Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)
PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, ha facoltà di svolgere la relazione.
EMILIO DELBONO, Relatore per la maggioranza. Onorevole Presidente, colleghi, il disegno di legge che oggi è sottoposto all'attenzione dell'Aula dà attuazione, anche dopo le modifiche apportate dalla Commissione lavoro, all'accordo sulla previdenza, il lavoro e la competitività, stipulato tra Governo e parti sociali il 23 luglio scorso.
Il provvedimento interviene su molte materie, la previdenza, il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, norme sulla competitività, l'inclusione sociale, sempre dentro un orizzonte - come lo ha definito il Governo - di crescita e di equità. Su queste materie il Governo e una parte rilevante delle parti sociali (poiché - è inutile nasconderlo - non tutte le parti sociali hanno firmato il protocollo) hanno raggiunto un accordo su un complesso di interventi che considera in maniera equilibrata le esigenze sia dei lavoratori sia delle imprese, in modo da rendere i vari istituti giuridici vigenti più consoni alle istanze economiche e sociali del Paese, senza dimenticare la necessità di rafforzare la competitività del sistema produttivo in un panorama internazionale assai complesso.
Il Protocollo e il disegno di legge che lo recepisce partono dal presupposto che per essere veramente competitivo il sistema Paese dovrà utilizzare al meglio tutte le sue risorse, tramite il coinvolgimento nel mercato del lavoro di soggetti che oggi appaiono deboli e svantaggiati. Mi riferisco ai giovani, che sono i più penalizzati dal lavoro flessibile e, talvolta, da forme di vero e proprio precariato, per i quali il disegno di legge si preoccupa di creare i presupposti per assicurare loro maggiori opportunità di lavoro e prospettive pensionistichePag. 4 più adeguate, e alle donne, il cui livello di occupazione rimane ancora troppo basso rispetto alla media europea e agli stessi obiettivi di Lisbona, per le quali il disegno di legge prevede interventi volti ad aumentare le opportunità di occupazione, rendendo più facile la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro e rafforzando le garanzie per un'effettiva parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro. Faccio riferimento anche alle persone con disabilità, che incontrano tuttora grandi difficoltà nell'immettersi effettivamente nel modo del lavoro, per i quali il provvedimento dispone appositi interventi volti all'inserimento e al reinserimento lavorativo attraverso misure molto concrete, come la concessione al datore di lavoro di un contributo per l'assunzione di soggetti disabili, volto a coprire una parte del costo salariale di tali lavoratori.
Il provvedimento in discussione attua un disegno riformatore unitario che nelle materie affrontate cerca di contemperare i vari interessi economici dentro un orizzonte di crescita e di equità, ed è un provvedimento non isolato, ma si pone in continuità con l'azione del Governo Prodi e del suo Ministro del lavoro Damiano. È bene ricordare, infatti, il decreto-legge cosiddetto Bersani n. 223 del 2006, la legge finanziaria per il 2007 e, da ultimo, l'approvazione, avvenuta prima della pausa estiva, del testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Sono tutti provvedimenti che vanno nella direzione giusta e che cominciano a dare ottimi risultati, e che hanno come obiettivo in modo particolare, la stabilizzazione dei lavoratori (in special modo di quelli precari), la lotta al lavoro nero, l'emersione del lavoro regolare e la tutela di alcune tipologie contrattuali particolarmente esposte (come i collaboratori a progetto). Tali provvedimenti iniziano ad essere un punto di riferimento costante dell'azione di Governo e danno dei buoni risultati.
Tutto ciò avviene nell'ambito della scelta di fondo della concertazione, che noi abbiamo fortemente rivalutato e che vogliamo in qualche maniera recuperare e promuovere. Concertazione che significa compartecipazione delle parti sociali ai grandi obiettivi utili al Paese e anche ritorno alla legittimazione e alla forza della rappresentanza delle stesse parti sociali, testimoniato dal referendum con il quale oltre 5 milioni di lavoratori e di pensionati, con l'85 per cento di voti favorevoli, hanno espresso un giudizio sul tipo di concertazione e sul suo esito.
Senza dubbio non sfugge all'Aula, al Governo e a tutti noi che la concertazione debba tuttavia tener conto dei lavori del Parlamento e del fatto che vi sono delle parti sociali che non hanno firmato il Protocollo, a cominciare dai lavoratori autonomi. Credo che ciò ci aiuti ad avere un atteggiamento più sereno e più ponderato nell'affrontare la discussione del provvedimento in esame.
Il disegno di legge in discussione ha alcuni contenuti rilevanti. Il primo articolo riguarda le norme previdenziali ed è particolarmente significativo, in quanto risponde esattamente all'impegno che la maggioranza e il Governo si erano assunti per superare la cosiddetta riforma Maroni. Infatti, è evidente che vi è l'obiettivo di superare lo «scalone»: mentre la disciplina introdotta da tale riforma Maroni, la legge n. 243 del 2004, allo scadere del 1o gennaio 2008, prevedeva l'innalzamento immediato di tre anni del requisito dell'età anagrafica - da 57 a 60 anni per i lavoratori dipendenti, da 58 a 61 per gli autonomi - e successivi innalzamenti, fino ad arrivare a regime, a decorre dal 2014, al requisito di 62 anni per i dipendenti e di 63 anni per gli autonomi, con il provvedimento in esame si sono introdotte modalità che abbiamo ridefinito e ribattezzato «scalini». Allo scadere del 1o gennaio 2008 si dispone un innalzamento di un solo anno del requisito in questione - da 57 a 58 anni per i dipendenti, da 58 a 59 per gli autonomi - mentre successivamente, si prevedono ulteriori innalzamenti fino ad arrivare a regime, a decorrere dal 2013, al requisito di una quota data dalla somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, pari almeno a 97 per i lavoratori dipendenti, purché abbiano un'età anagrafica non inferiore a 61 anni, e pariPag. 5almeno a quota 98 per gli autonomi, purché abbiano un'età anagrafica non inferiore a 62 anni.
Pertanto, come è del tutto evidente, il provvedimento rende più favorevole, in particolare, la posizione di coloro che matureranno i requisiti per il pensionamento di anzianità nel periodo immediatamente successivo al 31 dicembre 2007, con un vantaggio che si affievolisce man mano che ci si allontana da tale data.
Ripeto, è un impegno che avevamo assunto e che è stato rispettato. Le stesse coperture sono state inalterate e la Commissione lavoro ha ritenuto di non toccare nulla della parte relativa al lavoro sugli «scalini».
Di particolare rilievo, inoltre, è la delega, da esercitarsi in tre mesi, per l'introduzione di un'apposita disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti e che riguarda i lavoratori rientranti in determinate categorie, ovvero quelli impegnati in mansioni particolarmente usuranti di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale del 19 maggio 1999, i lavoratori subordinati notturni, gli addetti alla linea a catena (non tutti, solo ad alcune tipologie previste dal provvedimento), i conducenti di veicoli pesanti adibiti ai servizi pubblici di trasporto di persone. In questi casi il beneficio è di accedere ad un pensionamento con un requisito anagrafico minimo ridotto di tre anni e, comunque, almeno pari a 57 anni di età, fermo restando il requisito minimo di anzianità contributiva pari a 35 anni.
Si tratta, com'è del tutto evidente, di un provvedimento che presenta due punti fermi e che la Commissione non ha toccato: la delega al Governo, il quale dovrà esercitarla in tre mesi e dovrà valutare, ponderando la platea dei destinatari secondo i criteri e i principi direttivi; e la copertura che noi non abbiamo in nessun modo alterato: sono, infatti, previsti 83 milioni di euro per il 2009, 200 milioni di euro per il 2010, 312 milioni di euro per il 2011, 350 milioni di euro per il 2012 e, a partire a regime dal 2013, 383 milioni di euro.
Un'altra rilevante misura, sempre all'interno dell'articolo 1, riguarda le cosiddette «finestre» per coloro che hanno 40 anni di contributi e che hanno raggiunto i sessantacinque anni di età per gli uomini e i sessant'anni per le donne. È del tutto evidente che questo era un tema particolarmente sensibile, soprattutto per i lavoratori precoci. Noi abbiamo garantito in qualche maniera un'uscita certa e senza prolungamento (assolutamente inaccettabile) dell'attività lavorativa una volta raggiunti i 40 anni di contributi.
Vi sono altre norme importanti in materia previdenziale, che citerò in modo molto rapido senza entrare nel merito. Sono previsti 3,5 miliardi di euro di risparmi nella razionalizzazione del sistema degli enti previdenziali, in linea con quanto affermato dalla Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali. Ciò è possibile attraverso un processo progressivo che il Governo dovrà valutare con la presentazione di un proprio piano industriale entro il 31 dicembre.
Inoltre, vi è la previsione di una revisione dei coefficienti di trasformazione attraverso l'istituzione di una commissione che devono tenere conto di alcuni criteri importanti, come le dinamiche demografiche migratorie, i percorsi per i lavoratori discontinui a tutela delle pensioni più basse (soprattutto dei giovani) e l'obiettivo di raggiungere un tasso di sostituzione non inferiore al 60 per cento. Si tratta chiaramente di indicazioni programmatiche affidate al lavoro della commissione e, successivamente, al Governo.
Sono, inoltre, previsti dei provvedimenti relativi al contributo di solidarietà a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e nel Fondo volo. Vi sono anche alcuni provvedimenti certamente eccezionali e discutibili, ma che rappresentano gesti di solidarietà, come, ad esempio, una sospensione della rivalutazione automatica per l'anno 2008 per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il trattamento minimo dell'INPS. Vi sono norme relative ai benefici pensionistici per esposizione all'amianto riguardantiPag. 6 i lavoratori dipendenti di aziende già interessate dagli appositi atti di indirizzo emanati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Desidero, infine, ricordare una norma particolarmente importante relativa al recupero del potere di acquisto degli indennizzi per danno biologico erogati dall'INAIL, tramite l'attribuzione di un aumento straordinario degli stessi indennizzi. È opportuno ricordare che, a tal proposito, vi è un appostamento di 50 milioni di euro. Si tratta di una norma straordinaria, ma la Commissione ha anche aggiunto una norma importante che riaffida al Governo la possibilità di rendere automatiche le rivalutazioni.
In ordine agli ammortizzatori sociali, è previsto un intervento importante in materia di indennità ordinaria di disoccupazione e si rideterminano sia la durata temporale, sia la percentuale di commisurazione alla retribuzione. Si tratta di un provvedimento oneroso e importante, ma che va nella giusta direzione.
Vi è, inoltre, una delega al Governo sulla riforma degli ammortizzatori sociali. È noto, infatti, che per noi quello della riforma degli ammortizzatori sociali è un tema strategico e gli obiettivi posti dalla riforma riguardano l'adozione da parte del Governo, il prima possibile, di uno strumento unico di indirizzo, volto al sostegno al reddito e al reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati. Si tratta di una previsione di contribuzione figurativa e di un legame stretto con le politiche attive del lavoro e i servizi per l'impiego.
Accanto alla delega alla riforma degli ammortizzatori sociali, abbiamo introdotto altre deleghe, riguardanti il mercato del lavoro e l'occupazione. In particolare, una delega riguarda i servizi per l'impiego, con l'obiettivo di rafforzare la centralità dei servizi pubblici; un'altra concerne gli incentivi per l'occupazione. È del tutto evidente, infatti, che abbiamo come obiettivo strategico quello di incrementare l'occupazione stabile; di migliorare il tasso di disoccupazione, soprattutto delle donne, dei giovani e degli over 50; di rivedere i contratti di reinserimento e, in qualche maniera, anche di svolgere una valutazione seria sui rapporti di lavoro a tempo parziale, affinché essi siano utilizzati bene e la loro applicazione venga estesa. Vi è anche una delega importante riguardante l'apprendistato, che dovrà essere esercitata dal Governo e dalle regioni (tale materia, infatti, rientra fra quelle di competenza concorrente), al fine di pervenire a standard nazionali di qualità della formazione stessa.
Su alcuni articoli importanti la Commissione si è soffermata; in modo particolare sull'articolo 11, che introduce una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato per lo stesso lavoratore, nella medesima mansione e con lo stesso datore di lavoro. Si è previsto, ovviamente, che, nella successione di contratti a termine e per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro non possa superare i trentasei mesi complessivi, comprensivi - come è del tutto evidente - di interruzioni e di rinnovi. Il Governo ha previsto una deroga al limite dei trentasei mesi, termine oltre il quale il lavoratore deve essere assunto a tempo indeterminato; non era, però, previsto un termine per tale deroga: la Commissione, in modo civile, ha ritenuto di stabilire un termine di otto mesi, ora all'attenzione del Parlamento e del Governo, che svolgeranno le proprie valutazioni. L'intenzione - è del tutto evidente - è quella di fissare un termine per la proroga. Si tratta di una fattispecie che riguarderà, con tutta evidenza, pochi casi. Essa si riferisce, infatti, ai lavoratori che lavorano per trentasei mesi terminati i quali non siano assunti a tempo indeterminato. Per costoro si prevede una possibile deroga con la stipula del contratto presso le direzioni provinciali del lavoro, in presenza di un rappresentante del sindacato maggiormente rappresentativo nel Paese.
Importante è anche la norma relativa alla disciplina del tempo parziale e all'abolizione dell'istituto del lavoro intermittente. Sia chiaro, non abbiamo reintrodotto il lavoro a chiamata (che è stato abrogato), ma abbiamo introdotto un articoloPag. 7 aggiuntivo, sottoponendo all'attenzione dell'Aula e del Governo una preoccupazione: è del tutto evidente, infatti, che nei settori del turismo e dello spettacolo vi sia la necessità di disciplinare le prestazioni temporanee, materia che abbiamo affidato nuovamente alla contrattazione collettiva. Questo ci è stato chiesto da molti colleghi di maggioranza e di opposizione e da molte realtà economico-produttive che si occupano di turismo, di ristorazione e di spettacolo nel Paese. Ovviamente, ciò sarà oggetto di una valutazione attenta.
Abbiamo ritenuto, tuttavia - sottoponendo anche questo aspetto all'attenzione dell'Aula e del Governo - di abolire lo staff leasing a tempo indeterminato. Si tratta di un istituto che, a seguito dei risultati dell'indagine conoscitiva che abbiamo analizzato e valutato, appare scarsamente utilizzato nel Paese, discutibile e che, sicuramente, non incide in alcuna misura sull'andamento del mercato del lavoro.
Proseguo nell'esame del provvedimento, citando le ultime norme. Vi è una parte importante relativa al settore agricolo: alcune norme sono relative alla disoccupazione agricola, al fine di rendere omogenea la disciplina dell'indennità ordinaria di disoccupazione e dei trattamenti speciali di disoccupazione per i lavoratori agricoli; altre recano incentivi per nuove assunzioni in agricoltura, attraverso i crediti di imposta; è prevista - ci sembra importante sottolinearlo - la possibilità di riduzione dei premi assicurativi fino al 20 per cento dei contributi per le imprese agricole che abbiano dimostrato di avere una bassissima percentuale di infortuni; e abbiamo in qualche modo incentivato la formazione continua, sempre nel mondo agricolo, destinandole la riduzione dello 0,30 per cento dell'aliquota contributiva.
Vorrei adesso richiamare due misure che il Governo ha voluto introdurre - che mi sembrano di grandissima rilevanza - sulle quali vi è stato uno scarso dibattito e che sono state poco valorizzate. In primo luogo, la possibilità di rendere interamente imponibile a fini previdenziali - e quindi anche pensionabile - la quota di retribuzione erogata a titolo di premio di produttività. Ciò, da un lato, permetterà ai lavoratori di beneficiare di un miglioramento dei trattamenti pensionistici e, dall'altro, di prevedere la concessione di uno sgravio contributivo per la medesima quota di retribuzione.
Questa misura è completata anche dalla detassazione per ridurre l'imposizione fiscale su tale quota di retribuzione, che, come è del tutto evidente, va a vantaggio dei lavoratori, che avranno un reddito disponibile più ampio. Il Governo ha anche previsto la soppressione del contributo aggiuntivo per l'utilizzazione del lavoro straordinario, misura che aiuterà sicuramente il sistema delle imprese e comporterà un'ulteriore riduzione del costo del lavoro.
Per quanto riguarda i giovani, cito solo tre misure. La prima riguarda l'accesso al credito per i giovani, per il quale sono stati previsti 600 euro mensili per alcune attività di natura imprenditoriale giovanile e un fondo di 150 milioni di euro per il 2008. Vi sono, inoltre, due misure importanti e molto citate dalla stampa: la totalizzazione dei contributi, al fine di recuperare i contributi ovunque versati nelle diverse gestioni, con la riduzione da sei a tre anni della durata minima dei periodi assicurativi che devono essere versati presso un'unica gestione; l'introduzione di norme che rendono meno oneroso e più conveniente il riscatto della durata dei corsi di studio universitari. Per questi obiettivi - totalizzazione e riscatto della durata dei corsi di studio universitari - sono stati stanziati 200 milioni di euro, che verranno utilizzati sicuramente a vantaggio dei giovani. Dopo tante parole e tanta retorica a favore dei giovani, non vi è dubbio che, finalmente, oltre alla retorica, siano previste misure e risorse.
In continuità con l'obiettivo del Governo, sono state anche aumentate progressivamente le aliquote relative ai collaboratori coordinati e continuativi o, meglio, ai contratti a progetto. L'aumento andrà dal 24 per cento, per il 2008, fino al 26 per cento, a decorrere dal 2010, perPag. 8chi non ha un'altra attività lavorativa. Per chi, invece, ha un'altra attività lavorativa è previsto il 17 per cento, a decorrere dal 2008. Ciò per un duplice obiettivo: garantire una pensione dignitosa con il sistema contributivo a molti di coloro che utilizzano questo istituto e seguire l'obiettivo strategico - attinente all'aumento del costo del lavoro per i lavori flessibili, sempre più vicino al lavoro subordinato - di far pagare meno il lavoro subordinato e un po' di più il lavoro flessibile, al fine di far sì che quest'ultimo venga utilizzato per necessità oggettive e non per la sua minore onerosità.
Sono previste, inoltre, importanti norme sull'occupazione femminile, che riguardano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e la parità del lavoro tra donne e uomini, che, a mio parere, vanno particolarmente sottolineate.
Concludo con alcune considerazioni, visto che sta scadendo il tempo a mia disposizione.
Non ho citato le norme riguardanti l'indennità ordinaria di disoccupazione, per la quale sono stati stanziati 20 milioni di euro, anch'essi importanti, nel caso di eventi transitori, dovuti a situazioni temporanee di mercato. Non ho citato, inoltre, norme molto importanti a favore dei lavoratori portuali. Si avrà modo di esaminarle e discuterle nel corso della discussione in Aula, anche in occasione delle dichiarazioni di voto finale.
Vorrei terminare l'intervento - lo ripeto - con talune valutazioni conclusive. Ringrazio il Governo e, in modo particolare, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che è qui presente, e il sottosegretario Montagnino, che ci ha seguito con grandissima attenzione durante i lavori in Commissione.
Credo che la Commissione abbia fatto un buon lavoro, utile e approfondito, di cui bisognerà tenere in qualche maniera conto. Infatti, abbiamo rispettato insieme l'accordo con le parti sociali, non abbiamo in alcun modo mancato di assicurare la copertura finanziaria, abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissi e perfezionato il testo. Consegniamo, quindi, un lavoro che, a mio parere, può essere complessivamente utile a tutti i destinatari del Protocollo, imprese e lavoratori.
L'importante è che questo provvedimento venga approvato entro il 31 dicembre prossimo, perché tutte le misure previste faranno crescere in termini di tutela di diritti e di opportunità, nonché di strumenti di competitività, l'intero Paese.
Auspichiamo, quindi, una rapida approvazione del provvedimento, senza modificazione alcuna rispetto al testo della Commissione.
PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, onorevole Barani, ha facoltà di svolgere la relazione.
LUCIO BARANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, intervengo solo per dirle che mi riservo di intervenire al termine della discussione sulle linee generali, anche per conoscere l'opinione dei gruppi di maggioranza su previdenza, lavoro e competitività e, in particolare, per sapere se essi condividano quanto il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, ci ha testé illustrato. Peraltro, mi preme anche capire quante e quali saranno le modifiche che a questo disegno di legge dovranno essere apportate e se la data del 31 dicembre sarà davvero il termine entro il quale il Parlamento - la Camera e il Senato - approveranno questo disegno di legge.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ANTONIO MONTAGNINO, Sottosegretario di Stato per il lavoro e la previdenza sociale. Signor Presidente, credo che la Commissione lavoro abbia esaminato con impegno e con senso di responsabilità il provvedimento presentato dal Governo. Credo che l'abbia fatto avendo come obiettivo il rispetto del Protocollo del 23 luglio 2007, apportandovi alcune aggiunte e alcune modificazioni: le aggiunte hanno ricevuto il parere favorevole del Governo, mentre le modificazioni parere contrario.Pag. 9
Ritengo che, complessivamente, il provvedimento in esame disponga di qualità che non possono non essere valorizzate: è un provvedimento che, per la prima volta, distribuisce risorse senza alcuno scambio; è un provvedimento che rivolge la propria attenzione ai soggetti più deboli: i giovani, le donne e dipendenti di aziende in crisi; è un provvedimento che rispetta il programma dell'Unione, nel momento in cui abolisce lo «scalone», facendo in modo che l'età pensionabile aumenti gradualmente; è un provvedimento che si occupa anche di altri soggetti come i disabili, chi svolga lavori usuranti o sia stato esposto per tanti anni all'amianto.
Quindi, si tratta di un provvedimento autenticamente moderno, sicuramente di grande valore sociale, che contiene aspetti fortemente innovativi, guarda al futuro e in effetti realizza quegli obiettivi di equità e di competitività che ne rappresentano i capisaldi e il fondamento.
Ovviamente, l'Assemblea ha il compito di esaminare il lavoro che è stato compiuto.
Ciò che voglio affermare con grande chiarezza è che i punti controversi sono effettivamente pochi, e non scardinano, comunque, l'equilibrio complessivo raggiunto nel Protocollo. Ci sono poi delle modifiche aggiuntive su materie non trattate al tavolo con le parti sociali che sono obiettivamente positive.
Si tratta di un provvedimento atteso e di grande valore: se ricordate, il Patto per l'Italia, che fu siglato cinque anni fa, non ebbe fortuna e non fu applicato, in nessuna delle sue norme. Questa è la prima volta, probabilmente, che un patto siglato tra Governo e parti sociali viene portato dopo pochi mesi in Parlamento per l'approvazione. Credo che ciò costituisca il valore più grande, al di là dei giudizi e delle valutazioni certamente non univoci sul provvedimento in esame.
Tuttavia, in questa sede, come rappresentante del Ministero del lavoro e della previdenza sociale voglio sicuramente esprimere apprezzamento per il lavoro compiuto dal Governo con il provvedimento che recepisce il Protocollo del 23 luglio, ma anche dall'intera Commissione lavoro, con un'azione fortemente responsabile, a cui si è unita anche l'opposizione.
Dunque, è necessario discutere e dialogare. Il Consiglio dei Ministri ha autorizzato la richiesta della fiducia e si sta valutando se sarà attuata. Ritengo che, rispetto alle questioni controverse, in ogni caso, le soluzioni sono possibili nell'interesse generale: non si tratta di far prevalere una parte contro l'altra, ma si tratta di approvare un provvedimento che sia utile al Paese, ai lavoratori, allo sviluppo e che possa veramente concorre a far diventare il nostro Paese più competitivo e più equo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, avevo sollevato in apertura di discussione la questione dell'opportunità dell'inizio dell'esame del provvedimento da parte del Parlamento. Ho preso atto della sua risposta ovvero del fatto che proceduralmente dobbiamo rimetterci alle decisioni del Governo sull'apposizione della questione di fiducia. L'intervento del rappresentante del Governo però conferma ad abundantiam le ragioni della mia preoccupazione. Dalle poche parole pronunciate dal sottosegretario abbiano appreso che - lo sapevamo già, ma è stato ripetuto autorevolmente - le modifiche introdotte dalla Commissione lavoro hanno tutte ricevuto il parere contrario del Governo. Diventa legittimo allora chiedersi cosa intenda fare il Governo rispetto a queste modifiche e sarebbe stato legittimo che ciò fosse stato espresso dal sottosegretario nel suo intervento. Se il Governo ha espresso parere contrario sulle modifiche apportate dalla Commissione lavoro deve dire al Parlamento, se non vuole contribuire a determinare una perdita di tempo per il Parlamento stesso, se intende presentare degli emendamenti. Il Governo infatti non rappresenta una parte come un gruppo parlamentare; è il Governo della Repubblica: se è contrario a talune modifiche introdotte, dobbiamo sapere se si apprestaPag. 10a presentare proposte emendative che riproducano il testo originario cancellandole o se invece si appresta ad accettarle. Come facciamo ad affrontare una discussione se non conosciamo tali elementi al riguardo.
Ha aggiunto il sottosegretario - forse sbagliando nell'espressione - che comunque si tratta di modifiche intervenute su materie che non riguardano il Protocollo, materie non trattate nel Protocollo. Stiamo parlando signor sottosegretario di materie non trattate nel Protocollo? I lavori usuranti non sono trattati nel Protocollo? L'intera materia di cui stiamo discutendo non viene trattata nel Protocollo? Tutto ciò vuol dire che il Governo afferma che si tratta di materie aggiuntive? Signor Presidente, siamo di fronte a una confusione inaccettabile e perciò mi riservo di riproporre in tutte le circostanze possibili la questione di un rinvio della discussione.
Voglio affrontare nel pochissimo tempo che mi è rimasto anche la sostanza del provvedimento. Si tratta di un provvedimento sbagliato, onorevole Delbono. In tutto il mondo, nella vicina Francia come in Germania, l'età pensionabile viene aumentata mentre noi abbiamo un Governo che la fa diminuire (l'età di 60 anni prevista a partire dal primo gennaio 2008 viene riportata a 58 anni). Tutti ciò, onorevole Delbono avviene con dei costi giganteschi; il provvedimento stesso prevede, infatti, una spesa di molte migliaia di miliardi di euro. Molte volte Il Presidente del Consiglio aveva affermato che una tale operazione sarebbe stata finanziata mediante l'unificazione degli enti previdenziali, ma anziché dinanzi all'unificazione degli enti previdenziali siamo di fronte ad una misura ridicola: il Governo stabilisce nell'articolato del provvedimento l'adozione di un programma, un piano di lavoro che consentirà un risparmio di 3 miliardi e mezzo di euro nel giro di qualche anno. Ma non si fa più riferimento all'unificazione degli enti previdenziali. Perché non potete unificarli? Forse perché le organizzazioni sindacali vi hanno strutture e rapporti particolari? Affermare che si sta razionalizzando un sistema quando in sostanza si vanno ad appesantire i conti pubblici, si aumentano i contributi previdenziali non determinando un risparmio, è cosa abbastanza grave.
L'articolo 37, al comma 2, intervenendo sulla copertura finanziaria, rappresenta una norma straordinaria. In tale articolo si afferma che dall'emanazione dei decreti legislativi attuativi non devono derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La Commissione lavoro però, all'articolo 31, ha introdotto una norma che reca la revisione della vigente normativa in materia di congedi parentali estendendo la portata di tali benefici. Come potrebbe tale norma non comportare oneri qualora venisse applicata alla pubblica amministrazione? È chiaro che si tratta di un provvedimento privo di copertura adeguata. Per tutte queste ragioni, perché va contro l'interesse generale di una riorganizzazione del mercato del lavoro e poiché non sappiamo ancora bene di cosa si tratta, considero inevitabile il voto contrario sul provvedimento (Applausi del deputato Baldelli).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Murgia. Ne ha facoltà.
BRUNO MURGIA. Signor Presidente, colleghi, il fatto che il disegno di legge in esame sia sulle prime pagine di tutti i giornali dimostra la sua importanza nella vita concreta, ma il fatto che l'Aula sia così vuota, seppur nella fase della discussione sulle linee generali, non è piacevole, forse anche perché l'annunciata posizione della questione di fiducia di fatto strozza il dibattito. Tuttavia proverò a svolgere alcune considerazioni di carattere generale come se la questione di fiducia fosse solo paventata, e poi non effettivamente posta come, invece, riteniamo che effettivamente avverrà.
Si tratta di un dibattito lungo che ci ha impegnato per molti mesi, che riguarda il Protocollo del 23 luglio scorso, che comunque per noi è figlio di un enorme luogo comune e di una battaglia ideologica che si è scatenata nel Paese all'indomaniPag. 11dell'approvazione della legge Biagi, ma rappresenta anche il segno di una cultura conservatrice, che oggi comanda in Italia, segnatamente quella della sinistra italiana che risiede nelle sue case editrici, la quale non a caso - lo sappiamo - su questo tema ha costruito molti successi editoriali. Si tratta di una cultura che troviamo nei giornali, nelle scuole e nelle università del «baronato gerontocratico». È una cultura che per la verità è emersa già nel 1994, ai tempi della grande manifestazione contro la prima proposta di modifica delle pensioni e del Governo Berlusconi, e, qualche tempo dopo, anche contro l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Taccio per carità di patria - non se ne parla più molto, ma rientra nel tema di questo dibattito - sull'omicidio del professor Biagi. Non ne parla più nessuno. È stato lasciato solo colpevolmente e la sua opera ovviamente si è conclusa senza che la riforma del mercato del lavoro potesse svilupparsi compiutamente come potevamo pensare. Taccio anche sugli spaventati riformisti della maggioranza che vanno a braccetto con i peggiori detrattori di Biagi, e che hanno accolto questo disegno di legge come l'unica possibile mediazione con la sinistra radicale.
Si tratta di una mediazione, che noi consideriamo al ribasso, che non ha futuro né volontà di cambiamento, e senza alcuna idea di vera guida se non quella di fare alcune piccole concessioni ora a un gruppo, ora all'altro. Per noi quindi i riformisti della maggioranza sono i veri sconfitti della partita, nella quale il pallino rimane sempre nelle mani della CGIL, con il benestare incomprensibile della Confindustria, la quale sostiene che non si può toccare niente altrimenti crolla tutto. Ma noi chiediamo agli industriali: non sarebbe stato meglio dire di «no» ad un testo che ci mette fuori dall'Europa e che è stato criticato in successione da tutti i principali istituti economici e finanziari? Siamo dunque condannati con questo Protocollo - la nostra visione è totalmente contraria a quella del centrosinistra - all'immobilismo, quindi parlare di precarietà e di cattiva occupazione è diventato un luogo comune, un motivo continuo, falso ma comunque insistente, confutabile con i dati ma considerato per assodato.
I dati parlano chiaro, colleghi: con la legge Biagi si sono realizzati circa tre milioni di nuovi posti di lavoro. La disoccupazione è calata al 6,5 per cento, ma la propaganda, continua negli ultimi mesi, che ha accomunato in modo becero Caruso e Beppe Grillo, ha soffiato sul vento della falsità. Quindi poco importa che, in una delle sue poche iniziative felici, il Ministro Damiano abbia regolarizzato 18 mila contratti a tempo nel settore dei call center proprio grazie ad uno dei cento articoli di quella famigerata legge. In Spagna l'incidenza dei dipendenti a termine sul totale è del 34 per cento - lo ripeto: 34 per cento -, mentre in Germania si viaggia intorno al 14 per cento e in Francia col sistema simile al nostro, che Sarkozy intende riformare, siamo al 13,5 per cento. Quindi i nostri dati sono assolutamente e perfettamente nella media.
La domanda è semplice: come possiamo migliorarli? Crediamo che questo Protocollo non vada nella direzione del miglioramento. Infatti, nella sua indecifrabile fumosità, e nel suo tentennamento continuo, il testo in esame abolisce lo staff leasing - lo ha detto il relatore - ovverosia l'affitto di piccoli gruppi di lavoratori da parte di un'azienda. Si tratta di una misura decisa dalla sinistra radicale in Commissione lavoro, ma riguarda una norma che - come è stato più volte detto - non è così rilevante all'interno della legge Biagi.
Abbiamo per fortuna recuperato alcune fattispecie di lavoratori a chiamata. Un emendamento votato in maniera trasversale ha salvato settori produttivi caratterizzati dalla stagionalità, come turismo, ristorazione e spettacolo: una norma di assoluto buonsenso.
Ci troviamo di fronte alla «scure» della questione di fiducia. Possiamo chiudere direttamente la partita senza, però, alcuna discussione. Abbiamo visto che il fine settimana è stato turbolento, pieno di minacce e di controminacce, ma se non pone la fiducia, il Governo non ha la maggioranza per far approvare il provvedimento.Pag. 12
Dunque, appare oziosa anche la proposta esposta in alcuni convegni del Partito Democratico: ad esempio, quella di Veltroni con il paventato contratto unico con le tutele crescenti. Questa intelligente idea nata dal professor Boeri, che campeggia nel sito www.lavoce.info, prevede tre tempi: prova, inserimento e stabilità. È un contratto a tempo indeterminato con un periodo di prova di sei mesi: come se abolissimo l'articolo 18 per i primi tre anni. Nel campo del Partito Democratico si discute questa proposta, mentre probabilmente domani verrà posta la questione di fiducia sul disegno di legge in esame.
È una base di partenza fondamentale che - paradosso dei paradossi - potrebbe essere studiata e applicata dal centrodestra, quando - speriamo presto - tornerà al Governo.
Anche qui le forche e i ruggiti della sinistra radicale non sono mancati: è inutile ricordare i sistemi dell'Europa del Nord, quelli social-democratici dove la flexsecurity garantisce, ad esempio in Danimarca, facilità di licenziamento, ma è stabilito un preavviso di quattro mesi, un sussidio finché non si trova lavoro, percorsi di formazione continua e l'obbligo di non rifiutare le occasioni di impiego. È un sogno probabilmente costoso, forse non applicabile alla nostra realtà.
Devo citare, però, il professor Giavazzi, che certo non è un esponente della destra, il quale ha detto che tali istituti sono decisamente migliori rispetto a tenere in vita l'Alitalia, navigare nel lavoro nero e permettere migliaia di baby pensioni.
Il quadro italiano è così delineato: un mercato del lavoro rigido senza la necessaria mobilità, con lavoratori garantiti dai sindacati (si guardi al referendum sul Protocollo), perché da essi traggono la forza per poter privilegiare i propri interessi, contro gli outsider che sono molti.
Il disegno di legge in esame, al contrario di ciò che è stato detto dalla maggioranza, è considerato da noi un attentato contro le giovani generazioni. È una miccia che potrebbe far esplodere la guerra tra padri e figli e non l'onesto compromesso descritto dai Ministri di questo Governo. Le uniche forme ragionevoli di riscatto dei contributi sono piccole cose rispetto al problema generale.
In un'Italia che è sempre più vecchia, nella quale l'unico vero ammortizzatore sociale funzionante è la famiglia, cosa «inventa» la sinistra? Vorrebbe abolire per legge la precarietà, imporre assunzioni a tempo indeterminato, come avviene con l'articolo 11, comma 2, che prevede la conversione in contratto a tempo indeterminato nel caso di successione di contratti a termine per più di 36 mesi. Nello stesso articolo è prevista una deroga per un'ulteriore successivo contratto per una durata non superiore a otto mesi, dove solo il sindacato è riconosciuto come soggetto in grado di tutelare il lavoratore. È una concezione vecchia che non fa leva sul fatto che oggi in Italia abbiamo bisogno di liberare energie ma non di imbalsamarle.
La sinistra certo non guarda ai dati demografici: tra vent'anni potrebbe avvenire che ad ogni trentenne corrisponda un pensionato. Nei calcoli pensionistici è un tempo infinitamente breve. Se consideriamo che ormai la vita media è di ottant'anni non possiamo permetterci assolutamente di mandare in pensione - come prevede questa proposta - un lavoratore a 58 anni: è un costo assurdo che significa più tasse e più spesa pubblica, perché le coperture, peraltro - è emerso ed emergerà nel dibattito - non sono garantite ma sono completamente evanescenti.
Dunque per parafrasare l'ultimo brillante saggio di Boeri e di Galasso, un economista di riferimento di Veltroni, Contro i giovani, la politica di questo Governo è «contro i giovani».
Le coperture - ribadisco - sembrano restare un mistero: un piano finanziario che sul capitolo pensioni - questo è il dato importante, saliente - mette a rischio i conti pubblici. Per il periodo che va dal 2008 al 2017, si prevede, al momento, una copertura di 10 miliardi.
C'è da notare, ovviamente, che i risparmi garantiti dal famigerato «scalone», che noi, invece, abbiamo considerato buono, sarebbero stati pari, nello stesso lasso di tempo, a circa 65 miliardi.Pag. 13
L'indicazione del reperimento di fondi fa quasi ridere, perché, ad esempio, si pensa di recuperare 3 miliardi e mezzo dalla razionalizzazione degli enti previdenziali.
Tuttavia, quanto è emerso anche nei lavori della Commissione lavoro, una Commissione di cui è membro l'onorevole Lo Presti, ha dimostrato che questo è impossibile e, anzi, all'inizio della paventata razionalizzazione, le spese potrebbero addirittura aumentare. Si tratta, dunque, a nostro avviso, di una copertura falsa alla quale il Governo pone il classico rimedio: se al 2011 il risultato non sarà raggiunto, scatterà un prelievo contributivo aggiuntivo dello 0,9 per cento a carico di tutte le categorie dei lavoratori e, molto probabilmente, così sarà.
Ma non è l'unica stranezza che riguarda questa incredibile riforma: per favorire i giovani, si propone una norma assurda che indica nel 60 per cento il tasso di sostituzione. Non si capisce come ciò possa avvenire; sicuramente i coefficienti di trasformazione verranno affidati ad un controllo che, fra qualche anno, sarà compiuto dalla solita commissione. Stiamo, di fatto, abbattendo il sistema contributivo per tornare a quello retributivo. Dati alla mano, è il quarantenne di oggi ad avere un futuro completamente incerto e a dover pagare la pensione del padre di 58 anni, il quale, dal 1o gennaio 2008, esce prematuramente dell'età lavorativa.
Si tratta, dunque, di un pasticcio che non trova sbocco neanche per il totem della sinistra radicale, ossia quella linea di confine rappresentata dal prepensionamento di migliaia di lavoratori usurati: prima, il tetto fissato era di 5 mila; poi, all'italiana, il tetto è stato sfondato e i calcoli della ragioneria dello Stato, dell'INPS e di uno studio del senatore Sacconi e di Giuliano Cazzola ampliano la platea fino a 25 mila unità. La copertura di 2 miliardi e mezzo di euro, paventata fino al 2017, salta e la realtà è che la somma effettiva potrebbe essere di circa di 12 miliardi di euro.
È incredibile, quindi, che non esista, ad oggi, ancora alcuna griglia per mettere un punto fermo sulla questione, dopo che in Commissione lavoro è saltata la soglia di 80 notti per la definizione di lavori usuranti. Un fatto è certo: questo protocollo non ha le coperture definite e aumenterà la spesa pubblica.
Torniamo per un momento ai giovani, a quella «generazione tuareg», come è stata descritta in un bel saggio di Francesco Delzìo, il direttore dei giovani imprenditori di Confindustria. Possiamo ricordare alla giovane generazione che l'attuale Ministro dell'economia e delle finanze, Padoa Schioppa, nel 2003 scriveva che oggi i pensionati trascorrono vent'anni in pensione, non più tredici come accadeva alla fine degli anni Sessanta e che, dunque, diventa un obbligo innalzare l'età pensionabile.
Tuttavia, verifichiamo l'andamento, guardando la realtà delle altre nazioni europee: in Spagna e in Olanda non si va in pensione prima di aver compiuto 65 anni; in Svezia ci vogliono 65 anni di età e 40 anni di contributi; in Germania 63 anni di età e 35 anni di contributi; in Svizzera 65 anni di età e 44 di contributi.
Pertanto, hanno vinto i sindacati, con buona pace di Pietro Ichino e dei suoi lucidi editoriali sul Corriere della sera. Hanno vinto, a nostro avviso, le lobby conservatrici, quelle stesse che permettono che il welfare non funzioni a dovere.
Circa il 62 per cento del nostro sistema benessere è assorbito dalle pensioni, contro la media europea pari a circa il 46 per cento; il 2 per cento - ripeto, il 2 per cento! - è destinato ai sussidi della disoccupazione, contro una media europea del 6,5 per cento. Solo il 28,5 per cento accede ai sussidi quando perde il lavoro, mentre il 22,5 per cento ha un'integrazione di reddito e per i due terzi non vi è niente. Inoltre, in Italia, solo tre famiglie su ventidue vengono aiutate dal sistema benessere, contro le diciotto famiglie su ventisei della Gran Bretagna. Pertanto, i soldi spesi male del protocollo sul welfare avrebbero potuto essere spesi molto meglio.
Infine, per quanto concerne la vicenda dei parasubordinati, anche in questo caso la nostra visione è diametralmente oppostaPag. 14ed è uno degli aspetti per cui voteremo «no» a questo protocollo. Le loro aliquote saliranno fino al 26,5 per cento in tre anni, più le tasse: dunque, la sinistra afferma di voler difendere il precariato, ma lo fa affossandolo e «facendo cassa» sulla pelle di questi poveri parasubordinati, ottenendo 3,5 miliardi di euro, che gravano come macigni sulle tasche del lavoro precario.
Quindi, nell'Italia conservatrice dell'epoca Prodi, questo è il quadro: in una università in mano a «stagionatissimi baroni», senza futuro per molti giovani ricercatori e con solo cinque docenti su mille con età inferiore a 35 anni, non c'è che da ribellarsi, mandare a casa questo Governo e sperare di averne un altro di tipo completamente diverso.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Buffo. Ne ha facoltà.
GLORIA BUFFO. Signor Presidente, quella che arriva oggi in Parlamento e che campeggia sui giornali è una legge che interessa molti milioni di italiani: non li interessa soltanto come cittadini - fatto di per sé importante - ma li tocca da vicino come lavoratrici, lavoratori, donne e uomini che, avendo lavorato, hanno diritto alla pensione.
La qualità di un sistema sociale e la modernità di un Paese non si giudicano solo o innanzitutto dal PIL, ma dalla capacità di restituire sicurezza, servizi, reddito, dignità a chi lavora e produce la ricchezza. Lo Stato sociale non è un favore - come mi sembra di aver sentito affermare da parte di qualcuno -, che si fa a chi non è ricco, non è proprietario di impresa o non vive di rendita finanziaria e immobiliare: è solo la restituzione di qualcosa che gli appartiene, ovvero la ricchezza di un Paese, perché chi lavora ha contribuito a produrla.
La qualità e l'estensione dello Stato sociale sono indici della salute di una società, e sono anche fattori di sviluppo, tanto più in un Paese come l'Italia, dove la competitività è scarsa proprio perché si investe sulla mortificazione del lavoro anziché sull'innovazione produttiva. I limiti dello Stato sociale italiano e le gravi distorsioni nella complessiva distribuzione del reddito e della ricchezza, testimoniati dall'alto tasso di diseguaglianza che tutte le ricerche e gli studi ci attribuiscono, sono noti a tutti, anche se spesso volutamente dimenticati.
Tra i protagonisti della vicenda italiana colti da amnesia sul punto delle diseguaglianze c'è l'associazione più importante degli imprenditori, il cui presidente, in attesa di decidere se si dedicherà alla politica ufficialmente, visto che ufficiosamente lo fa già, lamenta ogni giorno che le imprese devono avere di più dallo Stato e dal fisco, ovvero dalla collettività, dimenticando però di dire che in Italia negli ultimi anni la «fetta della torta» andata ai profitti e alle rendite è molto cresciuta, mentre è scesa in modo insostenibile la porzione toccata al lavoro: una sproporzione e una distorsione che paga una parte decisiva del Paese, cui noi intendiamo dare voce.
Cinque anni di Governo Berlusconi hanno lasciato il segno: chi lavora oggi è più precario, molto spesso è sottopagato; e tutto ciò in un Paese in cui la vita è cara, e il diritto alla casa è carissimo. La precarietà naturalmente non è un'invenzione del cavaliere, che però le ha spalancato le porte mentre varava una controriforma delle pensioni iniqua, aggravata se possibile dalla viltà di rimandarne l'attuazione dopo la fine del suo Governo. Così restando le cose, il 31 dicembre di quest'anno per molti l'età pensionabile si dovrebbe spostare in avanti di tre anni in un colpo solo.
La situazione ereditata dal centrosinistra è dunque tutt'altro che rosea. Non va mai dimenticato che, come è scritto nel programma sul quale abbiamo chiesto il voto agli elettori, l'Unione si è impegnata con forza a invertire la direzione di marcia intrapresa dalla destra sul lavoro e sulle politiche sociali.
Con la trattativa tra le parti sociali e il Governo svoltasi quest'anno si è deciso, cancellando il cosiddetto «scalone», un ritocco dell'età pensionabile a nostro avviso accettabile; si è salvaguardata l'etàPag. 15pensionabile delle donne, si sono alzate anche se di poco le pensioni più basse e, dopo molti anni, si sono rese un po' meno ardue le carriere previdenziali dei più giovani. A nostro avviso si tratta di un buon compromesso, reso possibile dalla scelta di distinguere il lavoro più pesante (in gergo lo chiamiamo «usurante»), che non può essere trattato ai fini pensionistici come gli altri lavori.
Diverso però è il bilancio a proposito di contrasto della precarietà. Avremmo voluto di più. Si è promesso di più nel programma elettorale e si aspettava di più quel vasto mondo, non solo giovanile, che supera i quattro milioni di persone e lavora in modo discontinuo e precario. Nessuno del mio gruppo di Sinistra Democratica per il Socialismo europeo ha mai fatto dell'abolizione della legge n. 30 del 2003 un «feticcio», ma certo, per correggere la distorsione di un uso massiccio e improprio di tipologie contrattuali ultraflessibili, occorre toccare in modo deciso, più deciso, le norme che questo abuso hanno reso possibile.
L'esercizio della responsabilità ci ha fatto criticare i limiti dell'accordo per quanto riguarda la lotta alla precarietà, tuttavia, la responsabilità - e credo anche l'intelligenza politica - ci ha fatto cogliere che si tratta di un miglioramento rispetto alle norme vigenti. Sinistra Democratica per cultura, per scelta e per profilo politico, ha dato grande peso alla consultazione democratica svoltasi tra oltre 5 milioni di lavoratrici, lavoratori e pensionati sul testo dell'accordo. Abbiamo scelto un atteggiamento politico e parlamentare sobrio e pulito, teso a contribuire a tradurre in legge l'accordo, a garantire che i diritti in esso scritti siano esigibili e a specificare ciò che l'accordo stesso indica come obiettivo senza chiarirne tutte le implicazioni. È stato un lavoro utile, condotto, per quanto riguarda la precarietà, insieme al resto della sinistra che, senza stravolgere in nulla l'accordo, ha reso - con l'accordo di tutta l'Unione - il testo del disegno di legge più forte e coerente con la linea di contrasto alla precarietà enunciata dal Governo. In particolare, sul contratto a termine abbiamo contribuito, con il consenso del centrosinistra, a specificare che nei trentasei mesi della durata si conteggiano anche i periodi non continuativi e che la proroga di cui si parla nell'accordo ha un limite di otto mesi.
Abbiamo proposto - la maggioranza è stata d'accordo in Commissione - di scrivere, come afferma la direttiva europea, che il lavoro è, di regola, a tempo indeterminato (come ricorda il principio ispiratore di tutta l'attività riformatrice dell'Unione). Abbiamo chiesto - ed ottenuto - che a proposito di part time si confermasse la norma esistente, ovvero che il consenso del lavoratore alle forme elastiche di lavoro a tempo parziale è sempre necessario e che il rifiuto eventuale del lavoratore o della lavoratrice al part time elastico non può essere motivo di licenziamento, come peraltro già recita - lo ricordo a chi parla a sproposito di stravolgimenti del Protocollo - la norma esistente. Non abbiamo invece voluto né condiviso la riproposizione, per alcuni settori e con alcuni limiti, del lavoro a chiamata, voluta in Commissione dal Partito Democratico, dall'Udeur e dalla Rosa nel Pugno. La tesi sostenuta da questi nostri alleati - secondo cui l'abbassamento delle tutele vorrebbe dire aumentare il lavoro regolare e, viceversa, accrescerle significherebbe incoraggiare il lavoro nero - a nostro avviso, non dovrebbe far parte del corredo culturale della maggioranza del centrosinistra.
Le mediazioni sono sempre possibili - sono state possibili in Commissione - mentre l'esercizio di rimettere in discussione l'alleanza o scomporre la coalizione utilizzando il lavoro e la precarietà, come vorrebbe qualche componente molto minoritaria del centrosinistra, sarebbe davvero una cattiva politica. Gli strepiti levatisi da parte confindustriale su un presunto capovolgimento dell'accordo siglato dalle parti sociali sono infondati, strumentali e, se posso dirlo, anche un po' arroganti. A noi sarebbe piaciuto - sarebbe, infatti, stato necessario - scrivere che il contratto a tempo determinato è possibilePag. 16solo quando sussistono precise esigenze produttive ed organizzative, che in gergo chiamiamo le causali.
A noi sarebbe piaciuto - sarebbe stato importante - riformare il codice civile in modo da distinguere, una volta per tutte, il lavoro davvero autonomo da quello economicamente dipendente, perché oggi il mercato del lavoro italiano - e le sue regole - si fondano su un imbroglio, come tutti sanno. Ci sarebbe anche piaciuto - e sarebbe stato importante - scrivere nel testo del provvedimento cos'è usurante, quanto e qual è il lavoro notturno, senza delegarlo al Governo, ma siamo persone consapevoli del contesto politico e del recinto dell'accordo siglato tra Governo e parti sociali, e di ciò ci siamo fatti carico. Ricordo ai distratti che gli emendamenti sui congedi parentali, che ho ascoltato citare - mi pare - dall'onorevole La Malfa, sono stati votati su proposta dei gruppi della destra, e che sulla questione del lavoro notturno era stato presentato un emendamento dell'UDC per ridurre da ottanta a settanta il numero delle notti.
Come vedete, quando si entra nel merito bisogna anche avere il coraggio di riconoscere che non vi sono stati dei «cattivi», che volevano stravolgere ciò che è in realtà non è stato stravolto. Proprio per tali ragioni di merito e per quanto è davvero accaduto in Commissione non possiamo assistere, senza replicare, ad un attacco al lavoro serio e meditato fatto dal centrosinistra in Parlamento. Sinistra Democratica continuerà a lavorare seriamente e sobriamente in Aula, così come ha fatto in Commissione, affinché il provvedimento arrivi in porto con i chiarimenti e le specificazioni che la Commissione lavoro ha prodotto. Auspichiamo che nella legge finanziaria siano inserite altre norme a favore del lavoro dipendente - noi lavoreremo in tale direzione - cominciando dal lavoro femminile e da quello parasubordinato.
Ammortizzatori sociali, lavoro a tempo determinato, part-time, lavori usuranti, età pensionabile, ma anche amianto, disabilità, apprendistato e mobilità, sono parole per noi usuali. Per molti italiani queste parole sono la vita, le scelte quotidiane, la fatica, i progetti possibili o quelli negati. Per le donne tutto ciò è ancora più importante, in un Paese che offre loro poco lavoro, poche sicurezze e pochi servizi. Nel provvedimento in esame vi sono segnali positivi, soprattutto per i più giovani, anche se non ancora sufficienti. Variamo il provvedimento nel testo adottato dalla Commissione lavoro e prepariamoci a lavorare ad un altro pacchetto di riforme per contrastare più efficacemente la precarietà che ora non solo penalizza i giovani, ma disarticola la società (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.
LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, permettetemi qualche considerazione di carattere politico prima di entrare nel merito del provvedimento in esame: non sappiamo ancora su quale testo discuteremo e tutta la stampa pubblica, da due giorni, articoli in ordine alla eventualità che il Governo ponga la questione di fiducia sul provvedimento in esame. Anche in questa occasione non vi è un grande rispetto per il Parlamento e tale circostanza è apparsa evidente anche in ordine alla votazione del provvedimento collegato alla manovra finanziaria approvato la scorsa settimana, perché anche in quel caso è stata posta la questione di fiducia.
In Commissione abbiamo assistito ai contrasti tra i riformatori e i massimalisti, e tra la coalizione che sostiene il Governo e lo stesso Governo, che tentava di difendere il testo dell'Accordo del 23 luglio scorso. Era veramente strano vedere il rappresentante del gruppo di Rifondazione Comunista chiedere, durante un'audizione, all'ex collega della CGIL il rispetto delle prerogative del Parlamento sovrano, qualora si fossero introdotti nel provvedimento elementi estranei all'Accordo - come l'abbattimento della soglia dei 5 mila usurati o la riduzione delPag. 17numero dei casi in cui è possibile stipulare un contratto a termine - e, nel contempo, pretendere il rispetto dell'Accordo stesso allorché veniva discusso un emendamento presentato dalla minoranza che reintroduceva, in alcuni casi, il cosiddetto lavoro a chiamata.
Ora il dilemma verte sulla circostanza se porre la questione di fiducia sul testo del Governo, che ha cercato di trasporre nel provvedimento in esame il contenuto delProtocollo del 23 luglio scorso, il quale aveva introdotto a sua volta elementi estranei all'accordo. In tal senso, cito per tutti l'articolo 6 del provvedimento in esame, che proroga i termini di presentazione delle domande per ottenere i benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto. In realtà non vi è alcuna traccia di tale argomento nell'Accordo del 23 luglio. L'alternativa a tale possibilità consiste nel porre la questione di fiducia sul testo predisposto dalla Commissione lavoro o anche trovare una soluzione intermedia. Lo verremo a sapere, come al solito, dai giornali. Sappiamo solo che Confindustria e i sindacati desiderano un provvedimento che recepisca il testo dell'Accordo, altrimenti si troverebbero dinanzi ad un attentato alla concertazione. Inoltre, rammento che 5 milioni di lavoratori si sono espressi favorevolmente in ordine a tale Accordo.
Il leader della CGIL, Epifani, auspica che il tema degli usuranti venga risolto entro l'anno; non desidera il varo di una legge delega, perché vuole dare certezze ai lavoratori e ciò è giusto. Tuttavia, va fatto presente che il numero di tali lavoratori può variare da un estremo di un milione ottocentomila a 3 milioni e la spesa, di conseguenza, cresce. La maggioranza è smarrita e quando chiediamo informazioni ai colleghi otteniamo sempre risposte differenti. Il provvedimento, dopo l'esame in Commissione, è squilibrato dal punto di vista dei conti e, come si suol dire, attentare ai conti è il danno peggiore che si possa arrecare alla vita sociale.
Noi siamo contrari anche per questo motivo. I conti sono sbagliati; infatti, la revisione dello scalone costerà in un decennio 3 miliardi 800 milioni di euro più di quanto indicato nel provvedimento. La tutela del lavoro usurante, così come si configura dopo le modifiche in Commissione lavoro, costerà in un decennio da 10 a 12 miliardi e mezzo in più del previsto. L'incremento dell'aliquota contributiva per le categorie iscritte alla gestione separata presso l'INPS comporterà minori entrate. Infatti, si useranno sempre meno tali tipi di contratti perché troppo onerosi: le minori entrate sono stimate in un miliardo o un miliardo e mezzo.
Il provvedimento in esame ha trasposto un accordo tra le parti sociali, ma non tra tutte. Infatti, devo ricordare (citando alla rinfusa) che Confcommercio, Confartigianato, Confesercenti, Cassa Artigiani, che rappresentano il 60 per cento del PIL nazionale e il 40 per cento degli occupati, non hanno sottoscritto l'Accordo. L'impostazione, come abbiamo già detto, è troppo orientata alle pensioni e pochissimo (quasi per nulla) alle politiche attive del lavoro. Ancora una volta, siamo troppo lontani rispetto a ciò che avviene normalmente negli altri Paesi. La revisione dello scalone, come abbiamo visto, aggrava i conti pubblici e, tra l'altro, propone elementi di ingiustizia e di iniquità. Nel DPEF ed in altri documenti varati dal Governo ho sentito sempre parlare di equità e sviluppo sostenibile dal punto di vista finanziario. Ma quale equità vi è nel provvedimento, se i lavoratori autonomi sono discriminati rispetto ai lavoratori dipendenti? La copertura, quindi, è precaria e, come affermavo, vi sono soluzioni dirette a favorire alcune fasce di lavoratori a scapito di altre. Non a caso, i 10 miliardi di euro che Tommaso Padoa Schioppa ritiene necessari nel decennio per compensare il superamento dello scalone e per garantire i requisiti previsti ai lavoratori impegnati nelle attività cosiddette usuranti, vengono in parte coperti con l'aumento della pressione contributiva per i lavori parasubordinati. Ciò vuol dire che si avrà un inasprimento del costo del lavoro.
Inoltre, gli amministratori ed i soci di società si vedranno sottoposti ad una sorta di contributo di solidarietà senza la previsionePag. 18di un aumento della loro pensione. In pratica, questi lavoratori avranno nel 2008 un incremento contributivo superiore a 100 milioni di euro. Pensate alla cosiddetta clausola di salvaguardia, che il Governo ha previsto nel provvedimento in esame, in base alla quale se non vi saranno (come è probabile) i risparmi ipotizzati unificando gli enti previdenziali (3 miliardi e mezzo di euro) scatterà, a partire dal 2011, un ulteriore aumento contributivo generalizzato dello 0,09 per cento. Quindi è evidente che almeno la metà delle risorse necessarie per il superamento dello scalone e per l'agevolazione a favore dei lavoratori che svolgono attività usuranti sarà reperita attraverso l'aggravio della pressione contributiva. Quindi, siamo lontani dall'obiettivo di riduzione della spesa indicato, peraltro, nell'ultimo DPEF, ma è noto che i DPEF rappresentano il libro dei sogni.
Vengono rinviate scelte difficili, ma (ahimè!) necessarie come, per esempio, la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione determinata con il metodo contributivo. Cito da un testo di economia: «Con l'opposizione alla revisione dei coefficienti di conversione si vuole decretare la fine del metodo contributivo di calcolo delle pensioni, asse portante di un sistema pensionistico equo ed equilibrato. Questo metodo stabilisce che le pensioni dipendono dai contributi versati nel corso della vita lavorativa e dall'età alla quale si va in pensione. Il metodo prevede anche che, se nel corso del tempo la vita media si allunga, le persone potranno andare in pensione alla stessa età di quelle che le hanno precedute soltanto se saranno disposte ad accettare un assegno più basso o, in alternativa, potranno decidere di destinare al lavoro almeno una parte dell'allungamento della vita, ripristinando così pure i più alti livelli previdenziali». A ciò serve la revisione dei coefficienti, che mai cambierebbe le pensioni in essere. Essa è essenziale per il metodo contributivo, anzi vitale. Ebbene, si decide, invece, di spostare al 2010 la revisione dei coefficienti. Tuttavia faccio notare, come ho fatto in Commissione, che la revisione dei coefficienti di trasformazione è un atto dovuto per legge e non una scelta del Governo e delle parti sociali che la mettono in discussione.
È un obbligo di legge che purtroppo viene traslato in là e così lasceremo ai nostri figli un debito ancora più grande. Cosa dire a proposito dei figli, quando l'articolo 3 - è incontestabile - prevede che bisogna fare in modo che il 60 per cento del loro stipendio si trasformi nella loro pensione? Voglio ricordare a tutti voi che oggi con il sistema retributivo, quindi con un sistema molto più generoso, tolte le tasse, si arriva ad un tasso di sostituzione del 67 per cento. Come si fa a garantire il 60 per cento? Sicuramente ricorrendo alla fiscalità generale. È questo ciò che volete!
Vi è un altro argomento: per la prima volta nel nostro ordinamento viene subordinato il pensionamento di vecchiaia al meccanismo delle cosiddette finestre. La legge Maroni faceva andare in pensione tutti coloro che arrivavano a quaranta anni di contributi, normalmente subito dopo il raggiungimento di tale requisito. Viceversa, ora bisognerà attendere almeno tre mesi, anzi, per i lavoratori autonomi - alla faccia dell'equità! - addirittura fino ad un massimo di nove mesi. Stiamo parlando di vere e proprie iniquità. Infatti, in questo Protocollo ci sono diversi esempi di disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. Più specificatamente, si mira a penalizzare il lavoro autonomo. Il disegno di legge in esame esclude espressamente proprio i lavoratori autonomi dai benefici pensionistici previsti per i lavoratori usuranti. Mi dite voi che differenza c'è tra un panificatore artigiano e uno dipendente, tra un autotrasportatore autonomo e uno dipendente? Costoro sono discriminati, non avranno i benefici previsti da questo provvedimento. Che dire poi dell'articolo 5, in cui si prevede la sospensione dell'indicizzazione della perequazione automatica? Si dice pomposamente che chi ha una pensione lorda pari a otto volte il minimo INPS (cioè 2.500 euro lordi, quindi chi ha 2 mila euro netti di pensione) viene ritenuto un signore molto ricco, per cui gli siPag. 19sospende l'indicizzazione. Quindi, ancora una volta si pensa alla Robin Hood che rubare ai cosiddetti ricchi per distribuire ai poveri sia l'unico metodo per ristabilire l'equità sociale. Che dire della questione dell'amianto, che aprirà una voragine, anche se si tratta solo di dare seguito agli atti di indirizzo dei sottosegretari degli ultimi Governi di centrosinistra della XIII legislatura? Che dire ancora del danno biologico? Si prevede di lasciare alla magistratura il compito di stabilire i danni, che molte volte sono pretestuosi.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, avete introdotto nuove rigidità per le imprese. Pensiamo al contratto a tempo determinato e al tetto dei 36 mesi rinnovabili soltanto una volta per altri 8 mesi, sulla base della modifica avvenuta in Commissione. Questo è il nodo gordiano che dovete sciogliere per produrre il terzo testo su cui porrete la questione di fiducia. Il tetto di 36 mesi è un'ulteriore rigidità: non avremo un nuovo occupato, ma un disoccupato in più se passerà questo provvedimento.
In questo modo, possiamo soltanto notare che avete introdotto automatismi e rigidità, che già in passato hanno scoraggiato le nuove assunzioni. Per quanto concerne il lavoro a chiamata, è vero che ne abbiamo votato in Commissione, insieme ad una parte della maggioranza, il ripristino e crediamo che abolirlo sia stato un grave errore. Ciò significa rispedire nel sommerso decine di migliaia di persone che fruivano di questo contratto ed erano riemerse. Parlo, per esempio, dei musicisti che sono 12 mila in Italia. Parliamo di coloro che lavorano nel settore del turismo e alberghiero. Siamo di fronte a 40-50 mila persone, che potrebbero fruire di questo contratto e che tranquillamente torneranno nel sommerso. Infatti, si pensa che tali contratti vengano utilizzati in modo surrettizio: bisogna fare controlli per verificare se tali contratti sono utilizzati bene o no. Lo stesso si dica per la penalizzazione economica nei confronti del part time sotto le dodici ore. Sono contratti il più delle volte genuini, normali, legittimi e leciti. Non si deve sempre pensare che non lo siano, basta fare le verifiche opportune. Dopotutto, il Ministero continua ad assumere - lo ha fatto anche adesso - nuovi ispettori del lavoro, fermo restando che sono gli ispettori delle ASL a fare più volentieri e più frequentemente le ispezioni. L'Unione europea afferma che i contratti a tempo determinato, a tempo parziale, di lavoro intermittente, a zero ore, quelli proposti ai lavoratori reclutati dalle agenzie di lavoro interinale, quelli di lavoro autonomo costituiscono parte integrante del mercato del lavoro di tutta Europa.
Cito il Libro verde dell'Unione europea, pubblicato il 22 novembre del 2006, un anno fa (quello che fa riferimento alla flexsecurity), che recita testualmente: «le sfide del futuro passano attraverso una progressiva modernizzazione del mercato del lavoro e non attraverso interventi legislativi che, portandoci indietro di decenni, irrigidiscono e paralizzano il mercato del lavoro». L'impianto di questo provvedimento smentisce assolutamente questa frase del Libro verde dell'Unione europea.
La delega relativa agli ammortizzatori sociali, l'infortunistica in agricoltura, le calamità naturali, l'articolo 28 che parla dell'occupazione femminile al 60 per cento (così come prevedono i parametri di Lisbona e Barcellona): ebbene, sono tutti libri dei sogni. Che dire poi dell'articolo 29, che non era assolutamente contenuto nel Protocollo sul welfare - lì si sono stati introdotti surrettiziamente argomenti che il Protocollo non aveva preso assolutamente in considerazione - dove non è contemplata l'indennità di disoccupazione per i lavoratori sospesi da imprese artigiane, cosa che invece è prevista per i lavoratori dipendenti della grande industria.
Fra l'altro, sempre per parlare di disparità - e concludo - quando si parla di consultazione delle parti sociali, ci si riferisce sempre alle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, mentre si escludono quelle dei datori di lavoro e del lavoro autonomo. In Commissione noi abbiamo cercato di introdurre questo riferimento,Pag. 20ma ci è stato bocciato senza che ci venisse mai spiegato il motivo, né dal relatore, né dal sottosegretario.
La «chicca» è l'articolo 32, comma 2, lo ha citato anche l'onorevole La Malfa, che dispone che dall'emanazione delle deleghe legislative inerenti agli ammortizzatori sociali, al mercato del lavoro e all'occupazione femminile, non devono derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica: è evidente che riforme su aspetti di così grande rilevanza sociale non possono essere effettuate a costo zero. Pertanto, così come è avvenuto in passato, c'è il rischio che queste riforme non possano essere varate, nonostante il Paese ne abbia una grande, grandissima, necessità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cinzia Maria Fontana. Ne ha facoltà.
CINZIA MARIA FONTANA. Signor Presidente, colleghi deputati, signor Ministro e sottosegretari, voglio innanzitutto ringraziare il collega onorevole Delbono per la puntuale relazione svolta in quest'aula in merito al disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007, oggi in esame. L'illustrazione così dettagliata ed esaustiva delle diverse misure contenute nel provvedimento mi permette di concentrare il mio intervento sul disegno complessivo che caratterizza l'impianto delle norme.
Si tratta di un disegno riformatore, da attuare con diverse tappe temporali, che tiene insieme una coerenza di fondo sia con quanto previsto nel programma elettorale dell'Unione, sia con le scelte sulle quali il Governo ha impostato la propria azione in questo anno e mezzo. Un disegno unitario ed organico, perché i tre obiettivi di risanamento, crescita ed equità che hanno rappresentato, rappresentano e continueranno a rappresentare il segno più profondo della vera discontinuità con il passato, si fondono in un unico filo conduttore che attraversa e contraddistingue gli interventi nella loro complessità. Un disegno concreto perché il grande merito sta soprattutto nella scelta di affrontare i problemi reali del Paese, di fornire risposte alle condizioni sociali e materiali che il cittadino vive sulla propria pelle, che il lavoratore e l'impresa ci chiedono, di misurarsi con le sfide da cui dipende il destino comune degli italiani.
Globalizzazione, nuove tecnologie, pressioni competitive, cambiamenti demografici che ridisegnano le nostre società e le nostre economie, crescente richiesta di formazione: sono profondamente mutati i capisaldi su cui il secolo scorso sono state improntate le nostre politiche e, all'interno di ciò, il mondo del lavoro è uno degli ambiti più ricettivi dei cambiamenti in corso, dove con maggiore evidenza si polarizzano opportunità e disuguaglianze.
Il disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio si pone interamente in questo quadro e rappresenta un'ulteriore tappa di continuità all'interno di una strategia complessiva che ha già prodotto ottimi risultati in soli diciotto mesi. Mi riferisco in modo particolare agli interventi contenuti nel decreto legge n. 223 del 2006, nella legge finanziaria del 2007, nell'anticipo dell'avvio della previdenza complementare, nella legge n. 123 dello scorso luglio in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro, nella legge n. 127 del 2007, il cosiddetto decreto extragettito, e nelle linee tracciate in materia di politica del lavoro nella manovra finanziaria del 2008.
Come ha sottolineato il relatore, si tratta di interventi a favore dell'emersione del lavoro nero e sommerso, volti a rendere meno vantaggioso il ricorso alle forme di lavoro più flessibile, di riduzione del cuneo fiscale, con un significativo impegno di risorse (pari a 5 miliardi di euro) a favore delle imprese che hanno alle proprie dipendenze lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato, misure per il miglioramento delle tutele per i lavoratori non standard, nonché a favore dei soggetti oggi socialmente deboli, quali i giovani, le donne, i lavoratori over cinquanta e i pensionati a basso reddito.
Ho voluto ricordare brevemente tali misure che, come ho già affermato, stanno già producendo concreti effetti positivi, perché testimoniano la scelta responsabilePag. 21della maggioranza di centrosinistra di prendersi carico dei problemi che affliggono il Paese e da qui costruire progetti che riguardino l'intero orizzonte delle politiche sociali ed economiche.
Ben diversa è stata, invece, negli anni passati l'attenzione su tali temi: di fronte a nodi strutturali il Governo di centrodestra ha, infatti, tentato di puntellare con misure di corto respiro soltanto la competizione di costo, cercando di scaricarla in particolare sui giovani, e ha rinviato, se non addirittura eluso, le riforme necessarie. L'avvio della previdenza complementare è stato posticipato al 2008, la delega al Governo in materia di sicurezza sul lavoro non ha mai visto la luce, la riforma degli ammortizzatori sociali, continuamente sbandierata come secondo pilastro della legge n. 30 del 2003, è rimasta lettera morta e la scadenza del 2005 per l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione - un atto dovuto per legge, come ci ricordava l'onorevole Fabbri - è passata con un nulla di fatto.
Inoltre, con l'attuale Governo si era aperta la stagione della concertazione con le parti sociali, rilanciando così un metodo in cui le ragioni del lavoro e dell'impresa si misurano in un orizzonte comune di impulso allo sviluppo del Paese, perché da esso dipende il futuro di tutti e la realizzabilità degli stessi progetti di equità sociale. A tal proposito, mi preme evidenziare come il Protocollo sul welfare, non rappresentando un fatto isolato, ma un disegno complessivo che si inserisce in un più ampio percorso di confronto serio con le parti sociali, abbia già prodotto ulteriori e positivi accordi successivi al 23 luglio scorso. Mi riferisco al Protocollo sulla cooperazione del 10 ottobre, tra Governo e associazioni del mondo cooperativo, volto a realizzare un'efficace azione di contrasto al fenomeno delle cosiddette cooperative spurie, oppure al Documento su lavoro e previdenza dei giornalisti, nel quale si prevedono i trattamenti di maternità e malattia, la stabilizzazione dei collaboratori e si stabilisce l'armonizzazione, nell'arco di quattro anni, delle aliquote contributive dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti all'albo dei giornalisti con quello dei collaboratori iscritti alla gestione separata INPS, assicurando così un migliore futuro pensionistico. Mi riferisco, altresì, all'Accordo sull'emersione del lavoro nero e sommerso in agricoltura, siglato il 21 settembre scorso da Governo, parti sociali, INPS e INAIL e interamente recepito nel capo IV del disegno di legge di attuazione del Protocollo sul welfare. Si tratta di interventi che l'agricoltura chiedeva da tempo, già con il primo avviso comune firmato nel 2004 ma mai recepito. Nel provvedimento oggi in esame si apporta una sostanziale modifica al sistema degli ammortizzatori sociali in agricoltura, trasformandolo in un sistema più adeguato all'attuale realtà produttiva del settore e superando un impianto che nel tempo ha creato pesanti distorsioni, in quanto ha incentivato, da una parte, l'evasione contributiva e, dall'altra, il lavoro fittizio. Si prevedono, inoltre, incentivi alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, alla formazione continua dei lavoratori agricoli, assolutamente indispensabile per affrontare le continue trasformazioni tecnologiche, organizzative e produttive del settore e come investimento sul ricambio generazionale, nonché alla tutela dell'igiene e sicurezza sul lavoro, intervenendo in modo mirato a sostegno delle imprese agricole virtuose.
Si continua, perciò, quel percorso che vede nel sostegno all'impresa e nell'incentivo ai comportamenti socialmente responsabili la leva per incidere sul miglioramento del mondo del lavoro.
Per tutte le considerazioni sopra espresse, ritengo riduttivo il fatto che l'opinione generale si stia concentrando quasi esclusivamente su due aspetti: la previdenza e alcune forme di rapporto di lavoro, certo importanti ma non costituenti il tutto.
Minore sembra essere, invece, l'attenzione e la valorizzazione su altri capitoli che reputo particolarmente rilevanti e significativi: le misure a favore dei giovani e dell'occupazione femminile; gli incentivi per l'assunzione del personale con disabilità; le misure in materia di competitivitàPag. 22con il Fondo per gli sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello con la detassazione della retribuzione di risultato o con la soppressione della contribuzione aggiuntiva sul lavoro straordinario; gli interventi in materia di ammortizzatori sociali, grazie ai quali, a partire dal 2008, l'indennità di disoccupazione sarà aumentata sia per quanto riguarda la durata, sia per la misura e con la previsione di una delega per la riforma degli istituti a sostegno del reddito che andrà nella direzione della creazione di una rete universale di sicurezza e che si dovrà integrare strettamente con le politiche attive del lavoro, con i percorsi di formazione e di reinserimento lavorativo, con il potenziamento dei servizi per l'impiego, perseguendo così l'obiettivo di un welfare attivo, in grado di assicurare a tutti uguaglianza ed opportunità al posto di un vecchio welfare di risarcimenti.
È, quindi, fondamentale considerare il testo nella sua completezza, perché affronta l'allargamento del sistema a favore di chi, oggi, non ne fa parte, migliorando così l'inclusione sociale, la partecipazione al mercato del lavoro e la produttività. Unisce padri e figli anziché dividerli e consegna al Paese un sistema più equo e solidale in grado di assicurare la crescita nell'equità, coniugando ragioni produttive, esigenze di innovazione ed elementi di costo con una buona occupazione di qualità, garanzia essa stessa di vera crescita e sviluppo del Paese.
Poiché il cuore del Protocollo e del disegno di legge di attuazione si rivolge in maniera rilevante ai giovani, alle donne e alle loro condizioni lavorativa e previdenziale, esso rappresenta uno straordinario investimento per il futuro e una straordinaria occasione per superare l'attuale divario di opportunità personali e sociali e per rimettere in moto le migliori energie del Paese.
Il gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo esprime, perciò, pieno e convinto sostegno al disegno di legge di attuazione del Protocollo del 23 luglio perché il provvedimento si pone l'obiettivo di riscrivere un patto tra le generazioni che per la prima volta nella storia era saltato; perché si disegna una società dove la precarietà non è la regola, dove non è l'incertezza a scandire, a ferire e a umiliare la vita delle persone; perché si riconosce che le politiche attive del lavoro, l'investimento sulla qualità del capitale umano, il rispetto della dignità della persona, la capacità di innovare contemporaneamente la piena valorizzazione dei soggetti oggi ai margini del mercato del lavoro, in particolare, donne e giovani, siano le leve in grado di accrescere la competitività e la produttività del nostro Paese e di apportare un contributo determinante allo sviluppo economico e sociale. Senza crescita, infatti, gli obiettivi dell'equità, delle opportunità e della redistribuzione sono destinati a soccombere, in quanto senza crescita la società rimane immobile e in una società immobile sono i giovani a pagare il prezzo più alto.
Lavoro, impresa e formazione, quindi, sono per noi le componenti di un nuovo patto sociale per assumere una comune responsabilità per il destino dell'Italia, per riuscire a realizzare insieme una società più aperta e più giusta affinché sulla paura e sulle incertezze prevalgano speranza e fiducia nel futuro.
Concludo soffermandomi su alcune considerazioni rispetto al testo che oggi siamo chiamati a discutere. Il disegno di legge presentato dal Governo recepisce in modo coerente l'accordo del 23 luglio, frutto di un importante, lungo e faticoso lavoro di concertazione tra le parti e approvato a larghissima maggioranza dagli oltre 5 milioni di lavoratori e pensionati che hanno partecipato al referendum promosso dalle organizzazioni sindacali. Un accordo, quindi, che rappresenta un equilibrio delicato, da cui non possiamo prescindere nelle nostre valutazioni per il rispetto delle parti contraenti che hanno raggiunto tale compromesso e per la serietà con cui hanno svolto il proprio ruolo nell'interesse del Paese.
Altrettanto importante e serio è stato, a mio avviso, il lavoro prodotto nelle scorse settimane dalla Commissione lavoro, pur con le diverse sensibilità politiche all'interno della stessa maggioranza, con una discussione responsabile e con propostePag. 23mai (sottolineo mai) tese a delegittimare il ruolo e il valore della concertazione, ma svolgendo a pieno il suo ruolo parlamentare. È pertanto assolutamente priva di senso l'accusa, questa sì delegittimante, di un Parlamento irresponsabile e squalificato.
Come gruppo Partito Democratico-L'Ulivo, abbiamo sostenuto in Commissione le ragioni del disegno di legge, condividendone l'impianto e difendendo il contenuto di ciascuno dei 32 articoli: continueremo a farlo in questi giorni in aula, convinti che le modifiche apportate rispettino pienamente sia l'equilibrio sia la sostenibilità economica, non stravolgano i pilastri fondamentali dell'intesa e, anzi, la rafforzino in alcune parti. Siamo altrettanto convinti che sia necessario contribuire, con profondo senso di responsabilità, nello sforzo - che deve essere comune - di trovare una sintesi positiva per tutte le parti.
Siamo favorevoli a perseguire tale obiettivo e, pertanto, ribadisco il pieno sostegno al disegno di legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, l'onorevole Delbono ha messo in luce le caratteristiche di un provvedimento importante, sottoscritto dalle parti sociali, che deve essere approvato così come è in quanto stabilisce alcune misure fondamentali per il rilancio dello Stato sociale nel nostro Paese: un documento che farà crescere il Paese, che può contenere aspetti controversi (che però non sono molti) e atteso con ansia da tutto il Paese. Tutto ciò, consentitemi di affermare, per quanto mi riguarda, non è vero.
La battaglia sul welfare è diventata, a mio parere, uno strumentale confronto tra schieramenti: è davvero poco civile e politico che sull'impianto dello Stato sociale si badi ai giochi di parte e alle convenienze più che ai cittadini e ai primi destinatari di una riforma che vuole cancellare decenni di assistenzialismo. È in tal senso che il centrosinistra non ha capito il carattere innovativo, rivoluzionario e solidaristico della cosiddetta legge Maroni, che ha posto rimedio alla situazione devastante, sul piano sociale ed economico, del nostro Paese. Pensate a quante parole si sono consumate, sia per iscritto sia oralmente, sulla cosiddetta legge Biagi, strumentalizzando anche i giovani e caricandoli di attese e di speranze che il nostro sistema non può garantire: non può non essere strumentale l'attacco a una legge elaborata e studiata da un giuslavorista che non aveva certo una matrice ideologica conservatrice! Onestamente, credo di più al professore Ichino, che magnifica tale legge, rispetto a chi l'ha voluta affondare (o modificare in gran parte) senza conoscerne le conseguenze.
Valutiamo, poi, i fatti: in occasione del referendum promosso dai sindacati, il «sì» è provenuto soprattutto dai pensionati, mentre la categoria dei metalmeccanici - ossia l'aristocrazia operaia - ha detto in maggioranza «no», sia nel merito sia, soprattutto, perché non si riconosce in questo Governo. La riprova è stata la manifestazione di piazza che ha visto la sinistra manifestare contro il Governo, giustamente fiera di avere radunato a Roma un milione di persone.
Come si conciliano, allora, posizioni contrapposte, volendo mettere insieme i diritti sacrosanti dei lavoratori - secondo me pagati troppo poco - con la questione del precariato, agitato come una bandiera e una minaccia della quale i giovani rischiano di essere le prime vittime? Non si può «strappare» il «sì» di Confindustria e quello della sinistra massimalista (chiamatela come volete: forza antagonista, certamente comunista).
È una contraddizione che sta pagando il Paese ed è la prova che il Governo non può rappresentare gli italiani, perché è un Governo di minoranza. Bisognava immaginarlo subito, nel 2006, quando il pareggio elettorale ha fatto capire che 280 pagine di programma non si realizzano con i senatori a vita. Questa era onestà politica, che avrebbe risparmiato al PaesePag. 24una penosa odissea, giunta sino a far diventare sport nazionale le scommesse sulla caduta del Governo.
Come hanno già affermato i deputati che mi hanno preceduto, durante i lavori in Commissione, intensi e faticosi, sono state ascoltate molte voci, dalle organizzazioni sindacali alle associazioni di categoria, dagli enti di previdenza agli agricoltori. Vi sono stati passaggi molto delicati per questa maggioranza, per effetto dell'irrigidimento di alcune posizioni - che, come immagino, hanno fatto preoccupare molto il Governo - con Rifondazione Comunista, da una parte, e i diniani e il Partito Democratico, dall'altra, che hanno messo a rischio la tenuta di questo provvedimento.
Le fibrillazioni si sono avvertite anche in queste ultime ore nelle dichiarazioni dei sindacati, di Confindustria e di parte della stessa maggioranza, contrari a modifiche del disegno di legge che recepisce l'accordo firmato con il Governo nel luglio scorso su pensioni e mercato del lavoro. I liberaldemocratici di Dini e D'Amico, infatti, confermano che voteranno a favore del disegno di legge solo se sarà fedele al testo originario e, quindi, senza modifiche, peraltro apportate dalla Commissione lavoro della Camera, dove sono stati approvati alcuni emendamenti della sinistra radicale e della nostra minoranza.
Confindustria fa sapere, a chiare lettere, che il testo dell'accordo non deve essere minimamente modificato, perché cambiare il Protocollo significa uccidere la concertazione. Ma dove siamo? CGIL CISL e UIL avvertono che ogni cambiamento deve essere ridiscusso con loro.
Signor Ministro, ciò che speravo e mi auguravo non avvenisse - lo speravo veramente, con sincerità, ma purtroppo ormai la strada sembra essere questa - era che l'Esecutivo ponesse la questione di fiducia per far approvare il disegno di legge.
Per anni il centrosinistra ci ha dato lezioni sulla necessità che il Parlamento fosse il luogo delle decisioni. Mi ero illuso che si potesse dibattere ed entrare nel merito delle questioni e degli argomenti e anche - perché no - imparare.
Invece, constato, ancora una volta, che siamo davanti a una concezione burocratica della politica, che comporta solo: alzare o abbassare le mani, schiacciare pulsanti, dire «sì» o «no», manifestare meccanicamente la propria volontà.
Sento dire che occorre aprire il dialogo sulle riforme costituzionali, ma mi sento di affermare che, se non ci si esercita con la dialettica concreta e con il confronto, non è possibile coinvolgere il Parlamento nella sua interezza su leggi di vasta portata.
Con quale spirito si partecipa ai lavori dell'Assemblea se si procede in modo notarile? Avanti di questo passo, si arriverà ad accentuare la disaffezione verso le istituzioni. Ma questo Governo ha paura? Questo Governo è sotto scacco da parte dei sindacati o di Confindustria e perciò resiste e si oppone alle proposte di modifica avanzate dal mio movimento, la Lega Nord, e dal centrodestra? Ma perché? Si intende resistere a tutti costi, perché non importa nulla del disastro in atto nel Paese.
Cosa importa al Governo se il Paese si interroga sulla temperatura del suo inverno, visto che abbiamo cominciato a intaccare le scorte del gas? Cosa importa al Governo se la gente si interroga su come potrà arrivare alla fine del mese facendo fronte ai rincari di prezzi e bollette e se si augura, nel frattempo, che la sua casa non sia visitata dai ladri?
E i rumeni? Possono stare tranquilli, perché quella è una pagina già dimenticata. E anche la gente che muore sui luoghi di lavoro può tranquillamente continuare a morire?
Ma vi è di più, la violenza sulle donne, la circostanza che l'Italia è il Paese al terzo posto per consumo di droga in Europa e tralascio di aggiungere il resto.
Ma tutte queste, naturalmente, per il Governo sono emergenze vecchie, buone tutt'al più per qualche convegno.
Infatti, oggi il problema del Governo è solo quello della propria tenuta, della propria sopravvivenza, di accontentare i poteri forti e non la povera gente, di far approvare la versione originale del Protocollo del 23 luglio 2007 e di conseguenzaPag. 25ottenere l'approvazione del disegno di legge in esame senza alcuna aggiunta, modifica o stralcio.
Allora, che dire dei costi del provvedimento sottoposto alla nostra attenzione? Mettono in crisi l'equilibrio del sistema previdenziale, faticosamente raggiunto attraverso un decennio di interventi: non più 10, ma 23,8 miliardi di euro di maggiorazione di spesa, e potrebbero crescere ancora. A tanto ammonta la «bolletta», definiamola così, della riforma del welfare.
La sola trasformazione dello «scalone» previdenziale in tanti «scalini» - forse, lo ripeto, si tratta di concetti già espressi più volte - costerà alle casse pubbliche una fortuna.
Il Governo aveva previsto che in dieci anni vi sarebbero stati 345 mila pensionati in più, per effetto della riforma in esame, e 7,5 miliardi di euro di costi aggiuntivi per la previdenza: stando a proiezioni diverse, tuttavia, la realtà è che ai 345 mila pensionati previsti da palazzo Chigi andranno aggiunti almeno altri 174 mila pensionati.
Dobbiamo anche sottolineare che la modifica dell'età pensionabile, rispetto alla riforma Maroni, crea non poche difficoltà a chi, ad esempio, si è visto costretto ad optare per una mobilità lunga, che per molti lavoratori comporta l'anticipo della data del diritto alla pensione per un periodo che va da uno a quattro anni, con inevitabili riduzioni, quindi, della pensione e dell'assegno mensile.
Si dovrà poi prestare attenzione all'esito che avrà la vicenda dei lavori usuranti; mi riferisco a quei lavoratori che saranno esclusi da qualsiasi «stretta» sulle pensioni d'anzianità, considerato che il tetto delle cinquemila pensioni anticipate all'anno è stato superato, ed è rimasto solo un generico tetto di spesa, che potrebbe non reggere ai ricorsi degli esclusi.
L'eliminazione dei contratti a chiamata, anziché muovere il mercato e creare occasioni per i giovani, favorirà la disoccupazione e aumenterà ulteriormente il lavoro nero. Infatti, il lavoro intermittente ha dimostrato, in alcuni settori (turismo, servizi, commercio, assistenza alla persona, eventi sportivi), di poter rappresentare un valido strumento di contrasto al lavoro nero e irregolare.
Anche se forse l'espressione è un po' troppo forte, si tratta di un provvedimento che grida vendetta.
La sospensione dell'indicizzazione delle pensioni, prevista dall'articolo 5 del provvedimento in esame, è un fatto vergognoso. È un imbroglio affermare che vale solo per il 2008: chi è a conoscenza del funzionamento di tali meccanismi si sente preso in giro.
La razionalizzazione degli enti previdenziali è un'ulteriore presa in giro: in concreto, si tradurrà in un aumento della pressione contributiva per tutti i lavoratori. Come si fa ad affermare che nel 2011 vi sarà un aumento dei contributi, solo nel caso in cui non si verifichino risparmi di spesa per 3,5 miliardi di euro, a seguito di questa supposta razionalizzazione? L'unico modo per ottenere risparmi di tale tipo sarebbe quello di non pagare più le pensioni, ma non si può e quindi si dovrà aumentare la pressione contributiva, ancora una volta!
Analogamente è un'altra presa in giro garantire almeno il 60 per cento delle retribuzioni per chi andrà in pensione fra trenta o quarant'anni.
Il lavoro a tempo parziale è stato, nel corso degli ultimi anni e grazie alla legge Biagi, il motore della crescita occupazionale del nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda le categorie critiche in termini di tassi di occupazione: donne, giovani e anziani. Un'inutile irrigidimento di tale normativa, oltre a penalizzare le imprese, finisce per ritorcersi contro gli stessi lavoratori e quanti sono in cerca di un'occupazione in grado di conciliare tempi di vita e di lavoro.
È fin troppo chiaro come il Protocollo sul welfare rappresenti un compromesso verso il basso che umilia e non nobilita le istanze degli uni e le prudenze degli altri. Si avverte netta la sensazione che non si sia tenuto conto delle esigenze delle categorie sociali in gioco, dei soggetti deboli in campo come i precari e i pensionati e si sia badato solamente a portare a casa delle convenienze per la propria parte politica. Al riguardo, onorevole Burgio,Pag. 26immagino che la sinistra radicale presenterà il recepimento legislativo del Protocollo come la capacità di aver messo alla corda i centristi e i moderati dello schieramento. Ma mi immagino anche come i moderati stessi mostreranno fierezza per non aver per ceduto alle pressioni dei massimalisti. Si tratta di una normale dialettica politica? No, si tratta semplicemente di contraddizioni esponenziali e inconciliabili. Tutto ciò si dimostra ancora più vero allorché siamo in presenza di un votazione di merito che non può essere espressa pena una spaccatura annunciata pronta a manifestarsi. La verità è che in ogni provvedimento quale che sia il suo peso ma in specie in quelli di maggior «calibro» il voto si esaurisce in un referendum pro o contro Prodi.
È per queste ragioni che il Paese non si riconosce in un Governo che ogni giorno fa la conta e si rende conto che la sopravvivenza della maggioranza comporta la deriva economica e sociale dell'Italia. Questo è l'aspetto essenziale, un Governo che non piace ad alcuno, nemmeno al senatore Dini, al senatore Bordon o al senatore Manzione che hanno già decretato la sua caduta politica.
Mentre ci si dibatte sugli schieramenti, sulle scomposizioni e ricomposizioni del quadro politico, la Lega Nord rivendica la propria coerenza richiamandosi alle identità, alle radici e agli obiettivi programmatici. Il Governo è sempre più in balia di se stesso e cerca di prendere fiato spostando il dibattito su questioni di schieramento e di riforma elettorale, dimenticando che il Paese va a rotoli e che a pagarne il prezzo maggiore sono quelle fasce sociali che il Protocollo sul welfare vorrebbe tutelare.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 12,30)
LORENZO BODEGA. L'altro giorno a Lecco, la mia città, si è svolto un concorso con 170 partecipanti per l'assunzione di un impiegato di III livello. Andate voi a raccontare quale futuro e quali certezze possono nutrire i 169 candidati non scelti. Si tratta di un esempio recente e del tutto casuale ma estensibile ad ogni latitudine del Paese, ad ogni concorso, ad ogni esame di Stato, ai test per accedere all'università. Prima ancora che sul posto di lavoro, nell'esistenza in generale, esiste un popolo di precari e di delusi. In un Paese che, invece di aggrapparsi al welfare, rischia di essere stracciato, bisogna intervenire con cambiamenti e trasformazioni. Esiste, infatti, un universo di lavoratori che cercano dignità prima ancora che il posto fisso. Dobbiamo occuparci dei giovani e delle donne di un Paese che secondo i dati odierni vede un precario ogni dieci lavoratori e in cui le donne occupate rappresentano solo il 46 per cento; le famiglie non possono vivere con un solo stipendio.
Non siete intervenuti sull'impianto strutturale del sistema lavoro ma vi siete limitati ad apportare «toppe», spesso più deleterie del buco! È una legislazione che non sa valorizzare i lavoratori autonomi e che liquida come «bamboccioni» i ragazzi costretti a restare a casa per farsi mantenere con vitto e alloggio come nelle pensioni in vacanza.
Concludendo, non posso non affrontare il tabù dell'età pensionabile che viene trattato «un tanto a pezzo». Non si capisce che altrove si va in pensione a 67 anni e che noi non possiamo andarci a 58 salvo consegnarci alla schiera dei Paesi senza più futuro.
Si è persa l'occasione di limitarsi a portare qualche correttivo alla cosiddetta legge Maroni, che, con le intuizione di Marco Biagi, riuscì a produrre una riforma all'altezza dei Paesi europei, così rispondente alle esigenze complessive da aver trovato larga parte del sindacato convinto e consenziente.