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Discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (ore 21,10).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Vico, che illustrerà anche la mozione Lulli n. 1-00030, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, articolerò il mio intervento a sostegno della mozione Lulli ed altri n. 1-00030 lungo tre punti: i diritti del consumatore europeo, la lotta alla contraffazione e alla falsificazione, la tutela e la riconoscibilità delle produzioni italiane, del design che realizzano le grandi imprese e del made in Italy prodotto dalle piccole e medie imprese.
Credo vi siano consapevolezza e sentimento comune sul fatto che la trasparenza, la tracciabilità, l'etichettatura e il marchio, la riconoscibilità e l'origine dei prodotti manifatturieri siano gli unici certificati della qualità del prodotto e del produttore e, di conseguenza, della sicurezza per il consumatore nel mercato interno e rispetto all'importazione dei prodotti extraeuropei.
L'ho detto prima: i diritti del consumatore innanzitutto! Si tratta di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, in conformità con il disposto di cui all'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Si tratta, inoltre, di rassicurare i consumatori europei sul versante della sicurezza e della salute nel sistema moda, con riferimento al tessile, all'abbigliamento, al cuoio, alle calzature e agli accessori, in particolare per i rischi derivanti dall'uso di sostanze chimiche nel processo di produzione di quei Paesi che utilizzano prodotti non più consentiti in Europa.
Inoltre, si tratta di tutelare i consumatori da false o fallaci indicazioni, incluso l'uso fallace e fuorviante dei marchi aziendali, ai sensi della disciplina concernente le pratiche commerciali ingannevoli, di cui all'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003. Si tratta, altresì, di destinare al consumatore l'informazione sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti, ai sensi del codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 (articolo 6).
Sul versante della lotta alla contraffazione e alle falsificazioni, mi permetterò di citare rapidamente le fonti WTO, OCSE e UE, che ci forniscono i seguenti dati: il valore degli scambi di prodotti contraffatti nel mondo è pari a 450 miliardi di dollari; il 70 per cento della produzione mondiale è contraffatta nel sud-est asiatico; l'organizzazione mondiale delle dogane stima che la contraffazione sia pari al 5-7 per cento del commercio mondiale delle merci.
Inoltre, il 60 per cento della merce contraffatta finisce all'interno dell'Unione europea, il 40 per cento negli Stati Uniti d'America e il 60 per cento della contraffazione in Italia riguarda la moda. L'80 per cento del gettito IRPEF e il 21 per cento del gettito IVA nel nostro Paese sono stati in questo modo sottratti al fisco e i posti di lavoro persi per effetto della contraffazione sono stati in Italia quarantamila negli ultimi cinque anni.Pag. 94
I nostri maggiori partner europei, quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la stessa Cina hanno introdotto già da tempo (per ultima la Repubblica popolare cinese), il marchio di origine obbligatoria; l'Unione europea ancora non lo ha fatto. Il made in Italy, intanto, è aggredito dall'Estremo Oriente con una duplice offensiva: quella legale dei prodotti tessili e della pelletteria a prezzi stracciati e quella illegale dei falsi.
Si tratta quindi, onorevoli colleghi, di sostenere con rigore e determinazione in sede di esame da parte del Consiglio europeo la proposta di regolamento che rende obbligatoria l'etichetta almeno sui prodotti del settore moda importati nel mercato interno e, nel contempo, accelerare l'applicazione pratica in sede nazionale delle norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
A Bruxelles si afferma che si dovranno attendere le decisioni degli organi comunitari non potendo i singoli Stati membri legiferare validamente in materia. Mi permetto, però, di affermare e di certificare che, alla luce delle note Euratex, risulta inequivocabilmente l'esistenza di Paesi dell'Unione europea che stanno applicando il made in obbligatorio: parlo della Bulgaria, in virtù di una legge preesistente all'ingresso nell'Unione europea, che rappresenta un'eccezione ammessa dalla Comunità, così come accade per Cipro, l'Ungheria, la Lettonia, la Romania e la Slovacchia.
Aggiungo, ancora, che per la Grecia e per la Spagna è obbligatorio il made in per i prodotti di origine extra-europea in virtù di una legge preesistente e non abolita.
Infine, per quanto riguarda la Polonia, la legislazione è da poco cambiata in senso inverso: allineandosi alla normativa comunitaria generale l'etichettatura di origine da obbligatoria è divenuta facoltativa.
Rispetto agli interventi legislativi nel nostro Paese desidero ricordare che nella passata legislatura venne approvato dal Senato in prima lettura, con il consenso quasi unanime da parte di tutte le forze politiche, un testo che intendeva istituire un marchio che chiameremmo oggi full made in Italy e che avrebbe dovuto indicare i prodotti realizzati interamente in Italia; tuttavia, non si pervenne all'approvazione della legge. Ora la X Commissione della Camera ha riavviato l'itinerario sulla base di cinque proposte di legge (di iniziativa dei deputati Lulli, D'Agrò, Raisi, Contento e Gianfranco Conte) inserite in un testo unificato predisposto dal Comitato ristretto recante norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani.
La materia che si va ad affrontare, come il testo in esame, è ovviamente complessa, specialmente in relazione alla necessità che lo stesso provvedimento risulti coerente ed omogeneo con la normativa europea vigente in materia, ma soprattutto con la fiducia nel cambiamento.
Tuttavia, occorre risolvere e legiferare in ordine a due esigenze che vengono presentate come continuamente contrapposte: da un lato, quella di tutelare i diritti dei produttori italiani contro l'invasività della contraffazione e, dall'altro, quella di non produrre disposizioni di legge che ostacolino la libera circolazione delle merci nel mercato europeo.
Tali disposizioni vengono presentate come condizioni contrapposte non risolvibili. L'Unione europea dovrà elaborare la disciplina sul «made in» a livello comunitario e, in questo vuoto normativo, il lavoro del Parlamento italiano dovrà muoversi nella predisposizione di una normativa che tuteli il diritto dei consumatori alla salute e il diritto dei produttori a contrastare le frodi commerciali, tentando nel contempo di recepire le osservazioni a suo tempo formulate a livello europeo sui precedenti testi elaborati nelle legislature scorse.
Recentemente, tra l'altro, l'esplosione di casi eclatanti di contraffazione ha reso evidente la necessità di elaborare strumenti adeguati per tutelare i consumatori europei e tutto ciò dovrebbe rendere maggiormente percorribile la strada di una disciplina comunitaria orientata alla «tracciabilità» dei prodotti. Tra tali strumenti, il testo della X Commissione (Attività produttive) della Camera dei deputati può segnare - e, a mio parere, segna - un primo importante passoPag. 95in questa direzione e, con la soluzione della volontarietà del marchio, non entra in collisione con la normativa europea.
Sul testo predisposto, inoltre, vi è in pratica un'unanimità di consensi in Commissione ed è altrettanto unanime l'intenzione di portare a compimento l'iter in questa legislatura.
Concludo, Presidente, nel modo in cui si conclude la mozione in esame, rivolgendo la proposta di impegnare il Parlamento e il Governo a sostenere con determinazione la proposta di regolamento in sede di esame da parte del Consiglio europeo, ad attivarsi per accelerarne l'applicazione pratica in sede nazionale e a promuovere ogni opportuna iniziativa per favorire la «tracciabilità» dei prodotti del tessile, abbigliamento e calzature, al fine di una corretta informazione ai consumatori, che li metta in condizione di effettuare scelte libere e consapevoli, per conseguire le opportune tutele della salute dei lavoratori e degli utilizzatori finali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00034. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, la mozione da me presentata è datata, nel senso che era stata presentata circa un anno fa, ma ciò probabilmente serve, a maggior ragione, per indicare che la bontà di quanto avevamo affermato si trova anche nelle parole del Ministro competente, il quale oggi stesso, sui giocattoli tossici, ha preso una posizione chiara, precisa e netta.
Il collega Vico ha aperto la strada. Nella sostanza vi è poco da aggiungere, se non rilevare il blocco di interessi che esiste a livello di Comunità europea e che, in qualche modo, tenta di tutelare gli investimenti fatti nell'Estremo Oriente o, comunque, nei Paesi asiatici, penalizzando il sistema manifatturiero italiano.
Sappiamo perfettamente che siamo il secondo Paese europeo per prodotto interno lordo relativamente al settore manifatturiero. Certamente, però, la potenza tedesca rispetto a quella italiana si fa sentire di più; ugualmente anche le altre potenze europee che, in qualche modo, anche recentemente, al vertice di Lisbona, dopo averci concesso un deputato in più rispetto al taglio paventato, si sono riuniti immediatamente per stabilire le sorti della geopolitica finanziaria ed economica dell'Unione europea. Questa vicenda la dice lunga su come un blocco di interessi tenda in qualche modo a strangolare la fonte principale del reddito del nostro Paese.
Sappiamo perfettamente che il made in Italy ha una valenza che viene catalogata addirittura intorno al 15-20 per cento in più di remunerazione sul prodotto. Ciò disturba evidentemente le nostre consorelle europee che traggono dalla non tracciabilità delle merci un vantaggio di altra natura.
È noto che Carrefour è il primo soggetto di distribuzione dei beni di consumo quotidiano in Cina. È noto, altresì, che tipo di investimenti ha fatto la Germania anche per quanto concerne alcuni aspetti legati al settore aeronautico. Dobbiamo, però, constatare che altri Paesi come gli Stati Uniti, l'Australia e il Canada che, parimenti hanno interessi consistenti in Cina, hanno deciso in sostanza di vietare di introitare - brutto termine che vuol dire «non portare nei loro Paesi» - merci che non abbiano il principio della tracciabilità.
So con quanto impegno - l'ho riconosciuto a suo tempo quando ero assessore regionale, e lo ricordo - il Ministro Bonino ha svolto, a suo tempo, il ruolo di commissaria europea tutelando gli interessi del nostro Paese. Ho letto, però, una sua lettera proprio relativa al nostro progetto di legge, citato dall'onorevole Vico, con cui metteva le mani avanti con la delicatezza che inevitabilmente richiede anche il contesto della burocrazia parlamentare - la chiamo così - che ha diritto di tutela in questa sede e anche a livello di iter parlamentare di un progetto di legge.
Vorrei chiederle di essere più coraggiosa: tutti noi, a questo punto, dobbiamo essere più coraggiosi e, in modo particolare,Pag. 96il Parlamento e la X Commissione che aveva in qualche modo elaborato un testo, che, come detto da Vico, trovava l'unanimità dei consensi da parte dei componenti delle forze politiche. Pertanto, secondo me, va fatta una forzatura nella sostanza.
Credo che il concetto di tracciabilità sia riconducibile ad un concetto di tutela del nostro sistema che va trasformato, ma che in questo momento ha bisogno di essere garantito. Vi è anche un altro aspetto, consistente nella necessità che la concorrenza selvaggia non si tramuti in costi sociali per il nostro Paese. Tanto per intenderci, sappiamo perfettamente che non ci sono soltanto i giocattoli, ma anche i libri, i dentifrici e mille altre cose che attengono alla produzione di beni, anche le ceramiche, che in qualche modo hanno una rilevanza notevole nel consumo quotidiano. Tali beni possono diventare nocivi alla salute con un costo sociale che non possiamo scaricare sui Paesi da cui importiamo tali merci.
La Comunità europea era vicina alla possibilità di emanare un regolamento: mi sembra che nel 2006 fosse stata approvata anche una risoluzione del Parlamento europeo su questa materia; ma vi era anche un regolamento relativo all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti importati da Paesi terzi.
Non si tratta soltanto di sollecitare ma, possibilmente, di mettere sul piatto della bilancia il peso di questo Paese: una volta tanto dovremmo cominciare a farlo. Varrebbe la pena che, sotto i due aspetti che ho menzionato in precedenza - la tutela di un mondo che dobbiamo cambiare (ma, nello stesso tempo, nel contesto del cambiamento, aiutare ad essere tutelato) e la salute dei cittadini - si vada a costituire un punto di riferimento chiaro sulla scorta delle scelte compiute da altri Paesi fuori dall'Europa.
Signor Ministro, so che sui diritti civili lei si è spesa moltissimo. Vorrei sapere se fosse possibile «mettere il puntino» anche su quella logica standard della cosiddetta non asimmetria (un brutto termine) dei diritti del lavoro, dell'ambiente, sociali, culturali e di libertà, che permette di produrre beni che invadono i nostri territori, affinché il processo di cambiamento anche in quei Paesi venga sollecitato da quanti, non soltanto in chiave economica, ma anche in chiave di diritti umani, hanno la possibilità di esprimere una parola a tutela della libertà e, nello stesso tempo, in ragione della giustizia.
In questo caso, non si tratta di tutelare noi, ma le persone che vengono sfruttate - e lo vedremo successivamente in altre mozioni - per compiere una concorrenza sleale nel mondo che, qui, noi rappresentiamo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.