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Informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Medio Oriente.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Medio Oriente.
Dopo l'intervento del ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, interverranno i rappresentanti dei gruppi per 12 minuti ciascuno.
(Intervento del ministro degli affari esteri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema.
MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, colleghi deputati, permettetemi innanzitutto di ricostruire la dinamica della crisi del conflitto che sta infiammando il Medio Oriente, che ci riempie tutti di angoscia e che presenta aspetti di inquietante novità.
A differenza che in passato, non si tratta soltanto di una drammatica ripresa del conflitto tra Israele e i palestinesi o di una nuova escalation nel Libano del sud. La novità della crisi che sta colpendo al cuore la sicurezza di Israele e sta, insieme, provocando enormi costi umani e civili a Gaza e nel Libano è data dalla sua potenziale dimensione regionale, dal rischio, cioè, che inneschi una spirale di guerra tale da investire la regione mediorientale. Anche per questo, arrestare questa spirale subito appare decisivo all'Italia e alla Comunità internazionale.
Le origini della crisi vanno ricondotte al confronto nella regione tra le forze che, con realismo, intravedono nella pace e nella stabilità l'unica reale prospettiva per il futuro e le forze radicali ed estremistiche che credono invece nel conflitto. Sono Pag. 79forze che attraversano i confini degli Stati nazionali, che sono in parte appoggiate o finanziate dall'esterno e sono forze che ritengono di poter imporre con la violenza le loro regole nella regione. È un calcolo pericoloso, costoso in termini di vite umane e destinato ad essere perdente.
Non a caso, la crisi è stata innescata da forze radicali, l'ala oltranzista di Hamas con base a Damasco e guidata da Mechal, e dal gruppo fondamentalista Hezbollah, proprio nel momento in cui si stava aprendo un importante spiraglio per la ripresa del dialogo israelo-palestinese grazie alla mediazione del presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen.
L'attacco, il 25 giugno scorso, del kibbutz di Kerem Shalom, con l'uccisione di due soldati israeliani e il rapimento del caporale Shalit, è praticamente coinciso con il primo incontro, il 22 giugno, tra il primo ministro israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen, che aveva alimentato qualche positiva speranza di ripresa del dialogo israelo-palestinese. Parallelamente, lo stesso Abu Mazen stava negoziando con l'ala moderata del Governo di Hamas la piattaforma politica nota come «documento dei prigionieri», con l'intenzione di condurre al riconoscimento di Israele da parte di Hamas e alla ripresa del processo di pace.
Ma le forze estremiste, come ho detto, non hanno permesso che ciò avvenisse. È seguita la reazione israeliana. A partire dal 27 giugno, è iniziata un'ampia offensiva militare di Israele nella striscia di Gaza, al fine di impedire l'eventuale fuga dei rapitori in altri paesi, di fatto sigillando la striscia di Gaza e il valico di Rafah, dove opera la missione di monitoraggio dell'Unione europea comandata dal generale italiano Pietro Pistolese, che ha potuto riaprire il valico di Gaza, almeno temporaneamente, solo nella giornata di ieri, per motivi umanitari.
La risposta israeliana ha comportato il reingresso delle Forze armate nella striscia di Gaza, che era stata abbandonata nel quadro del piano di ritiro unilaterale di Sharon. Operazioni di rastrellamento hanno portato all'arresto di 9 membri del Governo palestinese, di 20 parlamentari, di decine di membri di Hamas, cui è stato contestato il reato di appartenenza a banda armata.
La reazione israeliana, legittima sulla base del diritto di autodifesa, come sancisce l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, è andata al di là di una ragionevole proporzione che il diritto internazionale richiede, soprattutto per quanto riguarda le tante vittime civili, l'attacco a infrastrutture essenziali, come la centrale elettrica di Gaza, con conseguenze molto gravi per tutta la popolazione e per il funzionamento di servizi fondamentali, come gli ospedali collocati nella striscia di Gaza.
È per questo che il Governo italiano e l'Unione europea, nel condannare fermamente l'azione terroristica dei gruppi radicali islamici, hanno anche invitato Israele a moderare la propria risposta, nell'interesse della sua stessa sicurezza. Rileggiamo la dichiarazione del 30 giugno dell'Unione europea: dura condanna della violenza dell'attività terroristica contro Israele da parte dei gruppi radicali islamici e nello stesso tempo invito ad Israele ad esercitare il massimo di autocontrollo - restraint - nella risposta.
La giornata del 12 luglio ha segnato un repentino salto di qualità nella crisi con l'apertura di un ulteriore fronte di conflitto, quello libanese. Il blitz di un commando di Hezbollah in territorio israeliano ha provocato l'uccisione di 8 soldati israeliani e il rapimento di due. La reazione israeliana è stata immediata con un'escalation militare diretta in primo luogo contro obiettivi Hezbollah, ma che ha colpito infrastrutture civili nel sud del Libano e poi, via via, in tutto il Libano, l'aeroporto di Beirut e i quartiere a maggioranza sciita della capitale, imponendo di fatto un blocco degli accessi aerei e navali alla capitale libanese.
La progressiva estensione delle operazioni militari indica che l'obiettivo perseguito da Israele, anche con il parziale utilizzo di truppe di terra, è quello della totale neutralizzazione della base militare di Hezbollah. L'equipaggiamento militare di questo gruppo, che dispone di un arsenale Pag. 80di migliaia di missili, lo ha dotato di una capacità di risposta che rappresenta una seria minaccia per Israele, soprattutto per l'alta Galilea e la stessa città di Haifa, dove gli attacchi di Hezbollah hanno già provocato numerosi morti e feriti.
Tuttavia, l'offensiva militare israeliana colpisce complessivamente il Libano. In questo momento il bilancio delle operazioni militari è già drammatico sia in termini di perdite di vite umane - 220 morti si conterebbero sin qui nel Libano, in grandissima parte tra la popolazione civile; oltre 850 feriti, oltre 100 vittime nei territori palestinesi -, sia per gli ingenti danni a infrastrutture, rete viarie, edifici, aeroporti, che giungono dopo una faticosa e costosa opera di ricostruzione, a cui aveva concorso l'intera comunità internazionale, con l'Italia in prima linea, riportando indietro le lancette dell'orologio ai disastri della guerra civile.
Anche il Governo libanese è posto in una seria difficoltà; e non dimentichiamo che il Libano è una fragile ma preziosa democrazia in quella regione del mondo.
Nel frattempo, la situazione umanitaria a Gaza è letteralmente disastrosa. Il rischio principale, oggi, è costituito da un allargamento del conflitto anche ad altri paesi della regione. È questo uno scenario che la comunità internazionale sta cercando in tutti i modi di prevenire e di evitare: i costi umani sarebbero altissimi, quelli politici ed economici inestimabili.
Colleghi deputati, questa è la rapida ricostruzione della dinamica della crisi, una ricostruzione che spiega sia i dilemmi di Israele, sia quelli dei suoi vicini. Israele ha letto nelle operazioni di commando di Hamas e Hezbollah una regia precisa volta a destabilizzare il quadro locale regionale e che si concretizza, ormai, come una vera e propria minaccia esistenziale per lo Stato ebraico. È evidente che Israele ha la forza militare per rispondere, ma è altrettanto evidente che il rischio politico di una disintegrazione del Libano certo non rafforzerebbe la sicurezza di Israele stesso. Va tenuto conto che Hezbollah non controlla solo il sud del paese: dopo il ritiro delle truppe siriane ed in chiara violazione della risoluzione n. 1559 delle Nazioni Unite, Hezbollah è anche una forza politica sciita libanese, rappresentata in Parlamento e nel Governo.
Il confronto militare nel sud del Libano rischia quindi, se l'escalation non si fermerà, di mettere a dura prova l'unità del paese. Nel frattempo, la Siria, che, come è noto, non ha mai firmato con Israele un trattato di pace, ha dimostrato di volere ancora esercitare un ruolo regionale, potendo, fra l'altro, contare sull'appoggio dell'Iran, il cui Presidente continua a negare il diritto all'esistenza di Israele o, peggio, a parlare della cancellazione di Israele dalle carte geografiche.
Questa è la situazione in tutta la sua gravità. Non si tratta più soltanto del ripetersi di crisi gravi e dolorose, ma che abbiamo già visto in passato: si tratta di una dimensione diversa che coinvolge radicalismo, terrorismo, equilibri di potere regionale. Vorrei dire che se la situazione oggi è così drammatica per Israele, per i palestinesi, per il Libano, per l'intera regione dipende anche dai fallimenti della politica di questi anni. Torna alla mente l'analisi semplicistica di chi considerava la guerra in Iraq come l'avvio di una nuova, straordinaria stagione, l'effetto domino che avrebbe prodotto democrazia e pace in tutta la regione: una visione ideologica, illusoria.
Ci eravamo opposti a quella guerra anche per questa ragione, perché eravamo convinti che la teoria secondo cui avremmo rifatto il Medio Oriente partendo da Baghdad si sarebbe dimostrata una tragica illusione. Per meglio dire, in effetti è stato rifatto il Medio Oriente, ma non con i risultati sperati.
In questo momento, il terrorismo ed il fondamentalismo sono più forti che nel passato e si alimentano di un odio anti-occidentale in tanta parte del mondo arabo ed islamico che certamente la guerra in Iraq ha alimentato. Il fondamentalismo religioso si è rafforzato, in particolare quello di marca sciita, anche perché paradossalmente il regime di Saddam Hussein era un contrappeso rispetto Pag. 81alla forza del fondamentalismo sciita. Insomma, la situazione di oggi è molto più esposta di prima e molto più rischiosa e questo rischio investe non solo Israele, ma tutta la regione, il mondo intero.
Credo anche sia doveroso da parte mia sottolineare come la crisi attuale metta in evidenza come una visione prevalentemente militare della sicurezza di Israele, quale quella che ha prevalso sin qui - omicidi mirati, rappresaglie, restrizioni che aggravano le condizioni di vita dei palestinesi - non solo produce non sostenibili costi umani, ma accresce il livello dell'odio e, quindi, dell'insicurezza. È mia convinzione che chi ha autenticamente a cuore la sicurezza ed il destino di Israele deve preoccuparsi di costruire una pace che è l'unica condizione perché la sicurezza sia autentica e duratura.
Il Governo italiano si è, sin dall'inizio, attivato attraverso i suoi contatti bilaterali con i principali attori della crisi. Abbiamo svolto la nostra azione in costante sintonia con i nostri principali partner. Ho personalmente contattato il Presidente Abu Mazen per invitarlo a fare pressioni su Hamas affinché venisse facilitato il rilascio del soldato israeliano rapito.
Parallelamente, ho espresso al ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni le preoccupazioni per un'escalation della crisi, invitando il suo Governo ad una reazione moderata.
Il Presidente del Consiglio Prodi ha avuto colloqui con il Primo ministro israeliano Olmert e il Primo ministro libanese Siniora. Congiuntamente, in momenti diversi, abbiamo esercitato pressioni verso il Governo siriano - Prodi, parlando più volte con Assad -, al fine di facilitare l'avvio di un dialogo che resta quanto mai problematico. Sia il Presidente Prodi che io abbiamo sollecitato direttamente gli Stati della regione - inclusi l'Iran e la Siria, le cui ipotesi di indiretto coinvolgimento sono per noi difficili da verificare - a svolgere un ruolo costruttivo, di convinzione, di pacificazione e, innanzitutto, per la restituzione dei militari israeliani rapiti allo Stato di Israele e alle loro famiglie.
Dirò tra poco del ruolo svolto dal nostro Governo nel G8. Lasciatemi prima sottolineare un aspetto importante per il nostro paese, anche se può apparire marginale nel corso della crisi. L'Italia è stato tra i primi paesi a procedere al rimpatrio dal Libano dei propri cittadini che intendevano lasciare il paese, con un'operazione delicata di cui credo si debba dare atto qui a chi l'ha compiuta, innanzitutto la struttura dell'unità di crisi della Farnesina, con la cooperazione della difesa, che ha portato a compimento, in modo brillante e in stretto coordinamento non solo con gli altri paesi europei ma anche con il Governo libanese e le autorità israeliane, il rimpatrio di diverse centinaia di cittadini italiani via terra, attraverso la Siria, e poi con un ponte aereo, e in parte via mare, con la collaborazione della Marina militare e del cacciatorpediniere Durand de la Penne dal porto di Beirut. Sono stati rimpatriati 450 connazionali e 340 cittadini di nazionalità non italiana. Calcoliamo che siano presenti in Libano ancora numerosi italiani, circa 700, la maggior parte dei quali al momento non ha chiesto di rientrare in Italia. Si tratta, infatti, di cittadini radicati da tempo in Libano, che si presume chiederanno di rimanere, almeno in parte, fino all'ultimo nel paese. Siamo preoccupati per un gruppo ristretto di connazionali che si trovano nel Libano del sud, l'area più critica dal punto di vista della sicurezza. È allo studio un piano di cooperazione con i partner dell'Unione europea per prestare loro assistenza e condurli in una zona sicura.
Tornando all'azione politica-diplomatica, il Governo italiano ha concorso attivamente, attraverso il Presidente Prodi che ha preso parte ai lavori del vertice del G8 di San Pietroburgo, alla formulazione della dichiarazione sul Medio Oriente, che indica una possibile via d'uscita, ardua ma probabilmente l'unica possibile, dall'attuale crisi. Ne ricordo gli aspetti qualificanti.
Primo: la creazione delle condizioni per un cessate il fuoco. Le condizioni individuate sono, com'è noto, la liberazione dei soldati rapiti, la cessazione dei lanci di Pag. 82missili sul territorio israeliano, la fine delle operazioni militari israeliane, il ritiro da Gaza e la rimessa in libertà dei ministri e dei parlamentari palestinesi detenuti.
Secondo: la presa d'atto che una vera pacificazione in Libano passa attraverso la piena attuazione della risoluzione n. 1559 delle Nazioni Unite, che prevede il disarmo delle milizie presenti sul territorio albanese e il pieno controllo sul sud di quel paese e su tutto il territorio nazionale da parte dell'esercito regolare libanese.
È in questo contesto che la dichiarazione del G8 fa espresso riferimento alla possibilità di una missione di monitoraggio e sicurezza internazionale su mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Come è noto, una missione di monitoraggio esiste già nel paese, con la presenza di 2 mila caschi blu. Essa, tuttavia, si è rivelata assolutamente insufficiente. La forza di cui si sta discutendo sarebbe una forza internazionale di sicurezza assai più consistente dell'attuale numero di caschi blu, con mandato delle Nazioni Unite volto a garantire l'applicazione della risoluzione n. 1559. Si tratta di una forza che sarebbe spiegata solo dopo un cessate il fuoco, che dovrebbe garantirne l'applicazione nel tempo. A questa forza delle Nazioni Unite, proposta da Kofi Annan al vertice del G8, il Governo italiano si è detto disposto a contribuire ed io confermo questo intendimento del Governo in questa sede.
Personalmente, pur sapendo che oggi tale questione non è all'ordine del giorno, mancando, sino ad ora, la disponibilità delle parti, in particolare della parte israeliana, ritengo che sarebbe giusto studiare anche l'ipotesi di una presenza di monitoraggio dell'ONU nella striscia di Gaza, allo scopo, al tempo stesso, di fermare la spirale della violenza e di garantire - ed anche di contribuire a garantire - la sicurezza di Israele.
Sono di queste ore alcune dichiarazioni, in particolare una dichiarazione del ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, e, poi, una dichiarazione del ministro dell'ambiente di Tel Aviv, che fanno registrare una possibile disponibilità da parte del Governo israeliano ad accettare un dispiegamento consistente di forze ONU nel sud del Libano, allo scopo di garantire la sicurezza di Israele contro attacchi di tipo missilistico e di garantire un possibile futuro cessate il fuoco. Si tratta di segnali positivi che credo debbano essere sottolineati.
È in corso, in questi giorni, una missione ricognitiva dell'ONU, guidata dall'inviato speciale del Segretario generale Roed Larsen. Il Consiglio di sicurezza esamina giornalmente l'evoluzione della crisi. Le diplomazie di paesi arabi moderati - oltre ad Egitto, Giordania ed Arabia Saudita - sono al lavoro. È in preparazione una riunione del «quartetto». Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Condoleeza Rice, ha annunziato come imminente una sua missione nei paesi dell'area.
Ma è anche per l'Europa e per l'efficacia della sanzione esterna che questa crisi costituisce un delicatissimo banco di prova. Xavier Solana si è recato a Beirut nel fine settimana, dove ha espresso la solidarietà europea al premier, Fuad Siniora. L'Alto rappresentante ha riferito ieri di questa missione ai ministri degli esteri dell'Unione europea, riuniti a Bruxelles per il Consiglio affari generali. Nelle sue conclusioni, il Consiglio ha ribadito la preoccupazione per la situazione, in particolare per l'aggravamento della situazione umanitaria, deplorando il numero di morti civili. Il Consiglio ha chiesto nuovamente il rilascio dei soldati rapiti e l'immediata cessazione delle ostilità. Le conclusioni ribadiscono che l'Unione europea riconosce il diritto legittimo di Israele all'autodifesa, ma esortano ancora Israele a non ricorrere ad azioni sproporzionate. Le conclusioni riaffermano l'urgenza che la comunità internazionale si impegni attivamente in direzione di un negoziato politico, l'unica strada che può garantire alla regione una pace duratura.
Come vedete, la linea del Governo italiano è perfettamente coerente con l'impostazione dell'Unione europea. La linea del Governo italiano punta oggi a rendere possibile una forte iniziativa a sostegno degli obiettivi fissati dal G8. La nostra convinzione è che l'Europa possa - e Pag. 83debba - disegnare un suo ruolo in Medio Oriente, proprio cominciando ad assumersi impegni concreti per l'attuazione delle linee concordate a San Pietroburgo (Commenti del deputato Elio Vito).
Se l'Unione europea vuole davvero essere in grado di esercitare un'influenza in Medio Oriente, un'influenza moderatrice su Israele e dissuasiva verso il terrorismo islamico, essa deve rassicurare gli israeliani che la comunità internazionale - e, in primo luogo l'Europa - intende fare qualcosa di concreto per l'attuazione della risoluzione ONU n. 1559, per fermare i gruppi terroristici Hezbollah. In questi termini, del resto, il presidente Prodi si è espresso ieri sera, sia con il premier israeliano Olmert, sia con il premier libanese. L'Unione europea dovrebbe anche dichiarare sin da subito la propria volontà di assumere un ruolo di primo piano per la realizzazione dei passi successivi previsti dal G8, inclusa la Conferenza donatori per il Libano, iniziativa in cui l'Italia intende impegnarsi attivamente.
Infine, l'Europa dovrebbe preparare una posizione autenticamente comune in vista delle prossime decisioni del Consiglio di sicurezza. Abbiamo già visto quanto le divisioni europee abbiano, in passato, pregiudicano la nostra possibilità di influenza in Medio Oriente. È una lezione negativa, da non ripetere.
In conclusione, una crisi drammatica come quella che abbiamo sotto gli occhi, richiede risposte tempestive e coraggiose. L'Italia ha cercato di fare il possibile per muoversi in tal senso, come dimostrano i passi compiuti, non solo i passi politici, ma anche l'impegno umanitario diretto del nostro paese a Gaza e lo sforzo per favorire una convergenza degli europei e del G8, fino ai tentativi di richiamare gli attori regionali ad atteggiamenti responsabili, fino alla nostra disponibilità immediata a sostenere gli oneri, anche militari, oltre che politici ed economici, previsti dalla dichiarazione del G8.
Ma il nostro impegno non basterà certo se rimarrà sul piano bilaterale, se non diventerà un impegno corale dell'Europa e se l'Europa non riuscirà ad avere un'influenza in accordo con gli Stati Uniti, la Russia ed i paesi arabi interessati alla pace.
Date le polemiche interne nate sulle linee dell'impegno italiano, concluderò ricordando i principi che orientano la nostra azione. Sono tre e molto chiari.
Innanzitutto, la difesa della sicurezza di Israele e insieme, sullo stesso piano, l'affermazione del diritto del popolo palestinese ad uno Stato indipendente e democratico.
In secondo luogo, la convinzione secondo cui tale soluzione non può essere raggiunta con scelte unilaterali ma solo con un negoziato tra le parti, appoggiato attivamente dalla comunità internazionale. Proprio perché teniamo a che la pace tra Israele ed i suoi vicini sia duratura e non precaria o illusoria, siamo fermamente convinti che solo il negoziato sia la via seriamente percorribile. L'esperienza tragica di queste settimane dimostra che le iniziative unilaterali non bastano e non garantiscono la sicurezza.
In terzo luogo, l'esigenza di costruire progressivamente, a partire dalla pacificazione del Libano, un nuovo assetto della sicurezza regionale, che permetta di fare avanzare i diritti democratici dei popoli, di combattere efficacemente il terrorismo e di opporsi alla proliferazione nucleare.
A tali principi e orientamenti se ne aggiunge un altro che tendiamo regolarmente a sottovalutare: l'assetto futuro del Medio Oriente è una variabile decisiva della nostra stessa sicurezza, della sicurezza europea. Se vi è un'area dove l'Europa deve riuscire ad impegnarsi in modo più unitario e concreto di quanto sia avvenuto fino ad oggi, questa è il Medio Oriente. Paradossalmente, una crisi come quella che abbiamo sotto gli occhi non sottolinea solo la passata debolezza dell'Europa: può anche essere l'occasione di una ripresa e di una iniziativa. Questo è l'impegno verso il quale si orienta il Governo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole ministro.
(Interventi)
PRESIDENTE. Secondo la prassi, gli interventi nell'ambito delle informative urgenti sono previsti in ordine decrescente in base alla consistenza dei gruppi. Tuttavia, essendo intercorse intese tra i gruppi stessi per scambi di turno, la Presidenza non ha alcuna difficoltà ad aderirvi.
Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Fini.
Prima di dargli la parola, ricordo che seguiranno gli interventi dei deputati Mattarella e Cicchitto.
Prego, deputato Fini, ha facoltà di parlare.
GIANFRANCO FINI. La ringrazio, signor Presidente.
Onorevole ministro degli affari esteri, desidero anzitutto darle atto, ringraziandola, della solerzia e della tempestività con le quali ha inteso riferire a questa Assemblea sulla situazione attualmente in atto nel Medio Oriente e sulle linee guida che il nostro Governo intende perseguire.
La ringrazio non solo per la tempestività e la solerzia, ma anche per l'ampiezza della relazione che - dichiaro subito - è per molte parti condivisibile, anche perché vi è una sostanziale continuità con quanto operato, in altri momenti, in quell'area, dal precedente Governo.
Non so se tale affermazione renda lieta tutta la sua maggioranza, ma si tratta di un aspetto che, come ha dichiarato il Presidente Prodi, attiene alle questioni di politica interna, e non è su tali elementi che intendo soffermarmi.
Vi è certamente, nella relazione, una lodevole volontà espressa in modo ripetuto, la volontà di operare perché cessi il conflitto e perché - uso le sue parole - si arresti la spirale di violenza e di ritorsioni. È un dovere che credo venga avvertito da tutti, al di là delle distinzioni e delle divisioni politiche, che pur ci sono. Non intendo nascondermi dietro un dito al riguardo e spero, nei minuti che ho a disposizione, di spiegare in cosa sussistano oggettive, diverse valutazioni in ordine a quanto sta accadendo e alle responsabilità pregresse.
Ritengo altresì doveroso esprimere il cordoglio della mia parte politica per tutte le vittime civili e innocenti. Credo che sia l'unica «equivicinanza» doverosa: è possibile essere contemporaneamente vicini alle popolazioni civili, siano esse colpite ad Haifa o a Beirut. Infine, anche da parte mia, avendo avuto modo di registrarne la capacità, va il ringraziamento all'unità di crisi per il modo con cui, ancora una volta, di fronte ad una emergenza nazionale, ha contribuito ad alleviare i disagi dei nostri connazionali.
Lei si è chiesto, signor ministro degli esteri, il perché di questa escalation di tipo terroristico-militare che è sotto gli occhi di tutti. Credo che la prima risposta che debba essere fornita è relativa alla strategia dell'integralismo e a quella di tipo politico del fondamentalismo musulmano. Quest'ultimo è all'opera, e non soltanto dall'11 settembre 2001, in diverse aree del pianeta e credo di non andare molto lontano dal vero dicendo che individua nel conflitto israelo-palestinese quella che può essere considerata - per usare un'espressione che fu usata da Saddam - la madre di tutte le guerre. In altri termini, il fondamentalismo musulmano ha ben chiaro che, se riesce a chiudere quella finestra di opportunità che fu aperta non più tardi di qualche mese fa, per decisione unilaterale del premier Sharon, di ritirare le truppe da Gaza - se riesce a farlo - può raggiungere l'obiettivo strategico del fondamentalismo islamico, che è quello di incendiare il mondo intero e di alimentare lo scontro tra civiltà.
In altri termini, credo che si possa dire che l'escalation derivi da una precisa strategia politica del fondamentalismo e che in essa il popolo palestinese è la prima vittima di un'autentica follia. Infatti, non soltanto il popolo palestinese vede allontanarsi il sacrosanto diritto ad avere una patria e uno Stato, ma soprattutto perché anch'esso vive in queste ore momenti Pag. 85drammatici. Coloro che soffiano sul fuoco e dimostrano di volere lo scontro di civiltà, sanno perfettamente che, per alimentare il fanatismo delle masse arabe, è indispensabile dimostrare che la pace non si raggiunge attraverso il dialogo e che, per garantire ai palestinesi il diritto ad uno Stato, non servono uomini come Sharon, da un lato, e Abu Mazen, dall'altro, bensì altri attori ed altri protagonisti.
Questa strategia integralista e dello scontro - lo ripeto - determina danni in particolar modo per il popolo palestinese, e non soltanto per il popolo israeliano, che giustamente - come dirò - rivendica il diritto alla sicurezza. Questa strategia è, come anche in molti altri casi, agevolata ma non - lo dico subito - a causa dell'azione del Governo israeliano. Credo che non si possa dimenticare che il Governo uscito dalle elezioni israeliane non può essere giudicato come un Governo di falchi o di estremisti. Il movimento Kadima è certamente un movimento politico che, sulla scia della decisione coraggiosa di Sharon, lavora convintamente per la pace.
Mi permetto di essere in disaccordo con lei, signor ministro, quando dice che Israele intende la sicurezza solo come risposta militare; non è così: basti pensare a quanto è accaduto nella politica israeliana dopo la decisione di Sharon e la nascita di Kadima. La strategia dell'integralismo è agevolata dall'azione concomitante di Hamas e di Hezbollah, ma anche dalla loro rappresentatività.
Credo che sia arrivato il momento, soprattutto se per ragioni diverse ci si interessa seriamente della questione mediorientale, di dire cose anche apparentemente scomode ma - ahimè - corrispondenti al vero. Hamas ed Hezbollah non sono soltanto delle organizzazioni terroristiche, anche se, certamente, nelle loro ali militari vi sono delle organizzazioni dedite ad episodi, anche pianificati, di terrorismo, ma sono - mi duole dirlo - delle organizzazioni rappresentative di parti consistenti di quella che è l'opinione pubblica sia tra i palestinesi, sia in alcune aree del Libano.
Che queste organizzazioni godano di solidarietà, di aiuti non solo internazionali e di simpatie è confermato da tanti episodi. Almeno a me, questa circostanza è ben chiara da quando, nel corso di uno dei colloqui istituzionali con Abu Mazen, un esponente politico moderato palestinese, Nabil Shaath, mi disse, con grande lucidità, che noi occidentali avremmo dovuto riflettere sul fatto che le comunità arabe aiutano, anche economicamente, non coloro che lavorano per la pace, ma anche e soprattutto coloro che preparano la guerra. Hamas ed Hezbollah sono organizzazioni politiche rappresentative, profondamente diverse tra loro. La prima è a prevalente ispirazione sunnita, la seconda a prevalente ispirazione sciita. Tuttavia, si tratta di due organizzazioni che, nella loro diversità, sono accomunate almeno da due elementi. In primo luogo, esse dimostrano una certa ingenuità della comunità occidentale. Lo affermo nel modo più diretto che mi è possibile: vogliamo riflettere, onorevoli colleghi, sul fatto che la democrazia non necessariamente coincide e si riassume nelle elezioni? Vogliamo prendere atto del fatto che le elezioni sono soltanto il modo con cui si verifica il consenso e non sempre quel consenso è basato su valori? Credo di capire l'ironia ed il sorriso di alcuni esponenti della sinistra che, magari, in cuor loro pensano: lo hai detto quando eri ministro degli affari esteri, a Washington? Se ho intuito il sorriso, non soltanto l'ho detto, ma è agli atti. Soprattutto, per ragionare su questi temi occorre, accanto alle analisi, avere la coerenza di assumere impegni. Fin quando ci limiteremo alle analisi, senza assumere impegni, sarà difficile spiegare agli statunitensi la particolare sensibilità di noi europei. Anche per questo, onorevole D'Alema, la discontinuità che reclamate rispetto al precedente Governo, a ben vedere, non lavora per la pace.
Il secondo aspetto che unisce, a mio modo di vedere, Hamas ed Hezbollah è costituito dal fatto che, accanto ad una certa ingenuità di valutazione di una parte dell'Occidente, le due organizzazioni dimostrano l'impotenza dell'Occidente. Lei Pag. 86ha citato - lo hanno fatto tutti - la disattesa risoluzione n. 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Fin quando la comunità internazionale, con le risoluzione dell'ONU, stabilirà principi che, poi, rimangono solo sulla carta, non si potrà pensare che coloro i quali alimentano la violenza ed il terrorismo e, in alcuni casi, sono dediti ad azioni di terrorismo, dicano che la comunità internazionale è credibile.
Tutti sappiamo che più volte è stato chiesto ad Hamas, che ha vinto le elezioni, di riconoscere Israele e sappiamo perfettamente che questo appello della comunità internazionale è destinato a cadere nel vuoto. Allora, se la citata risoluzione n. 1559 è disattesa, vogliamo chiederci in che cosa consista la sovranità del Libano? Il premier Siniora controlla davvero il territorio dello Stato libanese? Infatti, se non lo controlla, allora non è uno Stato sovrano; se, al contrario, lo controlla, è in quello Stato sovrano, nella sua fascia meridionale, che sono ospitate le sedi di Hezbollah ed è da quella fascia di territorio che partono i razzi katiuscia che colpiscono quotidianamente la parte nord della Galilea. In entrambi i casi, non soltanto non si può negare ad Israele il diritto di ricorrere all'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e il diritto all'autodifesa, ma credo sia abbastanza fuori luogo misurare, con una sorta di metro politico, se quella reazione sia o meno commisurata all'offesa.
Accanto a questo aspetto, la solidarietà di cui godono Hamas ed Hezbollah è di tipo internazionale. Il ruolo di Teheran in questa vicenda è centrale. Mi meraviglia, signor ministro, che in una relazione comunque ampia non abbia dedicato - contrariamente ad altri - una sola considerazione riguardo al ruolo che il regime iraniano svolge in questa circostanza. La chiave di volta della crisi in Medio Oriente è certamente a Teheran. Non voglio ironizzare in alcun modo sulla autodefinizione del nostro Presidente del Consiglio di «facilitatore» nei rapporti tra Teheran e la comunità internazionale. Mi limito ad affermare che, se non si riesce a facilitare il rapporto tra Capezzone e Diliberto, è difficile facilitare il rapporto tra Teheran ed il resto della comunità internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Padania).
Tornando alle cose serie, è certamente vero che Teheran, lo ripeto, è la chiave di volta della crisi. Ed è certamente vero che, per agire a Teheran, occorre essere consapevoli che l'Italia è il primo partner economico, ma occorre utilizzare l'influenza che abbiamo a Teheran per rendere la comunità internazionale ancor più incisiva per chiedere da parte delle autorità di quel paese che vi sia assoluta chiarezza, trasparenza e collaborazione sul progetto nucleare e non, come mi è sembrato in qualche occasione - sarà un processo alle intenzioni -, utilizzare il nostro ruolo di partner economico privilegiato per attenuare la pressione della comunità internazionale.
Infatti, l'Iran - per la prima volta, dopo molti anni - non dispone di quella dicotomia tra potere teocratico e potere istituzionale che spesso ha rappresentato l'alibi dell'Europa nei confronti di quel paese. Oggi, Rafsanjani non c'è più, Khamenei è di fatto superato da una doppia leadership democratica ed istituzionale, vale a dire quella di Amadinejad che, quotidianamente, auspica un nuovo olocausto.
Non vi è dubbio che la comunità internazionale debba essere unita, non vi è dubbio che l'Unione europea debba far sentire la propria voce. Mi permetto, signor ministro - senza offesa -, di derubricare le ultime sue considerazioni al novero degli atti dovuti, a declamazioni di intenti. Tuttavia, mi auguro che l'Unione europea, nel momento in cui...
PRESIDENTE. Onorevole Fini, dovrebbe concludere.
GIANFRANCO FINI. Chiedo al collega di Forza Italia di poter utilizzare due minuti del suo tempo, avendo avuto l'onore di rappresentare il Governo di centrodestra. Se il collega Vito me lo consente...
Pag. 87MARCO BOATO. Tanto non è possibile!
GIANFRANCO FINI. Dicevo, se l'Unione europea vuole davvero...
PRESIDENTE. Non ho capito se il presidente Vito acconsente; vorrei essere garantito. La prego di aiutarmi nel mio compito.
GIANFRANCO FINI. Io aiuto il suo, lei cerchi di aiutare il mio. Era di tutta evidenza che, se ho fatto questa richiesta all'onorevole Vito, eravamo già d'accordo. Ma non è l'interruzione che mi impedisce di concludere il mio ragionamento.
Affermando che l'Unione europea deve contare di più, ci dobbiamo chiedere per quale motivo per anni l'Unione europea ha contato poco o nulla. Ci dobbiamo chiedere perché Washington è l'unico attore capace di intervenire nella sede mediorientale con reciproca credibilità. La mia risposta è molto semplice: l'Unione europea in tante circostanze è stata squilibrata.
Mi rendo conto della necessità che avete, per ragioni politiche, di cogliere gli elementi di discontinuità con il nostro Governo. Ma, onorevole D'Alema, attenzione a non mettere in evidenza discontinuità per certi aspetti negative per il raggiungimento della pace, che è l'obiettivo di tutti.
Se l'Unione europea, negli ultimi tempi, quando governava il centrodestra, ha avuto un ruolo un po' più attivo nella questione mediorientale, come dimostra il fatto che l'unica presenza dell'Unione europea in quell'area è guidata da un generale italiano, è perché il nostro Governo riuscì, fermo restando il rapporto privilegiato con il popolo palestinese...
PRESIDENTE. Deputato Fini, dovrebbe concludere, per cortesia! Le regole valgono quasi per tutti!
CARLA CASTELLANI. Casini faceva parlare ore ed ore!
GIANFRANCO FINI. Va bene, concludo sottolineando che il dovere della discontinuità non vi può essere quando allontana la pace.
L'Unione europea ha inciso perché l'Italia, amica tradizionale del popolo palestinese, aveva acquistato credibilità agli occhi del popolo e del Governo israeliano. Attenzione ad affermazioni incaute, attenzione ad espressioni provocatorie! L'onorevole D'Alema aveva il dovere di dire che il Governo non condivide la richiesta giunta da qualche parte della sua maggioranza di ritirare il nostro ambasciatore in Israele: attenzione a non perdere la credibilità che avevamo acquisito, perché così facendo non si lavora per la pace e tutte le sue considerazioni rimarranno sulla Carta [Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania]!
PRESIDENTE. Onorevole Fini, provo ugualmente a ringraziarla, malgrado la fatica che introduce nel compito di presiedere l'Assemblea.
Capisco che si tratta di una discussione molto importante e che ogni intervento normativo che preclude a un deputato di continuare a sviluppare il suo ragionamento è sgradevole ed antipatico. Tuttavia, mi corre l'obbligo di far notare che il deputato Fini ha parlato 3 minuti (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)...
Cari signori deputati, se voi pensate che le norme valgano soltanto per qualche gruppo, e non per gli altri, vi sbagliate, vi sbagliate assolutamente (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)! Allora, siccome questo ruolo lo svolgo (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)... Io pensavo semplicemente di introdurre...
IGNAZIO LA RUSSA. Pensavamo che fosse come Casini: tutto qui!
PRESIDENTE. Io pensavo di poter invitare, in questo dibattito, a concentrarsi Pag. 88sulla questione all'ordine del giorno. Come avete visto, e vi prego di avere pazienza, non ho avuto assolutamente un atteggiamento fiscale, assolutamente (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)! Se voi non interrompeste ed accettaste di applicare le regole (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)... Allora io, come Presidente, d'ora in poi, farò soltanto notare le trasgressioni in questo dibattito. Tuttavia, ritengo che tutto il tempo preso in più è tempo sottratto a qualche altro (Commenti): sarà una consuetudine egualitaria, ma di essa vorrei avvalermi!
Ha chiesto di parlare il deputato Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, signor ministro degli esteri, ieri, dalla Santa Sede, il cardinale Martino definiva la grave crisi che si è aperta in Medio Oriente come una situazione complessa e di difficile decifrazione. In linea analoga, l'altro ieri, sul The New York Times, Thomas Friedman scriveva che, «osservando quanto sta accadendo in questi giorni in Medio Oriente, sembra di assistere ad uno spettacolo già visto. In realtà, c'è qualcosa di diverso rispetto al passato, e faremmo bene a rendercene conto. In Iraq, nei territori palestinesi ed in Libano, i partiti islamisti stanno infatti tentando di usare le elezioni per raggiungere l'obiettivo di lungo termine, vale a dire radicalizzare il mondo arabo musulmano». Hanno in comune, le due note citate, l'allarme per una nuova condizione: la diffusione crescente del fondamentalismo islamico.
Il ministro D'Alema, poc'anzi, ha raccolto, ha sottolineato le novità della condizione che si è creata. Tanti fattori vi hanno contribuito: l'inerzia di questi anni sulla questione israelo-palestinese, dopo l'intelligente tentativo del presidente Clinton, purtroppo non riuscito; gli errori commessi in questi anni, a partire - va detto, doverosamente, ancora una volta - dalla dissennata avventura irachena. The Washington Post, giornale di area repubblicana, la stessa del Presidente Bush, ha scritto, due giorni fa, che ai tempi dell'avvio della missione in Iraq il vicepresidente Cheney garantì che, dopo la caduta di Saddam Hussein e del suo regime, gli estremisti della regione sarebbero stati costretti a rivedere la strategia della guerra santa e che i moderati avrebbero avuto la meglio, così come la capacità degli Stati Uniti di portare avanti il processo di pace tra israeliani e palestinesi. Oggi - scrive The Washington Post - queste parole di Cheney rappresentano la prova più evidente del fallimento di quella strategia.
È una condizione nuova. Non si può, quindi, restare imprigionati in schemi astratti e precostituiti. Tanto più occorre evitare mediocri manovre polemiche per banali obiettivi di politica interna. Non si può essere schierati pregiudizialmente, alla cieca, comunque sia, ma, al contrario, occorre essere capaci di analisi obbiettive, di ruolo di mediazione, di iniziative, qualunque sia la preferenza. In questo, onorevole Fini, io ravviso qualche discontinuità. Mediazione credibile, naturalmente, che è tale se assume come base, e se si fa carico dell'esistenza e della sicurezza di Israele. Il riconoscimento dell'esistenza, della sicurezza di Israele, tante volte colpita da attentati crudeli: nessuno può ipotizzare che questo sia un punto discutibile. Si tratta del punto di partenza: questo vale anche per Hamas, vale anche per il Presidente dell'Iran, vale anche per Hezbollah.
Hezbollah, nel sud del Libano, è la principale causa di recrudescenza della crisi in Medio Oriente. Fino a qualche anno fa, prima dell'incendio che ha devastato l'area della regione larga mediorientale, gli Hezbollah sembravano aver perso strategia e ruolo; ed hanno riversato su Israele una grande quantità di razzi e missili in questo periodo di crisi. Deve far riflettere tutti il fatto che l'intero movimento pacifista israeliano è, questa volta, collocato a fianco del suo Governo. E bene ha fatto il Presidente Prodi ha iniziare con una telefonata al presidente Olmert in Israele, che ha chiesto il rilascio degli ostaggi, lo schieramento delle truppe regolari nel sud del Libano ed il disarmo Pag. 89delle milizie, secondo le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (il ministro degli esteri, onorevole D'Alema, ha citato la n. 1559).
Si tratta, dunque, di posizioni ragionevoli. Il problema è l'equilibrio tra una risposta efficace e le conseguenze sui civili innocenti. In questo risiede, colleghi, il problema della proporzione o della sproporzione.
Il Libano ha avuto, come ha ricordato il ministro degli esteri, 220 morti. Sono state sconvolte e distrutte tante importanti infrastrutture civili, così a Gaza. Il Libano è un paese, dopo la cosiddetta rivoluzione dei cedri, che è stato abbandonato a se stesso, un paese che, una volta, era unito nelle sue diversità, che stava uscendo da una fase di occupazione, di divisione e di guerra civile e che torna, come il ministro D'Alema ha appena detto, indietro. Da esempio di convivenza, come era nel passato, rischia di diventare vittima del fondamentalismo e dello scontro violento. La comunità internazionale non può assistere inerte a quanto avviene. Occorre intervenire.
Questa mattina, Amos Oz invitava a non equiparare Israele al terrorismo. Nel nostro paese, qualcuno ha posto l'alternativa: o con Israele o con il terrorismo. Non è questa l'alternativa e lo dimostrano, oggi, e tre giorni fa, il presidente Mubarak e Abdallah di Giordania, quando denunciano l'avventurismo di alcuni gruppi estremisti arabi.
La scelta non è tra Israele e terrorismo. La scelta è tra il terrorismo e la civile e serena convivenza in Israele, tra palestinesi, in Libano. Questa è la scelta in cui collocarsi: la sicurezza civile in Israele, così come nel Libano, così come tra i palestinesi. Le vittime innocenti hanno tutte la stessa dignità. Suscitano tutte lo stesso dolore.
Occorre avere la consapevolezza che ogni periodo di violenza e di scontri sanguinosi provoca ferite difficili da rimarginare ed un rafforzamento del radicalismo. Israele non deve contare soltanto sulla sua supremazia militare. Soltanto con questa non si esce dalla condizione di crisi che si trascina da decenni.
Deve far riflettere ciò che poc'anzi ha ricordato il ministro degli esteri, ossia che questa esplosione di violenza, innescata da due rapimenti di soldati israeliani, a Gaza e al confine con il Libano, e ancor più gli attacchi di Hezbollah, si sono verificati subito dopo che si era delineata una possibile linea comune in ambito palestinese tra Al Fatah e Hamas per la trattativa con Israele e che queste interessanti iniziative e prospettive sono state bloccate dalle iniziative di aggressione che hanno dato vita a questa crisi.
È stata una crisi scatenata da chi respinge la soluzione pacifica di due Stati, che vuol dire, in realtà, una difesa anche di due democrazie. È interessante quanto poc'anzi ha detto l'onorevole Fini, ossia che non bastano le elezioni per fare una democrazia (e questo fa riflettere anche sulla vicenda irachena), ma noi intendiamo difendere due democrazie, quella matura, sperimentata, solida di Israele e quella immatura, incompleta, ma da tutelare anch'essa, che si è sviluppata e si deve sviluppare tra i palestinesi.
Occorre difendere due Stati e due democrazie. Occorre, in realtà, capire che oggi la comunità internazionale è ad un momento di svolta che può utilizzare adeguatamente. Occorre capire come interpretare questo momento, come fare passi avanti, piuttosto che esercitarsi in polemiche talvolta sterili.
Oggi possiamo avere il consenso internazionale per agire con determinazione e non solo per imporre una tregua che sarebbe fragile ed inevitabilmente transitoria.
Kofi Annan oggi ha dichiarato che tocca alla comunità internazionale fare la differenza: questo è l'impegno che ci dobbiamo assumere e che il nostro paese intende assumere, come poc'anzi ha dichiarato il ministro degli affari esteri. Mi riferisco allo schieramento di forze internazionali dell'ONU nel sud del Libano con un mandato nuovo. Ritengo che abbia ragione il ministro degli affari degli esteri quando afferma che anche a Gaza andrebbe dispiegato un contingente dell'ONU. Occorre un mandato nuovo, una Pag. 90consistenza maggiore; occorre che le richieste del G8 siano suffragate da una capacità di intervento delle Nazioni Unite e dall'assunzione di responsabilità della comunità internazionale.
L'Unione europea si sta impegnando: le parole di Barroso e di Solana sono state interessanti e le ha richiamate, in questa sede, il ministro degli affari esteri. Occorre dare concretezza a questi impegni, la stessa concretezza che poc'anzi il ministro degli affari esteri ha indicato per quanto riguarda gli impegni che il nostro paese intende assumere.
Su questa linea si è mosso il nostro Governo attraverso vari contatti e si sono mossi il Presidente del Consiglio ed il ministro degli affari esteri. A queste iniziative e attività, che si svolgono in tante direzioni, diamo il nostro consenso.
Inoltre, signor ministro degli affari esteri, esprimiamo il nostro consenso anche in ordine a tutti i punti della sua comunicazione, perché gli impegni che ella ha indicato e gli impegni che il nostro paese è disposto ad assumere sono concreti, all'altezza della difficoltà del momento. Si tratta di una difficoltà a cui il nostro paese, così come l'Unione europea e l'intera comunità internazionale, non possono sottrarsi (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei associarmi alla solidarietà che poco fa l'onorevole Fini ha manifestato rispetto a tutte le vittime. Vorrei, inoltre, esprimere la solidarietà, mia e del nostro gruppo, ad Israele ed al popolo ebraico. Vorrei esprimere la mia solidarietà agli aggrediti e la contrapposizione agli aggressori (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Se in politica estera manca questa chiarezza, se tutte le vacche sono grigie, ecco che anche la funzione del nostro paese - come quella dell'Europa - rischia di essere subalterna, appiattita, non all'altezza della gravità della situazione.
In questo quadro, signor ministro degli affari esteri, reputo deludente la sua relazione, sia dal punto di vista dell'analisi sia dal punto di vista delle conclusioni politiche. Dal punto di vista dell'analisi, la considero deludente, perché anche dal suo schieramento, dal centrosinistra, dallo stesso onorevole Fassino e, ieri, da Furio Colombo, nel corso di una manifestazione indetta dalla comunità ebraica, ho ascoltato analisi molto più penetranti rispetto alla gravità della situazione, che è estrema.
Non ci troviamo di fronte ad una guerriglia di ordinaria amministrazione, alla quale Israele ha avuto il torto di rispondere in modo sproporzionato. Il vostro discorso sulla sproporzione è molto infelice. Ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più grave. E, per quanto riguarda alcuni paesi arabi ed Israele, vi è un andamento totalmente divergente. Per un verso, non siamo di fronte a delle scaramucce o ad una guerriglia di ordinaria amministrazione, bensì ad un disegno politico di distruzione di Israele.
Dobbiamo comprendere il salto di qualità che, purtroppo, si sta tragicamente verificando in un contesto che, dietro di sé, ha un percorso politico, culturale e religioso molto profondo; dobbiamo capire, inoltre, che Hezbollah ed Hamas costituiscono la punta di un processo internazionale dietro al quale vi sono la Siria da una parte e l'Iran dall'altra.
Vorrei segnalare che l'Iran ha parlato chiaramente rispetto al suo disegno: il Presidente iraniano, infatti, per sostenere la linea della distruzione di Israele, ha addirittura assunto una posizione negazionista della Shoah! Pertanto, abbiamo assistito ad un'azione concentrata su due poli, Gaza da una parte ed il Libano dall'altra. Si tratta di una operazione combinata, condotta nell'ambito di un processo che rappresenta un salto di qualità rispetto a tutto ciò che è avvenuto in passato.
Vorrei evidenziare che ciò avviene perché un fattore molto negativo è maturato in profondità. L'onorevole Fini ha poc'anzi ricordato la complessità di Hamas e di Hezbollah; tuttavia, la complessità Pag. 91di Hamas, che coniuga elementi di terrorismo con un'attività in campo sociale, da cosa deriva, se non dal fallimento di Al Fatah? Da cosa trae origine, se non dalla subalternità di Al Fatah rispetto al fondamentalismo islamico? Ricordo che Al Fatah aveva una connotazione laica, ma l'ha dispersa perché, nel frattempo, si è corrotta profondamente. Pertanto, la combinazione tra la sua corruzione e la subalternità al fondamentalismo ha condotto alla vittoria di Hamas ed alla sconfitta di Al Fatah.
Per l'altro verso, ovvero per quanto riguarda gli Hezbollah, vorrei sottolineare che assistiamo alla destabilizzazione dello Stato libanese (di cui ci si accorge solo oggi), nonché alla totale negazione dell'azione dell'ONU: la presenza di 2 mila esponenti delle Nazioni Unite, infatti, ha dato una copertura, in quel territorio, a ciò che ha compiuto Hezbollah. Pertanto, ci troviamo in una situazione di straordinaria gravità, perché lo Stato libanese è stato smantellato dalla Siria e gli Hezbollah sono stati usati in funzione militare. È questo il «nocciolo duro» con il quale dobbiamo misurarci!
Ebbene, se non consideriamo la situazione esistente sulla base della visione fondamentalmente negativa con cui lei, signor ministro degli affari esteri, ha analizzato la politica di Israele, osserviamo che lo Stato israeliano ha cercato non da oggi, ma dai tempi di Begin e di Camp David prima, di Rabin (il quale ha addirittura sacrificato la propria vita) e Sharon poi, di gettare le fondamenta di una politica di pace; ogni volta, tuttavia, questa politica di pace ha incontrato una contrapposizione ed una negazione radicale!
Infatti, se confrontiamo, da un lato, Israele e la politica per la pace che tale Stato ha perseguito e, dall'altro, ciò che è avvenuto e maturato negativamente all'interno del mondo arabo, ecco che riscontriamo, oggettivamente, non una linea evolutiva, ma un percorso involutivo. In tal senso, infatti, esiste un'area grigia: ancora una volta l'Europa - ed in questo caso, anche l'Italia, facendo registrare un'involuzione rispetto a quanto compiuto dal Governo precedente - non offre una sponda ai paesi arabi moderati! Non è un caso, infatti, se abbiamo visto (magari con un incidente semantico) il Presidente Prodi inseguire l'Iran, il quale, tuttavia, è il mandante degli assassini che stanno operando sul campo. Questi sono i nodi duri con i quali bisogna misurarsi!
Si parla molto dell'atteggiamento di Israele; tuttavia, vorrei segnalare che un senatore del vostro schieramento, Antonio Polito, si domanda giustamente, in un suo articolo pubblicato oggi, cosa debba fare tale Stato. Ogni risposta di Israele, egli afferma, è infatti sproporzionata o sbagliata, sia che ceda territori, sia che risponda sul piano militare, sia che pratichi gli omicidi mirati, sia che conduca una trattativa di pace: in ogni caso, Israele sbaglia sempre ed ogni sua azione è sempre sproporzionata!
Ma voi non vi rendete conto che con questo distinguo in effetti date una copertura ad una linea strategica che è molto più lucida e più spietata, rispetto all'episodicità che voi le attribuite? Queste sono le ragioni per le quali, non per banali questioni di politica interna ma per un dissenso sulla politica estera, noi definiamo deludente la relazione del ministro D'Alema. Vogliamo anche chiedervi qual è la vostra politica estera. È quella della Rosa nel Pugno, espressa da Pannella e da Capezzone, che noi condividiamo interamente? È quella oscillante che ha due poli, il suo e quello dell'onorevole Fassino, che hanno le loro profonde differenze di analisi, che noi abbiamo colto? O è quella dell'estrema sinistra, che in effetti fiancheggia e dà la sua solidarietà alla linea contro Israele?
Non avete una politica estera omogenea, e questa è la ragione per cui una persona assennata come l'onorevole Enrico Letta ieri ha espresso tutta la sua angoscia su una maggioranza, che non solo non regge numericamente, avendo il concorso ed il contributo dei senatori a vita, ma che non regge politicamente per le sue grandi contraddizioni in politica estera ed in politica economica [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Pag. 92Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Padania - Congratulazioni].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor ministro, vorremmo esprimere il nostro apprezzamento per la prontezza con cui il Governo ha fornito questa informativa ed anche l'apprezzamento per le prime reazioni del nostro Governo sulla vicenda, ed in particolar modo per le sue.
Nel breve volgere di pochi giorni è esploso un conflitto che rischia di incendiare l'intera regione del Medio Oriente. Centinaia di morti: nella sola giornata di ieri 47, complessivamente 227 nel Libano, un centinaio di morti in Palestina. Distruzione di infrastrutture e di abitazioni, di servizi, di ospedali: una tragedia ed un'angoscia crescente. Occorre subito far cessare il fuoco, far tacere le armi. Occorre far cessare l'offensiva militare israeliana, che non è solo sproporzionata, ma si configura come una violazione del diritto internazionale. Colpisce civili ed infrastrutture.
Occorre chiedere dunque il ritiro dal Libano ed il cessate il fuoco da entrambe le parti. Occorre riprendere per via negoziale la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri. Occorre proseguire sulla strada tracciata dal cosiddetto documento dei prigionieri, anche da lei citato. Vorrei poterle ricordare che l'attacco alla pace viene da entrambe le sponde e che prima ancora degli attacchi terroristici, che noi condanniamo ovviamente e naturalmente, c'è stata una sequenza, una escalation, innescata anche dallo stesso Governo israeliano precedentemente.
Questo divampare del conflitto mediorientale è la più clamorosa conferma - su questo la sua analisi è in totale sintonia con la nostra - del fallimento degli obiettivi dichiarati dagli Stati Uniti d'America con la guerra in Iraq. Volevano darci maggiore stabilità. Oggi è sotto gli occhi di tutti la situazione in Medio Oriente. In Iraq, quella guerra non ha fine ed io credo che abbiamo fatto bene a decidere di uscire - lo discuteremo con il prossimo provvedimento - da quel teatro di guerra e non lasciare più lì neanche un militare. L'intervento doveva stabilizzare i rapporti fra Israele e Palestina; anzi, in alcuni momenti, sembrava addirittura l'alibi, era addirittura propedeutico a quell'operazione.
L'effetto è che non solo non è andata così, ma è dal 1990 che non vi era una situazione così grave: il massimo della crisi del conflitto tra Israele e Palestina. In ogni caso, tutto il Medio Oriente è stato destabilizzato: siamo sull'orlo di una guerra civile in Libano, invaso dal Governo di Israele. Vi sono tensioni con la Siria, vi è una crescita di tensioni ed un inasprimento di rapporti con l'Iran: l'operazione americana e il tentativo di tradurre con la guerra preventiva tutta questa operazione ha prodotto, come si è visto, una totale destabilizzazione di tutto il Medio Oriente. Ora la politica di pace passa per la stabilità dell'area.
La legalità internazionale si ripristina e poggia su basi solide solo se si dà una soluzione al diritto del popolo palestinese di avere un proprio Stato e di poter convivere in sicurezza con lo Stato d'Israele: due popoli, due Stati.
Riaprire il negoziato, dunque: è questa la strada maestra. E un'iniziativa forte può essere quella di una Conferenza internazionale di pace: questo è il ruolo a cui possiamo dare un grande contributo e questo può essere anche il ruolo dell'Europa che, spesso, ha guardato solo al nord, all'Occidente, ma che può trovare una sua identità politica e culturale solo se guarda al sud, al Mediterraneo, alle sue culture, ai suoi drammi.
È bene che l'ONU intervenga nell'immediato; come lei sa, noi esprimiamo una critica alla legittimità del G8 che rilascia opinioni di parte e dà consigli, ma è il Consiglio di sicurezza dell'ONU che è titolato in materia. Come dicevo, è bene che l'ONU intervenga nell'immediato; siamo stati tra i primi a chiedere la necessità di una forza di interposizione, l'ha chiesta anche il Governo libanese. Pag. 93Vorremmo chiarire per noi, signor ministro, il ruolo e le funzioni di una missione che lavora per l'interposizione. L'interposizione deve poter essere a protezione dei confini e delle popolazioni civili: un'interposizione di peacekeeping e non di coercizione. Ma oltre che ai confini del Libano - come lei, peraltro, ha affermato - occorrerebbe dispiegare le forze d'interposizione a Gaza e in Cisgiordania; dobbiamo evitare, insomma, di legittimare a valle scelte unilateralmente determinate con l'uso della forza.
Se questa missione serve ad applicare, come lei ha detto, una risoluzione dell'ONU, allora è indispensabile far applicare altre disposizioni e risoluzioni dell'ONU che riguardano i confini dello Stato di Palestina, vale a dire la risoluzione n. 338 e la risoluzione n. 242. Bisogna uscire da ogni unilateralismo, evitare di coprire con scelte multilaterali azioni frutto di una politica unilaterale. Per questo chiediamo un coinvolgimento di tutti gli attori che hanno un peso nell'area, tutte le parti coinvolte nell'escalation, esattamente come si è espresso il Governo spagnolo in queste ore attraverso il suo collega, il ministro degli affari esteri Moratinos.
La missione, quindi, deve trovare il consenso di tutte le forze in campo, solo così ci si avvia al negoziato e alla risoluzione alla radice del problema.
Signor ministro, occorre sbloccare gli aiuti umanitari: la Palestina è allo stremo, non può pagare un popolo lo smarrimento del ruolo della politica. Questa sofferenza può alimentare i bacini d'odio e il senso di disperante solitudine di un popolo. Noi dobbiamo rispondere a questo dramma perché esso parla di noi, della nostra storia, della nostra cultura, della nostra relazione con tutti i popoli che si affacciano sull'altra sponda del Mediterraneo.
Il muro, le sanzioni, l'allargamento e gli insediamenti sono ostacoli alla soluzione di due Stati per i due popoli. La sicurezza d'Israele passa per la pace, per la fine dell'occupazione, che prosegue da troppo tempo. L'uso della guerra pregiudica il futuro del Mediterraneo.
Ora, signor ministro, servono atti concreti, che diano all'equivicinanza tra tutti quei popoli una base giuridica e di legalità (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, onorevole ministro, anzitutto vorrei esordire con una precisazione di metodo che ritengo importante. Stiamo discutendo su un'informativa urgente. Ringrazio il ministro che è venuto in Parlamento a fornirla con grande puntualità e precisione. Naturalmente, come sempre in queste circostanze, le affermazioni politiche sono opinabili. Se, però, intendiamo impostare correttamente i lavori della legislatura, dato che oggi non si vota e il dibattito non si conclude con una proposta di risoluzione, dobbiamo cogliere un'occasione per noi che siamo all'opposizione e per il ministro che ha la responsabilità della direzione della politica estera del paese per un dialogo, finalizzato non solo alla propaganda delle rispettive posizioni politiche ma anche ad offrire con la nostra responsabilità e le nostre convinzioni un supporto di opinioni al Governo.
Spero che il Governo - ed il ministro D'Alema in particolare - avrà l'intelligenza di guardare alla maggioranza che lo sostiene ma anche di farsi carico delle opinioni e degli indirizzi forniti dall'opposizione.
Trovo negli interventi svolti dagli onorevoli Fini e Cicchitto, che mi hanno preceduto, riflessioni e spunti anche critici, ma importanti, poiché crediamo al valore della continuità della politica estera italiana. Il Governo che è andato al Vertice del G8 si colloca nell'ambito, necessariamente, di una continuità istituzionale con quello che lo ha preceduto. Allo stesso modo, il ministro degli affari esteri svolge il proprio lavoro nell'ambito della continuità con gli impegni assunti dal suo predecessore. È importante osservarlo, perché è un fatto di metodo che, mai come in questa circostanza, può diventare di sostanza.Pag. 94
Vi sono alcune questioni che non ci dividono: il cordoglio a cui ci associamo nei confronti delle vittime civili di tutte le parti; la preoccupazione per il Mediterraneo, una preoccupazione italiana perché se questo mare non sarà un'area di pace e di stabilità non vi sarà sicurezza neanche per il nostro paese; l'affermazione del diritto di Israele di vivere in pace e, contemporaneamente, del diritto alla patria per un popolo martoriato come quello palestinese. Anche le voci ed i moniti provenienti dal mondo cattolico a questo fine non debbono essere lasciati cadere, perché si tratta di moniti di verità: non vi può essere un popolo, quello palestinese, condannato, anche per la beffa della storia, ad uno stato di minorità permanente e continuato.
Inoltre, non ci divide la richiesta di un alt alle violenze, di una presenza dell'ONU, come ha detto bene ora l'onorevole Giordano, con il consenso di tutte le parti interessate (questa è la condizione nel sud del Libano per il «cessate il fuoco»), di una pacificazione del paese e della messa in libertà dei parlamentari e dei ministri. Come abbiamo detto ieri alla riunione interparlamentare a Ginevra, non vi può essere giustificazione; deve essere tutelata la libertà dei parlamentari di recarsi nel loro Parlamento.
L'onorevole D'Alema ha parlato del fallimento dell'Europa in questi anni. Concordo con lui, anche degli Stati Uniti; ma non individuo con lui, come «madre» di tutti gli errori, la guerra in Iraq.
Ciò non perché la guerra in Iraq, onorevole D'Alema, non possa essere criticata, contestata o anche ritenuta una guerra gestita male nel periodo post azione militare - pensiamo allo smantellamento dell'esercito iracheno, criticato da tutti e anche da Condoleeza Rice - ma perché, certamente, se c'è una data di inizio in questa vicenda drammatica, questa non è data dalla guerra in Iraq bensì dall'11 settembre del 2001 [Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania]. L'11 settembre è la data dell'offensiva di un terrorismo islamico che strumentalizza Dio e la religione, mentre noi ricordiamo quanto attuale sia ancora il monito che, proprio in quest'aula, riportò Giovanni Paolo II quando disse che nessuna guerra si può fare in nome di Dio. Certamente, quella è la strumentalizzazione di una religione che non ha come suo obiettivo il propagandare odio. In realtà, sono venute al pettine altre questioni.
Abbiamo sempre parlato del Libano come di uno Stato sovrano ma, cari amici, parliamoci chiaro: tutti abbiamo saputo che quella del Libano è stata una finta statualità. Non ho sentito in questo dibattito nessuno che ricordasse l'omicidio Hariri, il premier libanese. Oggi ancora ci sono indagini di una Commissione dell'ONU che parlano di responsabilità siriane a questo proposito ma poi non si è mai arrivati alla fine perché ha prevalso, in quella circostanza, la ragion di Stato.
Mattarella ha parlato della «rivoluzione dei cedri», che è stata, senza dubbio, un evento di libertà per il Libano; in realtà, era un messaggio disperato alla comunità internazionale: non lasciateci soli, dicevano quelli scesi in piazza! Tuttavia, tutti sappiamo che i siriani si sono ritirati fintamente perché gli Hezbollah in realtà hanno utilizzato questo periodo di pace per accrescere il loro arsenale militare, come ha riconosciuto qui l'onorevole D'Alema parlando di un accresciuto arsenale militare. Allora, Israele si muove rispetto ad un contesto libanese di questo tipo, con Hamas che vince le elezioni palestinesi ma non riconosce diritto di esistenza allo Stato di Israele, con l'Iran che elegge un nuovo presidente della Repubblica che parla di Israele come dell'impero del male.
In questo contesto, Israele, con più o meno eccessi, cerca di difendere il diritto all'esistenza messo in discussione dal contesto stesso. Devo dire che, a dimostrazione del fatto che non sono accecato dalle ideologie della propaganda, ho ritenuto molto coraggioso ciò che a questo proposito ha detto l'onorevole Fassino il quale Pag. 95ha riportato le preoccupazioni di Israele all'interno di un contesto che le rende credibili.
L'onorevole D'Alema ci dice che la reazione è sproporzionata. Massimo D'Alema, è sproporzionata per noi che stiamo in Italia, che siamo qui tranquilli!
MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Anche per i cittadini libanesi!
PIER FERDINANDO CASINI. È sproporzionata veramente per loro che si trovano in un contesto, in una situazione che li ha portati a dover convivere dolorosamente con scenari di guerra permanenti per quel paese, ma sono caduti tanti israeliani in queste ore.
Ritengo che tutto ciò che il Governo italiano, l'Europa, farà per assumere una posizione di mediazione o di facilitazione debba incontrare l'appoggio impegnato e pieno di questo Parlamento. Tuttavia, debbo ammettere che difficilmente l'Europa potrà essere un mediatore o anche solo un facilitatore a fronte delle affermazioni del Presidente francese Chirac che ha definito aberrante la posizione di Israele in questi giorni, perché, in questo caso, l'Europa non appare come una forza, un elemento terzo nel contesto di questo conflitto. In realtà, essa appare, come ha denunciato l'ex ministro degli esteri pochi minuti fa, di parte, non in grado di esercitare una mediazione o una facilitazione perché si colloca in un'operazione di fiancheggiamento politico.
Non c'è dubbio che il popolo palestinese in questa vicenda è l'attore debole, subisce drammaticamente le conseguenze di questa situazione. Onorevole D'Alema, concordo con lei nel dire che noi dobbiamo esprimere anche il nostro appoggio ad Abu Mazen, che è forse il primo destinatario, come elemento che lavora per il dialogo, di questo estremismo islamico, che in realtà ha come primi bersagli proprio i dirigenti palestinesi moderati. Dunque, continuiamo su questa strada del dialogo.
Credo che il ministro degli esteri, nel portare avanti la sua azione diplomatica, non debba disperdere il grande patrimonio storico che il nostro paese ha sempre avuto, anche grazie alla Democrazia Cristiana: essere interlocutore forte del mondo arabo e del mondo palestinese. Noi abbiamo una tradizione di rapporti nel Mediterraneo che tutti, ai diversi livelli, dalle diverse collocazioni politiche, ci siamo sforzati di coltivare. Ma perché non dirlo? Credo che non sia male abbinare a questa carta forte che abbiamo anche quella posizione di nuova e più forte comprensione introdotta dal Governo Berlusconi nei confronti dello Stato di Israele.
Allora, capisco che vi sono problemi di politica interna, ma in questo caso non è un buon servizio all'Italia parlare di discontinuità. Cerchiamo di operare nella continuità, nella continuità con quanto si è fatto in questi cinque anni per quanto riguarda lo Stato di Israele e nella continuità con la grande tradizione di una politica italiana che ha sempre visto nel mondo arabo non un nemico, ma un interlocutore. Se lei farà questo, certamente anche da posizioni diverse, deve sapere che da parte nostra ci sarà grande rispetto e grande condivisione per le sue fatiche [Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e Misto-Movimento per l'Autonomia - Congratulazioni].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Signor Presidente, signor ministro, il Libano, oggi sconvolto dalle armi, fino a poco più di un mese fa rappresentava l'unico e forse insperato esempio di paese mediorientale che, dopo decenni di occupazioni e di guerre anche civili, era riuscito a rinascere in uno Stato democratico e indipendente, nel quale la coesistenza di gruppi etnici e religiosi profondamente diversi aveva raggiunto un certo equilibrio, fatto anche di separazione fisica ed alchimie costituzionali. Di fatto, il Libano costituiva un modello per l'intera area. Evidentemente, Pag. 96un modello che le milizie di Hezbollah e chi le sostiene non volevano preservare né tantomeno esportare. In particolare, non dovrebbe sfuggire a alcuno - e a noi della lega non è sfuggito - che Hezbollah da movimento di liberazione si è trasformato in esercito di aggressione; a null'altro, se non al desiderio di riaccendere la miccia di un conflitto che pareva definitivamente avviato a ricomposizioni, si può infatti imputare lo stillicidio di azioni provocatorie portate avanti da Hezbollah nei confronti di Israele, da quando quest'ultimo, in ottemperanza ad una risoluzione, si era ritirato nel 2000 dal territorio libanese entro i confini della linea blu approvata dal Consiglio di sicurezza.
Il rapimento dei due soldati israeliani del 12 luglio scorso è solo l'ultima azione di violenza in ordine di tempo ai danni di uno Stato - lo si riconosca con onestà - che ha saputo fare passi coraggiosi in cerca di un riconoscimento pacifico dei propri confini, attraverso ritiri concordati e volontari da Gaza come dal Libano, pur nel contesto di una lotta disperata e ineguale per affermare il proprio diritto all'esistenza.
La reazione israeliana è stata militarmente tarata su possibili scenari anche di intelligence, che paventano un'estensione del conflitto a Stati sostenitori della guerriglia antisemita, con effetti moltiplicatori della minaccia che quotidianamente grava sulla testa di ciascun israeliano. Non c'è comunque alcun dubbio che la reazione israeliana, sotto il profilo del diritto internazionale, sia pienamente legittima. Si tratta di uno Stato sovrano che ha subito un atto lesivo diretto e volontario a due propri concittadini da parte di gruppi terroristici stabilmente radicati in un paese confinante.
Inoltre, esiste ormai una lunga serie di risoluzioni dell'ONU che, a partire dagli anni Ottanta e fino all'anno scorso, oltre a chiedere il ritiro di tutte le truppe straniere di occupazione dal Libano, impongono il disarmo delle milizie Hezbollah che sono oggi, invece, palesemente attive, vivaci, organizzate e talmente certe delle proprie posizioni da sfidare apertamente uno degli eserciti migliori del mondo.
Con la risoluzione n. 1559, già citata, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiedeva che tutte le rimanenti forze militari straniere presenti in Libano nel 2004 abbandonassero il paese con lo scioglimento ed il disarmo delle milizie libanesi e straniere presenti nel Libano. Ebbene, questa risoluzione del 2004 veniva deliberata quando Israele si era già ritirato, mentre truppe siriane mantenevano, di fatto, un protettorato sul Libano ed una protezione su Hezbollah, tanto che siriani e «partito di Dio» sono condannati dalla stessa risoluzione. La verità è che probabilmente la maggior parte di noi si sta chiedendo fino a che punto dovrà o potrà spingersi Israele e, se e quando saranno coinvolti altri Stati dell'area, come il Libano uscirà da questa tragedia.
Ci sono, però, alcuni punti assolutamente chiari e, purtroppo, assolutamente scoraggianti. È chiaro che in questo momento l'Italia non ha una politica estera, che l'Europa non sembra esistere nemmeno e che anche il G8 non si sa bene cosa pensi di se stesso e del proprio ruolo. La prova di questa totale impotenza e confusione sta nel fatto che non appena Kofi Annan ha proposto un invio di caschi blu si sono accordati tutti, in primis il nostro Presidente del Consiglio, felici di rifugiarsi sotto il primo ombrello resosi disponibile, non sapendo costruire alcun riparo più sicuro. A noi risulta che i caschi blu siano già in Libano da molti anni e non siano riusciti né a disarmare Hezbollah, né a rafforzare sufficientemente l'esercito ed il Governo libanese, né ad impedire nuove crisi. Se le forze ONU in cospicuo numero si muovessero, non potrebbero far altro che applicare le risoluzioni ONU sul disarmo di Hezbollah appena richiamate. Chi ci crede? Lei, signor ministro, crede veramente che lo possano fare?
Non riesco ad immaginare come oggi potrebbero posizionarsi le forze internazionali in mezzo alle bombe, non volute né da Israele, né da Hezbollah, senza strumenti militari paragonabili a quelli israeliani Pag. 97e senza un disegno politico che ne giustifichi l'intervento nel quadro di una soluzione in profondità del problema della convivenza e del terrorismo. Anche ammesso che riescano davvero a posizionarsi come forza cuscinetto al confine tra i due Stati, dovremmo prevedere uno stanziamento a tempo indefinito, in mancanza di proposte risolutive che abbiano un minimo di respiro di lungo periodo. Resta il fatto che qualsiasi azione ONU potrà iniziare dopo un «cessate il fuoco» e dovrà implicare la messa in silenzio delle bombe di Hezbollah, che poi sono semplicemente le condizioni già chieste da Israele per porre fine ai propri attacchi.
Fa sorridere, peraltro, a chi sta seguendo il difficile iter del provvedimento di proroga delle nostre missioni all'estero che la maggioranza del Governo abbracci con tanto entusiasmo l'ipotesi di questa nuova missione. Non è una novità che la sinistra italiana giudichi le guerre buone o cattive ed i morti legittimi o illegittimi a seconda di chi è il nemico. Se dovessimo ragionare alla luce di una coerenza che certo non vi appartiene, la decisione di inviare soldati italiani armati in un territorio di un altro paese a bloccare l'azione di gruppi interni al medesimo territorio dovrebbe sollevare per lo meno le stesse perplessità che tanto vi turbano riguardo alla missione in Afghanistan. L'impressione è, invece, che la scelta a favore della soluzione ONU sia più che altro il tentativo più diplomatico possibile di non aprire ulteriori spaccature in questa maggioranza, che anche in politica estera sta offrendo uno spettacolo abbastanza grottesco.
Non può, naturalmente, mancare nelle nostre piazze la solita marcia della sinistra estrema, con la kefia, la bandiera arcobaleno e, dall'altra parte, i Rutelli e i Veltroni inginocchiati in sinagoga. Se a ciò aggiungiamo la novità delle posizioni dei nuovi alleati radicali e gli abili espedienti lessicali del ministro D'Alema, che inventa equidistanze da interlocutori che non sono niente affatto politicamente equivalenti né equiaffidabili, peraltro nettamente criticato dal collega di Governo Amato direttamente a mezzo stampa, direi che l'immagine di un'Italia sconclusionata e poco responsabile, purtroppo, si sta riaffacciando. Ciò senza citare il Presidente del Consiglio Prodi, su cui è meglio sorvolare in merito alla sconclusionata proposta di proporre addirittura l'Iran come mediatore nel conflitto: una delle parti che lo stesso ministro D'Alema, nell'intervento di oggi, ha chiaramente ascritto come suggeritore delle milizie Hezbollah.
A poco serve rifugiarsi dietro il paravento delle Nazioni Unite. Del resto, lei stesso, ministro D'Alema, l'11 luglio scorso ai parlamentari italiani europei diceva testualmente: «Lanciare la parola d'ordine di una forza di interposizione può dare una falsa sensazione di potenza». Più che una falsa sensazione di potenza, a noi sembra piuttosto che con questo comportamento voi stiate cercando disperatamente di nascondere una vera sensazione di impotenza, la realtà che oggi traspare anche dal suo intervento (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor ministro degli esteri, colleghi deputati, anch'io esprimo apprezzamento per la sensibilità e la prontezza del Governo, che si è presentato subito a riferire in Parlamento, e condivido, a nome dell'intero gruppo dell'Italia dei Valori, la solidarietà per le tante e le troppe vittime di questo ennesimo massacro. L'apprezzamento va reso al ministro degli esteri per aver fornito una relazione ampia e completa che, a nostro avviso, conferma l'impegno del Governo italiano per la pace e la legalità internazionale nel mondo, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo.
L'apprezzamento al ministro degli esteri va anche per avere indicato con chiarezza la posizione del nostro Governo su una crisi che è necessario, ma al tempo stesso riduttivo, riferire soltanto al Medio Oriente. La situazione mediorientale è da anni, ed oggi appare esserlo chiaramente, specchio della difficoltà di affermare una Pag. 98vera legalità internazionale, oltre che di inaccettabili terrorismi e guerre preventive. In Medio Oriente si gioca il diritto di uno Stato, Israele, come tanti altri Stati nel mondo, di proseguire un cammino pacifico e democratico. In Medio Oriente si gioca il diritto di un popolo, quello palestinese, come tanti altri popoli nel mondo, di avere un Stato riconosciuto e di essere in condizione di darsi un cammino pacifico e democratico. In Medio Oriente si gioca il diritto di uno Stato, il Libano, come tanti altri Stati nel mondo, di non essere ridotto a Stato fantoccio, a mero terreno di scontro, di volta in volta ostaggio e bersaglio di Siria o di Israele e, comunque, rifugio di ogni specie di terrorismo e violenza. In Medio Oriente si gioca ancora la credibilità di quanti dichiarano di voler prevenire le guerre non con altre guerre ma con il dialogo, la cooperazione e la diplomazia. In Medio Oriente si gioca anche la credibilità di quanti dichiarano di voler contrastare ogni forma di terrorismo. La soluzione e i modi di pervenire alla soluzione della crisi mediorientale condizioneranno per anni il clima internazionale, la cultura di pace e il terrorismo dilagante, questo terrorismo dilagante che non è la terza guerra mondiale, ma la vera guerra mondiale del terzo millennio.
Sono in gioco valori e regole che vorremmo fossero occasione di confronto e di condivisione e non di scontro o di steccati. Ieri a Roma si sono tenute due manifestazioni: una, in una piazza per ribadire il diritto dello Stato di Israele di vivere pacificamente; l'altra, in un'altra piazza, per ribadire il diritto del popolo palestinese di avere uno Stato. La volontà di tanti, certamente la mia volontà, era ed è di essere presente ad entrambe le manifestazioni, a conferma che siamo in presenza del rischio di una perversione del diritto dello Stato di Israele, così come di una perversione del diritto del popolo palestinese. Le vittime di quella perversione del diritto dello Stato di Israele sono gli stessi israeliani e le vittime di quella perversione del diritto del popolo palestinese a avere uno Stato sono in primo luogo i palestinesi.
È nella perversione di quei diritti l'attentato più forte all'affermazione della pace, che ieri ha fatto vittime Rabin e Sadat, che oggi mette all'angolo la scelta di Sharon di lasciare i territori occupati, che mortifica gli sforzi di Abu Mazen e che ancora determina quella perversione di diritti nella condizione del premier Siniora, ridotto al ruolo di rappresentante di uno Stato che taluno vorrebbe restasse Stato fantoccio, luogo di compensazione di interessi troppo più grandi, e non da oggi, di questo piccolo Stato che è il Libano. Un Libano «congelato» in una ripartizione istituzionale, sciita, sunnita e cristiano-maronita, quasi perché sia pronta in qualunque momento a servire a questa o quella perversione di questa o di quella identità «congelata» in tale Stato. È nella perversione di quei diritti il più forte attentato alla legalità internazionale e l'ennesimo attentato al ruolo incisivo di organizzazioni quali le Nazioni Unite e l'Unione europea.
Signor ministro, lei ha detto con chiarezza qual è l'impegno ed il ruolo dell'Italia. In primo luogo, la sicurezza di Israele e, contestualmente, del diritto del popolo palestinese di avere uno Stato. In secondo luogo, il «no» ad iniziative e scelte unilaterali ed un'opzione chiara per una comunità internazionale che si faccia carico - ed è un ulteriore aspetto - di un nuovo assetto della sicurezza del mondo e della sicurezza regionale.
L'assetto futuro del Medio Oriente - lo ha ricordato sempre lei, signor ministro, e noi condividiamo - condiziona la sicurezza dell'Europa. Ma l'Europa, in tutto ciò, dov'è? Mentre esprimo l'apprezzamento per il ruolo dell'Italia e del Governo italiano, devo riconoscere che l'Italia, da sola, non ce la fa. L'Italia può svolgere un ruolo significativo nelle istituzioni internazionali di cui fa parte e torna la domanda: dov'è l'Unione europea? E torna anche l'altra domanda: cosa fanno le Nazioni Unite? Perché l'Unione europea appare, in politica estera, ancora debole e talora assente? Perché l'Organizzazione delle Nazioni Unite appare, ancora una volta, debole? Sappiamo il perché, conosciamo Pag. 99la risposta a tali domande; un perché che non è figlio di un «destino cinico e baro»: la debolezza delle Nazioni Unite e quella dell'Unione europea è, ancora una volta, la resistenza che incontra il multilateralismo quale strumento di prevenzione di guerra e di contrasto al terrorismo. Non è questa la sede - ma è, al tempo stesso, questa la sede - per ricordare l'importanza di una politica estera europea, l'importanza della rivendicazione da parte della stessa Unione europea di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
L'Italia dei Valori - ma non certamente soltanto l'Italia dei Valori - sosterrà tutte le iniziative (ripeto, tutte le iniziative) che il Governo italiano vorrà assumere all'interno e nel rispetto delle sedi internazionali di cui l'Italia fa parte. Attivare quelle sedi internazionali, come lei, signor ministro, ha ricordato, è molto più importante del pur importante impegno umanitario del Governo italiano. È in quest'impegno di attivare le sedi internazionali la vera discontinuità, non con il Governo precedente di questo paese, ma con la politica internazionale, resa debole da unilateralismi e mortificazioni degli organi internazionali. Tale impegno di pace e legalità internazionale, tale impegno di continuità, che sia al tempo stesso discontinuità, tale impegno di una continuità con l'articolo 11 della nostra Costituzione ha caratterizzato il provvedimento sul rifinanziamento delle nostre missioni all'estero e la mozione presentata dall'Unione che ci accingiamo a votare. Quest'impegno di pace e legalità internazionale dell'Italia, ne siamo certi, il Governo italiano saprà confermare in Medio Oriente, costruendo nelle sedi internazionali, e non con scorciatoie al di fuori di esse, la vera credibilità delle Nazioni Unite, dell'Italia in Europa e dell'Unione europea e, con essa, del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, signor ministro degli esteri, la gravissima crisi che si è aperta in Medio Oriente ha riproposto antichi interrogativi; ha fatto riaffiorare minacce crescenti e gravi per il diritto di Israele alla propria esistenza ed alla propria sicurezza; ha rimesso in primo piano l'accentuarsi di odiose campagne antisemite, che non sono portate avanti solo dal terrorismo fondamentalista di matrice islamica, ma anche da un capo di Governo di un grande paese quale l'Iran; ha evidenziato ancora una volta come le risoluzioni delle Nazioni Unite, come quella del 2004 che impone lo smantellamento dei gruppi armati in Libano, rimangano in Medio Oriente lettera morta; ha riproposto, pur non essendo in discussione il diritto di Israele all'autodifesa, il problema se vi debba essere o no una proporzione tra la risposta militare da dare e l'attacco subito; ha nuovamente chiamato in causa l'Europa che, come ha scritto Barbara Spinelli su La Stampa, ha una voce flebile nelle questioni mediorientali, e non solo nelle questioni mediorientali.
Si tratta di questioni che non riguardano solo la politica ma attraversano le coscienze, con divisioni che non passano solo attraverso gli schieramenti, e neppure solo tra i partiti e al loro interno. Ciò è avvenuto anche all'interno della Rosa nel Pugno, e non solo tra socialisti e radicali, che ne sono le componenti principali.
Tuttavia, partendo da differenti analisi, è possibile arrivare ad alcune considerazioni che ci accomunano e che offriamo al dibattito parlamentare. La situazione che si è creata è diversa e tra le più pericolose; non ci si può nascondere che la nuova crisi si colloca nello scenario apertosi dopo l'11 settembre con l'attacco alle Twin Towers.
Non vi è più soltanto il conflitto tra israeliani e palestinesi; vi è anche e soprattutto uno scontro che non si pone tra Occidente democratico ed islam ma attraversa lo stesso mondo islamico. Tale nuova situazione, e non possiamo nascondercelo, può rimettere davvero in pericolo il diritto all'esistenza di Israele.
La principale domanda che dobbiamo rivolgerci è come fronteggiare il terrorismo Pag. 100islamico; questa è la nuova sfida nella quale si colloca l'acutizzarsi della crisi mediorientale.
In tale ambito si apre un campo nel quale le scelte sono assai difficili; alla questione poc'anzi citata, infatti, si può rispondere puramente e semplicemente: con tutti i mezzi, leciti ed illeciti. Non importa quale siano il grado e le modalità di risposta: quel che conta è difendersi. Tale ricetta ha una sola strada: la guerra, ovunque e dovunque si annidino i nemici; l'uso delle detenzioni illegali, come avvenuto a Guantanamo; della tortura, come avvenuto in Iraq; il bombardamento delle popolazioni civili.
L'occidente democratico deve considerare la difesa dei principi di libertà e di democrazia e dei diritti umani non come un fattore di debolezza che deve essere rimosso, ma come il suo principale elemento di forza rispetto a dittature, teocrazie e totalitarismi. La strada che punta solo alla forza e sacrifica i principi porterebbe inesorabilmente a compattare tutti i popoli islamici contro l'Occidente democratico e a favorire in tutto quel mondo le forze fondamentaliste. Gli interventi militari sotto l'egida delle Nazioni Unite non vanno affatto esclusi, ma non possono essere il principale strumento da adottare; ciò, non perché siano troppo risolutivi ma, al contrario, perché si possono, talvolta, rivelare inconcludenti, se non addirittura controproducenti.
Contemporaneamente ad un'auspicata missione dell'ONU di peacekeeping, va ricercata la via del dialogo, della trattativa e del raccordo con le forze moderate del mondo islamico attraverso la ricerca di soluzioni adatte ai singoli conflitti.
L'allarme crescente per il precipitare della situazione in Medio Oriente e per la perdita di vite umane si accompagna al timore che si arrivi ad un vero e proprio conflitto che coinvolga Siria ed Iran fino ad allargarsi a tutta la regione. La guerra deve essere fermata rimuovendone le motivazioni. L'orrore per l'uccisione di bambini israeliani non è diverso se si tratta di bambini palestinesi o libanesi; ormai, da decenni, in Medio Oriente, la storia si ripete ciclicamente. Se non si riesce a riavviare il dialogo, la trattativa e la cooperazione, inevitabilmente si avvia una spirale negativa con una escalation della violenza che non risparmia nessuno. La questione israelo-palestinese è ormai da tempo la ragione o l'alibi per tutte le violenze; ma esistono, come abbiamo sempre ripetuto, due ragioni e due popoli: da una parte, vi è il diritto dello Stato di Israele a vivere in condizioni di sicurezza; dall'altra, vi è il diritto del popolo palestinese ad avere un suo Stato. Si tratta di due diritti che non sono affatto in conflitto; anzi, si tratta di due diritti che sono complementari ed interdipendenti. Non è garantita, infatti, la sicurezza di Israele senza uno Stato palestinese guidato con senso di responsabilità; non è garantita l'esistenza di uno Stato palestinese senza la sicurezza di Israele. Il carattere democratico che dovrà assumere lo Stato palestinese potrà rappresentare un elemento di sicurezza per il mantenimento di rapporti pacifici e cooperativi con lo Stato di Israele.
Ogni volta che si apre un varco alla possibilità di avere un assetto di pace, com'è stato con la decisione dell'ex primo ministro israeliano Sharon di far ritirare i coloni da Gaza, si mettono in moto forze che lavorano per rinfocolare una vera e propria tragedia, com'è accaduto - purtroppo - con la vittoria elettorale di Hamas, che ha drammaticamente rifiutato di riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele e ha contribuito ad aprire la crisi in tutta la sua portata distruttiva.
Si tratta ora di circoscrivere e risolvere le cause dell'attuale e gravissima crisi, seguendo le proposte contenute nei dieci punti del documento del 18 luglio del Consiglio dell'Unione europea, punti sui quali concorda il gruppo della Rosa nel Pugno. In particolare, ricordo: i soldati israeliani sequestrati devono essere immediatamente liberati, le milizie di Hezbollah devono essere disarmate e sciolte affermando la piena sovranità, unità, integrità e indipendenza politica del Libano, in modo da far cessare la gravissima minaccia esistente per il territorio israeliano.Pag. 101
È in discussione la possibilità che il Consiglio di sicurezza dell'ONU invii una forza ben più consistente di quella esistente: lo ha accennato nella sua introduzione il ministro degli esteri; una forza con caratteri di interposizione tra il Libano e Israele e nella striscia Gaza, come garanzia di sicurezza per tutti, in queste zone altamente instabili. L'Europa può svolgere un ruolo essenziale perché ha una tradizione di amicizia nei confronti di Israele e verso il mondo arabo. Dai paesi europei possono venire innanzitutto le forze militari per contribuire alla forza ONU di interposizione. Il Mediterraneo può tornare ad essere al centro del mondo, dopo lo sviluppo clamoroso della Cina e dell'India, che convoglia traffici senza precedenti attraverso il canale di Suez, di cui anche Israele, con le sue importanti risorse umane, si può largamente avvantaggiare.
Nessuno come l'Europa, e soprattutto come l'Italia, è più dipendente dal gas e dal petrolio della regione. Che il Mediterraneo sia un mare di pace e non di guerra è dunque un obiettivo vitale per la nostra economia. L'Italia deve perseguirlo con il massimo di unità possibile e potrà, in questo modo, continuare ad essere interlocutore affidabile, rispettoso e credibile di entrambe le parti, di Israele come del mondo arabo. È un'interlocuzione difficile, mentre le armi fanno sentire la loro voce, tuttavia, è l'unica strada possibile. Prima l'iniziativa ritornerà alla politica e alla democrazia, meglio sarà. Perché sempre e inevitabilmente, dopo le guerre, gli attacchi terroristici e le stragi il dialogo è ripreso; è sempre accaduto così in Medio Oriente. Prima o poi, è lì che si deve comunque tornare: al dialogo e alla trattativa.
La questione di Israele, signor Presidente e onorevoli colleghi, non può essere trattata con distacco dai paesi europei. Infatti, sono ancora forti le responsabilità storiche per l'olocausto, che resta la più grande tragedia avvenuta nel cuore del vecchio continente. A ciò si aggiungono le gravi responsabilità del colonialismo europeo, che ingiustamente vengono a ricadere su Israele. Nessuno, signor Presidente, signor ministro degli esteri e onorevoli colleghi, - lo ripeto: nessuno - si può sentire innocente di fronte a tutte le vittime del conflitto mediorientale, tanto meno l'Europa, che deve assumere una sua iniziativa che tutti, in Parlamento, durante il dibattito parlamentare che abbiamo avuto, hanno considerato essenziale per poter effettivamente dare un contributo alla pace in una regione martoriata come il Medio Oriente (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Galante. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. La sua relazione, signor ministro, ci conferma nella convinzione che questo Governo ha avviato gli indirizzi fondamentali della politica estera italiana su un percorso nuovo e positivo. Questi indirizzi si collocano al di fuori della logica primitiva dell'amico-nemico, che abbiamo sentito echeggiare anche in questa Assemblea, poc'anzi, ed al di fuori dalla coazione dello schierarsi a priori, come compete, lo sottolineo, a qualsiasi soggetto subalterno. Questi indirizzi si collocano, invece, nell'ambito di una pratica intelligente, quella della analisi concreta della realtà specifica. Si tratta di un atteggiamento che appartiene ad una cultura antica e solida di questo paese e che condividiamo. Questa condivisione di fondo dei primi passi del suo lavoro - auspico che ve ne saranno altri ancora più innovativi - mi consente, signor ministro, di incentrare il mio intervento su pochi punti che lei stesso ha toccato e dei quali mi preme sottolineare qualche aspetto.
Lei ha affermato, signor ministro, che i due diritti e le due regioni sono insieme e sullo stesso piano. Questo è un punto che deve essere valorizzato, ricordando, però, che i due soggetti detentori degli stessi diritti non si muovono, non sono e non si trovano sullo stesso livello. Gli israeliani, infatti, hanno un loro Stato e deve essere loro garantito che sia uno Stato sicuro, protetto e in grado di assicurare a quei cittadini del mondo la possibilità di vivere Pag. 102in pace, di crescere e di svilupparsi. Questo diritto deve essere loro garantito e assicurato, lo sottolineo. I palestinesi, invece, uno Stato non ce l'hanno e ne hanno diritto. È un diritto loro riconosciuto dalla storia; ma non ce l'hanno (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani)! Allora, bisogna porre rimedio a questo squilibrio; è necessario che quella che viene chiamata comunità internazionale ponga rimedio e riconosca quel loro diritto. Non è possibile che, citando gli Stati di quell'area, ci si riferisca all'Iran, all'Iraq, al Libano e ai territori. Quali territori? Questo è un modo equivoco di evitare di riferirsi allo Stato di Palestina. Lo sappiamo: quello Stato non esiste e quel territorio, quello di Gaza, in particolare, è stato trasformato - può spiacere, ma è la verità - in una sorta di grande riserva di caccia a cielo aperto nella quale si va a prelevare ciò che serve alla bisogna, catturandolo, rapendolo o uccidendolo. Sono queste le pratiche alle quali abbiamo assistito in anni e anni. Ricordo in questa sede che è lunga la storia di quel territorio e di quei paesi. Coloro che appartengono alla mia generazione hanno assistito a tutti i passaggi, signor ministro, che hanno portato alla tragica situazione attuale. Bisogna garantire l'esercizio effettivo dei diritti di tutti gli Stati che esistono in quel territorio, ivi compreso il Libano - ho ascoltato l'intervento del collega Fini, il quale ne negava l'esistenza quale autentico Stato sovrano - che oggi è aggredito e violato nel suo diritto di esistenza, come Stato.
In un altro passaggio del suo intervento, signor ministro, lei ha sollevato il problema della risoluzione n. 1559 delle Nazioni Unite e, più in generale, della funzione dell'ONU. Siamo d'accordo sulla proposta, sull'ipotesi - così è stata definita - di inviare una forza internazionale di sicurezza, in base ad un mandato ONU, in quel complesso scacchiere. Siamo d'accordo e ne vediamo le difficoltà e la complessità, che nasce da una aspetto che credo debba essere evidenziato.
Parliamo di ONU, ma sappiamo che oggi questa parola è un guscio vuoto, perché il suo contenuto è stato svuotato attraverso i decenni, ma in maniera particolare negli ultimi lustri. L'ONU è un guscio vuoto, tutte le sue risoluzioni - non soltanto la n. 1559 - dovrebbero essere attuate, ma così non è stato. Invocare l'intervento dell'ONU, senza sottolineare il fatto che attualmente non siamo di fronte ad un autentico soggetto della realtà internazionale, comporta implicazioni di inefficacia assoluta di ciò che si propone. Pertanto, è indispensabile che l'ONU recuperi effettivamente, con il contributo di chi ha la volontà di farlo - a partire dall'Italia -, la sua funzione, il suo ruolo internazionale.
Ho già detto in precedenza che appartengo alla scuola realista della politica, quindi non ho alcun dubbio sul fatto che il sistema delle relazioni internazionali, da quando si è costituito, sia stato e sia regolato dalla politica di potenza e dai rapporti di forza tra gli Stati. Il diritto - almeno secondo il mio modo di vedere -, anche quello internazionale, ne è sempre espressione; questa è la realtà in cui operiamo!
Tuttavia, partendo da tale realtà e senza dimenticarne i vincoli, sono altrettanto convinto che si debba lottare, che ci si debba battere avendo quale motivo ispiratore e quale obiettivo la costituzione di un mondo effettivamente fondato sul diritto, nella consapevolezza che anche un mondo siffatto esigerebbe comunque l'elemento della forza legittima.
E vengo al terzo aspetto. Lei, signor ministro, ha parlato dell'Italia e del suo ruolo nell'Unione europea. È evidente che, nell'epoca attuale, la sicurezza di un paese come l'Italia non si garantisce soltanto all'interno dei suoi confini territoriali. Come lei ha detto, signor ministro, l'Italia è direttamente interessata al riassetto in corso nel Medio Oriente dato che, in quell'area, si concentrano gran parte delle tensioni che coinvolgono direttamente anche il nostro paese. Quindi, non è ciò in discussione, ma gli obiettivi di quel riassetto e i soggetti che lo stanno realizzando: chi vi partecipa, il ruolo dei popoli e degli Stati in quell'area.Pag. 103
Voglio sottolineare che quei popoli non possono essere trattati - secondo una prospettiva neocolonialista e classicamente imperialista - come semplici oggetti del riassetto, ma vanno considerati come coprotagonisti di tale riassetto. Finora sono stati oggetti e non soggetti!
Finché il nostro paese è stato percepito quale parte di tale prospettiva, esso non ha potuto e non potrebbe svolgere in Medio Oriente alcuna funzione, tantomeno di mediazione. Eliminare questa percezione è dunque condizione indispensabile per svolgere un qualche ruolo politico.
Il rientro delle nostre truppe dall'Iraq - dal mio punto di vista - va inteso in questo senso, appunto quale avvio di un percorso di rilegittimazione della nostra presenza e della nostra azione in quell'area così complicata. La condotta adottata dal Governo nella crisi in atto va in questa direzione e, per tale motivo, la condividiamo e la sottolineiamo.
Infine, nella pubblicistica, si è parlato di una strana visione geopolitica: il tema del grande Medio Oriente, che andrebbe dall'Atlantico fino alla Cina. In questo spazio sono in corso singolari sperimentazioni, che tuttavia sono connotate da un preciso elemento.
Quell'area non è fatta di singole tessere: è un impressionante poliedro di crisi interconnesse sul quale si è scatenato, a più riprese, il maglio della potenza statunitense. Non possiamo dimenticare quello che non è un dettaglio, ma l'elemento fondamentale che ci consente di capire cosa sta avvenendo e cosa dovremmo fare.
In questi giorni, in queste ore, si sta anche chiarendo, almeno dal nostro punto di vista, ciò che è successo con la guerra in Afghanistan, prima, e con quelle in Iraq, poi. In mezzo, c'è l'oggetto della discussione attuale e del futuro. Questo oggetto, signor ministro degli esteri, si chiama Iran.
In un articolo pubblicato ieri si diceva: secondo un'autorevole fonte militare, Israele spera nell'impegno, da parte della comunità internazionale, a fermare il nucleare in Iran (sappiamo che questo percorso non ha un grande futuro). Se questo non avesse alcun risultato, allora Israele spera in un attacco da parte degli americani; ma se l'Amministrazione Bush fosse troppo indebolita da potersi permettere di attaccare l'Iran, Israele dovrà agire unilateralmente.
Signor ministro degli esteri, scongiurare questa tragedia è l'imperativo principale che cade sulle sue spalle e su quelle del Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bonelli. Ne ha facoltà.
ANGELO BONELLI. Signor Presidente, signor ministro degli esteri, colleghi, innanzitutto i Verdi vogliono ringraziare il Governo per la tempestività con la quale è venuto in Parlamento a informare il paese in ordine ai gravi avvenimenti che stanno interessando tutta la comunità internazionale e, in primo luogo, i paesi direttamente colpiti. Ovviamente, ci associamo al cordoglio per i numerosi civili che, in queste ore, sono stati colpiti in Libano, a Gaza e in Palestina.
La situazione che si è creata in questi ultimi giorni in Libano rischia di far precipitare tutto il Medio Oriente in un conflitto globale. Noi Verdi apprezziamo e sosteniamo l'iniziativa assunta dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, e da lei, signor ministro degli esteri, di dialogare con Siria ed Iran per cercare di realizzare le condizioni per una tregua in Libano e, aggiungiamo, anche a Gaza. Si tratta di un fatto molto importante che fa recuperare al Governo italiano, all'Italia, il suo storico ruolo di paese che dialoga con i paesi e con i popoli del Mediterraneo. Ha ragione l'onorevole Casini quando dice che l'Italia deve recuperare questo ruolo. Bene, il Governo Prodi ce lo sta facendo recuperare. Tuttavia, quando facciamo una simile affermazione, è evidente anche l'affermazione, implicita (anche nell'intervento dell'onorevole Casini), del drammatico fallimento delle politiche del Governo di centrodestra, che, in realtà, non ha assolutamente cercato e realizzato questo dialogo negli anni precedenti.Pag. 104
Questo è sicuramente un importante elemento di cambiamento della politica italiana sul piano della politica estera: è un elemento molto importante, ovviamente, per i popoli dei paesi arabi, che guardano all'Europa, in primis all'Italia, come ad una possibilità, ad una speranza di cambiamento della loro vita che non possiamo e non dobbiamo assolutamente deludere.
Apprezziamo anche la disponibilità, offerta dal Governo italiano all'ONU, di inviare truppe multinazionali di pace, di interposizione, nel sud del Libano. Questo è un fatto importante. Si deve restituire agli organismi internazionali il ruolo principe di favorire la pace e il dialogo. Infatti, la pace e il dialogo si devono basare sul ripudio della guerra, del terrorismo e della violenza, si devono affermare sui principi di legalità, di rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani e sulla volontà di riconoscere ad entrambi i popoli, israeliano e palestinese, la stessa dignità e gli stessi diritti. Nessuno può minacciare la distruzione dello Stato di Israele, così come nessuno può negare il diritto dei palestinesi di avere un vero Stato indipendente. Tutti, israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei e musulmani, hanno diritto di vivere nella propria terra in libertà e in sicurezza. La mancata risoluzione di questo lungo conflitto e la tragica conclusione del processo di pace avviato con gli accordi di Oslo hanno portato ad una gravissima paralisi politica e ad un continuo deterioramento della situazione, che oggi sta precipitando nel caos, in un ulteriore bagno di sangue. È dovere ed interesse primario dell'Europa, dell'ONU e dell'intera comunità internazionale lavorare con gli strumenti della politica e del dialogo.
La continuazione dell'isolamento internazionale del Governo palestinese e del blocco dei finanziamenti è un problema. Questa politica deve essere superata, perché sta affamando ed impoverendo le condizioni di vita del popolo palestinese. In molti campi profughi si fa la fame; beni primari ed essenziali per la vita, come l'acqua, non ci sono più. A ciò, dobbiamo dare risposte anche attraverso gli strumenti della cooperazione.
Abbiamo potuto constatare come la violenza e la guerra siano strumenti che rafforzano il terrorismo e non è vero il contrario. Ci fa piacere, signor ministro degli esteri, che lei l'abbia potuto ricordare in quest'aula, perché è un elemento molto importante di cambiamento della politica estera di questo paese che avremo modo, domani durante il dibattito e in sede di dichiarazioni di voto sul disegno di legge riguardanti le missioni internazionali, di affermarlo con forza.
Ci troviamo di fronte a violenze inaccettabili. Dal 28 settembre 2000 ad oggi, 18 luglio 2006 per l'esattezza, in Medio Oriente si sono prodotti 4.089 vittime palestinesi e 1.048 vittime israeliane. Non è un problema di differenza di numeri. Ogni morto in più, è un fallimento della politica non solo di questo paese, ma di tutta l'Unione europea. È una violenza inaccettabile.
Abbiamo sentito le parole dell'onorevole Fini. Poche argomentazioni sulla non condivisione della posizione assunta dal Governo, senza sottolineare le posizioni di grave e forte critica al Governo precedente assunte dall'onorevole Casini (posizioni che condividiamo). Ma - lo voglio dire con molta franchezza, perché le parole sono pietre, sia se si pronunciano solennemente nell'aula della Camera dei deputati, sia quando si rilasciano dichiarazioni -, siamo rimasti interdetti dalle parole pronunciate, il 14 luglio scorso, dall'onorevole Fini quando, in merito alla crisi liba nese, ha dichiarato: la discontinuità del Governo di Prodi rispetto al nostro Governo Berlusconi, ammettendo che vi è una discontinuità, favorisce solo i gruppi islamici più radicali ed estremisti ed alimenta la violenza.
Sono parole senza coscienza, che non avremmo mai voluto sentire. Non vi è alcuna giustificazione né comprensione per chi, in nome di una sacrosanta lotta al terrorismo, bombarda nel mucchio, provocando la morte di civili e bambini, distrugge infrastrutture ed abitazioni civili. Pag. 105Su questo, non può che esservi la condanna. Questa non è lotta al terrorismo. Questo è un modo per alimentare ulteriormente e dare ragione a chi, invece, vuole fare ulteriori proseliti per questa lotta indegna e criminale, come quella del terrorismo.
Bene ha fatto il Governo italiano, in linea con altri governi europei e il Vaticano, a chiedere il cessate il fuoco e a condannare i bombardamenti su obiettivi civili.
La politica del Governo italiano, come dicevo prima, e le giuste iniziative assunte dal Presidente Prodi vanno nella direzione del recupero di questo ruolo storico diplomatico italiano nei rapporti con i paesi arabi. Diciamo recupero, perché il Governo Berlusconi ha contraddistinto la sua azione in politica estera da notaio, ovvero si è limitato alla ratifica di decisioni prese da altri e abbiamo abdicato ad una nostra autonomia a favore di quelle decisioni unilaterali che hanno contraddistinto la politica negli ultimi anni, che si è rivelata fallimentare.
Oggi, quindi, la debolezza della politica estera dell'opposizione si rivela anche da un fatto che sembrerà simbolico, ma che voglio evidenziare in un'aula semivuota, ed è l'assenza del capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, in un dibattito che riguarda il futuro della politica estera italiana e della sicurezza dello scenario mediorientale. Il capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, non c'è, non si presenta, non partecipa al dibattito, ma siamo rispettosi della sua privacy e non vogliamo assolutamente indagare su dove si trovi.
Israele, che noi riteniamo uno Stato democratico, non può essere lasciato da solo nella lotta al terrorismo e nel garantire la sicurezza del suo Stato e del suo popolo. Vi deve essere, in questa direzione, un'assunzione di responsabilità da parte della comunità internazionale. Riteniamo che la richiesta dell'ONU di inviare truppe di interposizione di pace sia un primo segnale che va in questa direzione per garantire tale sicurezza.
In questo nuovo gravissimo scenario chiediamo all'Unione europea, ai Governi nazionali che la compongono, alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di avviare un intenso dialogo con le nuove leadership dei due popoli - palestinese e israeliano - per scongiurare un nuovo sanguinoso scontro.
Signor ministro degli affari esteri, chiediamo anche che l'Italia - coerentemente con la nuova azione diplomatica internazionale - si faccia promotrice di questo dialogo, anche ospitando a Roma l'avvio dei negoziati bilaterali, almeno in una prima fase, tra ONU e Governo palestinese e tra ONU e Israele e con paesi come Siria, Iran ed Egitto, per ottenere l'arresto delle azioni terroristiche, il ritiro delle truppe israeliane dalla Palestina e l'avvio di un piano di cooperazione per il popolo palestinese.
Il dialogo - non l'isolamento - è lo strumento migliore per persuadere a rinunciare definitivamente al terrorismo e a riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele e di quello palestinese.
Signor ministro, in conclusione, i Verdi si riconoscono nell'informativa da lei resa al Parlamento e nelle posizioni assunte dal Governo, confidando ovviamente nel sostegno da parte del gruppo parlamentare dei Verdi all'azione del Governo in questa così delicata materia (Applausi dei deputati del gruppo dei Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor ministro ho ascoltato con estrema attenzione l'informativa del Governo sulla situazione in Medio Oriente. Desideriamo ringraziarla, ministro D'Alema, non solo per la tempestività con cui ha ritenuto di dover riferire in Assemblea, ma anche e soprattutto per la chiarezza delle indicazioni concernenti l'azione di Governo, che non sono certamente solo dichiarazioni di intenti.
Desidero, inoltre, dirle, signor ministro, che c'è da sentirsi fieri, come italiani, del modo in cui il Governo ha garantito una rapida evacuazione dei nostri civili e sta contribuendo a rassicurare quei 700 italiani che hanno deciso di restare in Libano.Pag. 106
Siamo d'accordo che le preoccupazioni per questa escalation di violenza fra Israele e Libano sono notevoli e fondate, perché - come lei ha sottolineato - rappresentano un pericolo non solo per la pace del Medio Oriente.
Apprezziamo il fatto che l'Italia, di fronte a questo conflitto, stia tenendo un atteggiamento chiaro e trasparente, svolgendo un ruolo strategico in una dimensione multilaterale, multipolare e globale. Tutto ciò è certamente frutto del lavoro che si sta compiendo per rilanciare la posizione dell'Italia in una dimensione europeista. Stiamo tornando ad essere protagonisti nel processo di rafforzamento e di riposizionamento dell'Europa. Ciò consente all'Italia di giocare un ruolo attivo nella riconquista della pace e nell'evitare nuovi conflitti.
Alla luce di quanto espresso, signor ministro, siamo d'accordo che è necessario prendere decisioni in tempi rapidi, affinché si scongiuri l'allargamento di un conflitto che potrebbe riguardare non solo Israele e il Libano.
Vorrei ribadire che non si può non comprendere la paura di un popolo, quello israeliano, che ha diritto all'autodifesa. Al tempo stesso, non si può non condannare qualsiasi reazione spropositata nei confronti di un paese - in questo caso parliamo del Libano - che tra l'altro ha un Governo fragile, che si trova a convivere con gli estremisti di Hezbollah.
È quindi giusto che il nostro paese si impegni in modo da non permettere che il Medio Oriente venga spinto nel caos più profondo da alcun tipo di estremismo e da attentati terroristici.
Siamo d'accordo con Kofi Annan che è necessario prevedere un contingente più massiccio che svolga sulla frontiera un'operazione di pace: mi riferisco ad una forza di peacekeeping. Ma siamo anche d'accordo con lei che è necessario un monitoraggio delle forze dell'ONU nella striscia di Gaza.
Vorrei ricordare, a tal proposito, che tra i 2 mila soldati presenti nell'Unifil, vi sono 53 italiani, che dal 1979 stanno svolgendo con grande dedizione il loro lavoro.
È inutile dire che siamo colpiti dall'aumento continuo delle vittime civili da entrambe le parti, nonché dai pesanti danni arrecati alle infrastrutture. Penso che basti guardare la televisione per vedere il Libano distrutto: ricordo, peraltro, si tratta di un paese alla cui ricostruzione anche l'Italia ha contribuito.
È giusto, quindi, che l'Italia sia, in questo momento, in prima fila nel contribuire a gettare le basi per l'instaurazione di un dialogo in grado di arrestare questa terribile escalation di violenza, cercando di dialogare anche con paesi come l'Iran e la Siria.
Siamo d'accordo, quindi, con le decisioni assunte dal nostro Presidente del Consiglio in sede di G8 e condividiamo, ministro D'Alema, la politica estera da lei condotta. Riteniamo con soddisfazione che, in questo modo, l'Italia stia dimostrando che ha ripreso, con vigore, l'iniziativa in politica estera senza alcuna subordinazione, acquisendo un nuovo rispetto da parte dei nostri tradizionali partner, anche in campo europeo.
Ciò significa che il centrosinistra sta dimostrando, in discontinuità rispetto al precedente Governo, di saper mettere in campo una politica estera innovativa e propositiva. Tale politica è in sintonia con il programma dell'Unione, nel quale, pur con diversi accenti, tutti i partiti della maggioranza si riconoscono.
In conclusione, quindi, riteniamo necessario che il Governo prosegua la sua azione, facilitando l'instaurarsi di un dialogo politico che utilizzi tutti gli strumenti in grado di aiutare a conquistare la sicurezza in Medio Oriente ed a bloccare questa drammatica escalation di violenza.
Reputiamo importante anche il lavoro che sta compiendo il nostro paese per favorire il dialogo tra i paesi moderati del mondo arabo; per questo motivo, riteniamo che l'Italia possa svolgere efficacemente un ruolo costruttivo.
Apprezziamo, dunque, l'impegno che si sta profondendo: l'Italia, in sintonia con Pag. 107l'Unione europea, nonché con l'intera comunità internazionale, sta dimostrando di operare per mantenere la pace e scongiurare l'esplosione di nuovi conflitti. E questo, signor ministro, care colleghe e cari colleghi, sarà una grande banco di prova non solo per il nostro paese, ma anche per l'Europa (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Nardi. Ne ha facoltà.
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, signor ministro, abbiamo ascoltato, in questa Assemblea, diversi colleghi far riferimento al momento difficile che sta attraversando il paese in conseguenza di quanto sta accadendo in Medio Oriente. Le scelte e le posizioni che assumiamo a livello internazionale possono rappresentare, infatti, un fattore attraverso il quale il mondo può fare un passo avanti oppure un passo indietro.
Ricordo che il rappresentante del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, nel corso del suo intervento, ha evidenziato più di altri come la crisi che stiamo attraversando in questo momento sia, forse, la più drammatica esistente dal 1990. Debbo riconoscere che, una volta tanto, mi trovo d'accordo con le affermazioni pronunciate dal collega.
La crisi che stiamo attraversando, infatti, è sicuramente una delle più drammatiche degli ultimi anni. Il problema, signor ministro, è comprendere perché ciò sta accadendo, chi è che ha eventualmente interesse a fomentarla e quali sono le finalità e gli obiettivi che, attraverso tale crisi, ci si prefigge di conseguire.
Cercare di individuare i mandanti e capire quali siano le motivazioni che li spingono in tale direzione è sempre un compito arduo e difficile; vorrei tuttavia richiamare l'attenzione del signor ministro su una ipotesi che, personalmente, non considero neanche troppo peregrina.
C'è, infatti, qualcuno che teorizza che l'escalation della crisi mediorientale sia la conseguenza di un'iniziativa, ad opera dell'Iran, volta a distrarre l'opinione pubblica internazionale da un altro aspetto, ben più significativo e preoccupante. Vi è, in sostanza, chi afferma che acuire lo scontro in Palestina serva all'Iran per poter affermare l'esistenza della necessità di dialogare con tale paese, venendo incontro alle sue preoccupazioni ed ai suoi problemi in ordine alla questione nucleare.
Allora, se questa teoria fosse vera, a me sembrerebbe particolarmente preoccupante l'iniziativa del premier Prodi, il quale ha chiamato proprio l'Iran a svolgere un ruolo di mediazione. Sembrerebbe quasi un assist ad un disegno politico ben definito, nel quale il centrosinistra o comunque una parte di essa si identifica: facilitare che l'Iran possa accedere ad un programma nucleare nel prossimo immediato futuro.
Non so se questa sia un'eventuale disponibilità di una frangia dell'attuale maggioranza, però so che, qualora lo fosse, ne sarei terribilmente preoccupato, perché - lo dico con molta franchezza - non mi fido di quello che potrebbe capitare con un Iran in grado di governare la potenza nucleare. È un qualcosa che mi spaventa tantissimo. In questa logica, c'è da capire quale può essere il nostro atteggiamento, perché se è vero com'è vero che questo discorso ha una sorta di credibilità, bisogna anche riconoscere che può essere vero l'esatto contrario, almeno il contrario rispetto ad altre preoccupazioni. Mi riferisco per esempio al fatto che sollecitare l'attenzione della pubblica opinione sul fatto che i missili che arrivano in Israele sono di fabbricazione guarda caso di quei paesi definiti «paesi canaglia» può essere un modo, peraltro neanche troppo velato, per poter incidere sull'opinione pubblica occidentale.
Allora se questi disegni possono esistere, e magari esistono - forse qualche collega che mi ha preceduto ha in qualche modo ragione quando afferma che potrebbero essere strumento per l'uno o l'altro obiettivo, dove l'altro di fatto è l'obiettivo di immaginare un'azione ritorsiva nei confronti anche dei paesi confinanti -, è Pag. 108evidente che il Governo italiano, il Parlamento italiano, devono immaginare un percorso.
Quale può essere questo percorso? Credo che il Governo abbia una responsabilità particolare. Deve essere in grado, forte del rapporto che l'Italia ha, anche a livello commerciale, con altri paesi, di far capire a tali paesi che non saremo disponibili ad essere utilizzati come strumento per raggiungere un fine che non condividiamo e se questo fine si chiama nucleare non possono contare sulla nostra disponibilità, così come non possono contare sull'eventuale necessità che il mondo intero potrebbe avere bisogno della loro mediazione. Del resto, dobbiamo dire anche ad altri che se immaginano che attraverso l'escalation di determinate posizioni si possa arrivare ad invasioni o ad azioni terribilmente cruente nei confronti di altri paesi, anche questi devono sapere che non c'è da parte nostra una disponibilità.
Noi crediamo quindi che si debba agire in due direzioni. Quella diplomatica, che ho appena tentato di evidenziare, e quella di rimanere ai fatti e alle cose che sono realmente successe, cercando di interpretarle nella maniera che possa essere utile per fronteggiare una crisi, che diventa sempre più difficile e che rischia di finire fuori controllo. Se ci limitiamo ai fatti, signor Presidente, signor ministro, dobbiamo dire questo. L'esplosiva situazione in Medio Oriente, accanto a motivazioni antiche, ha come causa scatenante la ripresa degli atti terroristici e l'elezione del Governo di Hamas, che sembra abbia commissariato di fatto il Presidente Abu Mazen. Quando si sente parlare di reazione esagerata di Israele, si dimentica che si tratta di una reazione, a fronte di un'azione terroristica continuata nel tempo e con tassi di crescita esasperanti.
In questi anni, gli unici segnali di pace sono venuti dal popolo e dal Governo di Israele. Due avversari storici della politica israeliana, Ariel Sharon e Simon Perez, si sono uniti in un'alleanza di Governo, senza la quale il ritiro dei coloni dalla striscia di Gaza non sarebbe stato possibile. Quel ritiro fu garantito anche con la violenza da parte delle Forze armate e dell'ordine di Israele, sapendo - o meglio ancora sperando - che il ritorno della striscia di Gaza sotto il Governo palestinese avrebbe fatto fare un salto di qualità al processo di pace. La reazione dei palestinesi fu la vittoria di Hamas alle ultime elezioni.
Io non so come avremmo reagito noi italiani se, di fronte ad uno sforzo che avesse visto il profondo sacrificio di alcuni sentimenti di odio, di rancore, di passione, la nostra controparte avesse premiato coloro che erano contro le nostre posizioni, che si erano già dichiarati favorevoli a fare di Israele terra bruciata. Io non so se avremmo avuto la stessa capacità, tranquillità e determinazione a continuare che ha mostrato Israele fino qualche mese fa.
Signor ministro, se ricordiamo tutto questo, non lo facciamo per un'azione di sostegno al bombardamento israeliano del Libano e dei territori palestinesi; lo diciamo perché sappiamo che se ad un paese non si offre garanzia sulla propria sopravvivenza fisica, oltre che politica, si riterrà, sbagliando, che due soldati rapiti non valgono dieci civili uccisi.
La comunità internazionale e l'Unione europea, innanzitutto, debbono garantire questa sicurezza ad entrambi i paesi non solo con le pressioni economiche e diplomatiche, ma anche con la presenza di Forze armate dell' ONU, in un'area di quel territorio capace di interporsi tra i due popoli e di offrire, in tal modo, quelle garanzie che in particolare per Israele non vi sono mai state.
Non dimentichiamo, signor ministro, che in questi ultimi cinquant'anni, se Israele non si fosse difeso con forza e con durezza, sarebbe stato spazzato via da quel territorio che le Nazioni Unite gli riconobbero a suo tempo e per il quale tutti i paesi fecero grande dichiarazione di riconoscimento ad un popolo che era stato massacrato durante la seconda guerra mondiale.
Signor ministro, un processo di pace e gli strumenti indicati non avranno però efficacia sino a quando i due popoli, i due Pag. 109Governi non riconosceranno reciprocamente il diritto ad esistere. Un'iniziativa di pace in questa direzione deve essere accompagnata anche da un'offensiva diplomatica verso i Governi di quell'area, a cominciare dalla Siria e dall'Iran: lo ripeto, un'offensiva diplomatica, signor ministro!
Noi della Democrazia cristiana-Partito socialista apprezziamo il tentativo del Governo di muoversi in tal senso e lo sollecitiamo affinché possa spingere l'Unione europea a mettere in piedi un tavolo di negoziato chiamando in questa conferenza la lega araba, i paesi interessati e confinanti nell'area del conflitto, oltre che la Russia e gli Stati Uniti, tenendo però ben presente quello che dicevo all'inizio, signor ministro, e cioè che questa offensiva diplomatica non deve mettere in dubbio gli aspetti fondamentali della nostra linea politica estera da un punto di vista strategico.
Un'iniziativa immediata che possa convincere Israele e l'autorità palestinese a dichiarare subito una tregua che sarà, per l'appunto, possibile se la comunità internazionale offrirà ad entrambi i popoli, israeliano e palestinese, un orizzonte di progressiva conquista della sicurezza reciproca, dello sviluppo economico e di una pace duratura.
Signor ministro, concludo il mio intervento affermando che, diversamente da ciò, dibatteremmo scioccamente sui termini di equidistanza o equivicinanza, dimostrando come paese tutta la nostra inadeguatezza e quella dell'Unione europea, al fine di garantire quel multilateralismo nel governo del mondo tanto invocato, ma poco veramente praticato (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente della Camera, signor ministro degli affari esteri, onorevoli colleghi che avete almeno la cortesia di assistere a questi ultimi scorci di dibattito, è stato osservato da un filosofo francese vissuto nel secolo andato, che non mette conto qui ricordare, che la vita umana non vale niente; però, egli ha anche aggiunto subitaneamente che niente può valere quanto una vita umana. Ed io ci tengo qui a sottolineare che ritengo di essere prima di tutto un cristiano, un cattolico, e che un cattolico in quanto tale non può venire a patti con questa sua scelta.
Nel corso del dibattito in quest'aula ho sentito proferire le cose più strambe, financo una contestazione che, personalmente, non mi sento di muovere nei confronti del ministro degli affari esteri in ordine all'esagerazione della reazione, come se vi fosse un punto, una sorta di limite oltre il quale anche ad un cattolico è permesso riconoscere che è consentita una reazione alla violenza.
Ciò è assurdo, è al di fuori della consapevolezza del nostro essere ed appartenere a questa fede religiosa. Per questo motivo sostengo, francamente, che non si tratta del cordoglio che esprimiamo ma della manifestazione più forte, di una vera afflizione che abbiamo per tutti coloro che hanno perduto la vita, non solo nell'ultima fase di questo conflitto.
È vero: è una guerra più pericolosa di quelle fin qui svolte, perché rientra nella strategia del fondamentalismo islamico, che cerca di radicalizzare la propria battaglia contro l'Occidente. Però, ciò a cui assistiamo è l'epilogo di una storia lunga nel tempo.
Il ministro degli affari esteri, di cui personalmente apprezzo il modo con cui ha reso edotto il Parlamento delle circostanze che hanno connaturato la vicenda di cui ci occupiamo e, soprattutto, la solerzia che ha avuto nel venire in Assemblea, ci ha informati di quanto è accaduto oggi. Dovremmo, però, andare più indietro nel tempo: la colpa di ciò che avviene è di quella che, qui, abbiamo chiamato la comunità internazionale. Infatti, preferiamo tutti dimenticare che, all'indomani del secondo conflitto mondiale, ciò che è avvenuto è stato il frutto delle determinazioni delle nazioni vincitrici. Se, oggi, siamo di fronte ad un Pag. 110problema irrisolto, è perché nella logica della separazione dei due grandi blocchi, al momento in cui è crollato il muro di Berlino, il mondo occidentale, ai cui valori molti di noi sono stati e sono profondamente legati, non ha ritenuto di interrogarsi a sufficienza su tutti gli effetti che ne sarebbero derivati.
Il conflitto cui assistiamo è anche figlio di questa grave disattenzione della cosiddetta comunità internazionale e del fatto (anche ciò è stato osservato da parte di altri colleghi) che non esiste uno strumento, che oggi chiamiamo ONU, in capo alla comunità internazionale che sia veramente in grado di avere l'autorevolezza per regolare questi rapporti.
Debbo aggiungere che mi sembra specioso parlare di «smarcamento» della politica del Governo italiano attuale rispetto al precedente, perché si può anche (per uscire fuori dalla metafore) pensare di non stare nella logica dell'assoggettamento agli Stati Uniti, però poi si rimane comunque prigionieri dell'assoggettamento al G8, che nella sostanza non fa grande differenza.
Si possono salvare, forse, alcune forme, ma la sostanza del ragionamento politico non muta perché vi è un problema di fondo: siamo in grado, come paese impegnato, tra i più importanti della terra, di contribuire non dico al rafforzamento ma alla rinascita di una politica forte da parte della comunità internazionale?
Concludo dicendo che siamo fermamente convinti del diritto di Israele ad esistere non solo come nazione ma anche come Stato. Allo stesso tempo, non possiamo non riconoscere il diritto del popolo palestinese ad essere riconosciuto non solo come nazione ma anche come Stato. Se non siamo in grado di fare questo e ci attardiamo soltanto a cercare di capire quali siano le responsabilità, i torti o le ragioni, in tutte le fasi di questo grande conflitto, così come si è sviluppato, probabilmente commetteremo l'errore di non riuscire a capire fino in fondo in che modo trarci d'impaccio.
Signor Presidente - mi avvio a concludere - come tanti in quest'aula sono un padre, però mi sono chiesto spesso come può accadere che dei giovani, non degli anziani, ma dei giovani ragazzi che hanno studiato, che hanno conseguito una laurea decidano di immolare la propria vita.
Qualcuno di noi si è mai chiesto come mai ciò possa accadere, quali possano essere le ragioni di fondo che sottendono ad azioni gravi di questo tipo? Ritengo che nei ragionamenti che sviluppiamo, ogni tanto, dovremmo fermarci, senza farci troppo prendere da ciò che cattura la nostra attenzione, per avere l'umiltà e la capacità di approfondire anche queste tematiche al fine di comprendere meglio quanto accade (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato La Malfa, al quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Condivido il giudizio del ministro degli esteri per cui la nuova crisi mediorientale, drammatica, può allargarsi e diventare guerra aperta coinvolgendo non solo gruppi terroristici ma anche gli Stati di quella regione. Mi ha però sorpreso la sua analisi nella quale lei, onorevole D'Alema, ha detto con chiarezza - nella parte iniziale del suo intervento - che la crisi nasce da uno scontro interno alle diverse parti del mondo palestinese e del vasto mondo mediorientale tra coloro i quali vogliono aprire una trattativa e coloro i quali non intendono fare ciò (c'è uno scontro fra i palestinesi, che forse coinvolge l'Iran e così via). Tuttavia, cosa c'entra con questo il giudizio così reciso e pesante che il ministro dà sul comportamento di Israele? Israele è oggetto di un attacco dalle caratteristiche che il ministro stesso implicitamente ha ricordato. Di fronte ad un attacco di questo genere, se da un lato c'è bisogno di moderazione, dall'altro bisogna che il messaggio per cui il paese sa difendersi arrivi con molta chiarezza. È la ragione per la quale il fronte interno della società israeliana, compresi gli intellettuali pacifisti, oggi dicono e scrivono sui giornali che essi sono dietro la ferma posizione del loro Governo.Pag. 111
Israele che cosa può fare, signor ministro? Cosa si chiede ad Israele? In che modo dovrebbe rispondere a una tale minaccia? Ho avuto l'impressione che questa sua affermazione su Israele serva in parte il dibattito di politica interna, così come lo serve l'affermazione apodittica secondo cui la causa di tutto questo sarebbe la guerra in Iraq: ne discuteremo quando vi sarà il tempo, ma le posso subito dire che una delle ragioni per le quali Israele si è potuto ritirare dai territori - da Gaza - potendo compiere passi importanti sta nel fatto che era caduto uno dei bastioni della lotta contro Israele. Era infatti caduta la dittatura in Iraq.
Quindi, che un uomo intelligente come lei, accorto e sottile quando lo ritiene, usi argomenti che assomigliano a delle clave, mi ha colpito.
Mi sono domandato se lei parlasse alla comunità internazionale o alla sua maggioranza, se il tema del dibattito fosse Israele o l'Afghanistan. In altre parole, ho l'impressione che lei voglia rassicurare una parte della sua maggioranza dicendo: abbiamo una nuova politica, quindi, potete votarci.
Per fortuna, ci sono anche posizioni come quelle di Fassino o Amato, molto diverse, ma da questo non nasce una politica di Governo.
Fateci capire esattamente qual è la politica del Governo italiano perché io non riesco a intravederla.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.