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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,08).
(Presunto pedinamento di un giornalista compiuto dai servizi segreti militari - n. 2-00048)
PRESIDENTE. L'onorevole Zaccaria ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00048 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, insieme ad altri cinquantacinque colleghi (due di loro, De Zulueta e Gambescia, sono qui presenti) abbiamo presentato l'interpellanza urgente in esame.
Tale atto di sindacato ispettivo prende le mosse da notizie riportate il 5 luglio dalla stampa quotidiana secondo le quali, nell'ambito dell'inchiesta della procura di Milano sul rapimento dell'imam egiziano Abu Omar, che ha condotto all'arresto di due esponenti del SISMI, Marco Mancini e il generale Gustavo Pignero, due giornalisti del quotidiano la Repubblica, Giuseppe D'Avanzo e Bonini, sarebbero stati oggetto - e ciò è stato riportato con particolare evidenza - di una serie di pedinamenti e di intercettazioni. Tali pedinamenti ed intercettazioni sarebbero tanto più gravi perché compiuti in violazione dei doveri inerenti la qualità di pubblici ufficiali.
Come sempre accade in questi casi, gli approfondimenti giornalistici anziché «spegnere» tali notizie hanno rivelato, anche sulla base di quello che poteva emergere dal procedere delle indagini giudiziarie, profili via via sempre più inquietanti. Noi abbiamo interpellato il Presidente del Consiglio dei ministri e il ministro della difesa, una serie di esponenti del Governo che potessero darci la misura, la dimensione di questo tipo di attività che apparivano fin dall'inizio estremamente preoccupanti. Il fatto che diversi parlamentari-giornalistiPag. 2abbiano sottoscritto questa interpellanza urgente sta ad indicare quanto, insieme ad altri profili, l'ipotesi prospettata metta a rischio la libertà di stampa.
Noi ci siamo resi conto, proprio seguendo il dibattito che su tale vicenda si andava sviluppando sugli organi di stampa, occupando le prime pagine dei quotidiani (salvo che negli ultimi giorni in cui esso, per ovvie ragioni collegate a vicende contingenti più forti, cioè quelle del calcio, è stato relegato nelle pagine più interne), che gli approfondimenti giornalistici stanno ponendo in evidenza, come detto, aspetti della vicenda sempre più inquietanti.
Perché diciamo questo e perché abbiamo interpellato più di un soggetto in seno al Governo? Perché intorno alla libertà di stampa sussistono, a nostro avviso, profili molto diversi tra loro.
Eugenio Scalfari ha scritto su la Repubblica un articolo nel quale ha messo in luce come in questa vicenda vi siano non solo giornalisti vittime di attività illecite o illegali, ma giornalisti in qualche modo coinvolti nelle attività stesse per effetto delle retribuzioni che ricevevano dai Servizi - chiamiamoli così - deviati (non c'è un altro modo per descrivere sinteticamente queste attività) e, poi, una serie di giornalisti più o meno ignari, che si trovavano ad essere vittime o in qualche modo partecipi di un sistema. Tale sistema aveva, l'abbiamo poi appurato successivamente, lo scopo non solo di perseguire il terrorismo, ma anche di deviare le informazioni relative al fenomeno terroristico, in uno strano balletto nel quale diventava o diventa difficile capire, per coloro che non vogliono seguire approfonditamente questo argomento, dove inizi un percorso di liceità e dove si passi poi nella dimensione dell'illecito.
Il fatto che un giornalista che svolge inchieste di un certo tipo sia oggetto di pedinamenti e di intercettazioni, che si formino, come abbiamo appreso, dei dossier su questi soggetti, come può tranquillizzare non solo i giornalisti ma gli stessi cittadini? Come si può pensare che la libertà di stampa non sia attaccata in questo modo? Che fine fanno questi dossier una volta ritenuti illegittimi o illegali? Vengono mantenuti da qualche parte, vengono ripristinati, spolverati o resi più attuali in successivi momenti? Anche l'Autorità garante per la protezione dei dati personali è intervenuta su questo argomento, ma il problema di fondo, signor rappresentante del Governo, è accertare come queste cose possano essere accadute, chi in qualche modo abbia compiuto i fatti - questo cominciamo a vederlo ed è la magistratura, come al solito, che ce lo dice -, chi non abbia vigilato laddove questa attività doveva essere svolta, chi possa darci dei chiarimenti, anche con riferimento ai rapporti che si intrattenevano perché, in questo caso, rischiamo sostanzialmente di capovolgere la realtà. Alcuni di questi giornalisti, che figurano a libro paga dei Servizi segreti deviati, poi ritengono che questa sia un'attività perfettamente lecita. L'ordine dei giornalisti latita o, comunque, non interviene come sarebbe lecito pensare in casi di questo genere e, naturalmente, si rischia ancora di avere una grande «panna montata», nella quale diventa tutto sostanzialmente lecito e, quindi, pericoloso non esprimere dei giudizi.
Naturalmente, il profilo che ho sottolineato in modo particolare riguarda l'intreccio tra attività deviata dei Servizi segreti ed attività giornalistica. Ci sono in ballo altri soggetti che non sono in quest'aula e che non possono dare delle risposte alle mie domande in questo luogo, ma il Governo deve certamente chiarirci fino a che punto questa deviazione si è potuta sviluppare, quali sono le responsabilità non accertate dalla magistratura - ma che, comunque, risultano evidenti in una vicenda di questo tipo - e, soprattutto, ci interessa capire quali siano i rimedi. Infatti, di fronte ad una vicenda di questa portata (lo ribadisco per l'ultima volta: ogni giorno che passa la dimensione dell'icesberg sembra maggiore), non possiamo essere soddisfatti che ci si dica - a prescindere dal fatto che riguardi questa amministrazione o quella precedente ePag. 3soggetti che in qualche modo possono aver agito con relativa autonomia - che i cittadini possono stare tranquilli, che la libertà, in questo caso la libertà che la Costituzione fa oggetto della più energica tutela, può essere esercitata in maniera appropriata.
Poi da questo trarremo le conseguenze anche di ordine legislativo, perché naturalmente, quando si parla di ordine dei giornalisti, si tratta di elaborare delle proposte di legge che tendano a riformare questi organismi, perché se essi non garantiscono in questi casi elementari non so allora in cosa possano garantire: su aspetti che evidentemente finiscono con l'essere puramente corporativi. Questo dunque per quanto riguarda l'illustrazione di questa interpellanza, mentre la replica sarà affidata alla collega De Zulueta, cofirmataria dell'interpellanza medesima, la quale ha anche un'esperienza internazionale in questo campo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Giovanni Lorenzo Forcieri, ha facoltà di rispondere.
GIOVANNI LORENZO FORCIERI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Intendo ringraziare l'onorevole Zaccaria e gli altri colleghi che hanno sottoscritto l'interpellanza urgente in oggetto, perché attraverso di essa consentono al Governo questa mattina di fornire alcune informazioni, anche più ampie rispetto al tema specifico trattato, che riguardano questa vicenda che coinvolge i nostri apparati di sicurezza, così come da diversi giorni leggiamo sui quotidiani. L'onorevole Zaccaria e i suoi colleghi mi consentiranno quindi di affrontare il ragionamento da un punto di vista più ampio rispetto alla specifica questione posta, senza naturalmente eluderla, ma rispondendo poi nel merito anche ad essa.
Sono ormai alcuni anni che l'Italia, insieme alle altre democrazie, è chiamata a fronteggiare la nuova minaccia terroristica portata alla sicurezza interna ed internazionale. Si tratta di una minaccia ben diversa da quella che avevamo conosciuto negli anni Settanta e Ottanta e connotata da una gravità ancora maggiore, perché diretta a colpire le fasce più inermi e indifese della popolazione, dagli impiegati delle Twin Towers ai pendolari di Londra e Madrid, dai giovani di Istanbul alla povera gente di Baghdad, e così si potrebbe continuare, con una violenza che travolge e sembra abbattere ogni regola di civile convivenza.
A fronte di questi pericoli, non sono mancate voci che hanno invocato una risposta dello stesso livello, pensando che le normali garanzie dello Stato democratico non possano e non debbano trovare applicazione in questa lotta e che contro il terrorismo non ci siano in definitiva regole che tengano. Per noi non è così. Il nostro Stato di diritto non può abdicare a se stesso e scadere allo stesso livello dei terroristi. La superiorità dello Stato di diritto rispetto ai terroristi sarebbe compromessa ove si scendesse sul loro stesso terreno. Non vi è stata e non vi è altra scelta che quella convinta di combattere il terrorismo con gli strumenti dello Stato di diritto, nella consapevolezza che una scelta di segno diverso implicherebbe di dover abdicare alla stessa essenza della democrazia. Così facendo, i terroristi verrebbero legittimati e trarrebbero un chiaro successo dalla modifica del nostro atteggiamento o del nostro stile di vita, qualora sopprimessimo o limitassimo le nostra libertà.
In questo rimane di esempio la vittoria sul terrorismo interno. La nostra democrazia è stata infatti capace di opporsi con successo all'eversione, tenendo fede al principio di legalità, che sta alla base della nostra convivenza civile e che, come i fatti hanno ampiamente dimostrato, sostanzia la vera forza di uno Stato. Il terrorismo endogeno è stato affrontato, combattuto e vinto attraverso la coesione delle forze democratiche e la saldezza delle istituzioni, mediante l'applicazione delle leggi esistenti e, quando si è reso necessario, attraverso l'adozione di strumenti normativi caratterizzati dall'emergenza in atto, però mai in contrasto con la Costituzione,Pag. 4che hanno resa più incisiva l'attività degli apparati di sicurezza e della stessa magistratura.
È una linea che non può essere modificata neanche quando la minaccia terroristica assume dimensioni globali o di particolare intensità. Quindi, anche di fronte al terrorismo di marca islamista e fondamentalista è necessario percorrere strade di legalità, interna ed internazionale.
È solo nella cornice dei principi generali che informano il nostro ordinamento che è possibile prevedere ogni iniziativa per rafforzare l'efficacia delle politiche antiterrorismo e delle strutture preposte ad operare sul campo. Ribadisco: solo nella cornice dei principi generali che informano il nostro ordinamento.
Infatti, il paese, allorquando ne è stata ravvisata la necessità, non ha rinunciato ad adeguare gli strumenti per combattere tale minaccia, con provvedimenti che si sono sempre mossi nel rispetto dei principi della nostra Costituzione democratica e repubblicana.
Lo scenario che le notizie apparse con grande risalto sui media, negli ultimi giorni, in relazione ai recentissimi sviluppi dell'indagine condotta dalla procura della Repubblica di Milano sul sequestro del cittadino egiziano Nasr Osama Mustafa Hassan, meglio noto come Abu Omar, sembrano configurare prospetterebbe una logica di lotta al terrorismo condotta in violazione alle regole dello Stato di diritto.
Tale logica, in realtà, non è mai stata né accettata né praticata dal Governo del nostro paese, il quale, nel contrasto al terrorismo, non ha mai abdicato al rispetto della legalità posta dallo Stato di diritto e non ha mai ceduto alla tentazione di procedere con metodi cosiddetti «non convenzionali».
Ciò vale anche per il SISMI, che non solo si è dichiarato assolutamente estraneo al sequestro di Abu Omar, ma ha sempre e categoricamente respinto l'accesso a prospettive «non ortodosse», come già riferito dal direttore di quel Servizio sia al Copaco nella precedente legislatura, sia al Parlamento europeo il 6 marzo ultimo scorso.
Nell'intimo convincimento che lo Stato di diritto possa costituire l'unica cornice in grado di consentire al paese ed alla democrazia di prevalere sulla barbarie del terrorismo, intendo qui esprimere la fiducia del Governo nell'operato della magistratura che conduce l'indagine sul caso Abu Omar, nonché assicurare al Parlamento che lo stesso Governo non farà mancare agli organi inquirenti la piena collaborazione per l'accertamento della verità dei fatti oggetto dell'indagine medesima.
Vorrei ricordare, inoltre, che la vicenda di Abu Omar e l'intenso dibattito, anche internazionale, che ne è conseguito, sotto il profilo sia del caso specifico sia della tematica generale, ha del resto richiamato anche in Italia l'attenzione del precedente Parlamento. Analogamente, riteniamo doveroso esprimere la fiducia negli apparati di informazione e sicurezza.
Il precedente Parlamento, infatti, è stato interessato dell'episodio in oggetto con diversi atti di sindacato ispettivo, tutti volti a chiarire se il Governo italiano pro tempore fosse stato informato del fatto, preventivamente o successivamente, ovvero avesse ricevuto informazioni circa altre analoghe situazioni riferite a cittadini islamici presenti sul territorio italiano.
Ricordo che l'Esecutivo precedente ha più volte risposto in termini ufficiali, escludendo categoricamente che alcuna operazione in qualsiasi modo riconducibile al quadro delineato dai media, con particolare riferimento al sequestro avvenuto a Milano il 17 febbraio 2003, fosse mai stata portata a conoscenza del Governo della Repubblica italiana e, per esso, delle istituzioni.
In quelle sedi è stato inoltre ribadito, con incisività, che il Governo e le istituzioni nazionali non avevano mai, in nessun modo, avallato operazioni di sequestro di persona in territorio italiano, escludendo altresì che vi potesse essere stato un coinvolgimento, a qualsiasi titolo, di apparati di intelligence italiani.
Ulteriori smentite - anche a seguito della pubblicazione di un articolo di stampa che riprendeva alcune presuntePag. 5dichiarazioni di un ex agente della CIA, nonché in relazione a molteplici interventi di quotidiani - venivano fornite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per escludere l'avvenuta ricezione di qualsivoglia notizia, relativa al sequestro, preventivamente partecipata dalle autorità statunitensi al Governo italiano, al consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio, al SISMI ed agli apparati di informazione e sicurezza in generale.
In particolare, poi, il SISMI, a suo tempo attivato dal Governo, ha da subito escluso di avere avuto preventiva cognizione dei fatti riportati dai media americani circa le attività statunitensi relative al trasporto di prigionieri islamici, presunti terroristi, in paesi terzi ove è possibile eseguire interrogatori anche sotto tortura.
Dalle risultanze in possesso del SISMI emerge che, pochi giorni dopo la scomparsa del cittadino egiziano, il servizio ha ottenuto notizia di tale evento da un autorevole esponente della comunità musulmana, informandone tempestivamente gli organi investigativi e le autorità competenti e fornendo contestualmente ogni elemento riferito, nonché invitando il medesimo esponente musulmano a far produrre dalla famiglia la necessaria denunzia del fatto alla polizia italiana.
Notizie giornalistiche (articolo del giornale arabo Al Haiat del 26 febbraio 2003) informavano, poi, della denuncia presentata dalla moglie di Abu Omar circa la scomparsa del marito, verificatasi mentre si dirigeva alla moschea milanese di viale Jenner, e della sua successiva deportazione in Egitto perché ritenuto coinvolto in azioni terroristiche.
I richiamati elementi sono quanto in possesso del SISMI, che si è astenuto da ulteriore ed autonoma attività in presenza di accertamenti coperti dal segreto dell'indagine penale da parte della procura della Repubblica Milano.
Ed è proprio in questa prospettiva che il servizio, con riferimento alla scomparsa di Abu Omar, venuto comunque a conoscenza di elementi che nel novero delle ipotesi possibili configuravano anche un sequestro di persona, ha immediatamente proceduto - come ribadito - a riferirli ai competenti organi.
Nell'ambito del procedimento penale successivamente instaurato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, risulta che il SISMI abbia poi corrisposto alle richieste dell'autorità giudiziaria procedente con il consueto rigore e la necessaria trasparenza e tempestività, nello spirito di una costante e piena collaborazione, fornendo tutti gli elementi utili, per quanto disponibili.
A fronte di tali, reiterate rassicurazioni - intese a prospettare condivisibilmente ogni possibile distacco e sentito rifiuto di pratiche inaccessibili -, il Governo non può esimersi dal considerare come, a far data dal 5 luglio ultimo scorso, si siano registrati importanti sviluppi nelle indagini della procura di Milano, che parrebbero in contrasto con le prese di posizione più volte ripetute.
La procura della Repubblica di Milano ha ritenuto infatti di poter ipotizzare diversi reati a carico di alcuni funzionari del servizio.
Gli sviluppi dell'indagine hanno trovato vasta eco nei media, che hanno posto alcuni interrogativi ed esternato preoccupazioni. Interrogativi e preoccupazioni che, comprensibilmente, si ritrovano in parte nell'interpellanza a firma dell'onorevole Zaccaria e di altri deputati cofirmatari, cui oggi il Governo risponde.
Ad alcuni di questi interrogativi è sin da oggi possibile dare una risposta. In questo senso, intendo assicurare che, allo stato delle conoscenze, non si ha alcuna conferma né vi sono indicatori che avvalorino l'ipotesi di intercettazioni illegali e di pedinamenti verso giornalisti da parte dei servizi segreti militari.
Il SISMI, infatti, ha fatto conoscere di non avere eseguito alcuna attività di intercettazione né pedinamenti ai danni di giornalisti, né di avere mai consentito ad alcuna attività di questa natura e tipo.
Ogni attività di intercettazione viene espletata dal servizio secondo le procedure previste dalla legge - e, più nello specifico, dall'articolo 4 del decreto-legge n. 144 delPag. 62005 - ed è opportunamente documentata e motivata, dunque esibibile. Aggiungo che, per lo svolgimento di queste attività di «intercettazione preventiva», il servizio ha adottato un complesso di misure di sicurezza dirette a garantire non solo, come ovvio, le esigenze di riservatezza, ma anche la privacy dei cittadini.
Il SISMI svolge ordinaria attività Osint (Open sources intelligence ovvero ricerca a fonti aperte), espletando le dovute ricerche su tutte le tipologie di fonti aperte, essendo notoriamente gran parte delle informazioni - in particolare, quelle riguardanti il terrorismo internazionale - tramitate per mezzo dei media e, in particolare, di Internet. Per tale ragione, la ricerca Osint, ovvero a fonti aperte, è stata ampiamente potenziata, oltre che nelle strutture interne (similmente ad agenzie di paesi stranieri), facendo ampio riferimento anche al mondo esterno al servizio, dove sono presenti know how specifici, come l'università e la ricerca, think tanks, centri studi, e via dicendo.
Questi ambiti svolgono pura attività Osint e forniscono informazioni che costituiscono solo una parte del patrimonio informativo del SISMI. Esse vengono attentamente sottoposte al vaglio «intelligence» ed integrate, confrontate e verificate con quelle provenienti da altre fonti, proprio al fine di evitare la selezione di notizie prive di credibilità e fondamento.
L'attività dell'ufficio di via Nazionale è da inquadrarsi in tale dinamica funzionale ed il Servizio esclude categoricamente che abbia svolto attività di intercettazione, innanzitutto per la sua stessa natura, nonché per quanto già riportato in precedenza. Esso può aver ricercato informazioni sfruttando i normali contatti di relazione con persone utili, fonti, persone d'ambiente; il rispetto dei confini esistenti tra i diversi ambiti è certo, in quanto garantito, oltre che dalle premesse sopra indicate, dalla natura e dalla qualità delle informazioni: di norma, da fonti aperte o da persone che tali fonti alimentano, ovvero capaci di interagire con queste ultime.
In conclusione, rispetto alla domanda specifica che è stata rivolta nell'interpellanza dall'onorevole Zaccaria e dagli altri cofirmatari, sulla base di quanto riferito dal servizio informazioni militari, si ribadisce l'infondatezza della notizia riportata nell'interpellanza stessa.
Un altro interrogativo che in questi giorni si è frequentemente affacciato sulla vicenda Abu Omar è come sia possibile che il Governo e gli apparati di sicurezza, in particolare il SISMI, potessero non sapere. Su questo punto, ritengo doveroso ricordare come la legalità propria dello Stato di diritto non consenta lo svolgimento di controlli generalizzati suscettibili di invadere la sfera delle libertà individuali, se non allorquando ricorrano precisi presupposti. Ciò vale, innanzitutto, per gli organismi di informazione e sicurezza, i quali sono chiamati ad agire nell'ambito dei limiti delle specifiche competenze.
In questo senso, è forse opportuno richiamare che, in base alla legge n. 801 del 1977, il SISMI svolge compiti informativi e di sicurezza per la difesa, sul piano militare, dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Il SISMI svolge, altresì, ai suddetti fini, compiti di controspionaggio. Altre disposizioni, inoltre, chiamano in causa il servizio per l'attività informativa e di sicurezza da ogni pericolo o forma di eversione dei gruppi criminali organizzati transnazionali.
Da questa sintetica esposizione dei compiti istituzionali del SISMI, appare evidente che l'attività di contrasto del Servizio alle azioni poste in essere da agenzie estere in territorio nazionale opera prevalentemente in direzione delle condotte che rappresentano una più diretta e immediata minaccia per la sicurezza nazionale, cioè di quelle condotte che si prefiggono l'acquisizione di informazioni e dati di rilevanza strategica, nonché l'esercizio, quando possibile, ad esempio di influenza occulta nei settori più rilevanti della politica, dell'economia, della difesa e delle tecnologie nazionali.
In questa sede, assunte le necessarie informazioni, il Governo, allo stato, nonPag. 7può che riaffermare l'estraneità del SISMI rispetto alla vicenda riferita al rapimento di Abu Omar.
Da ultimo, si desidera sottolineare come specifici approfondimenti di questa vicenda siano stati svolti anche dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi di informazione e sicurezza, di cui all'articolo 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, a seguito dell'audizione del sottosegretario di Stato con delega al coordinamento dei servizi di intelligence, del segretario generale del CESIS, dei direttori del SISMI e del SISDE.
Il Comitato ha così preso atto, formalizzando tale posizione in un proprio documento approvato nella seduta del 28 settembre 2005, dell'assoluta coincidenza delle dichiarazioni rilasciate in proposito dal Governo e dai rappresentanti degli organi di informazione e di sicurezza nazionali, i quali «hanno fermamente ed inequivocabilmente escluso ogni coinvolgimento, diretto o indiretto, con apparati di intelligence stranieri e alcuna informativa in merito a loro operazioni finalizzate al rapimento di Abu Omar».
Si può, pertanto, affermare che, sul piano delle verifiche ufficiali ed istituzionali fin qui svolte, nessun coinvolgimento e/o complicità nella vicenda in esame emerga da parte dell'Italia e delle sue istituzioni.
Il SISMI, dal canto suo, ora torna a ribadire di non aver avuto neppure indiretta cognizione del fatto prima della sua consumazione e che, anzi, come già accennato, ha immediatamente attivato, in modo formale, appena acquisite le prime notizie circa la possibile scomparsa di Abu Omar, le Forze di polizia italiane e gli organismi di intelligence dei principali paesi stranieri.
Quanto riferito può apparire contraddetto dalle prime risultanze dell'inchiesta condotta dalla procura di Milano.
In questo momento - considerata l'assoluta sensibilità del momento investigativo in pieno sviluppo -, il Governo ritiene doveroso astenersi da valutazioni specifiche, nel convincimento che, da un lato, l'azione della magistratura non mancherà di far luce su eventuali quanto deprecabili responsabilità individuali, dall'altro, che a tal fine occorra offrire ogni assistenza a tale inchiesta, anche e soprattutto attraverso l'azione attenta e responsabile del Governo, che non mancherà di assecondare la collaborazione già da tempo in atto tra l'istituzione interessata e la procura milanese.
In questo momento, peraltro, appare quanto mai tempestiva e preziosa la ricostituzione del Comitato parlamentare di controllo sugli organismi di informazione e sicurezza. Ciò in quanto tale Comitato costituisce la sede propria, in quanto assistita da norme che consentono l'accesso ad informazioni riservate, per approfondire in termini ancora più circostanziati l'intera vicenda, in merito alla quale - allo stato delle conoscenze - questo Governo non ravvede motivi per revocare in dubbio la fiducia accordata e confermata all'istituzione SISMI e a tutti coloro che in essa abbiano correttamente operato.
PRESIDENTE. L'onorevole De Zulueta, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, non me ne voglia il rappresentante del Governo: non solo non mi ritengo soddisfatta per la sua risposta, ma sono anche preoccupata. Vi è un disparità troppo grande tra le notizie riportate non solo da un organo di stampa, ossia la Repubblica, il quotidiano del giornalista che si ritiene vittima di questa vicenda, ma da molti altri autorevoli giornali. Vi è anche una grave difformità della risposta del Governo rispetto ai risultati fin qui acquisiti e conosciuti dalla procura di Milano per quanto riguarda la vicenda del sequestro di Abu Omar.
Su questa vicenda si sono già espressi due organismi internazionali. L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa è stata la prima sede istituzionale che si è mossa a livello trasnazionale per accertare le prove della fondatezza di una pratica deprecabile, ossia quella dei sequestri extragiudiziari e di una collaborazione apPag. 8parente di vari Governi europei in ordine a tale pratica illegale. Il relatore dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Dick Marty, insieme al segretario generale del Consiglio d'Europa, ha rivolto al precedente Governo italiano alcune domande alle quali il Governo ha risposto tardivamente ed in modo reticente.
Anche alla luce della risoluzione approvata dal Parlamento europeo, non credo che la risposta data oggi dal Governo sia soddisfacente. Sono felice che quest'ultimo almeno riconosca la gravità della questione che abbiamo posto ed abbia tentato nella sua risposta di andare oltre i fatti specifici sui quali lo abbiamo interpellato, per aggiornarci sulle sue convinzioni per quanto riguarda le circostanze e gli eventi nei quali si inserisce l'episodio che ci preoccupa. Mi riferisco alla vicenda che ha coinvolto la professione dei giornalisti e le attività di informazione, e soprattutto - come ha detto il collega Zaccaria - alla possibilità che il diritto ad un'informazione davvero plurale sia tutelato.
Il giornale la Repubblica ha chiesto sia al Parlamento sia al Governo di attivarsi in modo preciso per garantire il diritto del servizio dell'informazione, il diritto del lavoro del giornalista. Il Governo oggi ha risposto dicendo che il problema non esiste in quanto la notizia è infondata. Credo, alla luce del poco che sappiamo dagli organi di stampa, che ci vorrebbe una risposta un po' più documentata.
Il materiale sequestrato a via Nazionale dalla Digos, se non sbaglio, su ordine della procura di Milano, dov'è in questo momento? Sotto sequestro giudiziario e, pertanto, al di là della vostra giurisdizione come Governo? È molto importante perché vi è un'ipotesi, smentita categoricamente dal Governo, che mi preoccupa. L'ipotesi è che in quell'ufficio si svolgesse un lavoro eversivo con riguardo allo Stato di diritto e, soprattutto, alla possibilità di svolgere correttamente il mestiere di giornalista. Il collega Zaccaria ha parlato non solo di giornalisti vittime, ma anche di giornalisti che hanno tradito i principi, almeno uno, che nemmeno nega di aver tradito i principi deontologici di questa professione, ma dice di averlo fatto nell'interesse di suoi valori supremi che trascendono l'esercizio corretto del lavoro di giornalista.
Tale episodio interroga non solo gli organi di tutela - cioè l'Ordine dei giornalisti, che a questo punto è chiamato a giustificare quasi la sua esistenza, perché un ordine che non sa rispondere tempestivamente ad un episodio di questa gravità dovrebbe essere messo sotto esame dai suoi appartenenti -, ma anche il Governo: per questo ritengo che la risposta non sia soddisfacente. Si tratta dell'episodio - di cui il rappresentante del Governo non ha parlato - di un giornalista che è stato pagato dai servizi di informazione, in cui il Governo ha un'assoluta e non incrinabile fiducia, per andare a carpire notizie ed a deviare un'inchiesta in corso. Altro che aiuto al lavoro della magistratura!
In questo caso vi sono due colpe. Innanzitutto, quella del giornalista che ha tradito la sua professione perché è andato lì, sotto mentite spoglie, chiedendo ai magistrati la disponibilità che essi devono garantire nel nome supremo del diritto all'informazione dei cittadini (invece, quello non informava i cittadini, ma qualcuno che lo ha pagato). E poi c'è proprio quel qualcuno che lo ha pagato. Si è detto che si tratta di responsabilità individuali, ma ritengo che un servizio segreto nel quale vi siano comportamenti così deviati debba interrogare se stesso, ed il Governo debba interrogare quel servizio. Non è sufficiente la risposta della responsabilità individuale.
Il rappresentante del Governo dice che l'ufficio di via Nazionale gestiva fonti aperte, cioè navigava su Internet, leggeva i giornali. No, faceva altre cose che sono troppo gravi per essere accantonate come possibili deviazioni individuali. Un servizio segreto che al suo interno abbia consentito comportamenti così difformi o è connivente, o è incapace: di questo non state dando una risposta adeguata al paese ed al Parlamento.
Non me la sento, dopo la sua risposta, di rivolgermi ai giornalisti del la Repubblica,Pag. 9in primo luogo al loro direttore Ezio Mauro, che ha interpellato noi e voi, chiedendo tutela, trasparenza e verità. Non abbiamo ancora la sensazione che a queste domande sia stata data una risposta adeguata.