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Discussione del disegno di legge: S. 1872 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza (Approvato dal Senato) (A.C. 3292) (ore 9,50).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 3292)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e Partito Democratico-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la I Commissione, onorevole Zaccaria, ha facoltà di svolgere la relazione.
ROBERTO ZACCARIA, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, domando che parli per primo il presidente Pisicchio, come avevamo concordato.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Zaccaria.
Il relatore per la II Commissione (Giustizia), onorevole Pisicchio, ha facoltà di svolgere la relazione.
PINO PISICCHIO, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, ringrazio il collega relatore per la I Commissione, onorevole Zaccaria.
Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il concitato dibattito che ha tenuto campo nella politica in questi ultimi giorni attorno al cosiddetto decreto sicurezza suggerisce al relatore per la II Commissione - per la I Commissione, com'è noto, riferirà l'autorevole collega, onorevole Zaccaria -, prima ancora di affrontare il merito del provvedimento, per il riverbero della competenza della Commissione giustizia relativamente alle disposizioni di natura giurisdizionale, sostanziale e penale, in esso contenute, di non eludere le questioni legate all'articolo 1-bis, inerente alle discriminazioni per specifici motivi, fra cui le tendenze sessuali.
Come ricordavamo già nella relazione svolta di fronte alle Commissioni riunite, l'articolo 1-bis introdotto dal Senato è diretto a modificare il comma 1 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, con la quale è stata ratificata la Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
L'intervento del Senato ha inteso ampliare due fattispecie penali che attualmente sanzionano le condotte discriminatorie o violente poste in essere per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Senza incidere sull'entità delle pene, si è inteso così ampliare la norma prevedendo ulteriori motivazioni attraverso il rinvio all'articolo 13, numero 1, del Trattato di Amsterdam. Queste nuove motivazioni ineriscono alle convinzioni personali, all'handicap, all'età e alle tendenze sessuali.Pag. 4
Anziché descrivere direttamente i nuovi motivi illeciti che possono sorreggere la condotta, il testo approvato al Senato ha rinviato alle ragioni di cui al citato articolo 13 del Trattato. Qui si pone primo problema.
Il riferimento normativo non è corretto, in quanto quello giusto non è l'articolo 13, ma l'articolo 2, punto 7. Il richiamo testuale all'articolo 13, infatti, è riferito alla circostanza che - cito testualmente - il Trattato è concluso per un periodo illimitato. Se il riferimento testuale è sbagliato, l'intenzione del Senato è chiara: combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
La novità più rilevante è offerta da quest'ultima motivazione: le tendenze sessuali. Al riguardo, occorre che il relatore della II Commissione - che peraltro è il presidente della medesima - ricordi a se stesso e all'Aula che, proprio sulla materia dell'omofobia, la Commissione giustizia era impegnata da lungo tempo per un esame attento e approfondito ed era giunta - come in effetti è giunta - a definire un testo.
Il dibattito nelle due Commissioni si è a lungo incentrato sulla questione della estraneità della materia rispetto al contenuto del decreto-legge. Non credo possano esservi obiezioni rilevanti a tale osservazione: occorre solo registrare che il Senato ha esercitato la sua autonomia e di fronte a quell'autonomia questo ramo del Parlamento ha dovuto fermarsi.
Il necessario rispetto dell'autonomia del Senato, però, non ci esime dal sottolineare che è arrivato il momento di risolvere definitivamente la grave questione della diversità dei parametri di valutazione dell'estraneità della materia nei due rami del Parlamento.
Non è rilevante la circostanza richiamata al Senato che la disposizione sia stata inserita in un maxiemendamento sul quale è stata posta la questione di fiducia, come tale, non soggetta a valutazioni di ammissibilità per omogeneità di materia: tale disposizione, infatti, era stata già oggetto di un emendamento di iniziativa parlamentare dichiarato ammissibile da quel ramo del Parlamento.
È sin troppo evidente che la diversità dei parametri della valutazione sull'ammissibilità costituisce un grave vulnus al principio del bicameralismo perfetto, in quanto si è creata ormai una situazione in cui una Camera ha maggiori poteri rispetto all'altra.
È accaduto che il Senato, sostanzialmente, si appropriasse di una materia all'esame della Commissione giustizia della Camera. Si è ripetuto, dunque, ciò che è già avvenuto altre volte e, da ultimo, anche in riferimento alla class action, in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria.
È accaduto ancora pertanto che, attraverso una dinamica che non trova soccorso nell'autonomia dei Regolamenti (perché sia quello del Senato sia quello della Camera sono ispirati agli stessi principi fondamentali, tra i quali certamente trova spazio quello che sancisce l'impossibilità di procedere nella delibazione della materia su cui l'altro ramo sta discutendo), fosse messo a rischio il principio su cui si regge la simmetria del nostro bicameralismo, che rende pari i due rami.
Lo diciamo non per una rivendicazione gelosa o tralatizia delle nostre prerogative, né per un'astratta emulazione nei confronti dell'altro ramo, ma solo per ricordare che le nostre regole, che discendono dai principi costituzionali, sono poste a tutela della funzionalità del potere legislativo per consentire il pieno rispetto del mandato conferito dagli elettori.
Possiamo cambiare queste regole, anzi, dobbiamo farlo - le riforme istituzionali sono avviate per questo -, ma finché ci sono è necessario che vengano rispettate.
Abbiamo superato, alla fine, il disagio causato dalla mortificazione del lavoro svolto in Commissione dai colleghi di maggioranza e di opposizione e lo abbiamo fatto continuando a lavorare, ricercando soluzioni equilibrate che tenessero nel conto le giuste esigenze delle persone vittime di episodi di grave discriminazione, ma anche dei principi costituzionali su cui Pag. 5si fonda il nostro sistema penale, che vede tra i suoi punti di riferimento il principio di legalità, da cui discende la determinatezza della fattispecie penale, e il principio di offensività, che punisce la condotta lesiva di un bene giuridico.
Questo lavoro è sfociato in un dispositivo, esito di un confronto serrato in Commissione giustizia cui non è mancato il contributo dell'opposizione. Tale dispositivo, che ampia la protezione antidiscriminatoria a favore dei soggetti indicati nel trattato di Amsterdam, recependo il riferimento dell'articolo 3 della Costituzione italiana alle condizioni personali e sociali, è dunque il frutto politico e tecnico-legislativo della Commissione competente offerto alla valutazione dell'Assemblea, anche con riferimento al dibattito che ci prepariamo ad affrontare in ordine al «decreto sicurezza», poiché il nostro argomentare su tale provvedimento non potrà prescindere dalla soluzione che il Governo si è impegnato a dare alle distonie di cui il provvedimento si è caricato nel passaggio al Senato.
Il decreto-legge, dunque, si presenta con un duplice profilo: da un lato, il quadro degli interventi urgenti di espulsione congegnati con coerenza, necessari e indifferibili, di cui dirò in breve dettaglio in seguito; dall'altro lato, la norma antidiscriminatoria errata, che minaccia l'efficacia delle disposizioni contenute nella legge Mancino. Abbiamo apprezzato e condiviso la pronta volontà del Ministro Chiti di intervenire a correggere l'errore, con un intervento governativo d'urgenza destinato ad entrare in vigore contestualmente al momento in cui questa parte del decreto-legge dispiegherà la sua efficacia.
Ci domandiamo se non possa essere opportuno, al fine di evitare complicazioni di tecnica legislativa e al tempo stesso affermare una scelta rispettosa del lavoro della Camera e coerente con la sostanza della scelta che si voleva compiere con il noto gesto imperfetto compiuto al Senato, emanare un provvedimento che prende a base il lavoro compiuto dalla Commissione giustizia della Camera in ordine alle norme antidiscriminatorie.
Per quel che concerne le norme più coerentemente collegate alla ragione del decreto-legge, la condivisione da parte del relatore della II Commissione in ordine ai motivi di urgenza e di necessità e al merito attraverso il quale il decreto-legge viene a dispiegarsi, è piena.
Concludo il mio intervento con due inviti. Il primo invito è rivolto al Governo affinché, coerentemente all'impegno assunto con le Commissioni riunite, intervenga tempestivamente per correggere la parte imperfetta inserita per errore dal Senato nel decreto-legge. In questo caso, il concetto di tempestività deve significare che, contestualmente all'entrata in vigore del decreto-legge, l'Esecutivo dovrà varare un provvedimento urgente che riequilibri le sconnessioni create con l'articolo 1-bis, così come ci è pervenuto dal Senato.
Solo così potrà apparire accettabile l'altro invito che rivolgo all'Assemblea, questa volta, di procedere alla conferma di un provvedimento che non avrebbe il tempo necessario per un nuovo passaggio al Senato.
Qualora ciò avvenisse, risulterebbe messa nel nulla anche la parte positiva del decreto legge in esame, che colma un vuoto normativo avvertito grandemente dal Paese.
Per portare un contributo all'economia dei lavori dell'Assemblea, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna il testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Pisicchio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la I Commissione, onorevole Zaccaria, ha facoltà di svolgere la relazione.
ROBERTO ZACCARIA, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, il decreto legge oggetto del disegno di legge di conversione al nostro esame, risponde all'esigenza di introdurre nell'ordinamento giuridico italiano strumenti per rendere più efficace l'allontanamento dei cittadini Pag. 6dell'Unione, la cui presenza nel territorio nazionale possa contrastare con motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o anche per effetto della cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. Si tratta di una clausola contenuta nella direttiva 2004/38/CE e che aveva già trovato attuazione nel decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.
Le misure contenute in tale decreto legislativo, anche alla luce di una serie di fatti sopravvenuti, sono state ritenute insufficienti dal Governo, per assicurare un'effettiva esecuzione delle misure di allontanamento dei cittadini comunitari nelle suddette circostanze.
L'obiettivo di fondo dell'intervento normativo d'urgenza al nostro esame è garantire maggiore sicurezza nel nostro Paese, ma nel costante rispetto delle regole che fondano diritti e garanzie per i cittadini e anche per gli stranieri, così come ha avuto modo di affermare la Corte costituzionale in importanti sentenze.
Il decreto-legge al nostro esame introduce provvedimenti riconducibili alla controversa categoria delle misure di prevenzione cosiddette ante delictum. La compatibilità delle misure di prevenzione con i principi costituzionali in materia di libertà personale è uno dei dubbi di fondo che ha accompagnato l'elaborazione sia della dottrina, che della giurisprudenza, per lunghissimi anni nel nostro Paese. Infatti, l'introduzione di simili misure sembrava in dottrina (tra i molti autori che si sono occupati di tale argomento cito, per tutti, Leopoldo Elia e Paolo Barile) in contrasto con un sistema costituzionale che espressamente circoscrive le limitazioni alla libertà personale all'accertamento di una responsabilità penale (pena) oppure alla pericolosità sociale accertata sulla base della commissione di un reato (misure di sicurezza post delictum).
Tuttavia, nella sentenza n. 68 del 1964, la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità del sistema di prevenzione previsto nell'ordinamento giuridico italiano, riconoscendo vigente un «principio di prevenzione e di sicurezza sociale che affianca la repressione in ogni ordinamento, come esigenza e regola fondamentale» e, come tale, pervade l'intera Costituzione. Tutto ciò, come già aveva affermato la Corte nella sentenza n. 27 del 1959, è dovuto al fatto che «l'ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti tra i cittadini» deve essere garantito «oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in avvenire». Questo per dare una risposta a quei colleghi che durante il dibattito in Commissione spesso si sono interrogati sul significato di alcune formule di carattere generale, come l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica e dello Stato.
Nel disciplinare le misure di prevenzione, il legislatore deve prestare comunque estrema cautela a che gli istituti, nel caso concreto, non si pongano in conflitto con i principi costituzionali e deve ricondurre la disciplina legislativa delle stesse, per quanto possibile, ai principi che la Costituzione pone con riferimento alle altre misure restrittive della libertà personale, in particolare a quelle desumibili dall'articolo 13 della Costituzione, che diventa ed è norma nevralgica per valutare tutto l'impianto di interventi in tale materia.
In particolare, il rispetto della riserva di giurisdizione, cioè la «giurisdizionalizzazione» del procedimento, attraverso il quale si giunge all'applicazione di una misura di sicurezza (anche nella forma della convalida del giudice ex articolo 13, comma 3, della Costituzione), appare un momento decisivo in tale direzione.
Concludo questa parte di inquadramento che, a mio modo di vedere, è importante, perché tutto il dibattito che si è svolto durante i lavori della Commissione ha denotato proprio la tendenza delle varie parti politiche a porre, di volta in volta, l'accento su uno o sull'altro aspetto: chi, da un lato, punta sulla sicurezza in maniera esclusiva e chi, dall'altro, punta alla garanzia dei cittadini e degli stranieri. Sono due esigenze che non possono andare disgiunte, devono essere combinate. Lo aveva ricordato recentemente la Pag. 7Corte costituzionale, riconoscendo costituzionalmente illegittimo il procedimento regolato dall'articolo 13, comma 5, del testo unico sull'immigrazione, disposizione che prevedeva l'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera di cittadini extracomunitari prima della convalida da parte dell'autorità giudiziaria. Qui è calata la scure della Corte costituzionale che ha reso illegittime quelle norme. Così come nella sentenza n. 222 del 2004, la Corte ha ribadito il riconoscimento delle garanzie di cui agli articoli 13 (libertà personale) e 24 (diritto di difesa) della Costituzione, anche nei confronti di cittadini stranieri.
Si tratta di principi che nel decreto-legge in discussione avevano trovato applicazione solo parzialmente e che hanno trovato, invece, integrale accoglimento con le modifiche apportate al Senato in sede di conversione. Ribadisco, quindi, che la nostra bussola per muoverci in questa complessa materia è rappresentata dal ragionevole equilibrio che dobbiamo sempre osservare (su questo aspetto il Senato ha dato, come dicevo, un contributo positivo) tra l'esigenza della prevenzione, da un lato, e l'esigenza di introdurre misure che siano conformi al dettato costituzionale nei principi che ho richiamato, dall'altro.
Richiamo rapidamente le principali innovazioni introdotte con il decreto-legge in esame. Esse riguardano: la nuova competenza, distribuita tra Ministro dell'interno e prefetto, in ordine ai diversi interventi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, da un lato, e motivi di pubblica sicurezza, dall'altro; la necessità che il provvedimento di allontanamento indichi un termine prestabilito perché l'interessato lasci il territorio nazionale; la possibilità che il questore, nel caso vengano disattese tali prescrizioni, disponga l'esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento; la definizione dei motivi di pubblica sicurezza imperativi (come vedremo, al Senato sono stati più approfonditi); una norma importante che concerne l'introduzione del richiamo all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico sull'immigrazione, per conferire a questi interventi e a queste misure un carattere giurisdizionale, come garanzia per i cittadini.
Già nel decreto-legge è stato introdotto un vincolo che rende più efficace l'allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno per i cittadini comunitari, quindi un'attestazione di obbligo di adempimento dell'allontanamento. È prevista anche la possibilità, con una serie di tutele a favore del soggetto, del ricorso in via giurisdizionale.
Questo è l'impianto del decreto-legge che al Senato ha avuto un sensibile miglioramento su una serie di punti certamente nevralgici. Da un lato, questi provvedimenti non possono essere motivati con ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona; in tal modo, a queste misure di prevenzione si applica il principio della personalità della pena, pertanto con un'estensione della garanzia. Al Senato è stato aumentato il termine per le tipologie di allontanamento: da tre a dieci anni il termine per il divieto di reingresso; da tre a cinque anni quando lo stesso provvedimento è adottato, anziché dal Ministro dell'interno, dal prefetto.
Vi sono, inoltre, una serie di altre misure che cito rapidamente, che sono riportate anche nella mia relazione in Commissione.
È stata introdotta la possibilità di presentare domanda di revoca del divieto di reingresso, che rappresenta anch'essa un elemento importante, così come è stata accolta l'esigenza, da più parti manifestata, di coinvolgere il sindaco del luogo di soggiorno del cittadino dell'Unione europea nella possibilità di provvedere alla segnalazione ai fini dell'adozione dei provvedimenti contenuti nel testo in esame. Peraltro, una cosa è la segnalazione, altra cosa è senza dubbio il provvedimento, che spetta all'autorità di pubblica sicurezza. Come è stato affermato, si è prevista la necessaria convalida da parte del giudice del provvedimento di allontanamento che era già contemplata nel decreto-legge, ma che è stata ulteriormente estesa, e ciò rappresenta un altro elemento che suona in termini positivi.Pag. 8
Inoltre, sono state introdotte due rilevanti modifiche alla disciplina dell'esecuzione immediata dell'allontanamento disposto dal questore. Una di queste attiene al fatto che si è introdotta una più stringente determinazione dei presupposti in presenza dei quali i motivi di pubblica sicurezza possono qualificarsi come imperativi. Con riferimento a tale aspetto, l'opposizione ha presentato in Commissione una serie di emendamenti che da questo punto di vista erano diretti, in generale, a stringere le maglie dell'intervento. In realtà, la norma che essi miravano a emendare è complessa ma estremamente equilibrata, laddove cerca di definire i motivi imperativi di pubblica sicurezza che sussistono, non genericamente quando vi siano comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o i diritti fondamentali della persona, ma quando la persona da allontanare - vorrei sottolinearlo - abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana o ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, tali da rendere urgente l'allontanamento, in quanto la sua ulteriore permanenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza. In tale disposizione si avverte il tentativo chiaro di dare alle nozioni di ordine pubblico e di sicurezza, che sono spesso difficili da definire, una più concreta determinazione, trovando da questo punto di vista termini di equilibrio.
Da ultimo è previsto che, ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza, si tenga anche conto di eventuali condanne per una serie di delitti elencati nello stesso disegno di legge di conversione.
Su queste linee e su questa impalcatura complessa che costituisce la parte rilevante dell'intervento normativo in esame che - è bene non dimenticarlo - aveva la finalità descritta, si è svolto il dibattito in Commissione. Tuttavia, gran parte degli emendamenti presentati in quella sede erano diretti a inasprire le norme limitative dei diritti delle persone nonostante, a mio modo di vedere, il nostro ordinamento costituzionale non lo consenta, e questa è stata una delle ragioni per le quali tali emendamenti sono stati respinti.
Vi è, infine, la questione alla quale ha fatto riferimento ampiamente il collega Pisicchio nella parte iniziale del suo intervento, relativa al problema dell'introduzione della norma (è inutile che mi soffermi a descriverla ulteriormente, poiché ormai è molto più conosciuta di tante altre norme del nostro ordinamento!) che si propone di introdurre la reclusione, quindi, di aumentare le sanzioni penali per chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione, e che contiene, però, un riferimento errato a un articolo del Trattato di Amsterdam. Non è certamente questo l'aspetto che viene messo in discussione perché ormai è un dato acclarato, così come lo è la genesi di questa norma avvenuta durante lo svolgimento del dibattito al Senato, ma è chiaro che per questa complessa serie di ragioni la norma che ha operato un rinvio improprio ad un'altra norma dell'ordinamento comunitario, risulta inapplicabile o quanto meno di difficilissima applicazione. Come è già stato sottolineato dal presidente Pisicchio, la fattispecie penale, infatti, viene a completarsi attraverso un rinvio erroneo in quanto operato con riferimento a un articolo del tutto estraneo.
Ciò detto in ordine a un fatto non controvertibile, è certamente il caso che l'interprete, anche in questa sede parlamentare, distingua tra la parte costruttiva della norma, diretta all'inasprimento della sanzione relativa a una fattispecie male identificata, e la parte distruttiva della stessa.
Nel dibattito di questi giorni - svoltosi anche ieri in Commissione affari costituzionali - si è registrata una certa approssimazione nel considerare tale disposizione come unica. In realtà, è come se, idealmente, ve ne fossero due: una che vuole «costruire» - e costruisce male - e una che vorrebbe «distruggere» la norma precedente. Non credo si possa affermare che questa norma imperfetta possa automaticamente determinare l'abrogazione della precedente disposizione in materia, Pag. 9contenuta nella cosiddetta legge Mancino: di tutto si può discutere, ma è certa e chiarissima la volontà del legislatore di non depenalizzare la fattispecie. Tale obiettivo non è emerso in alcun intervento. Il fine che il legislatore persegue è quello di inasprire le sanzioni in ordine a determinate fattispecie; questa volontà emerge certamente sia nel dibattito al Senato, sia in quello alla Camera: il fine è chiaro.
Si potrebbe parlare, dunque, di successione di leggi nel tempo (ho sentito molte persone misurarsi sull'argomento), ma solo dopo aver risolto il problema precedente. Credo che la soluzione non sia né semplice né automatica; certo, essa è affidata all'interprete: il primo interprete sarà il giudice, che deve regolare le fattispecie concrete al suo esame.
Ricollegandomi al dibattito principale, comprendo che ci si preoccupi che una diversa valutazione del giudice possa determinare situazioni ineguali tra i cittadini: in omaggio al principio della certezza del diritto, quindi, può essere opportuno - mi ricollego alle osservazioni del presidente Pisicchio - un intervento del Governo che permetta di eliminare i margini di dubbio che possono residuare e, quindi, di evitare diverse interpretazioni giurisprudenziali che in un ordinamento, naturalmente, sono possibili. Un giudice potrebbe accedere all'interpretazione che ho illustrato (e non ritenere caducata, sostanzialmente, la norma incriminatrice) e un altro potrebbe pensarla diversamente: si potrebbe ricorrere alla Corte di cassazione per raggiungere una certa uniformità. Di fronte a tale situazione, però, ritengo che il Governo, responsabilmente, rispettando la strada che l'onorevole Pisicchio ha già indicato, possa intervenire anche in via d'urgenza per rendere uniforme tale elemento, in omaggio al principio della certezza del diritto.
Non voglio soffermarmi più a lungo su un problema che potrebbe ancora essere esaminato, quello riguardante l'omogeneità del provvedimento: il collega Pisicchio è intervenuto anche a tal proposito. Da questo punto di vista, l'eterogeneità è un dato, ma qualcuno potrebbe contestarlo, perché, ad esempio, le norme sulla discriminazione potrebbero anche rientrare nella materia in esame. Vorrei adottare, in proposito, la formula della «non essenzialità», secondo la quale, rispetto all'impianto complessivo del testo, tali norme possono considerarsi non essenziali.
Naturalmente, altro giudizio riguarda il fatto che una norma non essenziale, ma ispirata a una positiva finalità, sia stata poi attuata in termini inappropriati. In un provvedimento, però, che ha un impianto complessivo di grande respiro e di grande portata (il 95 per cento di esso persegue lo scopo della maggiore sicurezza nel nostro Paese nelle situazioni che ben conosciamo) e di fronte a tale finalità - rilevantissima costituzionalmente -, vi è il gravissimo rischio della caducazione del provvedimento, al quale andiamo incontro. Qualunque soggetto istituzionale che dovrà valutare tali situazioni (oggi la Camera) non potrà non porsi il problema. Di fronte al ragionevole dubbio che una norma possa determinare effetti abrogativi eventualmente nei confronti della norma precedente, ritengo che il dubbio più grave sia quello relativo alla persistenza del provvedimento, a tutela della sicurezza e delle garanzie dei cittadini.
Per tali ragioni, ritengo opportuno procedere comunque all'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge in discussione, così come approvato dal Senato. Poiché, a mio avviso, l'obiettivo fondamentale della tutela della sicurezza è stato conseguito, e considerato che, ad una scrupolosa lettura del provvedimento, le finalità costituzionali risultano tutelate e che il Senato ha complessivamente migliorato tale impianto, il perseguimento delle esigenze di sicurezza e prevenzione appare, nel complesso, compatibile con il dettato costituzionale.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Pag. 10PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, ritengo che si stiano vivendo da parte del nostro Parlamento e, nello specifico, della Camera dei deputati, giorni nerissimi. Affermo ciò non per polemica, ma rendendomi conto di quanto sta accadendo. Avrei avuto il desiderio che, in termini legislativi, non si fossero realizzate le condizioni negative delle quali stiamo parlando. Una volta che tali condizioni si sono verificate, la Camera dei deputati, avendone preso cognizione nell'ambito del procedimento bicamerale, dovrebbe - lo spero ancora - restituire il testo al Senato per espungere quella norma. Si tratta di una norma che, come tutti riconosciamo, andando a sostituire un articolo della legge Mancino con un richiamo al Trattato di Amsterdam (articolo 13, n. 1), è tecnicamente del tutto sbagliata. È un richiamo del tutto incongruo e sbagliato, perché l'articolo 13, n. 1 afferma soltanto che il presente Trattato ha durata illimitata.
Pur cercando, allora, di capire lo sforzo del relatore Zaccaria allorché tenta di sostenere che l'interpretazione giudiziale potrebbe «tenere in piedi» la norma, ritengo, tuttavia, molto più oggettivamente corretto il comportamento del presidente Pisicchio, relatore per la II Commissione, che denuncia nella sua interezza il vulnus. L'errore al Senato è stato denunciato già dal Presidente Pera. Si è affermato che, poiché l'errore è contenuto in un emendamento sul quale è stata posta la questione di fiducia, non si sarebbe potuti tornare indietro. La Camera dei deputati nell'ambito della navetta potrebbe comunque correggere questo errore in due modi: sopprimendolo o sostituendolo nel modo corretto. Si afferma altresì che non vi sono i tempi per questa correzione. A questa considerazione, io e tutta l'opposizione, rispondiamo che i tempi vi sono, perché, da oggi al 31 dicembre, la navetta può operare ed il Senato può ritornare sulla materia e correggere l'errore.
Altre volte sia il Senato sia la Camera si sono riuniti fra il 25 e il 31 dicembre. In questo caso, forse, non vi sarebbe nemmeno bisogno di questi esercizi estremi; tuttavia, se è necessario, è giusto che i rami del Parlamento svolgano il loro lavoro. Purtroppo, da quanto abbiamo compreso, il problema non è di tipo temporale, ma di tipo politico, e si è rivelato tale anche nel momento in cui si è inserito l'articolo 1-bis in un contesto del tutto diverso. Infatti, un provvedimento in materia di pubblica sicurezza, che inizialmente riguardava l'allontanamento o meno di cittadini comunitari, è diventato luogo ove inserire due disposizioni, una sulle discriminazioni razziali, l'altra (mi riferisco al comma 2-ter) su materia omologa, che in alcun modo potevano essere inserite nel decreto-legge in discussione o nella sua legge di conversione. È in tale operazione che si riscontra il primo vulnus.
È inutile precisare che i Regolamenti della Camera e del Senato hanno disposizioni difformi in materia. Certamente nei Regolamenti, almeno in quello del Senato, non vi è scritto nulla in merito, e si può dire che vi è una prassi, ma quest'ultima non può andare contro logiche forti di carattere costituzionale, da ultimo espresse in modo analitico dalla sentenza n. 171 del 2007 della Corte costituzionale. Infatti, se l'articolo 77 della Costituzione dispone che soltanto condizioni di urgenza e necessità consentono il ricorso allo strumento del decreto-legge, qualcuno mi deve chiarire quale urgenza e quale necessità vi fossero per mutare la legge Mancino in materia di discriminazioni.
Si poteva provvedere tramite una legge ordinaria, come stava facendo la Commissione giustizia della Camera, che è stata spogliata del suo lavoro per consentire l'inserimento di tali misure in questo decreto per ragioni puramente politiche. Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che nei decreti-legge non possono essere inserite materie estranee al contenuto specifico proprio. La stessa sentenza ha altresì precisato che tali materie non possono essere inserite neppure nelle relative leggi di conversione, e che la stessa Pag. 11Corte può intervenire con dichiarazione di incostituzionalità, sia sotto il profilo della valutazione dell'urgenza e necessità, sia sotto il profilo di valutazione della congruità oggettiva dei provvedimenti.
È facilissimo pensare che questa normativa in materia di discriminazione finirà davanti alla Corte, la quale dovrà porsi anche i problemi che ho illustrato. La Corte - ripeto - valuterà tali questioni, alla luce di una così analitica sentenza, frutto di un dibattito svolto negli anni e che ha tenuto conto di un lontano precedente del 1995 (allora non così articolato e specifico); quindi, la stessa Corte non potrà certamente non fare il proprio dovere, basandosi su quanto da essa stessa puntualizzato.
Pertanto, si può affermare che ci troviamo di fronte ad una situazione nella quale bisogna approvare il provvedimento così com'è, per poi eventualmente intervenire in un secondo momento, e non capiamo bene in quale modo.
Un provvedimento dichiaratamente sbagliato, una volta che si sia appurato l'errore, non può essere impunemente approvato, senza andare a violare tutti i cardini del nostro procedimento legislativo e contestualmente della nostra Carta costituzionale. Da questo punto di vista, non vi sono spazi di alcun tipo e di alcun genere.
Non possiamo pretendere dai cittadini il rispetto della legge, mentre poi noi stessi, il Parlamento non rispetta la legge e la Costituzione, approvando una norma che sappiamo sbagliata. Se questa logica verrà perseguita sino in fondo, i cittadini avranno la possibilità di dire: «Voi non rispettate le leggi, perché chiedete a noi di rispettarle?» Grande punto interrogativo! Dunque, non possiamo permetterci di approvare il provvedimento in esame e poi dire che qualcosa succederà.
Questo caso è diverso anche rispetto al recente errore riguardante il cosiddetto emendamento Fuda. In quel caso, si trattava di un emendamento che determinava alcune conseguenze, senza abrogare norme esistenti. Quindi, entrando nel merito e ritenendolo sbagliato, si è potuto provvedere con un provvedimento separato. È diversissima la situazione: non era emerso un dato tecnico irregolare nella redazione della norma. Fu una rimeditazione sul merito.
Non vedo per quali ragioni non si debba procedere rapidamente alla Camera e ritornare al Senato per concludere in modo corretto il procedimento legislativo in corso. A meno che non vi siano ragioni che, dico la verità, io, che non sono un complottardo, mi rifiuto di accogliere. Sono ragioni, però, espresse oggi, ad esempio, su Il Corriere della sera, il più importante giornale italiano. L'articolo di Francesco Verderami parla di quanto accaduto e afferma: «Il titolare dell'Interno avrebbe riminacciato le dimissioni di ieri. Sicuramente la minaccia sarebbe stata più efficace se avesse bloccato le mosse di due suoi colleghi, Ferrero e Pollastrini, che venti giorni fa si riunirono nella stanza del ministro della solidarietà sociale per discutere insieme ad alcuni rappresentanti del mondo gay, tra cui Benedini e il socialista Grillini. Ferrero - raccontano i partecipanti - aveva il problema di inserire nel decreto norme che impedissero al centrodestra di votarlo». Lo ripeto: inserire norme che impedissero al centrodestra di votare il decreto. «La Pollastrini aveva il problema di togliere l'omofobia dalla legge sullo stalking per ottenere un via libero spedito dalla Camera. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, anche se Grillini ipotizza sia stata una «manina» a redigere il testo in modo «volutamente sbagliato». È Corriere della Sera, a firma Francesco Verderami.
Ma se si inseriscono relazioni su fatti ed illazioni qualificate, perché proprie di parlamentari, cosa sta diventando questo provvedimento? Come potremo spiegare agli italiani che quanto accaduto è soltanto frutto di un errore tecnico, quando addirittura giornali di tale importanza affermano che vi è stato dietro tutto un gioco per far sì che fosse contento chi non voleva la nuova norma e, quindi, da una norma inutile avrebbe tratto soddisfazione, e far contento chi, volendo la nuova Pag. 12norma, la ritrovava nel testo, ma in modo amputato, cosicché era fatto salvo il principio, ma non la sostanza.
Ma di fronte a tutto ciò, amico stimatissimo Zaccaria, come si fa a pensare di mantenere in piedi il provvedimento al nostro esame?
Questo provvedimento va cambiato, perché già nasce in questa temperie politica, che viene evidenziata anche dalla stessa formazione della norma. Le norme devono essere scritte per i cittadini e quella in discussione già presentava limiti di comprensione e di comprensibilità, anche ove fosse stato corretto il riferimento.
Perché non si è recuperato il testo della cosiddetta legge Mancino, elencando compiutamente le offese ed i beni tutelati? Vorrei ricordarne il portato giuridico: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della Convenzione, è punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a seimila euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione, per motivi razziali etnici, nazionali o religiosi».
Tale previsione viene sostituita con le seguenti parole ai sensi dell'articolo 1-bis del provvedimento in esame: «(...) Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 4 della convenzione, è punito: a) con la reclusione fino a tre anni chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all'articolo 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam. (...)».
Ma si fosse anche colto - come dicevo - con esattezza il riferimento, questa norma veniva scritta in modo palliato per cercare di non far capire bene di cosa si parlasse, mettendo il cittadino di fronte al Trattato di Amsterdam, che non è di immediata comprensione. Ciò, soprattutto, passando da una previsione - quella precedente contenuta nella cosiddetta legge Mancino, ancora attuale - che specificava le situazioni e i comportamenti, al riferimento ad un Trattato, che lascia gran parte della popolazione - direi il 99,9 per cento di essa - di fronte ad una norma non immediatamente comprensibile. Quanta callidità vi era già in questo modo di procedere!
D'altro canto, dagli emendamenti presentati posso rilevare che neppure i parlamentari, né coloro che hanno presentato il testo in discussione, hanno pensato in modo univoco a quale fosse la norma da applicare in sostituzione. Tra gli emendamenti presentati dal gruppo di Rifondazione Comunista, infatti, si prevede di sostituire l'espressione: all'articolo 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam, con le parole: di cui all'articolo 13, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Commissione europea. Altri hanno affermato - a mio parere molto più correttamente - che il riferimento dovesse essere sempre al Trattato di Amsterdam, ma non all'articolo 13, n. 1, bensì all'articolo 2, Parte I, n. 7, che introduce un articolo 6 A che riporta: «Fatte salve le altre disposizioni del presente Trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità europea, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l'origine etica, la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali».
Questa poteva essere la norma più puntuale, rispetto alla citazione dell'articolo 13, n. 1. Tuttavia, in questo caso, la Comunità europea non pone in essere un provvedimento per il quale si possa dire «dobbiamo applicarlo», ma un procedimento nel quale occorre la deliberazione unanime del Consiglio su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, e rimane la discrezionalità conseguente all'espressione: «Può prendere i provvedimenti opportuni».
Non si venga a dire che, alla stregua di questa norma, vi è l'obbligo, o comunque la forte opportunità, di inserire questi concetti, come sono stati inseriti, o meglio, come si è tentato di inserire, sbagliando. Siamo completamente fuori registro!Pag. 13
Il perché lo troviamo nell'emendamento del relatore in Commissione giustizia, dove - mandando avanti quel provvedimento che, già da tempo, pendeva davanti a quella Commissione - si stabilisce la seguente norma: «È punito: con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6 mila euro, chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico; a-bis) con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6 mila euro, chi istiga a commettere, o commette» - si parla, quindi, di istigazione o commissione - «atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati su opinioni politiche, sulle condizioni personali o sociali, ovvero sull'orientamento sessuale, o sull'identità di genere».
Basta mettere a raffronto questo emendamento (che è stato approvato e, per l'intero provvedimento, stava per essere conferito mandato al relatore), per vedere come esso sia già diverso anche dall'articolo 2 del Trattato di Amsterdam, ma inserisca, soprattutto, quello che è il nodo del problema secondo la visione dei deputati e dei senatori di Rifondazione Comunista - con tutto il rispetto per loro e per il loro partito - i quali vogliono introdurre l'identità di genere!
L'identità di genere è un concetto che, ad oggi, non esiste in alcun testo legislativo; è un concetto di difficilissima comprensione per tutti ma, soprattutto, di impossibile comprensione per il cittadino, il quale deve adeguarsi alle leggi e per il quale - come dicevo - noi dobbiamo scrivere le leggi. Identità di genere significa che due persone - maschi omosessuali - possono sposarsi o chiedere di essere sposati, perché uno dei due, pur essendo di sesso maschile, dentro la propria concettualità - rispettabile - si sente femmina. Il rispetto dell'identità di genere comporterebbe che questo non si potrebbe dire nelle chiese, nelle riunioni pubbliche e nelle riunioni politiche, perché si andrebbe a violare il concetto di identità di genere. Non solo, ma essendo un reato non soltanto di istigazione, ma anche di commissione, noi metteremmo in difficoltà gli ufficiali di Stato civile, i sindaci e i funzionari, per il fatto di non accettare né trascrivere i matrimoni di questo genere.
Questo è il vulnus fortissimo che ha portato la senatrice Binetti e il senatore Mastella ad assumere posizione e che, proprio per la sua delicatezza, è stato camuffato, mascherato, palliato da questo iter legislativo del quale ho parlato e, come tutte le volte in cui si tenta di truccare le carte, ha ricevuto la sanzione, non voglio dire divina, ma quella esterna dell'errore giuridico.
Si è tentato in tutti i modi di nascondere il cuore della verità. Tuttavia, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi ed è accaduto che si sia fatto riferimento all'articolo 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam, anziché a qualche altra norma maggiormente appropriata (Rifondazione Comunista considera il Trattato sull'Unione europea, qualcuno parla dell'articolo 2, n. 7, del Trattato di Amsterdam).
Cosa possiamo dire? Non reggono neanche le pur intelligenti osservazioni dell'onorevole Zaccaria, secondo le quali la norma non sarebbe abrogativa, per quanto riguarda l'aggravamento delle sanzioni, ma bisognerebbe tenere conto della volontà del legislatore, considerare che si sono volute inasprire le pene e che in ordine al riferimento contenuto si potrà trovare qualche norma utile e, quindi, si dovrebbe mantenere in piedi non solo il provvedimento in materia di sicurezza e allontanamento dei cittadini comunitari ma anche questa parte.
Tuttavia, ciò non è possibile. Ci troviamo in sede di diritto penale - lei, professor Zaccaria, queste cose ce le insegna - nell'ambito del quale è necessaria la determinatezza della norma e bisogna applicare in maniera esatta il principio di offensività. Pertanto, l'interpretazione della norma non può essere lasciata al giudice, altrimenti sarebbe antigiuridica. Infatti, il giudice non può compiere l'interpretazione della norma penale, quando il riferimento normativo è errato e non vi è certezza neppure - anche se non servirebbe a nulla - sulla norma di riferimento, Pag. 14perché su di essa, addirittura, si discute fra coloro che la stanno scrivendo.
Se bisogna intervenire, occorre farlo nel modo più serio possibile. Innanzitutto è necessario che la politica scelga come risolvere tali problemi, soprattutto quello dell'identità di genere, mandi avanti il provvedimento relativo che, ormai, è in discussione da quasi un anno in Commissione giustizia alla Camera ed il cui esame si è velocizzato negli ultimi giorni, sopprima questa norma inutile e faccia tornare nuovamente il provvedimento all'esame del Senato, senza preoccuparsi delle conseguenze politiche.
Infatti, a questo punto, se Rifondazione Comunista verrà garantita attraverso l'approvazione di un testo che potrà ancora essere modificato e definito, mediante l'esame della Commissione giustizia, se i cosiddetti teodem non troveranno inserita tale norma all'interno del provvedimento in discussione, a mio avviso, anche a livello politico si sarà trovata una pace intelligente.
Invece, ritengo che costringere il Presidente della Repubblica a togliere le «castagne dal fuoco» al Parlamento, attraverso una valutazione di quanto è accaduto ed eventualmente la non apposizione della firma e il rinvio del provvedimento di nuovo alle Camere, sia non degno di un Parlamento serio, soprattutto quando i termini della questione sono talmente semplici.
Infatti, vi è la certezza di approvare il provvedimento in discussione nei termini di correttezza imposti dalla situazione. I giornali hanno fortemente fermato la propria attenzione sul provvedimento in discussione e certamente vi si soffermeranno anche i giornali esteri.
Saremo un Parlamento che, conscio di una situazione di grave errore, approverà comunque una norma. Oggi Panebianco, mi sembra, ha scritto, di nuovo sul Corriere della Sera, che l'attuale maggioranza, almeno sul piano della tecnicità e delle professionalità...
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, la invito a concludere.
GABRIELE BOSCETTO. ...sembrava migliore di quella precedente e invece, sia con le vicende «Speciale» e «Petroni», sia con questa vicenda dell'errore in termini di redazione del provvedimento sulla sicurezza - soprattutto della parte della quale stiamo parlando - dimostra di non avere quella supremazia...
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, concluda.
GABRIELE BOSCETTO. ...intellettuale della quale centrosinistra si è sempre gloriato.
Quindi, anche a fronte di pesanti valutazioni di questo genere, mi domando...
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, deve concludere.
GABRIELE BOSCETTO. Concludo, Presidente. Mi domando come sia possibile perseverare ulteriormente nella volontà di arrivare a votare una norma sbagliata. È facile richiamare quel detto - chiamiamolo così - errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad un decreto-legge concernente le procedure di espulsione di cittadini comunitari che si inquadra nell'ambito di una direttiva europea (come tutti sappiamo, la 2004/38/CE sul diritto di circolazione e di soggiorno) e che è stato adottato dopo il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che ha recepito la direttiva medesima.
Dico ciò per sottolineare che il problema dei rumeni non è nuovo e se il Governo interviene oggi - o meglio ieri - con un decreto-legge, per occuparsi di una materia già disciplinata precedentemente con un decreto legislativo, dimostra - già solo questo - come lo stesso Governo non sia stato oggettivamente capace di affrontare la questione. Esso è dunque intervenuto Pag. 15in ritardo, con un decreto-legge, perché non è stato in grado di affrontare il problema con gli strumenti ordinari.
Per la verità la questione dell'immigrazione è stata affrontata in modo sbagliato da questo Governo, nel suo complesso. Infatti, tanto per cominciare, il Governo ha accreditato la linea dell'immigrazione libera attraverso dichiarazioni, provvedimenti, proposte, prassi disapplicative della legge cosiddetta Bossi-Fini considerata, in ogni circostanza, come una normativa da abrogare, senza contare, poi, gli errori commessi con l'indulto. Si tratta di errori che abbiamo cercato di segnalare in quest'Aula attraverso interventi puntuali con i quali, non soltanto facevamo riferimento all'esigenza di impedire l'approvazione dell'indulto come segnale, ma anche a reati specifici per i quali chiedevamo di escludere l'applicazione di questo strumento.
Tutti i nostri discorsi, però, come molti dei nostri discorsi sull'immigrazione, sono caduti nel vuoto e voi siete andati avanti per la vostra strada che ha portato a raggiungere i risultati che - ahimè - abbiamo visto.
Nell'ambito di questa politica sull'immigrazione completamente sbagliata si inserisce, poi, la politica che riguarda i rumeni, sull'immigrazione comunitaria: su ciò occorre far qualche riflessione.
Il problema, signor Presidente e signor sottosegretario, è quello di un'Europa che si è allargata a Stati che hanno caratteristiche completamente diverse e disomogenee rispetto a quelle degli altri Stati membri.
Abbiamo sempre segnalato che un'Europa dai confini troppo estesi, che avesse inglobato dei Paesi con caratteristiche troppo dissimili, non sarebbe stata forte, ma sarebbe stata un'Europa sempre più debole e, come tutti i grandi imperi che si allargano (in questo caso non è neanche un impero, se non della burocrazia e dell'antidemocrazia), come tutti i grandi sistemi che si espandono senza avere fondamenta forti, sarebbe andata incontro alla degenerazione e alla disgregazione.
Infatti, la degenerazione puntualmente c'è stata: l'allargamento alla Romania, alla Bulgaria, a Paesi completamente diversi ha causato, attraverso l'ingresso in libera circolazione delle persone, grossi problemi dal punto di vista dell'ordine pubblico e della sicurezza, che sono i problemi che stiamo vivendo tutti i giorni.
Lo avevamo segnalato in sede di Unione europea. Ricordate quando dicevate che la Lega era antieuropeista, antistorica e così via? Mi ricordo perfettamente questi discorsi e le posizioni del Presidente Prodi, che è colpevole due volte: è colpevole in quanto è stato Presidente della Commissione europea proprio quando si pianificava questo allargamento (è stato, quindi, lo stratega dell'allargamento a Paesi che con noi non c'entravano niente) ed è colpevole una seconda volta perché è stato lo stratega della gestione dell'ingresso della Romania e di questi nuovi Paesi nell'Unione europea, anche con riferimento alla politica di apertura dei nostri confini.
Oggi discutiamo dei rumeni, però non ricordiamo, voi non ricordate - ovviamente non volete farlo perché vi vergognate - che altri Paesi europei, altri Governi di sinistra, per esempio in Spagna, hanno adottato una moratoria sugli ingressi dalla Romania. Non hanno fatto entrare tutti, come avete fatto voi colpevolmente (anche in questo caso, a capo del Governo c'era sempre il Presidente Prodi).
Il problema è stato assolutamente sottovalutato: quando, nei primi mesi di quest'anno, dopo che avevamo chiesto a più riprese l'applicazione di una moratoria, cominciava il flusso dei rumeni, dei rom e c'erano problemi evidenti nelle nostre città e sul nostro territorio (le baraccopoli cominciavano a formarsi, veniva segnalato un aumento esponenziale non solo dei piccoli reati, ma anche di quelli più gravi, contro la persona), quando segnalavamo tutto ciò, voi dicevate sistematicamente che eravamo dei razzisti, che volevamo creare un allarme sociale e che la situazione era sotto controllo.
Abbiamo visto come la situazione è risultata sotto controllo e abbiamo anche visto il vostro atteggiamento, che, come sempre, ha due pesi e due misure: finché i fatti di grande allarme sociale, finché Pag. 16reati gravissimi si sono verificati al nord, avete fatto sistematicamente finta di niente; quando si è verificato un fatto gravissimo e deprecabile nella città di Roma, gestita dal vostro leader del Partito Democratico, Walter Veltroni, allora avete deciso di intervenire e di far approvare un decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Come sempre, due pesi e due misure. Lo voglio ricordare in questa sede: non possono esistere morti di serie A e morti di serie B.
Abbiamo, infatti, ancora scolpito nelle nostre menti il resoconto degli ignobili fatti di Treviso, che non potremo cancellare: fatti di una inaudita gravità! Voi non avete speso le stesse parole nei confronti di quelle due povere persone. Lo dico perché, quando si governa, bisogna saper affrontare i problemi con una visione prospettica e bisogna considerare tutti i territori, non soltanto quelli che vi interessano dal punto di vista elettorale.
Almeno, se aveste proposto un provvedimento efficace, avremmo potuto dire e avremmo detto: meglio tardi che mai. Invece, il decreto la cui conversione in legge è in esame, signor sottosegretario, colleghi, è assolutamente inefficace, è una norma «manifesto» o neanche questo, dopo tutto quello che è successo.
Il motivo per cui è inefficace lo vedremo analiticamente, in sede di discussione dei nostri emendamenti. Oggi dobbiamo dire anche un'altra cosa: esso non solo è inefficace, ma è anche dannoso, perché tutti gli errori che avete commesso nella gestione del fenomeno dell'immigrazione evidentemente non vi hanno insegnato niente e oggi, con il decreto in esame, perseverate negli stessi errori. Potremmo dire che errare è umano - avete sbagliato tante volte -, ma perseverare è diabolico.
Allora, che cosa è successo? È successo che avete avuto paura di affrontare i problemi concreti, perché non riuscivate a gestire la vostra maggioranza e tra poco analizzerò tale questione quando affronterò la norma sull'omofobia.
Consideriamo alcuni punti. Il primo punto dimostra come non siete stati in grado di affrontare concretamente i problemi: il cittadino comunitario - in questo caso è romeno, ma potrebbe avere un'altra cittadinanza - può rimanere per tre mesi sul nostro territorio. Quando scatta il termine dei tre mesi, subentrano tutta una serie di obblighi e, da parte del nostro Stato, la possibilità di intervenire emanando un provvedimento di espulsione laddove non si rispettino determinate condizioni, che sono previste dal decreto e che erano già previste dal precedente decreto legislativo.
Il problema è come misuriamo la presenza del soggetto da tre mesi nel territorio italiano: ci vuole una data certa affinché qualsiasi tipo di strumento legislativo non sia una barzelletta, ma abbia un minimo di efficacia. Il fatto che voi non siate in grado di mettere in campo delle norme dotate di un minimo di efficacia si vede dal testo: si stabilisce che il cittadino comunitario, quando entra nel nostro territorio, per registrare la data certa «può» andare presso il commissariato di Polizia. Che cosa vuol dire «può»? O «deve» andare oppure no! Voi avete scritto «può» perché sapete perfettamente che non avete alcuna intenzione di controllare gli ingressi, perché avete adottato una norma che è una barzelletta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Infatti, avete sistematicamente cestinato i nostri emendamenti in Commissione. Non diciamo niente di rivoluzionario: affermiamo soltanto che chi entra deve recarsi presso la Polizia a registrarsi per far decorrere il termine di tre mesi.
Seconda considerazione: voi avete posto il potere di espulsione in capo ai prefetti. Noi non siamo d'accordo su tale previsione, perché quando si deve agire dopo che un soggetto è già entrato nel territorio (noi diciamo che, nei limiti del possibile, bisogna impedire che entri chi non deve entrare nel nostro territorio, infatti abbiamo anche iniziato un ragionamento, che svilupperemo, sull'applicazione o meno dell'accordo di Schengen in questa situazione), la figura che deve essere in Pag. 17grado e che è più in grado di individuare se questo soggetto è pericoloso o meno è quella che più di tutti conosce il territorio. Dunque, devono essere i sindaci a potere individuare i soggetti da espellere, perché sono gli unici che conoscono il loro territorio, che sanno se una persona è venuta per lavorare o per delinquere, se una persona ha un reddito o invece presenta dei certificati falsi.
Invece, voi avete dato questo potere ai prefetti. Questo, dal nostro punto di vista, è assolutamente e sostanzialmente sbagliato.
Inoltre, le modalità di espulsione che avete previsto non sono effettive: lo denunciamo da sempre, anche con riferimento ad una prassi disapplicativa della legge Bossi-Fini, anche per effetto di talune sentenze della Corte costituzionale, che è stata adottata e che ha in parte vanificato quella legge, che era una legge straordinaria e la migliore in Europa dal punto di vista dell'impianto complessivo.
Quella che voi avete previsto nel decreto-legge non è un'espulsione effettiva. Il cittadino comunitario, infatti, può essere espulso immediatamente soltanto per «motivi imperativi di pubblica sicurezza»: è un'ipotesi marginale e residuale, che noi abbiamo chiesto di ampliare perché, se un soggetto è pericoloso, è giusto che ritorni a casa propria. È inutile giocare con le norme, le considerazioni, le posizioni e le valutazioni.
Del resto, il risultato del provvedimento è oggettivo: vi sono state circa cento espulsioni. Mi sembra che questa sia assolutamente la certificazione di un fallimento. Perché vi sono state soltanto cento espulsioni? Perché questo decreto-legge non è effettivo e non prevede meccanismi effettivi di espulsione. Questa mancanza di effettività si rinviene anche nella norma che prevede il passaggio della competenza a giudicare sulla legittimità del provvedimento di espulsione dal giudice di pace - organismo che decide in maniera rapida - al giudice ordinario, con tutto ciò che comporta per via della burocrazia che esiste nei nostri tribunali (oggi più che mai dopo l'introduzione di queste norme).
Non solo: con questo decreto-legge avete anche modificato la disciplina riguardante gli extracomunitari, che invece prevedeva la competenza del giudice di pace. È per questo che dico che questo provvedimento per larga parte è addirittura dannoso.
Per non parlare poi della norma, assolutamente generica - da noi segnalata in Commissione -, che stabilisce che se il soggetto è allontanato per motivi imperativi di pubblica sicurezza ed è anche sottoposto a procedimento penale, laddove non sia oggetto di restrizione della libertà personale con un provvedimento del giudice, il questore «può» disporre che egli sia ospitato in «strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea».
Anzitutto, vorrei chiedere al sottosegretario, ai colleghi e al relatore che cosa vuol dire «può». Se si è deciso di espellere un soggetto per gravissimi e impellenti motivi di pubblica sicurezza e, per giunta, questo soggetto è sottoposto ad un procedimento penale, che cosa volete fare: lasciarlo libero di girare sul territorio? Non vi è forse un'esigenza di restrizione temporanea della libertà personale? È evidente che vi è questo tipo di esigenza. Allora, non scrivete barzellette: scrivete norme un minimo credibili! Il soggetto «deve» essere ospitato presso questi centri!
Inoltre, che cosa vuol dire «strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea»? Nessuno vuole assolutamente criminalizzare i rumeni (anzi, noi non abbiamo nulla contro di loro, e lo abbiamo detto in tutte le occasioni possibili e immaginabili); ma se un soggetto è pericoloso, va trattato come tale. Non avete utilizzato il termine «centri di permanenza temporanea» perché in sostituzione di tali centri volete costruire alberghi? Questa, infatti, è la riflessione che ci viene in mente. Se scrivete «strutture già destinate», vuol dire che volete trasformarle in alberghi! Mi sembra che questo non sia il modo corretto di affrontare il problema.
Inoltre - e mi avvio verso la conclusione, perché vi sarà poi tempo di sviluppare gli argomenti durante l'esame dei Pag. 18singoli emendamenti -, qualche considerazione va fatta anche con riferimento alle condizioni per rimanere sul nostro territorio nazionale e per potere poi ottenere la residenza. Mi riferisco, dunque, all'aspetto del decreto-legge al nostro esame che riguarda la concessione della residenza da parte dei nostri sindaci.
Noi abbiamo chiesto a più riprese di prevedere, oltre al requisito di disporre di un reddito (che è poi il reddito misurato, anche attraverso le previsioni delle direttive europee, in 5 mila euro l'anno), anche quello di avere una casa.
Chi arriva sul nostro territorio e vi rimane, dopo tre mesi di permanenza deve avere una casa: non può vivere nelle baracche o nei campi nomadi abusivi!
Proprio nell'episodio accaduto a Roma, di fronte al quale voi avete reagito, il soggetto che ha commesso quell'atroce delitto viveva in una baraccopoli. Mi chiedo, allora, perché non avete avuto il coraggio di stabilire nella norma che il requisito per poter rimanere sul nostro territorio debba essere anche quello di avere una casa che rispetti le prescrizioni igieniche, sanitarie o, semplicemente, le norme che valgono anche per i nostri cittadini. Ad esempio, il cittadino che ottiene la casa popolare - ma purtroppo, non è soltanto il cittadino a poterla ottenere - beneficia comunque di un'abitazione a delle condizioni, nel senso che in una stanza non vi possono abitare cento persone, ma, al limite - se si tratta di una casa con due stanze -, ve ne possono stare quattro.
Voi non avete introdotto tali disposizioni e non avete neanche dato ai sindaci uno strumento chiaro per verificare la residenza sul nostro territorio. Abbiamo di fronte a noi due realtà: da un lato, vi è la realtà del territorio, nella quale i sindaci usano tutti gli strumenti a loro disposizione per tutelare gli interessi dei cittadini e per fare in modo che le loro città ed i loro paesi siano il più possibile sicuri; dall'altro lato, c'è la realtà vostra del «palazzo», nella quale voi, invece di aiutarli, fate di tutto per porgli ostacoli.
È quanto abbiamo visto a proposito della norma sulla residenza. È evidente, infatti, che molti amministratori locali hanno cercato di regolamentare tale materia, applicando, peraltro, le leggi già esistenti ed in maniera assolutamente legittima, ma sia gli amministratori locali sia la gente si aspettavano una parola chiara pronunciata dal Parlamento. Ma su questo, come sempre, avete fatto finta di niente!
L'ultima «perla», colleghi - e concludo - è la disposizione sull'omofobia. A tale riguardo, poiché non riuscivate a gestire dal punto di vista politico il decreto-legge al nostro esame - come dimostrano le modifiche apportate alle disposizioni relative alla competenza del giudice, con un trasferimento di attribuzioni dal giudice di pace al giudice ordinario, sotto la spinta della sinistra radicale -, avete pensato bene di introdurre all'interno del provvedimento una norma che non c'entrava nulla, in spregio a tutte le regole sulla decretazione d'urgenza e al Regolamento parlamentare della Camera (non a caso lo avete fatto al Senato, il cui Regolamento è più flessibile e consente una interpretazione più estensiva). Avete così introdotto una norma, la cosiddetta norma sull'omofobia, che non ha nulla a che fare con l'oggetto del decreto-legge e che è assolutamente sbagliata nel merito, perché si presta ovviamente ad un'interpretazione repressiva e sostanzialmente configura un reato di opinione: qualcuno può essere processato per le proprie opinioni e non per oggettivi comportamenti violenti o lesivi dei diritti e della libertà altrui.
Vi è una differenza: si discute di un reato di opinione, mentre si affronta una materia molto delicata quale è la sicurezza dei cittadini. Mentre assistiamo a morti e a persone che vengono rapinate ed uccise in casa loro, voi mettete l'ideologia in mezzo a questioni molto più importanti e delicate.
Comunque, voi lo avete fatto e vi siete infilati in un vicolo cieco, perché inserendo una norma ingiusta, avete scritto una norma sbagliata. Il risultato di tale errore è che sostanzialmente avete indicatoPag. 19 nel decreto-legge una norma sbagliata, incostituzionale, perché la norma di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge è una norma penale e risulta indeterminata, poiché prevede una fattispecie di reato senza definirne i contorni, in quanto si riferisce all'articolo di un Trattato che è del tutto estraneo.
Non sapete in che modo uscire da tale situazione - lo ripeto - perché l'unico modo sarebbe eliminare la norma dal decreto-legge e rimandare tale testo al Senato. Non potete farlo perché al Senato non avete la maggioranza e non siete in grado di riportare i senatori al Senato durante le vacanze di natale, perché i senatori eletti all'estero devono ritornare in Argentina a spendere le prebende che gli avete concesso con la legge finanziaria...
MARCO BOATO. Sei anche contrario alla celebrazione del natale!
ROBERTO COTA. ...e perché tutte le volte in cui è necessario convocare una seduta dovete portare persone di 90, 95 o 98 anni con la barella per poter votare. Tale tipo di organizzazione è complessa e, inoltre, avete una maggioranza che ad ogni votazione va in frantumi.
Per tutti questi motivi, non modificate il decreto-legge (almeno questo sembra essere l'ultimo orientamento) e costringete la Camera e i vostri colleghi ad approvare un provvedimento sbagliato e incostituzionale. Il Presidente della Repubblica ha già fatto intendere chiaramente, ieri, che ha delle difficoltà a promulgare una legge di conversione costruita in questo modo.
Oggi ho anche sentito (da voci di corridoio) che addirittura ne state studiando un'altra! Non vi è limite al peggio, ma ne abbiamo viste di tutti i colori! Qualche scienziato del diritto sta pensando addirittura di emanare un decreto-legge preventivo, cioè un decreto che dovrebbe entrare in vigore prima di una legge che il Parlamento deve ancora approvare. Si tratterebbe di un fatto gravissimo e senza precedenti per la democrazia, perché si bloccherebbe, con un decreto-legge, una legge prima della sua entrata in vigore. Non sta né in cielo né in terra e non so come il Presidente della Repubblica possa prestarsi ad una manovra di tale tipo.
In conclusione, il decreto-legge in esame ha evidenziato in maniera chiara la vostra incapacità di affrontare i problemi, sia da un punto di vista politico, sia tecnico. La materia della sicurezza dei cittadini è molto delicata e tale vostra incapacità si riverbera su tutta l'azione del Governo.
Pertanto, l'unico auspicio che possiamo rivolgere nella discussione in atto è che succeda veramente qualcosa - non so cosa, ma qualcosa - per cui il Governo vada a casa già durante l'iter di questo decreto-legge, il più presto possibile, e che si svolgano nuove elezioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, mi accingo ad esprimere l'opinione del mio gruppo sul decreto-legge al nostro esame. Si tratta dell'opinione di uno dei gruppi parlamentari di quella sinistra italiana che sta percorrendo la strada dell'unità e della condivisione di valori e programmi. Lo affermo perché voglio innanzitutto smentire il ritornello propagandistico secondo il quale la sinistra, per sua natura, dimostrerebbe indifferenza rispetto alla preoccupazione che attanaglia molti nostri concittadini dinanzi ad episodi di criminalità. È una falsità. Noi sentiamo come nostre quelle preoccupazioni, anche perché provengono, in massima parte, dalla componente più povera e indifesa della popolazione: gli abitanti delle periferie urbane, gli anziani e le persone sole.
Si tratta di quella parte della società alla quale la sinistra ha sempre guardato con attenzione, cercando di rappresentarne i diritti, le istanze e, quindi, anche le preoccupazioni. Pertanto, prendiamo estremamente sul serio il diffondersi di un certo allarme proprio perché sappiamo che in molti casi si tratta di percezione di Pag. 20insicurezza e, cioè, della condizione drammatica di chi si sente solo, non tutelato e vede dinanzi a sé un futuro quanto mai incerto.
Tutti sappiamo in quest'Aula, anche coloro che non intendono riconoscerlo, che questa sensazione di insicurezza non nasce soltanto dagli episodi di criminalità, ma dall'insieme di una condizione sociale incerta, dall'assenza di garanzie sul proprio futuro, da un senso di solitudine crescente. Non è cattiva sociologia, ma la realtà dell'esistenza di milioni di persone. Tuttavia, affermare ciò non significa certamente sfuggire dalla più concreta esigenza di dotare la magistratura e le forze dell'ordine degli strumenti, anche legislativi, maggiormente adatti a contrastare la criminalità più grande e diffusa nel territorio. Ho citato la magistratura e le forze dell'ordine, perché sono questi - non altri, ad esempio non i sindaci - i detentori del potere di combattere la criminalità e di fare giustizia.
I sindaci possono fare molto al fine di diffondere presso i propri concittadini sentimenti di sicurezza, serenità e civile convivenza. Possono e debbono non sostituirsi a prefetti e questori, ma risanare le periferie, curare e proteggere i parchi pubblici, illuminare le strade, rimuovere il disagio sociale, favorire l'integrazione e diffondere cultura. Una città più vivibile è anche una città più sicura.
Il barbaro omicidio della signora Reggiani scosse l'opinione pubblica e squarciò il velo su un mondo di degrado, di disagio e di condizioni di vita spesso inumane. L'omicida era un rumeno. Lo si è saputo immediatamente solo perché una donna, rumena anch'essa, aveva collaborato sin da subito alla cattura. La reazione a tale drammatico episodio fu molto forte e ciò era prevedibile ed anche giusto; tuttavia, venne indirizzata in una direzione fuorviante. Visto che l'assassino era un rumeno, la presenza di rumeni e di rom in Italia veniva indicata come la causa fondamentale o prevalente del diffondersi di gravi episodi criminali.
Lo scorso sabato 24 novembre migliaia di donne hanno sfilato a Roma per dire che gli uomini in generale, non i rumeni in particolare, si rendono sempre più spesso responsabili di violenze efferate ai danni delle donne. Sono piene le cronache, purtroppo, di fatti di questo tipo ed io vorrei citare, ai colleghi che volessero ascoltarle, alcune notizie ed alcuni nomi: Angelo Grassano ha ucciso a martellate Mariangela Navone di 54 anni e sua figlia Antonella di 21; Giovanni Prescimone ha accoltellato la convivente e il bambino di quattro mesi; a Cosenza un uomo di 35 anni ha ucciso la moglie e la figlia di quattro anni; la signora Simona Capacci è scomparsa, molto probabilmente rapita, dopo essere stata più volte molestata dall'ex convivente, un uomo ritenuto violento, Enrico Merendino.
Questi sono episodi soltanto dell'ultima settimana. Quindi, la penso come il collega Cota: non esistono morti di «serie A» e morti di «serie B» e, cioè, non ci sono donne uccise che meritano l'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni, se ad ucciderle è un rumeno, e donne uccise che vanno dimenticate perché l'assassino è un italiano. Questi fatti di cronaca, che non raggiungono le prime pagine dei giornali, né le prime notizie dei telegiornali, tuttavia ci raccontano una vicenda inquietante, ovvero il crescere delle violenze da parte degli uomini dentro le mura domestiche, ai danni delle proprie mogli, delle proprie conviventi e dei figli.
Nei giorni dell'omicidio della signora Reggiani è stato affisso da un gruppo di estrema destra sui muri di Roma un manifesto che più o meno recitava: «Vengono gli stranieri a uccidere le nostre donne». Non vorrei che si lanciasse il messaggio secondo il quale le nostre donne, giacché sono nostre, le possiamo uccidere soltanto noi.
Questa è la verità su quanto sta accadendo, anche nel nostro Paese.
Comunque sia, venne assunto come prioritario il tema degli strumenti più incisivi per allontanare i cittadini comunitari - tali sono i rumeni - ritenuti pericolosi. Si è subito visto come si entrava, anche dal punto di vista giuridico, in un campo difficile e vischioso, innanzitutto Pag. 21per due ragioni. Si chiedeva un provvedimento d'urgenza rivolto ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea ai quali è garantita la libera circolazione nel territorio dell'Unione e a persone ritenute pericolose, ma non in conseguenza di un reato commesso, nel qual caso scattano come ovvio le procedure giurisdizionali ordinarie. In quei giorni, da destra prese il via una campagna propagandistica scriteriata; ricordo un intervento dell'onorevole Fini che diceva «scrivete quello che vi pare nel decreto, ma dovete garantire l'espulsione di almeno duecentomila rumeni»; altro che spirito di collaborazione in quelle ore, come è stato evocato ieri da parte di esponenti dell'opposizione! Vi era una sfida quantitativa, come se la sicurezza si potesse garantire un tanto al chilo.
Il Governo varò un decreto-legge non privo di lacune ed indeterminatezza: troppo vaga, ad esempio, la definizione delle fattispecie di pericolosità sociale capaci di far scattare la misura dell'allontanamento. Al Senato, in sede di conversione del decreto-legge, sono stato introdotte modifiche che hanno reso questo provvedimento maggiormente coerente con la Costituzione e con la normativa europea.
Ritengo che il Senato abbia migliorato il decreto-legge rendendolo più rigoroso. L'opposizione sostiene, invece, che il testo esce annacquato dall'esame di Palazzo Madama. Dobbiamo intenderci: se l'obiettivo fosse quello di mandare via più rumeni possibile, allora ha ragione l'opposizione: bisogna lasciare il massimo di discrezionalità nelle mani dei prefetti e del Ministro dell'interno. Se, invece, si deve essere certi che vengano allontanate persone effettivamente pericolose, allora si debbono indicare, con il massimo di precisione possibile, quegli atti e quei comportamenti che possono configurare un certo grado di pericolosità sociale. Pertanto, affidare al tribunale in composizione monocratica, invece che al giudice di pace, i provvedimenti di convalida, rappresenta un'altra di quelle correzioni che rende il decreto-legge più rigoroso e più stringente - non meno - giacché sono in gioco la sicurezza e le garanzie dei cittadini.
Le modifiche introdotte al Senato rendono più agevole la condivisione di questo atto del Governo, e il fatto che qui alla Camera, in Commissione giustizia, si sia pressoché completato l'esame delle misure contro lo stalking e l'omofobia ci permette di approvare il provvedimento nel testo pervenuto dal Senato, anche se come sappiamo in quel testo la norma contro l'omofobia contiene un errore tecnico molto serio.
Ritengo che sia interesse di tutti, maggioranza e opposizione, sapendo che il Senato è impegnato nell'approvazione del disegno di legge finanziaria, non rischiare la decadenza del decreto-legge. Pertanto è ragionevole, quando il Governo ci invita a ciò, approvare in quest'Aula il testo così com'è; anche perché, se dovessimo modificarlo, giacché vi è un errore, si dovrebbe correggere l'errore, non abolire la norma. Naturalmente, è nella valutazione del Governo l'opportunità di adottare misure che possano ovviare agli eventuali danni collaterali causati dall'approvazione del testo in questa forma.
Nel momento in cui esprimo, quindi, il consenso del mio gruppo della Sinistra Democratica al decreto-legge in esame, vorrei concludere con un doppio appello. Il primo è alla razionalità. Tutti, semplici cittadini e membri del Parlamento, rimangono scossi da certi efferati episodi di criminalità. Ma noi che abbiamo la responsabilità di legiferare, abbiamo anche il dovere di far funzionare il cervello: non possiamo elaborare o proporre norme sulla base dell'emotività, senza preoccuparci delle conseguenze di quello che facciamo. Ci sono, ad esempio, alcuni emendamenti dell'opposizione che propongono che i cittadini degli altri Paesi europei, una volta entrati in Italia, si vadano a registrare negli uffici della Polizia di Stato; si chiede, cioè, che tutti i turisti - spagnoli, francesi, tedeschi e così via - non possano circolare liberamente in Italia senza passare per il commissariato: saremmo l'unico Paese europeo a far questo e Pag. 22susciteremo ovunque stupore e ilarità. Ce lo dobbiamo e ce lo possiamo risparmiare. Per questo dico: testa sulle spalle quando si legifera in materia di sicurezza!
Vorrei rivolgere un secondo appello a tutte le forze politiche, soprattutto a chi mi è politicamente più vicino, ossia ai colleghi della maggioranza: bisogna lanciare una grande campagna contro la xenofobia e contro ogni forma di discriminazione. Nel nostro Paese che - non possiamo dimenticarlo - è culla del diritto ed è uno Stato libero, democratico e di emigranti, si stanno diffondendo veleni illiberali, odiosi pregiudizi e condanne senza appello verso chi è considerato diverso da sé per ragioni etniche, religiose o perfino per l'orientamento sessuale. Occorre reagire! Ci hanno insegnato fin da piccoli che per combattere i totalitarismi, la violenza o la criminalità tutto si può fare tranne che diventare totalitari, violenti e criminali. Ci si dimentica troppo spesso - e a volte pare che ci si vergogni di questo - che siamo il Paese di Cesare Beccaria, di don Milani e di Mario Gozzini, oppure si citano queste illustri personalità solo nei giorni di festa. Se vogliamo rimuovere l'allarme che vi è nel Paese, non si può cavalcare la tigre magari per un pugno di voti, perché poi certe tossine finiranno per avvelenare tutto e tutti. Si devono dare risposte mirate e concrete e si deve continuare a far leva sui valori della nostra Costituzione, che sono valori di libertà, di solidarietà e di accoglienza (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Partito Democratico-L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, anche se siamo ancora nella fase della discussione sulle linee generali, preannuncio che i Verdi si accingono a votare a favore della conversione in legge del decreto-legge in esame, nella versione modificata e integrata da parte dell'altro ramo del Parlamento. Faccio questa dichiarazione a nome del mio gruppo ma, in particolare, anche a nome della collega Paola Balducci, che ha seguito con me l'esame in sede referente per la parte che riguarda la Commissione giustizia.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,35)
MARCO BOATO. Credo sia opportuno che in questa discussione sulle linee generali che si sta svolgendo in Aula, si valuti con equilibrio, serenità e pacatezza, ma anche con rigore, tutta la complessa vicenda che viene in rilievo.
Parlando subito dopo il collega Carlo Leoni (che nel frattempo ha assunto la Presidenza), posso anche semplificare il mio intervento dicendo che ho ascoltato con attenzione le sue riflessioni e che le condivido pienamente. Questa condivisione mi permette di non tornare dettagliatamente su tutti gli aspetti che il collega Leoni ha affrontato poco fa con grande equilibrio.
Ritengo che in questa sede vada ripetuto - personalmente lo faccio da anni, forse da decenni! - ciò che abbiamo affermato in quest'Aula in occasione del dibattito svoltosi alla presenza del rappresentante del Governo, subito dopo la tragica vicenda di fine ottobre, che si è conclusa con la morte della signora Reggiani il 1o novembre, ossia che non è mai saggio reagire agli eventi, anche i più tragici (tragico e terribile è stato, infatti, l'omicidio della signora Reggiani), con una logica istituzionale di carattere emergenziale. Ogni volta che si provvede con questa logica emergenziale si rischia di cavalcare la comprensibile, e anche condivisibile, emotività dell'opinione pubblica di fronte a tragici eventi ma, al tempo stesso, si rischia sul piano giuridico, istituzionale e legislativo di introdurre norme che poi non reggono alla prova della compatibilità costituzionale e alla logica dello Stato di diritto.
È ciò che, purtroppo, è accaduto molte volte nel passato. Ricordo incidentalmente Pag. 23(perché è persona che stimo) che nel 1979 si introdusse il cosiddetto decreto-legge antiterrorismo Cossiga, e lo stesso Presidente del Consiglio, Cossiga, negli anni successivi affermò che si trattava di norme emergenziali che avrebbero dovuto avere durata limitata nel tempo; ciononostante, a distanza di quasi trent'anni, credo che quel provvedimento sia tuttora in vigore!
Il collega Leoni ha ricordato - lo faccio anch'io, ma non cito neppure il nome dell'autore, che è noto - che, proprio nei primissimi giorni di novembre, un autorevole esponente del centrodestra ha pronunciato dichiarazioni irresponsabili: «Bisogna espellere almeno duecentomila rumeni». Credo che anche chi, quasi due mesi fa, ha pronunciato questa frase (essendo una persona intelligente, pur avendo pronunciato affermazioni folli), oggi, riflettendo e riascoltando le sue parole, non possa che rabbrividire: questa, infatti, sarebbe una logica neanche emergenziale, ma da Stato totalitario e di polizia, indegno di appartenere non solo all'Unione europea, ma a qualunque consesso democratico a livello mondiale. Queste, però, sono le dichiarazioni che abbiamo ascoltato nell'immediatezza della tragedia causata dall'omicidio della signora Reggiani!
Bene ha fatto il collega Leoni - io l'avevo già fatto in altre circostanze e l'aveva fatto anche il Governo - a ricordare che, se si è potuto catturare immediatamente il responsabile di quell'omicidio, è stato per merito di una signora di etnia rom e di nazionalità rumena, che ha consentito alle forze di polizia la cattura del responsabile.
Ricordo anche in quest'Aula, sebbene ciò esuli dal contenuto normativo del provvedimento in discussione (ma è bene che ne resti traccia), il comportamento, invece, straordinario e straordinariamente responsabile che, in occasione di quel tragico omicidio, è stato mantenuto dai familiari della signora Reggiani. In particolare, mi riferisco al marito - che, se non ricordo male, è un ufficiale della marina - e agli altri familiari; una famiglia che, dal punto di vista religioso, credo sia in parte cattolica e in parte valdese: la signora Reggiani era di confessione cristiana valdese. Le dichiarazioni di quei familiari fanno onore a loro stessi, al nostro Paese, alla civiltà democratica e a quel senso di umanità che, comunque, non può mai essere posto in secondo piano, anche di fronte alle tragedie più spietate (e quella è stata veramente una vicenda spietata).
Ricordo anche - forse qualcuno se ne dimentica - che, sotto il profilo della responsabilità italiana sul piano europeo e internazionale e del prestigio e della credibilità del nostro Paese, le dichiarazioni ricordate (non quelle dei familiari, ma quelle di esponenti del centrodestra) hanno provocato, nei rapporti tra l'Italia e la Romania, ripercussioni immediatamente e spaventosamente negative. In quei giorni, per una visita programmata in precedenza - che ovviamente non aveva nulla a che vedere con l'omicidio - il Ministro dello sviluppo economico Bersani si trovava, se non ricordo male, a Bucarest, ma comunque in Romania: egli si è trovato di fronte non solo alle reazioni negative e preoccupate - per dir poco - degli esponenti di Governo della Romania, ma anche alle reazioni ancora peggiori dei numerosissimi esponenti dell'imprenditoria italiana che operano in quel Paese. Quando si pronunciano dichiarazioni di quel tipo - e a proferirle non è stato l'ultimo sciagurato, ma un esponente politico importante - e si alimenta un'ondata xenofoba addirittura nei confronti di un intero Paese, ci si dovrebbe anche render conto, oltre che dell'infondatezza di quelle dichiarazioni, anche delle ripercussioni spaventosamente negative che esse possono produrre sul piano dei rapporti internazionali, in questo caso dei rapporti interni all'Unione europea.
Da questo punto di vista, ritengo giusto ribadire che l'originario decreto-legge (varato - come ho già affermato - in una logica emergenziale, nell'immediatezza della tragedia) è stato giustamente e positivamente sottoposto, da parte dell'altro ramo del Parlamento, a un vaglio di compatibilità con la normativa comunitaria e con le norme costituzionali, attraverso un puntuale lavoro di riformulazione di una Pag. 24parte del testo pienamente condivisibile (non per tutti gli aspetti, ma per la gran parte di essi).
In un contesto di corresponsabilità di maggioranza e di sostegno al Governo, che da parte nostra è sempre stato leale e continuerà ad esserlo, restano alcune perplessità complessive - è bene dirlo - rispetto alla logica di questo decreto-legge, nonché alla direttiva comunitaria 2004/38/CE recepita all'inizio di quest'anno con il decreto legislativo 6 febbraio del 2007, n. 30. Restano inoltre altre perplessità anche rispetto alla compatibilità costituzionale; per alcuni aspetti, infatti, siamo al limite della compatibilità costituzionale. Non bisogna mai violare la logica dello stato di diritto; non bisogna mai violare il principio della responsabilità personale sotto il profilo penale e in relazione alle misure di prevenzione.
I relatori, i colleghi Pisicchio e Zaccaria, hanno affrontato da parte loro questa materia sia in sede di esame del provvedimento in Commissione in sede referente sia questa mattina, con le loro pregevoli relazioni svolte in Aula. Opportunamente, proprio per la parte di specifica competenza della Commissione Affari costituzionali, il collega Zaccaria ha richiamato, sia pure in modo sintetico, l'ampia dottrina - preoccupata e critica - della compatibilità costituzionale delle cosiddette misure di prevenzione ante delictum. A tale proposito il collega Zaccaria ha anche citato Elia, Barile e altri e il dossier del Servizio studi del Senato ha riportato un'ampia documentazione della dottrina e della giurisprudenza costituzionale. Lo stesso collega Zaccaria ha citato inoltre antiche sentenze della Corte costituzionale che fanno riferimento al principio di prevenzione e di sicurezza sociale e, al riguardo, ha opportunamente riaffermato la necessità di una estrema cautela per non entrare in conflitto con gli stessi principi della nostra Carta costituzionale e in specie con la riserva di giurisdizione contenuta all'articolo 13 della Costituzione. Si tratta di preoccupazioni, di riflessioni, di richiami sia alla dottrina, sia alla giurisprudenza costituzionale con riferimento al rapporto con la Carta costituzionale e con l'ordinamento comunitario che faccio mie e che non ripeto dettagliatamente per ragioni di tempo. Sono preoccupazioni che credo dovremmo tutti porre alla nostra attenzione e che trattandosi di materia costituzionale, dovrebbero essere anche all'attenzione dei gruppi dell'opposizione, perché in questa materia vi dovrebbe essere un richiamo condiviso alle regole. Tutto ciò in questo caso non è accaduto e spesso anche in altri casi. Malgrado ciò, insisto ad affermare che quando ci si trova di fronte a materie di rilevanza costituzionale vi dovrebbe essere attenzione da parte di tutte le forze politiche presenti in Parlamento che si riconoscono nei principi e nei valori costituzionali.
Resta aperta la questione dell'articolo 1-bis, introdotto al Senato, che è stata più volte dibattuta in Commissione, in Aula questa mattina e sui giornali (il collega Boscetto ha citato un articolo del giornalista Francesco Verderami su Il Corriere della Sera di oggi). È giusto che vengano riportate le espressioni dell'opinione pubblica perché il Parlamento e il Governo non agiscono nel vuoto di un rapporto con l'opinione pubblica e più in generale con i cittadini. Voglio riaffermare in quest'Aula, a nome del gruppo che rappresento, che condividiamo pienamente le finalità, le intenzioni, le ragioni, anche sotto il profilo della tutela della sicurezza (quindi, pienamente in materia), per cui l'articolo 1-bis è stato introdotto al Senato.
Vorrei dire, con altrettanta lealtà politica e intellettuale, che siamo rimasti un po' sconcertati dalla forma di approssimazione, ovvero di dilettantismo giuridico-costituzionale, in base alla quale una finalità pienamente condivisibile, che va riaffermata con forza, si è tradotta nella formulazione tecnico-giuridica della disposizione. In questo caso, non vi è dubbio che sussista una responsabilità sia da parte del Governo sia da parte della maggioranza. Tuttavia, credo che abbia avuto poco senso il richiamo ad un intervento - che ho ascoltato attraverso la radio - svolto al Senato, durante le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia, dell'ex Pag. 25Presidente del Senato Pera, il quale ha citato la norma del trattato di Amsterdam, letteralmente ricondotta all'interno dell'articolo 1-bis del provvedimento in esame, e che ha un contenuto completamente diverso da quello a cui ci si voleva riferire.
Infatti, il richiamo del senatore Pera, anche se letteralmente e testualmente corretto, è avvenuto troppo tardi, dopo l'apposizione della questione di fiducia, quando ormai quel testo non poteva essere più modificato. Sappiamo quali reazioni vi siano, legittimamente, da parte dell'opposizione quando addirittura sono operate soltanto delle correzioni formali in occasione della posizione della questione di fiducia, per esempio, sul disegno di legge finanziaria.
Quindi, era corretto il richiamo diretto a rilevare l'errore del riferimento all'articolo 13, n. 1 del Trattato di Amsterdam, anziché all'articolo 13, n. 1 del Trattato istitutivo della Comunità europea nella sua versione consolidata, ma, a quel punto, non era più possibile correggere tale errore, che - ripeto - non ha carattere politico, bensì tecnico-giuridico. Inoltre, intendo precisare che la numerazione degli articoli è esatta, in quanto si tratta proprio dell'articolo 13, n. 1, ma è l'articolo 13, n. 1 della versione consolidata del Trattato istitutivo della Comunità europea, che è stato certamente introdotto in forza del Trattato di Amsterdam, ma attraverso l'articolo 2, n. 7 di quest'ultimo trattato.
Riguardo alla materia contenuta nell'articolo 1-bis, introdotto al Senato, credo che francamente sia pretestuosa l'obiezione della cosiddetta estraneità di materia, tanto più se avanzata da qualche esponente del centrodestra. Mi riferisco per esempio al collega Giovanardi che ha avanzato tale obiezione in Commissione, quando lo stesso collega Giovanardi, all'epoca in cui era un Ministro nel precedente Governo Berlusconi, è stato corresponsabile addirittura dell'introduzione di un intero corpus normativo in materia di tossicodipendenze - ripeto un intero corpus normativo -, composto addirittura da una quarantina di articoli, nel decreto sulle olimpiadi invernali di Torino (Commenti del deputato Gasparri).
Questo intero corpus normativo - tuttora in vigore anche se ho presentato un'organica proposta di legge di riforma al riguardo, il cui esame è soltanto iniziato presso le Commissioni giustizia e affari sociali - è stato, tra l'altro, introdotto con due voti di fiducia, uno al Senato, l'altro alla Camera, in modo da impedire al Parlamento nella scorsa legislatura qualsiasi modifica sull'argomento. Ripeto che in quel caso l'estraneità di materia era evidente ictu oculi ed era grande come un grattacielo composto da 40 articoli; tuttavia, quell'operazione è stata compiuta, imposta tramite due voti di fiducia, e quel provvedimento è tuttora vigente nel nostro ordinamento, quindi mi verrebbe da chiedere, pacatamente, da quale pulpito viene la predica.
In questo caso, siamo di fronte ad un singolo articolo, inserito in un decreto-legge proprio, che riguarda misure finalizzate alla sicurezza e alla prevenzione, e che quindi concerne un altro profilo della sicurezza nel nostro Paese.
Ho già detto ciò che penso per quanto riguarda le obiezioni sull'erroneità della formulazione tecnico-giuridica del riferimento comunitario. Debbo aggiungere che sono condivisibili: tutte quelle questioni riguarderanno il futuro quando ci si accingerà meglio a definire tali norme; non è la prima volta che succede. Sono condivisibili, inoltre, le esigenze prospettate non a caso dal relatore per la II Commissione giustizia, il collega Pisicchio, nonché presidente della Commissione. Sono altresì condivisibili le esigenze di una maggiore determinatezza della fattispecie penale e il richiamo al principio di offensività, che anche altri colleghi questa mattina hanno richiamato in quest'Assemblea.
Ciò che mi e ci sconcerta - credo di avere lealmente dato atto dei problemi che esistono al riguardo - è, tuttavia, il fatto che il contrasto all'articolo 1-bis non sia avvenuto da parte di chi lo ha portato avanti sul terreno della formulazione tecnico-giuridica, ma è stato un contrasto Pag. 26motivato quasi esclusivamente - per non dire esclusivamente - da ragioni di carattere ideologico.
Mi dispiace che questa mattina il collega Boscetto, che ho ascoltato, come sempre, con grande attenzione, dopo aver svolto valutazioni di carattere tecnico-giuridico fondate - le stesse che ho fatto anch'io - abbia poi estrapolato la portata di quella norma, portandola su terreni che non hanno alcun fondamento né giuridico né politico. Detto da un collega che ha una cultura - lo dico in senso positivo - liberale, mi ha preoccupato, perché il germe della contrapposizione ideologica anche sotto il profilo del contrasto a qualunque forma di discriminazione si è insinuato profondamente nel dibattito politico nel nostro Paese.
Ancor più grave, a mio parere, è stato il fatto che la contrapposizione all'articolo 1-bis provenisse non da ragioni di formulazione tecnico-giuridica, che pure hanno un fondamento, ma da una forma di integralismo religioso.
Non sono abituato a fare professioni di fede religiosa nel dibattito parlamentare. Quindi, soltanto incidentalmente - anche perché fa parte della mia identità personale - affermo di essere da sempre una persona che fa riferimento alla fede cristiana e alla fede cattolica. Tuttavia, non evoco mai tale riferimento religioso personale nel dibattito politico, perché in esso devono valere le ragioni della laicità, del riferimento allo Stato di diritto, della necessità di introdurre norme che riguardino la totalità dei cittadini e che non siano improntate a una forma di integralismo religioso.
Per questo motivo - lo affermo con pacatezza ma con assoluta fermezza - contesto alla senatrice Binetti il diritto di ergersi a portavoce del mondo cattolico o addirittura della Chiesa cattolica. Ricordo che, comunque, quando si fa riferimento in politica all'etica della convinzione anziché all'etica della responsabilità si introduce in politica, come ha insegnato Max Weber per primo e, dopo di lui, molti altri, una forma di integralismo e di fondamentalismo che, purtroppo, confligge totalmente con la logica della politica laica, della laicità della politica e con quella della cultura di Governo e del riferimento allo Stato costituzionale di diritto.
Aggiungo, per esser esplicito al riguardo, che avrei capito - non condiviso - un voto contrario in sede di votazione finale del disegno di legge di conversione del decreto-legge, ma trovo inammissibile dal punto vista politico un voto contrario sulla questione di fiducia da parte di un'esponente di maggioranza.
Forse, la collega Binetti non se ne è accorta o non se ne è resa conto, ma sino alla prossima questione di fiducia, che probabilmente sarà posta tra un paio di giorni sul disegno di legge finanziaria rispetto al quale immagino si pronuncerà favorevolmente, dopo il voto contrario sulla questione di fiducia posta sul decreto-legge in esame, la collega Binetti è passata ufficialmente all'opposizione, perché la delimitazione tra maggioranza e opposizione in Parlamento avviene proprio sulla base del comportamento di ciascuno di noi parlamentari nel voto di fiducia.
Se, in occasione di un voto di fiducia al Governo un parlamentare vota contro, si identifica con l'opposizione al Governo. Forse, la collega Binetti non si è nemmeno resa conto che, in questo momento, fino alla prossima fiducia, su cui voterà a favore (sarà posta sul disegno di legge finanziaria), con il suo voto è passata all'opposizione. Tutto ciò in a base quell'etica della convinzione, che è la madre di tutti i fondamentalismi e gli integralismi, proprio in contrapposizione all'etica della responsabilità, di weberiana memoria.
Di fronte a comportamenti irresponsabili di questo tipo, ritengo sia opportuno - uso questo termine, perché si tratta di una valutazione politica - scegliere la strada che i due relatori ci hanno indicato in piena sintonia con il Governo, cioè quella di non rinviare il decreto-legge al Senato per ragioni temporali e politiche. Ho sentito la Lega Nord affermare che si possono abolire le vacanze di Natale e che sia i senatori italiani eletti in Italia che quelli eletti all'estero possono trascorrerle al Senato. È un paradosso, da parte di chi Pag. 27rivendica un giorno il rispetto delle origini celtiche ed un altro giorno il rispetto dei fondamenti religiosi della cultura del nostro popolo (lo affermo con un po' di ironia).
Condivido, invece - lo ripeto - le valutazioni conclusive del collega, il relatore Pisicchio, presidente della Commissione giustizia, riguardo al fatto che, prima dell'entrata in vigore del disegno di legge di conversione del decreto-legge in discussione (nel quale sono contenute le modificazioni al decreto-legge originario), sia necessario che il Governo provveda con un altro provvedimento d'urgenza a sanare l'errore che, obiettivamente, è stato rilevato da tutti.
Ritengo, altresì, importante il richiamo svolto dallo stesso relatore Zaccaria, riguardo l'evidente finalità - che è fuori discussione - per la quale è stato introdotto l'articolo 1-bis, che rappresenta la volontà non di abrogare una norma precedente - cioè quella contenuta nella cosiddetta legge Mancino del 1975 - ma, semmai, di accentuarne la finalità punitiva.
Credo sia utile, anche per il futuro - lo suggerisco al Governo - tener conto di quanto contenuto nel parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea): mi rivolgo al Governo, perché tenga presente di ciò, qualora dovrà predisporre un ulteriore intervento normativo in una sede diversa da questa. In tale parere, infatti, la Commissione ha sottolineato l'opportunità che il richiamo all'articolo 13, numero 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea sia accompagnato anche dal richiamo all'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che costituisce una vera e propria disposizione di carattere sostanziale e non meramente procedurale né programmatica. Richiamo questo parere - lo ripeto - perché è ben formulato e di esso il Governo potrebbe - o potrà, se lo riterrà - tener conto.
Vorrei concludere con un'ultima riflessione svolta con il massimo di attenzione e di rispetto. Ho ascoltato in quest'Assemblea e letto sui giornali ripetuti richiami a quelle che potranno essere le decisioni future, per quanto riguarda le proprie competenze istituzionali e costituzionali, del Presidente della Repubblica. Ritengo che sia un modo assolutamente sbagliato di intervenire su questa materia. Il Presidente della Repubblica ha le proprie competenze costituzionali; le eserciterà, come sempre, alla luce della propria coscienza ed in riferimento alla Carta costituzionale ma, per usare un linguaggio giornalistico, chiunque di noi, in un senso o nell'altro, deve evitare di «tirare per la giacca», lo dico tra virgolette, il Presidente della Repubblica. Egli, ovviamente - ed è bene che sia così - non ha alcun potere di intervento nel corso del procedimento legislativo, ma ha le proprie prerogative costituzionali al termine del medesimo, quando si arriva alla soglia della promulgazione.
Non ho dubbi che il Presidente della Repubblica, quali che siano le sue decisioni (sulle quali neanche faccio delle ipotesi), come sempre si comporterà con uno scrupoloso rispetto delle proprie competenze e prerogative costituzionali. Queste ultime, ovviamente, dovranno essere esercitate nei confronti non soltanto di questo decreto-legge, ma anche di eventuali provvedimenti contestuali (eventuali e auspicabili, come ha detto il collega Pisicchio) che il Governo intenda o intendesse assumere proprio per sanare questo problema - obiettivamente esistente - che si è manifestato nella giusta finalità introdotta dal Senato, ma nella formulazione - tecnicamente inesatta - con cui questa finalità, da parte dell'altro ramo del Parlamento e da parte del Governo, è stata, in quella sede, esercitata.
Pertanto, da parte nostra vi è la massima serenità e il massimo rispetto per le prerogative del Presidente della Repubblica (in qualunque modo ritenga, nella sua responsabilità, di esercitarle) ma si tratta di prerogative che riguardano una fase successiva del procedimento costituzionale. Adesso ci troviamo nella fase parlamentare del procedimento legislativo e solo a questa dobbiamo necessariamente attenerci.
Signor Presidente, ringrazio lei, i rappresentanti del Governo e i colleghi per Pag. 28l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Misto-Socialisti per la Costituente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, credo che la vicenda che stiamo esaminando sia molto negativa per le istituzioni, non solo per il contenuto del provvedimento, ma anche per le modalità con le quali si sta giungendo all'esame di questo testo presso la Camera dei deputati.
Tuttavia, prima di entrare nel merito, vorrei fare una precisazione all'onorevole Boato, che ha fatto un riferimento al collega Giovanardi (in questo momento, non presente in aula) in relazione al modo di legiferare. Noi contestiamo (e a breve entrerò nel merito) il modo di agire del Governo Prodi e il collega Boato ha detto: «Come? Parlate voi!», sostenendo che a criticare questo testo e questo modo di legiferare sia il collega - l'onorevole Giovanardi - il quale, da Ministro, è stato autore (non da solo, perché in tanti abbiamo sostenuto quell'azione) di una legislazione sulla droga, inserita in un provvedimento sulle olimpiadi.
Ebbene, quel provvedimento non riguardava soltanto le olimpiadi, ma anche il doping, tema - come dovrebbe sapere persino l'onorevole Boato - strettamente connesso alle questioni della droga. Inoltre, quella norma fu inserita in quel testo dopo due o tre anni di discussione della legge sulle tossicodipendenze, presso il Senato della Repubblica, nelle Commissioni giustizia, igiene e sanità e quant'altro.
Pertanto, non si trattò di un blitz «asinino», come quello compiuto da questo schieramento di presunta maggioranza al Senato, inserendo in un decreto-legge qualcosa che non c'entra niente, errando nel riferimento. In quel caso fu compiuta una scelta - opinabile, che può essere criticata, ci mancherebbe altro e l'onorevole Boato l'ha criticata ancora oggi - di attuare norme che, da due o tre anni (come egli dovrebbe sapere) erano in discussione presso un ramo dal Parlamento, con un ostruzionismo accanito del centrosinistra e con una serie di audizioni infinite. Pertanto, non si è trattato assolutamente di un blitz, ma di un modo - ripeto - opinabile, ma formalmente corretto e sostanzialmente successivo ad ogni discussione.
Per quanto concerne il provvedimento al nostro esame, si tratta di un decreto-legge inutile, in quanto dettato dall'emergenza e, a tal proposito, condivido alcune affermazioni dei colleghi della Lega Nord. Siamo, infatti, rimasti tutti scossi dall'omicidio della signora Reggiani a Roma, ma eravamo rimasti altrettanto scossi dalle violenze, dagli omicidi e dalle efferatezze compiute da stranieri o italiani. Non operiamo distinzioni, ovviamente, tra responsabilità criminali al nord, al centro e al sud: vi sono omicidi camorristici in serie, in città del Mezzogiorno, e vi sono state aggressioni e omicidi attuati nelle case, nel nord-est (mi riferisco ad un fatto di cronaca che ha molto colpito la pubblica opinione) da parte di immigrati, uno dei quali addirittura scarcerato grazie all'indulto voluto da questo Governo e a nulla sono valse le giustificazioni del Ministro della giustizia per scrollarsi di dosso la colpa di quelle scarcerazioni, in particolare di quell'omicida.
Dopo il crimine in cui è rimasta vittima la signora Reggiani a Roma, abbiamo certamente condiviso la volontà di una reazione, che poteva esserci anche prima ma che, comunque, vi è stata. In quel momento, si è detto che la destra e il centrodestra devono collaborare. Sono tutte le fesserie che dite voi, ossia che la sicurezza non è di destra, né di sinistra. Sono sciocchezze, perché la sinistra è contro la sicurezza.
Questa sinistra, infatti, ha tagliato i bilanci del Viminale, per un miliardo di euro per quest'anno e li sta tagliando per altre centinaia di milioni di euro per il prossimo anno. Invece di avere i poliziotti e i carabinieri di quartiere, che noi stessi abbiamo cominciato a introdurre quando eravamo al Governo, sebbene siano ancora Pag. 29pochi, mediante l'indulto avete compiuto la distribuzione dei delinquenti di quartiere: 25 mila criminali al posto dei poliziotti e dei carabinieri di quartiere negli angoli e nelle strade!
Questa è la politica della sicurezza! Voi affermate che la sicurezza non è né di destra né di sinistra, ma rappresentate il Governo della politica criminale dell'Italia: l'indulto, il taglio alle risorse per le forze dell'ordine, le forza di polizia costrette a manifestare in corteo, come è successo a Roma e a Milano nelle settimane scorse. Io stesso, l'onorevole Ascierto, l'onorevole La Russa e altri esponenti, siamo intervenuti a tali manifestazioni, dove vi erano perfino le bandiere della CGIL insieme a quelle del SAP, del Consap, del COISP, dell'USB, dell'Ugl, del COCER, rappresentanti le varie forze dell'ordine. Vi erano tanti delegati COCER tranne quelli che, in ossequio ai vertici di alcune strutture, sono rimasti al comando generale dei carabinieri, in viale Romania, anziché venire a manifestare come i colleghi di altri COCER, come sarebbe stato loro diritto democratico, contro il Governo che affama le forze dell'ordine.
Allora, dovremmo collaborare perché la politica della sicurezza non è di destra né di sinistra? Abbiamo approvato la legge cosiddetta Fini-Bossi contro l'immigrazione clandestina, le leggi per recuperare i tossicodipendenti e punire più severamente gli spacciatori, abbiamo approvato contratti migliori per le forze dell'ordine, stanziato fondi che avete dirottato ad altre spese, per ciò che riguardava il riordino delle carriere (una specificità dei ruoli delle forze dell'ordine), abbiamo iniziato ad istituire i poliziotti e carabinieri di quartiere.
Invece, voi avete fatto quello che ho elencato e avete tentato di istituire persino una Commissione di inchiesta sul G8. Per fortuna la magistratura, con una prima sentenza, ha stabilito che a mettere a ferro e fuoco Genova erano stati gli estremisti della sinistra, i black block, gli appartenenti ai centri sociali e tutti coloro in nome dei quali vorreste istituire, in Parlamento - non ci siete riusciti e non ci riuscirete -, una Commissione parlamentare di inchiesta per mettere alla gogna le forze dell'ordine.
Con chi dovremmo collaborare? Anche ammettendo che avessimo voluto collaborare - perché di fronte ai delitti la reazione deve essere unanime -, consideriamo quanto avvenuto. È stato emanato il decreto-legge in discussione. Sembrava che dovessimo manifestare il consenso la sera stessa! Nemmeno Prodi sapeva che sarebbe stato emanato un decreto-legge, perché è stato fatto per opera di Veltroni, il sindaco di Roma, diventato segretario del Partito Democratico, il quale come noto, si è recato da Amato e in giro, per far vedere che reagiva. Allora, il Governo si è riunito con emergenza ed ha approvato un decreto-legge.
Ricordo i giornalisti che ci inseguivano per farci affermare che tale provvedimento andava bene. Abbiamo chiesto di leggerlo perchè se fosse andato bene, avremmo condiviso una politica più severa. Lo abbiamo letto e ci siamo resi conto che era un provvedimento assolutamente inadeguato, insufficiente e inutile.
Non è vero? Un decreto-legge, come ovviamente sanno tutti i colleghi e i cittadini, è un provvedimento con forza di legge che entra in vigore immediatamente, pertanto questo decreto-legge è in vigore da diverse settimane. Grazie a tale provvedimento sono state espulse duecento persone in più (così sembra, perché non ho compreso se siano state raggiunte da avvisi, inviti cortesi ad andarsene o se da duecento si sia passati a duecentootto). Consideriamo però che duecento persone divise per ottomila comuni d'Italia, non significano nulla!
Pertanto, se i dati sono questi, il provvedimento in discussione non serve a niente! La legge di conversione è successiva all'entrata in vigore del provvedimento e si può già saggiarne l'efficacia. Per questo motivo siamo contrari e contestiamo il provvedimento in discussione, per la sua inutilità. Ho svolto una lunga premessa per far capire con chi dovremmo collaborare. Con coloro che hanno approvato la legge sull'indulto, che vorrebbero istituire Pag. 30la Commissione d'inchiesta sul G8, che prendono per fame (solo cinque euro di aumenti lordi mensili) i lavoratori e le lavoratrici delle forze dell'ordine, e che, mediante l'indulto, hanno voluto 25 mila delinquenti di quartiere in più?
Non potremmo, non vogliamo e non collaboreremo con questo Governo, su queste politiche assurde! Tralascio, inoltre, il disegno di legge Amato-Ferrero e tutte le altre cose assurde che non diventeranno mai legge e che sono state aggiunte.
Pertanto, abbiamo cercato di migliorare al Senato il provvedimento in discussione, inutile, nella migliore delle ipotesi e che quindi, non merita la nostra attenzione e il nostro consenso, con emendamenti del centrodestra in maniera unanime. Voglio sottolineare ciò, rivolgendomi principalmente alla mia parte politica, in quanto su questo tema il centrodestra si è riunito, con la partecipazione di tutti i leader, e ha svolto e sta svolgendo un'azione di pieno intento, condotta in questi giorni con l'onorevole Santelli, l'onorevole Cota, l'onorevole D'Alia e altri colleghi, anche appartenenti al mio gruppo.
Quindi c'è stata anche sintonia (e lo interpreto come un fatto positivo) sotto il profilo della discussione politica ma, come si suol dire, questa è un'altra storia.
I nostri emendamenti, che abbiamo riproposto all'esame dell'Assemblea e che invitavamo il Governo ad accogliere, sono stati bocciati al Senato. È scoppiata, però, la crisi a sinistra e quindi è stato necessario convincere non so quali settori della sinistra radicale, comunista, rivoluzionaria (dove vi sono anche quelli di ultra sinistra come Turigliatto ed «i trafugatori delle salme di Lenin»), insomma tutto lo schieramento variegato della sinistra, che hanno preteso una norma che possiamo definire una specie di «zuccherino». È stata pertanto inserita questa norma omofobica.
Preciso che il mio gruppo non condivide nessuna forma di discriminazione, di vessazione, di violenza, di sopraffazione e di denigrazione. Riteniamo e difendiamo una concezione della famiglia come quella contenuta nella Costituzione repubblicana. Non devo neanche invocare le «sacre scritture» e non perché non sia credente (sono cattolico e ne sono fiero), ma perché credo che anche la Costituzione repubblicana dia una definizione della famiglia come unione tra l'uomo e la donna. L'ha votata anche Togliatti quella Costituzione!
FRANCO GRILLINI. No! Non c'è scritto!
MAURIZIO GASPARRI. Grillini so che hai idee diverse, però non ci hai ancora convinto tutti! Insisti, pure: è tuo diritto! Comunque la Costituzione repubblicana che ha votato Togliatti...
FRANCO GRILLINI. Dimmi dov'è scritto!
MAURIZIO GASPARRI. Fammi parlare bene di Togliatti! È la prima volta che lo faccio! La Costituzione, che votò anche Togliatti, alla Camera, nel 1947, dà una definizione della famiglia alla quale io mi rifaccio in funzione costituzionale, laica e repubblicana.
Questa è la famiglia, dopo di che le discriminazioni sono odiose nei confronti di chiunque, anche nei confronti dell'uomo e della donna, oltre che di persone che possano avere diverse - come dire - inclinazioni sessuali. Non si capisce, però, che attinenza abbia questa norma con il decreto-legge sulla sicurezza, a meno che la si consideri uno «zuccherino» volto a far votare questa «roba» che non va bene. Potete votarla, signori della sinistra, in quanto non è un decreto-legge per la sicurezza: non serve a niente!
Chi aborre l'idea della sicurezza voti tranquillamente questo decreto-legge perchè non è neanche un «pannicello caldo»: non è nulla! Duecento espulsioni in un mese non sono nulla!
Pertanto potete votarlo non c'era bisogno - come dire - del «dolcificante» qual è stata la norma antiomofobica. È stata introdotta una norma che non c'entra niente e che non serve a niente e si stanno discutendo altri provvedimenti. Per quanto Pag. 31mi riguarda sono contrario anche agli altri provvedimenti perché sono già sufficienti le leggi vigenti in Italia che sono di ampia garanzia e, a maggior ragione se poi si aggiunge il tentativo surrettizio di stravolgere la Costituzione, il diritto naturale, la natura umana.
Anche se uno fosse (ed io non lo sono) ateo, dovrebbe riconoscere che la vita nasce dall'incontro tra l'uomo e la donna, caro Grillini: per quanti sforzi tu possa fare in altre direzioni finora non è stata trovata una soluzione diversa, è un fatto scientifico questo, non teologico nel quale ognuno può credere o meno, ma è un fatto naturale che riguarda il tema di come nasca la vita.
Insomma, avete inserito questa norma e, poiché siete degli incapaci, aggiungete il riferimento sbagliato. Come altri colleghi hanno spiegato nel dettaglio, invece di richiamare una norma europea, se ne richiama un'altra ed il provvedimento giunge con un errore materiale al suo interno a causa del quale fate decadere la legge cosiddetta Mancino! Penso cosa sarebbe successo in questo Paese se il Governo guidato da Berlusconi, con Fini Vicepresidente del Consiglio e con il sottoscritto ed altri membri del Governo avesse varato un provvedimento che avesse determinato - anche per un solo decimo di secondo - la sospensione della «legge Mancino», il provvedimento - lo ricordo - che punisce con particolare severità l'odio razziale e reati turpi, intollerabili, perpetrati in molte situazioni: oggi alcuni giornali ricordano la profanazione dei cimiteri, perfino l'accanimento e l'insulto alle memorie, oltre che l'apologia di reati di genocidio.
Pensate cosa sarebbe successo se noi avessimo fatto una cosa del genere: fuori dal Parlamento ci sarebbe stata, giustamente, la sfilata di organizzazioni e associazioni dei combattenti, dei reduci e delle persone che hanno subito persecuzioni. E voi fate questo «schifo» di norma che sospende la legge cosiddetta Mancino e cancella i processi?
Ieri, il sottosegretario per la giustizia - che è anche un magistrato di grande esperienza e quindi conosce le vicende molto meglio del sottoscritto (anch'io, comunque, mi sono fatto un'idea) - ci ha detto che vengono sospesi numerosi processi, specificando poi che si tratta di cento, duecento, insomma parecchi processi.
Ma il presidente della Commissione affari costituzionali, Luciano Violante, ha detto che se anche ne fosse stato sospeso uno solo, sarebbe stato grave. Parliamo di processi e di reati come quelli che ho ricordato, che avevano per oggetto fatti che giustamente sono stati condannati. Pensate se lo avessimo fatto noi! È una vergogna! Siete anche degli apologeti del nazismo e dello sterminio perché, con questo decreto-legge, di fatto, lasciate impunite le persone che hanno compiuto reati di tale natura.
Questa è la realtà e le persone all'esterno di questo palazzo la devono conoscere: si tratta di un errore materiale, perché il riferimento ai trattati europei è improprio, e di un errore politico orribile, perché modifica una legge.
Poi si cerca di trovare le soluzioni accelerando la discussione sul disegno di legge sui reati sessuali, perché così si recupera la norma da un'altra parte, e pensando di abolire quella sbagliata con il cosiddetto decreto mille proroghe. Sembrate gli equilibristi o i giocolieri, che con un bastoncino in una mano reggono un piatto, e con l'altra mano fate un decreto di un'altra natura, poi il mille proroghe, poi con il piede si regge un'altra cosa.
Siete dei pagliacci da circo! Questo state facendo di fronte al Paese: sembrate il circo Orfei. Il Natale evoca il circo e voi siete dei pagliacci da circo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)! In Parlamento, in un'Aula che ha visto la presenza per molto tempo, anche nel più importante degli scranni...
FRANCO GRILLINI. Signor Presidente, sta offendendo!
PRESIDENTE. Onorevole Gasparri, la invito ad avere un linguaggio più rispettoso.
MAURIZIO GASPARRI. Questo decreto è una pagliacciata!
Pag. 32PRESIDENTE. Un conto è il giudizio di merito su un testo, un conto sono le affermazioni offensive verso altri colleghi.
MAURIZIO GASPARRI. Non sto offendendo i colleghi, perché ho offeso il Governo, che sta facendo un esercizio da pagliacci del circo, e lo ripeto. Se lei mi vuole togliere la parola, lo faccia: ne ha la facoltà. Questa è una pagliacciata e se vuole le cito dei precedenti in cui nel Parlamento si è detto ben più che «pagliacciata», che non mi pare sia una cosa che possa essere impedita.
Detto questo, mi stavo rivolgendo metaforicamente, ma sostanzialmente, al Presidente della Repubblica, che è stato a lungo in quest'Assemblea, che la ha persino presieduta nella legislatura dal 1992 al 1994, che conosce leggi, Costituzione e norme non solo il per ruolo supremo, che svolge in questa fase, di Presidente della Repubblica e di massimo garante delle istituzioni, ma per la lunghissima e importante esperienza che ha svolto in tutte le Assemblee nazionali, della Camera, del Senato, e del Parlamento europeo, con ruoli anche insigni.
Al Presidente della Repubblica, cari colleghi, si sono rivolti nei giorni scorsi i colleghi del centrodestra al Senato con una lettera e il Presidente della Repubblica non solo ha risposto con una lettera, ma ha autorizzato i colleghi destinatari della risposta a divulgarne il contenuto, perché non lo avrebbero divulgato se non avessero avuto l'autorizzazione del Capo dello Stato, per una ragione di ovvio rispetto nei confronti della massima istituzione.
Notate ciò, perché il Presidente Ciampi sosteneva che, quando il Parlamento lavora, il Quirinale tace e poi fa le valutazioni del caso. Le ha fatte: ne abbiamo preso atto, anche per quanto mi riguarda personalmente, e abbiamo seguito le prassi costituzionali, perché il Quirinale ha la possibilità di rinviare le leggi e ha anche un potere di moral suasion, se non ne abbiamo soltanto una visione «decorativa».
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rispondendo ai senatori del centrodestra che si erano rivolti a lui, ha detto che la questione è un po' complicata: «Gentile senatore, ho letto, appena rientrato dagli Stati Uniti, la lettera, peraltro aperta, indirizzatami da lei e da altri capigruppo e senatori dell'opposizione e recapitatami ieri, 13 dicembre 2007. La ringrazio per gli argomenti che ha voluto sottoporre alla mia attenzione. La questione relativa alla norma inserita nella legge di conversione del decreto n. 181 e votata dal Senato, in una dizione che contiene oltre tutto» - oltre tutto, scrive il Presidente della Repubblica - «riferimenti erronei, merita da parte mia, per la prerogativa attribuitami dalla Costituzione di promulgazione delle leggi, un esame attento e rigoroso, che certamente non mancherà. Cordiali saluti, Giorgio Napolitano».
Qualcuno potrebbe dire che la lettera, di per sé, non dice nulla. Ora, rispondere alla lettera, farlo in maniera formale, autorizzarne la divulgazione mi pare che sia una forma importante di esercizio della moral suasion nei confronti delle istituzioni, un richiamo, un «cartellino giallo», giallo pallido, non so di che colore, però tenetene conto.
Allora come si fa? Si può anche approvare il decreto, lo abbiamo detto e lo ribadisco. Se si elimina quella norma, non ostacoleremo un iter rapido, perché ci rendiamo conto che oggi è il 18 dicembre, che tra qualche giorno è Natale per tutti, per noi credenti e anche per quelli che non lo sono, e che il Senato si deve occupare del welfare, del disegno di legge finanziaria (ho letto che a Dini non piace e poi la voterà come al solito: vi fa solo preoccupare e magari non la votasse).
Mi rendo conto del calendario, anche se esistono il 27 dicembre, il 28 dicembre. Comunque, si può fare tutto perché, lo sappiamo bene (io sono in quest'Aula da quindici anni), che generalmente il 31 luglio, il 2 agosto, il 22 dicembre accadono cose che non si vedono mai durante l'anno. Tutti vogliono andare via e c'è sempre un'accelerazione, come dire, fisiologica, chiunque governi.Pag. 33
C'è sempre, in certi momenti dell'anno, il desiderio di accelerare. Accadrebbe, se il provvedimento in esame tornasse al Senato, quanto è accaduto in tante altre circostanze e potremmo licenziarlo. Noi voteremmo contro - sia chiaro - perché il decreto «200 espulsioni» non serve a nulla, ma alla fine, se eliminate quella norma e andate al Senato, si può gestire la questione. Oppure, volete fare il gioco dell'acrobata: posso comprendere che il Governo faccia l'esercizio del giocoliere cinese, con un piatto in una mano, un piatto in un'altra e uno sul piede: arriva un altro decreto e non ho nemmeno capito, però, perché è stato studiato e sappiamo che poi si trovano sempre degli escamotage. Si approva il decreto-legge con l'errore, se ne fa un altro tre secondi dopo per ripristinare la norma della legge Mancino, che era stata soppressa, infine si elimina la norma antiomofobia: insomma, non capisco come funziona.
Soprattutto per quanto riguarda la legge Mancino, richiamo l'attenzione sul fatto che nel Paese degli avvocati - l'onorevole La Russa, che è avvocato, lo sa benissimo - anche un solo secondo di vacatio legis dovuta all'abrogazione della legge Mancino consentirà agli avvocati - non ne mancano in Italia e in Aula ce ne sono di bravissimi in tutti i gruppi parlamentari e non posso certo suggerire loro cosa dovrebbero fare - di appigliarsi a questo cavillo, ossia a un vuoto legislativo anche di un solo attimo.
Il Presidente della Repubblica cosa fa? Firma la legge di conversione del decreto-legge, contemporaneamente o subito prima si emana un decreto-legge che ripristini la legge o se ne fa uno ancora più grave: ho letto di tutto! Qui vengono ad assistere ai nostri lavori le scolaresche: invitiamo piuttosto una classe di studenti della facoltà di giurisprudenza, che studiano gli argomenti del diritto, e spieghiamo loro che stiamo approvando una legge sbagliata, con un errore materiale.
Leggetevi, colleghi, l'articolo che ha scritto oggi il Vicepresidente della Camera, Pierluigi Castagnetti, il quale su il Riformista ha pubblicato un articolo pacato e assennato, che contiene dei riferimenti molto chiari. Tale articolo si occupa non tanto di una questione di merito, che pure il presidente Castagnetti affronta (esprimendo sulla norma antiomofobica delle critiche che condividiamo), ma svolge anche delle osservazioni su questo modo astruso di legiferare; sottolineo che egli è un esponente qualificatissimo del Partito Democratico ed è un esponente elevatissimo della Camera dei deputati, perché ne è Vicepresidente.
Quindi, non volete ascoltare noi, perché forse siamo un po' irriverenti e antipatici? Credo, allora, che dovreste ascoltare la moral suasion del Presidente Napolitano e le sagge considerazioni del presidente Castagnetti. Credo che tutte queste considerazioni vi dovrebbero indurre ad evitare questo orrore!
Sì, è vero che ci sono tanti precedenti nella vita repubblicana; anche con le leggi finanziarie, con la «storia» della sistemazione finale del testo, spesso si apportano dei veri e propri emendamenti. Ricordo che l'anno scorso, anche nella legge finanziaria, ci fu un errore che bene o male fu sanato. Ma in questo caso siamo al di là di qualsiasi precedente, per l'errore materiale del richiamo, per l'inopportunità dell'inserimento della materia nel decreto sicurezza, per l'orrore di strafalcioni giuridici che si profilano nei prossimi giorni a colpi di decreti «tampone»; poi c'è il decreto provvisorio, che viene lasciato decadere.
Ma si può fare tutto questo? L'appello che rivolgiamo, in particolare, alle massime istituzioni della Repubblica è il seguente: quale esempio si dà ai cittadini? Quale esempio si dà alla pubblica opinione? Quale esempio viene dato alla gente che segue le istituzioni e che ci ascolta? Credo che da questo punto di vista la stessa Camera dei deputati dovrebbe vigilare su sé stessa e che quanto ha detto il Presidente della Repubblica debba essere motivo di riflessione per tutti, perché stiamo compiendo uno scempio!
Torno, allora, all'inizio del mio intervento: perché la destra e la sinistra non collaborano in materia di sicurezza? Ho Pag. 34elencato una serie di ragioni per le quali è impossibile collaborare a una politica di destrutturazione della sicurezza; inoltre, perché dovremmo unirci a questo modo di procedere, che nemmeno conosciamo?
Ieri, quando siamo arrivati nelle Commissioni riunite I e II, è stato tenuto un vertice della maggioranza - o presunta tale - è venuto il Ministro dell'interno, poi se n'è andato e ci è stato detto che il decreto resta così, perché c'erano delle pressioni politiche, mentre altri dicevano cose diverse.
A cosa dovremmo collaborare? Alla lotteria, al mistero, a questi riti strani e irresponsabili che il Governo sta celebrando?
Questo è il Governo dell'indulto, il Governo della mortificazione delle forze dell'ordine, il Governo che - con provvedimenti di questo tipo - vuole abbassare la guardia nei confronti dell'immigrazione clandestina. Pensa davvero questo Governo di recuperare la credibilità di fronte alla pubblica opinione? I cittadini sanno che la vostra politica sull'immigrazione è quella della legge Amato-Ferrero: sponsor, auto-sponsor, misure che favorirebbero l'ingresso in massa dei clandestini (già oggi moltiplicatosi, poiché il messaggio che proviene dall'Italia è che le leggi non contano). Io credo, anzi, che la legge Fini-Bossi andrebbe corretta, ma per renderla ancora più severa, ancora più stringente, ancora più puntuale.
Insieme all'Unione europea, dovremmo definire norme ancora più concrete per arrivare all'espulsione dei clandestini. Non voglio eludere nemmeno la questione della Romania. Noi siamo contenti che la Romania sia entrata nell'Unione europea, poiché alla Romania abbiamo dato la nostra solidarietà quando, fino al 1989, era dominata dal comunismo di Ceausescu (quello stesso comunismo che qualcuno vuole rifondare e riproporre in Italia: mi pare che vi siano ancora partiti che hanno quella denominazione e, dunque, ritengono l'esperienza del comunismo tutt'altro che esaurita e non negativa, in quanto la ripropongono al popolo italiano, riuscendo addirittura ad introdurla nelle fila del Governo). Però, una volta che ha avviato un percorso verso la democrazia, che noi salutiamo con grande gioia, e una volta che è entrata nell'Unione europea, la Romania deve collaborare all'applicazione delle norme e al controllo delle sue frontiere: non si possono scaricare sull'Italia i problemi di legalità e di condotta che vi sono all'interno di quel Paese.
Dopo l'omicidio di Roma, abbiamo visto in televisione le interviste a molti rom. Sappiamo che non tutti i rom sono rumeni e sappiamo che non tutti i rumeni sono rom: vi sono però rom che arrivano dalla Romania, purtroppo con una forte propensione a commettere reati e con una concezione bizzarra della proprietà, per cui ci si può appropriare di qualsiasi cosa. Vi saranno anche brave persone, ma purtroppo abbondano fra i rom quelli che hanno un'idea di comportamento non compatibile con il nostro sistema di vita.
Dal momento, dunque, che la Romania è membro dell'Unione europea (e noi ne siamo lieti ancor più di altri), essa deve rispettare le regole ed essere richiamata al rispetto del legge. I politici rumeni avevano contestato questo decreto (poi, avendolo letto, hanno capito che era acqua calda e non hanno più protestato); ora, noi non vogliamo un conflitto politico etnico - o peggio ancora - con la Romania: vogliamo, però, che l'allargamento dell'Unione europea proceda di pari passo con una maggiore gestione delle politiche della sicurezza. Riteniamo pertanto che l'Unione europea debba adeguare di conseguenza trattati e regole.
Il trattato di Schengen, la libera circolazione delle persone e delle idee sono grandi conquiste della democrazia e della civiltà (per inciso, se fosse stato per il comunismo di Ceausescu, quello che ancora qualcuno ripropone in Italia, questa libera circolazione non vi sarebbe): tuttavia, se si aderisce ad una organizzazione come l'Unione europea, bisogna anche garantire determinati standard e determinate pratiche.
Dobbiamo dunque richiamare la Romania e coinvolgere in questo i tantissimi rumeni che onestamente vivono e lavorano Pag. 35nel nostro Paese ad un diverso modo di concepire vivere l'appartenenza all'Unione europea.
Noi crediamo che dovrebbero essere introdotte norme per cui coloro che non sono in grado di dimostrare di possedere mezzi legali di vita possano essere allontanati, anche se venissero, non dalla Romania o da Paesi extracomunitari, ma da Parigi o da Londra. Del resto, lo stesso dovrebbe accadere anche se qualcuno andasse dall'Italia in un altro Paese e, non avendo mezzi legali di sussistenza, ostentasse ricchezze inusitate.
In proposito, il Ministro dell'interno Amato ha dichiarato che vi sono talora nomadi che posseggono ricchissime Mercedes: Amato, che cito, si domanda come fanno costoro a mettere la benzina. Ma ad Amato chiederei, piuttosto: come fanno a mettere la benzina i Carabinieri e la Polizia? Perché a Carabinieri e Polizia, con le ultime leggi finanziarie, avete tolto perfino i soldi per la benzina? E così rapinatori e scippatori, con mezzi opulenti, con macchine assai potenti e con benzina che scorre a litri, possono compiere reati ed essere inseguiti dalla polizia, che non ha più un soldo.
In proposito, qualche settimana fa, il comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria ha inviato una circolare alle stazioni dei Carabinieri della provincia (purtroppo, ad alta densità criminale) richiedendo di non far percorrere alle vetture oltre 30 chilometri al giorno. Fra qualche sgomento, la lettera è giunta anche alla compagnia dei Carabinieri di Locri: ebbene, cosa faranno i Carabinieri se vi saranno nuovi episodi di violenza? Al trentesimo chilometro si fermeranno e si metteranno d'accordo con il delinquente? Non siamo come in quel film in cui Totò e Aldo Fabrizi si inseguivano e il poliziotto un po' grasso pregava il ladruncolo di fermarsi: siamo ad una tragedia quotidiana della realtà italiana!
Allora con chi, su che cosa o su quale politica dovremmo collaborare? Al massimo, possiamo consentirvi di licenziare rapidamente alla Camera questo pessimo decreto, se cancellerete quella norma che anche il Capo dello Stato avrebbe difficoltà a firmare.
Noi diciamo al Capo dello Stato che, se dovesse andare avanti questo testo e dovesse essere portato al Quirinale, con gli errori in esso contenuti, seguito dal «giochino» degli altri provvedimenti, dal «taglia e cuci» e dal «cancella e rimetti», la questione non finirebbe qui: noi non siamo disposti a farla finire qui!
In questi giorni, come qualcuno ha ricordato, si intrecciano vicende diverse: le violenze del Governo sul servizio pubblico radiotelevisivo, con le illegalità compiute cacciando il consigliere Petroni, reintegrato dal TAR; le violenze alle forze dell'ordine, con l'allontanamento improprio, abusivo ed illegale del generale Speciale, bocciato anch'esso dal TAR; i decreti adottati in questo modo. Siamo al banditismo legislativo e governativo! Questa è la realtà e non trovo altri termini per definire le condotte di coloro che erano bravi, informati e saggi e contestavano il nostro Governo perché composto da persone che non conoscevano le leggi ma che, invece, le hanno rispettate in tutte le fasi, anche quando dal Quirinale venivano sollevati osservazioni e rilievi che potevamo non condividere nel merito, ma che non abbiamo contestato, né in pubblico né in privato, accettando le procedure che la Costituzione prevede e rispettando le cariche e le istituzioni anche nei passaggi più delicati.
PRESIDENTE. Deputato Gasparri, la invito a concludere.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente - e concludo - vi invitiamo ad evitare un simile, aberrante modo di procedere, che contesteremo in tutte le sedi, certi che il Quirinale non si unirà a tale gioco di equilibrismo e a questo modo di legiferare, per la responsabilità di quella istituzione e per la qualità e l'esperienza di chi la rappresenta. Infatti, un coinvolgimento di tutti in un vero e proprio attentato alla Costituzione ci metterebbe proprio in una condizione di mortificazione. Pag. 36Il New York Times ha detto che l'Italia è un Paese triste e in declino: questa vicenda, forse, rappresenta il declino causato da questo Governo e da questa presunta maggioranza molto meglio delle indagini del Censis. Il Censis parlava di mucillagine, ma ora siamo al fango gettato sulle istituzioni: il Quirinale impedisca questo scempio sulla Repubblica italiana (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, come è stato sottolineato da altri colleghi, il decreto-legge alla nostra attenzione nasce sull'onda dell'emotività per la morte di una donna, Giovanna Reggiani, per la quale, grazie alla testimonianza di una donna romena, è stato incriminato un rom rumeno. Il caso ha voluto che discutessimo in Aula il decreto proprio alla luce di una giornata in cui - lo ricordava il collega Leoni - le donne uccise dai mariti o rapite sono quattro. Verrebbe, allora, da chiedersi quale altro decreto dovremmo assumere in una giornata come questa, in cui è evidente a tutti che le donne uccise in famiglia ormai, dal punto di vista numerico, sono superiori a quelle uccise dalla mafia e alle vittime della mafia.
Se dunque questa fosse la logica, bisognerebbe decidere con quale urgenza e con quale strumento legislativo costringere i maschi italiani a farsi educare. Questo dato richiede di interrogarsi sull'opportunità di decreti come quello al nostro esame e, soprattutto, su un assunto che dovrebbe essere ormai compreso ed affermato da tutti dal punto di vista dell'esperienza storica: come diceva il collega Boato, occorre assumere il fatto che è sempre sbagliato rispondere a problemi, anche reali, sull'onda di una logica emergenziale. Simili provvedimenti, infatti, nella migliore delle ipotesi, sul lungo periodo si rivelano inefficaci, mentre, nella maggior parte dei casi, sono anche controproducenti.
Penso che sarebbe opportuna una riflessione volta a verificare gli effetti ed i risultati del decreto in discussione (considerato che sono ormai trascorsi due mesi). Sottolineo anche che, proprio sull'onda di questa scelta, vi sono state nel nostro Paese molte testimonianze di giuristi, intellettuali o semplicemente democratici impegnati nel sociale, ma anche una straordinaria, grandissima manifestazione di donne, che hanno sottolineato che non si possono adottare decreti relativi alle espulsioni - in questo caso di cittadini comunitari - sull'onda di tali emozioni, considerato che le violenze nel nostro Paese avvengono soprattutto nelle famiglie.
Si tratta dell'unico reato in aumento negli ultimi anni e le morti e violenze in famiglia rappresentano almeno il 70 per cento delle violenze sulle donne.
Pertanto, questa è la prima questione che ci viene proposta e che ci suggerisce che non si possono risolvere tali problemi con misure straordinarie e di discutibile efficacia, ma occorre, nel nostro Paese, un grandissimo investimento culturale.
Vi è un secondo aspetto. Si afferma che si è comunque iniziato un dibattito - ora in corso - in ordine ad un bisogno di sicurezza, vera o presunta, ma certamente vi è un problema relativo alla percezione di insicurezza, di cui siamo tutti coscienti e a cui non vogliamo sottrarci. Tuttavia, penso che sia bene sostenere che dinanzi a tale percepita o reale insicurezza non sia opportuno rispondere con interventi che accompagnano o alimentano l'emotività, ma con il ragionamento, con la verità, con i dati concreti, proponendo delle risposte in diversi ambiti. Penso che la «tolleranza zero», ormai sperimentata in diversi Paesi, sia utile per dirsi la verità e ritengo che le istituzioni e la politica abbiano il dovere di cominciare da tale circostanza anche quando i relativi percorsi siano molto complicati e difficili e possano apparire contro corrente in determinati contesti. Tuttavia, questa rappresenta l'unica strada che può portare, nel lungo periodo, a dei veri risultati all'interno di un contesto sociale in cui si salvaguardino i principi fondamentali dei diritti, della civiltà e della convivenza civile.Pag. 37
Non penso però che si possano indicare, anche involontariamente (ma questo è avvenuto nel corso del nostro dibattito di stamattina da parte di alcuni colleghi e nelle manifestazioni della scorsa domenica della Lega) alcune comunità o accreditare e accompagnare delle campagne xenofobe e razziste. Penso che siamo di fronte ad una vera emergenza culturale nel nostro Paese: il razzismo.
In determinate aree del Paese vi sono delle iniziative ad opera di sindaci. Il mio collega, Paolo Cacciari, mi raccontava oggi di esperienze concrete di conducenti di autobus che, in alcune città del Veneto, lasciano per strada i cittadini stranieri, magari sprovvisti di biglietto. Tutto ciò avviene in un clima ormai insopportabile e di cui noi tutti dovremmo farci carico e non è un caso se l'Europa ci guarda con grande preoccupazione. Infatti, siamo stati noi stessi, purtroppo, a sottolineare l'esistenza di tali campagne e vi è l'esigenza, semmai, di rispondere tempestivamente a tale declino culturale. Anche le sporadiche esperienze di ronde apparse subito dopo le vicende di cui parliamo, come a Roma, ma che si è tentato di affermare prima e dopo e che proprio in questi giorni in alcune città si moltiplicano, sono il sintomo più evidente di un clima che in qualche modo si ritiene legittimato da quanto avvenuto dopo la morte della signora Reggiani e dal decreto-legge in esame, preso a pretesto da qualche sindaco per emanare ordinanze che ritengo illegittime, ma che naturalmente occorre impugnare per dimostrarne l'illegittimità.
Penso, al contrario, che le nostre istituzioni e il Parlamento debbano essere impegnati a rompere la tesi secondo cui immigrazione vuol dire criminalità, che circola da anni, perché il Governo precedente ne ha fatto il suo punto fondamentale. Penso che si debba ristabilire la verità, cioè il rapporto che esiste tra i fenomeni di illegalità e la condizione di clandestinità.
Dunque, la sicurezza dei nostri cittadini è legata alla possibilità, per gli stranieri che vengono nel nostro Paese, di poter liberamente lavorare alla luce del sole, in condizioni di legalità, senza diventare vittime delle organizzazioni criminali o di sfruttatori di manodopera in nero.
Penso che la legge Bossi-Fini sia criminogena. I dati concreti di cui si dispone, forniti anche dal Viminale, confermano che il tasso di criminalità tra gli stranieri è esattamente lo stesso dei cittadini italiani, quando si tratta di cittadini che possono lavorare normalmente come tutti noi, e aumenta naturalmente per i cittadini costretti, invece, al lavoro nero e alla clandestinità.
Tale dato da solo dovrebbe insegnarci che non si risponde con quelle misure alle opinioni o allo sbagliato senso comune dei cittadini. È necessario rispondere con la verità, anche andando apparentemente contro corrente, ma per offrire dei risultati concreti. Per tale ragione il superamento della legge Bossi-Fini, mediante l'approvazione, quindi, del disegno di legge Amato-Ferrero, deve essere tra le priorità del mese di gennaio; e pensiamo che tale provvedimento debba essere approvato in fretta.
Credo anche che le istituzioni abbiano il compito, quasi pedagogico, di affermare che ci troviamo innanzi a questioni illusorie, sbagliate, non vere. Una di tali questioni è il sostenere, come molte forze politiche fanno, che l'immigrazione vada fermata. L'immigrazione è un fatto inevitabile, irreversibile, strutturale, con cui tutti i Paesi dell'Europa debbono fare i conti, e penso che dobbiamo anche sostenere che non sia un male.
In questi giorni è stato emanato un decreto flussi contestato dalle organizzazioni che tutelano e organizzano gli immigrati e anche dagli imprenditori e dagli artigiani. Infatti, tutti ritengono che tale decreto flussi sia insufficiente non solo per rispondere alle 50 mila domande di cittadini stranieri (a fronte di 5 mila posti, il rapporto è questo), ma anche per rispondere alla domanda di forza lavoro proveniente dagli imprenditori.
Pensiamo al diritto degli stranieri e di tutti noi di poter circolare per il mondo non solo in nome di una necessità economica (questa logica mercantile naturalmentePag. 38 non ci appartiene), ma riconosciamo che in questo caso ciò parte da un bisogno. Allo stesso tempo, riteniamo che l'immigrazione non sia un male. Infatti, noi stessi ne abbiamo bisogno e la nostra economia domani mattina crollerebbe in assenza di questi cittadini. Le nostre famiglie crollerebbero in assenza degli aiuti di queste persone che sono nelle case di ognuno di noi. Riteniamo, inoltre, che tale libertà di circolazione comporta e può comportare - questa è la risorsa di cui tutti ci potremmo avvantaggiare - la conoscenza di altre storie e di altre culture, che potrebbe arricchire ognuno di noi. Questa è l'unica vera ricchezza di cui vale la pena disporre.
Dunque, è necessario affermare anche che la percezione di insicurezza è probabilmente frutto di tante questioni, di tanti fattori economici, sociali e forse anche del fatto che la nostra immigrazione è recente. Solo nel corso di questi ultimi anni, soprattutto degli ultimi mesi, abbiamo raggiunto il tasso percentuale di immigrazione di altri Paesi europei. Il tasso della Spagna rimane superiore al nostro, ma ci siamo avvicinati e ci siamo arrivati molto velocemente. Forse, per questo motivo vi è la percezione di un'invasione. Negli ultimi 35 anni l'immigrazione nel nostro Paese è aumentata di 25 volte. Quindi, probabilmente vi è questa sensazione con cui dobbiamo fare i conti.
Allora, è necessario nominare questa ragione; bisogna dire che non siamo di fronte a dei nemici che assaltano le nostre città, ma che semplicemente vi sono dei fenomeni arrivati un po' in ritardo e, quindi, forse ci siamo trovati anche impreparati dal punto di vista dell'accoglienza e del sociale. Sicuramente, tali problemi, determinati da questi fenomeni, si aggiungono a situazioni e città in cui vi sono quartieri disagiati nei quali i cittadini italiani già soffrivano. Potrei solo citare alcune situazioni che conosco nella grande metropoli italiana, nella città moderna italiana: i quartieri nel centro di Milano, che da anni chiedono ristrutturazioni e interventi, e naturalmente adesso si aggiungono i cittadini stranieri. Tuttavia, i problemi vi erano già da prima.
Allora, forse, questi sindaci dovrebbero rispondere non con le manifestazioni, non chiedendo il «pugno di ferro», non chiedendo l'esercito, ma semplicemente investendo risorse in quell'ambito e cercando di costituire una condizione sociale, un'inclusione sociale per tutte e per tutti, anche dal punto di vista di un clima di civiltà e di coesione sociale, che rappresenta il grande problema che abbiamo di fronte su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia, questo decreto-legge non riguarda l'immigrazione in generale, ma i cittadini comunitari; pertanto, bisogna fare riferimento alla direttiva europea che questo Governo già aveva recepito correttamente - desidero sottolinearlo: recepito correttamente - perché tale problema ci è stato proposto dal Parlamento europeo e da tutti i giornali stranieri che hanno guardato un po' allibiti a quello che avveniva in Italia. A questa direttiva, in particolare, noi abbiamo fatto riferimento tentando di correggere gli errori più macroscopici, le incompatibilità più evidenti dal punto di vista costituzionale e anche della normativa europea.
Noi non siamo fanatici dell'Europa, perché essa nasce su dei presupposti sbagliati, in una logica mercantile di profitto, con tutte le conseguenze del caso: non sono considerati in primo luogo i diritti, i cittadini e le cittadine, ma il mercato e le imprese. Noi vogliamo cambiare questa Europa, ne vogliamo un'altra, e tuttavia vogliamo prendere per buone quelle poche e piccole regole di civiltà. Sulla base di esse possiamo affermare che andavano cambiate alcune cose, e in parte ciò è stato fatto al Senato: la fattispecie è stata corretta in modo importante, a mio avviso non del tutto soddisfacente, ma certamente importante. Come dicevano i colleghi, il collega Zaccaria in particolare, sono stati corretti degli elementi fondamentali, come il ricorso al giudice ordinario, o il fatto che l'espulsione eventuale possa riguardare solo il singolo comportamento, e non i familiari.Pag. 39
Vorrei anche sottolineare (non mi riferisco a questo decreto-legge che non lo contempla, ma a quanto sta avvenendo in molte parti del Paese ad iniziativa dei sindaci e dei prefetti, ma spero che tali iniziative vengano smentite) che questa direttiva prescrive che nessuno possa essere espulso per ragioni di reddito. Mi rivolgo al Governo perché bisogna vigilare attentamente almeno sul rispetto delle norme che abbiamo recepito e condiviso. Dunque, il Senato ha corretto gli aspetti più eclatanti e ha sostanzialmente riportato questo decreto-legge in un ambito di compatibilità costituzionale e di rispetto della direttiva europea.
Tuttavia, io ritengo che queste correzioni non abbiano cancellato e non possano cancellare il danno che è stato fatto sul piano culturale. Evidentemente in questa maggioranza abbiamo opinioni diverse sulle iniziative da assumere anche in situazioni di emergenza, ma certamente penso che un danno culturale sia stato prodotto.
Sottolineo positivamente invece, da un punto di vista giuridico e legislativo, le osservazioni svolte dal relatore Zaccaria il quale ha evidenziato, circa le misure che attengono alla prevenzione e alla sicurezza sociale, un tema importante: come la Corte costituzionale ne abbia dichiarato la legittimità costituzionale, ma esprimendo la necessità che il legislatore presti la massima cautela e che gli istituti non si pongano in conflitto con diversi principi costituzionali, a partire dall'articolo 13 della Costituzione.
Possiamo dire che all'interno di questo decreto-legge non ci sono tali rischi evidenti, ma tuttavia essi vanno realisticamente tenuti presenti: quando si ragiona di prevenzione è facile varcare questo confine. Non a caso anche alcuni emendamenti che avevamo proposto al Senato e che abbiamo ripresentato in quest'Aula sottolineano ancora questo aspetto. Penso che dobbiamo avere a cuore questi elementi per noi stessi, ma anche per l'immagine che il nostro Paese ha dato in Europa.
Sottolineo che il 15 novembre 2007 è stata votata dal Parlamento europeo una risoluzione che ribadisce il valore della libertà di circolazione di tutti i cittadini europei (che fa parte dei principi fondativi dell'Unione europea), e stabilisce che le espulsioni non possono mai essere collettive richiamando, a tal fine, i diritti fondamentali e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
Inoltre, a giugno 2008, il Parlamento europeo effettuerà un esame volto a verificare il modo in cui i Parlamenti nazionali hanno tradotto concretamente tali norme, dal momento che tutti i Paesi hanno assunto un impegno di inclusione sociale nei confronti dei cittadini europei che intendono spostarsi, a partire dalla popolazione che ha più sofferto in quanto è stata perseguitata nella storia; vale a dire le comunità rom. Allora, dovremo fare i conti anche considerando la necessità di rispondere a questi richiami e alle verifiche che verranno svolte.
A tal proposito, aggiungo soltanto che nell'Aula del Parlamento europeo non sono mancate le critiche al vicepresidente della Commissione europea Frattini, che in quelle ore non solo ha tentato di piegare e di forzare il significato della direttiva europea in materia, ma addirittura ha preteso di sollecitare il nostro Governo e il nostro Parlamento a legiferare per espellere i cittadini comunitari sprovvisti di reddito. Più di un importante personaggio delle istituzioni europee ha sottolineato come quelle dichiarazioni rese alla stampa fossero assolutamente contrarie allo spirito e alla lettera della direttiva; ritengo, perciò, che dovremmo essere molto più rigorosi.
Mi soffermo ora sulla questione oggetto del dibattito che si sta svolgendo in Aula e sui giornali di oggi (che fanno riferimento ad eventuali richiami ad essa connessi), che riguarda la norma sbagliata contenuta nell'articolo 1-bis. Le ragioni che hanno determinato il Senato a introdurre tale modifica al testo originario sono ormai note. A proposito dei richiami e delle preoccupazioni espresse dal collega Boscetto, sottolineo che l'emendamento Pag. 40che abbiamo presentato unitariamente come sinistra, sia in Commissione sia in Aula, volto a correggere tale errore - ossia a modificare il richiamo all'articolo 13, non del Trattato di Amsterdam, ma del Trattato istitutivo della Comunità europea - fa riferimento esattamente alla stessa norma che egli ha letto questa mattina in Aula e che è stata proposta anche da altri colleghi de La Rosa nel Pugno. Quindi, da questo punto di vista non vi sono diversificazioni, poiché la norma proposta attraverso l'emendamento è la medesima.
Considerato che il dibattito odierno verte sulla possibilità di correggere tale norma o di eliminarla dal testo, molto francamente dico soltanto - successivamente sulla questione torneranno i colleghi Cogodi e Daniele Farina che hanno seguito direttamente l'esame in Commissione giustizia del provvedimento e della norma, nella formulazione con cui poi è stata votata (si tratta, sostanzialmente, dell'allargamento della cosiddetta legge Mancino ai reati di omofobia) - che sono d'accordo con il presidente della Commissione giustizia, il quale ha affermato che vanno salvaguardati i ruoli delle due Camere, perché non possiamo dipendere sempre da una Camera (il Senato) che si trova in difficoltà. Benissimo, noi siamo d'accordo presidente. Se il disegno di legge in esame può tornare al Senato, siamo favorevoli a che ciò avvenga perché in questo caso si potrebbero correggere l'articolo 1-bis, nonché anche altri aspetti del disegno di legge.
Abbiamo accettato lealmente di portare a termine l'esame di questo provvedimento perché, in una situazione difficile come quella del Senato, siamo riusciti comunque a trovare un compromesso (quello possibile in quel momento perché lo ripeto: noi non avremmo voluto tale decreto-legge, tuttavia esso è stato varato), che rendeva le norme del decreto-legge sostanzialmente compatibili con la Costituzione e con la direttiva europea. Per questa ragione, abbiamo accettato un provvedimento che non ci piace, che persino dal punto di vista tecnico-giuridico, potrebbe essere ulteriormente migliorato, ma nel quale, però, è presente anche un elemento di mediazione costituito dal famoso richiamo all'articolo 13 del Trattato istitutivo della Comunità europea. Se ci viene detto che il disegno di legge in esame può tornare al Senato, noi siamo felici; abbiamo presentato alcuni emendamenti (quelli più significativi) e, dunque, siamo nelle condizioni di migliorare ulteriormente il provvedimento. A quel punto, però, nessuno venga a sostenere che vi è un'estraneità di materia rispetto alla questione che abbiamo avanzato.
La questione proposta è un'emergenza - una delle tante - che riguarda non le discriminazioni, ma le violenze compiute non solo sulle donne, ma anche sugli omosessuali. Le cronache, ormai, sono piene anche di questi avvenimenti. Nelle scuole i ragazzi compiono atti di bullismo: nel nostro Paese, quindi, vi è un problema, posto da anni, che in questi ultimi mesi è diventato davvero un'emergenza. È evidente, infatti, che, quando vi è un degrado sul piano culturale, emergono tutte le problematiche culturali che in precedenza erano gestite diversamente.
Se, pertanto, il provvedimento in discussione nasce sull'onda dell'emotività per l'assassinio di una donna, voglio capire in cosa consista l'estraneità: essa riguardava il testo originario, perché l'elemento della discriminazione era estraneo alla normativa europea, che, invece, atteneva alla circolazione dei cittadini comunitari (ivi compresa la possibilità, in casi eccezionali, di procedere all'espulsione). Questo era il testo originario della direttiva europea che abbiamo recepito: si è partiti da lì per «piegarla» in un'altra direzione. Quindi, o vi era estraneità prima o essa non può esservi, se a tale emergenza ne è stata aggiunta un'altra, ugualmente riguardante i diritti fondamentali dei cittadini.
Abbiamo scelto, pertanto, un tema che da tempo viene proposto: in Commissione giustizia si è lavorato per tale ragione. Siamo disponibili, perciò, a qualsiasi soluzione: se ci viene detto che il testo del provvedimento rimarrà invariato, vogliamo proseguire nell'iter di esame del disegno di legge in discussione, per rivedere le questioni Pag. 41attinenti alla cosiddetta legge Mancino e a tutto ciò che ne consegue in merito ai reati di omofobia; altrimenti, se il testo si può cambiare, chiedo che esso sia migliorato, su questo e su molti altri aspetti.
Signor Presidente, ho concluso. Sottolineo che l'Europa è costituita da molte realtà. Il problema proposto nel nostro Paese - riguardante anche la libera circolazione o la possibilità, in determinati casi, di espellere i cittadini europei - trae le sue origini dal modo in cui è stata costruita l'Europa, dal suo allargamento e dal fatto che questa logica di mercato implica che ventimila imprese italiane, oggi, sono presenti in Romania (considerato che si parla in particolare di quel Paese): quei cittadini sono in Romania semplicemente perché i salari, per quanto bassissimi, si attestano attorno agli ottocento euro al mese, mentre in Romania attorno ai duecento e, quando i datori di lavoro sono generosi, raggiungono i trecento euro. Questa è la ragione che spinge molti cittadini a spostarsi. Non si capisce, pertanto, per quali ragioni le imprese italiane possano andare a produrre i propri profitti in Romania e i cittadini rumeni non possano venire nel nostro Paese per tentare di guadagnare un po' di più per far studiare i figli: chi vive nelle baracche, infatti, lo fa semplicemente perché, pur lavorando in nero e guadagnando cinquecento o seicento euro, può mandarne a casa trecento o quattrocento per far studiare i propri figli. Parliamo esattamente di questo.
Bisogna, pertanto, ricostruire la società che, nel complesso, vorremmo che si sviluppasse nel nostro Paese e in Europa: dobbiamo dirci qual è l'Europa che vogliamo costruire e modificare.
Anche in merito a vicende difficili e delicate come quella che ha generato il decreto-legge in esame, quindi, dovremmo riflettere affinché le istituzioni e la politica - anziché sollecitare le paure e assecondare la necessità di individuare i nemici e il moltiplicarsi di egoismi - possano invece offrire soluzioni, dichiarando anche il senso del limite di noi tutti e delle istituzioni: c'è bisogno, infatti, di più tempo, quello necessario per dare risposta a fenomeni epocali (che ci chiedono di interrogarci persino sulle grandi crisi e sugli sconvolgimenti di questi anni), che devono essere accompagnati da un grande investimento culturale. Ritengo che, nel nostro Paese e nella nostra società, vi siano anche gli anticorpi giusti: è, quindi, necessario preservare la nostra storia migliore e ricostruire un tessuto democratico e una coesione sociale e di civiltà di cui possiamo ben disporre (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Partito Democratico-L'Ulivo, Comunisti Italiani, Verdi e Misto-Socialisti per la Costituente).
PRESIDENTE. Informo i colleghi che procederemo agli interventi di altri due deputati, il deputato Grillini e il deputato Tassone, prima di sospendere la seduta fino alle 15.
È iscritto a parlare il deputato Grillini. Ne ha facoltà.
FRANCO GRILLINI. Signor Presidente, come molti colleghi hanno ricordato, questo provvedimento ha avuto origine sull'onda emotiva di un fatto di cronaca: il brutale assassinio di una donna, della signora Reggiani. Sulla base di questa vicenda si è svolto un dibattito politico; al riguardo vi è stato chi ha affermato che si era in presenza di un ritardo del Governo. Il sindaco di Roma, essendo avvenuta la vicenda nel territorio romano, nella doppia veste di sindaco e di capo del Partito Democratico ha sollecitato il Governo al varo di un provvedimento di urgenza. Personalmente sono tra coloro che non condividono le legislazioni emergenziali. In genere, quando le legislazioni emergenziali vengono realizzate o non colgono l'obiettivo o rischiano di seguire onde emotive, a seguito delle quali, per la famosa eterogenesi dei fini, si rischia di porre in essere dei provvedimenti che contengono tutt'altro. Tale rischio è stato corso anche da questo provvedimento che contiene, in relazione all'omofobia, il notissimo errore dell'articolo 1-bis. Al Senato non solo è Pag. 42stato commesso un errore, ma vi è stato anche il rischio che, a causa dello stesso e di questo inserimento, considerato da alcuni senatori della maggioranza improprio, non vi fosse numericamente la maggioranza per votare la fiducia al Governo. Qualcuno - come ricordava la collega Mascia - ha affermato che l'omofobia è una materia estranea al provvedimento. Sono d'accordo con la collega Mascia quando sostiene invece che è sbagliato parlare di estraneità di materia, perché la sicurezza non si può declinare soltanto in riferimento all'immigrazione. Esiste un problema sicurezza a tutto campo. Esiste, ad esempio, un problema di sicurezza in ambito familiare. Abbiamo sentito prima il solito «comizietto» dell'esponente di Alleanza Nazionale, onorevole Gasparri, che ci ripeteva il solito discorsetto. Uso il termine discorsetto, perché sembra di trovarsi di fronte ad un refrain, ad un disco rotto, allorché parla della famiglia naturale fondata sul matrimonio così come prevista nella Costituzione: l'unione solo tra un uomo e una donna.
LUCA VOLONTÈ. Lo dice la Costituzione!
FRANCO GRILLINI. Sono intervenuto più volte in quest'Aula, anche nella scorsa legislatura, per citare l'articolo 29 della Costituzione che viene sempre utilizzato come una «clava» contro chiunque proponga una riforma del diritto di famiglia volta a riconoscere tutti i nuclei familiari esistenti in questo Paese che rappresentano una trasformazione della società tipica della modernità in tutto il mondo occidentale. Non esiste più solo la famiglia tradizionale, ma tanti altri nuclei familiari e tante altre modalità relazionali che vanno riconosciute dalla legge. Non a caso in questo Parlamento nella Commissione giustizia della Camera e in quella del Senato si svolge da tempo una discussione. Il Comitato ristretto della Commissione giustizia del Senato ha infatti appena predisposto un testo base sui contratti di unione solidali che dovrebbe essere discusso e votato entro gennaio per poi essere esaminato dall'Assemblea del Senato entro febbraio.
Avremo modo in quella circostanza di vedere se, su un testo così moderato come quello sui contratti di unione solidale, che in parte ha superato la proposta del Governo sui Dico e, a mio parere, ancora insoddisfacente sotto il punto di vista della tutela del diritti, vi sarà una maggioranza, e se l'attuale maggioranza ottempererà all'impegno, assunto a suo tempo con l'elettorato e presente nel programma dell'Unione, di varare una legge che garantisca anche i diritti delle coppie di fatto, comprese quelle tra persone dello stesso sesso.
Ricordo ai colleghi per l'ennesima volta - l'ho già fatto tante volte ma repetita iuvant - che la Costituzione italiana non contiene la dicitura del rapporto uomo-donna per quanto riguarda la famiglia. Leggo l'articolo 29 della Costituzione: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare». Si parla dunque di coniugi, onorevole Gasparri, esattamente come nella legge spagnola voluta da Zapatero, che è la legge più radicale approvata nel mondo in materia di diritto di famiglia, che non prevede semplicemente il matrimonio tra gay ma stabilisce altresì l'uguaglianza di qualunque relazione di fronte alla legge; quindi, da questo punto di vista, non vi è più distinzione. È questa la legge spagnola: parla di coniugi, esattamente come la Costituzione italiana.
Non discuto se nel 1948 i costituenti si siano posti il problema delle coppie di fatto, ma pare che lo abbiano fatto. Alcune testimonianze, per esempio, riferiscono che addirittura Moro abbia sollevato il problema.
MARIO TASSONE. Quando?
FRANCO GRILLINI. Inoltre, dal dibattito presso l'Assemblea costituente - ho già avuto modo di citare questo fatto - Pag. 43emerge che addirittura un esponente democristiano del Centro italiano femminile parlò del problema del concubinato. Quindi, già da allora qualcuno sollevò questo problema; d'altra parte la stessa Costituzione, all'articolo 30, terzo comma, dispone che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, quindi già da allora risultava chiaro che potevano sussistere famiglie con figli nati fuori dal matrimonio. Tali questioni erano già evidenti fin da quel tempo e il tema famiglia costituiva un argomento rilevante nella discussione fin da tempi della Costituente.
La questione famiglia, come ricordato da numerosi interventi, implica in questo momento un problema di violenza: ogni tre giorni in ambito familiare una donna viene uccisa. La collega Mascia ricordava una ricerca, secondo la quale la famiglia tradizionale uccide più della mafia.
Ho affermato in un intervento che, quando ascolto soprattutto gli esponenti del centrodestra parlare in modo ossessivo di difesa della famiglia tradizionale, seguendo i dati statistici penso che occorrerebbe più correttamente parlare di difesa dalla famiglia, considerato il livello di violenza che esiste all'interno dei nuclei familiari e che dovrebbe interessare chiunque.
Tornando all'argomento oggetto dell'attuale discussione, siamo di fronte ad un provvedimento varato in base ad un'emergenza. Vorrei sollevare l'attenzione su un tema poco trattato, ovverosia sull'ondata antirumena, provocata - a mio parere - anche da un'informazione poco attenta, soprattutto per quanto riguarda l'emotività.
È per questo che, in qualità di membri del gruppo misto Socialisti per la Costituente, abbiamo deciso di proporre la costituzione di un'associazione parlamentare intitolata «Amici della Romania».
Infatti, le conseguenze di questa ondata antirumena si sono riscontrate subito non solo per quanto riguarda l'atteggiamento della grande stampa ma anche per ciò che è accaduto in Romania, in cui vi è stata un'ondata emotiva di uguale portata ed in senso contrario. Abbiamo letto addirittura che la Romania sconsiglia di recarsi in Italia in questa fase: siamo a tal punto!
Ovviamente sull'immigrazione è stato detto e scritto moltissimo, ma mi sembra assai doveroso combattere l'idea della sovrapposizione tra criminalità e immigrazione e non soltanto perché sappiamo tutti che, senza l'apporto dell'immigrazione nella nostra società e nella sua economia, l'Italia si fermerebbe e il nostro Paese non potrebbe funzionare.
Dovremmo, dunque, essere grati all'immigrazione per il benessere, per il lavoro, per il contributo al funzionamento della nostra società. Certamente è giusto combattere i fenomeni criminali e malavitosi, ma non possiamo dimenticare che anche l'Italia e molti italiani sono stati e sono tuttora immigrati. Non possiamo dimenticare che, ad esempio, negli anni Cinquanta in alcuni bar della Svizzera e della Germania era scritto «Vietato ai cani e agli italiani».
Penso che la memoria corta, da questo punto di vista, sia un dramma: lo studio del passato o la lettura di libri come L'orda di Gian Antonio Stella aiuterebbe moltissimo a capire come certi fenomeni si ripetano ciclicamente. Dunque, era possibile studiare forme diverse dal decreto in esame? La mia opinione è che certamente era possibile.
È possibile tuttora correggere questa situazione, gli errori e l'impasse in cui ci troviamo. È stato detto ormai da tutti i colleghi ed è scritto oggi sui giornali: il Presidente della Repubblica probabilmente non ha intenzione di firmare il decreto-legge in esame; il presidente del Senato vede con terrore il ritorno del decreto-legge al Senato e, quindi, bisognerebbe trovare un modo per uscire da tale impasse.
Il modo migliore sarebbe correggere il decreto-legge stesso, coerentemente con la volontà politica espressa in Senato con quel voto, perché non dimentichiamoci che in quella sede è stata espressa una volontà politica, quella di introdurre nel decreto-legge sulla sicurezza anche la lotta all'omofobia. Tale volontà politica è stata espressa con il voto di fiducia sia pure con Pag. 44un voto risicato, ma inequivocabile. Dunque, se volontà politica c'è stata, la soluzione più coerente sarebbe correggere l'errore alla Camera: riportiamo l'articolo 1-bis al suo significato originario. Si deve solo correggere un numero: sostituire al 13 l'articolo 2, punto 7, che era la citazione corretta dell'articolo che conteneva le norme antidiscriminatorie. Questa è una soluzione.
Perché non si può fare? Perché il Ministro Amato oggi ci propone di approvare il decreto-legge, così com'è? Perché vi è un problema politico all'interno di questa maggioranza difficile da sottacere. Il problema politico è che al Senato vi è una pattuglia di senatori teodem del Partito Democratico. Il problema politico infatti è tutto interno al Partito Democratico. La stabilità del Governo e della maggioranza vengono messe in discussione da un problema tutto interno al Partito Democratico.
Sarebbe bene che il Partito Democratico si riunisse e sciogliesse questo problema, se ne è in grado. La mia opinione è che non è in grado di risolverlo: lo si è visto da ciò che è accaduto ieri in consiglio comunale a Roma, dove non è stato possibile approvare la delibera del registro delle unioni civili.
Prima che vi fosse il Partito Democratico - non me ne vogliano i colleghi che appartengono ad esso, non intendo fare per forza una polemica, mi sto semplicemente riferendo a dati di fatto - i registri delle unioni civili si approvavano. Si sono approvati a Pisa, in molte città toscane, delle Marche, dell'Emilia, di molte amministrazioni, a volte anche con l'apporto di qualche esponente della Margherita laico o persino cattolico.
Da quando si è formato il Partito Democratico non è più stato possibile approvare i registri delle unioni civili a livello locale e, soprattutto non è stato possibile farlo ieri a Roma. Quel voto in consiglio comunale a Roma, a mio parere, è esemplificativo di quanto potrebbe avvenire a livello nazionale. Sono state bocciate, infatti, tutte le proposte presentate in consiglio. Il giorno prima, abbiamo potuto leggere sull'Avvenire Roma-sette un editoriale probabilmente ispirato dal vicario di Roma, il cardinale Camillo Ruini, che spiegava e consigliava ai consiglieri comunali di Roma come votare, cioè come non votare quegli ordini del giorno. Pertanto, siamo di fronte, addirittura, ad un'eterodirezione da parte della gerarchia vaticana, ormai, delle istituzioni elettive. Abbiamo avuto la stessa pressione da parte della gerarchia vaticana sul tema in discussione: essa non vuole l'approvazione di una norma contro l'omofobia.
Le norme contro l'omofobia esistono nella grande maggioranza dei Paesi europei. In seguito, se avrò il tempo, leggerò anche alcune parti del Matthew Shepard Act, approvato dal Congresso americano. Il Partito Democratico americano ha approvato, quindi, con una grande maggioranza e anche con l'apporto di un terzo dei repubblicani, una norma contro l'omofobia, su cui Bush ha posto, non a caso, il veto. In quel contesto, in cui i religiosi hanno un ruolo decisivo anche a livello elettorale per l'elezione del Presidente della Repubblica, vi è la possibilità di approvare norme di questo tipo. In Francia, la norma antiomofobia è stata voluta dal Governo conservatore de Villepine, con interventi e pene assai più pesanti di quelle previste dalla norma che avrebbe dovuto essere contenuta nel cosiddetto decreto sicurezza. In Spagna, è stata approvata addirittura nel 1995. In Inghilterra, Gordon Brown ha proposto di aggravare la legislazione antidiscriminatoria già esistente, elevando a sette anni di carcere le pene per coloro che commettono reati motivati dall'orientamento sessuale.
Pertanto, negli altri Paesi è data per scontata l'esistenza di una norma di questo tipo; in Italia la Chiesa cattolica non vuole, perché si sostiene che qualsiasi legittimazione della questione omosessuale come normalità, addirittura da proteggere attraverso una norma legislativa, introdurrebbe il piano inclinato attraverso cui si arriverebbe inevitabilmente al matrimonio e alle adozioni per i gay. Oggi, in un'intervista a radio Vaticana, Vannino Chiti ha affermato di essere contrario a ciò e, ovviamente, ognuno è libero di essere a favore o contrario a ciò che crede. Cari Pag. 45colleghi, se un Parlamento, anche quello italiano - al momento sembra fantascienza - approvasse il matrimonio e l'adozione per i gay sarebbe la libera espressione della volontà democratica della maggioranza dei parlamentari. Francamente, quindi, non vedo che senso abbia questa teoria del «piano inclinato». Pertanto, il punto - ed è di nuovo un problema interno alla maggioranza - consiste nel fatto che, in questa legislatura, il rischio concreto è che non solo non si possa approvare una norma antidiscriminatoria per quanto riguarda l'omofobia, ma che non si possa approvare nulla, assolutamente nulla che oltre Tevere non voglia. Nulla!
Infatti, non oso pensare alla Camera, ma al Senato esiste una sorta di pattuglia che impedisce ciò, con la forza dei numeri.
Se così è, francamente non so come se ne possa uscire. Di sicuro, per quanto riguarda questo provvedimento sulla sicurezza - qualora venisse approvato - vi è il rischio di un'abrogazione della legge Mancino e, quindi, della decadenza dei suoi effetti sui processi in corso e sulle condanne già in via definitiva, anche nel caso vi siano correzioni. Il relatore per la I Commissione, Zaccaria, propone di adottare un decreto-legge a correzione e, quindi, recuperare, da questo punto di vista, i danni. Tuttavia, non è sicuro che ciò sia efficace.
Pertanto, onestamente - sempre a nome del gruppo Misto-Socialisti per la Costituente - vi dirò che, dal nostro punto di vista, è molto meno dannoso che questo decreto-legge decada; oltretutto, onestamente, un decreto-legge che ha prodotto centottanta espulsioni, non ha prodotto un granché; è come dire «la montagna che ha prodotto il topolino». Il danno provocato dalla decadenza del decreto-legge sarebbe minore di quello provocato dall'abrogazione della legge Mancino. Sfido chiunque, onestamente, a dire che non è così.
Esiste una terza soluzione, quella - non so se vi accennava la collega Mascia - dell'applicazione del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, concernente il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Qualora il decreto-legge in esame decada, il Governo potrebbe utilizzare la delega già conferita per applicare questo provvedimento. Questa potrebbe essere una soluzione; finora non l'ha indicata nessuno e provo a suggerirla io.
Di sicuro non si può lasciar decadere la questione (al centro della discussione) sull'articolo 1-bis, ossia la questione della lotta all'omofobia. Ritorniamo, così, al tema «violenza e sicurezza» che si deve declinare non solo per quanto riguarda l'immigrazione, ma anche per quanto riguarda il diritto alla sicurezza dei cittadini in ambito familiare, extra-familiare, scolastico e via discorrendo.
Da questo punto di vista, vorrei contestare ciò che affermano alcuni colleghi del centrodestra quando sostengono che in Italia non esiste un'emergenza omofobia. Abbiamo già avuto modo di contestare, anche in Assemblea, questa teoria sbagliata e interessata. Vorrei ricordare alcuni casi eclatanti accaduti in questo Paese poiché, dato che qualcuno ha la memoria corta, è meglio rinfrescarla.
Tali casi ci dicono che, al contrario, è assolutamente urgente e necessario intervenire in questa materia e non con una legislazione speciale, ma con una legislazione in linea con le norme europee. Ricordo ai colleghi che è entrata in vigore, in modo vincolante per tutti, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, di Nizza, con la sottoscrizione solenne - avvenuta a Lisbona nella giornata (oggi è martedì) di venerdì scorso - del nuovo Trattato dell'Unione europea, a cui è associata la Carta dei diritti che, nel 2009, diventerà vincolante.
Nel 2009, pertanto, un cittadino - anche italiano - potrà ricorrere alla Corte europea di giustizia, utilizzando la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
In tale Carta, all'articolo 21 vi sono scritte le stesse cose dell'articolo 13 del Trattato istitutivo della Comunità europea e dell'articolo 2, punto 7, del Trattato di Amsterdam - che avrebbe dovuto essere citato correttamente nel provvedimento in Pag. 46discussione - e, quindi, tali norme, tale articolo che rappresenta un riferimento antidiscriminatorio, diventeranno comunque vincolanti anche per gli italiani.
La situazione bizzarra è che noi, oggi, stiamo discutendo del tema della lotta all'omofobia, che ha visto il Parlamento pronunciarsi, sia pure indirettamente attraverso l'approvazione della Costituzione europea, che è stata approvata solennemente sia dalla Camera sia dal Senato, anche dai gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Alleanza Nazionale e di Forza Italia. La Lega Nord Padania si è astenuta, proprio in quanto contraria alla Carta dei diritti, ma gli altri hanno votato a favore. Pertanto, da un lato si vota a favore, dall'altro si grida «al lupo al lupo» e «al piano inclinato».
Vorrei ricordare alcuni episodi: da maggio 2006 a maggio 2007, sette omosessuali sono stati uccisi e trenta atti di violenza, tra pestaggi e stupri, sono stati perpetrati a danno di gay e lesbiche; il 4 dicembre 2006, a Brescia, è stato picchiato duramente un uomo gay, da alcuni che gli si sono avvicinati all'improvviso mentre si trovava in una zona del ponte sul Mella, vicino ad un locale frequentato per lo più da uomini e donne omosessuali; il 6 marzo 2007, a Cagliari, un giovane gay ha tentato il suicidio, incitato dai compagni di scuola; il 9 maggio 2007, a Montebelluno, in una scuola media un ragazzo grida «sei gay» a un compagno di classe e gli rompe la testa; il 16 maggio 2007, il presidente del comitato provinciale dell'Arcigay di Milano, Paolo Ferigo, viene aggredito e malmenato in una pizzeria da un dipendente dell'ATM; il 19 maggio 2007, a Rovigo, un ragazzo ventunenne aggredito da undici ragazzi di estrema destra, è stato malmenato perché lo credevano gay, non possedendo i loro stessi modi.
È appena il caso di ricordare il ragazzo di Torino di 16 anni, suicida e - episodio su cui sono intervenuto in Assemblea per chiedere un intervento del Ministro della giustizia - il ragazzo di Monza, ucciso dal padre perché omosessuale. Si è appena svolto il funerale e il GIP lo ha liberato, dopo due giorni di arresto, ritenendolo non pericoloso!
È il caso di ricordare il ragazzino di Finale Ligure, cui è stata incisa una svastica con la scritta «sei gay», dopo essere stato denudato. Inoltre, è il caso di ricordare non soltanto qualche bullo o disgraziato, ma anche personaggi delle istituzioni quale, ad esempio, Pier Gianni Prosperini, assessore regionale lombardo di Alleanza Nazionale, che in un'intervista ad un quotidiano, usando parole come devianza e suggerendo di usare contro gli omosessuali vari strumenti, ha proposto la garrota, quella indiana, strumento ancora più crudele. E che dire di Giancarlo Gentilini.
GIANPAOLO DOZZO. Lascialo stare!
FRANCO GRILLINI. ...sindaco abusivo di Treviso, che addirittura ha proposto la pulizia etnica per gli omosessuali!
GIANPAOLO DOZZO. Lascialo stare!
FRANCO GRILLINI. Gentilini andrebbe rimosso!
GIANPAOLO DOZZO. Ma non dire cazzate!
FRANCO GRILLINI. Cari colleghi della Lega Nord Padania, provo una certa pena per quel Gobbo che fa il sindaco prestanome a Treviso.
GIANPAOLO DOZZO. Noi abbiamo pena di te!
FRANCO GRILLINI. ...per tenere in caldo la seggiola a questo personaggio che...
GIANPAOLO DOZZO. Ma vai avanti, vai!
FRANCO GRILLINI. Sì, vado avanti ma vedo che anche voi siete d'accordo con le frasi di Gentilini. Almeno Calderoli aveva affermato di non essere d'accordo. Invece, vedo che anche la Lega Nord Padania lo è. Pag. 47Se vogliamo avere un esempio di omofobia, lo troviamo direttamente nelle Aule parlamentari!
ROBERTO COTA. Sta provocando. Basta! Svolga il suo intervento e non rompa le scatole!
PRESIDENTE. Onorevole Grillini, deve rivolgersi alla Presidenza.
FRANCO GRILLINI. I provvedimenti antiomofobia sono stati approvati un po' in tutto il mondo.
Voglio citare quello approvato dal Parlamento americano perché mi pare particolarmente rilevante: il 20 marzo 2007 il Matthew Shepard Act è stato presentato al Congresso dai democratici. Il 3 maggio 2007...
PRESIDENTE. Onorevole Grillini, deve concludere.
FRANCO GRILLINI. È già finito il tempo?
PRESIDENTE. Sì, è finito il tempo.
FRANCO GRILLINI. Il tempo vola!
PRESIDENTE. Sono passati trenta minuti.
FRANCO GRILLINI. Quando si parla di argomenti interessanti, il tempo vola! Se mi concede trenta secondi illustrerò semplicemente i contenuti di questo provvedimento (che vorremmo veder introdotti anche in Italia) ricordando che la Commissione giustizia ha concluso l'esame degli emendamenti sul provvedimento contro l'omofobia che dovrebbe arrivare in Assemblea a gennaio.
In breve...
PRESIDENTE. Sono passati anche i trenta secondi, mi dispiace.
FRANCO GRILLINI. Signor Presidente, concludo e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento nelle quali sono inclusi i contenuti del Matthew Shepard Act (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti per la Costituente).
PRESIDENTE. Onorevole Grillini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente cercherò di fare qualche valutazione - mi auguro rapida - su questo disegno di legge di conversione del decreto-legge. Per dire la verità, signor Presidente, stiamo perdendo un'occasione importante, almeno in questa fase di discussione sulle linee generali.
Sembra che il provvedimento - che, così com'è stato ricordato, è stato determinato da una vicenda di sangue - abbia cambiato titolo ed anche motivazioni divenendo il decreto-legge sull'omofobia. Sembra che una certa parte abbia parlato soltanto di questo creando ovviamente qualche perplessità, ma soprattutto qualche rammarico, perché il provvedimento nasceva e nasce da un'esigenza di sicurezza che dobbiamo sempre tenere presente.
Ci sono poi una serie di valutazioni da considerare sul fatto se il provvedimento sia esaustivo, se riesca a raggiungere gli obiettivi ed i traguardi che si era prefissato, ma credo che questa debba essere l'occasione per un approfondimento e per dare un contributo evitando, ovviamente, una deviazione.
Capisco, però, che il riferimento all'articolo 1-bis e l'errore commesso da parte del Senato su un emendamento presentato dal gruppo di Rifondazione Comunista ha, di fatto, dato vita a qualche situazione procedurale e quindi di iter legislativo certamente non adeguato. Si tratta, quindi, di un tema che certamente, anche sul piano dell'iter legislativo, ha posto una serie di questioni, soprattutto per il riferimento anomalo ad un Trattato come quello di Amsterdam, con conseguenze devastanti.
È stato ricordato che l'approvazione di questo provvedimento così com'è causerebbe Pag. 48un colpo di spugna per almeno un centinaio di processi in corso riguardanti ultras razzisti e persone che hanno istigato all'odio razziale e religioso anche con gesti come la profanazione di tombe ebraiche e le percosse e le lesioni ai danni di cittadini extracomunitari.
Tale approvazione renderebbe irrilevante penalmente la condotta di chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale ed etnico ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ovvero istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, reazionari o religiosi.
Comporterebbe la violazione, ancora, degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e il deposito dello strumento di ratifica della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966 e in vigore dal 4 febbraio 1976.
C'è una proposta, signor Presidente, che viene dall'onorevole Mascia, che afferma che, se vi fosse il tempo, potremmo approvare un emendamento che recuperi quell'errore per inviare nuovamente il provvedimento al Senato. Ma non sta a noi dirlo! Il Governo, che in questo momento, per la verità, non è presente (per ragioni di tempo non chiedo neanche l'interruzione della seduta)...
LUCA VOLONTÈ. Vergogna!
MARIO TASSONE. Non lo so se si tratta di vergogna o meno, ma, ovviamente, caro Presidente e caro onorevole Volontè, sono talmente abituati a sentirsi gridare «vergogna» che non la sentono più. Dobbiamo trovare un'altra battuta. Comunque, signor Presidente, parlare io e lei con i colleghi su un decreto-legge mi sembra un po' troppo. Andiamo avanti lo stesso! Non c'è dubbio che il Governo dovrebbe rispondere. C'è il tempo, ma ci devono anche dire se sono in animo di porre la questione di fiducia, perché se è così...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole. È presente il sottosegretario Li Gotti, che sarebbe bene si accomodasse ai banchi del Governo.
LUCA VOLONTÈ. Almeno si sieda al banco del Governo! È mezz'ora che sta lì a parlare!
PRESIDENTE. Lo ha già chiesto la Presidenza, onorevole Volontè. Prego onorevole Tassone, vada avanti.
MARIO TASSONE. Al sottosegretario Li Gotti perdono tutto, è un mio corregionale, anche se, ovviamente, ognuno è un libero cittadino e Li Gotti lo merita. Non era un insulto, ma un commento amicale, per carità di Dio!
Bisogna che il Governo lo dica. Non so se il sottosegretario Li Gotti è in condizione di dirci se il Governo ha intenzione di porre la questione di fiducia sul provvedimento. Altrimenti, perché è stata avanzata questa proposta dall'onorevole Mascia. Perché? L'ha detto in una sede istituzionale, nell'Aula della Camera dei deputati.
Ma c'è un altro problema e mi vorrei rivolgere all'onorevole Grillini. Onorevole Grillini, quando lei fa tutto il decalogo sul riferimento alla chiesa cattolica e poi fa riferimento ad Aldo Moro (se lei mi porta i documenti, sarebbe più credibile e rispettoso anche nei confronti dell'Assemblea), le sfugge un dato importante: non so se c'è una maggioranza, quella che attualmente sostiene il Governo, che segue queste sue problematiche!
Perché se la prende con la chiesa cattolica e non rivolge qualche domanda anche all'onorevole Veltroni per i rapporti intercorsi, anche in questi giorni, con l'«oltretevere», anche per i problemi che riguardano il tema che le sta tanto a cuore, che la ossessiona da una vita e che riguarda, certamente, questa nostra società?
Esso, però, non può essere il dato prorompente che fa passare sotto silenzio un provvedimento che riguarda la sicurezza, l'immigrazione e anche gli strumentiPag. 49 per contrastare la piccola criminalità e, soprattutto, le presenze indesiderate all'interno del nostro Paese.
Non ci sarà mai da parte nostra, signor Presidente, una qualche attenzione rispetto al tentativo di inserire in questi provvedimenti elementi di un ideologismo, che certamente non accettiamo, che ha la tendenza a sovvertire i principi naturali, le credenze religiose: debbo confermare il rispetto e la tutela che si deve a ciascuno, senza ovviamente nessun tipo di discriminazione, ma senza nemmeno la discriminazione di altre situazioni che consideriamo meritevoli di protezione e di tutela.
Non c'è dubbio che esiste il tema della sicurezza e della criminalità diffusa sul nostro territorio; forse bisogna domandarsi in questo momento se il provvedimento in esame riesce a raggiungere, come mi chiedevo all'inizio, gli obiettivi che ci eravamo prefissati e che lo stesso si era prefissati.
Affermo con estrema chiarezza, e mi riporto anche a qualche intervento svolto prima di me, che non credo nella legislazione di emergenza. Questo Paese è molto strano: ci sono morti negli stadi, allora non deve entrare più nessuno negli stadi; ci sono poi i problemi legati alla tragica vicenda della signora Reggiani, allora, viene presentato questo provvedimento, che sovverte il meccanismo dei poteri, attribuendoli ai prefetti, ai questori, e del ruolo attribuito ai sindaci: bisognava perciò discutere se si tratta di uno strumento particolare di emergenza e se risponde all'organizzazione dello Stato, ma soprattutto alla distribuzione dei poteri all'interno delle istituzioni statali per fronteggiare questo fenomeno, molte volte dirompente, che ha creato e crea allarme e un disagio sociale enorme.
Ritengo che forse bisognava discutere molto di più, che un provvedimento di emergenza, svincolato da tutto il contesto della problematica della sicurezza, è un provvedimento sui generis, sulla cui applicabilità ho qualche dubbio, perché esso non chiarisce quali strumenti hanno i prefetti e i questori affinché gli interventi siano rapidi e tempestivi, e quali sono le risorse, anche se il decreto fa riferimento a quelle esistenti. Ritengo che questo chiarimento doveva esser dato, anche per i problemi che riguardano la giustizia, che interessano la II Commissione e che sono importanti e fondamentali.
Ma c'è un altro dato. Trattiamo in questo decreto - ecco perché la sua parzialità non mi esalta e mi preoccupa -, partendo dalla vicenda di un rumeno, di cittadini comunitari: perché? Gli immigrati che creano alterazione sociale non sono anche extracomunitari? I disperati che partono dall'est europeo o dalle coste del Mediterraneo verso le coste del sud del nostro Paese, della Calabria, della Sicilia, sono portatori di fenomeni che devono essere, a mio avviso, sempre più non soltanto monitorati, ma su cui occorre intervenire in modo efficace, con una legislazione più appropriata. Perché questo dato? Perché forse sarebbe stato più importante riconoscere che abbiamo sbagliato su Schengen (e possiamo cominciarne a parlare), che forse si è sbagliato su questo ampliamento dell'Unione europea a ventisette membri, che non ha determinato un'integrazione politica, ma non ha neppure garantito un'area giuridica europea, con tutti i problemi che si aprono.
Signor Presidente, è di questa mattina un'operazione della Polizia per quanto riguarda i presunti protagonisti della vicenda di Duisburg. C'è stato un collegamento, si è lavorato tra Polizia italiana e Polizia tedesca? L'interrogativo che ci poniamo in queste ore è questo: perché non c'è stata un'azione preventiva, quando sappiamo quali sono gli arricchimenti, quali sono gli affari che partono dalla Calabria e vanno in Germania, ma non soltanto in Germania?
Perché questo tipo di mobilitazione vi è semplicemente quando accadono fatti di sangue? Perché in quei casi si provvede subito e poi si dimentica tutto dopo qualche mese?
Noi diamo atto certamente alle nostre forze di Polizia dei risultati raggiunti: vi è stata una collaborazione fra Germania e Italia che ha funzionato; qualche giorno fa Pag. 50è stato sottoscritto un protocollo fra il capo della Polizia e il responsabile della polizia tedesca in tema di lotta alla criminalità organizzata. Ma non c'è dubbio che vi è oggi un problema che riguarda la sicurezza in termini complessivi: non un problema che riguarda specificamente gli europei o gli extraeuropei, ma, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, un problema che riguarda in generale il rapporto fra le immigrazioni e la criminalità organizzata (piccola o grande).
Forse, invece di parlare di omofobia e di fare un errore grossolano e propagandistico con l'ammissione del noto emendamento, si sarebbe dovuto fare uno sforzo e una riflessione in più sul tema della manovalanza della criminalità organizzata, cioè di quegli immigrati che molte volte non agiscono da soli.
Certo vi è anche il problema della mafia e della camorra: ma vi è stata anche una disattenzione generale da parte degli amministratori, poiché vi sono aree interdette del nostro Paese, dove le forze di polizia non possono entrare. Questi sono fatti che meriterebbero attenzione. Dovevamo aspettare la vicenda del rom di Roma e l'assassinio della povera signora Reggiani per sapere che vi sono «sacche» di questo tipo?
Forse sarebbe stato più opportuno che, nell'esaminare questo disegno di legge di conversione, si facesse una valutazione più complessiva. In nessun Paese del mondo, signor Presidente, si baratta la sicurezza dei cittadini; mai si è visto introdurre il reato di opinione sui gay e contemporaneamente abolire la legge contro il razzismo.
Se fossi sufficientemente cattivo, direi che per difenderci da questa ossessione dell'omofobia (una patologia che non esiste), abbiamo fatto una sorta di indulto per chi predica o istiga all'odio e alla violenza dell'uomo sull'uomo, per i razzisti, per chi commette e coltiva i reati più nefasti e soprattutto più eclatanti in questo nostro Paese.
Sono perplesso e al contempo preoccupato. Dicemmo subito che questo era un provvedimento fatto per l'opinione pubblica, per l'allarmismo che era diffuso nel nostro Paese e per la stampa, anche perché esso fu estrapolato dal «pacchetto sicurezza» ed elevato al rango di decreto-legge.
Tutto questo però, signor Presidente, ci impone una grande riflessione, tornando alle considerazioni iniziali. Vi è - si badi che questa non è una mia ossessione o fissazione - un problema di tenuta della maggioranza.
Non so se il riferimento o se l'errore eclatante sul Trattato di Amsterdam siano stati voluti da parte di settori del Governo, perché si tratta di un errore che gli uffici del Senato non avrebbero mai fatto, così come i nostri uffici non lo hanno mai fatto (vedo presente il dottor Guido Letta). Ho molta stima per i funzionari per capire che non vi può essere stato un errore così eclatante.
A coloro che hanno parlato - Grillini e Mascia, che ci ha tenuto una buona lezione sul bullismo e sulle violenze esistenti all'interno delle famiglie - voglio dire che è un clima di violenza quello che esiste all'interno del nostro Paese. Quando si superano i limiti, si rompono i paletti, non vi sono più i valori o il senso della famiglia, perché bisogna scandalizzarsi se esistono violenze all'interno della famiglia, quando la famiglia è una «poltiglia» ed è ridotta a un fatto marginale rispetto alle sfide di carattere sociale, civile e politico che vogliamo condurre? Perché questa ipocrisia?
La violenza non si combatte con l'ipocrisia, l'ordine pubblico non si assicura con l'ipocrisia, il contrasto alla criminalità e all'immigrazione clandestina, che coltiva la violenza e la criminalità, non si combattono con l'ipocrisia! Ciò che viene meno - e che sta venendo meno in questo dibattito - è il senso di un comune sentire, di una visione moderata della società e della storia, di una visione di dignità che bisogna assicurare al cittadino e all'uomo, di una visione moderata del fluire delle nostre vicende e degli avvenimenti anche sul piano sociale, in modo da ricondurli alla grande storia e ad una grande cultura, non alle piccole miserie e alle culture Pag. 51d'accatto di ogni giorno che tentano di difendere alcune situazioni e alcuni privilegi che non sono tali in termini assoluti, ma rimangono privilegi di una parte, che vuole essere «parte» per poter gridare, potersi lamentare e poter contare di più in questo nostro Paese!
Signor Presidente - concludo, evitando così lo scampanellio al termine della mezz'ora -, vi è da parte nostra, da parte del gruppo dell'UDC, una grande perplessità e una grande amarezza per il fatto che un episodio di sangue è stato strumentalizzato. Tra qualche giorno della signora Reggiani non si ricorderà più nessuno: vi sarà, forse, un decreto-legge che doveva essere il «decreto Reggiani», della signora Reggiani, ma è diventato invece il decreto-legge dell'omofobia e di Grillini. Ovviamente non possiamo accettare tutto ciò, perché significa scadere sul piano delle istituzioni e sul piano della politica generale del nostro Paese [Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Forza Italia)].
PRESIDENTE. Come preannunciato, sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con il prosieguo degli interventi per la discussione sulle linee generali.
La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15,05.