedo che qualcuno proporrebbe sul versante di sinistra di avere partiti senza iscritti. Credo che una politica tradizionale, sana e trasparente abbia una sua legittimità. In questo senso non apprezzo gli eccessi dell'antipolitica, che quasi vorrebbe l'abolizione del Parlamento. Tuttavia, la riduzione dei parlamentari è misura, non solo auspicabile, ma necessaria. Non possiamo non approvare e non condividere tale punto, presente in questa riforma, peraltro in modalità e misure credibili, senza atteggiamenti demagogici. Nello stesso tempo, credo che non si può pensare di rappresentare la nazione, di governare tanti argomenti, di avere quattordici Commissioni permanenti e quant'altro con duecento o trecento deputati.
Condividiamo il tema del Senato federale, già presente nel testo precedente. Si criticò la nostra riforma, perché faceva scattare dal 2011 la riduzione dei parlamentari. Adesso non so nemmeno se ce l'avremo dal 2011. Quella riforma non fu approvata con il referendum confermativo, vedremo se questa sarà approvata. Quella era a un passo dalla sua «effettiva vita», perché aveva superato gli esami parlamentari e aveva bisogno solo della conferma popolare; quindi, avremmo avuto la certezza. Adesso le scadenze sono analoghe,Pag. 37ma siamo ancora al primo passaggio. Ce ne sono altri tre e vedremo che cosa accadrà su quell'altro versante che ho solo evocato e accantonato.
La scansione di ruoli diversi tra Camera e Senato è anch'essa una necessità inderogabile: le perdite di tempo, le sovrapposizioni, derivano anche dal bicameralismo perfetto. Lo si dice da venti o trent'anni in quest'Aula, non consumerò tempo ulteriore per aggiungere il mio pensiero ad una argomentazione che è quasi banale, ma che tuttavia non ha trovato ancora soluzione. Ho visto che oggi i colleghi hanno ripercorso la storia. Non ero in quest'Assemblea, ma ero impegnato in politica e nel giornalismo e, quindi, ricordo perfino la Commissione Bozzi non nell'esperienza parlamentare, ma in quella di militante della politica e poi la Commissione De Mita-Iotti e poi anche l'ultima Commissione bicamerale, che anche in quel caso subì condizionamenti frutto di scontri e vicende politiche.
Ricordo il coup de thé|$$|Axatre di cui fu registra l'indimenticato onorevole Tatarella, quando insieme alla Lega Nord e ad altri settori, votando in coerenza con una spinta presidenzialista della destra, fece una scelta che poi in qualche modo complicò quel percorso riformatore. Tuttavia, fu coerente con alcune scelte che abbiamo fatto e che oggi vorremmo trovassero più spazio. Se la differenziazione dei ruoli tra le due Assemblee c'è, se un Senato federale, con una rappresentanza del territorio in questo testo c'è, sul piano del ruolo del Governo c'è un po' di timidezza. È vero che il Governo può ottenere la calendarizzazione e il voto di alcune scelte, però noi vorremmo un'istanza presidenzialista.
Mi ha molto piacevolmente sorpreso che in questi giorni Clemente Mastella (lo cito nel dibattito costituzionale, oggi che viene citato anche dai suoi colleghi di Governo in maniera molto più rozza) ha affermato, ed è un fatto innovativo, che bisogna rafforzare il Premier e il Governo; ha detto, addirittura, che ci vorrebbe una forma di presidenzialismo. Io capitalizzo queste affermazioni di Clemente Mastella, si tratta per lui di una citazione in tema di riforme costituzionali, credo che dovrebbe apprezzarla. Se perfino un uomo del centro, di una tradizione fortemente parlamentare, non dirò trasformista - non voglio usare questi termini, è troppo banale; Mastella insomma è un esponente tipico di un modello di logica politico-parlamentare tradizionale, e anche a questo riguardo uso termini eufemistici - ha detto che è meglio il presidenzialismo, se c'è arrivato anche Mastella, perché tutto il Parlamento italiano non deve arrivare ad una forma di elezione diretta?
Ritengo che perfino il modello americano sarebbe sposabile. Abbiamo discusso, in questi decenni di dibattito, del semipresidenzialismo, della designazione del Premier. Vi rendete conto di quanto siamo in ritardo, noi delle istituzioni? Su tali temi davvero l'antipolitica ha ragione. Se uscissimo fuori da quest'aula e lo chiedessimo ai cittadini, ci renderemmo conto che la gente è convinta che si elegge il Presidente del Consiglio, perché sulle schede elettorali, non solo il centrodestra - che predilige l'opzione del Premier eletto dal popolo o addirittura il presidenzialismo in maniera forte, la sinistra molto meno - ha messo il nome del leader sulle schede elettorali, ma lo ha fatto anche la sinistra.
Già nel 2001, quando sulle schede elettorali c'era il nome di Berlusconi per il centrodestra, la sinistra fece altrettanto sul suo simbolo elettorale, quello su cui la gente esprime il proprio voto nel momento di contatto tra politica e cittadini (i quali casomai non leggono tutti i giorni la Costituzione, ma quando vanno a votare un'opinione se la fanno): si leggeva Berlusconi o Rutelli. In quel caso se, come avvenne nella suddetta circostanza, avesse vinto il centrodestra con Berlusconi o se, per avventura, avesse vinto il centrosinistra con il candidato Rutelli, il Capo dello Stato avrebbe potuto anche assegnare l'incarico ad un altro, in teoria, ma in pratica non avrebbe potuto farlo. Tuttavia non è prevista l'elezione diretta del Premier. Anche questa volta c'è stato uno scontro tra Prodi e Berlusconi; questa volta c'erano anche altri nomi, perché abbiamo avutoPag. 38un sistema elettorale che ha consentito a tutti di mettere simboli e nomi, con una loro moltiplicazione sulle schede elettorali.
Se chiedessimo ai cittadini fuori da Montecitorio - potremo fare come Le Iene o altri, trasformandoci in intervistatori del popolo - tutti ci direbbero che si elegge il Premier. Questa è la percezione popolare. Del resto, oggi si dibatte su quali saranno i candidati alle prossime elezioni, che si terranno, come noi ci auguriamo, fra sei mesi o, come qualcuno si augura, ma forse nemmeno con convinzione, nel 2011, o in un'altra data intermedia. In ogni caso, si discute su quali saranno i candidati. Infatti, a sinistra è sceso in campo Veltroni e già si sa che dovrà essere il candidato alla premiership, noi abbiamo una candidatura già definita in termini di consenso, quella di Berlusconi, perché risulta essere quella più suffragata, ma ci sono comunque altri leader come Fini, Casini, personaggi ampiamente suffragati e altri potenziali leader.
Oggi siamo in ritardo di dieci anni rispetto alla pubblica opinione che pensa che l'elezione diretta del premier già esista, questa è la percezione del Paese, e se noi andassimo a spiegare che non è così, direbbero «come, non è così? Io sono andato a votare, c'era pure il nome sulla scheda, l'ho anche votato, abbiamo vinto o abbiamo perso?», commenteranno, a seconda delle opinioni. Tuttavia, non si sa che non abbiamo questa norma. Questa riforma ha dato un pò più di poteri di impulso al Governo nel campo dell'iniziativa legislativa, ha posto anche limiti alla decretazione d'urgenza. Ho apprezzato l'aggiunta nel testo della Costituzione di alcuni aspetti che nella prassi e nelle norme sono invalse, ma scriverli in Costituzione vuol dire limitare in maniera ancora più formale e solenne l'abuso della decretazione d'urgenza, rendendo effettivo il termine dei 60 giorni. Nello stesso tempo, si rafforza il diritto del Governo di chiedere ed ottenere tempi certi nel varo o nella reiezione di un proprio provvedimento. Ritengo che sul tema del rafforzamento del Governo si poteva andare ancora più avanti, lo dico soprattutto a quei settori più conservatori - nel senso deteriore del termine - più retrivi del Parlamento che hanno ancora paura. Quando leggo articoli o discussioni sulla Costituzione... Mi ha molto colpito, in questi giorni, che un banchiere sia intervenuto per spiegare il suo pensiero sulla Costituzione: non era Consorte, quindi già almeno ci siamo elevati di livello (Commenti del deputato Violante), si tratta di Bazoli. Pare ci sia stata una discussione tra Bazoli e il direttore del Corriere della Sera perché quest'ultimo ha pubblicato alcuni interventi che aprivano una riflessione sulla Costituzione, anche su alcuni principi fondamentali.
Bazoli è stato quasi chiamato in causa perché si diceva che volesse la sostituzione del direttore Paolo Mieli perché il «discolo» aveva mostrato segni di apertura ad una riforma troppo esagerata, eppure Mieli lo ricordiamo per la sua esternazione a favore del centrosinistra! Qualche giorno fa partecipavo con quest'ultimo ad un convegno durante il quale egli ha rilasciato un'affermazione di tenore un po' diverso, forse ci ha ripensato... evidentemente il Governo ha fatto di tutto per non meritare l'apprezzamento neppure di coloro che avevano invitato a votarlo! Dopo di che Bazoli è intervenuto sulla Costituzione. Non so perché Bazoli o altri se ne debbano occupare; Bazoli può candidarsi alle elezioni, fondare un partito e, forse, ha anche la capacità di finanziarlo; tutti si occupano di questo tema, mentre noi siamo in ritardo.
Ecco perché Alleanza Nazionale ha partecipato con animo sincero al dibattito odierno; non è tutto quello che serve, noi vorremmo un'istanza presidenzialista più avanzata o, almeno, quella elezione del Premier che i cittadini pensano di vivere da una quindicina d'anni, più o meno, e quindi quando hanno votato le volte precedenti e quando andranno a votare la prossima volta hanno pensato e penseranno di eleggere il Premier; non sanno che gli orologi della Costituzione sono un po' in ritardo rispetto alla vita reale del Paese. Comunque, riteniamo che gli accenni fatti siano positivi e anche alcuniPag. 39aspetti, tra i quali l'ottimismo di ridurre a quaranta anni l'età per l'elezione del Capo dello Stato in un sistema che viene considerato un po' ingessato sull'età. Spesso anche nel nostro schieramento svolgiamo questa riflessione quando si parla delle leadership; alcuni da sinistra tifano per altre leadership, sperando, forse, di vincere e, quindi, sono tifosi poco attendibili; tuttavia, quando parliamo dei leader dei nostri partiti - Fini e Casini - questi ultimi hanno un'età non solo per essere leader, ma anche per far sì che avvenga come in altri Paesi, dove i vari Blair e Aznar sono usciti di scena dopo aver governato i loro Paesi ancor più giovani di quanto non siano oggi i leader di alcuni partiti italiani. Quindi, che vi sia la necessità di una riduzione dell'età media non v'è dubbio, però io non sono neanche un teorico del giovanilismo fine a se stesso, non solo perché forse con il passare degli anni tutti diventiamo più attenti a questa condizione, perché l'età di per sé non è una condizione risolutiva, però saluto la decisione di portare l'età teorica del Capo dello Stato a quaranta anni come un gesto di speranza in un futuro in cui non sia necessario aver compiuto ottanta anni per diventare Presidente della Repubblica, avere abbondantemente superato i sessanta per svolgere il ruolo di Presidente del Consiglio, e via di questo passo rimanere giovani o, per dirla con le infelici affermazioni di Padoa Schioppa, bamboccioni ancora a trenta o a quaranta anni. Quindi, auguriamoci che questo stimolo costituzionale possa servire poi ad un parziale ringiovanimento anche con giovani di qualità, perché io che ne frequento tanti, ne vedo tanti bravi, ma talvolta alcuni, oggi che i partiti tradizionali sembrano essere meno di moda, chiedono come si diventa deputato. Si può diventare deputato, ma molti di noi hanno iniziato la battaglia politica senza pensare di diventare deputati o membri di un Governo, ma rappresentando idee e conducendo battaglie politiche.
In tutto questo tempo non si è cambiata la Costituzione e questo è un dato un po' amaro. Sì, vi sono stati piccoli ritocchi (alcuni in peggio, come la riforma del 2000-2001 del Titolo V), qualche altra modifica (come l'introduzione, da parte nostra, del diritto di voto degli italiani all'estero) e altre innovazioni. A volte si è fatto finta di ignorare la Costituzione; ricordo i tentativi del Governo Prodi degli anni Novanta e la cosiddetta legge Turco-Napolitano che prevedeva il diritto di voto agli immigrati, sul quale facemmo una battaglia, sostenendo che la Costituzione riserva tale diritto ai cittadini e si convenne che per riconoscere il diritto di voto bisognava modificare la Costituzione. Ciò in tal caso non è avvenuto ed io ne sono stato contento, perché ritengo che il diritto di voto, anche amministrativo, debba essere riconosciuto ai cittadini, e oggi anche ai cittadini dell'Unione europea in virtù dei processi di integrazione in atto, ma non possa essere attribuito nemmeno a questi ultimi per le elezioni politiche.
Ritengo che questo tentativo meriti un apprezzamento perché, se non altro, ci consente di tenere sempre in piedi il discorso sulle riforme, ed eventualmente di verificare se qualche passo in più possa essere compiuto anche nel corso del dibattito. Credo che soprattutto sull'elezione del Premier, che è il tema che si collega anche alla legge elettorale che non è al centro di questa discussione e sappiamo quanto è delicata la questione...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURIZIO GASPARRI. Concludo, Presidente.
Si potrebbe realizzare qualche passo in più. Probabilmente, come ha affermato il relatore Bocchino, avremmo svolto, forse, un esercizio a futura memoria e i resoconti di queste sedute si aggiungeranno a quelli delle Commissioni bicamerali che, da Bozzi ai nostri giorni, si sono succedute. Riusciranno la I Commissione e il presidente Violante, che per il ruolo e per il cursus honorum è sicuramente una persona di grande capacità, a realizzare ciò che altri non hanno fatto? Questo è il quesito di fronte al quale ci troviamo.
In conclusione, signor Presidente, sul piano della politica non interpretiamo laPag. 40nostra partecipazione al dibattito in maniera convinta, come un sostegno al Governo che non è in grado di sostenersi da solo e che non piace neanche ai Ministri che lo compongono. Quindi, come potrebbe piacere a noi? Sgombriamo, dunque, il campo dal sospetto. Ci auguriamo un'alternanza e un ricambio che si verifichino ancor prima della cronaca del dibattito parlamentare.
PRESIDENTE. Deve concludere.
MAURIZIO GASPARRI. Tuttavia, su alcune scelte prioritarie siamo disposti a confrontarci serenamente e, successivamente, il tempo e la realtà ci mostreranno se il dibattito sarà servito a qualcosa o soltanto a realizzare un altro volume di resoconti per gli studiosi del futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
ITALO BOCCHINO. Bravo, mi hai commosso!
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16 con il seguito della discussione sulle linee generali.
La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 16.