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Si riprende la discussione (ore 11,28).
(Ripresa esame dell'articolo 2 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Ricordo che l'emendamento Maroni 2.116 non è stato ritirato e, pertanto, il parere della Commissione e del Governo deve ritenersi contrario.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questa riforma discutiamo anche del numero dei parlamentari, oltre che delle funzioni di Camera e Senato. In particolare, i lavori della Commissione sono stati improntati ad una discussione sulla riduzione del numero dei parlamentari, come più volte sollecitato dalla Lega Nord e anche da altri gruppi. Dico più volte sollecitato dalla Lega Nord perché noi non affermiamo soltanto adesso che il numero dei parlamentari deve essere ridotto: l'abbiamo anche scritto nella riforma approvata nella passata legislatura con la netta opposizione, preconcetta ed ideologica, della sinistra.
Si è arrivati ad un testo che prevede il numero di cinquecento deputati. Noi riteniamo che questo numero possa e debba essere ulteriormente ridotto con riferimento Pag. 10ai deputati, e ne spiego il motivo. Logicamente la composizione del Senato è, quanto al numero, la metà rispetto a quella della Camera: oggi vi sono trecentoquindici membri contro seicentotrenta. Poiché il Senato federale, con la composizione approvata in Commissione, risulterebbe costituito da circa duecento senatori, noi riteniamo che il necessario rispetto di questa proporzione debba portare a quattrocento il numero dei deputati.
Vi è anche un'altra argomentazione. Oggettivamente, quattrocento persone sono in grado di svolgere l'attività legislativa. Lo vediamo anche in altre Assemblee d'Europa e del mondo: quattrocento rappresenta sicuramente un numero equilibrato che consente la rappresentanza politica e consente anche ai parlamentari di approfondire i temi all'interno delle Commissioni. Per questo motivo abbiamo presentato questo emendamento e non lo ritiriamo poiché oggettivamente riteniamo che quattrocento sia il numero giusto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, io ritengo che il collega Cota abbia perfettamente ragione e quindi la sua proposta, che peraltro è sostenuta anche da altri colleghi, andrebbe approvata.
Vorrei ricordare, solo per la memoria storica, che ho presentato una proposta di legge per la riduzione del numero dei parlamentari nel 1975, stiamo quasi per arrivare al mezzo secolo. È chiaro che, dopo l'istituzione delle regioni, si poneva il problema.
Colgo l'occasione, visto che ieri il Presidente forse per distrazione non mi ha dato la parola - ma non ho l'abitudine di protestare contro le decisioni della Presidenza - per chiedere a tutti quanti noi e al presidente della Commissione - verso il quale, come lei sa, la mia stima è notevolissima - se questo sia il clima nel quale possiamo approvare una riforma di questo tipo. Vedere sfilacciati gli argomenti, con piccole questioni di carattere procedurale, facendo venir meno quello che dovrebbe essere un grande momento di tensione, quello della riforma della parte seconda della Costituzione, credo che non sia il modo migliore per affrontare questi temi.
Ritengo che non sarebbe male fare una riflessione da parte dei gruppi per chiedere - signor presidente Violante, mi rivolgo a lei - una sessione nella quale si possa discutere e completare il discorso sulla parte seconda della Costituzione. Vi sono anche cose pregevoli dette dai colleghi, che però vengono sfilacciate in un'atmosfera spenta.
Riformare la Costituzione richiederebbe una grande partecipazione. Mi permetto di dire anche al sottosegretario Naccarato, al quale va la mia solidarietà, che anche il Governo dovrebbe sentirsi in qualche maniera coinvolto. È vero che la questione riguarda il Parlamento. Tuttavia, vorrei ricordare - basta leggere gli atti parlamentari dell'Assemblea costituente - quale fu il livello della presenza e del significato degli interventi. Non mi pare che ci troviamo nelle condizioni migliori per poter approvare modifiche di questa parte della Costituzione. In ogni caso, mi rimetto ovviamente alle decisioni che il Comitato dei nove e coloro che hanno lavorato in questi mesi vorranno prendere.
Sul tema specifico penso che dovremmo avere il coraggio di ridurre il numero dei parlamentari e di portarlo ad una quota che sia più corrispondente anche alle esigenze di velocizzare l'attività parlamentare; come è noto, infatti, i grandi numeri creano plebiscitarismo, i numeri più ridotti, invece, creano veramente la rappresentatività (Applausi di deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, sarà bene aprire i lavori di questa mattina con la più assoluta chiarezza, evitando anche qualsiasi speculazione di tipo pubblicitarioPag. 11 o mediatico che sta diventando uno degli scopi principali dell'incrociar di ferri della nostra politica.
Siamo giunti all'esame dell'articolo 2 che, per un verso, prevede la riduzione del requisito dell'età per l'elettorato passivo a membro della Camera, portandolo a diciotto anni: su questo punto il gruppo di Alleanza Nazionale è d'accordo. Per quanto attiene al numero dei futuri deputati, ribadiamo che il gruppo di Alleanza Nazionale, non da oggi, è notoriamente favorevole alla sua diminuzione e, quindi, concorda sui cinquecento che sono stati ipotizzati nel testo base; del resto erano anche previsti dal testo della precedente riforma poi naufragata.
Quindi, ribadisco per la seconda volta, come ho fatto in Commissione, che siamo favorevoli a tale diminuzione e lo ripeto ancora: siamo favorevoli a tale diminuzione. L'ho detto tre volte così non si rischiano equivoci o speculazioni di sorta! Tuttavia, voglio sottolineare due «però» grossi come una casa; il primo è che mentre imponiamo a noi stessi, dando il giusto e doveroso esempio come collegio parlamentare della Camera, il dimagrimento dell'organico che passerà da oltre seicento membri a cinquecento (e non è uno scherzo!), ci aspettavamo, soprattutto per ciò che il Governo aveva affermato, che vi fosse a caduta un grande dimagrimento di tutti i livelli istituzionali e dei governi locali, ossia regioni, province, comuni ed enti vari.
Ebbene, in base alle ultime notizie, pare che questo famoso dimagrimento diventi una «curetta» da istituto di bellezza del fine settimana, con blandi ritocchi all'assetto e al peso degli organi, mentre i veri sfrondamenti non avrebbero luogo. Ciò ci induce a forti proteste e a gravi perplessità.
Illustro ora la seconda obiezione che attiene alla questione del presunto Senato, o del «simil Senato» che si vorrebbe varare, sul quale non siamo d'accordo. Se andrà avanti con l'articolo 3 la cancellazione del Senato repubblicano, ossia di un vero e proprio Senato, che non sarà neppure più meritevole di questo nome, in quanto vi saranno soltanto i delegati delle regioni e alcuni pochissimi delegati degli enti locali, passeremo dagli attuali quasi mille parlamentari veri e propri, a cinquecento parlamentari eletti dal popolo. Parlo, infatti, di quelli eletti dal popolo che sono parlamentari con la «P» maiuscola.
In un momento in cui i cittadini chiedono maggiore partecipazione al voto e coinvolgimento, stiamo dimezzando il numero dei parlamentari eletti dal popolo, creando, quindi, indubbi problemi di rappresentanza delle categorie e, naturalmente, dei territori, perché parliamo di territori rappresentati con il voto diretto dei cittadini, non già dei delegati di secondo o addirittura di terzo grado, come si ipotizza all'articolo 3 con il cosiddetto Senato delle regioni e delle autonomie.
Questa è una ragione di oggettiva perplessità che, nella necessità di dover sintetizzare al massimo in questa fase dei lavori i nostri punti di vista, ci induce a votare a favore di tutte le proposte che si attestano sui famosi cinquecento membri della Camera dei deputati (oltre a quelli eletti all'estero), perché questo è il senso del dimagrimento dell'organico che abbiamo condiviso e per il quale abbiamo lavorato. Siamo tendenzialmente orientati ad astenerci su altre proposte che prevedano numeri diversi, anche se più ridotti, perché per un verso potrebbe essere una scelta condivisibile, ma dall'altro farebbe saltare il sistema di democrazia rappresentativa rendendolo incongruo.
Credo di essere stato abbastanza chiaro. Siamo, quindi, attestati sulla diminuzione a cinquecento parlamentari, prestando attenzione alla sorte del «compianto» Senato della Repubblica.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, intervengo per dire che il gruppo di Rifondazione comunista-Sinistra Europea voterà contro l'emendamento Maroni 2.116 e le ragioni sono molto semplici, ma anche molto importanti. Penso che nella Pag. 12discussione sui costi della politica si stia facendo un po' di confusione nel Paese, in quanto si confondono i costi della politica con quelli della democrazia e della rappresentanza.
La riduzione dei deputati e dei senatori, a nostro avviso, attiene, innanzitutto, all'efficacia della politica che è composta da diversi elementi. Pensiamo che anche i numeri contribuiscano all'esigenza di rappresentare adeguatamente la società, come avviene in ogni Paese europeo. Da sempre siamo a favore di una riduzione del numero dei parlamentari, purché sia compatibile esattamente con il concetto di rappresentanza, di efficacia e di autorevolezza del Parlamento. Siamo favorevoli che il Parlamento abbia più poteri, più capacità di rappresentare la società e, quindi, più credibilità e autorevolezza e tale aspetto è anche legato ai numeri.
Stiamo discutendo una riforma volta a ristrutturare completamente l'impianto del nostro Parlamento, per cui solo una Camera darebbe la fiducia, ovvero la Camera politica. Quindi, la riduzione a cinquecento deputati è assolutamente significativa, ma compatibile con l'esigenza democratica di rappresentanza e credo che qualunque altra riduzione intaccherebbe questo principio. In ordine al Senato, fermo restando le diverse competenze e il diverso ruolo che andrebbe ad assumere, si prevede una riduzione del numero dei senatori a circa centottanta membri.
Evidentemente questi sono i numeri giusti, anche guardando alle altre esperienze europee, al di sotto dei quali non si può scendere se si vuole essere credibili e se si vuol sostenere che l'Assemblea dovrebbe tendere a rappresentare la società, a garantire la sua autorevolezza e l'efficacia dei suoi lavori e, dunque, a svolgere quel ruolo che vorremmo venisse ampliato e amplificato rispetto a quello, oggi, esistente nelle relazioni tra il Parlamento e il Governo, tra i Governi e gli altri enti a livello europeo ed internazionale. Dunque, il gruppo di Rifondazione Comunista voterà contro l'emendamento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che verificheremo nella prossima votazione una convergenza amplissima - forse anche unanime, mi auguro - in ordine alla riduzione del numero dei membri di questo ramo del Parlamento a cinquecento, più i deputati eletti nella circoscrizione estero che, comunque, la Commissione propone di ridurre alla Camera e di aumentare al Senato, mantenendo il numero complessivo degli eletti nella circoscrizione Estero a diciotto (sei alla Camera e dodici al Senato), come verificheremo tra qualche votazione.
L'orientamento, su cui vi è una larghissima convergenza in Commissione e in sede di Comitato dei nove - e credo che lo verificheremo in modo sereno ed equilibrato anche nel voto sull'emendamento della Commissione 2.250 -, è quello di una riduzione del numero dei parlamentari attorno alla proposta di cinquecento membri, più gli eletti all'estero.
Solo per questo motivo - non ne contesto ovviamente la legittimità, in quanto ognuno presenta le proposte che ritiene - i deputati del gruppo dei Verdi (ma mi auguro tutti i deputati dell'Unione e anche degli altri gruppi) non condividono la proposta emendativa in esame e, quindi, se non verrà accettato l'invito al ritiro, voteranno contro l'emendamento Maroni 2.116.
Dobbiamo porci un problema serio, che il collega Benedetti Valentini, in un'altra ottica, ha già posto: quello di una riduzione della rappresentanza politica in questo ramo del Parlamento, che non deve essere tale da rendere più difficile il rapporto fra gli eletti in quella che sarà la Camera politica, che avrà, oltre al potere di accordare o revocare la fiducia al Governo, anche altri poteri che analizzeremo negli articoli successivi, in particolare all'articolo 7.
È necessario, pertanto, non ridurre eccessivamente la rappresentanza politica in questo ramo del Parlamento: da una parte, Pag. 13infatti, vi è un'esigenza di maggiore funzionalità e tempestività dei lavori, di maggiore capacità di decisione (con una cultura di Governo, sia che si appartenga al Governo, sia che si stia pro tempore all'opposizione); dall'altra parte, però, vi è anche un problema di equilibrata rappresentanza nei confronti della popolazione, con la necessità che vi sia un equilibrato rapporto fra ciascun deputato e la quantità di cittadini che essi sono chiamati a rappresentare in questo ramo del Parlamento.
Preannunzio, pertanto, un voto contrario non solo sull'emendamento Maroni 2.116 - qualora esso non venga ritirato, cosa che speriamo avvenga -, ma anche sugli emendamenti successivi che ipotizzano altri numeri: mi riferisco, ad esempio, all'emendamento Ronconi 2.106, che eleva il numero del divisore, rispetto a quanto ipotizzato dalla Commissione, a cinquecentocinquanta, all'emendamento Cirino Pomicino 2.101, che lo eleva a cinquecentododici, ma non stabilisce in Costituzione il numero degli eletti all'estero (cosa che, invece, è tassativamente prescritta dal vigente articolo 48 della Costituzione, il quale prevede che sia la Costituzione a determinarne il numero). Preannunzio il nostro voto contrario anche sui successivi emendamenti Boscetto 2.113, 2.114, 2.115, che fissano il divisore, rispettivamente, a trecento, a trecentocinquanta e a trecentosettanta, a mio parere contraddicendo interventi svolti in Commissione dal collega Boscetto e da me condivisi, che ammonivano a non ridurre eccessivamente la rappresentanza politica in questo ramo del Parlamento.
Il tema su quale sia la configurazione dell'altro ramo del Parlamento - nella logica del superamento del bicameralismo perfetto e paritario, di una differenziazione del ruolo delle due Camere e dell'istituzione di un vero e proprio Senato federale della Repubblica, in rappresentanza dei territori e di tutto il sistema delle autonomie - è già stato introdotto in questa discussione poco fa: ritengo, però, che sia più prudente ed opportuno affrontarlo quando passeremo all'esame dell'articolo 3 del testo unificato delle proposte di legge in discussione, allorché ciascun deputato che lo ritenga opportuno potrà illustrare ampiamente la positiva configurazione del Senato (che si denominerà successivamente «federale»), in una logica di differenziazione del ruolo delle due Camere. Si tratterà di una grande conquista di civiltà giuridica e del sistema politico costituzionale. Sul punto, ripeto, preannunzio il voto contrario sull'emendamento Maroni 2.116, qualora lo stesso non sia ritirato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, l'onorevole Gerardo Bianco, parlando dai banchi della maggioranza, ha appena svolto alcune riflessioni importanti sulla natura di questo dibattito e sul clima in cui esso si svolge. Non so se l'onorevole Bianco sia rappresentativo della maggioranza alla quale appartiene, quando afferma che una riforma costituzionale non può essere discussa così «sciattamente» come sta avvenendo in questo momento: se capisco bene, egli interpreta questa «sciatteria» come la manifestazione del fatto che nessuno crede che quella in discussione sia una riforma costituzionale. Stiamo svolgendo, cioè, un'operazione di «semipropaganda»: mi sorprende che la Commissione affari costituzionali - e quindi l'onorevole Violante, che è uomo che conosce il fondo delle questioni istituzionali del Paese - si presti a un'operazione che non conduce da nessuna parte.
Nel 2001 si è riformato il Titolo V della Costituzione e ciò aveva un senso. Qui si fa una riforma che si coglie «fior da fiore», ossia, se su un punto vi è la disponibilità di un gruppo dell'opposizione, si va in quella direzione, se su un altro punto vi è la disponibilità di un altro gruppo, si va in quell'altra direzione.
Onorevoli colleghi, presidente Violante, vi sembra questo un modo serio con cui l'Italia possa affrontare il problema della Pag. 14sua Carta costituzionale? Per quanto riguarda il numero dei parlamentari (600, 500, 512, 424), come ha giustamente affermato l'onorevole Boato, i costituenti fissavano un rapporto tra il numero dei parlamentari e la popolazione del Paese, non un numero che potesse andar bene alle «chiacchiere» dei giornali. Essi ritenevano che vi fosse un rapporto di rappresentanza tra il numero degli elettori e il numero dei parlamentari. Tutto ciò viene ora trattato in questa maniera!
Noi ci asterremo su queste e anche su molte altre proposte. Voteremo contro tutta questa burla. Onorevoli colleghi, consentiteci di dirlo con chiarezza: siamo di fronte a una perdita di tempo per il Parlamento italiano! I problemi del Paese sono altri e ben diversi e non possiamo affrontarli con questo «mezzo manifesto», che non è neanche un manifesto di nobili intenzioni, ma il manifesto dell'«impotenza parolaia», in cui la classe politica del nostro Paese sembra essere piombata e non sapersi districare (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori e di deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Signor Presidente, colleghi deputati, a differenza di qualche oratore che mi ha preceduto, pur essendo il partito dei Comunisti Italiani contrario all'impostazione di fondo di questa riforma costituzionale, non mi sogno di affermare e di pensare che la stessa sia risibile.
Si tratta di uno sforzo comunque fatto - i cui risultati nel complesso non condividiamo - per aggiornare la seconda parte della nostra Carta costituzionale. Nel corso del dibattito emergeranno gradualmente gli elementi di contrarietà nel merito che intendiamo manifestare, ma, poiché adesso stiamo esaminando un emendamento in particolare, preannunzio il voto contrario del gruppo dei Comunisti italiani sullo stesso, poiché abbiano presentato un emendamento volto a ridurre a cinquecentocinquanta il numero dei deputati di quella che, nel progetto di riforma costituzionale, dovrebbe essere la Camera «alta» o Camera politica.
L'emendamento non può essere considerato avulso e separato dal resto della riforma. Noi ci interroghiamo sul fatto che, se la riforma andasse in porto e se questo emendamento fosse approvato, ci ritroveremmo una Camera «alta», alla quale è conferito il potere legislativo e che rappresenterebbe l'unica Camera eletta a suffragio universale diretto, ridotta di un terzo dei suoi attuali componenti, a fronte di un'altra Camera, che, nel progetto di riforma, verrebbe eletta non con suffragio diretto, ma in modo indiretto dai consigli regionali, che, invece, vedrebbe aumentare proporzionalmente il proprio peso, anche numerico, rispetto alla prima.
Dunque, in relazione al restituire la sovranità ai cittadini, come si concilia il fatto che il ripristino della preferenza diretta sia oggetto della riforma della legge elettorale (di cui sentiamo in qualche maniera vagheggiare) con il «depauperamento» dell'unica Camera eletta a suffragio universale diretto?
Mi pare che vi sia una contraddizione evidente tra il progetto di riforma costituzionale e il progetto di riforma della legge elettorale. La nostra proposta emendativa, che noi sosterremo, della quale parleremo successivamente, prevede anche una riduzione a cinquecentocinquanta del numero dei deputati, in un sistema che, secondo una nostra proposta di legge, che si accompagna al testo che oggi stiamo valutando, prevede la riconduzione a un sistema monocamerale puro, in linea, del resto, con la proposta originariamente avanzata in sede di Assemblea costituente dalla sinistra dello schieramento politico.
Vorrei ricordare soltanto che, in quell'occasione, i liberali proposero di fare della seconda Camera una Camera delle arti, dei mestieri e delle professioni, ossia una sorta di Camera delle corporazioni. Quel progetto ci vide allora storicamente contrari, ma non riusciamo ora a intravedere dove sarebbe la grande novità nell'introduzionePag. 15 di una seconda Camera, che viene definita Senato, nonostante l'elemento della senectus venga completamente meno, e federale, in una Repubblica che - vorrei ricordarlo - non è federale, ma democratica e fondata sul lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, quello in esame, apparentemente, potrebbe sembrare un argomento di facile pubblicità elettorale: la riduzione «un tanto al chilo» dei parlamentari. Si tratta invece di una questione di grande rilevanza costituzionale, perché quando in Commissione si è deciso di stabilire il tetto di cinquecento deputati, non si è compiuta un'operazione di chirurgia estetica per assecondare in qualche modo gli umori della piazza, ma si è svolto un ragionamento costituzionalmente molto serio: alla riduzione dei parlamentari si accompagna l'introduzione di una seconda Camera territoriale (che vedremo come denomineremo al termine del dibattito e dei voti che ne seguiranno).
L'introduzione di una Camera territoriale e, quindi, l'avere superato il modello del bicameralismo perfetto ci ha consentito di immaginare un ruolo, una formazione e delle competenze diverse per la Camera dei deputati. Il numero di cinquecento non nasce casualmente, ma da una comparazione con i numeri delle altre Camere parlamentari dei grandi Paesi democratici europei ed occidentali. Si immagina che il numero di cinquecento possa essere sufficientemente ampio sia per consentire la rappresentanza politica nel Paese nel migliore dei modi possibili, sia per consentire un'organizzazione dei lavori parlamentari adeguata e razionale. Un numero congruo rispetto alle esigenze serie, a mio modo di vedere, di mantenere i costi della politica entro un limite di razionalità; conseguentemente, partendo dal presupposto che, quando si parla di costi della politica e si fa riferimento al numero dei parlamentari, la definizione più appropriata sarebbe quella di «costi della democrazia».
Vi sono soglie al di sotto delle quali non è possibile andare, perché il costo della democrazia non si misura con il metro dei ragionieri, ma con quello dei valori della democrazia.
Il numero di cinquecento, lo ripeto, è corretto: quello di quattrocento sarebbe un numero che, in qualche modo, inclinerebbe alle proteste che sono emerse nel corso delle ultime settimane, in ripetute occasioni. Si tratta soprattutto di un numero che va accompagnato all'operazione di profonda e radicale modifica del Senato della Repubblica, che fa sì che i senatori, da trecentoquindici, passino a zero: il Senato che si è immaginato viene nominato in secondo grado, in secondo livello.
Tutti gli esposti ragionamenti non sono stati frutto di una sorta di «macelleria parlamentare», che ha indotto coloro i quali si trovavano in Commissione affari costituzionali ad una riduzione «con l'accetta» dei parlamentari, per assecondare, lo ripeto, gli umori della piazza, ma risponde ad un preciso ragionamento di razionalità costituzionale: si prevede una Camera politica, che esprime il voto di fiducia, e una Camera di rappresentanza territoriale, che svolge importanti funzioni legislative relativamente alle materie che interessano la dimensione federale dello Stato.
Giova anche sottolineare un aspetto ulteriore - di cui parleremo quando esamineremo l'argomento, cioè quando affronteremo il voto sull'articolo 1 - che mi permette di rispondere al collega Vacca: quando si fa riferimento al Senato federale ci si riferisce alle caratteristiche di quell'organo costituzionale, non all'organizzazione dello Stato in quanto tale.
Il nostro è un processo di federalizzazione lento, che è però costante e vuole essere razionale. La riforma del Titolo V della Costituzione aveva aperto spazi importanti verso la federalizzazione del Paese. Per completare tale disegno di razionalizzazione in senso federale mancava la Camera di rappresentanza territoriale. Pag. 16Con la riforma in esame si raggiunge, a mio parere, questo importante risultato, e il numero di cinquecento deputati è coerente con tale disegno riformatore (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, il mio intervento si riferisce alla proposta emendativa presentata dai colleghi della Lega, ma ritengo possa risultare valido anche per altre questioni.
Siamo contrari ovviamente alla proposta di riduzione a quattrocento del numero dei deputati per le ragioni che in parte sono state già illustrate dal collega Bressa, ma ne vorrei sottolineare anche delle altre.
Nessuno di noi in Commissione e meno che mai nel Comitato dei nove ha dato «i numeri». Il numero di cinquecento nasce dal rapporto tra popolazione, cittadini e loro rappresentanti ed è calibrato anche in ragione del fatto - come ricordava il collega Bressa - che il Senato federale, se verrà mantenuto nella sua composizione ad elezione indiretta, sarà ridotto nel numero dei componenti e non presenterà più senatori eletti direttamente dal popolo.
La riduzione complessiva del numero dei parlamentari se dovessimo fare un discorso ragionieristico è quindi di oltre quattrocento unità. Il numero di cinquecento - lo ripeto - è calibrato sul rapporto e sulla rappresentanza del numero dei cittadini ed anche in ragione della natura non più elettiva del Senato, del superamento del bicameralismo perfetto, della sostanziale differenziazione di funzioni, dell'attribuzione - se rimarrà questa impostazione, come noi ci auguriamo tanto che vorremmo fosse in qualche modo migliorata - del rapporto fiduciario con l'Esecutivo alla sola Camera dei deputati la quale, inoltre, eserciterà il potere legislativo in via ordinaria, regolare e principale; sarà anche modificato il sistema di esame dei disegni di legge con la possibilità di prevedere una corsia preferenziale costituzionale per l'iniziativa governativa. Cambierà, quindi, tutto il sistema. In ragione di tutto ciò la funzione del deputato, del parlamentare cambierà e si connoterà, dal nostro punto di vista, di contenuti più corretti ed aderenti alle esigenze e ai bisogni della nostra comunità.
Questo deve essere il contesto nel quale ci muoviamo, altrimenti anche noi ci saremmo iscritti alla rassegna degli emendamenti dei cento o duecento deputati. Perché, allora, quattrocento e non trecentocinquanta o trecento deputati? Non è questo il senso del nostro ragionamento.
La sostanza della riforma risiede sia nella riduzione dei trecentoquindici senatori e dei seicentotrenta deputati a cinquecento parlamentari eletti direttamente dal popolo, sia nella differenziazione di funzioni tra le due Camere.
Alla luce di ciò è evidente che dobbiamo garantire comunque la rappresentanza non tanto dei territori, perché questa attiene al Senato federale ovvero alla Camera degli enti territoriali (chiamiamola così) quanto quella della funzione politica svolta dal parlamentare, in senso lato ed improprio, rispetto al numero cittadini. Tale rappresentanza deve essere garantita prevedendo un numero di parlamentari che non può essere né troppo ampio perché farebbe perdere il rapporto con l'elettore, né troppo ristretto perché altrimenti potrebbe violare il principio del divieto del mandato imperativo consacrato in Costituzione, che ovviamente influenza il numero dei parlamentari.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 12).
GIANPIERO D'ALIA. Queste sono le ragioni per la quali con molta serenità e senza essere condizionati da questa o quella piazza siamo giunti a questa conclusione.
Ritengo, inoltre, che se dovessimo andare avanti con questa stessa serenità questo problema forse lo affronteremo e lo risolveremo in maniera più che decente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, la posizione di Forza Italia su questo problema troverà espressione anche in alcuni emendamenti successivi. Mi pare tuttavia che sia questo il momento opportuno per illustrare quella che è la nostra logica di fondo e per divulgare ai colleghi i passaggi avvenuti in Commissione.
Certamente Forza Italia ha sempre indicato in cinquecento il numero dei deputati, con una riduzione di centotrenta deputati rispetto all'esistente. Non abbiamo mai presentato in I Commissione, e neppure in Assemblea, emendamenti diretti ad aumentare questo numero di cinquecento. Per l'esame in Assemblea - per le ragioni che esporrò - abbiamo presentato emendamenti diretti ad abbassare il numero di cinquecento.
Il problema di fondo, che occorre far conoscere anche al di fuori da questa Aula, è cosa è successo per quanto riguarda il Senato. Dobbiamo partire da una logica di rappresentanza. È vero, non possiamo pensare che il numero dei deputati e dei senatori debba avere una dipendenza in termini di costi della politica, bensì in termini di costi della democrazia. Dobbiamo far capire alla gente che la democrazia ha bisogno di eletti dal popolo e il numero di questi eletti deve essere tale da garantire quella rappresentatività che nel proprio «io» ciascun cittadino vuole. Credo che i cittadini comprendano come una esagerata diminuzione dei parlamentari finisca per ledere i loro diritti in termini di aspettative serie di ciò che può venire dalla politica attraverso l'impegno dei cittadini stessi nei confronti dei parlamentari.
La discussione su tale argomento non è semplice, perché nel momento in cui si ritiene - come noi riteniamo, secondo la nostra posizione di fondo - che cinquecento sia un numero adeguato e che il «taglio» di centotrenta deputati sia un sacrificio per la democrazia ma rappresenti anche qualcosa di positivo per la operatività parlamentare, bisogna anche porsi il problema ulteriore se, esistendo oggi seicentotrenta deputati e trecentoquindici senatori eletti a suffragio universale e diretto, la riforma del Senato, sia in termini di composizione sia in termini di modalità di elezione, da noi fortissimamente avversate, determinerà un numero di soli cinquecento rappresentanti del popolo eletti a suffragio universale e diretto. Ciò significherebbe che comunque si sono fatte prevalere logiche di migliore operatività (forse) del Parlamento, ma non certo attraverso quel tipo di Senato federale, eletto in seconda e addirittura in terza battuta (i senatori vengono eletti o dai consiglieri regionali o dai rappresentanti delle autonomie).
A questo punto si giustificano anche delle proposte emendative - come quelle che successivamente illustrerò - con le quali si chiede un numero di deputati doppio rispetto a quello dei senatori, come avviene nel regime attualmente esistente, ma con una diminuzione estremamente sensibile: secondo la riforma in esame i senatori sono centottantacinque, il nostro gruppo ha indicato un numero di deputati pari a trecentosettanta.
Vedete quali e quante sono le implicazioni di questa situazione, e il perché di una serie di opinioni diverse in merito ai numeri: da quattrocento a cinquecentoquindici o a cinquecentocinquanta, o ai numeri molto più bassi rappresentati dal nostro gruppo (trecento e trecentosettanta, dati intermedi ed ulteriori).
In questa Assemblea deve fervere il dibattito sui costi della democrazia e sull'attività parlamentare di reale concretezza e di reale utilità per i cittadini.
Poniamoci anche il problema dei nostri regolamenti. Non è più possibile che non esista l'obbligo per i deputati di partecipare ai lavori in Commissione. Le Commissioni, lo sottolineo, sono luoghi dove si costruiscono le leggi e la partecipazione dei parlamentari a tali organi deve essere in qualche modo - non voglio dire imposta ma - seriamente proposta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO RONCONI. Mi pare di capire che vi sia una diffusa consapevolezza in quest'Assemblea sulla necessità della riduzione del numero dei parlamentari. Tuttavia, personalmente ho qualche difficoltà a comprendere per quale motivo il numero di cinquecento d'incanto sia diventato un numero magico. In realtà stiamo dibattendo sul numero dei parlamentari senza ancora aver definito i ruoli e le competenze della Camera e del Senato. Per quanto riguarda il Senato, non sappiamo neppure se si chiamerà Senato o in altro modo. D'altra parte, stabilendo un numero di deputati pari a cinquecento vi è il rischio reale - su questo sono d'accordo con l'onorevole La Malfa - che salti completamente il rapporto tra eletto ed elettore, rendendo l'eletto - questa volta sì! - davvero irraggiungibile.
Volevo anche sottolineare che l'onorevole Bressa ha dimenticato di evidenziare il fatto che in altri Paesi il numero dei deputati è notevolmente superiore a cinquecento.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Ronconi.
MAURIZIO RONCONI. In Francia sono cinquecentosettantasette, in Germania oggi sono seicentotredici e comunque non saranno mai inferiori a cinquecentonovantotto e in Spagna, dove il numero dei deputati è inferiore a quattrocento, ci troviamo di fronte ad un Senato notevolmente più popolato rispetto a quello che vorremmo proporre.
Dunque continuo a mantenere grandi e forti perplessità.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, chi ha parlato per il gruppo di Forza Italia?
PRESIDENTE. Onorevole Bruno, per Forza Italia è intervenuto l'onorevole Boscetto.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, mi scuso: parlerò, dunque, a titolo personale.
Credo che le osservazioni esposte dai colleghi La Malfa e Bianco debbano essere in qualche modo tenute in considerazione dall'Assemblea. In effetti il clima e il momento in cui si affronta la riforma della parte seconda della Costituzione è il meno adatto: lo abbiamo detto più volte nei nostri interventi sia in Commissione sia in sede di discussione sulle linee generali.
Volevo esporre due sole considerazioni circa il numero, argomento che pure non mi appassiona più di tanto. Noi avevamo stabilito nella scorsa legislatura il numero di cinquecento, proprio per dare risposte alle richieste della cittadinanza. Mi pare che ciò venga confortato anche dall'analisi effettuata dalla maggioranza odierna.
Non condivido, invece, il numero dei senatori: argomento che affronteremo dopo. Abbiamo avanzato delle proposte che recepiscono in qualche modo un dato di fatto: se la Camera dei deputati ha un numero di membri pari a cinquecento, riteniamo che al Senato non vi possa essere una rappresentanza inferiore a duecentocinquanta.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Bruno.
DONATO BRUNO. Qualora invece si optasse per centottantacinque come numero dei senatori, non può essere stabilito un numero di deputati superiore a trecentosettanta. Per quale motivo? Perché l'altra parte della Costituzione, che in questo momento non viene discussa e affrontata, enuncia anche quali sono le proporzioni - a meno che non si voglia modificarle - per l'elezione dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del CSM. In questo caso c'è una differenza enorme tra i rappresentanti della Camera dei deputati e i rappresentanti Pag. 19del Senato: credo, dunque, che tale aspetto non secondario debba essere tenuto in debito conto nel momento in cui si affrontano e si votano gli emendamenti al nostro esame.
Pertanto sarebbe giusto e opportuno che ci chiarissimo o quanto meno che i relatori e il presidente della Commissione in seguito ci chiarissero come intendono eventualmente procedere in riferimento alla composizione della Camera e del Senato, all'elezione del Presidente della Repubblica, all'elezione dei giudici costituzionali e all'elezione dei componenti del CSM.
PRESIDENTE. Segnalo che assiste ai nostri lavori una classe del liceo scientifico Emilio Segrè di Marano di Napoli. La Presidenza e l'Assemblea vi salutano (Applausi).
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maroni 2.116, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 452
Votanti 307
Astenuti 145
Maggioranza 154
Hanno votato sì 62
Hanno votato no 245).
Prendo atto che i deputati Borghesi e Santori hanno segnalato che non sono riusciti a votare e che il deputato Borghesi avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Prendo atto, altresì, che è stato segnalato che i deputati del gruppo dell'UDC hanno erroneamente espresso voto favorevole, mentre avrebbero voluto esprimere voto contrario.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, il presidente Bruno ha posto una questione rilevante in ordine all'elezione dei componenti della Corte costituzionale e del CSM. Volevo informare il presidente Bruno e i colleghi che sono stati presentati emendamenti da parte dei relatori che differenziano l'elezione dei componenti della Corte costituzionale e del CSM, in relazione alle funzioni del Senato e a quelle della Camera. Naturalmente, aspettiamo subemendamenti - so che alcuni gruppi li hanno già annunciati - per verificare tale questione. Il problema che, giustamente, ha posto il collega Bruno, quindi, è stato affrontato dai relatori.
Desidero, inoltre, esprimere una parola, se mi permette signor Presidente, sul clima cui hanno accennato il presidente Bianco ed altri colleghi. Ricordo che da trenta anni si parla di riforme costituzionali, si è partiti con grandi climi unanimistici e, poi, non si è concluso assolutamente nulla. Ritengo opportuno riflettere, passo dopo passo, su ciò che riusciamo a costruire, nelle condizioni date, tenendo presente che la finalità che la Commissione si è posta è costruire un sistema che restituisca al Paese la capacità di decidere con la rapidità che lo renda competitivo con gli altri Paesi con i quali deve appunto competere: Francia Spagna e Germania sono molto più rapidi di noi, perché hanno sistemi costituzionali che favoriscono la decisione politica senza sacrificare rappresentanza e democrazia. Questa è la finalità che ci siamo posti.
PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Ronconi 2.106. Chiedo all'onorevole Ronconi se acceda all'invito al ritiro formulato dai relatori.
MAURIZIO RONCONI. No, signor Presidente, insisto per la votazione.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, con riferimento a quanto mi sono permesso di affermare sul precedente emendamento, a nome del mio gruppo, voglio anzitutto dare atto lealmente al collega Ronconi di aver affrontato in maniera antidemagogica l'argomento, fornendo dati sui quali tutta l'Assemblea dovrebbe, forse, intrattenere qualche riflessione. Voglio fare due affermazioni: la prima è indirizzata al rappresentante del Governo, che sta conversando: in precedenza, ho rivolto un attacco preciso al Governo: mentre in questa sede siamo chiamati a dare l'esempio, a diminuire, a «dimagrire» l'organico della Camera dei deputati, il Governo si sta rimangiando - sono notizie di queste ore che tutti gli italiani hanno ascoltato - tutte le ipotesi di «dimagrimento» della spesa pubblica da costi delle strutture e degli apparati di tutti livelli di Governo e sottogoverno, che erano stati strombazzati lata voce, sia nella legge finanziaria sia in altri provvedimenti. Il Governo si sta rimangiando tutto ciò. Allora, io eccito il Governo esplicitamente a non assistere in maniera sfingea a questo dibattito, a prendere la parola e a dirci cosa ha intenzione di fare, nel momento in cui il Parlamento sta cercando di «dimagrire» il proprio peso e la propria consistenza.
Passo al secondo argomento che, invece, si riallaccia a quanto hanno affermato anche i colleghi. Ho ribadito che il discorso dei cinquecento deputati ha una sua logica e, se permettete, non cerchiamo di vestirla con molte considerazioni sul rapporto con la popolazione. Si tratta di una cifra tonda - parliamoci chiaro - e corrisponde una forma di estetica riformatrice: da oltre seicento stiamo passando, con «l'accetta», a cinquecento. Ciò determina, inoltre, problemi di rappresentanza del territorio, perché voglio poi vedere il cittadino della «Pergola di Sotto» che, oggi, giustamente ci incoraggia far ciò che vogliamo fare, a diminuire il numero complessivo dei parlamentari, quando avrà lontanissimo e, addirittura, sconosciuto il rappresentante parlamentare, se sarà dello stesso avviso o se ci farà qualche rimprovero a margine.
Voglio concludere dicendo che il numero di cinquecento ha il suo pendant, in una riforma organica: noi siamo a favore di due Camere vere e proprie, depositarie della sovranità popolare, delle quali una riduce il numero dei propri componenti a cinquecento e l'altra a duecentocinquanta. Tutto ciò ha una logica di rappresentanza delle idee, degli interessi legittimi e dei territori, ma nel momento in cui si elimina una Camera (che non è rappresentativa di alcunché, se non composta di delegati e di enti che hanno già il loro tipo di sovranità), è evidente che i problemi numerici acquistano anche una dimensione di partecipazione democratica. Pertanto, invito il Parlamento ad uno sforzo di coerenza da questo punto di vista e sollecito il Governo a pronunciarsi su un argomento che ritengo stia molto a cuore ai cittadini, più ancora che a noi stessi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, anzitutto avevo chiesto la parola per segnalare che, durante la prima votazione, la mia tessera non ha funzionato; poiché avevo annunziato un voto di astensione, pregherei che ciò fosse messo agli atti. Colgo inoltre l'occasione per rispondere brevemente all'onorevole Violante, il cui intervento meriterà un commento più approfondito in qualche altro momento del nostro dibattito. Onorevole Violante, il criterio in base al quale si riforma una Costituzione, si abolisce il Senato e lo si sostituisce con la nomina indiretta di rappresentanti dei comuni e delle regioni, non può essere quello della velocità - non siamo futuristi, onorevole Violante - ma dev'essere il criterio delle fondamenta del nostro sistema democratico. Ho paura che voi attenterete alle fondamenta del nostro sistema democratico perché siete travolti dall'idea di un'efficienza che non riuscirete a realizzare.
Pag. 21PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, desidero ringraziare il presidente Violante per la cortesia e anche per il chiarimento che ha fornito all'Assemblea. Tuttavia, ho posto la questione del numero dei deputati e dei senatori proprio perché sono preoccupato che una differenza, una forbice così notevole - cinquecento deputati e centottantacinque senatori - possa in qualche modo inficiare la valenza e la portata dei senatori sull'elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti del CSM.
Il presidente Violante ha risposto in merito all'eventuale elezione dei componenti della Corte costituzionale: ne avevamo discusso in Commissione e mi sembra che la strada possa essere quella già tracciata da tutti i gruppi o dalla stragrande maggioranza di essi; essa consiste nel lasciare al Senato la nomina di un numero (che poi stabiliremo) di rappresentanti e di giudici della Corte costituzionale, mentre la Camera si occuperà del resto. Rimane, tuttavia, il problema della nomina del Presidente della Repubblica e dei componenti del CSM. Non vorrei che, con un numero di 185 senatori e di 500 deputati (laddove così rimanesse stabilito e determinato nel prosieguo dei nostri lavori), in base alle eventuali proporzioni di tre quinti e quattro quinti, avremmo un Senato completamente non rappresentativo in un momento di scelta importante per la vita istituzionale del Paese come quello, appunto, della nomina del Presidente della Repubblica e dei componenti del CSM.
Per questo motivo avevamo insistito (e insistiamo anche in questa sede) nel configurare o un numero di deputati inferiore, oppure, se vogliamo lasciare il numero di 500 - e credo che ciò sia abbastanza in sintonia con la stragrande maggioranza dei componenti dell'Assemblea - probabilmente dovremo riconsiderare il numero dei senatori, ovvero capire con quale criterio (ma lo sapremo subito, eventualmente) si intende procedere, e con quali proporzioni, alla nomina del Presidente della Repubblica e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, come altri colleghi hanno già rilevato, il problema del numero dei deputati non è assolutamente secondario. Mi sembra che vi sia un orientamento unanime da parte della Camera a ridurre il numero dei parlamentari, in modo, però, da non intaccare le capacità di rappresentanza della Camera stessa nei confronti della società.
Quindi, non si tratta di fornire alcuni numeri, bensì di trovare una ragionevole riduzione al numero dei parlamentari che consenta alle diverse espressioni sociali, culturali e ideali del nostro Paese, di ricevere una propria rappresentanza all'interno della Camera politica. Per questo motivo, ci siamo opposti alla riduzione a quattrocento del numero dei parlamentari motivata dalla collega Mascia. Preannuncio, inoltre, che ci asterremo sia sull'emendamento Ronconi 2.106 sia sul successivo Licandro 2.105, la cui approvazione porterebbe il numero dei parlamentari a cinquecentocinquanta. Ci asterremo su quest'ultimo in quanto comprendiamo la ragione per cui è stato formulato: la garanzia della rappresentanza nel nostro Paese. Infatti, ovviamente, più si diminuisce il numero dei deputati e più alta è la soglia naturale di accesso alla rappresentanza stessa.
Pertanto, condividiamo in pieno tale spirito proporzionale, volto a garantire il più possibile la pluralità della rappresentanza nella Camera dei deputati. Tuttavia, ci asterremo in quanto riteniamo insufficiente la riduzione, poiché - mi rivolgo sia al collega Licandro sia al collega Ronconi - dobbiamo considerare che nel nostro Paese la legislazione non è più concentrata in un unico organo, e che ormai anche le regioni e il Parlamento sono organi legislativi, oltre a quanto deriva dalle direttive Pag. 22e dalla normativa europea. Quindi, vi è un legislatore composito, complesso e articolato. Pertanto, il numero dei rappresentanti nella Camera dei deputati deve tener conto di tale articolazione e vastità - per fortuna - del numero dei legislatori nel nostro Paese. Pertanto, dobbiamo considerare che, oltre ai cinquecento deputati, nelle regioni ormai operano altri mille legislatori, ai quali il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001, affida il compito di legislatori generali. Infatti, ormai - essendo stata invertita la normativa della Costituzione nella precedente formulazione - il legislatore nazionale è un legislatore per materie indicate ed elencate, mentre quello regionale possiede la competenza generale residua.
Inoltre, colgo l'occasione - e concludo, signor Presidente - per svolgere due ulteriori considerazioni. In primo luogo, onorevole La Malfa - ho ascoltato e ascolto sempre i suoi interventi con attenzione - non sapevo che si fosse iscritto al partito del «ben altrismo»- ove vi sono molti aderenti della sinistra - secondo il quale i problemi sono sempre altri. No, i problemi della democrazia e del funzionamento delle istituzioni sono tutt'uno con quelli della società italiana, come si evince dall'articolazione ormai propria del sistema legislativo. Sappiamo che legiferare rappresentando la società significa qualcosa. Invece, affidare al Presidente del Consiglio determinati poteri significa anche decidere in materia sociale in altri modi. Quindi, non è vero che esistono altri problemi: i problemi della società italiana sono anche quelli istituzionali.
In secondo luogo, questa revisione costituzionale non tocca i fondamenti della Repubblica italiana; al contrario, rafforza la forma parlamentare di governo, articola la rappresentanza in modo che anche le regioni e le autonomie locali possano partecipare alla discussione e alla legislazione nazionale, nei campi di propria competenza. Pertanto, porta ad un rafforzamento della democrazia rappresentativa e non viceversa. Allo stesso modo, la sfiducia costruttiva - se mai vi arriveremo - introduce un elemento di stabilità ma che salvaguarda appunto il regime parlamentare di governo. Vorrei far presente all'onorevole Bruno - e al presidente Violante che guida i nostri lavori in Commissione e nel Comitato dei nove - per quanto riguarda l'elezione dei giudici della Corte costituzionale, che ciò, ovviamente, avrà effetto sull'articolazione dei numeri dei componenti di Camera e Senato. Capisco in pieno le ragioni poste dall'onorevole Bruno. Tuttavia, Rifondazione Comunista manterrà ferme le modalità di elezione da parte dal Parlamento in seduta comune dei giudici della Corte costituzionale, avanzando una proposta affinché le esigenze del Senato e della rappresentanza popolare di cui sarà portatrice la Camera dei deputati, possano trovare la propria soluzione. Per questo motivo, signor Presidente, ci asterremo sui predetti emendamenti e continueremo ad intervenire nel rapporto tra numero dei parlamentari e loro funzioni, per trovare la via più ragionevole perché il nostro sistema democratico possa funzionare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ronconi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, anch'io sono convinto che continuare a parlare di un numero di cinquecento deputati sia più una questione di estetica che non di funzionalità istituzionale. D'altra parte, noi stiamo votando un sistema istituzionale che passerà dal bicameralismo perfetto al monocameralismo. Dunque, non si tratta di diminuire lievemente il numero dei parlamentari, ma di dimezzarlo, dato che il Senato - o qualunque sarà il nome di tale organo - avrà funzioni completamente diverse e non sarà eletto direttamente dai cittadini. Voglio anche sottolineare che nel momento in cui questa Camera sta evidenziando la necessità di autoridursi a cinquecento membri, tutti i consigli regionali d'Italia hanno aumentato il numero dei loro componenti e la legge finanziaria non ha determinato la diminuzione del numero di componenti di alcun consiglio provinciale, comunale o Pag. 23circoscrizionale. Continueranno ad esistere gli ATO, vari tipi di consorzi e tutto il sistema di consorzi e di organizzazioni che sopravvivono al di sotto delle amministrazioni comunali. Voglio dire che in questo provvedimento manca una visione complessiva istituzionale e questo è il motivo per cui ho presentato l'emendamento al nostro esame, che propone un numero di deputati pari a cinquecentocinquanta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, il numero di cinquecentocinquanta deputati è superiore rispetto a quello indicato nel testo elaborato dalla Commissione ed è anche notevolmente superiore rispetto al numero che noi avevamo individuato con il nostro emendamento, facendo il ragionamento che ho sviluppato nel precedente intervento. Quindi, dal nostro punto di vista non ha molto significato prevedere cinquecentocinquanta parlamentari. Nel motivare questa argomentazione faccio riferimento, ad esempio (ne ho ascoltati diversi), alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, che è composta da quattrocentotrentacinque deputati. Il sistema statunitense è federale (quindi, sicuramente, sotto molti aspetti, si tratta di un modello) ed ha un Senato che è rappresentativo, in modo non proporzionale - come sarebbe il nostro se venisse approvato l'articolo 3 del provvedimento in discussione - ma che comunque rappresenta il territorio mentre la Camera dei rappresentanti è eletta a suffragio universale su tutto il territorio. Se, dunque, in tutti gli Stati Uniti ci sono solo quattrocentotrentacinque deputati, ritengo che il numero di quattrocento sarebbe più giusto e comunque il numero di cinquecento sarebbe sicuramente più equilibrato rispetto a cinquecentocinquanta. Faccio inoltre riferimento alla circostanza che il nostro emendamento escludeva i deputati eletti all'estero. So che non si tratta di un tema che viene direttamente trattato in questa sede (lo sarà successivamente) però anche questo è un tema importante. Dal nostro punto di vista, è bene dire che i deputati ed i senatori eletti all'estero non sono utili, perché non rappresentano parti del nostro territorio. Tale aspetto sarà, però, sviluppato successivamente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, confermo che il gruppo dei Verdi - ma mi auguro anche la maggior parte di quest'Assemblea - voterà contro l'emendamento del collega Ronconi 2.106 e vorrei approfittare di questa occasione di intervento per correggere ciò che lo stesso Ronconi ha affermato, ossia che con questa proposta di legge di revisione costituzionale passeremo da un bicameralismo perfetto ad un monocameralismo.
Chiunque potrà immediatamente verificare - poi ne discuteremo con riferimento all'articolo 7 - che tale articolo, che contiene disposizioni di modifica dell'articolo 70 della Costituzione sul procedimento legislativo, consente di passare da un bicameralismo perfetto ad un bicameralismo differenziato: alcune fondamentali competenze legislative rimarranno in capo ad entrambe le Camere, mentre alcune in materia di principi fondamentali sulla legislazione concorrente saranno esaminate a partire dalla competenza del Senato della Repubblica ed altre ancora saranno esaminate a partire dalla competenza della Camera, ma con possibilità di richiamo del Senato e voto definitivo della Camera.
Non è esatto, quindi, ciò che è stato affermato: questo è un motivo in più per non approvare questo emendamento. Per tale motivo, voteremo contro l'emendamento Ronconi 2.106.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Ronconi 2.106, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 458
Votanti 235
Astenuti 223
Maggioranza 118
Hanno votato sì 25
Hanno votato no 210).
Passiamo all'emendamento Cirino Pomicino 2.101.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, non ritiro l'emendamento, ritenendo che l'Assemblea lo debba discutere e votare e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, ritengo che la rappresentanza parlamentare debba essere espressione del territorio e debba rappresentare tutto il territorio nazionale! Tutte le varie aree della nostra nazione devono essere rappresentate.
I padri costituenti avevano ben presente questo punto: provenivano da un periodo in cui qualcuno aveva affermato che il Parlamento rappresentava un costo; addirittura, lo avevano eliminato, perché così almeno non vi erano più i costi della politica e siamo entrati in dittatura.
Così facendo, ci avviciniamo al concetto secondo il quale la democrazia ha un costo. Quando la democrazia ha un costo, significa che vengono perduti quei valori che sono ben espressi dalla Carta costituzionale. Vi ho detto che la rappresentanza parlamentare deve rappresentare il territorio nazionale: qualcuno ha citato l'esempio degli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti si vota all'estero, ma si votano parlamentari con liste nazionali, territoriali, residenti nel territorio dove avvengono le elezioni. Riteniamo che il voto dei cittadini residenti all'estero debba essere mantenuto, ma - vivaddio! - debba essere espressione di candidati del territorio nazionale che conoscono il nostro territorio e che vivono sul nostro territorio.
È quanto prevede l'emendamento in esame! Non vogliamo eliminare il voto degli italiani residenti all'estero, ma vogliamo che, come accade dappertutto, si esprima su liste nazionali, su candidati nazionali, su candidati che vivono, lavorano, svolgono un'attività e pagano le tasse nel nostro Paese.
Questo è il senso dell'emendamento! Non riusciamo a capire perché la Commissione non l'abbia preso in considerazione: è una pietra miliare della nostra Costituzione. Con questo emendamento vogliamo mantenere quella filosofia dei padri costituenti, senza vederla stravolta per un mero momento di falso populismo che non fa sicuramente bene alla nostra Carta costituzionale.
Per questo, signor Presidente, invitiamo i colleghi a riflettere sul nostro emendamento, a votarlo, proprio in sintonia con tutti gli esempi che sono stati fatti: in tutto il mondo si fa quello che prevede questo emendamento e non diversamente.
Così hanno anche fatto i padri costituenti, quando ci hanno dato quella Carta costituzionale che volete stravolgere, non sempre in meglio.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'istituto comprensivo Don Mauro Costantini di Serra San Quirico e Angeli di Rosora (Ancona), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, voteremo contro l'emendamento in esame che tuttavia è estraneo a quanto detto dall'onorevole Barani. La logica di tale emendamento è unica: poiché prevede il numero di cinquecentododici, rinvia alla legge ordinaria per le modalità del voto degli italiani residenti all'estero. Però, i presentatori dell'emendamento in esame non si sono avveduti che la Costituzione vigente, non modificata in ordine a tale Pag. 25punto dal provvedimento di riforma costituzionale, al terzo comma dell'articolo 48, afferma che «a tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale (...)». Si tratta della legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1. Non a caso, l'anno successivo è stata approvata la legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1, che ha inciso sugli articoli 56 e 57 della Costituzione, predeterminando il numero degli eletti nella circoscrizione Estero.
Pertanto possiamo - e così faremo fra pochi minuti - modificare tale numero invertendo il rapporto tra Camera e Senato (sei alla Camera e dodici al Senato), ma dobbiamo procedere con una norma di rango costituzionale. Invece, l'emendamento in esame rinvia alla legge ordinaria e, quindi, è in palese e totale contrasto con quanto previsto dall'articolo 48, terzo comma, della Costituzione che non viene modificato da questa revisione costituzionale.
È solo questo il motivo per cui esprimeremo un voto contrario.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, non so se le mie parole convinceranno il collega Barani e gli altri presentatori dell'emendamento Cirino Pomicino 2.101 a ritirarlo. I motivi del mio convincimento sono diversi e uno è stato appena indicato dal collega Boato. Dobbiamo svolgere una discussione approfondita in ordine alla questione della circoscrizione Estero. Vi è un nostro emendamento soppressivo che va in tale direzione, ma mira anche a predisporre una norma, nell'ambito di questo testo unificato di revisione costituzionale, che non cancelli il diritto degli italiani all'estero a votare e ad eleggere propri rappresentanti, ma semplicemente modifichi le modalità con cui ciò avviene allo stato attuale, ossia attraverso la circoscrizione Estero, che ha suscitato molti problemi in passato e altrettanti, anche applicativi, nell'attuale legislatura.
Il suggerimento che rivolgo all'onorevole Barani è di leggere con attenzione l'emendamento 2.250 della Commissione, in cui si stabilisce che sono assegnati alla circoscrizione Estero dodici senatori eletti secondo le modalità e i requisiti stabiliti dalla legge. Pertanto, anche la Commissione si fa carico di una riflessione sulle modalità di elezione degli italiani all'estero, perché non si vuole affatto mettere in discussione l'elettorato attivo e passivo dei cittadini italiani residenti all'estero, ma ridiscuterne le modalità.
Pur non essendo relatore, signor Presidente, mi permetto di invitare l'onorevole Barani al ritiro del suo emendamento. In caso contrario, anche il voto di Rifondazione Comunista, per le ragioni esposte, sarà contrario poiché non sono ben individuati i percorsi attraverso cui incidere sulla circoscrizione Estero.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, intervengo in ordine alle ricadute politiche e istituzionali della questione del numero che non è oziosa, come tutti ormai ci stiamo rendendo conto. Onesto com'è l'onorevole Franco Russo, dà piacere anche contraddirlo. Quando egli parla di legislazione ormai diffusa - poiché non è più solo il Parlamento nazionale ma anche le assemblee legislative o i consigli regionali che hanno la capacità e il potere di legiferare sulle materie loro attribuite e, di conseguenza, vi è uno sgravio delle competenze, dei poteri e del carico degli organi legislativi centrali - in realtà porta un formidabile argomento per rovesciare il tavolo, non per aggiustarne le zampe.
Infatti, se dovessimo recepire la sua tesi, non vi sarebbe proprio bisogno (come forse non ve n'è), di una Camera rappresentativa delle autonomie regionali e dei consigli regionali. Già nella precedente riforma si volle tentare di distinguere fortemente le competenze e le potestà dello Stato nazionale da quelle degli esecutivi e dei consigli regionali.Pag. 26
Dunque, se si rafforzano le autonomie regionali, non vi è bisogno di una Camera parlamentare composta dai delegati delle regioni, essendo più che sufficiente (spesso veramente più che sufficiente) la Conferenza Stato-regioni per il confronto e il raccordo tra i poteri esecutivi centrali e quelli regionali.
Aggiungo, affinché non vi sia alcun equivoco a questo riguardo, che Alleanza Nazionale è fautrice della differenziazione delle funzioni e dei ruoli delle due Camere parlamentari e, pertanto, effettivamente condiziona l'opzione che permangano due Camere parlamentari alla differenziazione della composizione e delle funzioni. Si tratta, però, di adattare modernamente il modello costituzionale a tale esigenza (fino ad oggi non abbastanza recepita) e non di cancellare la sovranità di una delle due Camere.
In altre parole, Alleanza Nazionale è favorevole, senz'altro, al superamento del cosiddetto «bicameralismo perfetto», ma purché si tratti di due Camere democraticamente sovrane ed elette dai cittadini. Cari colleghi, nel momento in cui la gente protesta perché ritiene di non essere coinvolta abbastanza nei meccanismi rappresentativi, nel momento in cui viene chiamata a votare per le primarie ed a partecipare, più o meno velleitariamente, a consultazioni a ogni piè sospinto, togliere la potestà di eleggere una delle due Camere parlamentari - che, oltretutto, continua a chiamarsi Senato (o in gergo Camera alta) - è assolutamente antidemocratico e inaccettabile.
La Camera parlamentare più numerosa (la Camera) fin dall'impianto costituzionale dei costituenti postbellici media e sintetizza l'esigenza della rappresentanza del pluralismo politico e dei territori. Il parlamentare deve sintetizzare in sé la rappresentanza di un territorio vasto e idee politiche che costituiscono il moderno pluralismo democratico. Quando si abbandona questo terreno si è fuori da qualunque modernità e da qualunque rappresentanza democratica.
L'emendamento Cirino Pomicino 2.101, così come presentato, nelle sue implicazioni, non è accettabile (ne do atto), però l'esigenza di razionalizzare tutto ciò che stiamo dicendo, rinunciando a cancellare la sovranità di una delle due Camere, resta in tutta la sua formidabile portata. Allo stesso modo, permane l'obbligo del Governo - continuerò a ricordarlo a mo' di tormentone - di chiarire i suoi intendimenti sull'alleggerimento, il «disboscamento», la razionalizzazione di tutti gli altri livelli di governo e di sottogoverno, problema sul quale il rappresentante del Governo - non lo dico a titolo personale, ma istituzionale - continua colpevolmente a fare orecchie da mercante.
LUCIO BARANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Onorevole Barani, le ricordo che è già intervenuto.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cirino Pomicino 2.101, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 474
Votanti 468
Astenuti 6
Maggioranza 235
Hanno votato sì 11
Hanno votato no 457).
Passiamo all'emendamento Boscetto 2.113.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro dell'emendamento Boscetto 2.113 formulato dai relatori.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi, come avevo affermato intervenendo in precedenza, Forza Italia ha presentato tre emendamenti che diminuiscono sensibilmente il numero dei parlamentari.Pag. 27
La proposta emendativa più pregnante è il mio emendamento 2.115 che raddoppia il numero dei deputati rispetto al numero dei previsti senatori provenienti dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie.
Infatti, secondo l'ultima proposta (ma credo si tratti di quella definitiva), i senatori dovrebbero essere centottantatrè più i dodici eletti all'estero: il doppio di centottantatrè giustifica il numero di trecentosettanta (cifra tonda), di cui al mio emendamento 2.115. Tuttavia, quando si vanno a riesaminare le logiche di cui parlavo prima, secondo le quali il concetto di rappresentanza finisce per diventare un concetto sottovalente rispetto a quello di efficienza (o di ritenuta efficienza), allora si può discutere anche su numeri inferiori a trecentosettanta, perché la Camera dei deputati finisce per diventare un organismo molto selezionato ed elitario. Tutti dicono che anche con trecento deputati si può gestire la rappresentanza pubblica.
Questi emendamenti non si possono discutere in questa sede, ma andrebbero tutti e tre accantonati, signor Presidente. Ciò per le ragioni evidenziate ieri. Infatti, l'elemento portante di questa riforma, che si diversifica in modo totale dalla situazione esistente, è il nuovo Senato cosiddetto federale, che vede i senatori eletti dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali nel loro interno. Si tratta di una prospettiva rivoluzionaria rispetto a quanto esiste oggi ed è, a nostro avviso, un errore fondamentale che andrà a snaturare completamente il Senatus e che porterà anche, trattandosi di consiglieri regionali, il limite per l'elettorato attivo e passivo a 18 anni: non bisognerà più chiamarlo Senatus ma Juventus; più seriamente, si dovrà probabilmente provvedere a cambiare nome, chiamandolo «Camera delle autonomie».
Abbiamo già evidenziato in tanti interventi che ridurre a questa stregua il Senato è qualcosa cui noi ci ribelliamo profondamente. Nella nostra riforma erano previsti cinquecento deputati e duecentocinquantadue senatori, tutti eletti direttamente dal popolo a suffragio universale. Abbiamo ripresentato con un emendamento il nostro testo costituzionale e confidiamo ancora che qualcuno, ripensandoci, torni indietro e approvi il nostro emendamento, ripristinando la norma che prevede che il Senato sia composto da duecentocinquantadue senatori eletti a suffragio diretto e universale. In quel modo si creerà un'armonia nel numero tra i cinquecento deputati e i duecentocinquantadue senatori e ci si potrà confrontare con tutte quelle problematiche delle quali parlava anche, come sempre in modo intelligente e interessante, il collega Bruno.
Oggi - ne abbiamo parlato anche in Commissione, seguendo questi numeri e queste logiche - bisognerà sostenere che non si può procedere all'elezione dei giudici della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura tramite le Camere congiunte, proprio per la differenziazione di numeri fra l'una e l'altra e la possibile esagerata supremazia dell'una sull'altra.
Pertanto, prima che non si sia esaurito il discorso sulla composizione del Senato, sulla legittimazione dei senatori, sul suffragio diretto e universale, non possiamo parlare di numeri, neppure di quelli dei deputati. Quindi, chiedo che questi tre emendamenti del gruppo di Forza Italia vengano accantonati e discussi nel corso dell'esame dell'articolo 3.
PRESIDENTE. È stato chiesto l'accantonamento degli emendamenti Boscetto 2.113, 2.114 e 2.115. Qual è il parere del relatore?
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, esprimo un parere negativo sulla proposta di accantonamento del collega Boscetto dato che gli emendamenti in questione riguardano l'individuazione di un numero di deputati comunque inferiore ai quattrocento, mentre il collega si richiama al tema della definizione del Senato. Mi pare che gli emendamenti discussi e respinti già riguardavano il numero dei deputati; dunque, non credo che la stretta connessione evidenziata dal colPag. 28lega Boscetto sia un argomento accettabile. Per tale motivo la Commissione esprime un parere negativo sulla richiesta di accantonamento.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, se gli emendamenti in esame non verranno ritirati il gruppo dei Verdi, e mi auguro la stragrande maggioranza dell'Assemblea, voterà contro. Le proposte emendative sono, come sempre, legittime perché ciascun gruppo assume le proprie iniziative, che però - devo ripetere in questa sede - sono in totale contrasto con quanto più volte il collega Boscetto ha sostenuto in sede di Commissione referente, ritenendo che fosse demagogica la riduzione eccessiva del numero dei parlamentari, mentre nei suoi tre emendamenti propone la riduzione a trecento, trecentocinquanta e trecentosettanta deputati.
Diversa è la questione che riguarda l'elezione dei membri del CSM da parte dei due rami del Parlamento, nonché quella della differenziazione nell'elezione dei cinque giudici costituzionali, in ipotesi attribuita sia alla Camera sia al Senato, perché in questo modo si risolvono totalmente le questioni poste dal collega Boscetto. Non vi sarebbe più nessuno squilibrio perché, nell'ambito della quota complessiva, ciascun ramo del Parlamento eleggerebbe una quota specifica. Quindi, tale problema è risolto.
La questione sollevata prima dal collega Bruno, ossia quella relativa all'elezione del Presidente della Repubblica, ha una sua rilevanza ma, come il collega Boscetto sa, stiamo già informalmente discutendo di un'integrazione delle Camere riunite per l'elezione del Presidente della Repubblica anche con una quota ulteriore di rappresentanti regionali in modo da risolvere positivamente il problema che sul punto il collega Bruno ha obiettivamente posto.
Quindi, tutte le questioni poste possono essere risolte; ciò che non si può ipotizzare è una Camera dei deputati ridotta a trecento, trecentocinquanta o trecentosettanta membri. Mi auguro, pertanto, che gli emendamenti che il collega Boscetto, ovviamente per onor di gruppo, ha dovuto sostenere vengano ritirati, perché confliggono totalmente con ciò che lui stesso ha sempre giustamente affermato in Commissione. Comunque, se i presentatori insisteranno per la votazione, noi voteremo contro.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, mi dispiace che non ci sia il presidente Violante perché era utile un chiarimento sulla questione.
Poco fa il collega Boscetto ha proposto l'accantonamento dei suoi tre emendamenti per una ragione molto semplice. Infatti, come è stato già affermato in altri interventi, vi è un evidente nesso tra il numero dei parlamentari, stabilito dall'articolo 2, e il numero dei senatori, stabilito dall'articolo 3. Stiamo votando degli emendamenti (che in gran parte sono stati respinti, e prevedibilmente ne saranno respinti altri), che fissano il numero dei deputati a cinquecento; successivamente passeremo all'esame dell'articolo 3 che stabilisce il numero dei senatori.
È evidente, Presidente, che poiché il numero dei senatori potrà variare anche in base alla natura del Senato, se sarà un Senato federale e se i senatori saranno eletti tutti e solo dalle regioni (così come risulta dalla proposta della Commissione) o se saranno anche di natura elettiva di primo grado, non vorremmo che, in questo modo, si precludesse in base alle decisioni che assumeremo riguardo all'articolo 3, anche la possibilità di intervenire sul numero dei deputati. Era questo il senso della proposta del collega Boscetto.
Per questo motivo signor Presidente, anche tenendo conto del fatto che ieri abbiamo accantonato l'esame dell'articolo 1, credo che il presidente Violante dovrebbe precisare che comunque non termineremo l'esame dell'articolo 2 e che la Commissione si riserverà la possibilità di Pag. 29intervenire di nuovo alla luce delle decisioni che saranno prese successivamente sulla natura del Senato, sulla sua composizione e sul numero dei senatori. Diversamente, dovremmo accantonare tutti gli emendamenti relativi anche alla composizione della Camera. Chiediamo, quindi, che ci venga fornita questa rassicurazione.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, siamo contrari all'accantonamento, in quanto, qualunque sia il numero previsto di senatori, ho l'impressione che prevedere trecento deputati sacrifichi profondamente la rappresentanza nazionale. Già si è discusso del fatto che cinquecento membri, secondo alcuni colleghi, erano troppo pochi, ma, a mio avviso, il numero di trecento o trecentodiciassette membri rappresenta davvero un sacrificio profondo alla sovranità.
Questo è il motivo per cui siamo contrari all'accantonamento; tra l'altro, abbiamo già votato sulla composizione numerica della Camera dei deputati. Quindi, francamente, non si comprenderebbe perché siano stati votati e respinti alcuni emendamenti, mentre questi in esame - su cui, credo, si sia constatato serenamente che propongono numeri non accettabili - dovremmo accantonarli.
Sono d'accordo, invece, con quanto sostiene il presidente Elio Vito. La Commissione è del parere che, votati gli emendamenti, non si voti l'articolo (né questo né quelli successivi), in quanto ci riserviamo, una volta valutato il testo complessivamente, di vedere se sia il caso di apportare eventuali modifiche. Non mi pare che vi sia la necessità, ma è una richiesta dell'opposizione che mi pare fondata e l'accogliamo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, confermo il mio parere, proprio dopo l'intervento del presidente Violante, sul modo tortuoso e assolutamente improprio con il quale si sta precedendo, perché, ripeto, manca il clima. Devo dire che anche i ragionamenti svolti, a mio avviso, non corrispondono ad una logica coerente, in quanto il numero dei deputati non può essere fissato in rapporto a quello che viene deciso per il Senato. La logica vorrebbe, così come nella proposta di legge presentata nelle legislature precedenti, che si procedesse in rapporto alla popolazione, anche con una comparazione con il rapporto tra il numero dei rappresentanti e la popolazione negli altri Paesi europei.
Mi permetto anche di aggiungere che l'idea di equilibrare la Camera e il Senato per l'elezione dei giudici costituzionali - modificando ciò che, oggi, invece, si effettua in seduta comune - è un altro errore. È, infatti, prevedibile che, nel momento in cui saranno eletti i giudici costituzionali, la polemica verso la loro imparzialità si accrescerà, in quanto si affermerà che si tratterà di giudici eletti dal Senato e di giudici eletti dalla Camera. Ci troveremmo, quindi, di fronte ad una logica conseguenza, ovvero alla considerazione che le decisioni assunte non saranno assunte in nome di un'imparzialità e di una generalità, ma in nome della loro appartenenza alla Camera o al Senato.
A mio avviso, la proposta costituzionale in esame, come ha scritto Sartori, fa acqua da tutte le parti.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Boscetto 2.113, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 472
Votanti 305
Astenuti 167
Maggioranza 153
Hanno votato sì 8
Hanno votato no 297).Pag. 30
Saluto gli studenti della scuola media Umberto Nobile di Ciampino, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Per dare ordine ai lavori, data l'intesa per la sospensione della seduta alle ore 13,15, avverto che voteremo solo gli emendamenti Boscetto 2.114 e 2.115.
Passiamo all'emendamento Boscetto 2.114.
Prendo atto che i presentatori non accedono all'invito al ritiro formulato dai relatori.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Boscetto 2.114, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge(Vedi votazioni).
(Presenti 469
Votanti 383
Astenuti 86
Maggioranza 192
Hanno votato sì 82
Hanno votato no 301).
Prendo atto che il deputato Minardo ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'emendamento Boscetto 2.115.
Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dai relatori.
GABRIELE BOSCETTO. No, signor Presidente, insisto per la votazione e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, il mio capogruppo Elio Vito ha spiegato bene le ragioni del mio emendamento 2.115.
Continuare ad affermare che la nostra posizione prevedeva un numero di cinquecento deputati - e che quindi non si spiegherebbe la ragione per la quale adesso abbiamo indicato un numero di trecentosettanta deputati - non sembra aver tenuto in conto che il nostro progetto di riforma costituzionale, dopo quattro passaggi parlamentari e l'approvazione definitiva - salva la sottoposizione a referendum - avrebbe previsto, come ricordavo in precedenza, cinquecento deputati e duecentocinquantadue senatori.
Riteniamo che il Senato cosiddetto «federale» sia sbagliato nella sua composizione, nella sua formazione e nelle sue competenze: non dimentichiamo che un organo eletto dai consiglieri regionali al proprio interno finirà per dover approvare, insieme alla Camera, la legislazione nazionale. Le leggi più importanti del nostro Stato dovranno essere votate dalla Camera e dal Senato in modo collettivo, come oggi siamo abituati a vedere: possiamo capire quali potranno essere le complicazioni nel momento in cui il Senato sarà formato come previsto dal testo unificato delle proposte di legge in esame.
Interveniamo per cercare di far comprendere ai nostri contraddittori come e quanto siamo in contrasto con questa logica; ci auguriamo ancora che, dopo qualche notte insonne, si torni indietro e si eviti al Paese una simile riforma del Senato, che non sarà approvata al Senato per ovvie ragioni: non si può chiedere in questo modo, infatti, l'autodistruzione e l'automutilazione di quanto appartiene a una lunghissima tradizione!
Si spiega, così, perché abbiamo presentato l'emendamento in esame, che raddoppia il numero dei deputati rispetto a quello dei senatori, ma sempre in modo critico rispetto a quanto sta avvenendo e con l'occhio rivolto alla nostra riforma costituzionale, che prevedeva cinquecento deputati e duecentocinquantadue senatori eletti a suffragio universale diretto. Se si riducono i parlamentari e si elimina l'elezione diretta a suffragio universale, si compie un danno alla democrazia. Mi chiedo come facciate ad essere così convintiPag. 31 di questa vergognosa riforma e a dormire sereni la notte (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a mia volta mi chiedo perché si debba sempre conferire l'appalto e l'esclusiva del nobile buon senso al simpatico onorevole Gerardo Bianco. Nei passaggi più delicati dobbiamo darci uno squarcio di ragionevolezza ascoltando le sue osservazioni, tanto profonde per quanto comprensibili all'uomo e alla donna comuni che ci stanno ascoltando.
Che vi sia un rapporto di equilibrio tra il numero e le funzioni dei membri di questo e dell'altro ramo del parlamento è di tutta evidenza: lo capiscono anche i bambini delle scuole elementari che abbiano studiato educazione civica. La stessa concessione del presidente Violante di rimandare la votazione complessiva degli articoli denuncia e confessa che è oggettiva e di tutta evidenza l'esigenza di armonizzazione tra l'una e l'altra scelta.
In conclusione, molti hanno fatto riferimento ad un clima opportuno o non opportuno. Chiedo a lei e agli onorevoli colleghi: quando una parte molto consistente di una Camera parlamentare - la metà o un po' più o un po' meno della metà - non è d'accordo non su un particolare, ma sulla fisionomia e sulle modalità di elezione e di designazione di uno dei due rami sovrani del Parlamento, allora su cosa vi è l'accordo?
Dov'è il clima di larga consultazione e d'intesa, in linea con gli appelli del Presidente della Repubblica, quando ci si confronta in maniera polemica e senza accordo sulle modalità democratiche di designazione di uno dei due rami del Parlamento?
Non possiamo votare a favore di questo emendamento, su cui preannuncio che ci asterremo ma le ragioni che sono state illustrate hanno pregio e mi auguro che possano portare a ore di proficuo ripensamento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, confermo il voto contrario sull'emendamento Boscetto 2.115. Vorrei ricordare al collega Benedetti Valentini - ma torneremo sull'argomento con tutta serenità quando passeremo all'esame dell'articolo 3 - che l'articolo 3, così com'è adesso configurato, è stato votato a larghissima maggioranza in Commissione, in sede referente, e quindi non solo dai gruppi della maggioranza, ma anche da vari gruppi dell'opposizione.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Boscetto 2.115, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 474
Votanti 381
Astenuti 93
Maggioranza 191
Hanno votato sì 99
Hanno votato no 282).
Prendo atto che il deputato Minardo ha segnalato che non è riuscito a votare.