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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3178-A)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.
È iscritto a parlare l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, per parlare del disegno di legge sul welfare giova ricordare, e dal nostro punto di vista anche denunciare, il cosiddetto referendum che si è tenuto nelle fabbriche con il quale sono stati chiamati al voto oltre ai lavoratori anche i pensionati. Tutto ciò va ricordato e denunciato perché i pensionati sono andati a votare in un numero infinitamente superiore rispetto ai lavoratori e si è chiesto loro di esprimersi pro o contro l'aumento di un euro al giorno della propria pensione. È ovvio che in presenza di una tale scelta qualunque pensionato avrebbe votato «sì». Diverso è il discorso per i lavoratori che sono stati chiamati a esprimersi su alcuni provvedimenti che l'attuale maggioranza in campagna elettorale aveva promesso di modificare radicalmente (cosa che non ha fatto).
Volendo analizzare i contenuti del disegno di legge sul welfare dobbiamo procedere per gradi. Prima però di cominciare ad analizzare la misura della dilazione dello «scalone» bisogna ricordare l'esigenza che era alla base della riforma Maroni. Si trattò, infatti, di una riforma divenuta inevitabile a causa della situazionePag. 42 di crisi in cui era giunto il sistema previdenziale precedentemente vigente.
Per capire questa situazione è utile ricordare storicamente che negli anni tra il 1956 e il 1970 sono state introdotte le cosiddette baby pensioni. Nel 1969 vi è stata l'introduzione delle pensioni sociali e negli anni Settanta si imposero le politiche di sicurezza sociale per il sud con cui furono spesi miliardi in pensioni di invalidità, spesso e volentieri false, con politiche clientelari che dissanguarono le casse dell'INPS. Tutti quanti, al riguardo, ricordiamo i casi eclatanti degli invalidi ciechi colti alla guida di un taxi piuttosto che di una vettura privata.
Nel 1992 vi è stata la riforma Amato, nel 1993 l'attuazione delle deleghe nella legge finanziaria del Governo Ciampi, nel 1995 la riforma Dini, nel 1997 la riforma Prodi e nel 2004 quella Maroni.
La riforma Maroni - giova ricordare - non intacca assolutamente l'impianto della riforma Dini, perché è quest'ultima che presenta alla base il patto tra generazioni che ha modificato radicalmente il vecchio sistema. La riforma Maroni apporta solo dei ritocchi e degli aggiustamenti alla legge n. 335, dell'8 agosto del 1995, persegue l'obiettivo di risparmio dello 0,7 per cento sul prodotto interno lordo e garantisce la sostenibilità finanziaria raggiungendo due finalità condivise e suggerite dall'Europa: la liberalizzazione dell'età pensionabile e lo sviluppo della previdenza complementare.
Quello che noi denunciamo è il rischio di uscire dal solco della sostenibilità. Il rischio reale è che non ci sarà mai la pensione per i giovani o che, comunque, le nuove generazioni non percepiranno mai una pensione come la concepiamo oggi. Tutto ciò è talmente vero che abbiamo appreso nelle audizioni in Commissione lavoro che, nel 2050, per ogni lavoratore vi sarà un pensionato. Si tratta di un aspetto che va contro ogni «legge di gravità» e non è sostenibile come sistema.
Riteniamo inoltre che la dilazione dello «scalone» in «scalini» non rappresenti un problema prioritario. Sarebbe stato forse meglio investire 10 miliardi di euro - a tanto ammonta la spesa - per appianare lo squilibrio della spesa sociale, ad esempio attraverso la flexsecurity (flessibilità e sicurezza).
Lo stesso dottor Sassi, presidente dell'INPS, durante un'audizione in XI Commissione ha affermato testualmente: «Abbiamo una preoccupazione, quella della tenuta dei conti e della sostenibilità del sistema nel medio e lungo periodo. È indubbio che un disegno di legge che di fatto aumenta dello 0,1 per cento il tendenziale della spesa pensionistica, a fronte della normativa precedente che portava ad una diminuzione del tendenziale dello 0,6 per cento sul PIL della spesa pensionistica, abbia richiesto la nostra attenzione».
Insomma, mettete a rischio le pensioni dei giovani, tra l'altro, per andare incontro «esclusivamente» a 120 mila lavoratori rispetto ai milioni di lavoratori del nostro Paese.
Le cosiddette teste pensanti della sinistra sanno benissimo, come ha anche sottolineato il professor Ichino sul Corriere della sera con un articolo di fondo, che sarebbe stato comunque necessario conseguire l'obiettivo della Maroni. Infatti, l'accordo fra Governo e sindacati prevede l'identico risultato della riforma Maroni. Allora la domanda è ovvia: perché non avete riconosciuto, a suo tempo, al Ministro Maroni che stava andando nella direzione giusta?
Ringrazio il sottosegretario Montagnino per la sua disponibilità in XI Commissione ma, ascoltando il suo intervento di questa mattina, mi permetto di farle notare che è troppo facile chiedere la condivisione di questo disegno di legge dopo aver supportato sette scioperi generali a fronte delle riforme che stavamo realizzando e che, evidentemente, condividete alla base.
Ora usate miliardi di euro, spesi per un vostro errore politico contro il passato Governo, invece di usarli per politiche di sinistra, come ad esempio quelle che consistono nell'aiutare i salari più bassi, o gli anziani, oppure per il prepensionamento dei genitori di portatori di handicap (in XI Commissione ne sappiamo qualcosa, considerato che abbiamo dei progetti di leggePag. 43depositati, per i quali tuttavia manca sempre la copertura finanziaria), oppure per le infrastrutture.
Vi è poi il dato degli aumenti certi delle contribuzioni senza una riduzione certa dei costi degli enti previdenziali. La Lega Nord è tassativamente contraria all'aumento ulteriore della pressione fiscale, perché voi ragionate secondo il paradigma «più spese, più tasse», mentre noi siamo per il «meno Stato, meno spese, quindi meno tasse».
Ci inquieta altresì la clausola di salvaguardia, perché se non vi saranno risparmi dall'unificazione degli enti previdenziali (3,5 miliardi di euro, una bella «cifretta» che corrisponde a circa 7 mila miliardi delle vecchie lire), vi sarà un altro aumento contributivo generalizzato. Non possiamo essere d'accordo su tale aspetto e registriamo, tra l'altro, che quanto avete scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, presentato la scorsa estate, è carta straccia.
Non si scioglie poi il nodo della disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e quelli autonomi, penalizzando il lavoro autonomo, aspetto che solleva forti dubbi di costituzionalità.
Vi è poi il tema degli «usuranti», perché nell'Accordo del 23 luglio scorso vi sono risorse per cinquemila «usuranti» all'anno, ma la definizione di «usurante» per un certo tipo di lavoro crea diritti soggettivi in capo alle persone, che comportano il rischio dello sforamento, e a tal proposito mi chiedo come sia possibile risolvere l'eventuale problema della copertura finanziaria. In merito non abbiamo ricevuto risposte. Tale problema è stato denunciato da molte organizzazioni audite in Commissione.
Inoltre, vogliamo denunciare che il tema dei lavori usuranti non può mai riguardare i lavoratori autonomi. In altre parole a fronte di un lavoro, per esempio quello del camionista, considerato usurante, la definizione di lavoro usurante dipende dal fatto che il lavoratore possieda o meno la partita IVA. Quindi, di fronte a due camionisti con gli stessi orari di lavoro, alla guida dello stesso mezzo, i quali insomma fanno esattamente lo stesso lavoro, quello con partita IVA pagherà più contributi, andrà in pensione più tardi, e il suo lavoro non potrà mai definirsi usurante al contrario di chi invece non ha la partita IVA.
Per quanto riguarda la legge Biagi, ricordo che, solo un anno fa, essa era chiamata legge n. 30, con un certo disprezzo, da parte della vostra maggioranza, e si trattava di una legge da cancellare. Nel vostro programma si trova, infatti, scritto che si tratta di una legge da superare, come primo ostacolo da abbattere sulla via della nuova politica del lavoro. Invece, la legge Biagi rimane, come rimane lo «scalone», che viene solo dilazionato, ma tutto ciò ha dovuto attraversare sette scioperi generali.
Ricordo altresì che, per la prima volta nella storia, i sindacati CGIL, CISL e UIL si sono recati dal Presidente della Repubblica per fermare questi provvedimenti e queste riforme che ora voi mantenete, e che Cofferati disse «no» al libro bianco sul lavoro ancora prima di averlo letto (per sua stessa ammissione).
La domanda è scontata: quando CGIL, CISL e UIL sciopereranno almeno una volta contro il Governo Prodi, visto che rimangono sia la legge Biagi sia l'innalzamento dell'età pensionabile? Crediamo che la legge Biagi debba essere completata, non abrogata, tante sono le forme contrattuali che restano inapplicate e che non vanno diminuite, ma vanno rafforzate e applicate per offrire più opportunità.
Manca la riforma degli ammortizzatori sociali. Durante il Governo Berlusconi sono mancati i soldi richiesti dal sindacato. Era un periodo di vacche magre o magrissime: le richieste erano alte e non siamo riusciti a realizzarla. Ora questi soldi, però, vi sarebbero, perché il ciclo dell'economia è positivo, ma preferite sperperare questi fondi per errate scelte politiche e rischiate di gettare alle ortiche il ciclo positivo dell'economia per tornare indietro sulle politiche del welfare.
L'indagine conoscitiva presso la Commissione lavoro ha ampiamente dimostrato che la legge Biagi, finalizzata a darePag. 44più opportunità - con tanto di record storico degli occupati registrato nel nostro Paese - è una buona legge.
Tutti i dati in XI Commissione lo hanno testimoniato, ricordando tra l'altro che la legge Biagi nasce dall'esperienza positiva che hanno avuto altri Paesi europei. Marco Biagi ha compiuto una rivoluzione, perché i temi del lavoro sono da sempre dominio culturale di una concezione conflittuale e antagonista della società e dei rapporti di produzione. Il professor Biagi è riuscito nell'impresa di riprogettare il diritto del lavoro e le politiche sociali non come strumento di parte in una lotta di classe senza fine, ma come risposta pragmatica al fine di conciliare i valori della giustizia sociale e della solidarietà con il progresso e la competizione.
Per la prima volta è stata approvata una legge sul lavoro, non solo per la persona che lavora, ma anche per chi non lavora, per chi cerca un lavoro e per chi non ha opportunità di lavoro. Nella legge Biagi è presente il concetto di sussidiarietà che richiede di togliersi i «paraocchi» ideologici e calarsi nella realtà. Vale a dire che un soggetto pubblico interviene solo quando i privati e le comunità non possono o non sono in grado di svolgere una certa attività secondo determinati standard qualitativi e quantitativi.
Se non bastasse, l'Europa ci ricorda che il lavoro intermittente è parte integrante del mercato dei lavori europei. Nel libro verde dell'Unione europea è scritto testualmente: «le sfide future passano attraverso una progressiva modernizzazione del mercato del lavoro e non attraverso interventi legislativi che, portandoci indietro di decenni, irrigidiscono e paralizzano il mercato del lavoro», ma tutto ciò viene smentito dalle vostre intenzioni nel disegno di legge al nostro esame.
Che cosa avete intenzione di fare con questo disegno di legge? Volete la cancellazione dello staff leasing, quando anche Bonanni si è detto assolutamente contrario? La soppressione parziale del job on call? Allora puntate ad un gioco al ribasso sulla legge Biagi che dimostra la scarsa conoscenza da parte vostra della realtà lavorativa del nostro Paese. Non avete evidentemente mai guardato a quelli che vengono chiamati i picchi o i cicli stagionali, ad esempio, nei locali estivi che assumono solo in certi mesi dell'anno, o come nel caso dei bagnini, che lavorano solo in estate. Secondo voi, se andate a gennaio o a dicembre in una spiaggia sulle Marche, dovete trovare il bagnino che lavora perché per caso passa da lì uno della maggioranza di Governo? Non funziona così! È contro ogni logica di mercato ma, ancor prima, è contro ogni buon senso.
Senza il lavoro a chiamata penalizzate turismo e servizi e ciò che anche voi sapete, ma non volete ammettere per errori politici della passata legislatura contro il Governo Berlusconi, è che così facendo favorite il sommerso e, dunque, il lavoro nero.
La flessibilità non va normata, compito che va affidato all'autonomia delle parti sociali che hanno diritto e dovere di regolare al meglio i rapporti di lavoro. Il nostro è il Paese con i tassi di occupazione regolare per donne e giovani tra i più bassi d'Europa e voi giocate al ribasso sugli ottimi effetti della legge Biagi.
Vorrei fare un ultimo appunto, per capire l'approccio ideologico che travolge anche i lavoratori e punta a far penetrare i vostri sindacati nel nord. Tra i vari emendamenti, ve ne è stato uno sul rinnovo del contratto di lavoro: avete imposto che il lavoratore non potesse farsi rappresentare, nella contrattazione, da un avvocato, un consulente del lavoro o un proprio parente (se esperto di tematiche del lavoro), ma solo da CGIL, CISL e UIL, che - ricordiamo - non arrivano al 20 per cento della rappresentanza dei lavoratori del Paese. Avete rifiutato persino di concedere tale rappresentanza a sindacati diversi - minori o locali - e avete imposto che il lavoratore potesse avvalersi esclusivamente di quelli su piano nazionale (così testualmente è scritto) e quindi sempre e soltanto CGIL, CISL e UIL.
È questo, evidentemente, il vero motivo dei sette scioperi generali contro il precedente Governo, ed anche se ora non cambiatePag. 45 la sostanza e mantenete le ottime riforme da esso varate, stranamente non vi è, da parte di quei sindacati, neanche un picchetto contro il Governo Prodi che, nella sostanza, mantiene le riforme del Governo precedente.
Concludo ricordando che la precarietà - per i pochi casi in cui modificate l'odiatissima legge Biagi - non esisterà più perché, semplicemente, i tanti lavoratori non avranno un lavoro o, se l'avranno, sarà nel sommerso e in nero, senza opportunità, e la responsabilità sarà esclusivamente vostra (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, colleghi, Ministro e sottosegretario, nella parte antimeridiana della seduta per La Rosa nel Pugno è già intervenuto il collega Lanfranco Turci, membro della Commissione lavoro, che ha affrontato la discussione di merito del provvedimento.
Io ho avuto l'opportunità di affiancare il collega Turci nei lavori di Commissione, per rappresentare anche più direttamente le istanze e le sensibilità dei deputati radicali de La Rosa nel Pugno. Noi abbiamo presentato in Commissione un nostro pacchetto di emendamenti che è stato, in linea di massima, bellamente bocciato (in alcuni casi, con zero voti al suo attivo).
In questa sede, devo rappresentare quella che è una nostra posizione convinta - come direzione dei radicali italiani, come attività di Governo del Ministro Emma Bonino e come partito - e che consiste in una difesa del testo del Protocollo redatto il 23 luglio e della sua traduzione in disegno di legge. Siamo, infatti, veramente convinti che il testo giunto al nostro esame (con una straordinaria mediazione ed una straordinaria attività di consultazione a livello territoriale, locale e nazionale, delle parti sociali) sia un compromesso utile per tenere assieme sia le diverse istanze e sensibilità della maggioranza di centrosinistra, sia i diversi interessi della società, nonché utile proprio per il lavoro svolto e il risultato ottenuto.
Per questo motivo, come radicali, abbiamo espresso una grave preoccupazione e amarezza per i risultati che, poi, sono stati raggiunti dalla Commissione lavoro. Quest'ultima, infatti, in alcuni casi, ha recepito le istanze di una sinistra conservatrice, la quale ha fatto di questa battaglia, una battaglia simbolica. All'una e mezza di notte, un membro della Commissione è «sbottato» su un emendamento: in ciò vi è tutto il simbolismo di una battaglia. Pertanto, invitiamo i colleghi della sinistra a superare questo simbolismo e, soprattutto, invitiamo il Governo a non essere soggetto al ricatto di un simbolismo veterocomunista, che si lega ad alcune bandiere, indipendentemente dalla realtà e dalla ragionevolezza della realtà stessa.
Abbiamo ascoltato, in Commissione, discussioni e dichiarazioni di principio legate, appunto, ai contratti che, di norma, devono essere a tempo indeterminato. Abbiamo visto recepita la centralità dei servizi pubblici all'impiego, indipendentemente dal fatto che tutte le analisi ci dicono che i servizi pubblici all'impiego, in Italia, svolgono attività di intermediazione appena per il 4 per cento dei cittadini che trovano lavoro nel nostro Paese.
Si è svolta una discussione sul 60 per cento dell'ultimo stipendio che dev'essere la base minima delle pensioni nel nostro Paese, discussione ambigua perché il testo, come è stato scritto, è una mera dichiarazione di principio, mentre si è tentata una lettura per molti versi legata a una testualità di impegno che non corrisponde ad esso; e poi sulla rappresentanza sindacale obbligatoria per la «triplice» anche delle contrattazioni locali. Si sono inoltre verificati fatti che ci hanno resi davvero insoddisfatti del lavoro svolto: l'abolizione dello staff leasing, che non era previsto, che non era concordato, che non era nel Protocollo e che aveva come giustificazione forte - pensate - il fatto che persino la Confindustria è favorevole al superamento di tale strumento, perché poco attuato, poco utilizzato. La nostra battaglia,Pag. 46 della sinistra, doveva essere non l'abolizione, ma la richiesta di attuazione fino in fondo anche di tale strumento, perché esso è - sarebbe, sarebbe stato - il mezzo per far uscire dal nero, dall'illegalità moltissimi contatti. Certo, come ho già detto, anche la Confindustria non era così favorevole ad esso, perché lo staff leasing, il contratto a somministrazione è più costoso, perché garantisce di più i lavoratori, perché prevede l'assunzione diretta e a tempo indeterminato dei lavoratori dalle agenzie che avrebbero poi fornito il servizio.
Vi è stata una discussione paradossale sull'abolizione del lavoro a chiamata. Noi abbiamo condiviso il lavoro che il Governo ha svolto, e che poi la Commissione ha recepito con un voto a maggioranza, per la reintroduzione di alcuni aspetti del lavoro a chiamata, per i settori che più necessariamente fanno uso di tale contratto - turismo, spettacolo, ristorazione - ma siamo convinti che la sua abolizione sia comunque un errore, una sconfitta rispetto ad una possibilità di apertura del mercato del lavoro che dimostri attenzione concreta rispetto al cittadino, al cittadino-lavoratore, al cittadino disoccupato, e non un'attenzione ideologica rispetto al mercato del lavoro.
Si è poi assistito ad un lavorio di emendamenti ed emendamentini sulla regolamentazione del lavoro a termine, che è stato pesantemente modificato rispetto all'impostazione del Protocollo del 23 luglio: il conteggio dei 36 mesi e, soprattutto, la limitazione a 8 mesi per l'eventuale contratto successivo ai 36 mesi maturati, sono un forte limite all'utilizzo di tale contratto, che permette anch'esso di far emergere molte situazioni dal nero, dalla clandestinità, dall'irregolarità. Inoltre, si è tenuta un'altra discussione molto campata in aria e poco legata ai numeri, quella dell'individuazione della platea dei cittadini lavoratori che avranno diritto di chiedere il prepensionamento in forza di un lavoro usurante espletato nel corso della propria carriera lavorativa. Sappiamo che il compromesso raggiunto nel luglio scorso prevedeva una soglia in denaro, stabilita in 2,5 miliardi di euro, per delimitare una platea, che non può certo essere definita «nero su bianco», in base a numeri, di persone che potranno chiedere il prepensionamento. Vi è stato uno sforamento che attualmente è quantificato in circa 3 miliardi di euro, ma non sappiamo ancora quanto incideranno gli emendamenti approvati nel corso del lavoro notturno di Commissione. Questo aspetto ci preoccupa molto, per via dell'impatto economico-finanziario del provvedimento in esame, che già ha costi altissimi a causa del superamento della legge Maroni e che, nel tenere insieme esigenze diverse, ha scelto di impiegare una consistente disponibilità di denaro per garantire alcune conquiste, per garantire alcune soluzioni condivise.
Noi chiediamo al Governo - e al Ministro presente oggi in aula - di avere la forza di tenere ferma la barra sull'accordo raggiunto e di non cedere al ricatto che in alcuni casi è stato davvero palese, plateale, plastico (un ricatto ideologico e di conservazione di una realtà non legata alla ragionevolezza e alla concretezza dei dati che anche in Commissione sono stati illustrati e che costituiscono un patrimonio condiviso). In merito a ciò, chiediamo al Governo uno sforzo di attenzione tale da garantirci di poter votare la fiducia su un testo che sia il più vicino possibile a quello realizzato con l'Accordo del luglio scorso e ad alcune modifiche largamente condivise; ciò non per svalutare il ruolo del Parlamento e della Commissione - che, invece, occorre valorizzare - bensì proprio per evitare al nostro Governo di ripercorrere gli errori del precedente Governo Prodi, di essere cioè ricattato e ricattabile da una parte politica che ha perso nel confronto sociale e che ha sostanzialmente ripercorso, in Aula e nei lavori in Commissione, una strada, ripeto, di recupero simbolico non legato alla concretezza del problema, né alla ragionevolezza del quadro istituzionale e politico. Per tali ragioni, restiamo in attesa di capire su quale testo potremo dare - rinnovare - la nostra fiducia al Governo, sapendo che stiamo ragionando di un tema delicatissimo edPag. 47importantissimo, che è all'attenzione di tutti, ma anche, alla nostra concreta e puntuale riflessione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Amoruso. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MARIA AMORUSO. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nella scorsa legislatura l'approvazione, da parte del precedente Governo, di due riforme importantissime - quella delle pensioni e quella del mercato del lavoro - non fu il frutto di una velleità ideologica, bensì il risultato dell'analisi attenta delle condizioni di un sistema previdenziale che ormai non aveva più in sé la forza della sostenibilità, dovuta anche al dato, molto positivo, dell'innalzamento della vita media. D'altro canto, vi erano anche le sollecitazioni che da parte dell'Europa venivano rivolte all'Italia per adeguare il proprio sistema pensionistico alla realtà del Paese.
Così fu anche per la legge sul lavoro, la cosiddetta legge Biagi, che andò proprio nella direzione di ridare dignità al lavoro temporaneo, di combattere realmente le forme di precariato che erano state inventate (basti ricordare, per tutte, quella relativa ai cosiddetti lavoratori socialmente utili) e di far sì che il lavoro nero potesse emergere, garantendo una maggiore e migliore occupazione. Questo fu il lavoro fatto, che in campagna elettorale le forze componenti l'attuale Governo - proprio a causa della deriva ideologica alla quale abbiamo fatto riferimento - affermavano e scrivevano che sarebbe stato necessario eliminare. Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad un provvedimento contraddittorio che, nel suo complesso, rappresenta l'incapacità reale di superare le due predette riforme, ma che per soddisfare esigenze e spinte di natura ideologica, alla fine produce cambiamenti di carattere specifico che non incidono a fondo sui provvedimenti vigenti. Con riferimento, ad esempio, alla riforma pensionistica si passa dallo scalone agli scalini, mentre per quanto riguarda la riforma del lavoro si prevede solo l'eliminazione di alcune forme particolari, su cui ci soffermeremo tra poco.
Il Protocollo sul welfare, quindi, è un testo contraddittorio in cui per accontentare la sinistra radicale, da cui dipendono le sorti del Governo, si mischiano tendenze involutive e antiriformiste - si ricordi il macchinoso sistema degli scalini che sostituisce il cosiddetto scalone della riforma Maroni - a progetti pieni di retorica, ma di scarsa utilità sul piano concreto (si consideri, in proposito, quanto si dispone in merito al riordino degli enti di previdenza pubblica). Inoltre, si assiste ad un ritorno a forme di forte assistenzialismo come, ad esempio, l'estensione dell'indennità di disoccupazione nel settore agricolo, che costerà ben 451 milioni di euro nell'arco dei prossimi tre anni. Una soluzione, questa, che ritarda l'avvio di una riforma del sistema delle misure di contrasto alla disoccupazione in agricoltura, anche alla luce di tutti i fenomeni che stanno emergendo negli ultimi anni, tra cui le truffe ai danni dell'INPS, con misure ideologiche, tra cui l'abrogazione del lavoro a chiamata e dello staff leasing, che contrastano con la doverosa lotta al lavoro sommerso, che invece l'eliminazione di tali forme reintroduce pesantemente nel nostro sistema.
Il Protocollo rappresenta, quindi, un peso insopportabile per la finanza pubblica perché nella legge finanziaria si prevede, in favore della sua attuazione, l'istituzione di un apposito Fondo pari a 9 miliardi di euro per il periodo 2008-2010 e a 1,9 miliardi annui a decorrere dal 2012. Inoltre, si deve sottolineare come nell'articolo 27, in ordine al triennio 2008-2010, viene recuperata una cifra pari a circa un miliardo di euro tramite un aggravio della contribuzione a carico degli iscritti alla gestione separata dell'INPS e tale fatto comporterà non solo un onere maggiore per i lavoratori, ma anche - e soprattutto - un aggravio del costo del lavoro per le imprese. Tale disposizione infligge un duro colpo alla competitività che il nostro sistema Paese deve possedere e che dovrebbe acquisire tramite una politica che mira alla riduzione del costo delPag. 48lavoro. La predetta circostanza ha portato il vicepresidente di Confindustria a dichiarare, in un'intervista apparsa sui giornali, che il provvedimento in esame aiuta e favorisce maggiormente la delocalizzazione delle produzioni, piuttosto che l'incentivazione della competitività del nostro Paese.
Tali aspetti sono anche il frutto di divisioni e di contrasti interni alla stessa maggioranza di Governo. Basta leggere gli articoli apparsi sulla stampa degli ultimi giorni. Nessuno è soddisfatto del testo seguito all'esame in Commissione: i sindacati si lamentano, Confindustria deplora quanto stabilito in ordine ai contratti a termine e la stessa sinistra denuncia l'emendamento con cui si è reintrodotto il cosiddetto job on call in ordine ad alcuni aspetti particolari dei lavori in settori quali il turismo e lo spettacolo, dove era del tutto impensabile eliminare una simile forma di contratto. Chiaramente, siamo dinanzi ad una serie di contraddizioni che pesano notevolmente sul provvedimento in esame e che non gli forniscono la dovuta chiarezza di cui si avverte, invece, la necessità. I motivi di insoddisfazione in ordine a questo provvedimento sono dunque numerosi e il mio gruppo, Alleanza Nazionale, esprimerà voto contrario su di esso.
Concentriamo ora la nostra attenzione su alcuni aspetti particolari cui ho accennato in questa breve introduzione e che sono il segno del modo in cui si è operato nel provvedimento in esame. Uno degli aspetti importanti è l'abrogazione del cosiddetto scalone e l'introduzione degli scalini. Si tratta di una misura demagogica, perché si procede in una direzione opposta alla realtà di un Paese, il nostro, che possiede ormai un'aspettativa di vita pari ad 82 anni per gli uomini e, per fortuna, di ben 86 anni per le donne e che paventa i propri conti pensionistici a rischio di passività. Si è discusso anche di tale aspetto in Commissione lavoro.
Il rischio (anche di questo aspetto si è discusso in Commissione) non è rappresentato dal fatto che i giovani devono pagare oggi per quanto percepiranno domani, ma dal fatto che si faccia pagare loro per qualcosa che domani non potranno percepire. L'introduzione degli scalini è inutile. Che senso ha abolire l'innalzamento immediato ed introdurre avanzamenti progressivi di età che arriveranno addirittura a superare la previsione della riforma Maroni, ossia ben 62 anni? Si tratta di una misura dannosa per i conti pubblici, perché in tal modo si aumenta, come già sostenuto dallo stesso presidente dell'INPS in un'audizione svolta in Commissione, la spesa tendenziale pensionistica dello 0,1 per cento, mentre con il cosiddetto scalone Maroni si sarebbe avuta una diminuzione immediata dello 0,6 per cento. In termini concreti si tratta di un danno gravissimo perché, come ha calcolato un noto studioso quale Giuliano Cazzola, l'abolizione dello scalone non costerà i 10 miliardi di euro previsti dal Governo, ma più di 20 miliardi di euro.
Davvero non si capisce, al di là del confronto politico, la ratio del provvedimento in esame, solo poche settimane prima della prevista entrata in vigore, con la riforma Maroni, di un sistema che, al contrario, sarebbe stato estremamente razionale e vantaggioso sul piano dei costi tramite misure di abolizione della complicata fascia flessibile tra 57 e 65 anni della precedente riforma Dini come primo momento possibile per andare in pensione; fissazione a 60 anni per le donne e a 65 per uomini, con il requisito di 35 anni di periodo contributivo minimo; introduzione dei cosiddetti incentivi per chi avesse voluto posticipare il momento del pensionamento, nonostante il raggiungimento dei requisiti di età e di minimo contributivo.
Oltre a ciò, vi è poi un problema di aleatorietà introdotto dalla misura sui lavori usuranti. Non si capisce come la delega che impegna il Governo a trovare l'accordo con le parti sociali e che elimina (come è avvenuto in Commissione) il riferimento alle ottanta notti per la definizione dei lavori usuranti, possa convivere con le coperture presentate dal Governo per garantire i maggiori oneri che nel prossimo decennio deriveranno dalla definizione dei lavori usuranti (due miliardiPag. 49e mezzo di euro). Tali coperture, infatti, non sono fissate in base ad un numero massimo di lavoratori impiegati in attività usuranti, bensì in base ad un impegno di spesa. Insomma, lo scenario è del tutto incerto. Infatti, quando avremo lavoratori che saranno dichiarati usurati da sentenze del tribunale, nel momento in cui la spesa sarà esaurita, voglio vedere come, chi si troverà a gestire la cosa pubblica, dovrà fare per soddisfare tali giuste e legittime richieste. Nella stessa Commissione lavoro, l'8 novembre scorso, le predette situazioni di difficoltà furono sottolineate dallo stesso sottosegretario per il lavoro.
Vi è inoltre, il problema dei coefficienti di trasformazione. Il precedente Governo è stato accusato di non avere applicato ciò che prevedeva la riforma Dini del 2005, ossia la revisione dei coefficienti. Ebbene, qual è la soluzione adottata nel provvedimento in esame? Al di là della loro identificazione, i coefficienti di trasformazione vengono rinviati al 2010 e, nel frattempo, viene istituita una commissione che entro il 31 dicembre del 2008 dovrà presentare le valutazioni sulle modifiche dei criteri di calcolo dei coefficienti. Viene messo in discussione anche uno dei fondamenti stessi della legge Dini di riforma delle pensioni: la sostituzione del sistema retributivo con quello contributivo. Nel momento in cui viene fissato il limite minimo di grado di copertura (cioè il rapporto tra trattamento pensionistico e salario) è chiaro che si incide fortemente sul concetto del sistema contributivo, che prevede che le pensioni siano in funzione di quanto versa ognuno.
Non riusciamo, quindi, a capire quale sia la ratio di questo provvedimento se non questa confusa affabulazione di situazioni in funzione più ideologica che concreta.
Vi è, poi, un altro enigma: quello del riordino degli enti. Il Governo vuole unificare gli enti previdenziali pubblici, creando un grande polo previdenziale ed un polo assistenziale con un risparmio, previsto, di 3 miliardi e mezzo di euro. La CGIL, in Commissione, ha addirittura sostenuto che buona parte delle risorse necessarie all'ammorbidimento dello scalone (cioè all'introduzione di quegli scalini per i quali il Governo prevede una spesa di 10 miliardi di euro, ma che noi riteniamo sarà superiore ai 20) addirittura deve essere recuperata proprio attraverso un riordino degli enti di previdenza.
Riteniamo che questa sia solamente demagogia: un riordino degli enti, così come previsto, non porterà ad alcun tipo di risparmio. Ce lo hanno detto gli stessi presidenti nelle audizioni che abbiamo svolto ed è risultato dagli studi della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale: il problema non è quello di unificare gli enti, ma di razionalizzare il funzionamento degli stessi.
Già in passato abbiamo più volte sottoposto all'attenzione del Parlamento la reale necessità di riformare gli enti sotto il profilo della loro struttura interna. Non è possibile che oggi esistano enti gestiti da cinque organi previsti in maniera autonoma: un presidente, un consiglio di amministrazione, un direttore generale, i revisori dei conti ed il Civ (che, al suo interno, ha anche un presidente che lavora e funziona in maniera autonoma).
Questo è uno dei fattori reali sul quale bisogna intervenire, così come bisogna intervenire sul numero esagerato di comitati che comportano spese per milioni e milioni di euro in termini di bilancio, ad esempio dell'INPS, per quanto riguarda la loro organizzazione ed il loro sostentamento.
Si deve tentare di risolvere le forme di gestione collegate tra i vari enti - questo sì - anche nella realtà delle loro sedi, ma da qui a dire che dall'unificazione si possa realizzare un risparmio reale di tre miliardi e mezzo di euro ce ne vuole.
Allora, occorre domandarsi quali siano realmente i risparmi che si possono avere e quanto questo riordino costerà, invece, in termini reali di efficienza e di servizi a carico dei cittadini.
Le peculiarità di IPSEMA, ENPALS, IPOST si disperderanno in un nuovo «megaente», mentre INPS, INPDAP e INAIL - che già oggi fanno fatica a seguire iPag. 50loro milioni di assistiti - si troveranno alle prese con un processo lungo nel tempo e dispendioso, in termini economici, per integrare, ad esempio, i loro complessi sistemi informatici e creare le giuste sinergie.
Il presidente dell'INPS - come dicevo prima - nell'audizione in Commissione lavoro ha spiegato i motivi della perplessità del maggiore ente previdenziale italiano sul riordino: le difficoltà nell'unire le due mastodontiche banche dati, i costi connessi all'unificazione delle sedi (anche alla luce del fatto che alcune dismissioni mobiliari hanno riguardato gli enti strumentali di questi enti) ed il fatto che un accorpamento a valle non serve, considerato che, in un ente unificato in questo modo, i dipendenti dei due enti continueranno a svolgere il lavoro di prima. Le stesse perplessità sono state ribadite anche da organismi neutri come la Ragioneria generale dello Stato.
Accanto a questi problemi collegati alla previdenza vi sono anche quelli collegati alla riforma della cosiddetta legge sul lavoro.
Si voleva abrogare la legge Biagi, ma si è solo stati capaci di eliminare il lavoro a chiamata e lo staff leasing, due iniziative che certamente non vanno nella direzione giusta.
L'abrogazione del job on call è davvero incomprensibile. Chiunque preferisce un lavoro dipendente stabile a un lavoro intermittente, ma la realtà del mercato del lavoro è questa; basti pensare che nel periodo 2000-2005 l'occupazione a termine è aumentata di 95 mila unità e che addirittura, solo tra il primo semestre 2005 e il primo semestre 2006, l'aumento è stato di 188 mila unità.
Vorrei ricordare anche il risultato di una missione che la Commissione lavoro ha svolto in un Paese, tra l'altro guidato dal centrosinistra, come la Spagna, dove oggi il lavoro a intermittenza ha una percentuale del 34,4 per cento, di molto superiore alla quota dell'Italia. Si tratta di una forma di lavoro naturale nei sistemi moderni; il problema è che vanno indubbiamente perseguite politiche di trasformazione di questo tipo di contratto verso il lavoro a tempo indeterminato. Nonostante ciò, il lavoro a tempo determinato - attraverso la legge Biagi che ha eliminato forme di sfruttamento che erano tipiche...
PRESIDENTE. Onorevole Amoruso, la invito a concludere.
FRANCESCO MARIA AMORUSO. ...di certe forme di precariato - è servito essenzialmente a fare emergere la realtà del lavoro nero.
Arrivo alla conclusione, signor Presidente. Un altro aspetto da considerare è stato quello relativo alle proroghe dei contratti a termine che ha fatto, questo sì, «inviperire» alcuni settori di Confindustria che hanno gridato al tradimento e al fallimento del sistema della concertazione, nel momento in cui in Commissione è stato stravolto il testo del Protocollo. Al di là di tutto, con queste brevi considerazioni non possiamo che sottolineare come questo provvedimento sia raffazzonato e non vada certamente nella direzione della salvaguardia dei conti pubblici. Ma la cosa peggiore, signor Presidente, è che questo provvedimento non presenta, per quanto ci riguarda, una seria copertura finanziaria, il che comporta gravi rischi per le casse dello Stato e per i lavoratori che saranno costretti a tornare a lavorare in nero.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pegolo, a titolo personale. Ne ha facoltà, per cinque minuti.
GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il Protocollo del welfare rappresenta uno degli atti più significativi e, al tempo stesso, più discutibili del Governo. Vi sono certamente aspetti positivi, come l'aumento delle pensioni basse, il miglioramento del sistema di rivalutazione delle pensioni, le norme sulla totalizzazione dei contributi, il riscatto della laurea, alcuni interventi sugli ammortizzatori sociali. Tuttavia, questi interventi non sonoPag. 51sufficienti per esprimere un giudizio positivo. Il Protocollo, infatti, come peraltro molti hanno sostenuto, non supera lo scalone introdotto dal Ministro Maroni, com'era previsto nel programma di Governo, ma rende solo più graduale l'elevamento dell'età pensionabile attraverso l'introduzione di un meccanismo in cui le quote si associano alla crescita dell'età minima. Non solo, a fine periodo si finisce con il peggiorare la stessa normativa prevista nello scalone.
Il giudizio negativo si estende anche ad altre parti, in particolare a quella riguardante i lavori usuranti, per i quali viene posto, a mio giudizio, un assurdo vincolo che definisce un massimo di cinquemila lavoratori l'anno. Sulla precarietà si deve constatare, nel testo inizialmente proposto, il sostanziale mantenimento della legge n. 30 del 2003. Vi è poi l'eliminazione della sovracontribuzione per il lavoro straordinario, con tutto ciò che questo implica, e la detassazione del salario aziendale che rappresenta, di fatto, una minaccia per quanto riguarda il contratto nazionale di lavoro.
Il fatto che il Protocollo scaturisca da un accordo tra le parti sociali e il Governo non fa venire meno queste criticità, né esse scompaiono per il fatto che nella consultazione sindacale la maggioranza dei lavoratori si sia espressa favorevolmente. Per questa ragione, ma anche per le prerogative riconosciute a questa Camera, non sono accettabili pressioni da parte di Confindustria o da settori del sindacato tese a limitare l'iniziativa autonoma del Parlamento.
All'origine delle polemiche sorte in questi giorni vi sono, come sappiamo, le modifiche introdotte dalla Commissione lavoro che, a mio avviso, non sono risolutive ma certamente apprezzabili. Penso al fatto che è stato messo nuovamente in discussione il tetto delle 80 notti per i turnisti, all'introduzione di una maggiore rigidità in merito alla proroga dopo i 36 mesi dei contratti a termine o all'eliminazione dello staff leasing. Tuttavia, va detto che è stata contestualmente peggiorata la norma sul job on call a seguito di un'inedita, e a mio parere inquietante, convergenza di settori del centrosinistra con il centrodestra.
Rispetto al nuovo testo emerso dai lavori della Commissione, però, non è ancora chiaro cosa intenda fare il Governo; essendo lo stesso sottoposto alle pressioni di Confindustria e di parti del sindacato, nonché al ricatto di alcuni settori moderati della stessa maggioranza, vi è il rischio che alla fine prevalga la volontà di peggiorare il testo licenziato dalla Commissione. In questo senso, il ricorso al voto di fiducia costituirebbe un'ulteriore forzatura, tesa a blindare un testo più arretrato di quello che è stato licenziato. Si tratterebbe di un esito, a mio giudizio, estremamente negativo.
Il punto è, invece, che le modifiche introdotte non solo sono giuste e doverose, ma sono ancora insufficienti, in quanto il dispositivo del disegno di legge mantiene un'impostazione inaccettabile sulla questione della previdenza, una forte aleatorietà per quanto riguarda i lavori usuranti e un impianto che resta ancora inadeguato in tema di precarietà. Occorre, quindi, migliorare il testo e non peggiorarlo. È mia convinzione, a tale proposito, che la tenuta dell'attuale maggioranza, prima ancora che sul piano politico, sarebbe messa a dura prova sul piano del consenso sociale se l'esito finale fosse negativo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIAN LUIGI PEGOLO. Concludo, Presidente. In gioco vi è il consenso di ampie fasce di lavoratori, in modo particolare, dei giovani precari che in questo Esecutivo hanno riposto la loro fiducia che credo non possa essere ulteriormente delusa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, l'Italia dei Valori esprimerà senz'altro una valutazione positiva sul provvedimento che stiamo esaminando; tuttavia, vorrei precisare che essa riguarderà il testo proposto dal Governo.Pag. 52 Le modifiche approvate dalla Commissione, infatti, non ci trovano d'accordo, se non nella parte che potrebbe essere condivisa sia da tutte le forze della maggioranza, sia dalle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il Protocollo e la nostra impostazione deriva dal fatto che 5 milioni di lavoratori hanno esercitato la loro potestà di voto esprimendosi a favore dello stesso.
A nostro avviso dovremmo arrivare ad un esercizio virtuoso e funzionale, ovvero approvare il provvedimento che recepisce il Protocollo come proposto dal Governo e con le modifiche trasversalmente concordate e che non devono, quindi, suscitare contestazioni e reazioni di alcun tipo. Il presidente del gruppo dell'Italia dei Valori, in sede di dichiarazione di voto, confermerà questa posizione.
Vi sottopongo una lettura del provvedimento non squisitamente settoriale e tecnica. Come ho già affermato in sede di discussione sul decreto-legge fiscale, non può essere una lettura isolata, ma correlata: dobbiamo infatti leggere insieme il provvedimento che recepisce l'accordo sul welfare del 23 luglio, il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge fiscale. Credo che dobbiamo essere grati al Presidente del Consiglio, Romano Prodi, per il fatto che vi sia una regia su questi provvedimenti, i quali hanno una progettualità complessiva e un'anima che il centrodestra vorrebbe negarci. Secondo il centrodestra, infatti, questi provvedimenti sono raffazzonati, estemporanei e improvvisati, ma ciò non è vero e con il tempo a disposizione cercherò di dimostrarlo, così come ho fatto già per il decreto-legge in materia fiscale.
Tuttavia, signor Presidente, colleghi, signor Ministro, non ho sentito in Aula, da parte dell'opposizione, riprendere il mio discorso per confutare l'anima progettuale e morale dei provvedimenti citati. Non dimentichiamoci, infatti, che in questi provvedimenti (in particolare nel decreto-legge in materia fiscale) vi è un'afflato umano.
Noi ci preoccupiamo, infatti, delle persone che muoiono di fame e che ci chiedono aiuto, in quanto noi proveniamo da questa cultura e abbiamo questa sensibilità, aspetti che non ritrovo assolutamente nel centrodestra! Vi sono spese ingenti per aiutare sia i Paesi in via di sviluppo, sia quelli che muoiono di fame. Quindi, questi provvedimenti hanno un'anima, ovvero l'anima del centrosinistra, della solidarietà e della mutualità.
Se osserviamo l'insieme dei provvedimenti, salvo errori ed omissioni, tra il disegno di legge finanziaria (che ancora non è al nostro esame, ma che tra poco giungerà in Aula e ne conosciamo sommariamente i connotati), il decreto-legge in materia fiscale e il Protocollo sul welfare, l'investimento ammonta a circa 20 miliardi di euro. Anche sotto il profilo del valore economico si tratta di un grande impegno che il Governo e la maggioranza stanno portando avanti.
In particolare, il provvedimento in esame per l'anno 2008 stanzia 1.264 milioni di euro, mentre per il quinquennio reca uno stanziamento molto vicino agli otto miliardi di euro. Alla lettura correlata dei tre provvedimenti aggiungerei anche il saldo di finanza pubblica, in quanto, come ho ricordato più volte, signor Presidente, occorre sempre fare «la prova del nove». Ciò significa che non adottiamo provvedimenti senza copertura, bensì con i saldi di finanza pubblica controlliamo se vi sono le coperture sufficienti.
Quindi, dovremmo correlare il disegno di legge finanziaria, il decreto-legge fiscale e il disegno di legge che recepisce il Protocollo con i saldi di finanza pubblica. Si tratta di un esercizio che ho provato più volte a svolgere e ho spiegato che, stando ai dati della Banca d'Italia, nel secondo semestre del 2007 abbiamo, per i primi due mesi, un'economia di gestione pari a 12 miliardi di euro.
Ciò vuol dire che, mentre nel primo semestre la massa del debito pubblico era pari a 1.632 miliardi di euro, nel secondo semestre del 2007 lo stesso debito pubblico era calato di 12 miliardi, ossia era pari a 1.620 miliardi. Le manovre che stiamo ponendo in atto sono virtuose: i dati matematici dei saldi di finanza pubblicaPag. 53dimostrano che stiamo svolgendo un'operazione saggia, non come faceva il Governo di centrodestra, che diminuiva impercettibilmente le tasse, scaricando tutto, però, sul conto del debito pubblico. I colleghi del centrodestra vadano a guardare i cinque anni del Governo Berlusconi, che ha generato enormi debiti, ha azzerato l'avanzo primario ed ha causato un terzo del debito pubblico oggi sulle nostre spalle. Questa è la verità!
La manovra che la maggioranza - e soprattutto il Governo - sta portando avanti ha un'anima e un progetto correlato. Ho definito le norme di attuazione del Protocollo sul welfare con le parole «riscoprire il valore del lavoro». Per noi il lavoro è al centro di tutte le nostre iniziative culturali, politiche ed etiche: lo abbiamo riscoperto conferendo diritti a chi non li aveva; dando continuità - almeno dal punto di vista previdenziale e assistenziale - ai precari; allo stesso tempo (si pensi al decreto fiscale e alla legge finanziaria) abbiamo dato alle imprese la possibilità di diventare competitive, perché abbiamo abbassato di cinque punti percentuali l'IRES, abbiamo diminuito l'IRAP, abbiamo creato un Fondo per l'innovazione tecnologica e un Fondo per lo sviluppo dell'esportazione.
Si tiene conto, cioè, del fatto che l'impresa deve essere competitiva sui mercati europei e mondiali, ma anche del fatto che il lavoro non deve essere sacrificato, non deve essere succedaneo, non deve essere schiavizzato: esso deve essere esaltato, premiato e tutelato. Viene fuori, allora, l'anima del provvedimento in esame e di tutta la manovra: l'uomo e il lavoro, l'uomo che intraprende.
Ancora, nella legge finanziaria - che ha correlazioni con il provvedimento che stiamo esaminando - è prevista una serie di misure che inducono il lavoratore a diventare imprenditore: con una serie di fondi si dà la possibilità a chi vuole intraprendere di poterlo fare. Qui si inserisce il discorso delle razionalizzazioni e delle solidarietà, che abbiamo introdotto con il decreto fiscale ma che è contenuto anche nel provvedimento oggi in discussione. Leggerlo in modo isolato, non correlarlo alla legge finanziaria e al decreto fiscale, a mio avviso è un errore che non ci possiamo permettere: dobbiamo avere una lente di ingrandimento unica per tutti i provvedimenti in questione e dobbiamo correlarli e «sinergizzarli», affinché essi producano il massimo per la nostra economia e soprattutto per la nostra socialità.
Sono previsti, pertanto, incentivi alle imprese - come ad esempio le detassazioni - che si riverberano a più livelli: sarebbe lunghissimo elencare gli incentivi alle imprese, che non sono solo la riduzione di cinque punti dell'IRES o l'abbattimento dell'IRAP. Vi sono, inoltre, fondi che aiutano le imprese ad impattare in maniera meno virulenta con il mercato.
Le azioni che definivo l'anima dei provvedimenti sono, per esempio, quelle nei confronti dei disabili e delle donne. Finalmente, abbiamo previsto un provvedimento che prende in seria considerazione la persona disabile, che, quando viene messa in condizioni di lavorare, è un lavoratore integerrimo, attaccato, più attento degli altri lavoratori, perché vede realizzata la sua volontà di concorrere al bene sociale, di dare e di produrre anche per gli altri, e di non essere un oggetto inanimato, ma un soggetto propulsivo e produttivo di effetti.
In questo provvedimento vi sono norme a favore dei disabili e delle donne. Non vorrei assolutamente essere frainteso per l'accostamento, e me ne scuso: si tratta di due aspetti completamente diversi. Il provvedimento contiene misure che ritengo molto serie e funzionali alle donne.
Inoltre, l'aspetto più importante attiene alla presenza di una serie di previsioni concrete a favore dei giovani, per le politiche occupazionali e per la stabilizzazione degli stessi. Dunque, l'anima del provvedimento emerge ed è un'anima correlata - come affermavo prima - a quella di tutti gli altri provvedimenti che sono, o sono stati, al nostro esame.
Signor Ministro, ciò che, invece, debbo lamentare è la scarsa esaltazione della funzione delle imprese cooperative e del movimento cooperativo. Il provvedimentoPag. 54prevede un Fondo per il lavoro autonomo che viene destinato anche alla cooperazione. Tuttavia, non sono soddisfatto, anche se credo che ci sia sempre tempo per recuperare. Presenteremo un ordine del giorno al riguardo (tutti conoscono il valore degli ordini del giorno, ma ritengo che il nostro Governo, molto più serio di quello che ci ha preceduto, terrà fede agli impegni assunti anche attraverso gli ordini del giorno, perché noi abbiamo un nostro modo di porci e di agire).
In questo provvedimento, a mio avviso, il ruolo della cooperazione avrebbe dovuto essere maggiormente esaltato. Se, infatti, guardiamo all'opera delle cooperative sociali, vediamo che riescono a recuperare i disabili e le fasce deboli del mercato. Pertanto, avrei fatto molto di più, esaltando il valore della cooperazione.
Signor Presidente, colleghi, ricordo che proprio nei giorni scorsi abbiamo qui discusso della questione cooperativa, del movimento cooperativo e delle imprese cooperative. In quella occasione, il Parlamento ha riconosciuto l'importanza della cooperazione, che ha dato molto al Paese e ha conseguito risultati importanti sul piano economico, occupazionale e sociale. Dunque, il Parlamento ha riconosciuto una funzione alta al movimento cooperativo e alle imprese cooperative. La difficoltà, però, sorge nel momento in cui si deve passare dall'enunciazione ai fatti. Se l'impresa cooperativa e il movimento cooperativo sono fattori di sviluppo insostituibili ed entità che riescono a creare più occupazione rispetto alle altre imprese, e se è vero che la cooperazione esercita una funzione anticiclica - come è stato affermato in sede accademica da molti centri universitari - non ritrovo una corrispondente posizione in questo provvedimento. La cooperazione, cioè, non viene utilizzata al meglio. Potevamo fare molto di più, su questo non vi è dubbio. Mi rendo anche conto delle difficoltà.
Chi ieri sera ha seguito la trasmissione Report si è fatto un'idea del movimento cooperativo completamente sbagliata. Nutro molte riserve su quel reportage, perché credo che parecchie notizie debbano essere precisate e non corrispondano esattamente a come sono state riportate, anche se non mi riguardano personalmente e direttamente.
Si tende a fornire un'immagine del cosiddetto fenomeno del movimento cooperativo - ormai infatti non è più un fenomeno, è una componente strutturale della nostra società e della nostra economia - e delle imprese cooperative molto inadeguata e comunque negativa. Forse il momento che stiamo attraversando condiziona i nostri provvedimenti.
Invito il Ministro a non farsi condizionare da tale atmosfera negativa sulla cooperazione. Signori, se non vi fosse stata l'economia cooperativa negli ultimi cinque anni, il nostro Paese sarebbe andato in recessione! Quando affermo che la destra non è capace di compiere una somma algebrica, lo affermo perché se facessero una somma algebrica si accorgerebbero che le imprese cooperative hanno salvato il Paese dalla recessione! È la verità: basta fare i conti.
Allora, caro Ministro, non facciamoci prendere da queste atmosfere negative e dalle campagne di stampa sulla cooperazione. Porterei i miei interlocutori - e sono a disposizione: questa è una sfida! - in alcune cooperative sociali: cari colleghi, quando entrate in quelle cooperative, uscite uomini diversi! Non conosco struttura pubblica che svolga quel lavoro, che assista i malati terminali, anzi, è la struttura cooperativa che si sostituisce alla struttura pubblica e, con un afflato umano, riesce a offrire ciò che spetta ad ogni uomo: il conforto prima della morte. Allora, come si fa ad affermare che la cooperazione è un elemento negativo della nostra società, come qualcuno dice? La cooperazione ha moltissimi meriti e deve essere utilizzata.
Pertanto, esorto il Governo a non farsi prendere da questa mania, anche perché alcune questioni verranno certamente chiarite. In questa sede, ho difeso i nostri dirigenti politici che si sono impegnati nella cooperazione, non perché andassero difesi, ma perché sono uomini seri, integri, che credono nel movimento cooperativo,Pag. 55come Fassino e D'Alema: hanno fatto ciò che hanno fatto perché credono nella prospettiva mutualistica e cooperativa. Hanno fatto errori? Non lo so, ma lo hanno fatto perché hanno fede nel movimento cooperativo, perché credono in un'economia alternativa a quella neocapitalista, che tanti danni sta ancora provocando. Noi non siamo contrari: sosteniamo che i due sistemi si devono confrontare, devono coadiuvarsi, devono completarsi. Ma se l'economia cooperativa viene messa all'angolo con manovre di piccolo cabotaggio, con campagne propagandistiche che tendono ad affievolirne l'efficacia e le prospettive, credo che non rendiamo un servizio al Paese.
Ritengo che il Protocollo del 23 luglio 2007 affermi alcuni concetti giusti sulla cooperazione: noi siamo contro la cooperazione spuria, che deve assolutamente scomparire, perché - porto il solito paragone banale, ma efficace - il vino cattivo scaccia il vino buono, la cooperazione cattiva scaccia la buona cooperazione. Quindi, è sacrosanto il dovere di perseguire le cooperative spurie.
Tutto ciò va realizzato nel massimo della trasparenza e della partecipazione democratica. Dunque, ha fatto bene il Ministro del lavoro Damiano - lo ringrazio - ad aver dato seguito al Protocollo sul welfare del 23 luglio. Chiedo però che gli osservatòri costituiti possano andare avanti, insieme a tutto il movimento cooperativo, che lo Stato italiano ha riconosciuto, e con tutte le organizzazioni sindacali, quelle che siedono nel CNEL, e che per questo sono state riconosciute, ovvero quelle che svolgono contrattualistica cooperativa.
Per tali motivi, l'Italia dei Valori presenterà un ordine del giorno in cui verranno recepiti questi ultimi argomenti. Tale ordine del giorno riguarderà il Protocollo sul welfare e la cooperazione, nonché gli osservatòri, che vanno integrati con le componenti che ne sono rimaste escluse.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galli. Ne ha facoltà.
DANIELE GALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, voglio esprimere, al di là delle diverse posizioni, un ringraziamento particolare al sottosegretario Montagnino per la cordialità dei rapporti che ha dimostrato in Commissione.
Con questo provvedimento si assiste all'incondizionata resa della ragione all'ideologia e del bene del Paese alle logiche dell'estrema sinistra, e si rinuncia a un'impostazione del welfare sostenibile, per adeguarsi al progetto di uniformazione e appiattimento verso il basso. Le ali estreme di questa maggioranza ritengono infatti irrinunciabile l'instaurazione di un'impostazione, a mio giudizio vetero-comunista, che è aliena allo spirito riformista di cui ha bisogno la nazione. Il provvedimento, con le modifiche ideologiche volute dalla sinistra massimalista in Commissione lavoro, rappresenta la morte della concertazione, a voi tanto cara solamente a parole, in quanto poi effettivamente tradita nei fatti.
Il genere di concertazione da cui il testo iniziale del disegno di legge trae origine e ragion d'essere è di fatto antitetico alle procedure democratiche comunemente assentite. Dal testo originario, infatti, è derivato un testo che nasce viziato dalla discriminazione di alcune classi di lavoratori e di cittadini. Certo che vi è stata la concertazione, ma solo nei confronti dei lavoratori dipendenti, che spesso, loro malgrado, sono assuefatti al blocco sindacale.
Il provvedimento, destinato ad avere pesanti effetti su tutti gli italiani, è stato concertato solo con la rappresentanza sindacale dei lavoratori che voi considerate come tale, ovvero quella dei lavoratori dipendenti. Il vostro atteggiamento tradisce comunque anche questi interlocutori che finora avete privilegiato. Il ricorso al voto di fiducia infatti è necessario, e vi serve per contenere la deriva massimalista e il voto espresso nelle grandi fabbriche dagli operai che non hanno approvato il vostro provvedimento. Il ricorso alla fiduciaPag. 56rappresenta la morte della concertazione e la vostra concertazione è la morte della democrazia.
Per tali motivi, il vostro concetto di democrazia umilia i deputati della maggioranza della Commissione lavoro nelle loro funzioni rappresentative e nella loro libertà di voto. Lo voglio affermare, anche se si tratta di posizioni da me non condivise. Ci aspettiamo, di conseguenza, che il ricorso per la ventiduesima volta al voto di fiducia rappresenti anche la fine di questo Governo; è una conseguenza logica.
Un progetto di politiche sociali sostenibile e compatibile con le condizioni economiche del Paese è possibile. Su questa strada si era mosso il Governo Berlusconi, pagando fortemente in consensi l'aver posto concretamente in essere solo ciò che si poteva effettivamente fare nelle condizioni in cui era il Paese. Per voi tutto ciò non è pensabile. Attuate dei provvedimenti che comportano un'irresponsabile spesa senza una copertura effettiva, al solo fine di rilanciare il metodo della concertazione come strumento unico per l'elaborazione delle politiche sociali, nonostante tutti i limiti e le controindicazioni che il metodo da voi applicato comporta. In questa maggioranza si ripropone, ancora una volta, la netta contrapposizione fra la sinistra radicale e i blandi riformisti. Mentre avviene tutto ciò, i moderati minacciano di non votare il provvedimento se i cedimenti all'ala massimalista comporteranno ulteriori oneri per le finanze dello Stato o modifiche del disegno di legge originale.
La risposta di questo Governo a tali problemi è la questione di fiducia - lo ripeto -, la numero ventidue in diciotto mesi, senza avere la ragionevolezza di ripensare le proprie posizioni per il bene del Paese. A questo punto non vi sono altre spiegazioni: la fiducia occorre per assicurare la tenuta del potere. In una maggioranza non si può andare d'accordo a tutti i costi.
I principali elementi di criticità riguardano il capitolo «pensioni» (quello più a rischio, a mio giudizio, sul versante dei conti pubblici), in quanto le modifiche proposte mettono in crisi l'equilibrio del sistema previdenziale. La riforma attuata dal centrodestra nel 2005 - in perfezionamento della riforma Dini - che fu apprezzata dai vertici europei, avrebbe comportato dal gennaio 2008 un'età minima di sessanta anni con trentacinque anni di contribuzione per la pensione di anzianità. Si andava di pari passo con l'Europa e si adeguava la previdenza al trend demografico e all'aumento della vita media. La nostra riforma puntava sull'equilibrio nel tempo dei conti pensionistici e avrebbe garantito trattamenti certi per i giovani che cominciano o hanno appena cominciato a lavorare. Intanto avrebbe assicurato risparmi rilevanti e, a regime, nel 2011 questi ultimi sarebbero ammontati a 9 miliardi di euro. Preoccupazioni serie e fondate in tal senso sono state espresse dal presidente dell'INPS che, in sede di indagine conoscitiva sul disegno di legge in esame presso la XI Commissione, ha rilevato come, di fatto, l'eliminazione dello scalone Maroni aumenti la spesa pensionistica dello 0,1 per cento sul PIL tendenziale, a fronte di una diminuzione tendenziale dello 0,6 per cento portato dalla normativa vigente. È chiaro che la forbice crea la necessità, da parte vostra, di una compensazione e certamente le giustificazioni addotte in sede di disegno di legge finanziaria non sono tali.
La modifica dello scalone inoltre, proposta dal Governo, perpetua la differenziazione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi in materia di requisiti di accesso al pensionamento di anzianità, il cui caposaldo normativo di almeno trentacinque anni di contribuzione peraltro è rimasto invariato, a dimostrazione che lo stesso legislatore della riforma ritiene che tale periodo di attività lavorativa risulti congruo, sia sotto il profilo dell'usura psicofisica del lavoratore, sia sotto il diverso profilo finanziario di tenuta dei conti previdenziali in relazione alle aspettative di vita.
La disposizione lascia molte perplessità anche sul piano tecnico, in via generale, dal momento che introduce a decorrere dal 1o luglio 2009 il sistema di quote (etàPag. 57anagrafica e requisito contributivo) tale che, per effetto del requisito minimo di età anagrafica previsto, determina un aumento del requisito contributivo a trentasei anni. Nello specifico, inoltre, rimane immutata la differenziazione di un anno di età anagrafica tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, perpetuando, come sempre, la discriminazione tra di essi, ovvero tra lavoratori.
Tale differenza produce la conseguenza che dal 1o gennaio 2008 viene sostanzialmente a cessare la pensione di anzianità per le lavoratrici artigiane, ad esempio, ed esercenti attività commerciali, dal momento che per gli effetti combinati del previsto requisito anagrafico per la pensione di anzianità (cinquantanove anni) e la riduzione delle finestre di uscita a due, anch'esse differenziate tra lavoratrici dipendenti ed autonome, l'età anagrafica per le prestazioni di vecchiaia risulta più favorevole rispetto a quella per le prestazioni di anzianità. Si tratta, dunque, di un altro pasticcio.
Ugualmente preoccupante risulta il rinvio nell'applicazione dei coefficienti di trasformazione, che sono alla base del sistema previdenziale contributivo; in particolare, l'applicazione dei coefficienti diventa essenziale in un quadro demografico come quello attuale, dove, a fronte di un aumento dell'aspettativa di vita (sette anni in più negli ultimi venti anni), si registra in Italia una diminuzione drammatica del tasso di natalità.
Con demagogia, accogliendo le richieste della sinistra massimalista, la maggioranza, nel suo programma elettorale, si era impegnata a cancellare la riforma del centrodestra per lo scalone dei sessant'anni. Una volta al Governo, Prodi e altri esponenti dello stesso, si sono resi conto che l'abolizione pura e semplice dello scalone, ovvero il mantenimento dei cinquantasette anni di età minima per il trattamento di anzianità, avrebbe sfasciato il sistema rendendolo insostenibile. Ricordo che già siamo il Paese in Europa che spende di più per le pensioni (oltre il 14 per cento del PIL).
È nata così l'idea dello «scalino» dei cinquantotto anni e dell'innalzamento graduale e progressivo della soglia di età entro il 2012, che comunque, rispetto alla legge vigente, rappresenta un arretramento, con oneri rilevanti per la finanza pubblica e la certezza di futuri dissesti contabili dell'INPS. La previsione secondo la quale i lavoratori discontinui possano arrivare ad una pensione che sia almeno pari al 60 per cento dell'ultima retribuzione risulta problematica e in contrasto con l'essenza del metodo contributivo.
In questo caso, infatti, come in quello del rinvio nell'applicazione dei coefficienti di trasformazione, sembra che il Governo abbia voluto scegliere una terza via tra metodo retributivo e metodo contributivo nel pagamento delle pensioni. È una via che ci aliena rispetto ad ogni altro Paese europeo.
Resta il fatto che la trasformazione dello scalone in tanti «scalini» costerà alle casse pubbliche una fortuna e causerà un inevitabile e ulteriore incremento della pressione fiscale, in quanto questo Governo ha dimostrato di non saper praticare il risparmio. Mentre la sorte dei vari tesoretti dovuti all'extragettito dilapidati, non più contabilizzati, è il risultato più drammatico di questa gestione.
Il Governo inizialmente aveva previsto che in dieci anni vi sarebbero stati 345 mila pensionati in più per effetto della riforma e 7,5 miliardi di costi aggiuntivi per la previdenza ma, stando alle proiezioni, la realtà è ben diversa. Ai 345 mila pensionandi previsti dal Governo, andranno aggiunti almeno altri 170 mila pensionati.
Vi è inoltre la «bomba ad orologeria» degli usuranti: i lavoratori che saranno esclusi da qualunque stretta sull'anzianità. L'ala estrema dell'Unione per scelta ideologica ritiene che il diritto di andare in pensione a 57 anni sia intoccabile e intende, a mio giudizio, aggirare lo scalino dei 58 anni ampliando la categoria dei lavori usuranti, ovviamente e discriminatamente solo per i dipendenti. I lavoratori autonomi sono sempre dimenticati.Pag. 58
I lavoratori usurati potrebbero smettere di lavorare a 57 anni e più aumenta il loro numero, più si svuota di fatto il senso stesso della riforma: non solo la riforma Maroni, ma anche la riforma Dini essenzialmente.
Nel protocollo del 2007 era previsto un tetto di 5 mila pensioni anticipate all'anno, sempre con riferimento ai lavori usuranti, che nel disegno di legge in esame è scomparso. Ciò pone un grave di copertura in quanto l'entità delle risorse stanziate non risulta più compatibile con le maggiori spese derivate da tali modifiche.
Lo smantellamento della riforma Maroni e della riforma Dini e l'esclusione degli usurati aprirà le porte della pensione anticipata a 20-25 mila persone all'anno e non alle 5 mila previste. Sono chiare le ricadute sul sistema della finanza pubblica.
Un ulteriore elemento di preoccupazione è relativo alle politiche attive e alle politiche passive del lavoro: il disegno di legge in esame si pone come obiettivo quello di aumentare le risorse per le politiche attive, ossia quelle finalizzate a garantire un reddito ai lavoratori momentaneamente disoccupati nel quadro delle misure che garantiscano una riqualificazione e la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro. Si tratta di una misura sacrosanta, ma per farlo sarebbe necessario che parte delle cospicue risorse che oggi vengono destinate alle politiche passive (disoccupazione, cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, mobilità) fossero impegnate nella riforma del sistema degli ammortizzatori sociali: non si può agire su una parte e trascurare l'altra.
La delega al Governo in materia non sembra andare in questa direzione nel momento in cui si estende la platea delle casse di integrazione. Inoltre, purtroppo, la sinistra massimalista, che vuole la cancellazione della legge Biagi, chiede di più sui contratti a termine, sui quali ha già incassato delle concessioni (i 36 mesi oltre i quali non si potrà rinnovare il contratto di lavoro potranno non essere continuativi e la deroga non potrà superare gli otto mesi). Si dimentica così, però, che il diritto al lavoro non sì può concedere per legge, ma vanno creati posti di lavoro, con oculate previsioni economiche, perché il lavoro a tempo è sempre meglio di niente o sempre meglio che fare rientrare determinati lavoratori nella galassia, purtroppo esistente, del lavoro nero.
A mio giudizio, questo provvedimento è caratterizzato solamente da una serie di concessioni prive di copertura finanziaria o, per le quali, tale copertura è molto dubbia. Tali concessioni sono dettate dall'esasperata necessità di mantenere alleanze e la coesione di Governo, nonché, purtroppo, dalla facile ricerca di bacini elettorali. In questo modo, incidete negativamente, senza risanare la spesa pubblica e per di più (e questa è la parte ancora più negativa) senza creare le condizioni economiche favorevoli allo sviluppo delle imprese in Italia.
Quando, nei prossimi anni, non vi sarà più la possibilità di avere l'extragettito fiscale - che ora c'è - e non sarà più possibile uno sviluppo nell'ambito del sistema economico italiano...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DANIELE GALLI. Ho quasi terminato, Presidente. Come dicevo, la situazione diventerà drammatica, perché gli impegni ci sono e il gettito fiscale non c'è.
Non vi sono solo i dubbi sulla copertura finanziaria di questo provvedimento, ma anche i dubbi di copertura del provvedimento cui è collegato. Il servizio bilancio della Camera, in un dossier di 530 pagine, punta il dito contro la documentazione fornita dal Governo, che è priva dei dati necessari per verificare l'impatto dei vari interventi.
Ticket sanitari, sanatorie, precari, ICI, IRES e studi di settore, a mio giudizio, sono a rischio e presentano forti dubbi di copertura. Il buco viene scavato più a fondo con queste concessioni: un welfare che si tradurrà, pesantemente, in maggiori oneri e tassazioni per le famiglie, nonché, purtroppo, in una riduzione dei consumi e in una retrocessione dell'economia, aumentando l'incapacità del sistema Italia diPag. 59essere concorrenziale. In pratica, andiamo verso uno sfacelo del Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor sottosegretario, devo confessare che è francamente imbarazzante prendere la parola per discutere sulle linee generali del disegno di legge sul welfare, oggi all'esame della Camera dei deputati, sapendo perfettamente che tutto quello che è stato e che sarà detto, è tamquam non esset. Infatti, tra qualche ora, il Governo annuncerà la posizione della questione di fiducia su un testo diverso e, comunque, verrà vanificato ogni sforzo di questa Assemblea di ragionare sul provvedimento che stiamo approvando. Questa è la realtà.
Domani, probabilmente, sarà calato d'imperio un nuovo testo, rispetto a quello varato dalla Commissione, o il vecchio accordo sul welfare, e tutti i deputati di maggioranza e di opposizione non potranno più dire nulla: o prendere, con la fiducia, o lasciare, sfiduciando questo Governo.
Tuttavia, al di là delle posizioni espresse, è proprio il caso di dire che, in questa vicenda, il Parlamento è stato trattato peggio di un'assemblea di condominio: tanto lavoro per nulla (ma tornerò su questo argomento in conclusione).
Entrerò adesso nel merito del disegno di legge che oggi siamo chiamati a valutare e a votare. Mi atterrò, quindi, al testo risultato dal lavoro della Commissione, ma non lo farò prima di avere svolto una breve considerazione di carattere politico.
La filosofia di fondo che sostiene l'intero provvedimento è espressione di una visione economica e sociale antimoderna, proiettata a difendere l'esistente e chi è già tutelato, non collegata con gli orientamenti europei sullo Stato sociale; si tratta di una visione che, anziché puntare sui giovani - che sono la forza lavoro che, più di ogni altra, può garantire lo sviluppo futuro del Paese e la tenuta del sistema previdenziale -, li sacrifica di fatto, dicendo loro: chi vuol esser lieto sia, oggi (e cioè i quasi sessantenni, che già sono abbondantemente tutelati, approfittando del prepensionamento anticipato), ma del domani - per voi giovani, appunto - non vi sarà certezza!
Questa, infatti, è la realtà, cari colleghi della sinistra, onorevole Ministro. Voi, oggi, vi assumete la responsabilità storica di aprire un conflitto generazionale, mettendo a rischio la congruità delle pensioni future dei giovani. Commettete questo «genocidio pensionistico» solo per garantire a chi è ancora in grado di lavorare proficuamente di andare in pensione a 57 anni, con l'aggravante della vostra malafede sulla sufficienza della copertura finanziaria (che sapete bene essere fragilissima) e sull'impatto che l'abolizione dello scalone potrà avere sulla finanza pubblica, che sarà devastante.
Ma la cosa più grave è che per un vostro capriccio, populista e demagogico, la nazione sosterrà gli oneri enormi derivanti dall'abolizione dello scalone, per aver ritardato il momento del pensionamento ad un numero limitato di lavoratori. Tutto ciò è semplicemente aberrante, se si considera il fatto che l'Europa va da tutt'altra parte e ci chiede di seguirla, non foss'altro perché la crisi demografica dell'Occidente impone sul tema della previdenza una strada prioritaria, quella della elevazione dell'età pensionabile. Diversamente - lo affermano tutti gli studiosi più accorti -, il sistema non ce la fa, rischiamo il collasso, il default; ce lo ricordano l'INPS, l'INAIL, per rimanere agli enti più importanti del nostro sistema, ossia i maggiori attori della previdenza italiana, preoccupati per la tenuta complessiva del sistema previdenziale a causa di una politica in controtendenza con quelle dei Paesi dell'intero pianeta, non solo dell'Europa. Persino in Cile già da oltre vent'anni hanno cambiato sistema e stanno oggi, da questo punto di vista, meglio della più progredita nazione europea.
Con lo scalone avremmo risparmiato 75 miliardi di euro in dieci anni, lo 0,6 per cento del PIL, mentre ora ci prepariamo aPag. 60pagare nei prossimi dieci anni un aumento dello 0,1 per cento del PIL. Ma non basta: non sappiamo che effetti avrà la mancata applicazione dei nuovi coefficienti di trasformazione, che - ne siamo tutti consapevoli - si legano alle prospettive di vita della popolazione. Esse sono aumentate e ci attardiamo ancora ad aggiornare i coefficienti di trasformazione, che segneranno la fine della riforma Dini. Ciò manderà in soffitta la riforma Dini e assesterà un colpo mortale al sistema contributivo.
Abbiamo fatto una scelta nel 1995. Dovremmo perseguirla con coerenza e non lo potremo fare se non attiveremo immediatamente le procedure per cambiare i coefficienti di trasformazione, che, da più parti, vengono indicati come la chiave di volta almeno per garantire al sistema una tenuta nei prossimi anni. Lo affermano a chiare lettere - lo ripeto - i vertici dell'INPS, auditi in Commissione lavoro, non per loro volontà, ma perché gli studi dei tecnici dell'ente affermano che è necessario continuare sulla strada del sistema contributivo senza tentennamenti e sollecitano quindi la riforma dei coefficienti di trasformazione. Il loro mancato adeguamento comporterà a regime un aumento della spesa pensionistica di almeno due punti di PIL e questo evidentemente è il preludio al collasso dei conti pubblici, che è dietro l'angolo.
Rischiamo il collasso anche con un'altra parte della normativa approvata in Commissione, nonostante il voto contrario di tutti i partiti dell'opposizione, di Alleanza Nazionale e di tutta la Casa delle libertà. Rischiamo il collasso perché non abbiamo saputo individuare e contenere la platea dei lavori usuranti, che rischia di dilatarsi senza limiti. Altro che 5 mila unità, signor Ministro! Con quanto è stato approvato in Commissione rischiamo che essa aumenti di quattro volte nel corso del decennio. Non sarete d'accordo, lo ha già affermato il sottosegretario Montagnino, perché ritenete che non siano questi i dati; vedremo in futuro cosa accadrà, lo vedremo, purtroppo, a spese dell'intero Paese, e non si tratta di una cosa bella.
A proposito dei lavori usuranti, le valutazioni sono veramente drammatiche.
Quanto alla spesa prevista per tale aumento della platea, spetterà poi al Ministro individuare i criteri in base ai quali potranno esseri classificati come lavoratori usurati questi o quegli altri; ma allora, signor Ministro, se lei sarà ancora in carica, non vorrei essere nei suoi panni, perché ovviamente lei sa benissimo che ciò aprirà la strada ad un contenzioso infinito, con migliaia di cause che invaderanno tutti i nostri tribunali. Vi sarà, allora, un bel da fare, per il Governo e per i giudici, nel contrastare quanto evidentemente si preannunzia con chiarezza, anche perché vorrei capire sulla base di quale crinale e di quale discrimine si potrà escludere questo lavoratore e fare entrare quell'altro. Nonostante i criteri che abbiamo tentato di definire in Commissione siano infatti, in qualche modo, oggettivamente accettabili, è chiaro che il margine e la discrezionalità creeranno, a nostro avviso, gravi scompensi e problemi.
Ma veniamo a quello che, secondo il nostro punto di vista, è il vero punto debole del provvedimento in discussione. Detto per inciso, l'unica cosa positiva che, almeno dal nostro punto di vista, siamo riusciti a realizzare in Commissione è stata quella di far approvare un emendamento proposto dall'opposizione che, a proposito dell'apprendistato, garantisce il beneficio contributivo previsto per l'apprendista per tutto il periodo in cui è previsto lo svolgersi di tale rapporto, anche se prima della scadenza il rapporto viene stabilizzato.
Si tratta dell'unica norma positiva che, in qualche modo, alleggerisce le imprese dal carico contributivo, ed è questo l'unico fiore all'occhiello che in qualche modo ci vantiamo di avere portato a segno e di avere stabilito in Commissione, attraverso un emendamento che, in un primo tempo, era stato sottovalutato, ma che poi è stato accolto ed approvato.
Chiuso l'inciso, il vero punto debole della riforma e del provvedimento al nostro esame risiede proprio nella questione relativa alla copertura finanziaria.Pag. 61
Su questo argomento evidentemente sarò più preciso nel dettaglio non appena verrà discussa la questione pregiudiziale di costituzionalità che, come gruppo di Alleanza Nazionale, abbiamo presentato, ma intendo svolgere oggi qualche considerazione.
La copertura prevista - o almeno i punti più importanti di essa - consiste in 3,5 miliardi di euro che dovrebbero derivare dalla razionalizzazione degli enti previdenziali; 3,6 miliardi di euro provenienti dall'aumento di quote contributive per gestioni separate dei parasubordinati; 1,4 miliardi di euro risultanti dalla sospensione dell'indicizzazione delle pensioni superiori di otto volte al minimo.
Quanto al primo punto, vi è da dire anche che, se non sarà raggiunto l'obiettivo che ho indicato, addirittura il provvedimento prevede che dal 2011 scatterà un prelievo contributivo forzato aggiuntivo dello 0,09 per cento a carico di tutte le categorie dei lavoratori (in altre parole, si tratterà di nuove tasse).
Tuttavia, al di là di queste considerazioni, come potete immaginare di raggiungere nel breve termine di dieci anni un risparmio di 3,5 miliardi di euro - e quindi, a partire dal 2008, un risparmio di 350 milioni annui per i prossimi dieci anni - dalla razionalizzazione del sistema previdenziale, per il quale ancora non esiste un piano industriale che indichi le coordinate da seguire per arrivare a tale risparmio e che, quindi, è ancora nella mente del Governo, che dovrebbe esitare detto piano industriale entro il 31 dicembre di quest'anno?
Voi sapete benissimo che questi risparmi non potranno essere realizzati, e che quindi tale grossa, importante ed imponente copertura è assolutamente virtuale; essa rappresenta un grande imbroglio che si sta perpetrando ai danni delle imprese e dei lavoratori che evidentemente confidano - quelli che hanno votato in buona fede il documento sul welfare - nella buona fede e nella correttezza delle previsioni contenute nel provvedimento al nostro esame.
Si tratta di un imbroglio che avete architettato ai danni dei lavoratori e delle aziende, purtroppo con la complicità e il silenzio di chi dovrebbe imporvi l'altolà. Non capisco perché non sia intervenuto il Ministero dell'economia, la cui ragioneria generale in ordine a tale argomento ha puntualmente affermato a chiare lettere che non si prevedono, nell'immediato, risparmi dalla razionalizzazione degli enti e che, se mai un risparmio dovesse esservi, questo non potrà essere utilizzato per coprire le spese del welfare.
Pertanto, mi chiedo come mai chi dovrebbe darci e darvi l'altolà non sia intervenuto. Tale fatto mi «stranizza» molto e mi «stranizza» anche il malcelato silenzio degli uffici della Camera che, peraltro, qualche piccola protesta in proposito hanno elevato e che dovrebbero essere, invece, più chiari in ordine a tale punto. Infatti, tutti abbiamo letto del disagio che qualche funzionario della Camera prova nel valutare la congruità finanziaria del provvedimento in discussione e nel fornire un parere oggettivo sulla inesistenza di copertura in ordine alla parte principale di quanto previsto nel provvedimento in esame. Questa è la situazione; vedremo se, nei prossimi giorni, qualche appunto in tal senso si svilupperà.
Al di là del merito, di cui ho parlato sinora, concludo il mio intervento con una domanda, sicuramente retorica, ma che rivela il profondo disagio che, a mio avviso, ciascun parlamentare vive di fronte ad eventi come quello di cui stiamo discutendo. Lo ribadisco: non mi riferisco al merito, ma al modo in cui si sta sviluppando il dibattito a proposito di un provvedimento concernente una materia così delicata. La mia domanda retorica è la seguente: signor sottosegretario - mi rivolgo a lei perché in aula è rimasto solo lei e mi spiace che il Ministro si sia allontanato e che manchi anche il relatore - chi comanda in Italia? Il Governo o le associazioni sindacali, di categoria, le lobby industriali, che sono evidentemente in grado di imporre, da una parte e dall'altra, tirando la coperta, ora da un lato, ora dall'altro, il diktat al Governo ePag. 62al Parlamento? Il Parlamento può subire un affronto del genere? Può essere escluso dal partecipare, come invece dovrebbe essere, al processo legislativo, di cui è l'unico titolare, solo perché si alzano improvvisamente i leader della CGIL o della UIL e vi danno l'altolà, o peggio il leader di Confindustria che vi impone di tornare indietro o di non fare nulla?
Francamente, credo che sia un disagio che noi tutti parlamentari dovremmo avvertire, al di là del merito della questione che affrontiamo. Non so come si concluderà tale vicenda, cosa accadrà domani, quale posizione assumeranno Rifondazione Comunista, alla Camera, ed il presidente Dini, al Senato. Tuttavia, siamo sicuri di un fatto: da questa vicenda esce sconfitto il Parlamento, il cui ruolo viene mortificato e diminuito nel prestigio.
Si tratta di una considerazione amara che consegno alla riflessione di tutti i colleghi, sperando in un futuro migliore, quando potrà essere recuperato il ruolo del Parlamento che è stato, invece, in questi anni molto spesso e in tutti i sensi, anche con una maggioranza di segno diverso dalla vostra, mortificato e non tenuto in alcuna seria considerazione.
Vedremo in futuro cosa riserverà l'iter del provvedimento in discussione. Tuttavia, siamo determinati a svolgere la nostra parte, la nostra dura battaglia di opposizione, soprattutto per denunziare al Paese il grande imbroglio che si cela dietro questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento in discussione è di grande rilievo per il nostro Paese ed è frutto di un preciso accordo intercorso fra il Governo e la maggioranza delle parti sociali interessate. Ciò significa che il contenuto del disegno di legge è stato concertato e che, soprattutto, rispecchia la volontà di molte categorie di cittadini, come confermato del resto dall'approvazione referendaria.
Conseguentemente, sin da subito, la linea del Governo, come è noto, è stata quella di non alterare la struttura del provvedimento (certamente perfettibile) e di non stravolgerla, onde garantire l'approvazione di un testo che risponda fedelmente alle necessità dei soggetti interessati.
Il disegno di legge è caratterizzato da diversi interventi che spaziano dalla sfera della previdenza, all'inclusione sociale, al mercato del lavoro e alla competitività ed è diretto ad agevolare i soggetti deboli della nostra società che incontrano serie difficoltà di inserimento nell'ambito lavorativo come le donne, i giovani e gli ultracinquantenni. Sono tutti interventi di importanza enorme per un Paese che non intende privarsi di preziose energie lavorative, né abbandonare le categorie svantaggiate.
Durante l'esame nella Commissione competente per materia (la Commissione lavoro della Camera dei deputati) che ha operato con serietà e competenza, è stato ritenuto necessario introdurre alcune razionali puntualizzazioni. Anche noi Popolari-Udeur abbiamo contribuito a rendere il provvedimento più adeguato agli scopi che intendeva raggiungere.
A tal proposito, desidero ricordare - con riferimento al dibattito in questi giorni all'attenzione di tutti i cittadini sulla necessità o meno, sul diritto o meno della Camera dei deputati di introdurre modifiche, pur nel rispetto totale dei voti espressi da cinque milioni di lavoratori - che il Parlamento è stato eletto da tutta la cittadinanza e, pertanto, reputo che abbia il diritto di operare interventi non pesanti e che migliorino il provvedimento.
Quando Confindustria, nella persona del presidente, dichiara che nulla è modificabile, nel dare atto all'industriale Luca di Montezemolo di una grande capacità perché ha saputo risollevare la Ferrari e la FIAT, devo rilevare che il mondo dell'impresa ha un regolamento diverso ed un obiettivo: il business. Diverso è il compito di un Parlamento che è già - sul puntoPag. 63concordo con le dichiarazioni di Vacca - talvolta costretto a legiferare poco, pur avendo voglia di fare di più.
Noi Popolari-Udeur, nei due emendamenti presentati e approvati in Commissione lavoro, abbiamo voluto dare rilievo alle richieste di un importante nucleo di lavoratori costituito dalle casalinghe: otto milioni di cittadine che, per la loro peculiarità, non siedono al tavolo della concertazione di Palazzo Chigi.
Quindi, quando si tratta di importantissimi tavoli come quello che reputiamo essere il tavolo della concertazione, ci troviamo di fronte ad un'ingiustizia plateale che consiste nell'escludere otto milioni di lavoratrici. Abbiamo proposto, quindi, due emendamenti che la Commissione ha accolto e mi permetto di porgere un ringraziamento per l'attenzione con cui la presidenza della Commissione e il Governo, sempre presente in Commissione, hanno seguito tali emendamenti.
Il primo è diretto a recuperare le esperienze e le competenze delle donne che, avendo privilegiato gli impegni familiari e di cura, oggi si trovano escluse dal mondo del lavoro in cui, invece, vorrebbero rientrare. Il secondo emendamento restituisce alle casalinghe la possibilità di effettuare versamenti non solo fissi, ma anche saltuari sulla propria posizione previdenziale complementare.
La norma precedente prevedeva, infatti, tale possibilità. Purtroppo, sotto il Governo Berlusconi è stata eliminata. La presente proposta emendativa non ha costi, non comporta oneri, ma è molto importante restituire alle donne tale opportunità, perché non possono vantare un reddito fisso, nonostante il fatto che il lavoro in casa sia considerabile come il vero motore dell'economia italiana.
A conferma di ciò, un articolo pubblicato sabato 24 novembre dal quotidiano la Repubblica ha riportato risultati estremamente importanti, elaborati su dati scientifici. Gli economisti de lavoce.info hanno calcolato che il lavoro svolto dentro le mura domestiche equivale a 433 miliardi di euro l'anno. Quindi, un terzo del PIL annuale del Paese. Stiamo parlando di qualcosa di più di un tesoretto, è un grande tesoro, una produzione ombra che nessuno paga o vuol pagare o, di fatto, considerare.
Valutando, infine, la disposizione che prevedeva l'abrogazione del lavoro a intermittenza, anche detto lavoro a chiamata, noi del gruppo Popolari-Udeur, oltre ai due precedenti emendamenti, abbiamo voluto sostenere - attraverso un voto che poi ha portato all'approvazione dell'emendamento - la non cancellazione, ma anzi il ripristino, del lavoro a chiamata. Infatti, tale tipologia di lavoro è molto utile per i periodi limitati di enorme richiesta per il settore del turismo e dello spettacolo. Temiamo, infatti, che la soppressione di questo strumento avrebbe potuto incentivare il lavoro nero, a discapito dei giovani e degli studenti, ma soprattutto a danno delle casse dello Stato: perchè consideriamo che il lavoro nero equivalga all'evasione fiscale.
Siamo stati, dunque, favorevoli all'approvazione di un emendamento che va in tale direzione, perché rispondente alle richieste avanzate dal gruppo Popolari-Udeur anche in un question time dell'onorevole Mauro Fabris.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, stiamo discutendo - e nei prossimi giorni cominceremo a votare - un provvedimento importante e significativo, frutto di un lavoro intenso, che ha portato alla stipula di un accordo da parte del Governo con le parti sociali, tradotto poi nel disegno di legge in discussione.
Il primo aspetto su cui fare chiarezza in questo dibattito è che un lavoro di tal genere viaggia sicuramente su un punto di equilibrio complicato. Da una parte il rispetto della trattativa che vi è stata con le parti sociali e sulla quale si sono pronunciati con referendum milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati e, dall'altra parte, il legittimo spazio di autonomia ed il ruolo del Parlamento. Penso chePag. 64il lavoro che abbiamo prodotto non abbia rotto tale equilibrio, e sarebbe un errore pensare di sciogliere questo equilibrio con un voto di fiducia e non con una discussione di merito, che porti il Parlamento ad apprezzare, discutere ed intervenire sul contenuto di tale provvedimento, sapendo che tutti dobbiamo muoverci dentro quell'equilibrio che prima ho richiamato.
Infatti, se avessi dovuto riproporre, per quello che mi riguarda, l'opinione del mio gruppo politico su quell'accordo, avrei dovuto riprodurre posizioni che portavano ad una drastica modificazione della soluzione sullo schema pensionistico.
A parte il positivo superamento dello scalone Maroni, penso che sia stato un errore - è noto - prevedere in quell'accordo un meccanismo, che in parte condivido (poteva essere socialmente equo), ossia quello delle quote, per accedere, in sommatoria tra età personale ed età contributiva, e andare in pensione; credo comunque che sia stato un grave errore avere agganciato al meccanismo delle quote quello dell'età. Tale meccanismo produce delle ingiustizie. Provengo da una terra ricca di lavoro industriale, come Sesto San Giovanni, e tutte le mattine incontro lavoratori che hanno fatto quella storia e che mi pongono domande del tipo: «è giusto, ad esempio, che, quando scatta quota 95 o 96, qualcuno, solo perché ha qualche anno in più di età e magari ha uno o due anni in meno di lavoro rispetto a me, ha diritto ad andare in pensione, mentre io solo perché ho 58 anni di età, anche se ho iniziato a lavorare precocemente e magari ho più anni di lavoro, non ho questo diritto?» Penso che la soluzione trovata sia socialmente ingiusta rispetto alla realtà del mondo del lavoro per quella che è.
Tuttavia, pur ribadendo il nostro giudizio critico, tenendo conto che era stata raggiunta un'intesa, vi era stato un referendum, non abbiamo riproposto emendamenti che stravolgessero quell'accordo. Abbiamo tutti lavorato unitariamente e positivamente, anche se con opinioni diverse e con una certa dialettica, per affrontare e risolvere quei punti che potessero offrire, dal punto di vista interpretativo, delle certezze e non delle ambiguità, senza stravolgere il senso, la logica, l'equilibrio che l'accordo aveva raggiunto.
Vorrei citare due esempi di modifiche intervenute. Ogni mattina - lo ripeto - vengo fermato da lavoratori e lavoratrici che mi dicono: «Augusto, perché insisti così in un giudizio critico? È un accordo importante per noi. Io lavoro su tre turni, conduco una vita faticosa e il sindacato mi ha detto che, io che lavoro su tre turni, ho diritto ad andare in pensione con 57 anni (quindi non con lo scalino a 58) e manterrò i miei tre anni di riconoscimento di gravosità del lavoro per la pensione anticipata rispetto agli altri». Ebbene, noi riteniamo ingiusto aver mantenuto la delega al Governo, con un riferimento che non sia un riferimento legislativo che svuoterebbe, quasi totalmente, la possibilità per chi lavora su tre turni, continuativamente nell'arco di sette anni negli ultimi dieci, per metà dell'attività lavorativa, di poter godere di questo riconoscimento per la fatica e la gravosità del lavoro. Ripeto, senza forzare l'accordo, non viene introdotta un'altra soglia, un altro meccanismo rispetto a ciò che era previsto. Viene espunto l'esclusivo riferimento di una legge che prevede le ottanta giornate lavorative di notte, perché tutti sappiamo che un metalmeccanico, un chimico (e potrei andare avanti nell'elenco) che lavorano su tre turni per tutta la vita, per effetto delle turnazioni e così via, hanno un andamento medio delle giornate di lavoro notturno nell'arco dell'anno lavorativo tra le 70 e le 76 giornate di lavoro.
Dopo di che, nessuno ha voluto forzare l'accordo: non è stato indicato il numero di giornate; si è mantenuta la delega al Governo; il Governo sa che vi è un vincolo dal punto di vista del costo a regime di questa manovra; tuttavia, si dovrà dare attuazione alla normativa con le parti sociali. Noi non avremmo voluto la delega; il Governo sa che avevamo proposto di cancellare la delega al Governo e di varare immediatamente la norma attuativa. Si è detto che le parti sociali avrebbero dovutoPag. 65concorrere all'attuazione di quell'aspetto, si è tolto quel vincolo di riferimento e si è lasciata la cifra di spesa.
Pertanto, non capisco quando sento sollevare obiezioni dal punto di vista dei costi. Vorrei ricordare a questo Parlamento che dal centrodestra, da cui viene sollevata l'obiezione dei costi e delle coperture finanziarie, qualcuno aveva proposto un emendamento, presentato a firma degli onorevoli dell'UDC, per prevedere rigidamente settanta notti.
Uno come me ha votato contro l'approvazione di tale emendamento, rimanendo fedele ad un patto e ad un equilibrio trovati nella maggioranza sul mantenimento della delega al Governo e sul ruolo del confronto con le parti sociali. Tolto il «cappio» delle ottanta giornate, si è poi detto che il Governo sulla base dei costi e nel confronto con le parti sociali individuerà il punto di equilibrio attuativo. In cosa consistono le polemiche sulle rotture dei margini di spesa? Lo ripeto: quando le polemiche provengono dall'interno della maggioranza non le capisco perché non si è alterato alcun margine di spesa; quando, invece, provengono dall'opposizione mi fanno sorridere, perché l'opposizione stessa ha proposto emendamenti di «splafonamento» totale della spesa, si pensi, ad esempio, all'applicazione di una norma rigida come quella sulle settanta notti, che ho citato prima, che è stata proposta in un emendamento dell'UDC.
Espongo le altre due questioni sulle quali intendo soffermarmi. La prima riguarda il programma dell'Unione: il Ministro e il Governo, in base al programma dell'Unione, hanno sempre dichiarato che due erano le forme più abnormi di precarizzazione del lavoro presenti nella legge n. 30 del 2003 che il Governo si impegnava ad abrogare: il lavoro a chiamata e lo staff leasing. Non si tratta di opinioni del gruppo di Rifondazione Comunista; io vorrei l'abrogazione integrale della legge n. 30, quindi, la mia opinione è un po' più radicale di quella del Governo!
Con l'Accordo sul welfare finalmente, dopo più di un anno di vita dell'attuale Esecutivo, arriviamo ad abrogare il lavoro a chiamata. Noi l'abbiamo proposto e si è discusso e convenuto insieme che, in applicazione del programma dell'Unione, si introducesse l'abrogazione dello staff leasing. Il programma dell'Unione riguarda anche il senatore Dini o solo il sottoscritto? Lo dico considerate le polemiche giornalistiche e le tante discussioni che si fanno sul punto. A mio avviso, finalmente il Governo attua una parte del programma in questa materia, in piena coerenza con gli impegni assunti con gli elettori.
Seconda questione: il Governo ha sempre affermato di voler condurre una strategia di lotta alla precarietà. Se vi è un aspetto della condotta del Governo che a volte, anche personalmente, ho criticato aspramente, è che quest'azione talvolta sia troppo lenta; spesso mi è stato risposto che occorre un'intera legislatura per realizzare misure ampie e coerenti che vadano in questa direzione. Manteniamo la diversità di giudizio, ma tutti abbiamo convenuto di lavorare per valutare come attuare le norme contro la precarietà.
L'Accordo raggiunto tra le parti sociali contiene un'idea; si sostiene, infatti, di iniziare a costruire un percorso che, almeno in relazione ai contratti a termine, porti a un ragionamento di uso non indiscriminato della precarietà: si tratta dei famosi trentasei mesi ai quali aggiungere la deroga. Ritengo che anche su questo aspetto siamo intervenuti con due proposte interpretative che non mutano di una virgola l'equilibrio e il senso di quell'Accordo. Abbiamo sostenuto che per conteggiare i trentasei mesi non si potesse usare la formula continuativa, perché vorremmo che nel Parlamento e nelle nostre discussioni ogni tanto risuonasse la vera condizione di vita delle persone, non l'eco di dibattiti un po' politicisti e astratti!
In Italia non vi è alcun datore di lavoro che concluda i contratti a termine uno dietro l'altro. Grazie alla cosiddetta legge Biagi, con una pausa di interruzione tra un contratto e l'altro, che parte da un minimo di cinque giorni ed arriva fino a venti giorni, i datori di lavoro hanno la possibilità di sancire, anche a fronte di un'eventuale causa di tutela del lavoratore,Pag. 66che non vi è la continuità. Ciò premesso, sostenere che i periodi di riposo, ossia di non lavoro, non valgano niente, ma che i periodi di lavoro che il lavoratore ha realmente prestato si sommano tra loro e non vengono azzerati da una pausa di cinque o di venti giorni, è qualcosa in grado di stravolgere l'accordo? Non penso proprio! Parlo con rispetto per le grandi organizzazioni anche imprenditoriali e capisco che a volte occorre misurarsi anche con la realtà oggettiva del lavoro dell'impresa e non si può far finta di non tenerne conto, ma se taluno mi dice che, avendo sostenuto ciò, si è fatta una rivoluzione stravolgente, penso che allora voleva imbrogliare quei cinque milioni di lavoratori e di lavoratrici.
Se, infatti, si voleva intendere che era sufficiente la pausa di cinque giorni, o di venti giorni, affinché il periodo lavorato non contasse più niente, nessuno avrebbe mai sommato i 36 mesi.
Si parla, inoltre di una deroga. Noi abbiamo previsto alcuni aspetti, con un po' di buon senso in base alle direttive europee e alle quantificazioni nel tempo delle direttive europee con riferimento al passaggio da un lavoro flessibile alla stabilizzazione, invece che dal lavoro flessibile alla precarietà. Mi chiedo da chi sia nata l'idea di quantificare la deroga in un tetto massimo di otto mesi che, quindi, non esclude, non cambia e non stravolge!
Forse qualcuno pensava che la deroga significasse disporre di altri 36 mesi per continuare ad assumere con i contratti a termine? Non sono abituato ad usare le parole a sproposito, ma siamo veramente di fronte a venditori di bugie o a quei giocatori delle tre carte che ogni tanto si incontrano nei mercati per «fregare» a qualche povero allocco le 50 mila lire puntate sulla carta in cui sotto si trova il giochino? Se qualcuno pensa ciò è fuori dallo spirito dell'accordo, non chi, dentro lo spirito dell'accordo, ha posto un tetto alla deroga per garantire coerenza.
Mi lamento di non avere ricevuto la risposta dal Governo su altre due questioni, anzi, la risposta è stata negativa e la reputo totalmente coerente con questo passaggio. Se, infatti, dopo 36 mesi non si pone il vincolo del diritto di precedenza all'assunzione anche sul rinnovo di eventuali contratti a termine, sapete qual è il rischio concreto che si correrà nel Paese? Che un datore di lavoro prenderà il giovane, lo terrà per 36 mesi e se sa che dopo i 36 mesi deve chiedere la deroga - quindi, confrontarsi con i sindacati ed entrare in un percorso di futura stabilizzazione - dirà al giovane di stare a casa, ne prenderà un altro e ricomincerà con altri 36 mesi, poi un altro e così via.
Una clausola di salvaguardia coerente con lo spirito dell'accordo avrebbe previsto che, se il datore di lavoro avesse assunto con un altro contratto a termine, colui che ha fatto quel periodo precedente avrebbe avuto un diritto di precedenza all'assunzione anche con un contratto a tempo determinato. Non capisco perché il Governo ci abbia risposto di «no», ma riproporremo tale questione in Aula, presentando un emendamento.
Tuttavia, vorremmo che si obiettasse a ciò con delle argomentazioni di merito e in base al merito del problema posto. L'altra questione è quella che attiene al calcolo dei 36 mesi. Vorrei che fosse chiaro a tutti che stiamo parlando di una persona che svolge lo stesso tipo di lavoro, la stessa mansione per lo stesso datore di lavoro. Se si è svolto il lavoro per una parte dei 36 mesi con il contratto a termine, per un'altra con il lavoro interinale - ora si dice «a somministrazione» - e per un'altra ancora con il contratto di collaborazione, svolgendo sempre lo stesso lavoro, mi chiedo cosa cambi.
Giuridicamente lo so anch'io che si tratta di tre rapporti di lavoro diversi. Non sono così sciocco da non sapere che con il contratto di somministrazione si è dipendenti di un'agenzia, che quello di collaborazione è un contratto di lavoro autonomo e parasubordinato. Tuttavia, come si può sostenere che questi due profili da cui ci aspettiamo delle risposte non siano coerenti con lo spirito dell'accordo?
Questa è la ragione per cui, in base al lavoro positivo svolto dalla Commissione, se avessi dovuto esprimere il mio votoPag. 67finale in Aula mi sarei pronunciato per un voto favorevole su quell'ipotesi di intesa, pur mantenendo i dissensi (in parte anche radicali su alcune parti dell'accordo) e cogliendo il lavoro positivo che in parte è stato svolto già con il testo presentato dal Governo e con le precisazioni presentate dalla Commissione.
Oggi, invece, mi devo sentire dire che tutto il lavoro svolto è «stravolgente», ma di che cosa? A ciò non si risponde. Si parla di costi, ma i costi non esistono. Vi sono anche proposte emendative approvate dalla Commissione, che pongono rilevanti problemi ipotetici di costi. Potrei citare quello a favore degli apprendisti per le piccole aziende: mi fermo qui, ma ve ne sarebbero altri.
Ritengo che domani il Parlamento debba iniziare una discussione di merito sulla base del testo approvato dalla Commissione, non si debba utilizzare lo strumento del voto di fiducia e, attraverso la discussione parlamentare, si debba giungere ad un voto positivo. Così come la Commissione ha svolto bene il suo lavoro, confido nel ruolo del Parlamento italiano (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e del deputato Baldelli).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di passare all'analisi del Protocollo sul welfare, del quale si sta discutendo in queste ore, occorre svolgere innanzitutto una premessa di ordine politico, anche se in parte riprenderò ciò che è già stato affermato da vari colleghi appartenenti - lo sottolineo - ad entrambi gli schieramenti, ossia maggioranza e di opposizione.
Innanzitutto, rivolgo una richiesta pressante al Governo affinché non ponga la questione di fiducia in modo pregiudiziale. Di solito la questione di fiducia - almeno, per quello che mi risulta - viene posta perché l'opposizione di fatto esercita l'ostruzionismo su qualche provvedimento e il rispetto dei tempi previsti dalla legge impone di accelerare l'iter parlamentare. In questo caso, invece, siamo davanti ad una fiducia annunciata, senza prima aver verificato le intenzioni dell'opposizione e senza soprattutto sapere su quale testo si pone la fiducia. Ciò denota una totale sfiducia nei confronti di una parte del Parlamento che va sottolineata.
In secondo luogo, come si può preliminarmente porre la fiducia senza neanche sapere su quale testo si dovrà votare? Questa è una mancanza di serietà, a mio avviso, senza precedenti, che va denunciata. In realtà, si ricorre alla fiducia per ricomporre un quadro di Governo che non c'è e per ricompattare una maggioranza riottosa che non si mette d'accordo praticamente su nulla. Si ricorre alla fiducia come estremo strumento per cercare di tacitare tutti i dissidenti (oggi se ne sono sentiti gli echi in quest'aula) e per ricompattare necessariamente una maggioranza in chiara difficoltà.
Il Ministro Mastella, un leader, un Ministro di questo Governo, ha dichiarato: «Sul welfare siamo al paradosso: da una parte c'è un referendum fra i sindacati che sottoscrivono un patto con il Governo; dall'altra c'è la sinistra radicale, quella più vicina alle organizzazioni sindacali, che manifesta contro di loro. E, ora, un'indecisione mai vista, che rischia di rimettere tutto in discussione. Questa non è un'azione di Governo, è qualcosa di surreale». Parole del Ministro Mastella. Non solo, ma il Ministro afferma che pacta sunt servanda e quindi i patti decisi con le parti sociali vanno assolutamente rispettati, altrimenti, afferma il ministro, si prenda atto che non c'è più coabitazione nel Governo. Sul welfare, prosegue il Ministro Mastella, il partito di Rifondazione Comunista deve scegliere se essere un partito di sinistra europeo di Governo oppure seguire il movimentismo di cui ha beneficiato fino a oggi, così come altri partiti su altre questioni, perché non si può continuare a inseguire il miraggio del momento senza avere alcuna prospettiva: si tratterebbe di decisioni sempre imminenti perché il quadro politico è cambiato. E viaPag. 68seguitando. Queste sono parole di un Ministro, ripeto, non di un esponente dell'opposizione. Sono parole gravi, che rivelano la mancanza di fiducia all'interno del Governo, di cui il Paese intero è ormai ben consapevole.
La questione che dilania la maggioranza è la contrapposizione tra che sostiene l'intangibilità del Protocollo e chi sostiene che è il Parlamento a dover approvare le leggi. È il classico caso in cui tutti hanno ragione o - meglio - in cui tutti hanno torto, perché se da un lato è vero che milioni di operai e di lavoratori hanno sottoscritto quel Protocollo - e quindi non vanno traditi - dall'altro è vero che il Parlamento non può essere esautorato e non può ridursi a sottoscrivere passivamente un testo blindato, solamente perché firmato dalle parti sociali e dal Governo.
È una pretesa assolutamente inaccettabile. È un pasticcio irrisolvibile - da qui nasce la necessità della questione di fiducia - che non si sarebbe verificato se il Governo avesse iniziato la discussione su tali delicate questioni nelle aule parlamentari e non con le parti sociali. È uno stravolgimento delle regole democratiche, che crea pericolosi e ambigui precedenti. Una legge varata fuori dalle aule parlamentari costituisce, in realtà, una violazione della Costituzione, così come la modifica del Protocollo sancirebbe la morte della concertazione, tanto difesa e voluta dal Governo Prodi. Sono aspetti noti, ma è bene ribadirli, per sottolineare il modo di procedere del Governo, che è chiaramente in uno stato confusionale.
Con l'accordo sulla previdenza, il lavoro e la competitività, il Governo ha inteso non solo rilanciare il metodo della concertazione, dando - lo ripeto - la precedenza alle parti sociali, ma ha voluto porre i riflettori sullo sviluppo e la competitività del Paese, che è certamente un argomento importante. Peccato, però, che si agisca in controtendenza rispetto all'Europa. Questo disegno di legge è stato giustamente considerato non un provvedimento qualsiasi, sia perché è il risultato di mesi di concertazione e di confronto tra Governo e parti sociali, a cui tutti abbiamo assistito, sia perché è stato sottoposto al referendum, di cui ho parlato in precedenza.
Nonostante le buone premesse iniziali e gli ambiziosi progetti di accrescere la competitività del Paese attraverso il miglioramento del mercato del lavoro, si è giunti a un provvedimento che va in controtendenza rispetto all'Europa. Il nostro Paese continua a muoversi in modo negativo rispetto al resto dell'Europa, non allineandosi con i sistemi di sviluppo e di lavoro internazionali e continuando a potenziare, con disposizioni normative come quelle in esame, molte debolezze strutturali di questo sistema. Mi chiedo se ci si renda conto di ciò e se si sia consapevoli del rischio che il Paese sta correndo.
Come è noto, uno dei dati portanti della riduzione del tasso di sviluppo dell'economia italiana è la scarsa crescita della produttività del lavoro. È un problema ancora più grave se si considera in un contesto più esteso, a livello europeo, dove la produttività del lavoro non solo non è diminuita, ma è addirittura aumentata, con importanti tassi di crescita, al contrario di quanto avviene in Italia.
Disegni di legge come quello in oggetto non portano al raggiungimento di tassi di crescita significativi, come molti esperti hanno sottolineato, ma, al contrario, incentivano l'effetto di penalizzazione della competitività delle imprese. Non è un mistero che l'Italia non riesca a raggiungere i tassi di occupazione previsti dalla strategia di Lisbona. Durante il periodo della concertazione si è a lungo parlato di mercato del lavoro, nel tentativo di evidenziare il ruolo centrale dei lavoratori, inseriti in un contesto non più di esclusiva emergenza lavoro, ma inteso come struttura portante di garanzia, assistenza economica e riqualificazione professionale.
Purtroppo non è così. Questo provvedimento non risponde alle esigenze manifestate. Inoltre, sono stati contraddetti i presupposti base che lo hanno animato e che animano questa maggioranza. La riforma del mercato del lavoro varata nella scorsa legislatura ci ha portati a un mercato del lavoro flessibile, ma regolato.Pag. 69Invece, con il provvedimento in esame assistiamo al rinvio di scelte difficili ma necessarie, secondo la tattica diffusa di questo Governo di rinviare ad aeternum decisioni difficili. Ne è un esempio la revisione dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione, considerata, già nel 1995, e quindi più di dieci anni fa, l'architrave del sistema contributivo. Tale revisione, come è noto, avrebbe dovuto essere realizzata nel 2005 ed è stata rinviata al 2010, con enormi aggravi di spesa per il nostro Paese.
Per la prima volta nel nostro ordinamento, il pensionamento di vecchiaia è subordinato al meccanismo delle finestre: è previsto l'aumento dell'età pensionabile nella misura di almeno tre mesi per il lavoratore dipendente e di almeno sei mesi per il lavoratore autonomo, creando una chiara disparità a livello previdenziale. Si è tentato di arginare tali dispositivi, per quanto è stato possibile, nel corso dell'esame in Commissione, e ne è una prova l'emendamento sull'apprendistato, che ha come primo firmatario l'onorevole Compagnon. L'apprendistato, così com'è stato più volte evidenziato, è un contratto dalla cui applicazione potrebbero giungere significativi successi in termini di occupazione giovanile, ma che ancora oggi presenta un meccanismo farraginoso.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,30)
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. In Commissione abbiamo voluto dare rilevanza al rapporto di apprendistato, convertendolo in rapporto a tempo indeterminato, ferma restando l'utilizzazione del lavoratore in attività corrispondenti alla formazione conseguita e al completamento dell'obbligo formativo. Siamo ancora distanti, molto distanti rispetto a quanto realizzato in altri Paesi europei. Inoltre, la revisione dello scalone inciderà sicuramente in maniera negativa sulla tenuta del sistema previdenziale e rischia di riproporre ingiustificati elementi di iniquità per i lavoratori autonomi.
Ciò che ci preoccupa, e su cui non daremo il nostro assenso, è l'inserimento di meccanismi perversi, che rischiano di generare maggiori spese. La riforma, anziché razionalizzare il sistema pensionistico nella sua interezza, interviene con una soluzione diretta a favorire alcune fasce di lavoratori a scapito di altre, e ciò che è evidente è che si sta decidendo di procedere - insisto - in controtendenza rispetto all'Europa, varando una riforma che abbassa l'età pensionabile (mentre in tutta Europa è più alta), accrescendo quindi in maniera imprevedibile la spesa pensionistica.
Il Protocollo, secondo stime ottimistiche - vi sono studi che affermano che tali stime non sono assolutamente veritiere - pare che abbia un'incidenza di 10 miliardi di euro sulla spesa pubblica. L'onere finanziario sarebbe compensato dall'aumento dei contributi sul lavoro, che si traduce nell'aumento del costo del lavoro per le imprese e in maggiori oneri per i lavoratori. Anche la razionalizzazione degli enti previdenziali sembra che non solo non porterà risparmi, ma rischia di causare aggravi di spese.
Dopo diverse trattative, siamo arrivati alla sostituzione del famoso scalone pensionistico della riforma Maroni, che dal 1o gennaio 2008 innalzava da 57 a 60 anni l'età minima pensionabile. Va precisato che la platea che è stata accontentata eliminando lo scalone della riforma Maroni è di portata molto ridotta, perché sono stati eseguiti calcoli in base ai quali risulta che tale abolizione interessi alcune decine di migliaia di lavoratori: al contrario, quanti giovani delle future generazioni e quanti lavoratori saranno penalizzati? Si è voluto introdurre un sistema che è un mix tra età anagrafica e quote.
L'articolo 1 del provvedimento in esame conferisce al Governo una delega per definire la platea dei lavori usuranti: anche in questo caso, abbiamo assistito a una prova veramente non qualificabile e non qualificante da parte del Governo. Il tema dei lavori usuranti ha tormentato tutti noi, l'opinione pubblica e i giornali per settimane e per mesi. Si è allargata laPag. 70platea in maniera assolutamente impensabile, ed è saltato anche il vincolo delle famose ottanta notti, che definiva il lavoro usurante.
Attraverso una delega è stato conferito al Governo il compito di specificare un nuovo criterio, e se questo sarà più generoso, come immagino, si aprirà il rischio di un aumento di spesa in dieci anni di altri 2,8 miliardi di euro. Risulta evidente che, cambiando le opzioni da cui si era partiti, almeno la metà delle risorse necessarie per il superamento dello scalone e per le agevolazioni a favore dei lavoratori che svolgono attività usuranti sarà reperita attraverso un aggravio della pressione contributiva. Siamo lontani dall'obiettivo della riduzione della spesa pubblica, che rappresenta un principio reiteratamente affermato anche nel DPEF.
La preoccupazione dell'aumento della spesa pubblica non è solamente dell'UDC, ma a lanciare l'allarme è lo stesso presidente dell'INPS, Giampaolo Sassi. Si stima oggi, infatti, che i maggiori oneri per le finanze pubbliche siano pari a 1.264 milioni di euro per il 2008, 1.500 per il 2009, 3.048 per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e 1.900 a decorrere dal 2012: si tratta di cifre ingentissime. Così facendo si rischia di produrre effetti opposti a quelli previsti dall'intesa iniziale, ispirata da un approccio ideologico, e addirittura contrari a quelli dell'equità fiscale e della tutela dei più deboli. Sono previste deleghe legislative riguardanti, fra l'altro, gli ammortizzatori sociali e il mercato del lavoro femminile.
Riguardo a questi provvedimenti, a parte i 5 milioni che hanno approvato il Protocollo, si è cercato di capire che cosa pensano realmente i lavoratori dei lavori atipici? Quanto allo staff leasing (somministrazione di lavoro a tempo indeterminato) vi è da dire che le forze politiche della maggioranza si stanno strenuamente battendo per la sua cancellazione. Ma tali forze politiche si sono premurate di capire e di quantificare il fenomeno? Hanno provato a sondare i lavoratori che prestano quest'opera? Hanno cercato di capire cosa vogliono questi lavoratori? Si tratta di lavoratori assunti a tempo indeterminato che godono di tutti i diritti, compreso l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e che quindi tanto precari non sono. A proposito dei lavoratori a chiamata, si è considerato adeguatamente che l'alternativa a questa tipologia contrattuale non è un posto fisso ma è il lavoro nero fuori da ogni regola? È in grado il Governo di fornirci delle risposte sul fenomeno delle false cooperative negli appalti di mano d'opera, nei quali i lavoratori sono molto più esposti a ogni tipo di sopruso? Ci viene risposto che nel programma dell'Unione era previsto che lo staff leasing fosse abolito e che per tale ragione, senza nessun'altra argomentazione, verrà abolito.
Credo che questi lavoratori avrebbero meritato maggiore rispetto, e voglio sottolineare altresì che non esistono degli studi seri da parte del Governo e dell'attuale maggioranza per rispondere a queste domande. Vi sono degli studi, invece, anche in mio possesso, con i quali si dimostra che la nuova disciplina proposta per la tutela dei lavoratori adibiti a mansioni usuranti, per l'ampiezza della platea interessata, potrebbe superare di quattro o cinque volte lo stanziamento previsto. Si stravolge in questo modo l'impianto fondamentale della riforma del 1995, si ampliano le figure coinvolte e si trovano tutti i sistemi per rimanere alla fine approssimativamente nella stessa condizione precedente. Tutto ciò avviene senza che nessuno abbia avuto il coraggio di apportare quelle sostanziali, serie, dolorose e faticose modifiche, necessarie per il futuro del nostro Paese e per le future generazioni.
Sono argomentazioni serie, richiamate in quest'Aula anche da altri colleghi, ed è per questa ragione che non potremmo dare la nostra fiducia (qualora venga posta la questione di fiducia) e comunque non possiamo approvare il provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, oggi ci troviamo ad affrontare la discussionePag. 71sulle linee generali del disegno di legge di attuazione del Protocollo sul welfare. Si tratta di una discussione generale assolutamente assurda e paradossale, per una ragione principale: il Governo ha già annunciato pubblicamente, da qualche giorno, che porrà la questione di fiducia sul provvedimento in esame. Il dato politico - che rappresenta l'assurdità di questa situazione - è che il Governo ancora non ha dichiarato né in quest'Aula, né fuori - perché probabilmente ancora non lo sa - su quale testo intende porre la questione di fiducia.
Tutto ciò ha alimentato un dibattito, in larga parte interno alla maggioranza ma anche nel Paese e tra le forze sociali, piuttosto ampio e anche duro, di cui abbiamo avuto qualche esempio durante la discussione odierna, quando, alla presenza del sottosegretario Letta e del Ministro Damiano, il collega Rocchi, con coerenza e determinazione, faceva presente che Rifondazione Comunista difende le scelte operate in XI Commissione relative al nuovo testo del provvedimento in esame. Si tratta di un testo differente da quello trasmesso dal Governo alla Camera ed esaminato dalla Commissione, e probabilmente differente, almeno in parte, dal testo del Protocollo dello scorso 23 luglio.
L'origine di questo provvedimento sciagurato è nota, e si tratta di un'origine nefasta. Quando il centrosinistra scelse di dare corso al superamento dello scalone Maroni, in campagna elettorale scrisse nel programma che avrebbe attuato il superamento dello stesso, non precisando bene in cosa potesse consistere tale superamento, se in un'abolizione tout court, oppure in un meccanismo di trasformazione della riforma previdenziale Maroni con il passaggio dallo scalone agli «scalini». È su tale problema che si è verificata l'origine di una questione che ancora oggi permea il dibattito politico e che sembra quasi portare ad una crisi e ad un'implosione della maggioranza, su un tema rispetto al quale da sempre denunciamo una spaccatura storica tra il centro del centrosinistra e l'ala massimalista e comunista della coalizione. Si tratta di una spaccatura che esiste da sempre, e che in questa circostanza emerge in tutte le sue contraddizioni e in tutta la sua forza politica dirompente.
In questo senso crediamo che essersi infilati in un vicolo cieco, quello dell'abolizione dello scalone, da parte della maggioranza, e annettere a questo tema (che già a nostro modesto avviso rappresenta un errore politico) una serie di altre questioni con cui poi la maggioranza e il Governo sono andate sempre più «incartandosi» nel Protocollo, costituiscano degli sbagli che hanno determinato la situazione attuale.
Molto più banalmente, e molto più furbamente, l'attuale maggioranza avrebbe potuto ammettere che il Ministro Maroni aveva realizzato una riforma delle pensioni coerente con l'impronta della riforma Dini, quindi con un sistema contributivo.
Si è poi avviata la fase del secondo pilastro della previdenza complementare, anche in tal caso in maniera abbastanza dubbia, ovvero sfilando all'XI Commissione della Camera un provvedimento già incardinato e già all'esame della stessa, per inserirla in qualche modo in un altro provvedimento all'esame del Senato. Tuttavia, al di là di tale situazione, avreste potuto ammettere, sottosegretario Montagnino ed esponenti della maggioranza, che questa riforma ormai era stata realizzata.
Si tratta di una riforma che, tutto sommato, ci avvicina all'Europa. Il Governo Berlusconi e lo stesso Maroni non sono certo degli «affamatori» di lavoratori; essi, in una valutazione generale, hanno semplicemente ragionato sul fatto che, se in Europa l'età pensionabile si stava alzando verso i 65 anni, forse l'Italia avrebbe potuto cominciare - lo sottolineo: cominciare - ad adeguarsi e ad avere un rapporto più equo con le nuove generazioni, le quali saranno costrette a lavorare il doppio delle precedenti e a guadagnare la metà.
Infatti, considerati i ritardi di questo Paese nella riforma delle pensioni e nelle riforme che, già dal 1994, sarebbero andate verso una maggiore sostenibilità delPag. 72sistema e una riduzione generalizzata della pressione fiscale (poiché molte delle entrate che sono derivate dalle manovre finanziarie di questi anni sono servite a sostenere il sistema), si sarebbe potuta prendere quella riforma, darla per scontata e, magari, stanziare risorse per qualcosa di costruttivo, come la costruzione di veri ammortizzatori sociali o l'applicazione e il completamento della seconda parte della riforma Biagi. In altre parole, si sarebbe trattato di abbinare flessibilità a meccanismi di ammortizzatori sociali attivi (e non a sussidi di disoccupazione tout court) per quei lavoratori che, all'interno dei meccanismi di flessibilità, non avessero trovato risposte di continuità, eludendo così la tentazione della mera e pura assistenza, per andare verso quel genere di intervento.
Invece, ciò non si è fatto: si è toccato il cosiddetto scalone e lo si è superato, tra l'altro finanziandolo per un terzo con i contributi dei cosiddetti precari. Non si capisce perché, poi, questa maggioranza ami chiamarli «precari» quando si affrontano questioni relative a tipologie di lavoro, legge Biagi e flessibilità, mentre, quando si tratta di mettere loro le mani in tasca per prendere quei contributi da una gestione separata dell'INPS (finalmente attiva), li chiama «parasubordinati». Si tratta, dunque, di una «norma fregatura» nei confronti dei giovani.
Questa è l'origine; in più, vi è il Protocollo: una serie di accordi che il Governo ha stipulato con le parti sociali e con le organizzazioni che lo hanno sottoscritto. Qui veniamo all'altro nodo: come affermava il collega Rocchi in un comunicato di qualche giorno fa, attraverso un'immagine che ho utilizzato anch'io (questo la dice lunga sulla credibilità di questo Governo), avete dato la sensazione dei giocatori del gioco delle tre carte: quelli che si mettono fuori dai mercatini, nei posti ove vi è grande traffico di persone, con le tre carte e i compari.
Vorrei esprimere una considerazione in quest'Aula, per lasciarne memoria, anche in presenza del Ministro Damiano, il quale - diamogliene atto - da questa mattina segue con attenzione i lavori relativi a questo provvedimento.
In Commissione è stato modificato il testo che era il risultato del cosiddetto accordo, che, tra l'altro, ha incontrato difficoltà di traduzione (basti vedere il ritardo con cui il Governo lo ha trasmesso al Parlamento). Gli accordi, infatti, vanno tradotti e, quando lo si fa, non si possono raccontare fandonie ai propri sostenitori dicendo di aver «strappato» questa o quell'altra cosa; quando un accordo si traduce, va fatto per iscritto, servono i soldi, servono coperture finanziarie (che, peraltro, non ci sono); insomma, la difficoltà di tradurre l'accordo si è manifestata nel ritardo con cui il Governo è riuscito a trasmetterlo al Parlamento.
Quando, in Commissione, al testo che era il frutto di tale accordo sono state apportate modifiche - seppure con il parere contrario del sottosegretario Montagnino -, non è successo nulla! Il relatore Delbono, con il parere favorevole, ha espresso l'assenso all'approvazione di emendamenti firmati dal presidente Pagliarini o dai colleghi della cosiddetta «cosa rossa», dei Comunisti, dei Verdi e della Sinistra Democratica. Tali emendamenti oggi costituiscono la pietra dello scandalo di cui le parti sociali - Confindustria e altri sottoscrittori del Protocollo - si lamentano recandosi a Palazzo Chigi per protestare contro il Governo, che li rassicura dicendo loro di non preoccuparsi, in quanto risolveranno il problema (ma non hanno ancora capito come!).
Ebbene, quando tutto questo accadeva, non vi è stata una volta, signor Ministro, che la Commissione abbia interrotto i propri lavori.
Se in Aula il Governo fosse sconfitto, con il parere favorevole del relatore, si aprirebbe una crisi nella maggioranza tale che lei, signor Ministro, si dimetterebbe nello stesso istante! In Commissione, al contrario, ciò non è mai successo! E lo sa perché? Perché era una presa in giro, era una pantomima, era un accordo che il Governo aveva stretto con quella parte della maggioranza che voleva approvarePag. 73quei provvedimenti in quel modo, così come risultano nel testo in esame, che voi vorreste sostituire con un testo che ancora non si è ben capito quale sia, ma che probabilmente rispecchia il testo originario che avete presentato al Parlamento.
Ma non venite a dirci che il parere contrario formale espresso dal sottosegretario Montagnino in Commissione costituiva la difesa dell'accordo da parte del Governo. Non c'era nessuna difesa dell'accordo, è stata fatta una difesa d'ufficio! Non voglio mettere in difficoltà il sottosegretario Montagnino: voglio semplicemente dire che, quando il parere del relatore è favorevole, evidentemente c'è un accordo. A meno che non siate veramente una banda di sprovveduti. Non credo che questa sia la verità.
La verità è che voi sapevate e che vi siete permessi di spostare a sinistra il Protocollo, nella speranza che nessuno se ne accorgesse o che nessuno sollevasse una questione politica o un problema. Ma quando la questione politica è stata sollevata, quando il problema è stato posto, quando Montezemolo è venuto a tirarvi le orecchie a Palazzo Chigi, quando la Confcommercio si è fatta sentire sul job on call e quando i sindacati si sono fatti sentire sullo staff leasing (dicendovi che era scritto che non si aboliva e voi lo abolite con un colpo di mano), allora sì: da un lato, c'è il rispetto del Parlamento ma, dall'altro lato, c'è il rispetto degli accordi e questi accordi li avete fatti voi, sia con il Protocollo, sia in Parlamento! Il parere contrario è stato solo formale: non si sono sospesi i lavori della Commissione lavoro neanche per un minuto, non c'è stata una riunione di maggioranza: era tutto chiaramente concordato. Questo è ciò che è successo e questo è il motivo per cui siamo oggi in Aula a svolgere una discussione sulle linee generali su un testo che non conosciamo.
C'è una questione di fondo: in questa sede emerge una spaccatura storica, che abbiamo visto da sempre nel centrosinistra. Nel 1998 siete caduti - questa maggioranza e Prodi in persona - perché Rifondazione comunista vi ha tolto la fiducia. Oggi la questione viene riproposta: voi dovete decidere se scontentare Lamberto Dini o Augusto Rocchi. Questa è la scelta, che forse, Ministro, può far sorridere: magari, è più facile scontentare Augusto Rocchi, visto che è deputato della Repubblica, ma credo che Augusto Rocchi abbia dei corrispettivi anche al Senato. Credo che una maggioranza tenga se si fa chiarezza con onestà intellettuale.
Il job on call è stato abolito, con un emendamento che, peraltro, riprende anche alcuni miei emendamenti sul settore del turismo e dello spettacolo, ed è stato poi in maniera fittizia reintrodotto, sebbene dopo la contrattazione tra le parti. Credo, signor Ministro, che lei dovrebbe spiegarci perché in un'audizione, nel corso di un'indagine sul precariato alla Camera (di cui la informo che non abbiamo ancora visto la relazione conclusiva: il problema non la riguarda direttamente, forse riguarda di più il presidente Pagliarini e la maggioranza in Commissione, che probabilmente non ha voluto scrivere nero su bianco che non è possibile fare l'equazione «precarietà uguale flessibilità», e quindi «legge Biagi uguale precarietà»), afferma che lo staff leasing e il job on call sono tipologie precarizzanti, mentre la stessa maggioranza e il relatore scrivono in un emendamento (che di fatto reintroduce, anche se in maniera surrettizia, il job on call) che la sua reintroduzione serve ad impedire a tanti lavoratori di ricadere nel sommerso, mentre il sindacato solleva la testa e protesta perché è stato abolito lo staff leasing. Diciamoci la verità: quante persone riguarderà? Comunque, si tratta del punto di diritto, di principio, signor Ministro. Sono tipologie precarizzanti o sono norme che permettono ad alcuni lavoratori di non essere abbandonati al sommerso? Sono norme che tutelano i lavoratori o sono norme precarizzanti? Delle due l'una, signor Ministro!
Allora, siamo chiari: noi non crediamo che tali istituti siano precarizzanti; crediamo che questo sia l'ennesimo gioco delle parti per sacrificare qualcosa di poco significativo in termini numerici sul tavolo della contrattazione con una forza politicaPag. 74che ha fatto della precarietà e dello sbandieramento di bugie sulla precarietà, sulla legge Biagi e anche sul pacchetto Treu il proprio cavallo di battaglia.
Non a caso si sono definiti Treu e Biagi due «assassini». Chi ha fatto di tutto questo una bandiera pretende ora sul tavolo e sull'ara della trattativa il sacrificio di un «pezzo» della legge Biagi, che perfino i sindacati considerano importante.
Allora, dobbiamo fare chiarezza. Dovete trovare il coraggio di compiere uno scatto di orgoglio, ma non credo che lo abbiate, perché il comportamento che avete tenuto in questa sede dà la misura e la cifra politica di una coalizione che ha difficoltà nelle politiche sul lavoro, a tutelare i più giovani e a non cedere alle esigenze, alle pretese e ai diktat della sinistra del centrosinistra.
Servirebbe uno scatto di onestà intellettuale e ci piacerebbe che lei, Ministro - o qualcuno di questo Governo, da Enrico Letta a Romano Prodi -, si alzasse e rivolgendosi ai colleghi di Rifondazione e dei Comunisti Italiani dicesse: «Cari compagni, diciamo la verità: la legge Biagi è una buona legge».
Smettiamola, allora, con la farsa di dover togliere e sacrificare qualche «pezzo» della legge Biagi per dire di aver combattuto la precarietà: la precarietà è il lavoro nero, il sommerso. Quella è la precarietà! Ma voi non avete questo coraggio.
Oggi stiamo vivendo un momento che, se voi porrete la questione di fiducia, sarà l'unica occasione di discussione e mi auguro - rivolgo un appello in questo senso alla Presidenza - che, qualora il Governo dovesse porre la questione di fiducia, si trovi, nell'ambito del Regolamento parlamentare, un'occasione (e ve ne sono) di poter far discutere comunque il Parlamento, senza limitare la discussione sul provvedimento esclusivamente alla fase della discussione sulle linee generali, anche nel periodo delle ventiquattro ore all'interno delle quali si sospendono normalmente le attività delle Commissioni ed il resto dei lavori parlamentari.
Credo, infatti, che tale dibattito sia molto importante e rilevante per il Paese, riguardando i temi sociali in maniera così forte che non si possa impedire al Parlamento di discutere. Se il Governo ha l'esigenza di chiudere la bocca alla propria maggioranza, lo facesse pure per serrare i ranghi e cercare di far mandare giù questo amaro boccone al centro del centrosinistra o alla sinistra estrema, ma eviti perlomeno di chiudere la bocca al Parlamento.
Vi sono questioni importanti che riguardano tanti lavoratori. Ho presentato, signor Ministro, sottosegretario Montagnino - ma lo dico anche al relatore -, emendamenti soppressivi di alcune parti che sono state approvate in Commissione, con il nostro voto contrario, ma con quello chiaramente favorevole della vostra maggioranza, di fronte alle quali state tornando indietro. Affrontiamo, allora, queste parti, proviamo a migliorare il testo, esprimete parere favorevole su questi emendamenti! Vediamo se su questo terreno potete cogliere la sfida!
Vi è poi la diversa questione relativa alla copertura di bilancio. Vi risparmio di ripetere ciò che è stato già detto sui lavori usuranti, in ordine ai quali si è soltanto rimandato ad una commissione che seguirà il provvedimento il compito di definire quali e quante saranno le spese. Ma quando illustri esponenti vengono a riferirci che si tratta di un moltiplicatore del tetto inizialmente previsto dei 5 mila, chi ha a cuore la sostenibilità del sistema e i conti dello Stato sa bene che ci si trova di fronte ad una situazione che può degenerare.
Vi sono elementi - nel Protocollo e nel testo al nostro esame - che danno la misura di una concezione centralista ed assolutamente sbagliata del mercato del lavoro e di una nozione del mondo del lavoro che è ben diversa e contraria da quella di «mercato» del lavoro, che è altra cosa. Perché dobbiamo immaginare che possano esistere concetti di precedenza per i lavoratori che hanno lavorato, anche in maniera flessibile, in un'azienda? Crediamo veramente che si debbano scrivere liste di precedenza e che un'azienda nonPag. 75sappia da sé se si è trovata bene o no con un lavoratore e che, se si è trovata bene, non abbia l'interesse - ancora prima che la bontà - di riassumerlo? Noi crediamo di sì e riteniamo che l'impostazione secondo la quale aumentare i contributi rappresenti uno dei modi per stabilizzare il sistema del lavoro sia sbagliata e che vada nella direzione assolutamente contraria.
In altri termini, un maggiore costo del lavoro spinge i datori ad un maggior ricorso alle forme di lavoro flessibile. Nell'ultima audizione svolta nel corso della nostra indagine conoscitiva sul precariato, alla fine di maggio, fu proprio lei, signor Ministro Damiano, a dire che uno dei motivi per cui si ricorre al lavoro flessibile, oltre a quelli legati alla stagionalità e ad alcune esigenze effettive di flessibilità, è il costo del lavoro.
Forse, per guardare la luna e non il dito, bisognerebbe chiedersi in che modo ridurre i costi del lavoro, non come aumentarli. Non si deve avere un approccio dirigista.
Signor Ministro, mi rendo conto che la sua posizione è molto complicata e difficile. Lei, con grande eleganza parlamentare, si è sottratto in qualche modo al dibattito violento degli ultimi giorni, sebbene la parola ultima e definitiva spetti al Presidente del Consiglio. Infatti, la forza e la rilevanza sociale di uno scontro in ordine ad un Protocollo come quello in discussione, che di per sé è un grande pasticcio e con il quale si è compiuto il miracolo di scontentare tutti, meritano una parola e un'autorevolezza che il Presidente del Consiglio in questo momento non possiede, ma che tuttavia dovrebbe avere per risolvere un pasticcio che lo stesso Governo ha compiuto, trattando aspetti diversi su più tavoli.
Con una situazione simile credo che il rischio di implosione, di cui molti hanno parlato, possa essere dietro l'angolo. Il provvedimento in esame non dispone di coperture finanziarie. La razionalizzazione del sistema previdenziale che avete auspicato, come ha affermato lo stesso presidente dell'INPS, è di ardua realizzazione e, forse, ancora più difficilmente porterà le entrate da voi previste.
Abbiamo presentato tante altre proposte che sono state rifiutate senza essere prese neanche in considerazione o sono state apprezzate in privato, ma cassate in pubblico, durante lo svolgimento dei lavori della nostra Commissione.
Crediamo che ora l'iniziativa spetti a voi. Infatti, ricordo che oggi si sta svolgendo la discussione sulle linee generali del provvedimento, ma non si sa bene né perché né in ordine a cosa si discute, e l'unica seria valutazione politica che si può compiere, al di là degli incontri che nel frattempo si svolgono tra Lamberto Dini, la senatrice Finocchiaro, Enrico Letta ed altri soggetti ancora (dimostrando che qualcuno si mette al lavoro per cercare di spegnere l'incendio che voi stessi avete innescato), è quella di ricostruire la storia di questo provvedimento sciagurato.
Tuttavia, un ultimo elemento di chiarezza è necessario. Il sottosegretario Montagnino ha detto che i punti che si discostano dal testo originale dell'accordo sono costituiti da materie non trattate nello stesso accordo. Sottosegretario Montagnino, tale affermazione non mi sembra plausibile. Infatti, non mi pare fosse prevista, ad esempio, l'abrogazione dello staff leasing. Non mi sembra affatto! Evidentemente vi sono alcune questioni che sono state sollevate da Rifondazione Comunista e su cui dovrete fornire risposte.
Lei ha vantato il fatto che, per la prima volta, un patto arriva in Parlamento. Di questo passo, sottosegretario Montagnino, sarà pure la prima volta, ma probabilmente anche l'ultima, perché avete dimostrato scarsa serietà e scarsa affidabilità come interlocutori politici, con i vostri partiti di maggioranza, e vi siete rivelati scarsi interlocutori istituzionali con le categorie, le confederazioni e i sindacati che pure hanno sottoscritto l'accordo in un quadro in cui, evidentemente, ciascuno poteva avere degli interessi e delle convenienze. Come diversi soggetti hanno confermato nelle audizioni svolte, ad ognuno di tali interlocutori è stato detto chePag. 76l'accordo conteneva alcuni aspetti, ma poi nel testo del provvedimento gli stessi elementi non erano più presenti. Questa circostanza fornisce la misura della vostra credibilità.
Invito i rappresentanti del Governo che sono oggi in aula a svolgere una riflessione politica, perché se superate tale ostacolo - ed ancora non è detto - ponendo la fiducia su tale provvedimento, qui alla Camera, il problema politico, così come era presente prima, continuerà a sussistere.
Continuerà ad esserci in modo ancora più importante, finché non avrete il coraggio di affrontare gli elementi del dibattito con onestà intellettuale e chiarezza, finché non avrete il coraggio di dire la verità sulla legge Biagi, finché non avrete il coraggio di dire ai Comunisti dove sbagliano, oppure dare loro ragione ed in tal modo perdere tutta la parte del dialogo con i riformisti ed i moderati che da sempre sono l'anima portante del confronto liberale nel Paese. Questa è la grande sfida...
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, la invito a concludere.
SIMONE BALDELLI. Se intendete affrontarla con dignità, non ponete la questione fiducia, discutiamo del provvedimento e osserviamone il risultato nella sovranità del Parlamento, ma anche nel rispetto degli accordi. Altrimenti, ponete pure la questione di fiducia, ma con il grande auspicio che sia l'ultima, davvero (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pellegrino. Ne ha facoltà.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sicuramente il Protocollo sul welfare rappresenta uno dei provvedimenti più importanti ed attesi soprattutto per l'impegno che abbiamo assunto all'inizio della legislatura.
Mi fa piacere, da subito, sottolineare un impegno, presente nel protocollo, rappresentato dall'abolizione dello scalone. Si tratta sicuramente di un punto particolarmente qualificante e non possiamo assolutamente farlo passare inosservato solo perché è ancora molto vivo il confronto, anche all'interno della maggioranza, su una serie di punti importanti del protocollo.
Sicuramente si va verso un miglioramento della struttura previdenziale del nostro Paese, del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali, della competitività e dell'inclusione sociale.
Mi fa piacere sottolineare il difficile, articolato e concreto lavoro svolto dalla XI Commissione e non possiamo, sia nel rispetto del Parlamento, sia nel rispetto dei deputati che hanno lavorato in Commissione nei giorni scorsi, fare finta di nulla rispetto alle modifiche apportate e ad alcuni miglioramenti realizzati in Commissione. Mi riferisco, in particolare, alla platea dei lavoratori usurati che potranno andare in pensione ancora a 59 anni con 35 anni di contributi. Infatti, è stato soppresso il tetto minimo di 80 notti lavorative all'anno per accedere a tale beneficio.
Un altro importantissimo miglioramento è rappresentato dal fatto che il tetto di 36 mesi si calcoli indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro.
Inoltre, desidero ricordare che la definizione di una sola proroga rispetto ai 36 mesi (quella di otto mesi) rappresenta un altro punto importante del provvedimento e che si tratta di un miglioramento importante apportato dalla Commissione lavoro.
Con il provvedimento in discussione, oltre ad intervenire sulla previdenza, siamo intervenuti soprattutto sul fenomeno che maggiormente riguarda tantissimi giovani del nostro Paese: il lavoro precario. In questi anni abbiamo assistito alla proliferazione di diverse tipologie contrattuali, molte delle quali hanno generato nei giovani incertezza e, molte volte, anche tanta sfiducia proprio nei confronti delle istituzioni.
L'obiettivo più serio che ci siamo posti all'inizio di questo lavoro difficile è statoPag. 77proprio restituire fiducia ai tanti giovani italiani, cercando di fornire loro anche qualche certezza in più, con particolare riferimento al futuro, tante volte visto con incertezza ed insicurezza. Abbiamo cercato di realizzare una stabilizzazione vera del lavoro dei giovani, riducendo in modo significativo il precariato imperante che esiste nel nostro Paese.
Il processo di stabilizzazione non si esaurisce con il provvedimento in discussione; vi sono ancora molti aspetti da migliorare e settori ai quali dobbiamo guardare più attentamente. Signor Ministro, mi rivolgo anche a lei che so essere particolarmente sensibile a diversi settori della nostra società nei quali vi sono ancora troppe forme di contratto anomalo, sulle quali chiaramente deve essere fornita una risposta forte da parte di questo Governo e di questa maggioranza.
Penso, ad esempio, al settore della sanità (tra l'altro, proprio per oggi e domani è stato indetto uno sciopero che coinvolgerà molti operatori), dove esiste un grosso problema riguardante le diverse forme di contratti atipici. Noi del gruppo Verdi riteniamo che tale tema rappresenti una priorità importante e già con il primo provvedimento successivo a quello sul welfare, mi riferisco alla legge finanziaria per il 2008, dobbiamo intervenire. Tra l'altro, abbiamo preparato e presentato delle proposte emendative in tale direzione.
Trovo singolare che si possa affermare e pensare che, all'interno del protocollo sul welfare, il centrosinistra non abbia dato la giusta attenzione ai giovani. Penso che proprio ai giovani abbiamo rivolto la maggiore attenzione nella definizione delle regole per il mercato del lavoro. Proprio ai giovani abbiamo pensato rivedendo le norme riguardanti la previdenza, fissando delle regole e delle certezze, anche per ciò che concerne la loro pensione. Proprio ai giovani abbiamo pensato per garantire loro qualche certezza sul loro futuro. Sono numerosi i giovani in Italia che tante volte si rivolgono alla politica e alle istituzioni chiedendo di avere qualche certezza in più nel mondo del lavoro. Penso che i protagonisti assoluti di tale provvedimento siano i giovani del nostro Paese.
Abbiamo tenuto in considerazione le esigenze sia dei lavoratori sia delle imprese. Debbo dire che anche i miglioramenti che stiamo chiedendo - e in parte ottenendo - non solo come Verdi, ma come sinistra unitaria, partono proprio dalle richieste pervenuteci dai tantissimi lavoratori. Infatti, stiamo cercando di intervenire rispetto ad alcune norme solo fittizie: l'obiettivo è di cercare - anche attraverso delle modifiche - di rendere quelle norme concrete e di metterle a disposizione dei lavoratori italiani per creare quelle certezze.
Sicuramente saranno proprio i lavoratori a dover utilizzare gli strumenti che mettiamo loro a disposizione con l'intervento legislativo in discussione, al fine di avere quelle certezze e qualche possibilità in più rispetto alle condizioni di lavoro nelle quali vivono.
Non abbiamo certamente dimenticato che è necessario anche rafforzare e potenziare lo sviluppo economico del nostro Paese, troppe volte frenato proprio dalle condizioni di lavoro precarie e particolari esistenti nei contesti nei quali vivono.
Inoltre, è necessario sottolineare che in un sistema concorrenziale internazionale non possiamo certamente non essere all'altezza di un processo di rapida evoluzione del mercato del lavoro, nel quale proprio i lavoratori rappresentano la risorsa più importante. E solo migliorando le loro condizioni, attraverso le certezze e la stabilità, riusciremo ad essere più competitivi a livello internazionale.
Infatti, con l'attuale sistema legislativo, in materia di lavoro, sono ancora troppi i soggetti svantaggiati e, inevitabilmente, quelli che sono stati più penalizzati in assoluto sono stati proprio i giovani.
Altri aspetti importanti sono rappresentati dal rendere effettiva la parità di trattamento sul lavoro tra uomini e donne, dall'eliminazione dei diversi ostacoli che incontrano diverse persone disabili per l'inserimento nel mondo del lavoro. È chiaro che il protocollo va anche nellaPag. 78direzione di un forte e deciso contrasto al lavoro nero. Anche in questo caso debbo dire che, in tante e troppe realtà del nostro Paese, vi è un lavoro sommerso che certamente non fornisce sicurezza ai lavoratori. Ciò è dimostrato anche dal numero degli incidenti sul lavoro registrati negli ultimi tempi: tanti incidenti sul lavoro si sono verificati nell'ambito del lavoro precario ma anche del lavoro sommerso particolarmente radicato in alcune regioni e in alcuni territori, dove purtroppo molte volte diventa quasi la regola.
Penso che il provvedimento in esame vada anche e soprattutto in tale direzione: un deciso e forte inizio, un primo contrasto al fenomeno del lavoro nero.
In conclusione, desidero evidenziare una discontinuità molto forte con le norme varate dal precedente Governo. Questo è sicuramente un punto importante. Soprattutto, tutto ciò è in perfetta coerenza con quanto previsto dal programma elettorale dell'Unione, con l'obiettivo principale di normalizzare finalmente l'assunzione a tempo indeterminato. Infatti, questo deve essere l'obiettivo di un Paese civile come il nostro: fare intendere il lavoro a tempo indeterminato come normale, non più come un'eccezione, come abbiamo visto in questi ultimi anni.
D'altra parte, l'altro obiettivo che ci siamo posti è stato quello di condurre una lotta incondizionata a tutte le forme di lavoro precario presenti nel nostro Paese. Ciò che chiediamo noi Verdi è che in questo provvedimento il Governo tenga in forte considerazione tali esigenze e il lavoro svolto nella XI Commissione, soprattutto per ciò che concerne il lavoro a tempo determinato e il lavoro usurante.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cordoni. Ne ha facoltà.
ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, signor Ministro, credo che la discussione che stiamo facendo rischia di non considerare la realtà che stiamo affrontando. Si brandiscono dati, si minacciano veti, senza far capire al Paese che stiamo affrontando uno degli elementi della politica del Governo di centrosinistra: non tutto comincia con il collegato sul welfare e non tutto finisce con questo provvedimento. Questo è uno degli strumenti messi in campo di una manovra più complessiva in cui si possono leggere i tratti di una politica economica e di una politica di redistribuzione nel suo complesso. Non si può leggere un provvedimento sganciandolo dal resto di quelli che il Parlamento si trova ad affrontare.
La discussione di oggi, invece, tenta in modo strumentale di dare un'idea diversa da quella che ci troviamo ad affrontare. Certo, oggi discutiamo il protocollo sul welfare, un testo che ha alle sue spalle un lungo percorso di concertazione, una consultazione dei lavoratori che ha dato fiducia all'accordo e che ha testimoniato la capacità di rappresentanza delle organizzazioni sindacali. Sappiamo anche che ottenere quel risultato non è stato semplice, perché quando si mettono insieme diversi campi di intervento c'è sempre un equilibrio nelle mediazioni che si incontrano. Sappiamo, inoltre, che ci sono delle sofferenze aperte verso il mondo delle imprese, prevalentemente, e anche qualche problema non risolto rispetto al mondo del lavoro. Tuttavia, alla fine, quell'accordo ha prodotto il disegno di legge che stiamo affrontando.
Molti colleghi lo hanno detto, desidero ripeterlo: io ritengo che in queste ore si stiano usando parole particolarmente pesanti che, ritengo, non facciano del bene a nessuno, né alla democrazia di questo Paese, né a coloro che ce le prospettano. Siamo in presenza di una concertazione, di un accordo tra il Governo e le parti sociali, di un problema politico di rispetto di quegli impegni. Io non nego tutto questo, ne sono consapevole. Ma non credo che si possano usare espressioni verso il Parlamento come «disappunto»; si sostiene che, se si approva un testo diverso, salta la concertazione; si parla di input al Governo con l'invito a tornare al testo originario. Ritengo che dietro a queste parole vi sia una visione della democrazia italiana diversa da quella scritta nella nostra Costituzione. C'è un ruolo dellePag. 79parti sociali autorevole e importante, nessuno lo vuole sottovalutare né banalizzare. Ma c'è anche un ruolo del Parlamento e questo non è soltanto un problema nostro, non è solo dei parlamentari: riguarda il modo in cui è stata concepita la democrazia nel nostro Paese.
Sembra che si voglia mettere in campo una diversa idea di Costituzione materiale e per questo si mette in discussione l'equilibrio tra i poteri e tra coloro che hanno la responsabilità di legiferare. Ritengo che vadano respinti i toni e i moniti che ci vengono rivolti in queste ore e in questi giorni, che vadano ascoltati gli argomenti, affrontandoli nel merito, ma che non si possa certamente accettare un'impostazione di questo tipo. Pertanto, invito tutti ad abbassare i toni e a ritrovare la funzione e il compito propri di ciascuno, nonché i luoghi e le sedi ove ribadire posizioni e contenuti, con la consapevolezza che siamo in una democrazia parlamentare e che il lavoro svolto dalla Commissione lavoro è autorevole e significativo al pari di quello svolto da coloro che hanno sottoscritto il Protocollo e della volontà dei lavoratori consultati. Trovare un punto di equilibrio tra il ruolo dei diversi soggetti coinvolti è nella responsabilità politica di ciascuno di noi, ma il modo con cui in queste ore si sta svolgendo la discussione in Aula non può essere accettato in alcun modo. Non va bene affermare: «si torni al testo originario», né: «o così o salta la concertazione»; si trovi un modo che assicuri il rispetto dei ruoli e delle funzioni di tutti.
Vedete colleghi, quando si legge sui giornali l'accusa rivolta alla Commissione lavoro di avere reintrodotto il lavoro a chiamata e di aver peggiorato le condizioni dei lavoratori di questo settore, ritengo che si sia in presenza di elementi di esagerazione. Noi non abbiamo pensato a ciò che sostiene la Confcommercio, ma a quelle tipologie di lavoro che altrimenti vanno a nero ed è questa la ragione per cui ci siamo sentiti di ripresentare in forma nuova e diversa da quella precedente una regolamentazione del lavoro a chiamata. Abbiamo anche introdotto un elemento che dovrebbe essere apprezzato dal sindacato e non capisco perché non sia così, considerato che abbiamo rinviato l'applicazione del lavoro a chiamata ai contratti nazionali e, dunque, ai rapporti fra le parti. Tale aspetto della disciplina, infatti, non è contenuto in una norma perché vi è un rinvio alla contrattazione. Credo che questo sia un elemento sottovalutato e non sufficientemente qualificato; anche perché non consiste in ciò la differenza tra il pacchetto Treu e la legge n. 30 del 2003? Non abbiamo criticato questo strumento, perché eliminava il ruolo della contrattazione sindacale e costruiva un rapporto tra lavoratori e imprese in modo impari? Non abbiamo, anche in altre norme modificate attraverso il tavolo della concertazione, reintrodotto il ruolo della contrattazione? Ebbene, lo ha fatto anche il Parlamento con riferimento al lavoro a chiamata. Ritengo che questo sia uno di quegli esempi da rispettare e da utilizzare come elemento positivo di quello sforzo in avanti che si è compiuto. Analoghe considerazioni possono essere svolte se si analizzano altri aspetti disciplinati nelle normative del settore in discussione.
Un altro elemento della discussione è costituito dal tema dei conti in equilibrio: ci accusano di mandare all'aria il bilancio dello Stato e di caricare tutto sulle giovani generazioni. Devo dire che mi fa piacere che dal centrodestra provenga questa preoccupazione per il bilancio dello Stato; meglio tardi che mai, visto ciò che abbiamo alle spalle e l'eredità che ci hanno lasciato! Ma chiedo a loro se sia mai possibile che un problema come quello della previdenza che attraversa tutte le società europee, venga affrontato in questo modo.
Come mai quando l'opposizione era al Governo ha scelto di rinviare al 2008 il superamento e l'applicazione del requisito dei sessant'anni? Perché ha rinviato la previdenza complementare e l'adeguamento del calcolo dei coefficienti rispetto al sistema contributivo? Certo, sono state scritte delle norme e poi si è pensato che qualcun'altro il giorno successivo le avrebbe attuate, perché si era compresoPag. 80che, intervenendo su tali questioni, si sarebbe aperto un conflitto con il Paese. Convinto com'era di perdere le elezioni, il centrodestra ha pensato di lasciare questa eredità al Governo di centrosinistra; perché allora oggi l'opposizione ci richiama al rispetto del sistema contributivo, alla questione legata all'opportunità di non abbassare l'età pensionabile e a tutta una serie di argomenti che l'opposizione stessa, quando era al governo del Paese, aveva la possibilità di realizzare immediatamente, se era così convinta che si trattava di decisioni giuste ed equilibrate?
Certamente, vi è il problema dell'invecchiamento, dell'aspettativa di vita e della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Non credo, tuttavia, che possiamo gettare un allarme su tale capitolo, in quanto da anni si sono attuate riforme che ci danno una certa tranquillità sul piano della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, anche se forse non abbiamo la tranquillità sul livello dell'adeguatezza del livello pensionistico. Questo è il capitolo che si dovrà affrontare e trovo importante avere insediato una commissione ad hoc che dovrà valutare anche l'adeguatezza del nuovo sistema pensionistico.
Quando avremo i dati e le proiezioni e quando usciremo dagli slogan rispetto al tasso di copertura del livello pensionistico, saremo in grado di capire se il sistema, che abbiamo pensato e voluto noi del centrosinistra, regge non solo dal punto di vista della sostenibilità, ma anche dell'adeguatezza.
Permettetemi di sottolineare che vi è un errore e lo dico a livello personale, come l'ho spesso detto in qualunque parte fossi. Maroni ha eliminato un elemento dalla riforma previdenziale introdotta da Dini e mi piacerebbe che il Presidente Dini riassumesse la difesa di questo tema, ovvero l'introduzione della pensione flessibile e non un'uscita rigida dal lavoro, come se tutti i lavoratori fossero identici, come se tutti i loro percorsi di vita fossero uguali, come se il loro carico nella vita, o il loro stato di salute fosse identico.
Avevamo costruito, infatti, un sistema flessibile dell'uscita, capace di ricomprendere in uno spettro di anni le storie lavorative dei lavoratori e delle lavoratrici italiane. Si è, invece, reintrodotto a partire da Maroni un sistema rigido e anche in questo protocollo non siamo stati capaci di reintrodurre quel concetto. Credo, quindi, che dovremo tornare su tale problematica nel tempo, in quanto a regime il sistema pensionistico non potrà essere così. È necessario, infatti, costruire sistemi flessibili, capaci di costruire e di riconoscere le diverse tipologie del lavoro.
Mi chiedo come si possa polemizzare sulla questione dei sessant'anni o dell'anticipo a cinquantasette anni, pensando che il mondo del lavoro sia tutto identico. Diciamo piuttosto che siamo stati tutti responsabili, nei Governi che si sono succeduti dal 1992 ad oggi, di non avere mai saputo affrontare il capitolo dei lavori usuranti. Ciò era previsto nella disposizione del 1992, in quella di Dini del 1995, in quella del Governo di centrosinistra e in quella di Maroni, ma oggi siamo di nuovo a riaffrontare il tema dei lavori usuranti.
Spero che sia l'ultima volta e che riusciamo a definire cosa sia un lavoro usurante, in quanto credo che nessuno possa sostenere che l'allungamento e le aspettative della vita siano uguali per tutti. Altrimenti, ciò diventa la «media di Trilussa», in quanto vi sono ancora tipologie di lavoro volte in un'altra direzione. Se riusciamo, quindi, ad effettuare questo percorso, avremmo dato un contributo affinché la discussione non sia soltanto ideologica, ma sia capace di conoscere le differenze delle diverse tipologie di lavoro. Si tratta del concetto della flessibilità.
Ciò deve passare attraverso il lavoro usurante e lo dobbiamo fare con serietà, affinché sia riconosciuto da tutti i lavoratori che stiamo parlando di un lavoro veramente usurante. Questo è il modo per renderlo serio, permanente e praticabile. Il centrodestra, inoltre, ci domanda come possiamo realizzare questo provvedimento, in quanto costa alla finanza pubblica e dice che noi siamo capaci solo diPag. 81aumentare i contributi e di pensare e scrivere cose che non si realizzeranno.
Ci dicono, inoltre, che abbiamo scritto che in dieci anni si potranno avere 3,5 miliardi di euro di risparmi dal cambiamento e dalla riorganizzazione degli enti previdenziali. Anche su ciò vi è un lavoro svolto dal Parlamento e la Commissione che presiedo ha offerto al Parlamento e alle parti sociali una possibile trasformazione degli enti previdenziali, affinché siano più efficienti e più efficaci, ma anche capaci di produrre i risparmi scritti nella delega.
Sono convinta e spero che lavoreremo tutti affinché ciò che è scritto nella delega sui risparmi, nei prossimi dieci anni, sia velocemente messo in piedi. È vero che i risparmi non si realizzano nel primo momento o nel giorno «x», ma è necessario un programma di piano di fattibilità industriale che porti all'unificazione di alcuni enti e ad un lavoro di sinergia di alcune funzioni. È necessaria una forte scelta in una precisa direzione, e noi saremo capaci non solo di produrre i risparmi che sono necessari anche per sostenere il Protocollo sul welfare, ma anche di dare all'Italia un sistema pensionistico con degli enti gestori più efficienti e più efficaci per i loro utenti, siano essi lavoratori o imprese.
Ci dicono, inoltre, che, per sostenere tali scelte, aumentiamo i contributi delle giovani generazioni. Ma come si fa ad affrontare così questo tema? Sapevamo che i contributi pagati dai giovani erano insufficienti per cercare di maturare una pensione adeguata e, quindi, che stavamo costruendo un livello pensionistico inadeguato. Credo che lo sapessero tutti: oggi, invece di apprezzare e di valorizzare la scelta che perseguiamo di rendere le aliquote contributive simili - o uguali - a quelle del lavoro dipendente, si dice che aumentiamo i contributi. Lo facciamo pensando proprio alle giovani generazioni, delle quali si parla sempre: dobbiamo pensare alla loro pensione, partendo anche - e non solo - da queste scelte.
Abbiamo introdotto anche diritti (tali aspetti si ricordano troppo poco): nella scorsa legge finanziaria, ad esempio, abbiamo introdotto il diritto alla maternità e alla malattia, l'applicazione del congedo parentale, gli incentivi alla stabilizzazione (penso alle imprese e alla stabilizzazione del pubblico impiego). Non è vero che il Governo e la maggioranza non stanno lavorando per le giovani generazioni. Certo, vi è ancora molto da fare, ma pensiamo di rimanere al Governo fino al 2011: ne abbiamo ancora di strada e di proposte da mettere in campo! Non si fa tutto in un secondo!
Quando decidiamo di aumentare i contributi, lo facciamo proprio perché abbiamo in mente la strategia, lo scenario ed i risultati ai quali mi riferivo. Come ho affermato in precedenza, ritengo che il lavoro e il dibattito svolti in Commissione, in sede di discussione sul merito (in cui sono emerse opinioni diverse anche della stessa maggioranza), vadano rispettati e condivisi, anche rispetto ai percorsi che il Governo stabilirà nelle prossime ore. Non si può annullare quella discussione e non si possono cancellare gli interventi svolti dalla Commissione.
Ciò che preoccupa maggiormente in merito alla nostra discussione è il fatto che, in queste ore, facciamo di nuovo credere al Paese che il Protocollo sul welfare significhi soltanto scalone e tempo determinato, cancellando tutti i contenuti della nostra riforma. Non si dice che, per l'ennesima volta, stiamo cercando di conferire al Governo una delega per la riforma degli ammortizzatori sociali in un senso universale. Spero che questa sia la volta buona, perché le deleghe sono state conferite con diverse maggioranze e in diverse legislature.
Abbiamo bisogno di questo salto di qualità per costruire risposte per tutto il mondo del lavoro: al di là delle tipologie contrattuali, dobbiamo costruire una protezione sociale nel mercato del lavoro, che sia capace di rispondere a tutte le fattispecie in esso esistenti. Dobbiamo spingere e lavorare affinché si possa realizzare tale delega: nel provvedimento in esame, affrontiamo di nuovo, aggiorniamo e mettiamo a tema il collocamento obbligatorioPag. 82per le persone più deboli che hanno problemi di handicap; interveniamo sulla disciplina del part time, cercando di rispondere a quei lavoratori malati che avrebbero bisogno di ricorrere a questo strumento in alcune fasi della loro vita: affermiamo che diventa un loro diritto poterlo ottenere e poter tornare al tempo pieno nel momento in cui hanno superato i momenti di difficoltà.
Abbiamo anche costruito un tempo più lungo per modificare la disciplina del part time attraverso la contrattazione, affinché le lavoratrici e i lavoratori che lo scelgono per motivi di cura possano organizzare la propria vita: abbiamo introdotto il diritto al «lavoro di cura» per quelle donne e per quegli uomini che hanno figli fino a dodici anni di età, affinché essi, in quel modo, possano affrontare i compiti di cura. Abbiamo conferito al Governo una delega affinché aggiorni le norme sui congedi parentali - previste dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - rendendoli più praticabili e utilizzabili. Abbiamo anche reso permanente la rivalutazione del danno biologico per gli invalidi del lavoro.
Il provvedimento in esame contiene numerosi interventi: sarebbe sbagliato rappresentarlo al Parlamento soltanto come il provvedimento che tratta argomenti significativi e importanti, come quelli relativi all'età pensionabile, ai lavori usuranti o al tempo determinato. Nel provvedimento vi sono anche altre risposte: ritengo sia giusto che, a partire dalla maggioranza, non si oscurino i contenuti né del provvedimento in esame, né della manovra finanziaria, perché fanno parte di questa manovra anche la cosiddetta quattordicesima per i pensionati e il cosiddetto bonus per gli incapienti. Spesso lo abbiamo fatto.
Molti lo hanno ottenuto e lo stanno ottenendo, ma tutto ciò non sembra far più parte degli obiettivi previsti e dei risultati conquistati.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ELENA EMMA CORDONI. Mi avvio alla conclusione. Rischiamo di non far capire al Paese fino in fondo qual è la politica di questo Governo. Questa è anche una responsabilità della maggioranza e credo che un dibattito come questo debba essere capace di riconsegnare al Paese una reale rassegna dei provvedimenti che stiamo adottando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3178-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Barani.
LUCIO BARANI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, ho fatto bene questa mattina a chiedere di parlare al termine della discussione, per rendermi conto delle diverse posizioni dei gruppi. Ho ascoltato i gruppi di minoranza, che hanno assunto posizioni uniformi, esprimendo un giudizio negativo su questo disegno di legge, ma ho avuto anche la fortuna di ascoltare con le mie orecchie, roba da non credere, i gruppi di maggioranza, che la pensano uno diversamente dall'altro: non vi sono due gruppi d'accordo fra loro. Eppure, sono otto o nove i gruppi di maggioranza intervenuti. Qualcuno invoca e implora il Governo e, in particolare, il Ministro Damiano, qui presente, a non porre la questione di fiducia. Forse, abbiamo svolto una discussione sulle linee generali su un testo che non sarà quello definitivo, perdendo tempo, come Parlamento. Forse, anche il lavoro svolto in Commissione, che si è impegnata molto, e il grande sforzo compiuto dal relatore Delbono saranno stati inutili, in quanto il testo che sarà votato in Aula sarà diverso da quello approvato dalla Commissione.
Dunque, la sinistra massimalista afferma che bisogna per forza approvare il testo che è stato approvato dalla Commissione, mentre altri gruppi, come l'Udeur, l'Italia dei Valori e La Rosa nel Pugno laPag. 83pensano diversamente. In particolare, La Rosa nel Pugno si è divisa in due, con i socialisti dello SDI che la pensano in un modo e i radicali che, con Mellano, la pensano in maniera diversa, affermando che bisogna ritornare al testo del Governo.
Vi è poi una grande protesta all'interno dei gruppi, poiché sarebbe stato invertito il processo democratico, ossia, invece di iniziare dalla via parlamentare, si è voluto iniziare con l'accordo con le parti sociali, peraltro non con tutte, ma solo con gli amici sindacati, CGIL CISL e UIL, tralasciando l'altro 50 per cento dei lavoratori italiani, che non hanno firmato - bisogna sottolinearlo ed è emerso - il Protocollo sul welfare.
Facendo riferimento al contenuto del disegno di legge in discussione, esso innanzitutto dispone, in luogo del più deciso aumento a sessanta anni dell'età anagrafica prevista per la pensione di anzianità, un innalzamento graduale a cinquantotto anni per i lavoratori dipendenti. Viene tralasciata l'equità con i lavoratori autonomi, visto che per essi, a parità di trentacinque anni di anzianità contributiva, è prevista un'età anagrafica superiore di un anno nel 2008, fino ad arrivare a sessantuno anni nel 2013.
Nel contempo, questo provvedimento rende flessibile l'accesso al pensionamento, subordinandolo al raggiungimento di quote determinate derivanti dalla somme dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, pari a 95 dal luglio 2009, fino ad arrivare al 97 nel 2013.
La maggiore gradualità dell'innalzamento dell'età necessaria per conseguire il diritto alla pensione di anzianità determina oneri ingenti, di circa 7 miliardi. Chi più chi meno ha parlato di 7 miliardi di euro nell'arco del decennio 2008 - 2017. Sono, inoltre, previste esenzioni da questi limiti per i lavoratori che svolgano attività usuranti, per la cui individuazione viene conferita una delega al Governo. Non sappiamo quali e quanti saranno, ma comunque la spesa si aggrava di circa 3 miliardi di euro. Il tutto avviene in controtendenza rispetto ai più importanti Paesi dell'Unione Europea.
Se è vero, com'è vero, che per la prima volta dal dopoguerra la spesa pubblica ha superato il 51 per cento del PIL - unico paese della zona euro - siamo, economicamente, sull'orlo di un baratro. Approvare il disegno di legge in esame, signor Ministro, così come ci viene presentato, significa compiere un grosso passo in avanti e quindi far cadere l'azienda Italia dentro questo baratro senza ritorno.
Dunque, non vi è più il patto generazionale tra generazioni diverse: le generazioni più giovani saranno costrette ad andare in pensione più tardi e ad avere pensioni dimezzate rispetto ad oggi. Non è possibile che, per evitare ai lavoratori attuali il sacrificio di rispettare la riforma Maroni, la legge Biagi e la legge Treu, che effettivamente hanno dato un segno di cambiamento, apportando un attivo dello 0,6 per cento, si accetti di scendere al meno 0,1, quindi invertendo effettivamente la tendenza, ma in senso negativo. Inoltre, il rinvio al 2010 dell'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione determina oneri aggiuntivi per il sistema pensionistico, rispetto a quelli derivanti dalla normativa vigente, che ne prevedeva l'applicazione dal 2005.
La riduzione da dieci a tre anni della cadenza stabilita per la revisione dei coefficienti è invece da apprezzare, in quanto riduce lo sfasamento temporale intercorrente tra il momento dell'innalzamento della speranza di vita e quello dell'adeguamento della rendita da circa quattordici anni a circa sette anni. Tale modifica non appare tuttavia sufficiente ad assicurare l'equilibrio tra prestazioni e contributi, che rischia di essere compromesso dal continuo innalzamento della speranza di vita, non adeguatamente e prontamente colto dai meccanismi attualmente previsti per la revisione dei coefficienti di trasformazione, sia per la scarsa tempestività, sia per l'inadeguatezza degli strumenti utilizzati.
Il provvedimento in esame non modifica i parametri attuariali utilizzati per la rivalutazione dei contributi e per la liquidazione della rendita previsti dalla riforma Dini (e Dini, poi, ci aspetta alPag. 84Senato della Repubblica, signor Ministro, non si smuove ed è determinante: nonostante poniate la fiducia in questo ramo del Parlamento, al Senato la fiducia non passerà), che costituiscono la principale causa del prevedibile squilibrio che, in prospettiva, si determinerà tra prestazioni e contributi.
Il parametro utilizzato per la rivalutazione dei versamenti contributivi, cioè l'aumento del prodotto interno lordo, ingloba anche l'aumento dell'occupazione, al quale in prospettiva corrisponderà un aumento dei pensionati.
Le nuove norme inserite nel provvedimento sottoposto alla nostra attenzione prevedono inoltre politiche attive, che favoriscano il raggiungimento di un tasso di sostituzione non inferiore, al netto della fiscalità, al 60 per cento. L'introduzione di tale limite minimo mina alla base il principio della corrispondenza tra contributi e prestazioni, introdotto con la riforma del 1995: la pensione dovrebbe infatti essere commisurata ai contributi versati, secondo una stretta equipollenza attuariale.
Il provvedimento in esame contiene altresì un insieme di misure dirette ad elevare le pensioni di importo più contenuto e a potenziare gli ammortizzatori sociali. Tali norme, nell'attuale contesto di difficoltà di gran parte delle famiglie, sono ovviamente da condividere.
Il finanziamento delle maggiori spese è affidato fondamentalmente ai risparmi connessi alla razionalizzazione del sistema degli enti di previdenza, da cui dovrebbero scaturire economie per 3,5 miliardi di euro nell'arco di un decennio. È inoltre prevista l'elevazione dell'aliquota contributiva riguardante i lavoratori iscritti all'assicurazione obbligatoria dello 0,09 per cento, a decorrere già dal 2011.
Inoltre vengono disposti, limitatamente alle pensioni di importo superiore a otto volte la pensione minima dell'INPS, vale a dire ai trattamenti che si aggirano intorno ai tremila euro, il mancato riconoscimento dell'adeguamento al costo della vita dovuto per il 2008 (intervento di dubbia costituzionalità, in quanto assimilabile ad una forma di tassazione che incide su una specifica categoria di redditieri) e, infine, l'ammortizzazione dei fondi speciali.
Da questi due interventi dovrebbero derivare risparmi per oltre 2 miliardi di euro. Nelle attuali condizioni della nostra economia sarebbe stato molto più utile utilizzare le risorse reperite per ritardare l'innalzamento dell'età di pensionamento per anzianità, per l'ammodernamento del sistema produttivo, per la ricerca, per lo sviluppo, nonché per un'azione più incisiva, rispetto a quella prevista nel provvedimento, sulla formazione del capitale umano. Si tratta di interventi indispensabili per rafforzare le prospettive di crescita, e da cui scaturirebbero riflessi positivi sui conti pubblici. Era questo quello che si doveva fare e che non si è fatto.
Oggi siamo al buio, e non sappiamo su quale testo verrà posta la fiducia: è certo che governare così non è sicuramente governare bene. Siamo sull'orlo, l'ho già detto, non fateci fare un grosso passo in avanti, perché il baratro ci impedirebbe di ritornare indietro.
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la maggioranza, onorevole Delbono, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano.
CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cercare nelle mie brevi considerazioni di svolgere un ragionamento che sia attinente ai fatti. Non intendo rinunciare, come è logico, ad un'interpretazione di parte, ma cercherò sempre di considerare tutti gli argomenti. Credo, intanto, che non abbiamo assolutamente perso tempo in questa discussione, e del resto il Governo ha voluto essere presente fin dall'inizio. Personalmente ho apprezzato la qualità della discussione, i contributi e i diversi punti di vista che sono stati espressi. Tutto ciò dimostra che abbiamo svolto un lavoro utile.
Non vedo motivo di particolare sorpresa nel fatto che il Governo abbia annunciatoPag. 85 la possibilità di porre la fiducia. La discussione in corso ci consentirà di prendere le opportune decisioni, fermo restando che si è svolta la discussione su un testo sul quale il Governo si riserva delle valutazioni conclusive. Comunque la si metta, stiamo discutendo di un importante atto di Governo, forse tra quelli più importanti prodotti sul versante sociale e della competitività. A nessuno sfugge che tale provvedimento, quando verrà approvato, porterà al Paese nei prossimi dieci anni una distribuzione di risorse che si avvicina alla cifra di 40 miliardi di euro. Si tratta di risorse che andranno prevalentemente a vantaggio dello Stato sociale e della competitività, e che per la prima volta da quando esiste la concertazione in Italia, dal lontano 1983 con il primo Protocollo Scotti, non contiene alcuna logica di scambio. Vi è solamente una logica di redistribuzione a vantaggio dello Stato sociale. Ritengo che i fatti contino più di tante parole, e un fatto è che già nel mese di ottobre 3,5 milioni pensionati, ovvero coloro che avevano meno di 670 euro di pensione mensile, hanno ricevuto una quattordicesima.
Abbiamo guardato alla parte debole del reddito delle pensioni e abbiamo distribuito circa un miliardo di euro. A questa cifra, sotto il profilo sociale, si aggiunge un'altra cifra importante, una tantum, per i cosiddetti incapienti - parte dei quali sono gli stessi pensionati di reddito basso che hanno già ricevuto la citata quattordicesima - di 150 euro per la persona e per il numero delle persone a carico. Si tratta di un altro piccolo segnale, importante, di attenzione ad una parte debole: circa due milioni di questi pensionati avranno anche questo nuovo beneficio.
Quindi ritengo che, al di là di tutto, quello che conta, come sempre, siano i fatti. I fatti si producono e il Governo sta producendo fatti che pian piano, non senza difficoltà - non lo nascondo - l'opinione pubblica potrà apprezzare. Questo frutto, di cui stiamo discutendo oggi, è quello della concertazione che abbiamo fatto rinascere dalle sue ceneri, e ritengo che, diversamente da quanto ho sentito, noi abbiamo svolto una concertazione con tutti i soggetti sociali.
Noi non abbiamo guardato soltanto ad una parte, ovvero ai sindacati, come genericamente si dice (a parte il fatto che le organizzazioni sindacali sono plurali). Noi abbiamo guardato ai sindacati, quindi alle associazioni del lavoro, ma anche alle imprese e alle associazioni di impresa, agli artigiani, ai commercianti, alle cooperative e alle piccole e grandi imprese, sapendo che naturalmente le parti sociali hanno una libertà di scelta, e non tutte le parti hanno ritenuto di condividere questo Protocollo, ma la gran parte delle associazioni, di larga rappresentanza, hanno condiviso tale frutto della concertazione. Voglio anche aggiungere che non è un fatto secondario - va valorizzato e difeso - che più di cinque milioni di lavoratori e pensionati abbiano ratificato questo accordo, all'80 per cento, consolidando in questo modo un risultato utile al Paese, ai lavoratori e ai pensionati.
Consiglio - si tratta dell'orientamento che ho sempre tenuto, e che cercherò di tenere anche nelle prossime attività e iniziative del Governo - di abbassare i toni. Ho sentito infatti dei toni un po' esagerati nel corso di queste giornate a proposito dell'attuale discussione. Inviterei tutti - un po' è il mio modo di fare, e non pretendo che sia quello di tutti, ci mancherebbe - di passare dai simboli ai contenuti. In altre parole, guardiamo le cose per quello che sono. Capisco che in politica il valore dei simboli non vada trascurato e che ciascuno di noi ha le sue bandiere da sostenere, ma giunge poi il momento in cui dal simbolo si passa al contenuto, cioè si vede la realtà, altrimenti corriamo il rischio di essere un po' come dei bambini che al buio della notte vedono le cose più grandi di quanto al mattino esse non appaiano. Quindi, inviterei tutti a dimensionare effettivamente i problemi.
Non trovo utile una sterile contrapposizione tra il ruolo della concertazione e delle parti sociali e le prerogative del Parlamento e dell'XI Commissione. Mi sembra francamente un esercizio inutile,Pag. 86così come mi sembra inutile un richiamo improprio a un ritorno allo Stato corporativo, che non ci appartiene. Le parti sociali esercitano il loro ruolo, il Governo esercita il proprio ruolo, il Parlamento a sua volta ha un ruolo da esercitare, un ruolo che deve essere sanamente dialettico. Non mi preoccupo se alle volte sono messo in minoranza, e mi pare che ciò faccia parte delle regole del gioco. Abbiamo assistito anche in questo caso ad una sana dialettica che, senza stravolgere a mio avviso i contenuti del Protocollo, ne vuole applicare la sostanza, e al tempo stesso valorizzare assolutamente il ruolo esercitato dalle parti sociali e quello del Parlamento.
Vorrei che anche a tale proposito non dimenticassimo di cosa stiamo parlando: stiamo parlando di un disegno di legge complesso. Io sono un uomo pratico: cinquanta pagine di testo non sono cinque righe. Non stiamo parlando di un singolo comma o di un emendamento né di un codicillo.
Stiamo parlando di un argomento assai complesso, delicato e fatto di molti equilibri, altrimenti non si spiegherebbe come questo testo sia stato oggetto, da più di sei mesi (ormai ci avviciniamo all'anno), di un confronto forte, duro e a rischio di rottura tra Governo e parti sociali, nel tentativo di arrivare - come si è arrivati - ad una composizione molto importante.
Stiamo parlando di 32 articoli sostanzialmente condivisi in questo percorso parlamentare e di 600 emendamenti esaminati dalla Commissione lavoro. Se poi la discussione, oggi, verte su pochi quesiti - se le formule relative ai lavori usuranti costino o meno un euro in più; se sul contratto a termine si possa o meno apporre un termine alla proroga; se sia giusto o meno cancellare lo staff leasing; se sia giusto ripristinare in parte il job on call - ebbene, se di questo si tratta (e di questo si tratta), non mi pare che tutto ciò, in rapporto alla quantità e alla qualità delle questioni che abbiamo discusso, rappresenti di per sé lo scardinamento di un'azione estremamente complessa e profonda che riguarda temi importanti.
Infatti, abbiamo trattato temi che vanno dalla previdenza allo scalone (un'eredità pesante per questo Governo), ai lavori usuranti (un'altra eredità pesante che si trascinava da molte legislature e che, questa volta, può avere una definizione congrua), fino ai temi degli ammortizzatori sociali (una questione incompiuta anche rispetto al passato), degli incentivi alla contrattazione decentrata e dell'ampliamento delle tutele a vantaggio della parte più debole del mercato del lavoro.
Potrei continuare in una lunga enumerazione di contenuti che non sono semplicemente e casualmente accostati dal Governo, ma rappresentano il disegno organico e riformatore di un Governo che ha voluto tracciare un grande profilo sociale nella sua attività. E questo profilo sociale - credo che ciò vada detto con chiarezza - sta emergendo.
Questo non vuol dire che non vi siano stati, o non vi siano, contrasti o contraddizioni; del resto, a differenza di quanto è stato sostenuto in modo non formale, il Governo si è espresso negativamente su alcuni emendamenti: dal termine di otto mesi per quanto riguarda l'unica proroga, alla modifica relativa allo staff leasing e al job on call, perché il Governo preferiva mantenere il testo originario. Tuttavia - lo ripeto -, tutto ciò è riconducibile ad una logica di mantenimento di quegli elementi di dialettica che sono necessari.
Come sapete, in queste ore il Governo è impegnato a trovare un giusto punto di equilibrio e prosegue i suoi contatti con le forze politiche e le parti sociali, perché non solo vogliamo tenere la rotta e mantenere la sostanza di quel protocollo, che condividiamo profondamente, ma vogliamo trovare, attorno a tale rotta, la massima convergenza.
Per questo motivo, ritengo che il dibattito sia stato utile e che ci consentirà, nelle prossime ore, di prendere le opportune le decisioni: guai se fallissimo questo obiettivo! Del resto, l'azione del Governo si è mossa sempre con una logica molto precisa, quella di collegare tre termini: risanamento, sviluppo ed equità. Credo che ci siamo mossi in questa direzione.Pag. 87
Ora stiamo esaminando - e poi voglio rapidamente concludere - un protocollo, un accordo molto importante (quello del 23 luglio del 2007) del quale stiamo valutando il profilo sociale e il sostegno alla competitività. Tuttavia, vorrei che, ad un certo punto, non concepissimo questo protocollo come una sorta di azione a sé stante. No: l'azione del protocollo si inserisce in un contesto nel quale prima, durante e dopo il Governo ha manifestato la sua azione coerente - vorrei ricordarlo - a sostegno dello sviluppo del Paese e della competitività.
Nessuno dimentichi il significato di un'azione come quella della riduzione del cuneo fiscale, vale a dire uno sconto sul costo del lavoro a tempo indeterminato che vale, per il 2008, quando sarà a pieno regime, una cifra che si avvicina ai 5 miliardi di euro a vantaggio del sistema delle imprese, con il duplice obiettivo di sostenere la competitività attraverso una diminuzione del costo del lavoro e di diminuire il costo del lavoro del lavoro a tempo indeterminato, come applicazione di uno dei principali punti del programma dell'Unione, laddove si afferma - a ciò credo profondamente - che il lavoro a tempo indeterminato, come ci ricorda l'Unione europea, deve diventare la forma normale di impiego, senza per questo far venire meno la nostra attenzione alla buona flessibilità, di cui le aziende devono poter disporre nella globalizzazione e nel nuovo mercato della produzione e del lavoro.
Così come non possiamo dimenticare l'azione della precedente legge finanziaria sulle coperture per i lavoratori discontinui in termini sociali (la malattia o la maternità) o il fatto che questo protocollo intervenga fondamentalmente a difesa delle figure più deboli, a livello sociale, nel mercato del lavoro (i pensionati di basso reddito, i giovani del lavoro discontinuo, le donne che faticano a entrare nel mercato del lavoro, chi perde il lavoro dopo i cinquant'anni).
Si tratta, quindi, di un complesso di iniziative che si innestano in un'azione del Governo, ad esempio, che ha portato a compimento un programma molto importante: penso alla legge delega sul tema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e alla lotta al lavoro nero, che sono la testimonianza di un operare efficace.
Sul lavoro nero, ricordo sempre che, grazie al pacchetto sicurezza, che ho voluto inserire nel pacchetto Bersani dell'agosto del 2006, con le norme che prevedono la sospensione dell'attività delle aziende nel settore dell'edilizia nelle quali si scopre più del 20 per cento dei lavoratori in nero, in 14 mesi abbiamo sospeso 2.800 aziende e, secondo i dati dell'INAIL, abbiamo portato a conoscenza dell'Istituto un numero di lavoratori dell'edilizia pari a 190 mila, come gli abitanti della città di Brescia.
Sono azioni importanti, che testimoniano coerenza: non si faccia l'errore di immaginare un'azione del Governo discontinua, disomogenea o disorganica sui temi sociali della protezione del lavoro e della lotta contro il lavoro nero e contro la precarietà.
Di analogo segno, oltre a quello del 23 luglio, vorrei ricordare altri importanti protocolli: il protocollo sull'agricoltura, che innova dopo trent'anni il mercato del lavoro agricolo, combattendo anche il lavoro fittizio e il lavoro nero in un settore estremamente delicato; le norme sul mercato del lavoro che riguardano il settore dell'editoria e del giornalismo (purtroppo, non siamo riusciti a far concludere il contratto in quel settore, ma mi auguro che di questo passo io possa portarlo a una soluzione in tempi brevi); le norme condivise con le parti sociali per quanto riguarda la lotta contro le cooperative spurie, e un'attività, anche in questo caso, di regolarizzazione in un campo assolutamente di alto valore produttivo e sociale, come quello della cooperazione.
Tutto ciò fa parte di un'azione generale del Governo: il protocollo è perfettamente inserito in essa. Il nostro obiettivo è quello di approvarlo integralmente entro i tempi della legge finanziaria. Sono convinto - come sempre sono ottimista - che questo obiettivo sia raggiungibile e sono anchePag. 88convinto che sapremo mantenere la rotta che abbiamo stabilito e la sostanza di questo protocollo. Infatti, questo Governo, nel proseguire la sua attività, avrà nuovi compiti da affrontare sotto il profilo sociale.
Quindi, con questo auspicio e con questa convinzione, ritengo che la discussione che abbiamo svolto oggi sia stata molto importante e che aiuterà sicuramente il Governo a prendere le sue decisioni.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.