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Discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (ore 21,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Vico, che illustrerà anche la mozione Lulli n. 1-00030, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, articolerò il mio intervento a sostegno della mozione Lulli ed altri n. 1-00030 lungo tre punti: i diritti del consumatore europeo, la lotta alla contraffazione e alla falsificazione, la tutela e la riconoscibilità delle produzioni italiane, del design che realizzano le grandi imprese e del made in Italy prodotto dalle piccole e medie imprese.
Credo vi siano consapevolezza e sentimento comune sul fatto che la trasparenza, la tracciabilità, l'etichettatura e il marchio, la riconoscibilità e l'origine dei prodotti manifatturieri siano gli unici certificati della qualità del prodotto e del produttore e, di conseguenza, della sicurezza per il consumatore nel mercato interno e rispetto all'importazione dei prodotti extraeuropei.
L'ho detto prima: i diritti del consumatore innanzitutto! Si tratta di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, in conformità con il disposto di cui all'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Si tratta, inoltre, di rassicurare i consumatori europei sul versante della sicurezza e della salute nel sistema moda, con riferimento al tessile, all'abbigliamento, al cuoio, alle calzature e agli accessori, in particolare per i rischi derivanti dall'uso di sostanze chimiche nel processo di produzione di quei Paesi che utilizzano prodotti non più consentiti in Europa.
Inoltre, si tratta di tutelare i consumatori da false o fallaci indicazioni, incluso l'uso fallace e fuorviante dei marchi aziendali, ai sensi della disciplina concernente le pratiche commerciali ingannevoli, di cui all'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003. Si tratta, altresì, di destinare al consumatore l'informazione sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti, ai sensi del codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 (articolo 6).
Sul versante della lotta alla contraffazione e alle falsificazioni, mi permetterò di citare rapidamente le fonti WTO, OCSE e UE, che ci forniscono i seguenti dati: il valore degli scambi di prodotti contraffatti nel mondo è pari a 450 miliardi di dollari; il 70 per cento della produzione mondiale è contraffatta nel sud-est asiatico; l'organizzazione mondiale delle dogane stima che la contraffazione sia pari al 5-7 per cento del commercio mondiale delle merci.
Inoltre, il 60 per cento della merce contraffatta finisce all'interno dell'Unione europea, il 40 per cento negli Stati Uniti d'America e il 60 per cento della contraffazione in Italia riguarda la moda. L'80 per cento del gettito IRPEF e il 21 per cento del gettito IVA nel nostro Paese sono stati in questo modo sottratti al fisco e i posti di lavoro persi per effetto della contraffazione sono stati in Italia quarantamila negli ultimi cinque anni.Pag. 94
I nostri maggiori partner europei, quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la stessa Cina hanno introdotto già da tempo (per ultima la Repubblica popolare cinese), il marchio di origine obbligatoria; l'Unione europea ancora non lo ha fatto. Il made in Italy, intanto, è aggredito dall'Estremo Oriente con una duplice offensiva: quella legale dei prodotti tessili e della pelletteria a prezzi stracciati e quella illegale dei falsi.
Si tratta quindi, onorevoli colleghi, di sostenere con rigore e determinazione in sede di esame da parte del Consiglio europeo la proposta di regolamento che rende obbligatoria l'etichetta almeno sui prodotti del settore moda importati nel mercato interno e, nel contempo, accelerare l'applicazione pratica in sede nazionale delle norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
A Bruxelles si afferma che si dovranno attendere le decisioni degli organi comunitari non potendo i singoli Stati membri legiferare validamente in materia. Mi permetto, però, di affermare e di certificare che, alla luce delle note Euratex, risulta inequivocabilmente l'esistenza di Paesi dell'Unione europea che stanno applicando il made in obbligatorio: parlo della Bulgaria, in virtù di una legge preesistente all'ingresso nell'Unione europea, che rappresenta un'eccezione ammessa dalla Comunità, così come accade per Cipro, l'Ungheria, la Lettonia, la Romania e la Slovacchia.
Aggiungo, ancora, che per la Grecia e per la Spagna è obbligatorio il made in per i prodotti di origine extra-europea in virtù di una legge preesistente e non abolita.
Infine, per quanto riguarda la Polonia, la legislazione è da poco cambiata in senso inverso: allineandosi alla normativa comunitaria generale l'etichettatura di origine da obbligatoria è divenuta facoltativa.
Rispetto agli interventi legislativi nel nostro Paese desidero ricordare che nella passata legislatura venne approvato dal Senato in prima lettura, con il consenso quasi unanime da parte di tutte le forze politiche, un testo che intendeva istituire un marchio che chiameremmo oggi full made in Italy e che avrebbe dovuto indicare i prodotti realizzati interamente in Italia; tuttavia, non si pervenne all'approvazione della legge. Ora la X Commissione della Camera ha riavviato l'itinerario sulla base di cinque proposte di legge (di iniziativa dei deputati Lulli, D'Agrò, Raisi, Contento e Gianfranco Conte) inserite in un testo unificato predisposto dal Comitato ristretto recante norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
La materia che si va ad affrontare, come il testo in esame, è ovviamente complessa, specialmente in relazione alla necessità che lo stesso provvedimento risulti coerente ed omogeneo con la normativa europea vigente in materia, ma soprattutto con la fiducia nel cambiamento.
Tuttavia, occorre risolvere e legiferare in ordine a due esigenze che vengono presentate come continuamente contrapposte: da un lato, quella di tutelare i diritti dei produttori italiani contro l'invasività della contraffazione e, dall'altro, quella di non produrre disposizioni di legge che ostacolino la libera circolazione delle merci nel mercato europeo.
Tali disposizioni vengono presentate come condizioni contrapposte non risolvibili. L'Unione europea dovrà elaborare la disciplina sul «made in» a livello comunitario e, in questo vuoto normativo, il lavoro del Parlamento italiano dovrà muoversi nella predisposizione di una normativa che tuteli il diritto dei consumatori alla salute e il diritto dei produttori a contrastare le frodi commerciali, tentando nel contempo di recepire le osservazioni a suo tempo formulate a livello europeo sui precedenti testi elaborati nelle legislature scorse.
Recentemente, tra l'altro, l'esplosione di casi eclatanti di contraffazione ha reso evidente la necessità di elaborare strumenti adeguati per tutelare i consumatori europei e tutto ciò dovrebbe rendere maggiormente percorribile la strada di una disciplina comunitaria orientata alla «tracciabilità» dei prodotti. Tra tali strumenti, il testo della X Commissione (Attività produttive) della Camera dei deputati può segnare - e, a mio parere, segna - un primo importante passoPag. 95in questa direzione e, con la soluzione della volontarietà del marchio, non entra in collisione con la normativa europea.
Sul testo predisposto, inoltre, vi è in pratica un'unanimità di consensi in Commissione ed è altrettanto unanime l'intenzione di portare a compimento l'iter in questa legislatura.
Concludo, Presidente, nel modo in cui si conclude la mozione in esame, rivolgendo la proposta di impegnare il Parlamento e il Governo a sostenere con determinazione la proposta di regolamento in sede di esame da parte del Consiglio europeo, ad attivarsi per accelerarne l'applicazione pratica in sede nazionale e a promuovere ogni opportuna iniziativa per favorire la «tracciabilità» dei prodotti del tessile, abbigliamento e calzature, al fine di una corretta informazione ai consumatori, che li metta in condizione di effettuare scelte libere e consapevoli, per conseguire le opportune tutele della salute dei lavoratori e degli utilizzatori finali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00034. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, la mozione da me presentata è datata, nel senso che era stata presentata circa un anno fa, ma ciò probabilmente serve, a maggior ragione, per indicare che la bontà di quanto avevamo affermato si trova anche nelle parole del Ministro competente, il quale oggi stesso, sui giocattoli tossici, ha preso una posizione chiara, precisa e netta.
Il collega Vico ha aperto la strada. Nella sostanza vi è poco da aggiungere, se non rilevare il blocco di interessi che esiste a livello di Comunità europea e che, in qualche modo, tenta di tutelare gli investimenti fatti nell'Estremo Oriente o, comunque, nei Paesi asiatici, penalizzando il sistema manifatturiero italiano.
Sappiamo perfettamente che siamo il secondo Paese europeo per prodotto interno lordo relativamente al settore manifatturiero. Certamente, però, la potenza tedesca rispetto a quella italiana si fa sentire di più; ugualmente anche le altre potenze europee che, in qualche modo, anche recentemente, al vertice di Lisbona, dopo averci concesso un deputato in più rispetto al taglio paventato, si sono riuniti immediatamente per stabilire le sorti della geopolitica finanziaria ed economica dell'Unione europea. Questa vicenda la dice lunga su come un blocco di interessi tenda in qualche modo a strangolare la fonte principale del reddito del nostro Paese.
Sappiamo perfettamente che il made in Italy ha una valenza che viene catalogata addirittura intorno al 15-20 per cento in più di remunerazione sul prodotto. Ciò disturba evidentemente le nostre consorelle europee che traggono dalla non tracciabilità delle merci un vantaggio di altra natura.
È noto che Carrefour è il primo soggetto di distribuzione dei beni di consumo quotidiano in Cina. È noto, altresì, che tipo di investimenti ha fatto la Germania anche per quanto concerne alcuni aspetti legati al settore aeronautico. Dobbiamo, però, constatare che altri Paesi come gli Stati Uniti, l'Australia e il Canada che, parimenti hanno interessi consistenti in Cina, hanno deciso in sostanza di vietare di introitare - brutto termine che vuol dire «non portare nei loro Paesi» - merci che non abbiano il principio della tracciabilità.
So con quanto impegno - l'ho riconosciuto a suo tempo quando ero assessore regionale, e lo ricordo - il Ministro Bonino ha svolto, a suo tempo, il ruolo di commissaria europea tutelando gli interessi del nostro Paese. Ho letto, però, una sua lettera proprio relativa al nostro progetto di legge, citato dall'onorevole Vico, con cui metteva le mani avanti con la delicatezza che inevitabilmente richiede anche il contesto della burocrazia parlamentare - la chiamo così - che ha diritto di tutela in questa sede e anche a livello di iter parlamentare di un progetto di legge.
Vorrei chiederle di essere più coraggiosa: tutti noi, a questo punto, dobbiamo essere più coraggiosi e, in modo particolare,Pag. 96il Parlamento e la X Commissione che aveva in qualche modo elaborato un testo, che, come detto da Vico, trovava l'unanimità dei consensi da parte dei componenti delle forze politiche. Pertanto, secondo me, va fatta una forzatura nella sostanza.
Credo che il concetto di tracciabilità sia riconducibile ad un concetto di tutela del nostro sistema che va trasformato, ma che in questo momento ha bisogno di essere garantito. Vi è anche un altro aspetto, consistente nella necessità che la concorrenza selvaggia non si tramuti in costi sociali per il nostro Paese. Tanto per intenderci, sappiamo perfettamente che non ci sono soltanto i giocattoli, ma anche i libri, i dentifrici e mille altre cose che attengono alla produzione di beni, anche le ceramiche, che in qualche modo hanno una rilevanza notevole nel consumo quotidiano. Tali beni possono diventare nocivi alla salute con un costo sociale che non possiamo scaricare sui Paesi da cui importiamo tali merci.
La Comunità europea era vicina alla possibilità di emanare un regolamento: mi sembra che nel 2006 fosse stata approvata anche una risoluzione del Parlamento europeo su questa materia; ma vi era anche un regolamento relativo all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti importati da Paesi terzi.
Non si tratta soltanto di sollecitare ma, possibilmente, di mettere sul piatto della bilancia il peso di questo Paese: una volta tanto dovremmo cominciare a farlo. Varrebbe la pena che, sotto i due aspetti che ho menzionato in precedenza - la tutela di un mondo che dobbiamo cambiare (ma, nello stesso tempo, nel contesto del cambiamento, aiutare ad essere tutelato) e la salute dei cittadini - si vada a costituire un punto di riferimento chiaro sulla scorta delle scelte compiute da altri Paesi fuori dall'Europa.
Signor Ministro, so che sui diritti civili lei si è spesa moltissimo. Vorrei sapere se fosse possibile «mettere il puntino» anche su quella logica standard della cosiddetta non asimmetria (un brutto termine) dei diritti del lavoro, dell'ambiente, sociali, culturali e di libertà, che permette di produrre beni che invadono i nostri territori, affinché il processo di cambiamento anche in quei Paesi venga sollecitato da quanti, non soltanto in chiave economica, ma anche in chiave di diritti umani, hanno la possibilità di esprimere una parola a tutela della libertà e, nello stesso tempo, in ragione della giustizia.
In questo caso, non si tratta di tutelare noi, ma le persone che vengono sfruttate - e lo vedremo successivamente in altre mozioni - per compiere una concorrenza sleale nel mondo che, qui, noi rappresentiamo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee, Emma Bonino.
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Cari colleghi, vi ringrazio per queste mozioni che mi consentono, perlomeno, di fare il punto della situazione sui vari dossier che avete sollevato.
Vi rendete conto e lo sapete perfettamente che, indirizzandovi a questo Governo e a me, come Ministro, in realtà rischiate di predicare a una convertita.
PIETRO MARCENARO. È la cosa migliore!
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Sapete bene quanta energia stiamo spendendo, per esempio, sul regolamento «made in». Desidero salutare, in questa sede, il grande apporto dei vostri colleghi di tutti i gruppi al Parlamento europeo e le iniziative che costoro stanno prendendo per una dichiarazione che, se entro il 3Pag. 97dicembre raggiungerà la maggioranza assoluta delle firme, si intenderà approvata.
Questa, peraltro, non sarebbe neanche una novità, perché la risoluzione a sostegno del regolamento «made in» cui lei, onorevole D'Agrò, faceva riferimento, è già passata: non è del Consiglio - magari! -, ma del Parlamento europeo. Abbiamo recentemente avuto a Bruxelles una conferenza stampa con la commissaria Kuneva, la quale si è espressa a sostegno di questo regolamento, non come elemento di politica protezionistica, ma come diritto all'informazione dei consumatori per favorire la loro libertà scelta.
Come sapete, per ragioni che non sono particolarmente oscure, esiste uno scontro abbastanza evidente tra la parte residua dei Paesi manifatturieri e la stragrande maggioranza dei Paesi europei di tipo commerciale o commerciante che si oppongono a questo regolamento.
Quello che stiamo facendo con l'aiuto dei vostri colleghi del Parlamento europeo - ad esempio, io ero a Berlino la settimana scorsa per l'ennesimo incontro - consiste nel cercare di spiegare alle nostre controparti che non si tratta di una misura protezionistica per tutte le motivazioni che lei ha detto, ossia perché l'hanno già adottata gli Stati Uniti, il Canada, la Cina e il Giappone e perché non costituirebbe affatto un aggravio di costi, dato che i produttori cinesi, per esportare i loro prodotti verso gli Stati Uniti, già appongono l'etichetta e quindi, certamente, non costituirebbe un aggravio di costi applicarla anche sui prodotti che esportano in Europa.
Come sapete, tale regolamento è bloccato da più di due anni, perché non raggiunge la maggioranza qualificata necessaria per essere approvato in Consiglio. Abbiamo reso pubblici i nomi dei Paesi contrari.
Vorrei solamente far presente che il nostro impegno non viene meno e che recentemente abbiamo anche riscontrato delle aperture per quanto riguarda la Slovacchia e il Belgio che potrebbero aiutarci almeno a compiere un passo in tale direzione e che stiamo particolarmente insistendo con i colleghi tedeschi - paese chiave in questa direzione - perché riteniamo che in Europa i paesi manifatturieri non siano moltissimi. Credo che una maggiore informazione possa aiutare al riguardo.
È chiaro che la confindustria tedesca ancora oggi è contraria. Tuttavia, ritengo che, almeno a partire dagli incidenti di quest'estate relativi al caso Mattel, l'esigenza di dare ai consumatori uno strumento in più in termini di informazione per poter scegliere comincia ad essere riconosciuta come uno strumento importante non tanto di autodifesa, ma certamente di scelta.
Tuttavia, cari colleghi, rimane la mia profondissima convinzione che quando la Mattel o per essa altre imprese delocalizzano l'attività in altri Paesi, la ditta titolare del marchio abbia il dovere di rispondere per tutta la catena di produzione sui prodotti che vengono immessi nei diversi mercati sotto il proprio brand. Infatti, è troppo facile - cosa che poi è stata riconosciuta - fare economia non investendo in controlli necessari che, invece, è possibile fare, tant'è vero che le imprese italiane, più ligie di molte altre, investono molto e hanno costi per la tutela del brand e la sicurezza dei prodotti.
In breve: se un consumatore compra una FIAT, vuole che questa freni - indipendentemente da dove i freni siano stati fabbricati - e chi ne deve rispondere è, di tutta evidenza, il titolare del brand, cosa che alcune imprese non fanno.
Questo è quello che stiamo facendo: come vedete non desistiamo. Si tratta di un tema che è stato sollevato anche a Lisbona e che, credo, sarà oggetto del vertice italo-tedesco e degli altri vertici che si approssimano, sia quello italo-francese di fine novembre, che quello italo-tedesco del 20 novembre. Speriamo che ciò si possa fare con tutte queste iniziative e con l'appoggio delle campagne di informazione dei parlamentari europei.
Consentitemi - non per burocrazia, che non è una cosa che mi appartiene - di confermare il contenuto della lettera che vi ho inviato. Sono fra coloro che ritengonoPag. 98che, finché se ne ha la responsabilità, le norme che si redigono devono essere aderenti a quelle europee e non si debba lasciare al Governo successivo infrazioni, pene, penalità, sanzioni o altro. Si tratta di un comportamento che trovo particolarmente sgradevole, trovandomi a gestire 270 infrazioni. Quando si parla di credibilità in Europa ci si dovrebbe rendere conto di cosa voglia dire.
Confermo le mie riserve e prego i deputati della Commissione dei vari partiti di compiere, tramite il proprio ufficio legislativo, alcune verifiche in termini di compatibilità comunitaria rispetto al testo di legge che vi accingete a varare.
Per quanto riguarda i diritti sociali, vorrei ribadire al collega, che fin dal 1996 e, successivamente, nel 1999 a Seattle, quando la conferenza del WTO si risolse in un fallimento, in particolare da parte dall'Italia ma anche dall'Europa, tale tema è stato proposto in tutte le sedi e - come lei stesso sa - è stato respinto dal WTO, in particolare per pressioni provenienti dai paesi emergenti. Tuttavia, ricordo altrettanto al collega che nell'anno 2005, sotto il forte sostegno dell'Italia e in particolare del Governo dell'epoca, l'Unione europea ha adottato un regolamento in cui viene applicato uno schema di preferenza tariffaria generalizzata, cioè di agevolazioni daziarie, che prevede specifici incentivi per quei Paesi, la cui legislazione nazionale incorpori la sostanza delle convenzioni sul diritto del lavoro e i diritti sociali, tra cui le convenzioni sul lavoro minorile, che dimostrano di applicare questa legislazione e che, come noto, va sotto il nome del sistema «GSP Plus».
Quindi tutto quello che era possibile fare in termini bilaterali è stato perseguito, con questo importante risultato nel 2005; ma per ora, in ambito WTO, tale tema non riesce a «passare».
Vorrei ora svolgere due considerazioni velocissime sulla sicurezza e sulla contraffazione. Confermo tutte le cifre che lei ha dato, che sono di dominio pubblico; faccio solo rilevare che si tratta di un tema così complicato che una buona parte della contraffazione dei prodotti che lei citava non arriva in Italia dal Sud-est asiatico, ma dall'Italia stessa: facciamo il design vero, quello falso e quello contraffatto. Il nostro spirito di iniziativa è piuttosto creativo.
LUDOVICO VICO. Solo le percentuali sono significative!
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Quanto alla percentuale, la nostra quota è piuttosto significativa in alcuni settori. Rimane il fatto che anche per l'Italia il prossimo disegno di legge sulla sicurezza pare che si occupi di questo; in realtà, è già difficile far rispettare le norme, che pure esistono, e che sono delegate, come lei sa, sostanzialmente ai comuni che incontrano una serie di difficoltà ad applicarle. In ogni caso, sui prodotti contraffatti credo vi siano alcune novità per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale: vi sono alcuni elementi positivi in ambito WTO, e per quanto riguarda il tessile siamo arrivati, vincendo con venti Paesi europei, al sistema del doppio monitoraggio, che spero ci aiuti ad evitare tutto ciò. Il problema della contraffazione non ha però risposte «bianche o nere» molto facili. Stiamo aprendo quattordici desk anticontraffazione - quindi non siamo più «tonti» di altri - in tutti i Paesi sensibili, proprio per aiutare perlomeno tutte le inchieste e le denunce; credo però che un'applicazione rigorosa delle norme intanto nel nostro Paese, ivi compresi le dogane e i porti, che non sono solamente quelli italiani ma anche, ad esempio, Rotterdam ed altri, sia come lei auspicava un fatto importante.
Per quanto riguarda la sicurezza e il problema che lei sottolineava delle sostanze pericolose, sia con riferimento alle calzature che al tessile, come attestano alcune recenti inchieste, il Ministero della salute, a partire dal 2005, ma anche recentemente, ha rafforzato, sulla base di una denuncia dell'Associazione nazionale dei calzaturieri italiani, le misure per far fronte ai rischi sanitari. Attualmente, il Ministero della salute ha istituito l'OsservatorioPag. 99nazionale per la valutazione dei rischi sulla salute non solamente dei prodotti tessili, ma di altri prodotti. Con l'entrata in vigore del regolamento Reach, tutti gli articoli che contengono sostanze pericolose, come il collega sa, devono essere registrati presso l'Agenzia europea di Helsinki, ovunque essi siano prodotti. Si tratta di capire se riusciamo a fare applicare queste norme, perché la mia preoccupazione è che, fra la norma e la sua applicazione, si crei anche in questo settore una zona grigia in cui il problema non è tanto rafforzare la legislazione, ma farla applicare (questo è il problema critico).
Infine, lo scorso 22 marzo è stato firmato un memorandum d'intesa tra i Ministeri italiani della salute e dell'economia per l'attivazione di specifici profili di rischio e mirate campagne di controlli sulle merci. Su questa base è stata rappresentata la necessità all'Agenzia delle dogane di richiedere anche il rilascio di nulla osta sanitario per le partite di merci importate contenenti cromo, nichel, piombo, tutte sostanze spesso presenti in numerosi capi di abbigliamento, giocattoli, lacche, pitture, bigiotteria. Anche gli assessorati alla sanità sono stati sollecitati per la verifica di eventi acuti, attribuibili all'uso di articoli contenenti le sostanze di cui ho parlato.
Infine, per quanto riguarda l'attività degli uffici delle dogane, si segnala che negli spazi doganali vi è un'attività di contrasto, che viene svolta da parte dei reparti operativi, ed un'attività di individuazione dei centri di produzione e dei canale di distribuzione. Questa attività è attuata dalla Guardia di finanza nel quadro di una collaborazione informativa tra pubblici poteri, sulla base di specifici protocolli di intesa firmati non solamente con il Ministero dell'attività produttiva, ma anche con Confindustria e l'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione.
Queste sono iniziative che abbiamo appena avviato e che spero daranno risultati. Dico ciò, naturalmente, tenendo conto della complessità della questione della contraffazione, che è altra cosa rispetto a quella dei prodotti pericolosi. Si tratta, infatti, di due fattispecie diverse, anche se entrambe hanno un grandissimo rilievo ed un grandissimo impatto l'una sulla salute dei consumatori, l'altra sull'apparato produttivo, come emerge anche dai dati che lei citava.
Ci auguriamo che questo rafforzamento delle iniziative riesca a limitare ulteriormente il danno che tali fenomeni producono, non solo al nostro Paese, ma intanto al nostro Paese.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.