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Si riprende la discussione.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3178-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Barani.
LUCIO BARANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, ho fatto bene questa mattina a chiedere di parlare al termine della discussione, per rendermi conto delle diverse posizioni dei gruppi. Ho ascoltato i gruppi di minoranza, che hanno assunto posizioni uniformi, esprimendo un giudizio negativo su questo disegno di legge, ma ho avuto anche la fortuna di ascoltare con le mie orecchie, roba da non credere, i gruppi di maggioranza, che la pensano uno diversamente dall'altro: non vi sono due gruppi d'accordo fra loro. Eppure, sono otto o nove i gruppi di maggioranza intervenuti. Qualcuno invoca e implora il Governo e, in particolare, il Ministro Damiano, qui presente, a non porre la questione di fiducia. Forse, abbiamo svolto una discussione sulle linee generali su un testo che non sarà quello definitivo, perdendo tempo, come Parlamento. Forse, anche il lavoro svolto in Commissione, che si è impegnata molto, e il grande sforzo compiuto dal relatore Delbono saranno stati inutili, in quanto il testo che sarà votato in Aula sarà diverso da quello approvato dalla Commissione.
Dunque, la sinistra massimalista afferma che bisogna per forza approvare il testo che è stato approvato dalla Commissione, mentre altri gruppi, come l'Udeur, l'Italia dei Valori e La Rosa nel Pugno laPag. 83pensano diversamente. In particolare, La Rosa nel Pugno si è divisa in due, con i socialisti dello SDI che la pensano in un modo e i radicali che, con Mellano, la pensano in maniera diversa, affermando che bisogna ritornare al testo del Governo.
Vi è poi una grande protesta all'interno dei gruppi, poiché sarebbe stato invertito il processo democratico, ossia, invece di iniziare dalla via parlamentare, si è voluto iniziare con l'accordo con le parti sociali, peraltro non con tutte, ma solo con gli amici sindacati, CGIL CISL e UIL, tralasciando l'altro 50 per cento dei lavoratori italiani, che non hanno firmato - bisogna sottolinearlo ed è emerso - il Protocollo sul welfare.
Facendo riferimento al contenuto del disegno di legge in discussione, esso innanzitutto dispone, in luogo del più deciso aumento a sessanta anni dell'età anagrafica prevista per la pensione di anzianità, un innalzamento graduale a cinquantotto anni per i lavoratori dipendenti. Viene tralasciata l'equità con i lavoratori autonomi, visto che per essi, a parità di trentacinque anni di anzianità contributiva, è prevista un'età anagrafica superiore di un anno nel 2008, fino ad arrivare a sessantuno anni nel 2013.
Nel contempo, questo provvedimento rende flessibile l'accesso al pensionamento, subordinandolo al raggiungimento di quote determinate derivanti dalla somme dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, pari a 95 dal luglio 2009, fino ad arrivare al 97 nel 2013.
La maggiore gradualità dell'innalzamento dell'età necessaria per conseguire il diritto alla pensione di anzianità determina oneri ingenti, di circa 7 miliardi. Chi più chi meno ha parlato di 7 miliardi di euro nell'arco del decennio 2008 - 2017. Sono, inoltre, previste esenzioni da questi limiti per i lavoratori che svolgano attività usuranti, per la cui individuazione viene conferita una delega al Governo. Non sappiamo quali e quanti saranno, ma comunque la spesa si aggrava di circa 3 miliardi di euro. Il tutto avviene in controtendenza rispetto ai più importanti Paesi dell'Unione Europea.
Se è vero, com'è vero, che per la prima volta dal dopoguerra la spesa pubblica ha superato il 51 per cento del PIL - unico paese della zona euro - siamo, economicamente, sull'orlo di un baratro. Approvare il disegno di legge in esame, signor Ministro, così come ci viene presentato, significa compiere un grosso passo in avanti e quindi far cadere l'azienda Italia dentro questo baratro senza ritorno.
Dunque, non vi è più il patto generazionale tra generazioni diverse: le generazioni più giovani saranno costrette ad andare in pensione più tardi e ad avere pensioni dimezzate rispetto ad oggi. Non è possibile che, per evitare ai lavoratori attuali il sacrificio di rispettare la riforma Maroni, la legge Biagi e la legge Treu, che effettivamente hanno dato un segno di cambiamento, apportando un attivo dello 0,6 per cento, si accetti di scendere al meno 0,1, quindi invertendo effettivamente la tendenza, ma in senso negativo. Inoltre, il rinvio al 2010 dell'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione determina oneri aggiuntivi per il sistema pensionistico, rispetto a quelli derivanti dalla normativa vigente, che ne prevedeva l'applicazione dal 2005.
La riduzione da dieci a tre anni della cadenza stabilita per la revisione dei coefficienti è invece da apprezzare, in quanto riduce lo sfasamento temporale intercorrente tra il momento dell'innalzamento della speranza di vita e quello dell'adeguamento della rendita da circa quattordici anni a circa sette anni. Tale modifica non appare tuttavia sufficiente ad assicurare l'equilibrio tra prestazioni e contributi, che rischia di essere compromesso dal continuo innalzamento della speranza di vita, non adeguatamente e prontamente colto dai meccanismi attualmente previsti per la revisione dei coefficienti di trasformazione, sia per la scarsa tempestività, sia per l'inadeguatezza degli strumenti utilizzati.
Il provvedimento in esame non modifica i parametri attuariali utilizzati per la rivalutazione dei contributi e per la liquidazione della rendita previsti dalla riforma Dini (e Dini, poi, ci aspetta alPag. 84Senato della Repubblica, signor Ministro, non si smuove ed è determinante: nonostante poniate la fiducia in questo ramo del Parlamento, al Senato la fiducia non passerà), che costituiscono la principale causa del prevedibile squilibrio che, in prospettiva, si determinerà tra prestazioni e contributi.
Il parametro utilizzato per la rivalutazione dei versamenti contributivi, cioè l'aumento del prodotto interno lordo, ingloba anche l'aumento dell'occupazione, al quale in prospettiva corrisponderà un aumento dei pensionati.
Le nuove norme inserite nel provvedimento sottoposto alla nostra attenzione prevedono inoltre politiche attive, che favoriscano il raggiungimento di un tasso di sostituzione non inferiore, al netto della fiscalità, al 60 per cento. L'introduzione di tale limite minimo mina alla base il principio della corrispondenza tra contributi e prestazioni, introdotto con la riforma del 1995: la pensione dovrebbe infatti essere commisurata ai contributi versati, secondo una stretta equipollenza attuariale.
Il provvedimento in esame contiene altresì un insieme di misure dirette ad elevare le pensioni di importo più contenuto e a potenziare gli ammortizzatori sociali. Tali norme, nell'attuale contesto di difficoltà di gran parte delle famiglie, sono ovviamente da condividere.
Il finanziamento delle maggiori spese è affidato fondamentalmente ai risparmi connessi alla razionalizzazione del sistema degli enti di previdenza, da cui dovrebbero scaturire economie per 3,5 miliardi di euro nell'arco di un decennio. È inoltre prevista l'elevazione dell'aliquota contributiva riguardante i lavoratori iscritti all'assicurazione obbligatoria dello 0,09 per cento, a decorrere già dal 2011.
Inoltre vengono disposti, limitatamente alle pensioni di importo superiore a otto volte la pensione minima dell'INPS, vale a dire ai trattamenti che si aggirano intorno ai tremila euro, il mancato riconoscimento dell'adeguamento al costo della vita dovuto per il 2008 (intervento di dubbia costituzionalità, in quanto assimilabile ad una forma di tassazione che incide su una specifica categoria di redditieri) e, infine, l'ammortizzazione dei fondi speciali.
Da questi due interventi dovrebbero derivare risparmi per oltre 2 miliardi di euro. Nelle attuali condizioni della nostra economia sarebbe stato molto più utile utilizzare le risorse reperite per ritardare l'innalzamento dell'età di pensionamento per anzianità, per l'ammodernamento del sistema produttivo, per la ricerca, per lo sviluppo, nonché per un'azione più incisiva, rispetto a quella prevista nel provvedimento, sulla formazione del capitale umano. Si tratta di interventi indispensabili per rafforzare le prospettive di crescita, e da cui scaturirebbero riflessi positivi sui conti pubblici. Era questo quello che si doveva fare e che non si è fatto.
Oggi siamo al buio, e non sappiamo su quale testo verrà posta la fiducia: è certo che governare così non è sicuramente governare bene. Siamo sull'orlo, l'ho già detto, non fateci fare un grosso passo in avanti, perché il baratro ci impedirebbe di ritornare indietro.
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano.
CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cercare nelle mie brevi considerazioni di svolgere un ragionamento che sia attinente ai fatti. Non intendo rinunciare, come è logico, ad un'interpretazione di parte, ma cercherò sempre di considerare tutti gli argomenti. Credo, intanto, che non abbiamo assolutamente perso tempo in questa discussione, e del resto il Governo ha voluto essere presente fin dall'inizio. Personalmente ho apprezzato la qualità della discussione, i contributi e i diversi punti di vista che sono stati espressi. Tutto ciò dimostra che abbiamo svolto un lavoro utile.
Non vedo motivo di particolare sorpresa nel fatto che il Governo abbia annunciatoPag. 85 la possibilità di porre la fiducia. La discussione in corso ci consentirà di prendere le opportune decisioni, fermo restando che si è svolta la discussione su un testo sul quale il Governo si riserva delle valutazioni conclusive. Comunque la si metta, stiamo discutendo di un importante atto di Governo, forse tra quelli più importanti prodotti sul versante sociale e della competitività. A nessuno sfugge che tale provvedimento, quando verrà approvato, porterà al Paese nei prossimi dieci anni una distribuzione di risorse che si avvicina alla cifra di 40 miliardi di euro. Si tratta di risorse che andranno prevalentemente a vantaggio dello Stato sociale e della competitività, e che per la prima volta da quando esiste la concertazione in Italia, dal lontano 1983 con il primo Protocollo Scotti, non contiene alcuna logica di scambio. Vi è solamente una logica di redistribuzione a vantaggio dello Stato sociale. Ritengo che i fatti contino più di tante parole, e un fatto è che già nel mese di ottobre 3,5 milioni pensionati, ovvero coloro che avevano meno di 670 euro di pensione mensile, hanno ricevuto una quattordicesima.
Abbiamo guardato alla parte debole del reddito delle pensioni e abbiamo distribuito circa un miliardo di euro. A questa cifra, sotto il profilo sociale, si aggiunge un'altra cifra importante, una tantum, per i cosiddetti incapienti - parte dei quali sono gli stessi pensionati di reddito basso che hanno già ricevuto la citata quattordicesima - di 150 euro per la persona e per il numero delle persone a carico. Si tratta di un altro piccolo segnale, importante, di attenzione ad una parte debole: circa due milioni di questi pensionati avranno anche questo nuovo beneficio.
Quindi ritengo che, al di là di tutto, quello che conta, come sempre, siano i fatti. I fatti si producono e il Governo sta producendo fatti che pian piano, non senza difficoltà - non lo nascondo - l'opinione pubblica potrà apprezzare. Questo frutto, di cui stiamo discutendo oggi, è quello della concertazione che abbiamo fatto rinascere dalle sue ceneri, e ritengo che, diversamente da quanto ho sentito, noi abbiamo svolto una concertazione con tutti i soggetti sociali.
Noi non abbiamo guardato soltanto ad una parte, ovvero ai sindacati, come genericamente si dice (a parte il fatto che le organizzazioni sindacali sono plurali). Noi abbiamo guardato ai sindacati, quindi alle associazioni del lavoro, ma anche alle imprese e alle associazioni di impresa, agli artigiani, ai commercianti, alle cooperative e alle piccole e grandi imprese, sapendo che naturalmente le parti sociali hanno una libertà di scelta, e non tutte le parti hanno ritenuto di condividere questo Protocollo, ma la gran parte delle associazioni, di larga rappresentanza, hanno condiviso tale frutto della concertazione. Voglio anche aggiungere che non è un fatto secondario - va valorizzato e difeso - che più di cinque milioni di lavoratori e pensionati abbiano ratificato questo accordo, all'80 per cento, consolidando in questo modo un risultato utile al Paese, ai lavoratori e ai pensionati.
Consiglio - si tratta dell'orientamento che ho sempre tenuto, e che cercherò di tenere anche nelle prossime attività e iniziative del Governo - di abbassare i toni. Ho sentito infatti dei toni un po' esagerati nel corso di queste giornate a proposito dell'attuale discussione. Inviterei tutti - un po' è il mio modo di fare, e non pretendo che sia quello di tutti, ci mancherebbe - di passare dai simboli ai contenuti. In altre parole, guardiamo le cose per quello che sono. Capisco che in politica il valore dei simboli non vada trascurato e che ciascuno di noi ha le sue bandiere da sostenere, ma giunge poi il momento in cui dal simbolo si passa al contenuto, cioè si vede la realtà, altrimenti corriamo il rischio di essere un po' come dei bambini che al buio della notte vedono le cose più grandi di quanto al mattino esse non appaiano. Quindi, inviterei tutti a dimensionare effettivamente i problemi.
Non trovo utile una sterile contrapposizione tra il ruolo della concertazione e delle parti sociali e le prerogative del Parlamento e dell'XI Commissione. Mi sembra francamente un esercizio inutile,Pag. 86così come mi sembra inutile un richiamo improprio a un ritorno allo Stato corporativo, che non ci appartiene. Le parti sociali esercitano il loro ruolo, il Governo esercita il proprio ruolo, il Parlamento a sua volta ha un ruolo da esercitare, un ruolo che deve essere sanamente dialettico. Non mi preoccupo se alle volte sono messo in minoranza, e mi pare che ciò faccia parte delle regole del gioco. Abbiamo assistito anche in questo caso ad una sana dialettica che, senza stravolgere a mio avviso i contenuti del Protocollo, ne vuole applicare la sostanza, e al tempo stesso valorizzare assolutamente il ruolo esercitato dalle parti sociali e quello del Parlamento.
Vorrei che anche a tale proposito non dimenticassimo di cosa stiamo parlando: stiamo parlando di un disegno di legge complesso. Io sono un uomo pratico: cinquanta pagine di testo non sono cinque righe. Non stiamo parlando di un singolo comma o di un emendamento né di un codicillo.
Stiamo parlando di un argomento assai complesso, delicato e fatto di molti equilibri, altrimenti non si spiegherebbe come questo testo sia stato oggetto, da più di sei mesi (ormai ci avviciniamo all'anno), di un confronto forte, duro e a rischio di rottura tra Governo e parti sociali, nel tentativo di arrivare - come si è arrivati - ad una composizione molto importante.
Stiamo parlando di 32 articoli sostanzialmente condivisi in questo percorso parlamentare e di 600 emendamenti esaminati dalla Commissione lavoro. Se poi la discussione, oggi, verte su pochi quesiti - se le formule relative ai lavori usuranti costino o meno un euro in più; se sul contratto a termine si possa o meno apporre un termine alla proroga; se sia giusto o meno cancellare lo staff leasing; se sia giusto ripristinare in parte il job on call - ebbene, se di questo si tratta (e di questo si tratta), non mi pare che tutto ciò, in rapporto alla quantità e alla qualità delle questioni che abbiamo discusso, rappresenti di per sé lo scardinamento di un'azione estremamente complessa e profonda che riguarda temi importanti.
Infatti, abbiamo trattato temi che vanno dalla previdenza allo scalone (un'eredità pesante per questo Governo), ai lavori usuranti (un'altra eredità pesante che si trascinava da molte legislature e che, questa volta, può avere una definizione congrua), fino ai temi degli ammortizzatori sociali (una questione incompiuta anche rispetto al passato), degli incentivi alla contrattazione decentrata e dell'ampliamento delle tutele a vantaggio della parte più debole del mercato del lavoro.
Potrei continuare in una lunga enumerazione di contenuti che non sono semplicemente e casualmente accostati dal Governo, ma rappresentano il disegno organico e riformatore di un Governo che ha voluto tracciare un grande profilo sociale nella sua attività. E questo profilo sociale - credo che ciò vada detto con chiarezza - sta emergendo.
Questo non vuol dire che non vi siano stati, o non vi siano, contrasti o contraddizioni; del resto, a differenza di quanto è stato sostenuto in modo non formale, il Governo si è espresso negativamente su alcuni emendamenti: dal termine di otto mesi per quanto riguarda l'unica proroga, alla modifica relativa allo staff leasing e al job on call, perché il Governo preferiva mantenere il testo originario. Tuttavia - lo ripeto -, tutto ciò è riconducibile ad una logica di mantenimento di quegli elementi di dialettica che sono necessari.
Come sapete, in queste ore il Governo è impegnato a trovare un giusto punto di equilibrio e prosegue i suoi contatti con le forze politiche e le parti sociali, perché non solo vogliamo tenere la rotta e mantenere la sostanza di quel protocollo, che condividiamo profondamente, ma vogliamo trovare, attorno a tale rotta, la massima convergenza.
Per questo motivo, ritengo che il dibattito sia stato utile e che ci consentirà, nelle prossime ore, di prendere le opportune le decisioni: guai se fallissimo questo obiettivo! Del resto, l'azione del Governo si è mossa sempre con una logica molto precisa, quella di collegare tre termini: risanamento, sviluppo ed equità. Credo che ci siamo mossi in questa direzione.Pag. 87
Ora stiamo esaminando - e poi voglio rapidamente concludere - un protocollo, un accordo molto importante (quello del 23 luglio del 2007) del quale stiamo valutando il profilo sociale e il sostegno alla competitività. Tuttavia, vorrei che, ad un certo punto, non concepissimo questo protocollo come una sorta di azione a sé stante. No: l'azione del protocollo si inserisce in un contesto nel quale prima, durante e dopo il Governo ha manifestato la sua azione coerente - vorrei ricordarlo - a sostegno dello sviluppo del Paese e della competitività.
Nessuno dimentichi il significato di un'azione come quella della riduzione del cuneo fiscale, vale a dire uno sconto sul costo del lavoro a tempo indeterminato che vale, per il 2008, quando sarà a pieno regime, una cifra che si avvicina ai 5 miliardi di euro a vantaggio del sistema delle imprese, con il duplice obiettivo di sostenere la competitività attraverso una diminuzione del costo del lavoro e di diminuire il costo del lavoro del lavoro a tempo indeterminato, come applicazione di uno dei principali punti del programma dell'Unione, laddove si afferma - a ciò credo profondamente - che il lavoro a tempo indeterminato, come ci ricorda l'Unione europea, deve diventare la forma normale di impiego, senza per questo far venire meno la nostra attenzione alla buona flessibilità, di cui le aziende devono poter disporre nella globalizzazione e nel nuovo mercato della produzione e del lavoro.
Così come non possiamo dimenticare l'azione della precedente legge finanziaria sulle coperture per i lavoratori discontinui in termini sociali (la malattia o la maternità) o il fatto che questo protocollo intervenga fondamentalmente a difesa delle figure più deboli, a livello sociale, nel mercato del lavoro (i pensionati di basso reddito, i giovani del lavoro discontinuo, le donne che faticano a entrare nel mercato del lavoro, chi perde il lavoro dopo i cinquant'anni).
Si tratta, quindi, di un complesso di iniziative che si innestano in un'azione del Governo, ad esempio, che ha portato a compimento un programma molto importante: penso alla legge delega sul tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e alla lotta al lavoro nero, che sono la testimonianza di un operare efficace.
Sul lavoro nero, ricordo sempre che, grazie al pacchetto sicurezza, che ho voluto inserire nel pacchetto Bersani dell'agosto del 2006, con le norme che prevedono la sospensione dell'attività delle aziende nel settore dell'edilizia nelle quali si scopre più del 20 per cento dei lavoratori in nero, in 14 mesi abbiamo sospeso 2.800 aziende e, secondo i dati dell'INAIL, abbiamo portato a conoscenza dell'Istituto un numero di lavoratori dell'edilizia pari a 190 mila, come gli abitanti della città di Brescia.
Sono azioni importanti, che testimoniano coerenza: non si faccia l'errore di immaginare un'azione del Governo discontinua, disomogenea o disorganica sui temi sociali della protezione del lavoro e della lotta contro il lavoro nero e contro la precarietà.
Di analogo segno, oltre a quello del 23 luglio, vorrei ricordare altri importanti protocolli: il protocollo sull'agricoltura, che innova dopo trent'anni il mercato del lavoro agricolo, combattendo anche il lavoro fittizio e il lavoro nero in un settore estremamente delicato; le norme sul mercato del lavoro che riguardano il settore dell'editoria e del giornalismo (purtroppo, non siamo riusciti a far concludere il contratto in quel settore, ma mi auguro che di questo passo io possa portarlo a una soluzione in tempi brevi); le norme condivise con le parti sociali per quanto riguarda la lotta contro le cooperative spurie, e un'attività, anche in questo caso, di regolarizzazione in un campo assolutamente di alto valore produttivo e sociale, come quello della cooperazione.
Tutto ciò fa parte di un'azione generale del Governo: il protocollo è perfettamente inserito in essa. Il nostro obiettivo è quello di approvarlo integralmente entro i tempi della legge finanziaria. Sono convinto - come sempre sono ottimista - che questo obiettivo sia raggiungibile e sono anchePag. 88convinto che sapremo mantenere la rotta che abbiamo stabilito e la sostanza di questo protocollo. Infatti, questo Governo, nel proseguire la sua attività, avrà nuovi compiti da affrontare sotto il profilo sociale.
Quindi, con questo auspicio e con questa convinzione, ritengo che la discussione che abbiamo svolto oggi sia stata molto importante e che aiuterà sicuramente il Governo a prendere le sue decisioni.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.