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Si riprende lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Orientamenti del Governo sugli ospedali psichiatrici giudiziari e sulle case di cura e di custodia - n. 2-00871)
PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00871, concernente orientamenti del Governo sugli ospedali psichiatrici giudiziari e sulle case di cura e di custodia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor sottosegretario per la giustizia Li Gotti, onorevoli colleghi, la questione che con la nostra interpellanza urgente sottoponiamo all'attenzione del Governo e del Parlamento è in realtà una questione urgente per la drammatica attualità ma che presenta una lunga storia. Una storia che è stata oggetto di ripetute analisi e riflessioni da parte di gruppi di lavoro chePag. 50riportiamo nell'interpellanza e che richiamerò sinteticamente nella sua illustrazione.
Quella degli ospedali psichiatrici giudiziari è una vicenda drammatica, spesso tragica, che di tanto in tanto ha anche delle forte ripercussioni, sia pure troppo limitate, sulla stampa di informazione. Proprio sul principale quotidiano italiano alcuni mesi fa nel mese di aprile scorso vi è stata la pubblicazione di una serie di interventi riguardanti gli ospedali psichiatrici giudiziari. Questa fu la ragione per cui presentai un'interpellanza non urgente, ma alla quale si sarebbe dovuto comunque fornire una risposta abbastanza tempestiva; dall'8 maggio scorso - oggi è il 5 dicembre - sono trascorsi circa sette mesi. Quell'interpellanza sostanzialmente analoga a quella che discuteremo oggi nell'arco dei sette mesi non ha ricevuto una risposta né parte del Ministro della giustizia né di quello della Salute cui era stata indirizzata. Per tale ragione ho deciso, in accordo con il mio gruppo, di tramutare quell'interpellanza in una interpellanza urgente.
Della vicenda del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari si parla già a partire dal 1978, quando venne approvata dal Parlamento la legge n. 180 che portò al superamento degli ospedali psichiatrici ordinari. Già da allora si pose il problema, ma non venne affrontato legislativamente il superamento anche degli ospedali psichiatrici giudiziari; sono trascorsi quasi trenta anni. Come alcuni sono a conoscenza, avendone parlato i giornali e come sa perfettamente il rappresentante del Governo, vi è da dire che attualmente in Italia esistono sei ospedali psichiatrici giudiziari, cinque dei quali (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto) sono a diretta gestione dell'amministrazione penitenziaria, mentre il sesto (Castiglione delle Stiviere) viene amministrato sulla base di una convenzione tra il Ministero della giustizia e l'azienda ospedaliera. Nel testo della mia interpellanza riporto alcuni dati riguardo il numero dei reclusi negli ospedali psichiatrici giudiziari che forse saranno aggiornati dal rappresentante del Governo in sede di risposta. All'epoca della mia interpellanza originaria comunque risultavano esservi 1.057 internati ma credo che attualmente si sia arrivati al numero di 1.200 o 1.300, ma su questo aspetto - ripeto - mi aspetto eventuali precisazioni da parte del Governo. In precedenza, nel 1979 i reclusi erano circa 1,500 e successivamente nel 1983 erano arrivati a circa 1,800.
Quindi negli ultimi anni vi è stata complessivamente - è l'unico aspetto positivo della mia illustrazione - una riduzione, sia pur lieve, degli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Nel frattempo sono anche intervenute due importanti sentenze della Corte costituzionale (la sentenza n. 253 del 2003 e la sentenza n. 367 del 2004), nella prima delle quali la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 222 del codice penale «nella parte in cui non consente al giudice di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». La seconda sentenza che ho citato riconosce e circoscrive l'opportunità di scelta tra internamento e affidamento esterno ai servizi per le misure di cui all'articolo 206 del codice penale.
Le diverse posizioni giuridiche degli internati evidenziano una condizione nella quale, al di fuori dell'ospedale psichiatrico giudiziario, appare generalmente assente un'assunzione di responsabilità da parte delle strutture sanitarie competenti, che incide in particolare su coloro - si tratta di una quota di poco inferiore al 70 per cento del totale - che sono reclusi negli ospedali psichiatrici giudiziari perché, in forza dell'articolo 222 del codice penale, sono prosciolti per vizio totale di mente e dichiarati socialmente pericolosi.
Su tutta questa materia, negli anni scorsi, hanno operato due distinti e diversi gruppi di lavoro, anche se entrambi presentavano configurazioni istituzionali. Nel 2002, se non ricordo male la data -Pag. 51l'intervento risale alla precedente legislatura e al precedente Governo, ma fu un'opera meritoria -, è stata istituita una commissione interministeriale giustizia e salute sulla sanità penitenziaria e, due anni dopo, nel 2004, all'interno di essa è stato formato uno specifico gruppo di lavoro per approfondire il tema della sanità penitenziaria, con particolare riferimento ai sei istituti psichiatrici italiani di detenzione.
Quel gruppo di lavoro concluse la sua attività evidenziando la necessità di superare l'attuale assetto attraverso la realizzazione di un sistema integrato di psichiatria penitenziaria. Più recentemente, nel 2006, si è costituito un gruppo di lavoro meritorio ad iniziativa del comune di Montelupo Fiorentino - dove ha sede uno dei sei ospedali psichiatrici giudiziari - congiuntamente con la regione toscana, la provincia di Firenze e il Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere.
Nell'ambito di questo gruppo di lavoro, in particolare nelle attività finalizzate ad un convegno, si evidenziava come le persone recluse negli ospedali psichiatrici giudiziari, pur non essendo sottoposte a misure di sicurezza definitive, sono identificabili: nei soggetti in osservazione psichiatrica con condanne definitive o con processi in corso; in coloro a cui sono applicate le misure di sicurezza di cui all'articolo 206 del codice penale; nei ricoveri, sulla base dell'articolo 148 o dell'articolo 212 del codice penale, di chi si trova in esecuzione di pena o di misura di sicurezza detentiva (contro soggetti imputabili) cui sia sopravvenuta un'infermità mentale.
Come avevo affermato, il tema si è riproposto e non soltanto a partire dalla lontana legge n. 180 del 1978 (che però non affrontò la specifica materia). Con il decreto legislativo n. 230 del 1999 - se non ricordo male le date, all'epoca del Governo D'Alema - è stato infatti previsto il superamento, in generale, dell'attuale situazione della medicina penitenziaria, e, più specificamente, anche degli ospedali psichiatrici giudiziari, considerando che ci si trova in una situazione di perdurante mancanza di politica manutentiva degli istituti, che alcuni di questi istituti, anzi quasi tutti, sono vetusti, e che vi è un lento ma inesorabile degrado delle strutture, che ha anche comportato la pur utile chiusura di alcuni reparti, ormai insostenibili, ma a discapito della capienza e della abitabilità complessiva.
Come ho ricordato prima, questa materia, ossia il drammatico tema degli ospedali psichiatrici giudiziari, è stata affrontata in particolare - negli anni precedenti erano stati pubblicati vari altri articoli sempre sul Corriere della sera e su altri giornali o riviste - con l'articolo comparso il 18 aprile 2007 sul primo quotidiano italiano a firma del giornalista Fulvio Buffi, il quale ha condotto l'inchiesta nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, che, insieme all'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, ospita il 40 per cento degli internati sul territorio nazionale. In quell'occasione, il Corriere della sera pubblicò anche una tormentata, nel senso di preoccupata, intervista del professor Rotelli, uno specialista della materia. Basta citare il titolo di quell'articolo «Suicidi e AIDS: i matti dimenticati».
In quella circostanza, il direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dottor Adolfo Ferraro, ha ricordato che il 60 per cento degli internati potrebbe uscire «se ci fossero fuori strutture adatte ad accoglierli e a curarli». Ripeto: il 60 per cento.
Secondo l'inchiesta del Corriere della sera, sono strutture esterne che appaiono o inesistenti o del tutto assenti, giacché ci si basa sulla valutazione di presunti maggiori costi - forse anche reali - di assistenza per ogni assistito rispetto a quelli sostenuti nella condizione di internato. Poiché, quindi, costa di più, sono mantenuti dentro l'ospedale psichiatrico giudiziario in una situazione che induce spesso i giudici di sorveglianza, anche se la pena è stata scontata, ad applicare la proroga della reclusione. Come dice l'articolo, lo chiamano «ergastolo bianco»: nessuno sa quando finirà. È la situazione in cui si trovano molti dei ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari.Pag. 52
Il giorno dopo è intervenuto, sempre sul Corriere della sera, il dottor Marco D'Alema, consigliere del Ministro della salute Livia Turco, che ha affermato che, in collaborazione con il comitato tecnico delle regioni, il Ministro della salute ha in esame scelte e indirizzi il cui obiettivo sia il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari in tre fasi, che indicava dettagliatamente in tale intervento: una prima, una seconda fase e, infine, una terza fase che dovrebbe comportare la regionalizzazione degli ospedali psichiatrici giudiziari che dovrebbero diventare strutture piccole, a carattere prettamente sanitario, dove l'elemento penitenziario dovrebbe essere ridotto al minimo e dove dovrebbero essere ricoverati solo i casi più gravi.
La chiusura definitiva sarà possibile, secondo il dottor D'Alema, solo modificando il codice penale. Questa materia, del resto, in riferimento al codice penale, è stata affrontata nella commissione di studio di riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia, un nostro ex collega, che fu insediata il 27 luglio dello scorso anno presso il Ministero della giustizia.
Il giorno successivo alla lettera del dottor D'Alema, il 20 aprile, sempre il Corriere della sera ha pubblicato un ulteriore intervento, dato che l'inchiesta aveva suscitato una certa reattività istituzionale, consistente in una lettera congiunta del Ministro della giustizia Mastella e del Ministro della salute Turco, i quali ricordavano che questa materia è oggetto di una «seria riflessione da parte degli uffici dei due Ministeri per riuscire a realizzare al più presto iniziative adeguate ad affrontare una situazione che è grave sotto molti profili ormai da lungo tempo». Sono citazioni della lettera di Mastella e Turco.
In primo luogo, si fa riferimento, anche in questo caso, alla piena attuazione del decreto legislativo n. 230 del 1999, che prevede il trasferimento integrale delle competenze in materia sanitaria, ora in capo all'amministrazione penitenziaria, al Servizio sanitario nazionale e alle regioni. In quella lettera, inoltre, si affermava che era necessario affrontare la questione centrale dell'imputabilità degli autori di reato, che forma oggetto delle direttive di prossima presentazione da parte della commissione Pisapia, che ho citato poco fa.
Su tutta questa materia, ha elaborato un ampio rapporto anche l'associazione Antigone (il suo sito si trova on-line), che ha svolto una ricognizione puntuale sulla drammatica situazione che si verifica in ciascuno degli ospedali psichiatrici giudiziari. Nel rapporto - che nel testo dell'interpellanza urgente ho citato più puntualmente e che in questa sede richiamo soltanto perché si tratta di un'opera meritoria - emerge un quadro assolutamente drammatico, sia rispetto alle condizioni...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO BOATO. ... sia rispetto a quella forma di prolungamento della reclusione o dell'internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario, cui ho fatto riferimento in precedenza.
In conclusione - la ringrazio, signor Presidente -, la mia e la nostra richiesta al Governo riguarda sia gli indirizzi legislativi che il Governo intende assumere al riguardo, le misure amministrative che intende affrontare, gli indirizzi della commissione Pisapia e, infine, la questione del riordino della medicina penitenziaria, cui ho fatto più volte riferimento.
PRESIDENTE. Saluto, anche a nome dell'Assemblea, gli studenti di una classe dell'Istituto tecnico commerciale e professionale «Gesualdo» di Avellino, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza urgente dell'onorevole Boato e di altri parlamentari, si premette che il progetto di legge delega elaborato dalla Commissione per la riforma del codice penale non prevede la misura del ricovero negli ospedali psichiatriciPag. 53giudiziari, in ciò adeguandosi ai mutamenti delle prospettive terapeutiche e sociali che hanno determinato, sin dal 1978, l'abolizione di tali istituti e che non possono ignorarsi nel riformare un sistema penale che contempla una forma, in verità giustamente edulcorata, di manicomio criminale, come gli ospedali psichiatrici giudiziari.
Pertanto, la legge delega ha individuato diversi tipi di cosiddette risposte sanzionatorie per i non imputabili, diversificate in considerazione della causa di non imputabilità: in primo luogo, quelle di tipo terapeutico per gli infermi di mente; in secondo luogo, quelle finalizzate alla disintossicazione per i tossicodipendenti o per gli alcolisti; infine, quelle rieducative per i minori.
In dettaglio, la riforma prevede, con riferimento ai soggetti non imputabili, la possibilità da parte del giudice di disporre, tenendo conto delle diverse necessità, una pluralità di misure di cura e di controllo: ricovero in strutture terapeutiche protette o in strutture con finalità di disintossicazione; ricoveri in comunità terapeutiche; libertà vigilata associata a trattamento terapeutico; obbligo di presentazione, eventualmente associata a trattamento terapeutico; affidamento a servizi socio-sanitari; infine, svolgimento di un'attività lavorativa o di un'attività in favore della collettività.
La durata della misura di cura e controllo non potrà eccedere quella della pena che si applicherebbe all'agente imputabile e si stabilisce, inoltre, che l'esecuzione della misura possa essere interrotta quando non risulti più necessaria a fini riabilitativi.
Il lavoro di riforma è ancora allo stato progettuale e non può escludersi che il complesso procedimento legislativo possa mutarne alcuni caratteri, ma non c'è dubbio che la linea di tendenza segnata dalle conclusioni della commissione Pisapia non ha, allo stato, altre attendibili alternative.
Le prospettive di un futuro che cammina verso il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari non ci induce tuttavia ad ignorare i formidabili problemi posti dalla loro attuale esistenza e dalla loro quotidiana gestione, problemi che l'onorevole Boato ha evidenziato con grande ricchezza di dettagli.
Su tutte le questioni sollevate in questa sede riferisco sinteticamente, forse in forma interlocutoria, evidenziando comunque i fatti e le valutazioni maggiormente significative ai fini della definizione delle linee di condotta dell'amministrazione.
Si premette che l'organizzazione strutturale dei sei ospedali psichiatrici giudiziari in attività sul territorio nazionale è piuttosto eterogenea. Mentre Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere sono di recente costruzione, gli altri istituti sono ricavati dal riadattamento di edifici antichi storicamente nati per altre funzioni. Solo Barcellona Pozzo di Gotto è stato edificato come manicomio giudiziario.
Negli ultimi tempi si sono resi necessari profondi interventi manutentivi e di ristrutturazione in diversi ospedali psichiatrici giudiziari e ciò ha causato conseguenti fenomeni di sovraffollamento (è stato di recente chiuso, in via provvisoria, per difetto di adeguate condizioni igienico-sanitarie, l'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli).
Oltre a sensibili diversità sul piano dell'organizzazione strutturale, i sei ospedali psichiatrici giudiziari divergono anche sul piano dell'organizzazione funzionale. Quelli a gestione diretta del Ministero della giustizia prevedono la presenza di personale della polizia penitenziaria, mentre la struttura di Castiglione delle Stiviere è caratterizzata dall'esclusiva presenza di personale sanitario, inquadrato secondo i profili professionali e gli accordi collettivi nazionali di lavoro delle aziende sanitarie. Questa impostazione organizzativa ha profondi riflessi sulle finalità prevalentemente di cura che dovrebbero avere gli ospedali psichiatrici giudiziari.
Per quanto concerne l'organizzazione dell'assistenza sanitaria, le risorse finanziarie stanziate sul relativo capitolo di bilancio 1761/3 sono state gestite attraverso il documento di programmazione stilato dalla direzione generale detenuti ePag. 54trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha invitato i provveditorati regionali, nel procedere alle assegnazioni di competenza, ad assicurare il mantenimento ed anzi il miglioramento degli standard assistenziali ivi garantiti.
Di fatto, le disponibilità finanziarie degli ultimi anni non hanno consentito di incrementare i servizi sanitari esistenti presso gli ospedali psichiatrici giudiziari. Per quanto riguarda la tipologia delle categorie giuridiche dei soggetti presenti si distinguono: gli internati prosciolti per infermità mentale sottoposti a ricoveri in ospedale psichiatrico giudiziario in quanto socialmente pericolosi; gli internati con infermità mentale sopravvenuta, per i quali è stato ordinato l'internamento in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia; gli internati provvisori (imputati sottoposti alla misura di sicurezza provvisoria in ospedale psichiatrico giudiziario in considerazione della presunta pericolosità sociale in attesa di un giudizio definitivo); gli internati con vizio parziale di mente, dichiarati socialmente pericolosi e assegnati alla casa di cura e custodia eventualmente in aggiunta alla pena detentiva, previo accertamento della pericolosità sociale; i detenuti minorati psichici; i detenuti condannati in cui l'infermità di mente sia sopravvenuta durante l'esecuzione della pena; i detenuti dei quali deve essere accertata l'infermità psichica, per un periodo non superiore a 30 giorni.
Risulta evidente, pertanto, che la popolazione ospitata presso queste strutture è alquanto eterogenea. Ciò ne rende problematica la gestione con riguardo alle diverse esigenze di sicurezza e allo sviluppo di progetti trattamentali-riabilitativi.
Si sottolinea inoltre che qualsiasi intervento terapeutico-riabilitativo svolto negli ospedali psichiatrici giudiziari necessita, al fine del reinserimento sociale e, quindi, della dimissione, di una stretta collaborazione con i servizi psichiatrici territoriali per garantire la presa in carico degli internati e la continuità terapeutica.
Risulta fondamentale la creazione di una rete di interventi su tutto il territorio: la precoce presa in carico dei soggetti interessati permette, infatti, di avviare i contatti con i servizi psichiatrici del territorio per garantire la dimissione di quei ricoverati che, per cessata o scarsa pericolosità con compenso psicopatologico, non hanno ragione di rimanere nell'ospedale psichiatrico giudiziario, così come di coloro che sono ormai giunti alla scadenza della misura di sicurezza. Favorire, incoraggiare, pretendere l'inserimento nel territorio salvaguarderebbe i pazienti per i quali si profilano ingiustificate proroghe della misura di sicurezza (famiglie inesistenti o non disposte ad accogliere il paziente, servizi territoriali non disponibili alla presa in carico). Ovviamente ciascuna ASL risponde con le risorse a propria disposizione, per cui l'intervento dei servizi territoriali è ancora disomogeneo sul territorio nazionale. Sarebbe auspicabile la presenza di un maggior numero di strutture intermedie capaci di accogliere i pazienti in dimissione e garantire un graduale ritorno al territorio di appartenenza.
Per cercare di ovviare alle problematiche sopradescritte, l'amministrazione ha intrapreso alcune iniziative. Innanzitutto gli organi periferici sono stati stimolati a sottoscrivere protocolli di intesa con le ASL, finalizzati alla presa in carico dei pazienti con patologia psichiatrica. Attualmente tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari hanno sottoscritto tali intese con l'ASL territorialmente competente; alcuni, ad esempio Reggio Emilia, anche con quelle di tutto il territorio regionale. Nel 2004 è stato attuato un programma esecutivo di azione (PEA) dal titolo: «Realizzazione reparti per osservazione psichiatrica di cui all'articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 in ogni provveditorato».
L'allestimento di tali reparti ha consentito di evitare l'esclusivo invio negli ospedali psichiatrici giudiziari di tutti i detenuti nei confronti dei quali deve essere accertata l'infermità psichica, armonizzando così il principio della tutela della salute con quello della territorialità della pena e scongiurando, anche se per un breve periodo, allontanamenti del ristrettoPag. 55dal nucleo familiare che, proprio nei momenti di fragilità psichica, potrebbero risultare ancora più destabilizzanti. Tale iniziativa ha peraltro contribuito a ridurre il costo delle traduzioni.
In forza di questo programma d'azione sono stati realizzati reparti di osservazione psichiatrica nelle seguenti case circondariali: Torino (due reparti, uno riservato ai collaboratori di giustizia ed il reparto Sestante, attivo già dal 2000, con dodici posti letto); Monza (un reparto maschile con cinque posti letto); Bologna (un reparto maschile con quattro posti letto); Firenze Sollicciano (due reparti, di cui uno destinato alla detenzione femminile con cinque posti letto); Roma Rebibbia (un reparto maschile con quattro posti letto); Lanciano (un reparto maschile non ancora attivo); Reggio Calabria (un reparto maschile con quattro posti letto); Palermo Pagliarelli (un reparto maschile con cinque posti letto); Cagliari (un reparto maschile con cinque posti letto). Questi reparti si aggiungono ad altri due preesistenti: quello ubicato nell'istituto di Livorno (nove posti letto) e quello istituito a Napoli Secondigliano (sedici posti letto).
È in via di progettazione un altro programma da avviare nel prossimo anno, finalizzato alla realizzazione di almeno tre reparti (nord, centro e sud) in cui offrire idonei strumenti di cura e riabilitazione psichiatrica assegnandovi, per il tempo strettamente necessario, gli imputati e i condannati nei confronti dei quali, nel corso della misura detentiva, sopravvenga un'infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l'applicazione provvisoria della misura sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l'ordine di ricovero in OPG o in case di cura o custodia nonché, per l'esecuzione della pena, i soggetti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente.
La commissione interministeriale per la proposta di possibili modelli innovativi, istituita con decreto ministeriale del 20 gennaio 2004, ha affidato ad un gruppo tecnico ristretto lo studio di soluzioni operative da applicare negli ospedali psichiatrici giudiziari, in linea con gli indirizzi terapeutico-assistenziali adottati dal servizio sanitario nazionale. Le conclusioni proposte nel mese di novembre 2006 dal gruppo tecnico necessitano, per la pratica attuazione, di un confronto diretto tra i due dicasteri coinvolti e dell'elaborazione di specifici atti di intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome. Le proposte operative del gruppo tecnico si basano sulla normativa già esistente e possono essere applicate in più fasi sequenziali, mediante provvedimenti amministrativi.
Nell'ottica di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari risulta essenziale la riduzione del numero dei ricoverati, i quali dovrebbero essere ospitati in strutture diverse dalle attuali, di capienza ridotta e articolate in modo differenziato. Tali strutture dovrebbero essere distribuite sul territorio.
In conformità a quanto evidenziato nel documento di Montelupo, va senz'altro previsto un confronto diretto tra il Ministero della giustizia e quello della salute, con l'elaborazione di specifici atti di intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome. La reale occasione di confronto sopra auspicata si sta concretizzando nei lavori preliminari del gruppo tecnico interistituzionale (Ministero della giustizia, Ministero della salute, regioni), che sta approntando il documento che guiderà il processo di transito delle competenze e delle funzioni del servizio sanitario penitenziario al servizio sanitario nazionale, a norma del decreto legislativo n. 230 del 1999.
Infine, il graduale passaggio ai vari servizi territoriali delle funzioni finora affidate agli ospedali psichiatrici giudiziari necessita della istituzione di una valida rete di contatti tra dipartimenti di salute mentale che assicuri a tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro residenza, la fruizione dei servizi erogati dalle ASL.
Si sta valutando, quindi, l'opportunità della costituzione di un osservatorio nazionale per gli ospedali psichiatrici giudiziari che abbia compiti di indirizzo ePag. 56coordinamento per le regioni in merito alle fasi di realizzazione dell'eventuale superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, nonché compiti di impulso all'attivazione di una rete nazionale dei servizi e delle strutture necessari all'implementazione di piani trattamentali differenziati.
PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di replicare.
MARCO BOATO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Li Gotti per la risposta che ha dato. È stato bene, quindi, che tramutassimo l'interpellanza presentata già nello scorso maggio in un'interpellanza urgente, perché finalmente si potesse discutere in Assemblea tale materia, che è molto complessa e difficile, ma al tempo stesso umanamente drammatica per i diretti interessati.
Ho notato che nella parte iniziale della sua risposta il sottosegretario Li Gotti ha precisato di riferire in forma interlocutoria. Infatti, è evidente che tutti i problemi di cui stiamo ora discutendo richiederanno, probabilmente, ulteriori fasi di confronto con il Governo, anche tra qualche mese.
Per alcuni aspetti, ovviamente, posso dichiararmi soddisfatto, anche se, in genere, evito questa ritualità, con queste interlocuzioni, in sede di sindacato ispettivo. Tuttavia, si tratta di una ritualità prevista dal Regolamento.
In ordine alla parte iniziale della risposta del Governo, che si riferisce, avendolo io stesso più volte citato nella mia interpellanza, al progetto di legge delega predisposto dalla Commissione istituita per la riforma del codice penale e presieduta da Giuliano Pisapia, ritengo che tutto ciò che il sottosegretario ha affermato sia pienamente condivisibile.
Non a caso avevo citato questo lavoro, di cui non conoscevo ancora nel dettaglio gli esiti, proprio perché c'è un aspetto - lo facevo presente anche nelle domande finali al Governo - che riguarda la necessità di alcune modifiche legislative.
Resto, tuttavia, preoccupato (non dico insoddisfatto), perché il sottosegretario ha confermato che siamo ancora allo stato progettuale (come peraltro si sapeva) e che non è stato ancora predisposto da parte del Governo - in questo caso la competenza è esclusiva del Ministero della giustizia, e non del Ministero della salute, al quale pure mi sono rivolto - un disegno di legge delega da presentare in Parlamento.
Come è noto, i disegni di legge delega hanno un iter abbastanza complesso, e poi, una volta approvati - ma nel caso di specie non siamo neppure alla fase di presentazione - si devono attendere i tempi tecnico-giuridici necessari, in questo caso per la redazione del nuovo codice, in base alla delega del Parlamento.
Pertanto, mi limito, in questo frangente, ad affermare che condivido quanto ha riferito il rappresentante del Governo e mi auguro (uso un eufemismo) che il Governo non aspetti troppo tempo ancora per presentare un progetto di legge delega al Parlamento. Ciò non riguarda soltanto il tema in oggetto, ma tutta la riforma del codice penale.
Per quanto riguarda gli altri aspetti della questione relativa agli ospedali psichiatrici giudiziari, debbo osservare che correttamente, nella risposta del Governo, si fa riferimento al fatto che una serie di misure molto importanti potrebbero (come sottolineato nell'interpellanza) essere assunte anche in via amministrativa, a legislazione vigente. Condivido anche queste affermazioni, e nell'interpellanza urgente ho fatto riferimento ad alcuni di tali aspetti, chiedendo al Governo quali misure intenda adottare, oltre che sul terreno degli indirizzi legislativi, anche sul terreno degli atti di carattere amministrativo.
Credo di poter sottolineare - oltre al fatto che mi pare che il Governo confermi sostanzialmente la valutazione pesantemente critica, che ovviamente non risale all'attuale Governo, ma a tutta la storia precedente dell'istituto degli ospedali psichiatrici giudiziari - la situazione fortemente critica in cui si trovano nella quasi totalità le strutture attualmente esistenti.Pag. 57
Nella risposta ho ascoltato una serie di riferimenti a iniziative da assumere in collaborazione fra il Ministero e il Ministro della giustizia e il Ministero e il Ministro della salute, le regioni e gli enti territorialmente competenti (ad esempio, le ASL), che sono condivisibili e auspicabili.
Ciò che francamente mi preoccupa, lo dico con garbo al sottosegretario Li Gotti, ma con forza dal punto di vista sostanziale, è che la maggior parte delle misure che ho sentito elencare (condivisibili) sono misure (che non posso definire de iure condendo, perché dovrebbero essere amministrative, più che legislative, oppure di diversa natura normativa) dette al condizionale, al futuro, sotto il profilo della necessità: «sarebbe necessario», «ci vuole una collaborazione più stretta tra i due Ministeri», «ci vuole un rapporto con i servizi psichiatrici territoriali su tutto il territorio», «bisogna arrivare a garantire la dimissione dei ricoverati che non hanno ragione di rimanere all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari», «sono ingiustificate alcune proroghe delle misure di sicurezza semplicemente legate al fatto che non esistono strutture di accoglienza e di cura di supporto all'esterno».
Condivido tutto ciò, ma espongo la mia preoccupazione, che voglio rappresentare al Governo e lasciare agli atti parlamentari, perché, se fra qualche mese ci ritroveremo in quest'Aula a discutere ancora di questa materia con spirito costruttivo, non vorrei che si dicesse che questi mesi sono passati invano. Si tratta di misure che richiedono una forte implementazione. Ho citato una lettera del consulente giuridico del Ministro Turco e una lettera congiunta del Ministro Mastella e del Ministro Turco, che risalgono al 19 e al 20 aprile di quest'anno, vale a dire a quasi otto mesi fa. In tali dichiarazioni pubbliche al Corriere della sera si dava atto lealmente della gravità e dell'importanza di tali questioni e dell'urgenza di affrontarle, nella logica del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, mediante una serie di misure, anche di carattere amministrativo, che possano comunque ridurre la presenza negli ospedali psichiatrici giudiziari al tempo strettamente necessario, ridurre l'impatto con il territorio, superare l'assenza di un coordinamento con il territorio, e via dicendo.
Lei ha fatto riferimento al principio di territorialità della pena: si tratta di un principio che trovo condivisibile. Mi auguro che questo piano di lavoro, del resto discusso nel gruppo di lavoro promosso dal comune di Montelupo Fiorentino, dalla regione Toscana, dalla provincia di Firenze e dal Forum sulla salute, e che consisteva in una serie di misure proposte dal gruppo di lavoro che era stato istituito nella precedente legislatura, alle cui conclusioni ha fatto riferimento il sottosegretario, passi il più rapidamente possibile e con maggiore determinazione alla fase attuativa.
Fornisco un'informazione al sottosegretario, perché mi aspettavo che me la fornisse lui. Guardando con cura gli atti parlamentari di questi giorni, in particolare gli emendamenti depositati al disegno di legge finanziaria in Commissione bilancio, che è attualmente in discussione in sede referente, trovo l'emendamento 67.08 del Governo, che affronta, sia pure parzialmente, tale materia, al fine di dare completa attuazione al riordino della medicina penitenziaria, di cui al decreto legislativo n. 230 del 1999, più volte citato, comprensivo dell'assistenza sanitaria negli istituti penali minorili e nei centri di prima accoglienza, nelle comunità e negli ospedali psichiatrici giudiziari. Si prevede una serie di misure, sia pure parziali e limitate, ma che comunque riguardano anche questa materia. Riferisco al Governo la proposta emendativa che il Governo stesso ha depositato (non so se poi verrà approvata).
Credo che sia necessario andare nella direzione dell'attuazione delle misure che ho indicato nell'interpellanza e che il Governo puntualmente ha ricompreso nella sua risposta. Non dobbiamo trovarci fra qualche mese a rifare la fotografia di una situazione drammatica, senza che sia cambiato sostanzialmente quasi nulla.
(Eventuali iniziative, anche ispettive, in relazione ai provvedimenti adottati dal procuratore della Repubblica di Padova, con riguardo all'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri - n. 2-00877)
PRESIDENTE. L'onorevole Goisis ha facoltà di illustrare l'interpellanza Brigandì n. 2-00877 concernente eventuali iniziative, anche ispettive, in relazione ai provvedimenti adottati dal procuratore della Repubblica di Padova, con riguardo all'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8), di cui è cofirmataria.
PAOLA GOISIS. Signor Presidente, abbiamo presentato questa interpellanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della giustizia e al Ministro dell'interno, in merito all'ordinanza del sindaco Bitonci di Cittadella, emanata il 16 novembre, per l'attuazione delle disposizioni legislative in materia di iscrizione nel registro della popolazione residente. In tale ordinanza si fa riferimento al decreto legislativo n. 30 del 2007, che prevede che colui che chiede la residenza sia in possesso di un reddito minimo, equivalente a 5 mila euro l'anno, e di un'abitazione dignitosa e in buone condizioni igieniche, e che non abbia pendenze penali.
Infine, il sindaco Bitonci aveva previsto di costituire una commissione che vagliasse l'esistenza dei presupposti per conferire l'iscrizione al registro dei residenti.
Cosa è accaduto? Il procuratore della Repubblica Calogero del tribunale di Padova ha ritenuto che questi atti costituissero il reato previsto dall'articolo 347 del codice penale, ossia l'usurpazione di funzioni, con riferimento all'istituzione di questa commissione. Dobbiamo precisare che il sindaco, proprio in quanto ufficiale di Governo, ha tra i suoi compiti precipui la vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, e in proposito deve informare il prefetto, il questore, e comunque gli organi competenti.
La commissione di cui si parla aveva queste funzioni: non intendeva prevaricare né usurpare alcuna funzione, ma semplicemente svolgere un'azione preventiva. Pertanto, il comportamento del sindaco per noi, e per la legge, se così stanno le cose, non era solo legittimo, ma addirittura dovuto.
Inoltre, il procuratore Calogero non si è accontentato di sequestrare la copia autenticata dell'ordinanza, bensì ha requisito proprio l'ordinanza originale. In questo modo, pertanto, è venuto a porsi nella condizione di esorbitare dai presupposti che condizionano l'esercizio dell'azione giurisdizionale; in pratica, ha impedito al sindaco di esercitare la sua funzione. La giurisprudenza, d'altra parte, ha affermato che, affinché sussista violazione dell'articolo 347 del codice penale, occorre che le funzioni vengano svolte senza legittima investitura e per fini esclusivamente propri o personali. Con questa azione, invece, il procuratore ha impedito l'esercizio di queste funzioni e ha inibito l'efficacia dell'atto amministrativo.
A questo punto, noi vogliamo chiedere quali iniziative il Ministro intenda assumere al riguardo e, soprattutto, se non intenda avviare iniziative ispettive nei confronti del magistrato interessato, ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione disciplinare, perché riteniamo che la sua azione sia stata abnorme ed esorbitante rispetto alle sue funzioni.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il capo dell'ufficio requirente citato nell'interpellanza ha comunicato di aver iscritto il 21 novembre 2007 nei confronti di Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, un procedimento penale per il reato di cui all'articolo 347, primo comma, ipotizzato con riferimento all'emissione dell'ordinanzaPag. 59n. 258 del 16 novembre 2007 avente ad oggetto l'attuazione delle disposizioni legislative generali in materia di iscrizione nel registro della popolazione residente e disposizioni congiunte in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza.
All'indagato, Massimo Bitonci, nel corso della presentazione spontanea - avvenuta, ai sensi dell'articolo 374 del codice di procedura penale, il 29 novembre 2007 - sono state contestate le seguenti circostanze. In primo luogo, nel corpo dell'ordinanza si legge testualmente che il sindaco istituisce una commissione interna con il compito di esaminare le singole richieste di iscrizione anagrafica da parte di soggetti aventi diritto di soggiorno nel territorio nazionale e al fine di accertare, anche per acquisizione diretta di notizie ed informazioni, un presunto status di pericolosità sociale tale da porre a rischio il mantenimento e la salvaguardia dell'ordine e la sicurezza pubblica. In tal guisa, viene introdotto di fatto un sub-procedimento caratterizzato dall'esercizio di funzioni e attribuzioni di esclusiva spettanza degli organi di Governo centrale e periferici dello Stato (Ministro dell'interno, prefetto e questore). In secondo luogo, l'accertamento sopra descritto da parte della commissione comunale è stabilito nell'ordinanza come preventivo all'iscrizione anagrafica, così come preventiva è espressamente qualificata l'informazione che la stessa commissione deve darne al prefetto e al questore di Padova. Conseguentemente, il diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica viene subordinato a due condizioni non previste ed anzi contrastanti con la legge (accertamento diretto di pericolosità e segnalazione preventiva al prefetto e al questore).
Il procuratore della Repubblica riferisce altresì che il procedimento è tuttora in fase di indagine preliminare e se ne prevede la definizione in data prossima.
La sicurezza dei cittadini e l'ordinata convivenza sono priorità nell'azione di questo Governo, come testimoniato anche dalle recenti iniziative legislative inserite nel cosiddetto pacchetto sicurezza. La materia è complessa e delicata e i buoni esiti dell'azione dei pubblici poteri dipendono anche dalle sinergie fra l'amministrazione centrale e quelle locali, ciascuna nella propria sfera di competenza.
Non è questa la sede, ovviamente, per operare definitive valutazioni di legittimità e opportunità delle iniziative assunte dal sindaco di Cittadella, le quali pongono complesse questioni anche di carattere giuridico - peraltro segnalate dagli stessi interpellanti - come il rapporto fra il diritto all'iscrizione all'anagrafe e i diritti di libera circolazione e stabilimento dei cittadini europei nel territorio dell'Unione. Non si può tuttavia non segnalare quanto, al riguardo, ha osservato il Ministero dell'interno, secondo il quale l'ordinanza in questione appare presentare possibili profili di illegittimità nella misura in cui subordina l'iscrizione anagrafica a controlli sul contenuto dell'autodichiarazione, che invece deve considerarsi di per sé sufficiente a dimostrare il possesso del requisito richiesto, fatta salva la possibilità di successiva verifica da parte dell'amministrazione.
Deve poi specificamente porsi attenzione al punto 5 dell'ordinanza, con riguardo all'iscrizione anagrafica di stranieri extracomunitari. Tale punto prevede invero che gli stessi debbano comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un sufficiente reddito annuo, proveniente da fonti lecite, anche nel caso in cui la carta di soggiorno sia scaduta e in corso di rinnovo. La disposizione non tiene peraltro conto della situazione evidentemente diversa in cui si trovano, da un lato, i soggetti che abbiano già ottenuto un permesso o addirittura la carta di soggiorno, pure scaduti ma rinnovabili e, dall'altro, coloro che invece siano in attesa di un primo atto autorizzativo.
Per quanto attiene poi all'attività di verifica dei requisiti igienico-sanitari dell'alloggio indicato per uso abitativo, si osserva che tali controlli - pur rientrando tra le competenze del sindaco sotto il profilo della salvaguardia dell'igiene pubblica e della salubrità ambientale - possono ostacolare la corretta applicazionePag. 60della legislazione anagrafica nella misura in cui il carattere preventivo degli accertamenti disposti sia inteso nel senso che gli stessi possano condizionare l'esito del procedimento di iscrizione pur in difetto di alcuna prescrizione normativa in tal senso.
Quanto all'attività della procura della Repubblica di Padova, va intanto affermato che in questa sede non può sindacarsi, nel merito, la valutazione operata dall'ufficio requirente che ha ritenuto di ravvisare nei fatti una possibile notizia di reato e di condurre, dunque, un'obbligatoria verifica degli stessi mediante gli strumenti di indagine ritenuti opportuni. Si tratta, come evidente, di una iniziativa che deve ricondursi all'esercizio delle autonome prerogative dell'organo inquirente che, peraltro, allo stato non ha ancora esplicitato con atti conclusivi delle indagini - che auspico rapide - le proprie definitive valutazioni.
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, sono fortemente insoddisfatto della risposta, perché è una vergogna che ovviamente promana non dal comportamento del signor sottosegretario, che è stato cortesissimo nel rispondere, ma dall'impostazione politica che codesto Governo ha con riferimento agli affari della giustizia.
Vi sono dei magistrati che fanno di tutto e di più, un «pezzettino» come questo sul quale mi soffermerò, ma non succede nulla; vi sono dei magistrati che si permettono di nominare il nome di D'Alema invano e vengono trasferiti dal CSM (basta leggere i giornali di questi giorni). Siamo in una situazione veramente grave nella quale è evidente che un potere dello Stato è supportato organicamente da un altro potere dello Stato e che entrambi funzionano in sinergia in riferimento ad una certa maggioranza; questa è l'assoluta verità. L'unico aspetto che non riesco a capire è se una certa parte del Parlamento sia subordinata alla magistratura o se la magistratura sia subordinata ad una certa parte del Parlamento.
Mi spiego, signor sottosegretario. Potrei rispondere lungamente (ma evito di farlo) alle osservazioni da lei svolte, tra le quali la questione della subordinazione della concessione della residenza all'esaurimento di un certo atto. Nell'ordinanza vi è scritto che si accerta, si invia e si dà, non che si accerta, si invia e si nega; si accertano i fatti, anche quelli di pubblico interesse e, come è doveroso, nel momento in cui emergono determinati fatti la relativa informativa viene inoltrata al prefetto e al questore. Quindi, non si usurpa alcun potere e nemmeno lo si affianca; lo si coadiuva perché è giusto che vi sia collaborazione tra le istituzioni e automaticamente si concede la residenza se vi sono gli altri requisiti. Non vi è alcuna subordinazione, se l'è inventata il giudice!
Questa però, signor sottosegretario, sarebbe una discussione nel merito, ma io non ci casco, perché la stessa, se il giudice archivierà (ma nutro dei dubbi al riguardo), interverrà subito, oppure in primo grado, in appello e in Cassazione; questa non è la sede nella quale discutere di tali questioni.
Signor sottosegretario, lei ha sicuramente letto l'interpellanza, ma forse non ha posto attenzione alla frase riportata nella medesima: «(...) questo è il motivo più pregnante della presente interpellanza», concernente un aspetto sul quale attendevo una risposta, ma che evidentemente ha reso difficile venire a rispondere.
Nell'interpellanza ho spiegato i motivi per i quali ritengo che il giudice abbia commesso degli errori - su questo non vi è dubbio - ma la domanda che abbiamo posto al Governo attiene al fatto che un giudice sequestra il corpo del reato per avere la prova del reato; se un soggetto commette un omicidio, il giudice prende possesso del cadavere, dispone l'autopsia e tutti gli altri accertamenti che devono essere compiuti al fine di accertare l'omicidio. In questo caso, signor sottosegretario, è stato sequestrato l'originale dell'atto; se lei naviga su Internet lo trova! Se avessero voluto avere delle prove più pregnanti una copia autentica era già in possesso della procura. Signor sottosegretario,Pag. 61mi deve spiegare per quale motivo è stato sequestrato l'originale dell'atto. Lei sa perfettamente che qualsiasi atto amministrativo può essere posto nel nulla solo dal Tar, sia se l'atto viene impugnato dal prefetto che ne ha un autonomo diritto, sia se viene impugnato dal cittadino che veda leso un suo interesse legittimo.
Si tratta, quindi, di un interesse legittimo, non di un diritto soggettivo. Se fosse leso - come lei ritiene - un diritto soggettivo, le strade sarebbero diverse e anche più grandi. Se ciò è vero, perché il pubblico ministero ha sequestrato l'originale? È evidente che l'amministrazione, quando non è più in possesso dell'originale, o approva un'altra delibera, predisponendo un altro originale, altrimenti non può applicare quella già emanata.
Lei sa bene, signor sottosegretario, che, per annullare un atto, occorre una sentenza del TAR passata in giudicato: il TAR, infatti, giudica dal punto di vista del diritto amministrativo le situazioni che il PM ha ritenuto di giudicare. Ma il PM non può giudicare tali aspetti! Non entro nel merito dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, il quale, come lei giustamente afferma, ha svolto e ritiene di svolgere il suo dovere. Affermo semplicemente - lei lo sa - che, anche all'interno di un processo penale e civile, il giudice non può mai dichiarare la nullità di un atto amministrativo, ma, incidenter tantum, può non applicare l'atto amministrativo, in quanto atto proprio di una giurisdizione diversa.
La domanda era questa. Lei mi poteva rispondere: «Bene ha fatto il pubblico ministero a sequestrare l'originale», oppure: «Male ha fatto il pubblico ministero a sequestrare l'originale». Signor sottosegretario, lei è un pubblico ufficiale. Se afferma che ha fatto male a sequestrare l'originale, sostiene che il pubblico ministero ha agito esattamente come gli imputati, ossia ha abusato dei suoi poteri per un motivo estremamente semplice: si è sostituito al TAR.
Signor sottosegretario, come faccio a dichiararmi soddisfatto della sua risposta, quando - sostenendo una serie di concetti opinabili - lei ha semplicemente avallato l'operato di un pubblico ministero che ha «pazziato» e ha fatto strage delle elementari norme civili ed amministrative: i meccanismi giuridici sono ben spiegati nell'ordinanza.
Lei ha risposto alle domande alle quali le è convenuto rispondere e non a quelle alle quali non le è convenuto. Qui, però, non discutiamo il merito. Le chiedo se il pubblico ministero, prima dell'esercizio dell'azione penale, possa porre nel nulla un atto amministrativo. Se lo ha fatto, lei ha il dovere specifico - essendo un pubblico ufficiale - di presentare un esposto presso la procura della Repubblica.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto comprensivo Salvo D'Acquisto di Lonate Ceppino (Varese), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
(Rinvio dell'interpellanza urgente Sperandio n. 2-00853)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Sperandio n. 2-00853, concernente la gestione del centro di permanenza temporanea di Lamezia Terme e iniziative per il superamento di tali strutture, è rinviato ad altra seduta.
(Iniziative per l'annullamento straordinario dell'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri - n. 2-00863)
PRESIDENTE. L'onorevole Frias ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00863, concernente iniziative per l'annullamento straordinario dell'ordinanza del sindaco di Cittadella (Padova) in materia di iscrizione all'anagrafe dei cittadini stranieri (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).
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MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor Presidente, anche la mia interpellanza urgente riguarda l'esuberante ordinanza del sindaco di Cittadella. Si è già dibattuto degli aspetti sui quali sta lavorando la magistratura. Chiediamo che siamo utilizzati i poteri che la legge attribuisce al prefetto, al questore e al Ministro dell'interno ai fini dell'annullamento di tale ordinanza, che, a nostro parere, viola il principio di non discriminazione.
Inizio il mio ragionamento con riferimento alla normativa italiana sull'immigrazione attualmente in vigore: due articoli del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotti dalla legge Turco-Napolitano, non sono stati modificati dalla legge Bossi-Fini. Vi si afferma testualmente che «costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose».
Dunque, compie un atto di discriminazione «il pubblico ufficiale o la persona, incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che, nell'esercizio delle sue funzioni, compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente a una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discrimina ingiustamente».
Ciò è quanto prevede la legge italiana attualmente in vigore. Riteniamo che il provvedimento in questione violi il citato articolo della legge e i principi di non discriminazione per diversi motivi. Uno di questi riguarda la disparità di trattamento, prevista nel decreto legislativo, per quanto riguarda la questione del reddito. L'ordinanza prescrive di svolgere indagini e verifiche sulle risorse economiche e sulle fonti di sostentamento del richiedente preventivamente all'iscrizione anagrafica, sospendendo nel frattempo il procedimento, nonostante la stessa ordinanza preveda l'autocertificazione. Peraltro, secondo la legge, l'autocertificazione non dovrebbe sospendere il procedimento e, pertanto, la sospensione del procedimento è ingiustificata.
Né la direttiva né il decreto legislativo di recepimento prevedono per i cittadini comunitari requisiti alloggiativi, né tanto meno l'idoneità abitativa. L'ordinanza, inoltre, non chiarisce a quale tipo di idoneità si riferisca. Per i cittadini comunitari la procedura diventa eccessivamente lunga, mentre il sindaco e la sua commissione eseguono le verifiche sulla pericolosità sociale del richiedente.
Questa ordinanza parte soprattutto da una presunzione criminogena degli immigrati, perché prevede il compimento di verifiche, con comunicazione al prefetto e al questore ai fini delle indagini sulla pericolosità sociale di tali soggetti.
Dunque, ciò ovviamente comporta danni per le persone richiedenti, dovuti non soltanto alla lunghezza dei tempi. Vorrei ricordare quanti adempimenti, non solo burocratici, ma per la vita quotidiana, dipendono dall'iscrizione anagrafica o perlomeno dalla ricevuta della richiesta di iscrizione anagrafica, che non viene rilasciata nel caso degli stranieri, in particolare comunitari, perché preventivamente si pensa che possano comportare chissà quale pericolo per la società.
L'ordinanza svolge una funzione preventiva, anticipando una eventuale sanzione. Questo è il significato della sospensione ed è la maggiore incongruenza fra tutte quelle di questo provvedimento. Si prevede una commissione per il vaglio delle domande, ma, come è stato già affermato anche dal sottosegretario per la giustizia, si tratta di una funzione attinente ai poteri esclusivi dello Stato.
Infine, vorrei ricordare che nel 1999 il prefetto di Alessandria ha annullato un'ordinanza del genere, che prevedeva una serie di requisiti per l'iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri, tra i quali il certificato di sana e robusta costituzione. Pertanto, le bizzarrie sono storiche, ma sembra che non riusciamo ad elaborare sufficientemente la storia.
Dunque, per questi motivi, riteniamo che l'ordinanza debba essere annullata, aiPag. 63sensi dell'articolo 138 del testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, il sindaco di Cittadella, in provincia di Padova, lo scorso 16 novembre, ha emanato un'ordinanza attuativa delle disposizioni legislative generali sull'iscrizione nel registro delle popolazioni residenti, dettando norme anche in materia igienico-sanitaria e di pubblica sicurezza, riguardanti in particolare gli stranieri, comunitari e non.
L'iniziativa, che era stata preannunciata dalla stampa locale già qualche giorno prima con grande enfasi e pubblicizzata quale strumento in grado di rispondere alle richieste di sicurezza della cittadinanza, è stata accolta con favore da numerosi sindaci dei comuni del settentrione, che hanno emanato provvedimenti di analogo contenuto ispirati all'ordinanza.
Negli ultimi giorni, altri sindaci hanno fatto ricorso allo strumento derogatorio anche per disciplinare materie diverse da quella anagrafica. Almeno in qualche caso, l'esercizio del potere di ordinanza può porre dubbi sulla legittimità.
Come ricordato dagli onorevoli interroganti e secondo quanto riferito dal Ministero della giustizia e anche dal collega Li Gotti poc'anzi, la procura della Repubblica presso il tribunale di Padova ha ipotizzato, a carico del sindaco di Cittadella, il reato di usurpazione di funzione pubblica, previsto dall'articolo 347 del codice penale.
Le contestazioni riguardano, in particolare, l'istituzione di una commissione interna, alla quale è affidato il compito di esaminare le richieste di iscrizione di stranieri e di accertare il presunto status di pericolosità sociale, tale da porre a rischio il mantenimento della salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica. Attraverso tale previsione, secondo l'autorità giudiziaria, si creerebbe un subprocedimento caratterizzato dall'esercizio di funzioni e compiti che il vigente ordinamento giuridico attribuisce al Ministro dell'interno, al prefetto e al questore.
Una seconda circostanza di fatto contestata al sindaco riguarda gli accertamenti preventivi disposti attraverso detta commissione comunale, relativi allo status di pericolosità, che comporterebbero un condizionamento del diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica, non previsto dalla legge e consistente nell'accertamento diretto della pericolosità e nella conseguente segnalazione al prefetto e al questore.
Inoltre, sempre secondo le informazioni rese dal Ministero della giustizia, a fondamento dell'ipotesi di reato figura anche il fatto che della commissione interna prevista dall'ordinanza fa parte un appartenente alla polizia locale, poi individuato nella persona del comandante della polizia municipale di Cittadella, il quale, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, è astrattamente legittimato all'acquisizione e al trattamento dei dati relativi alla pericolosità sociale.
In attesa della definizione del procedimento giudiziario relativo all'ordinanza emanata dal sindaco di Cittadella, che è tuttora in fase di indagini preliminari, occorre focalizzare l'attenzione sul problema che si sta ponendo, sempre con maggiore enfasi, sulla corretta utilizzazione del potere di ordinanza da parte dei sindaci, atteso che in alcuni recenti casi, come già accennato, possono emergere dubbi sul legittimo ricorso allo strumento derogatorio.
Sul tema esiste una consolidata giurisprudenza, anche costituzionale, che, nel tener conto del carattere di urgenza e di necessità dei presupposti che sottendono all'emanazione delle ordinanze, sottolinea che le stesse devono avere un'efficacia limitata nel tempo, un'adeguata motivazione e un'efficace pubblicazione, conformemente ai principi dell'ordinamento giuridico.
Nel caso dell'ordinanza del sindaco del comune di Cittadella, appare preliminarmente necessario puntualizzare che suscitaPag. 64qualche perplessità la scelta di fare ricorso ad un provvedimento contingibile ed urgente, finalizzato a prevenire e ad eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini.
Peraltro, il provvedimento detta disposizioni interne ai propri uffici, senza stabilire nuove norme a carattere straordinario e temporaneo, pur senza addurre particolari motivazioni a sostegno dello strumento prescelto. In effetti, il sindaco ha fondato il provvedimento su un asserito incremento dei livelli esponenziali dei flussi migratori (e conseguentemente delle richieste di iscrizione nel registro anagrafico della popolazione), che potrebbe causare emergenza sotto il profilo dell'igiene e della sanità pubblica, nonché dell'ordine pubblico della sicurezza.
Richiamo, in proposito, la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 2109 dell'8 maggio 2007, sezione V, ha stabilito che il potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti non può prescindere dalla sussistenza di uno stato di effettivo e concreto pericolo per la pubblica incolumità, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva, da motivare sempre e debitamente ad esito di approfondita istruttoria.
Riguardo ai contenuti del provvedimento, come noto, l'ordinanza disciplina l'iscrizione ai registri anagrafici degli stranieri, con particolare riguardo ai cittadini comunitari.
Ricordo, a tal proposito, che i sindaci, in materia di stato civile ed anagrafe operano quali ufficiali del Governo, applicando la normativa vigente, nel rispetto delle leggi della Repubblica. In particolare, ad essi spetta, nella loro qualità di ufficiali di anagrafe, di sovrintendere alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione, secondo quanto previsto dagli articoli 50 e 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000. A livello statale la materia è affidata al Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 300 del 1999.
La normativa comunitaria concernente le iscrizioni nei registri anagrafici dei cittadini dell'Unione, di recente recepita nel nostro ordinamento nazionale, non consente di subordinare detta iscrizione a condizioni diverse da quella relativa all'accertamento - necessario al fine di non gravare sul sistema assistenziale dello Stato ospitante - della disponibilità dei mezzi di sostentamento. La direttiva è stata recentemente attuata con il decreto legislativo n. 30 del 2007, che opera un rinvio alla vigente disciplina in materia anagrafica, anche in relazione alle condizioni per l'iscrizione al procedimento amministrativo. All'autorità locale non è quindi consentito di modificare o integrare le norme nazionali con interventi di carattere amministrativo.
Eventuali problemi che possono derivare a livello locale dall'applicazione della normativa nazionale potranno essere affrontati solo attraverso un processo di modifica delle disposizioni comunitarie.
In tal senso, il Presidente del Consiglio, insieme al Premier rumeno, ha già chiesto al Presidente della Commissione europea l'adeguamento della normativa comunitaria alle attuali diverse esigenze. Alla richiesta si è associato il Governo francese, che ha condiviso l'opportunità di iniziative congiunte in questa direzione.
Tutto ciò premesso, il Governo è consapevole che occorre dare una risposta alla richiesta di sicurezza della cittadinanza. È indiscutibile, infatti, che tra la popolazione è diffuso un preoccupante senso di allarme, particolarmente accentuato nelle popolazioni delle aree maggiormente esposte all'immigrazione, per motivi sia geografici che economici, che ha negativamente inciso sulla percezione di sicurezza dei cittadini.
A tale proposito, ricordo che il tema della sicurezza costituisce una priorità nell'azione del Governo, che è intervenuto sia in via normativa che attraverso strumenti amministrativi. Lo scorso 30 ottobre il Governo, infatti - lo ricordava in precedenza il sottosegretario Li Gotti -, ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza, costituito da cinque disegni di legge, per contrastare la criminalità diffusa. Mi riferisco, in particolare, alle disposizioni per garantire la sicurezza urbana, quellePag. 65in tema di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena, all'istituzione della banca dati del DNA e alle misure di contrasto alla criminalità organizzata.
Al fine di dare concreta applicazione alla direttiva 2004/38/CE, attuata nel nostro ordinamento attraverso il decreto legislativo n. 30 del 2007, ricordo in particolare l'approvazione del decreto-legge n. 181 del 2007 in materia di sicurezza urbana, che consente l'allontanamento, anche immediato, dei cittadini comunitari la cui permanenza in Italia risulti incompatibile per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Ma è soprattutto attraverso la ricerca di collaborazione con le regioni e le autonomie locali che il Governo sta operando, cercando convergenze e strategie comuni per mettere a punto misure mirate al contrasto alla criminalità e all'illegalità. Si tratta di un nuovo approccio al problema, espressione di una rinnovata solidarietà interistituzionale che, in un'ottica di condivisione delle responsabilità, mira a superare la collaborazione limitata alla fase emergenziale, favorendo le strategie di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata e all'illegalità diffusa, destinata a durare nel tempo.
Cito a tale proposito l'accordo quadro del 20 marzo 2007 stipulato dal Ministro dell'interno con l'ANCI, che coinvolge tutti i comuni italiani, i patti per la sicurezza, ormai ampiamente diffusi sul territorio, con le principali città metropolitane e quelli stipulati con la regione Friuli-Venezia Giulia e con la Calabria.
Proprio nell'ottica della collaborazione, deve essere condivisa la proposta formulata dal presidente dell'ANCI finalizzata a promuovere un confronto con gli enti territoriali e locali in sede di Conferenza unificata relativamente alle questioni tecniche riguardanti le regole sulle iscrizioni anagrafiche, nella convinzione che il prospettato accordo interistituzionale sia l'unico modo per approfondire, affrontare e condividere le preoccupazioni comuni sulla sicurezza dei cittadini e per studiare insieme le modalità concrete per applicare e dare la massima effettività alle disposizioni, anche recenti, in tema di sicurezza. In quella sede potrà validamente essere affrontato il tema dei poteri dei sindaci quali ufficiali del Governo.
Nel ribadire comunque che ogni iniziativa locale deve essere attuata nel rispetto delle leggi della Repubblica, il Governo ritiene opportuno percorrere la via della collaborazione, cercando soluzioni condivise e rinviando solo all'esito del confronto eventuali iniziative anche in termini sanzionatori.
PRESIDENTE. L'onorevole Frias ha facoltà di replicare.
MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor Presidente, volevo ringraziare il sottosegretario per la gentilezza, la cortesia e l'impegno con cui ha risposto all'interpellanza. Ritengo ovviamente che sia sempre positiva ogni iniziativa di collaborazione con gli enti locali e con le regioni. Devo dire, però, che, di fronte ad un fatto di tale gravità allorché qualcuno deborda dalle proprie funzioni, affermare solamente «vogliamoci bene» non risolve la questione. In questo caso il Governo dovrebbe assumere i poteri in suo possesso e i suoi doveri per ripristinare la legalità, visto che si parla tanto della legalità, perché in questo caso siamo andati oltre.
Come ha affermato precedentemente il suo collega, il sottosegretario alla giustizia, stiamo parlando di aspetti che dimostrano l'illegittimità di questo provvedimento. Anche lei in diversi passaggi ha usato il termine «illegittimo» e ha affermato che l'ente locale non può sostituirsi e non può intervenire in alcun modo.
Allora, alla luce dell'analisi contenuta nella sua risposta, come possiamo far rimanere tutto com'è? Dobbiamo attendere che un giorno si faccia una riunione o si riuniscano cinque tavoli per decidere? Io penso che il prefetto di Padova e, ancor di più, il Ministro dell'interno, come ha già fatto il prefetto di Alessandria nel 1999, dovrebbero annullare un'ordinanza che, come abbiamo sottolineato nell'illustrazione dell'interpellanza, si dimostra così discriminatoria.Pag. 66
In questi giorni stiamo assistendo ad una deriva non solo securitaria. Vi sono diversi sindaci e consiglieri comunali, persone di modesto spessore politico, che però si sono guadagnati il loro quarto d'ora di gloria apparendo sulle prime pagine dei giornali e dei telegiornali, perché stanno facendo a gara a chi la spara più grossa contro il nemico, ed il nemico è identificato nell'emigrante, che però è quello che contribuisce alla loro ricchezza.
Infatti, ricordo che i cittadini del ricchissimo Veneto sono stati i grandi emigranti verso gli Stati Uniti. Basta fare una piccola ricerca per andare a vedere tutti i vari Galan, Borghezio, Bosi e company che si trovano tra i cognomi di quelle famiglie arrivate a Ellis Island e lì messe in quarantena. Se negli Stati Uniti - come ha affermato un famoso giornalista - avessero applicato un'ordinanza simile a quelle oggi discusse, non so cosa sarebbe successo con tutti i parenti dei vari sindaci di Cittadella e dei vari consiglieri comunali che in questo momento fanno tali «sparate».
Sembra che non vi sia elaborazione della storia, tuttavia non voglio porre la questione sul solo piano storico, perché vi è anche una questione di buonsenso. Stiamo discutendo di un provvedimento che individua una serie di categorie di persone, che sanziona in via preventiva e che parte dalla patologia. Effettivamente tra gli immigrati vi è una percentuale fisiologica - lo sottolineo - di persone che si trovano nel circuito della devianza, ma la maggior parte di loro - potete consentirmi tale affermazione - è gente che lavora e contribuisce alla ricchezza del Paese. Vi sono le cifre a supporto di tale conclusione, le ho illustrate prima nel question time, e potrei ripeterle, ma ve le risparmio, considerato che vogliamo tutti andare a casa.
Dunque, non si può governare in questo modo. Non si può sistematicamente rincorrere e seguire le onde emotive e la percezione della sicurezza. Nella I Commissione stiamo svolgendo un'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza nella quale sono intervenuti tutti i responsabili delle diverse forze dell'ordine e molti esperti, i quali dichiarano che non vi è corrispondenza tra l'andamento della criminalità effettiva e l'aumento della percezione che il mondo stia crollando.
Allora, come mai rispondiamo a determinate questioni stringendo i patti per la sicurezza, perché sembra che si risolva il problema aggiungendo un poliziotto in più per la strada? Vi è realmente un problema sociale ed economico che sta colpendo molte famiglie e non abbiamo molte risposte da dargli. La gente si rinchiude e ha paura e la nostra risposta è rincorrere sistematicamente il fatto che la gente ha paura con la misura del poliziotto sotto casa. Le forze di Governo - concludo, Presidente - forse dovrebbero assumersi anche la responsabilità di fare qualcosa «contro». Non è tanto comodo e magari non paga dal punto di vista elettorale (considerato che tutti facciamo questo tipo di calcoli), però rientra nella responsabilità di Governo e dovrebbe esserci nel DNA della sinistra. Mi levo tanto di cappello di fronte al centrodestra che, quando ha governato nei suoi cinque anni, ha avuto il coraggio di adottare le leggi che esprimevano le proprie idee. Così abbiamo un'orrenda e abominevole legge Bossi-Fini, che però esprime quello che loro pensano. Noi non siamo capaci neanche di un minimo di coraggio e di essere coerenti con le nostre convinzioni o, per lo meno, con ciò che dichiariamo.
(Dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze in merito al ricorso al Consiglio di Stato relativo alla revoca del consigliere Rai, professor Angelo Maria Petroni - n. 2-00866)
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00866, concernente dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze in merito al ricorso al Consiglio di Stato relativo alla revoca del consigliere RAI, professor Angelo Maria Petroni (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
Pag. 67ANTONIO LEONE. Signor Presidente, sono curioso anch'io di sentire la risposta, pertanto mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Nicola Sartor, ha facoltà di rispondere.
NICOLA SARTOR, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente n. 2-00866 l'onorevole Leone ed altri propongono quesiti in ordine alle dichiarazioni del Ministro Padoa Schioppa rilasciate durante la trasmissione Che tempo che fa del 25 novembre scorso, relative alla sentenza del TAR del Lazio sulla revoca del consigliere d'amministrazione della RAI, Petroni.
Al riguardo, si osserva quanto segue. Se il Ministero dell'economia e delle finanze non avesse ritenuto di avere validi argomenti a sostegno del ricorso contro la decisione del TAR, sicuramente non avrebbe presentato il ricorso al Consiglio di Stato contro quella sentenza. Questo è l'unico senso che si può trarre dalle testuali parole del Ministro che cito: «Sono convinto che il ricorso che faremo al Consiglio di Stato darà ragione al Ministero, che ha fatto la scelta delle revoca».
Risulta pertanto ovvio che le parole del Ministro in nessun caso possano essere intese come un tentativo di influenzare le decisioni del Consiglio di Stato. È gravemente offensivo, infine, verso il Consiglio di Stato, la cui indipendenza è fuori discussione, ritenere - come fanno gli interpellanti - che una semplice dichiarazione televisiva, come quella in oggetto, possa avere l'effetto di influenzarne le decisioni.
Il Governo, al contrario, è ben consapevole che nessuna dichiarazione televisiva, né altre iniziative politiche o parlamentari, possano condizionare il libero convincimento della suprema magistratura amministrativa.
Infatti, in data 4 dicembre 2007, il citato organo ha respinto la richiesta di sospensiva, presentata dal Ministero dell'economia, degli effetti della citata sentenza del TAR del Lazio.
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di replicare.
ANTONIO LEONE. Ha terminato, era questa la risposta? Mi dispiace per lei, signor sottosegretario, perché l'hanno inviata in questa brutta vicenda a dare una risposta ridicola, di quattro righe peraltro (non penso quindi che l'abbia scritta lei). Doveva, invece, essere portata all'attenzione del Parlamento dallo stesso Ministro Padoa Schioppa, che sta collezionato tutta una serie di brutte figure, una dietro l'altra, non ultima quella del 4 dicembre a cui alludeva lei, signor sottosegretario.
È dunque una risposta vergognosa, quella che lei oggi è venuto a leggere in quest'Aula. Non gliene faccio colpa, perché sono convintissimo - conoscendola - che non è farina del suo sacco, tant'è vero che so per certo, per precedenti notizie che mi erano giunte, che forse non era neanche destinato lei a venire a rispondere in questa sede (in un primo momento vi era stata addirittura l'ipotesi di far venire un sottosegretario agli esteri, o qualcosa del genere!), ma tant'è. Non può venire lei in quest'Assemblea ad affermare che se il Ministro non avesse avuto l'idea che il ricorso fosse stato fondato, non lo avrebbe fatto.
Fin qui nulla quaestio, ma apparire in televisione, da parte di un Ministro della Repubblica, per dire che sicuramente il Consiglio di Stato darà ragione al ricorso proposto dal Ministero, mi sembra spingersi un po' oltre la funzione non solo di un Ministro, ma di un semplice cittadino. Se fossi andato io in televisione per una mia causa a compiere una tale affermazione, sarei stato tacciato di quello di cui è stato tacciato il Ministro oggi. Un cittadino qualsiasi non può permettersi di comparire in televisione ed affermare di essere certo che il Consiglio di Stato gli darà ragione, che un giudice gli darà ragione. Questo ha fatto il Ministro.
Il Ministro ha dimostrato, con la sua risposta all'intervistatore, di voler proseguirePag. 68nella sua azione di arroganza nei confronti del consigliere Petroni, e ha fatto una gaffe. Non lo diciamo noi, non lo ha detto a lui solo il Consiglio di Stato: glielo dice la maggior parte dei componenti della sua stessa maggioranza. Glielo dicono Il Manifesto, L'Unità, Il Corriere della sera, Il Sole 24 Ore. Ha compiuto una serie di gaffe e di ricorsi temerari - di questo si è trattato - con i soldi dei cittadini italiani. Ha portato temerariamente davanti alla magistratura amministrativa una questione che ormai è diventata di natura personale.
Il ricorso consisteva nel chiedere la sospensione della sospensione - di questo si è trattato! - al Consiglio di Stato, senza aver ottemperato alla sentenza, come avrebbe dovuto fare un cittadino qualsiasi e, a maggior ragione, un'istituzione dello Stato legata al Ministero dell'economia e delle finanze, il più importante della nostra Repubblica. Avrebbe dovuto ottemperare alla sentenza del TAR del Lazio, non, invece, chiederne, solo e soltanto perché non la si condivideva, la sospensione degli effetti.
In questo modo ha creato un caos indicibile. Volendo continuare su questa strada, il Ministro si troverà ad avere all'interno del consiglio di amministrazione della RAI due componenti, uno revocato e poi riammesso da parte dei giudici, uno nominato dopo la revoca del consigliere Petroni (parlo del Fabiani), all'interno dello stesso consiglio di amministrazione.
C'è una poltrona per due, che non vi sarebbe, in primo luogo se non vi fosse stata la revoca - ma a tale riguardo nulla questio, è inutile che ne parliamo - e, in secondo luogo, se il Ministro avesse ottemperato alla sentenza del TAR del Lazio. Cosa che non ha fatto né ha voluto fare, perché un conto è dire che non si condividono le sentenze, un conto è non rispettarle. E chi non le deve rispettare? Il cittadino qualsiasi o un Ministro dello Stato, che va in televisione ad affermare di essere certo che il Consiglio di Stato gli avrebbe dato ragione? In questo non si ravvede alcun tentativo di pressione sul giudice e sul Consiglio di Stato? Il fatto che il Consiglio di Stato, nella sua piena autonomia, non si sia sottoposto a quelle indebite pressioni - noi le riteniamo tali - e non abbia dato torto al Ministero, giustifica che il Ministro lo avrebbe potuto dire e lo abbia detto? Mi sembra che vi sia un artificio nella risposta; mi sembra che sia un modo un po' particolare di pensare lo Stato e la funzione istituzionale di un Ministro e dei giudici.
Non si agisce con arroganza e con l'idea dell'onnipotenza, così come si è comportato il Ministro quando ha fatto la prima gaffe, revocando il consigliere Petroni. Non sono io a parlare di gaffe, ma i suoi alleati. Si tratta degli alleati di questo Ministro che, oltre a questa gaffe, ne ha fatte tante altre che dovrebbero condurlo, una volta per tutte, a dimettersi. Un Ministro non può, solo per un vezzo e per un'idea personale nei confronti di un componente del Consiglio di amministrazione della RAI - per operare uno spoil system che nessuno gli avrebbe consentito (specialmente a chi si proclama tecnico e non politico) - arrivare a fare ciò che ha fatto.
Egli ha affrontato una serie di giudizi temerari, con grave dispendio dei soldi dei cittadini, ed ha fatto una serie di brutte figure nei confronti dei cittadini, della politica e della RAI. Ha, infatti, ottenuto solo un risultato: quello di vedersi smentito da parte dei magistrati e di creare il caos - ove mai ce ne fosse ancor più bisogno - all'interno del consiglio di amministrazione e della RAI. Occorre allora prendere atto (e questo è il motivo per cui sarebbe dovuto venire il Ministro al posto suo, signor sottosegretario) di avere sbagliato a revocare il consigliere Petroni e a ricorrere alla magistratura, non avendo ottemperato a quella sentenza e avendo gettato la RAI ancora più nel caos. Queste sono le responsabilità di questo Ministro!
In altri Paesi civili, a fronte di tali responsabilità, questo Ministro avrebbe dovuto sentire il bisogno e la necessità di dimettersi e rimettere il proprio mandato, ma tant'è; abbiamo avuto già altre situazioni - come quella del generale SpecialePag. 69della Guardia di finanza - e tanti altri episodi. Questo Ministro è più attaccato alla poltrona di qualsiasi altro Ministro che non proviene dalla società civile, che non è un tecnico, ma un politico.
Egli, che continua a puntare il dito contro i politici, dovrebbe prendere atto di essere peggiore degli stessi politici e di quei ministri che si trincerano dietro la politica. Egli non lo può fare perché è un tecnico, lo va sbandierando, ma è giunto il momento di prendere atto che sta sbagliando, ha sbagliato e vuole continuare a sbagliare.
Pertanto, la richiesta di dimissioni non proviene solo da questa parte politica, bensì da ogni parte politica, che ha capito oramai di che pasta è fatto quest'uomo, il quale sta abusando letteralmente della propria carica di Ministro.
L'unica soluzione è quella di dimettersi. Lei stesso, signor sottosegretario, non ha risposto alla nostra interpellanza urgente e ancora oggi, attraverso chi ha scritto la risposta, ha fatto sì che il Parlamento non debba nessun rispetto nei confronti di chi non lo rispetta.
Il Ministro Padoa Schioppa continua a dimostrare di essere irriguardoso e irrispettoso nei confronti del Parlamento!
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.