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Discussione del disegno di legge: Abrogazione delle norme in materia di partecipazioni in società operanti nel settore dell'energia elettrica e del gas naturale (A.C. 1041) (ore 19).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1041)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) s'intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Ruggeri, ha facoltà di svolgere la relazione.
RUGGERO RUGGERI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, mi permetto di illustrare questo provvedimento presentando prima una breve introduzione. Possiamo dire che da un punto di vista energetico ormai l'intero mondo è entrato in una nuova età, un'età dominata da una crescente domanda internazionale di energia, da prezzi sempre più elevati sia per il gas che per il petrolio. Siamo in presenza di mutamenti climatici che incidono profondamente sulla domanda di energia.
Per l'Europa, ad esempio - ciò che a noi preme e che è punto di riferimento per quanto riguarda la nostra politica industriale -, le cifre ci dicono quanto si sia trasformato questo panorama energetico. I prezzi di gas e petrolio sono quasi raddoppiati negli ultimi due anni e la dipendenza europea dalle importazioni è previsto che aumenterà del 70 per cento entro il 2030.
Gli investimenti sono carenti lungo tutta la filiera globale dell'energia e per soddisfare la domanda prevista di energia e sostituire una infrastruttura ormai obsoleta nei prossimi vent'anni è stato stimato che occorreranno più di 16 mila miliardi di euro.Pag. 112
Oltre a questo nuovo scenario si aggiunge quello indicato dai G8, e cioè il punto centrale che riguarda la sicurezza dell'energia, una attenzione ed un controllo su tutta la filiera, dalla produzione al consumo. Quindi, penso che lo scenario europeo nei prossimi anni si dovrà confrontare con le risposte che anche il Governo italiano deve dare.
Il provvedimento che abbiamo davanti riguarda l'abrogazione di due decreti-legge in materia di partecipazioni in società operanti nel settore dell'energia elettrica e del gas naturale. Secondo me, questo non è un provvedimento da assumere necessariamente; per me è un tassello della politica industriale energetica di questo Governo di centrosinistra.
Vorrei qui ricordare che abbiamo già davanti a noi alcuni di questi tasselli, per far vedere come c'è già un disegno, che ovviamente si deve concretizzare, che riguarda la politica industriale dell'energia e che sta assumendo fisionomia.
Il 4 luglio 2006 il Governo ha presentato il provvedimento sulle liberalizzazioni. Si parla molto dei taxi, delle medicine e di altro, ma in quel provvedimento ci sono alcuni punti per noi qualificanti e viene affrontato il tema della concorrenza per quanto riguarda alcuni servizi pubblici locali.
Un altro articolo riguarda il tema dell'energia, le fonti di calore; vi è un articolo che riguarda l'IVA, volto a rendere più competitive le energie alternative.
L'8 luglio è stato presentato il DPEF ed in tale documento c'è un quadro ancora più definito di quello che si intende per liberalizzare a monte e a valle il nostro paese da legami, da ingessature.
Questo è il refrain, la filosofia che ritroviamo nel DPEF e nella politica del Governo: si tratta di eliminare qualche privilegio, togliere qualche muro, aprire qualche porta, trovare qualche strada per rimuovere l'ingessatura di questo paese. La concorrenza è vista lì come strumento, ma l'obiettivo riguarda una società più giusta, una società in cui i nostri giovani possano trovare un'occupazione aderente alle proprie aspettative ed i propri curriculum di studi.
Nel DPEF vediamo un disegno che riguarda la liberalizzazione a monte, l'ENI, la possibilità che le reti siano finalmente terze rispetto ai produttori ed ai consumatori. La distribuzione dell'energia per avere più concorrenza riguarderà la presenza di più distributori.
Vi è, poi, la necessità che le nostre municipalizzate trovino un'aggregazione coerente con la loro missione di realtà locali ma rimangano sul mercato.
Vi sono, inoltre, la necessità di un mix di fonti energetiche e l'investimento massiccio per quanto riguarda tutte le energie rinnovabili.
Di un terzo tassello discuteremo tra qualche minuto. Infine, un ulteriore tassello strategico è rappresentato dalle deleghe al Governo per riprendere il cammino della riforma del sistema elettrico e di quello del gas. Ancora una volta vi è attenzione al risparmio energetico ed alle fonti rinnovabili: mi riferisco ai disegni di legge delega al Governo per il gas, l'energia elettrica ed il sistema delle utility. In questo quadro collochiamo il provvedimento in esame, che sembrerebbe toglierci le difese, perché andiamo a scongelare i diritti delle imprese estere monopoliste nell'acquisto e nella partecipazione di società italiane: tutto ciò non riusciremmo a capirlo se dietro non vi fosse un disegno organico, come prima ho cercato di indicare in modo sommario.
Passo ora, in particolare, al tassello che va a completare questo disegno di politica industriale. L'articolo 1, che è poi l'unico articolo di questo disegno di legge, prevede l'abrogazione di due provvedimenti normativi in tema di partecipazioni a società operanti nel mercato dell'energia elettrica e del gas al fine di corrispondere pienamente alle richieste dalla Commissione europea ed evitare onerose sanzioni pecuniarie previste. Si tratta del decreto-legge 25 maggio 2001, n. 192, recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici, convertito Pag. 113dalla legge 20 luglio 2001, n. 301, e del decreto-legge 14 maggio 2005, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia di partecipazioni a società operanti nel mercato dell'energia elettrica e del gas.
Al di là dei numeri e delle indicazioni di cui si deve comunque tenere conto, la sostanza è che nel 2001, dopo l'inizio di un processo di ammodernamento del nostro paese con le riforme del sistema elettrico e del gas del primo Governo Prodi, abbiamo riscontrato alcune questioni aperte, una delle quali era appunto la possibilità che colossi europei entrassero nel nostro mercato per acquisire nostre società. Fu il caso, appunto, del maggio 2001, quando il monopolista francese dell'energia l'Electricité de France (EDF) acquistò il 20 per cento di Montedison Spa e dell'OPA di Italenergia Spa su Montedison Spa ed Edison Spa, assumendo una partecipazione pari al 18,03 per cento in Italenergia bis Spa, cioè la holding che controlla Edison Spa, il secondo produttore italiano di energia elettrica. Quindi, per tutelare non tanto le aziende italiane, ma un processo di liberalizzazione che riguardava il mercato europeo e la nascita di asimmetrie nei processi di riforma - che vedeva l'Italia una delle prime nazioni che si era adeguata alle direttive europee -, ci siamo trovati di fronte alla Francia con un monopolio che, invece di creare più libertà, veniva a chiudere libertà nei mercati nazionali.
Quindi, è stato emanato questo primo disegno di legge di «difesa» che, appunto, sospendeva tutti i diritti societari che quelle società, come nel caso di EDF, avevano giustamente sulle società acquisite o compartecipate: i diritti, per quanto riguarda la gestione societaria, erano limitati al massimo al 2 per cento del capitale. Questo è stato un primo intervento. Come si legge nella relazione di accompagnamento, le motivazioni che avevano indotto il Governo ad adottare quel disegno di legge dovevano essere individuate in un giudizio, in una valutazione di non compatibilità comunitaria, espresso già in sede europea, nei confronti della disciplina normativa introdotta dal provvedimento.
In data 4 aprile 2006, la Commissione europea ha chiesto allo Stato italiano di conformarsi alla sentenza del 2 giugno 2005, n. 54, della Corte di giustizia, con la quale, con riferimento alla richiamata legge n. 301 del 2001, il giudice comunitario aveva ritenuto che la previsione della sospensione automatica dei diritti di voto inerenti a partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale di imprese operanti nel settore dell'energia elettrica e del gas, quando queste partecipazioni erano detenute da imprese pubbliche straniere non quotate in mercati finanziari e che beneficiano nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante, costituisse una violazione dell'articolo 56 del Trattato, che appunto riguardava la concorrenza.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 19,15)
RUGGERO RUGGERI, Relatore. Questa è la motivazione del perché queste misure di difesa, ripeto, non tanto delle industrie nazionali ma di un processo più equilibrato di liberalizzazione nel mercato europeo, in realtà, sono state poi giudicate come contrarie e violanti gli articoli del Trattato dell'Unione europea.
In tale sentenza la Corte ha dichiarato che, mantenendo in vigore il decreto-legge del 2001 (quello varato dal centrosinistra, per intenderci), recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione, l'Italia è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'articolo 56 del Trattato della Comunità europea sulla libera circolazione dei capitali. La legge italiana, infatti, dispone la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale di imprese che operano nei settori dell'elettricità e del gas, quando tali partecipazioni siano acquisite da imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e che beneficiano nel proprio mercato nazionale Pag. 114di una posizione dominante: è il caso tipico e specifico di EDF.
La Corte aveva ritenuto che la sospensione dei diritti di voto impedisse la partecipazione effettiva degli investitori alla gestione ed al controllo delle imprese italiane che operavano, appunto, nei mercati dell'elettricità e del gas. A seguito di alcuni passaggi, incontri e soprattutto con il cambiamento del Governo in Italia, con il Governo Berlusconi di centrodestra, la questione rimaneva aperta ed il centrodestra, proprio per evitare le procedure di infrazione e, quindi, trovare una soluzione alle motivazioni che la Corte di giustizia, nella sentenza citata, aveva indicato, varò il decreto-legge n. 81 del 14 maggio 2005, con il quale trovò non un escamotage, ma una strada per rispondere alle esigenze ed alle motivazioni espresse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
La stessa Corte di giustizia delle Comunità europee, a seguito del citato decreto-legge, recante disposizioni urgenti in materia di partecipazioni a società operanti nel mercato dell'energia elettrica e del gas, escluse che l'applicazione di tali previsioni limitative dell'esercizio del diritto di voto nelle deliberazioni assembleari, ossia di acquisto o sottoscrizione a termine o differita, potessero valere se non quando fossero presenti alcune condizioni, ossia che le competenti autorità degli Stati interessati avessero iniziato un processo di privatizzazione e che il Governo italiano intendesse tutelare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e l'apertura del mercato.
In sostanza, anche il provvedimento del Governo di centrodestra, sulla scia e nella stessa filosofia di ciò che aveva fatto in precedenza il centrosinistra, ha cercato di rispondere nella maniera più corretta possibile - per quanto riguardava le valutazioni italiane - a tale questione non da poco, perché interrompeva o rischiava di interrompere i processi di liberalizzazione europei. In realtà, entrambi i citati provvedimenti hanno trovato, ancora una volta, un giudizio negativo da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Per quanto riguarda, in particolare, il requisito della reciprocità, che era il punto centrale degli interventi dei nostri governi in relazione all'ingresso dei colossi esteri nel nostro paese, la Commissione ha successivamente precisato che, sebbene ciò sia previsto da alcune direttive comunitarie relative a norme comuni per il mercato interno nel settore dell'energia, tale requisito si riferisce esclusivamente alla fornitura del servizio interessato e non riguarda, quindi, la proprietà di imprese o l'esercizio di diritti derivanti da tale proprietà. Questa è stata la contestazione delle nostre risposte normative al problema dell'ingresso di società estere nei nostri mercati.
La reciprocità, che voleva essere il cuore dei nostri interventi, in realtà, a giudizio della Commissione, deve intendersi collegata esclusivamente alla fornitura dei servizi, e non anche alla proprietà; tale è stata la motivazione.
Quindi, ad avviso della Commissione, qualsiasi considerazione di reciprocità che possa determinare il condizionamento del diritto di investimento all'interno dell'Unione europea non può giustificare restrizioni alle libertà fondamentali del Trattato e potrebbe condurre ad un'applicazione discriminatoria di norme nazionali nei confronti di operatori economici di altri Stati membri. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, poiché i diritti conferiti dal Trattato istitutivo della Comunità europea sono incondizionati, uno Stato membro non può condizionare tali diritti ad un esame di reciprocità imposto allo scopo di ottenere vantaggi corrispondenti in un altro Stato membro.
La Commissione ha quindi fissato il termine di due mesi per l'adozione, da parte dell'Italia, dei necessari provvedimenti di adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria.
PRESIDENTE. Onorevole...
RUGGERO RUGGERI, Relatore. Questo disegno di legge è, per l'appunto, la risposta data in ordine all'adeguamento a tali indicazioni.Pag. 115
Vorrei concludere, signor Presidente, rassicurando i colleghi, come ha fatto il Governo in X Commissione, sulla non sopraffazione: non si indeboliranno né i processi di liberalizzazione né le nostre industrie nazionali. Rimane in piedi, infatti, nella legge n. 239 del 2004 relativa al riordino del settore energetico, una previsione che, se vogliamo, possiamo definire qualificante nella difesa della nostra industria: in caso di operazioni di concentrazione di imprese operanti nei mercati dell'energia elettrica e del gas, a cui partecipano imprese o enti di Stati membri dell'Unione europea, ove non sussistano adeguate garanzie di reciprocità, il Presidente del Consiglio dei ministri - su proposta, ora, del ministro dello sviluppo economico - può intervenire per definire condizioni e vincoli.
Quindi, con queste garanzie, sono convinto che il disegno di legge in esame possa rappresentare una risposta adeguata alle condizioni poste dalla Comunità europea e, altresì, una risposta al problema dello sviluppo dell'industria italiana (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ALFONSO GIANNI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, per il momento il Governo si limita a concordare con il relatore, riservandosi di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Rosso. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROSSO. Onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame - come è noto, composto da un solo articolo - prevede l'abrogazione per intero di due decreti-legge in materia del mercato dell'energia elettrica e del gas; si tratta del decreto-legge 25 maggio 2001 n. 192 e del decreto-legge 14 maggio 2005 n. 81, adottato dopo le obiezioni sollevate in sede comunitaria sul primo provvedimento.
Nella relazione di accompagnamento, si legge che il Governo intende aderire pienamente al principio della libera circolazione dei capitali stabilito dall'articolo 56 del Trattato di Roma.
In data 4 aprile 2006, la Commissione europea ha infatti chiesto allo Stato italiano di conformarsi alla sentenza del 2 giugno 2005 n. 54 della Corte di giustizia con la quale, con riguardo al decreto-legge n. 192 del 2001, il giudice comunitario aveva ritenuto che costituisse una violazione dell'articolo 56 del Trattato la previsione della sospensione automatica del diritto di voto per partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale di imprese operanti nel settore dell'energia elettrica e delle gas qualora detenute da imprese pubbliche straniere dominanti nel proprio mercato nazionale.
La Corte ha ritenuto che la sospensione dei diritti di voto configurasse una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Dopo quella pronuncia, lo Stato italiano ha adottato il decreto-legge n. 81 del 2005, con il quale si esclude la sospensione dei diritti di voto nei confronti di quei soggetti controllati dallo Stato membro dell'Unione europea o dalla sua amministrazione pubblica, anche se titolare nel proprio mercato nazionale di una posizione dominante, qualora le competenti autorità degli Stati interessati abbiano avviato il processo di privatizzazione di tali soggetti e siano state definite con il Governo italiano intese finalizzate a tutelare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e l'apertura del mercato. La Commissione europea, con parere motivato del 4 aprile 2006, pur accogliendo con favore lo sforzo delle autorità italiane di conformarsi alla sentenza, ha giudicato insufficiente la modifica sopra richiamata, in quanto non verrebbe data esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia, ed ha fissato il termine di 2 mesi per l'adozione da parte dell'Italia dei necessari provvedimenti di adeguamento dell'ordinamento interno alla normativa comunitaria.
Per quel che riguarda la condizione posta dal decreto-legge n. 81 del 2005, relativo alla reciprocità nel processo di Pag. 116privatizzazione, la Commissione osserva che, sebbene i requisiti di reciprocità siano previsti in alcune direttive comunitarie relative a norme comuni per il mercato interno nel settore dell'energia, essi si riferiscono esclusivamente alla fornitura del servizio interessato e non riguardano quindi la proprietà di imprese o l'esercizio di diritti derivanti da tale proprietà. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, poiché i diritti conferiti dal Trattato comunitario sono incondizionati, uno Stato membro non può condizionare tali diritti ad un esame di reciprocità.
Si ricorda che a norma dell'articolo 228 del Trattato di Roma, gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia, pena l'adozione di una sanzione pecuniaria. Si rammenta poi che nella stessa data del 4 aprile 2006, la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora nei confronti di altri 17 Stati membri che non hanno correttamente recepito le direttive 2003/54 e 2003/55 della Comunità europea, relativamente al mercato interno dell'energia e del gas. Le lettere di messa in mora contestano differenti violazioni, a seconda dello Stato membro interessato. Per quanto riguarda l'Italia, sono contestate le seguenti violazioni: assenza o insufficiente separazione funzionale fra gli operatori incaricati alla trasmissione e alla generazione del gas; assenza o insufficiente separazione tra gli operatori incaricati alla distruzione del gas e all'energia; esistenza, infine, di un regime di prezzi regolati che impedisce l'ingresso nel mercato dell'elettricità di nuovi fornitori.
Poiché nel successivo decreto Bersani sulle sedicenti liberalizzazioni del sistema non vi è traccia di questi interventi strutturali per l'apertura della nostra economia ad un'effettiva logica di mercato, questo la dice lunga sulla capacità e la volontà dell'attuale esecutivo di assumere provvedimenti rigorosi contro gli effettivi monopolisti dei servizi, limitandosi invece ad una ben più comoda ramazzata nei confronti delle categorie del lavoro autonomo quali taxisti, farmacisti, avvocati e notai, assurto al ruolo di novello untore di una peste monopolista che la sinistra non mostra alcuna fretta di voler davvero debellare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanga. Ne ha facoltà.
GIOVANNI SANGA. Signor Presidente, colleghi deputati, come bene ci ha ricordato il relatore poco fa, la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza del 2 maggio 2005, ha dichiarato non compatibile con l'articolo 56 del Trattato che istituisce la stessa Comunità europea ed inerente la libera circolazione dei capitali, il decreto-legge n. 192 del maggio 2001, relativo alla sospensione automatica dei diritti di voto per le azioni eccedenti il limite del 2 per cento del capitale sociale di quelle società operanti nei settori dell'elettricità e del gas, qualora le partecipazioni siano di imprese pubbliche non quotate in mercati finanziari regolamentati e titolari di una posizione dominante nel proprio mercato nazionale.
Non possiamo che aderire alle richieste della Commissione che sono seguite alle sentenze della Corte e non abbiamo altra strada che l'approvazione di questo disegno di legge che porta all'abrogazione del decreto-legge n. 192 del 2001 e del successivo decreto legge n. 81 del 2005. La Commissione, il 4 aprile scorso, ha fissato il termine di due mesi per l'adozione da parte dell'Italia dei provvedimenti necessari. La Commissione pone un problema serio al nostro paese, che va giustamente risolto. Noi, d'altro canto, ci siamo mossi e ci dobbiamo muovere perché siano garantite le condizioni di reciprocità con gli altri paesi europei.
La discussione di questo provvedimento riporta alla nostra attenzione ed a quella del Parlamento questioni rilevanti: anzitutto, quella della centralità del tema dell'energia; poi, quella della necessità di procedere, anche a livello europeo, sulla strada delle liberalizzazioni già avviate dal Governo di centrosinistra negli anni 1996-2001, cogliendone i risvolti positivi per i cittadini, i consumatori, le famiglie e le imprese; infine, quella della reciprocità di Pag. 117condizioni rispetto agli altri paesi europei e delle tentazioni protezionistiche che, talvolta, sembrano riemergere.
Cominciamo da quest'ultimo tema, quello della reciprocità. Con l'approvazione del provvedimento in esame e la conseguente eliminazione dei due decreti-legge precedenti non vengono meno gli strumenti di cui il Governo si giova per intervenire. Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, dispone sempre della facoltà, riconosciutagli dall'articolo 1, comma 29, della legge n. 239 del 2004, nota come legge Marzano, di porre condizioni e vincoli alle imprese degli Stati membri per tutelare la concorrenza dei mercati. Inoltre, c'è la strada tutta politica che il Governo ha dichiarato di voler percorrere fino in fondo, quella del confronto con gli altri paesi europei per rafforzare i rapporti di collaborazione. Del resto, dobbiamo avere una forte consapevolezza del fatto che le politiche energetiche nazionali sono sempre più deboli. La dimensione dei problemi esula, ormai, dal livello nazionale e la capacità dei singoli Stati di incidere è alquanto ridimensionata.
Il secondo tema è quello della liberalizzazione dei mercati, nell'obiettivo di favorire i cittadini ed i consumatori, di ridurre i costi per le famiglie e per le imprese e di liberare il nostro paese da privilegi e incrostazioni tipici di una società di altri tempi.
Il nostro gruppo parlamentare non intende sottrarsi a questa sfida: vuole giocare con coraggio una partita non facile e intende essere protagonista, insieme al Governo del paese, di una stagione di cambiamenti di grande respiro e di svolta lungimirante.
In materia di energia, l'esecutivo precedentemente in carica si è caratterizzato per l'adozione di specifici provvedimenti, senza che fossero inseriti in una strategia di medio-lungo periodo. Non è un caso che la Conferenza nazionale sull'energia, più volte annunciata, alla fine non si sia mai svolta. Quest'ultima avrebbe potuto costituire la sede in cui definire le priorità e le linee guida della politica energetica nazionale, raccogliendo il contributo delle tante realtà che operano, investono, studiano ed elaborano e, magari, anche l'apporto trasversale di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, vista la delicatezza, l'importanza e la rilevanza del tema nell'interesse del paese.
La nostra situazione è difficile. Non possiamo dimenticare che importiamo metano da tre soli paesi - Algeria, Libia e Russia - e che disponiamo di scorte per pochi giorni soltanto. L'indagine conoscitiva sul settore energetico, condotta dalla Commissione attività produttive della Camera dei deputati nel corso della precedente legislatura, rilevava come, almeno per i prossimi tre anni, l'Italia sia seriamente esposta ai rischi di una carenza di gas. Dopo avere rinunciato alle centrali nucleari, importiamo energia dalla Francia, che la produce in centrali nucleari. Il petrolio che acquistiamo dal Medio Oriente sta raggiungendo prezzi stratosferici. Abbiamo già vissuto il rischio che qualche fornitore di gas possa chiudere o stringere troppo i rubinetti. Siamo a conoscenza dei rischi di black out causati dal sovraccarico o dalla siccità dei bacini elettrici ed abbiamo già maturato esperienze in merito. Il divario, rispetto alla media europea, del costo dell'energia è tutto a nostro svantaggio, con una ricaduta sulla competitività delle imprese.
Questi sono alcuni degli elementi. Pensiamo che sia giunto il momento di agire con il più ampio consenso possibile su questi temi ma anche con la massima determinazione, perché le scelte di oggi determineranno il quadro del prossimo decennio.
Non si può dimenticare, infatti, che nell'energia sono necessari imponenti investimenti di medio e lungo periodo che vanno ben oltre la singola legislatura e che per realizzarli bisogna sconfiggere tante resistenze che solo un grande accordo tra le forze politiche, sociali e culturali del paese può superare.
Avremo presto una grande occasione in sede di discussione del provvedimento sulla liberalizzazione del mercato dell'energia e sul risparmio energetico, che il Pag. 118ministro per lo sviluppo economico ha già annunciato. Nell'interesse del nostro paese, non sprechiamo questa opportunità (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valducci. Ne ha facoltà.
MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, componenti del Governo, onorevoli colleghi, questo provvedimento, composto da un solo articolo, prevede l'abrogazione di due precedenti decreti-legge, il n. 192 del 2001 e il n. 81 del 2005.
Il primo decreto - meglio conosciuto come congelamento dei diritti di voto per EDF - è stato emanato per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici. Esso stabilisce che, fino alla realizzazione all'interno dell'Unione europea di un mercato pienamente concorrenziale nei settori dell'elettricità e del gas, il rilascio o il trasferimento di autorizzazioni o concessioni, previste dai decreti legislativi di liberalizzazione dei suddetti mercati, è effettuato a condizioni particolari. Tali condizioni si applicano ai soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno Stato o da altre amministrazioni pubbliche; titolari di una posizione dominante nei propri mercati nazionali; non quotati in mercati finanziari e regolamentati; che acquisiscono direttamente o indirettamente partecipazioni superiori al 2 per cento nel capitale di società operanti nei settori predetti in via diretta o tramite controllate e collegate. In caso di superamento del predetto limite, il rilascio o il trasferimento dell'autorizzazione o concessione di cui sopra presuppone la riduzione al 2 per cento del diritto di voto del soggetto controllato dallo Stato estero o dall'amministrazione pubblica straniera.
Tali disposizioni si sono applicate a tutte le acquisizioni effettuate in data successiva alle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Stoccolma del 23 e 24 marzo del 2001. Il decreto - come sembra mostrare il caso Montedison e EDF - ha spinto i soggetti monopolisti a limitare la partecipazione azionaria attiva ad una quota di minoranza, ferma restando la possibilità di investimenti puramente finanziari da parte di tali soggetti e la normale libertà finanziaria dei soggetti che operano totalmente in regime di libero mercato.
L'impatto di questo provvedimento era meramente sostitutivo degli effetti che potranno essere prodotti da una piena liberalizzazione del mercato energetico europeo. Il decreto fu emanato a causa delle profonde asimmetrie e distorsioni di concorrenza tra i singoli paesi dell'area europea. Ad esempio, EDF in Francia, che detiene l'80 per cento del mercato domestico, ha sfruttato la cassa generata dalla rendita monopolista e il fatto che non deve distribuire dividendi agli azionisti per entrare in mercati europei liberalizzati. Ciò ha creato e crea evidenti problemi di reciprocità e mina alle basi il progetto di creazione in Europa di un mercato concorrenziale dell'energia.
In teoria, non si dovrebbe proibire che un operatore pubblico compri una partecipazione in una società quotata, per giunta non di proprietà dello Stato. Allo stesso tempo, non si dovrebbe impedire che società italiane - a controllo sia pubblico sia privato - acquistino partecipazioni in società estere; fatto, invece, recentemente accaduto con l'Opa di Enel su Suez, fronteggiata dalla Francia con l'acquisizione di Suez da parte di Gaz de France. Questa operazione, realizzata dal Governo francese e discutibile dal punto di vista politico e finanziario, è ineccepibile sul piano del diritto.
In proposito, la Commissione europea non discrimina tra società a controllo pubblico o privato. La questione delle asimmetrie nelle aperture dei mercati nazionali è tornata al centro dell'attenzione dopo che EDF ha lanciato la scalata ad una società spagnola e, successivamente, è entrata con il 20 per cento nel capitale Montedison.
A seguito di questa iniziativa il Governo Berlusconi ha emesso il decreto-legge per salvaguardare la reciprocità delle regole nei processi di apertura tra i diversi paesi dell'Unione europea e per non introdurre Pag. 119effetti distorsivi che possono creare asimmetrie nei processi di liberalizzazione e privatizzazione del settore.
Inoltre, il Governo Berlusconi aveva visto bene l'ingresso della FIAT nella compagine nazionale dell'energia, proprio perché in tal modo si sarebbe realizzato un nocciolo duro di nazionalità italiana. Ma la crisi finanziaria del gruppo torinese e il successivo - peraltro legittimo - ruolo di portage a favore di EDF, svolto da alcune banche italiane, ha riaperto la questione.
Il primo elemento che occorre tenere in considerazione è che, se in Europa non esiste ancora un vero mercato dell'energia, esiste tuttavia, da tempo, un mercato unico finanziario. Ciò vuol dire che, in presenza di regole di liberalizzazioni non equilibrate tra i diversi paesi membri, alcune imprese possono trarre vantaggio dalle rendite dei privilegi sul mercato interno per un proficuo shopping nei mercati degli altri. In sostanza, se nell'emanare le direttive europee si cede ad un eccesso di compromessi, le liberalizzazioni possono produrre guasti ed anomalie. Ciò è dimostrato da EDF, che, in Spagna come in Italia, ha assunto iniziative che hanno costretto i Governi ad intervenire con provvedimenti tesi ad evitare che un soggetto pubblico, e sostanzialmente monopolista nel suo paese, approfittasse di tali vantaggi per aggredire i mercati dei due paesi. Il primo impegno deve essere, quindi, quello di stabilire, in Europa, condizioni di corretta competizione tra gli operatori.
Purtroppo, sull'obiettivo della liberalizzazione del mercato non sussiste ancora una piena convergenza di tutti gli altri paesi europei. Ricordo come anche un recente studio condotto dalla Commissione europea abbia individuato come il percorso di liberalizzazione del mercato elettrico in Italia sia sicuramente nella media alta dei percorsi di liberalizzazione rispetto agli altri paesi europei. Dunque, bisogna tentare di convincere tutti i paesi europei a seguire questi percorsi; ma se il tentativo di convincere tutti i paesi della correttezza politica ed economica dell'obiettivo di liberalizzare e rendere competitivo il mercato fallisce, è necessario avere il coraggio di prendere decisioni anche a maggioranza. Se non fosse possibile, quindi, l'allargamento ad ampie maggioranze, rimarrebbe soltanto la strada dell'introduzione con pari forza, accanto al principio della sussidiarietà, di quello della reciprocità, che erroneamente non fu adeguatamente introdotto nella prima direttiva sull'elettricità.
Con il decreto adottato nel 2005 dal Governo Berlusconi furono poste due condizioni basilari: l'esistenza di un'intesa tra Governo italiano e Governo dello Stato membro controparte; l'esistenza di un progetto di quotazione del soggetto interessato sui mercati finanziari regolamentati. Tutto questo, in parte, non ha avuto riscontro, perché l'accordo bilaterale sottoscritto tra i due Governi in data 25 gennaio 2005, ispirato al principio di reciprocità, era basato, essenzialmente, sulla partecipazione dell'Enel ad iniziative energetiche in Francia, con particolare riguardo allo sviluppo, in partnership con EDF, del reattore nucleare di nuova generazione, e sulla rimozione del tetto del 2 per cento ai diritti di voto di EDF in Edison, in un quadro di effettiva pariteticità con il partner.
L'impegno è stato puntualmente mantenuto dal Governo italiano mediante il menzionato provvedimento, ma non è stato mantenuto dal Governo francese, perché il negoziato di Enel con EDF non ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato. Enel ha provato ad annunciare un'OPA sul controllo di Suez (che non è andata a buon fine) e, ancor prima, ha manifestato interesse per l'acquisizione di una partecipazione di rilievo in SNET, secondo produttore elettrico francese (anche questa non ha avuto buon esito). Tale situazione ha prodotto, sostanzialmente, un indebolimento delle nostre posizioni rispetto alle posizioni dei processi di liberalizzazione del mercato francese.
La risposta alle istanze prodotte dal Governo italiano sia in sede comunitaria sia in sede francese è stata che la decisione di fusione tra i due gruppi, voluta Pag. 120dal Governo francese, risponde a logiche di riorganizzazione interna del comparto energetico senza violare alcuna norma europea e, semmai, tradendo il mero spirito di un principio comunitario.
Nel recente incontro tra i due Governi, francese e italiano, a Parigi, il Presidente Prodi ha parlato del caso Enel con il Presidente Chirac e con il primo ministro de Villepin. Nell'occasione, per quanto riguarda Enel, il premier ha ammesso che, considerata l'enorme presenza di EDF in Italia, l'interesse Enel ad espandersi in Francia è più che giustificato ed esiste un grande problema di simmetria tra Francia e Italia in tema di fusioni ed acquisizioni. A riprova della scarsa considerazione che la Francia ha per il nostro Governo, Chirac ha replicato, attraverso un portavoce, che la Francia predilige offerte amichevoli (ricordando l'esistenza del progetto di fusione tra Suez e Gas de France). Il Presidente francese ha sottolineato, inoltre, che le parti sono attente alle dimensioni industriali e sociali delle grandi operazioni fra aziende e che, in ogni caso, spetta alla società decidere del loro futuro.
Quindi, mentre in Francia prosegue l'operazione di consolidamento e di ingrandimento degli operatori del mercato dell'energia elettrica e del gas esistenti, il Governo italiano dovrebbe studiare risposte adeguate alle decisioni assunte dal Governo francese, come, peraltro, hanno auspicato numerosi esponenti della maggioranza. La proposta di approvazione del provvedimento oggi in esame, sicuramente, è doverosa nei confronti delle decisioni assunte dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ma non sottolinea adeguatamente, nei confronti del Governo francese, la necessità di rispettare il principio di reciprocità e di eliminazione delle asimmetrie.
Vorremmo fosse chiaro in Francia e in Europa che l'Italia non vuole, non deve e non può ridurre la propria competitività senza alcuna garanzia di reciprocità.
Forza Italia e la Casa delle libertà vigileranno perché il Governo, su un punto così importante per il sistema paese, non sia, al solito, passivo ed inconcludente.
Vorrei ricordare che quello dell'energia elettrica, in Italia, è un mercato competitivo e che non dobbiamo indebolire ulteriormente i nostri operatori, che hanno solo il problema di diversificare le fonti di approvvigionamento; del resto, è un paese interconnesso con gli altri e ha portato ad un buon livello la competitività del proprio mercato interno dell'elettricità (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zipponi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ZIPPONI. Signor Presidente, al fine di evitare sanzioni pecuniarie previste dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, il Governo propone l'abrogazione dei due citati decreti-legge. È importante ciò che ha detto il relatore, ossia che questa discussione rappresenta un tassello di un dibattito che riguarda l'energia, il nostro paese e l'indipendenza economica dello stesso.
Allora, proviamo a vedere cosa stabiliscono quei decreti-legge per capire (la storia già è stata riassunta), perché è utile che il Parlamento se ne occupi.
I due decreti-legge dispongono la sospensione automatica dei diritti di voto inerenti alle azioni eccedenti il limite del 2 per cento del capitale sociale di società operanti nei settori dell'elettricità e del gas nel nostro paese. Ciò vale quando un'azienda italiana è acquisita, in tutto o in parte, da imprese pubbliche di altri paesi non quotate nei mercati finanziari e dominanti nel proprio mercato nazionale.
I decreti-legge sono stati adottati, perché chi governava e chi ha governato anche recentemente riteneva strategico il settore dell'energia per il nostro paese, quindi, mise un limite alla acquisizione delle nostre aziende del settore. Tant'è vero che la Edison Spa è stata acquistata dai francesi monopolisti nel loro paese con EDF. Si tratta di un'acquisizione di quote ben superiore al 2 per cento, ma, per quanto riguarda le decisioni strategiche di quella società, il loro voto, per un lungo periodo - ancora oggi - non vale più del 2 per cento.Pag. 121
La Comunità europea ha reagito, affermando che ciò contrasta con la libera circolazione dei capitali. In risposta, il Governo italiano ha deciso di non applicare le norme relative al limite del 2 per cento, per le situazioni che avessero condizioni pari a quelle del nostro paese, che vi fosse reciprocità, ossia la possibilità per le aziende italiane di acquisire aziende elettriche e del gas nei paesi che si proponevano di acquisire le nostre. Qui nasce un problema, anzi il problema.
Enel, azienda nazionale di energia, si propone di acquisire la società francese Suez operante nel settore energia, gas, rifiuti, acqua, service. Dal momento che Enel si propone, in Francia nasce una reazione generale per impedire ciò che le regole comunitarie permettono. Interviene addirittura il Presidente della Repubblica francese per rispondere in modo sprezzante al ministro dell'economia di allora, Tremonti.
Ci risulta che in Francia si stiano predisponendo per impedire questa acquisizione anche con misure legislative.
Quindi, riassumendo: noi eliminiamo i vincoli previsti dai decreti-legge e l'EDF francese ha voce in capitolo in Edison. Inoltre, i francesi tentano di impedire all'Enel un'operazione simile.
Quindi, non esiste reciprocità e nel prossimo disegno di legge in materia energetica si impone un urgente intervento per difendere l'interesse nazionale. Ciò anche perché, oltre al danno, rischiamo la beffa. In un articolo su Il Sole 24 Ore del 15 luglio, Franco Debenedetti si chiede se Enel in mano straniera sia davvero un pericolo da scongiurare e il giornale titola «Enel scalabile dall'estero è nell'interesse del paese». Quindi, questa vicenda rischia di concludersi con i francesi che, attraverso l'EDF, gestiscono ed intervengono pesantemente nelle aziende italiane e ne influenzano le scelte industriali e strategiche; mentre gli italiani - se fosse vero quanto afferma Debenedetti - consegnano in mani straniere addirittura l'Enel per una sorta di logica economica che ignoro.
La domanda che ci siamo posti, come gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea è la seguente: perché ci occupiamo di processi come questi? Che conseguenze hanno questi processi e perché discutere subito dell'energia, anche nell'ambito dell'esame di un provvedimento limitato che, tra l'altro, abolisce il limite del 2 per cento? Le risposte che diamo a queste domande sono le seguenti. Primo: il costo dell'energia è uno dei fattori fondamentali nella concorrenza tra imprese, soprattutto quelle manifatturiere. Secondo: in Italia il costo dell'energia per le famiglie (ossia, consumatori, lavoratori e pensionati) è al secondo posto in Europa, con 21,8 euro per ogni 100 kWh, mentre in Francia è pari a 12,5, in Spagna a 11,4, in Germania a 18,3. Anche per i con sumi più elevati, ossia per quelli delle industrie, si pone la questione della differenza dei costi dell'energia, che creano gravi problemi di competitività alle imprese italiane.
In questo anno, da gennaio 2005 al 2006, l'aumento medio del costo dell'energia è stato del 10,5 per cento. Sappiamo che si stanno operando aggregazioni enormi in questo settore ed Enel o cresce, o verrà assorbita da altri monopolisti - privati o pubblici che siano - che non rispondono alle logiche di programmazione industriale del nostro paese. Francia, Spagna e Germania stanno seguendo questa direzione.
L'acquisizione di Suez da parte di Enel permetterebbe a quest'ultima di collocarsi in una dimensione considerata di sicurezza in Europa, cioè nel gruppo di testa del settore, anche perché si tratta di due aziende complementari nei mercati e nei prodotti e non si riscontrano grandi sovrapposizioni.
Anche qui sorge un problema: ossia, il problema principale. Enel è disposta a operare e a crescere, avendo però dei riferimenti importanti che rispondono all'interesse collettivo? In altri termini, è disponibile a discutere con noi, con gli organi competenti, con il Ministero delle attività produttive, di come l'Italia può rispettare i parametri di Kyoto nella fabbricazione dell'energia? Enel è disposta, all'interno di un piano strategico nazionale, ad aumentare consistentemente le Pag. 122fonti rinnovabili come il fotovoltaico e l'eolico? E, in questo settore, con quali investimenti intende operare in Italia e in quanto tempo? Enel è disponibile a programmare anche un percorso che si ponga come obiettivo, oltre alla propria crescita, anche la riduzione dei costi della bolletta per gli utenti, i lavoratori, i pensionati e le imprese? In quanto tempo e con quale progressione intende farlo?
Ecco che diventa chiaro il ruolo fondamentale del Governo italiano nel rapporto con Enel e nei confronti del Governo francese. Non chiediamo che il Governo italiano riporti la Gioconda in Italia, ma almeno che si faccia rispettare quando si discute di politica industriale e di reciprocità. Quindi, chiediamo che sia fatto valere, senza trucchi, il principio di reciprocità verso il Governo francese e domandiamo, altresì, che l'interesse nazionale rappresenti un punto di riferimento per la predisposizione del piano energetico italiano. Riteniamo giusto, infine, che le aziende nazionali abbiano la possibilità e l'occasione di crescere in Europa avendo punti di riferimento certi, vale a dire quelli dettati dall'Unione europea.
È chiaro, dunque, il motivo per cui una forza come Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si ponga tale problema. Sappiamo, infatti, che si tratta di difendere gli interessi dei lavoratori, dei pensionati, degli artigiani e di quegli imprenditori che rispettano le regole partendo dall'ultimo anello della catena. La concorrenza di un sistema economico, la buona occupazione a tempo indeterminato ed imprese che funzionano vengono realizzate se un sistema paese reagisce alle sfide pensando alla propria dignità industriale. Vorrei rilevare che tale dignità si difende intervenendo non sul costo del lavoro, ma su quello di altri fattori, come ad esempio l'energia elettrica ed il gas.
In conclusione, quindi, chiediamo che, una volta approvato il disegno di legge in esame, si proceda celermente a discutere, di fronte al paese, il piano energetico nazionale, coinvolgendo tutte le imprese operanti nel settore e dichiarando quale sia l'interesse nazionale da tutelare. È necessario affrontare temi fondamentali per l'interesse collettivo, come ad esempio i limiti di inquinamento stabiliti dalla Conferenza di Kyoto.
Vogliamo, inoltre, che le fonti energetiche alternative rappresentino veramente un investimento strategico, così come accade, ad esempio, in Germania e che tale politica conduca alla riduzione dei prezzi e delle tariffe. Non crediamo a tutti quei soloni che spiegano che, attraverso la liberalizzazione e la privatizzazione nei settori economici, sia possibile disporre di strumenti efficaci per rendere il nostro sistema economico competitivo; infatti, come abbiamo visto, esiste il rischio di passare da un monopolio pubblico ad uno privato, come dimostra l'esempio delle autostrade. Si rischia, in altri termini, di cedere alle multinazionali la decisione su quanto il sistema economico italiano può competere, a quale livello e con quali possibilità.
Credo, pertanto, che il Governo italiano abbia di fronte a sé un'occasione importante: quella di farsi valere in sede europea, chiedendo regole uguali ed esigendo che valgano anche per altri paesi. Non basta, infatti, ciò che è già scritto, vale a dire che, qualora altri soggetti violassero le regole vigenti, allora noi faremo valere, attraverso il Presidente del Consiglio, il cosiddetto interesse nazionale. Se viene rimosso il limite al 2 per cento dei diritti di voto di EDF (perché, altrimenti, subiremmo sanzioni che non è giusto pagare), dobbiamo tuttavia ragionare rapidamente sul modo con cui sostituire tali vincoli.
Questi limiti sono stati sostituiti, nel recente passato, dal principio di reciprocità (ed ho provato a dimostrare che tale reciprocità non esiste) e dall'idea di interesse nazionale, anche se vorrei osservare che, in tal modo, si rischia di non stare al passo con i tempi seguiti dai processi finanziari relativi alle aggregazioni di grandi aziende.
È necessario affrontare, quindi, la questione del modo in cui l'energia italiana debba essere offerta ai cittadini, ai lavoratori, ai pensionati ed alle imprese a prezzi inferiori rispetto a quelli attuali, Pag. 123rendendo le nostre aziende protagoniste del perseguimento di tale obiettivo. Come ciò si debba realizzare è un problema che affronteremo sia nel dibattito sulle grandi scelte, sia in quella discussione del piano energetico nazionale che, con grande determinazione, invochiamo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saglia. Ne ha facoltà.
STEFANO SAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il provvedimento al nostro esame si conclude una vicenda che ritengo non sia banale nella storia economica del nostro paese. Si tratta, infatti, di una norma che era stata elaborata dall'esecutivo presieduto da Giuliano Amato proprio nelle ultime settimane della sua attività governativa.
Si decise, di fronte all'OPA lanciata su Montedison da parte di Italenergia Bis, all'interno della quale vi era una partecipazione consistente di Electricité de France, di congelare il diritto di voto in assemblea al 2 per cento. Fu una scelta che fece discutere sia in Europa sia in Italia. L'allora Presidente del Consiglio, Amato, decise di contattare i rappresentanti del Governo Berlusconi che si stavano insediando, per decidere assieme se questa misura fosse adeguata rispetto al problema che si andava evidenziando.
La FIAT entrò in quest'operazione. Si disse all'epoca, nel 2001, che avrebbe garantito la continuità italiana. Tutti sapevano che, per le ragioni finanziarie successivamente emerse, la FIAT non sarebbe riuscita a mantenere questo impegno, tant'è che successivamente la FIAT è uscita dal capitale di Italenergia, con una somma consistente, facendo una grossa operazione finanziaria, all'incirca intorno ai due miliardi di euro.
Oggi dunque rimuoviamo definitivamente questo vincolo; un vincolo che riguarda le imprese dominanti nel mercato domestico, che vanno a fare operazioni finanziarie e industriali al di fuori dei propri confini. Lo facciamo dopo aver già modificato precedentemente il provvedimento in materia, perché appunto il decreto-legge n. 192 del 2001 è stato modificato dal decreto-legge n. 81 del 2005. Quello che abbiamo denunciato nel dibattito in Commissione è che la relazione governativa di accompagnamento al disegno in esame è insufficiente, innanzitutto perché non si può ritenere che quel provvedimento venga abrogato solo ed esclusivamente per ragioni relative alla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia europea. Abbiamo l'esperienza degli anni passati, laddove ogni volta che si evocava questo provvedimento - quando si parlava di alcune possibili sue modifiche o della possibilità di implementarlo o di eliminarlo -, corrispondeva una trattativa che era in corso fra i due paesi, fra l'Italia e la Francia.
Quindi noi oggi chiediamo al Governo di evidenziare in sede di replica quale sia lo stato delle trattative in corso, sia per quanto riguarda il tema dei rapporti bilaterali Italia-Francia, sia per quanto riguarda l'approccio che sta portando avanti il Governo Prodi nei confronti della politica energetica internazionale. Proprio ieri abbiamo letto una dichiarazione del Presidente del Consiglio, Prodi, il quale, a margine dei lavori del G8 - che avrebbe dovuto occuparsi principalmente dell'energia e che la crisi internazionale ha portato su altri temi, ma che poi si è occupato ovviamente anche di politica energetica -, ha dichiarato: siamo interessati alla discesa a valle di Gazprom, a prescindere dal partner che sceglierà; per questo non ho parlato né di ENI, né di Enel o di municipalizzate, ma questo deve avvenire a patto che corrisponda una salita a monte dei nostri protagonisti.
Questo significa che evidentemente il rapporto con il principale fornitore di gas nel nostro paese, che ha comportato in passato, nel precedente inverno, problemi dal punto di vista della tenuta dell'approvvigionamento di gas e quindi del riscaldamento e della tenuta produttiva degli impianti, oggi è di fronte ad una trattativa internazionale che il Governo Prodi sta conducendo. Il Governo Prodi dice che Pag. 124Gazprom è benvenuta in Italia, che può distribuire direttamente il gas nel nostro paese, ma che non abbiamo ancora deciso se ciò deve passare attraverso le nostre aziende nazionali o se può farlo direttamente.
Questo è un fatto nuovo ed importante, che riguarda il nostro dibattito, perché la concorrenza e il tema delle liberalizzazioni, che si è evidenziato in questi anni, ha riguardato solo ed esclusivamente il mercato unico dell'energia a livello europeo, senza curarsi invece del grande confronto concorrenziale dell'Europa con il mondo. Quindi abbiamo di fronte giganti come Gazprom, che vogliono venire a distribuire direttamente il gas nel nostro territorio. Abbiamo poi di fronte l'altro grande nostro fornitore di gas, che è l'Algeria. Il Parlamento algerino, proprio nelle ultime settimane, ha deciso un'altra svolta storica: ha rimesso in discussione la privatizzazione delle attività di upstream dei giacimenti e sta andando verso una rinazionalizzazione dei giacimenti delle materie prime.
La situazione quindi è piuttosto complessa ed è necessario che il Governo la affronti con grande realismo e senza approcci ideologici. Lo dico pur essendo favorevole e avendo lavorato nella precedente legislatura a favore del tema delle liberalizzazioni. In ogni caso, oggi abbiamo di fronte uno scenario internazionale che, come dicevamo, ci pone nella condizione di dover guardare sia la concorrenza interna al mercato europeo sia la concorrenza esterna dell'Europa nei confronti del mondo. Oltretutto, ci troviamo in uno scenario all'interno del quale il mercato unico dell'energia non si è compiuto. Noi, addirittura, abbiamo una Commissione europea che ha messo in mora 17 Stati membri - quasi tutti - per non aver recepito le prime due direttive nel campo dell'energia elettrica e del gas. Abbiamo di fronte un interlocutore, la Francia, che è stata messa in mora dalla Commissione europea perché ha deciso, attraverso una legge dello Stato, di subordinare ad una preventiva autorizzazione l'acquisizione da parte di investitori stranieri di un terzo e più del capitale sociale di società francesi operanti in undici settori sensibili, tra i quali l'energia. Quindi, si è trattato di una scelta altamente protezionista, che ha eletto undici settori simbolo nei confronti dei quali, per poterli rendere oggetto di attenzione finanziaria da parte di società europee od estere, ci si trova addirittura nella condizione di dover impedire e, quindi, di dover rilasciare una preventiva autorizzazione.
Noi siamo convinti che la rimozione di questo limite del 2 per cento proposto dal provvedimento in esame rappresenti il compimento di un percorso, ma che anche quest'ultimo debba essere più trasparente.
Il Governo deve comunicare al Parlamento qual è lo scenario nel quale si sta muovendo sia sul fronte internazionale extraeuropeo sia nell'applicazione dell'accordo che venne stipulato con la Francia il quale, come alcuni colleghi sottolineavano, prevedeva una serie di iniziative.
Inoltre, vale la pena ricordare che, recentemente, il 15 giugno, Endesa ha presentato alla Commissione europea (direzione generale sulla concorrenza), al Governo italiano ed alle autorità di regolazione del nostro paese un ricorso contro l'accordo tra Enel e EDF per l'ingresso nel mercato francese del gruppo italiano.
Bisogna capire se il Governo, alimentando il dibattito sulle liberalizzazioni, intende orientarsi verso un'opzione esclusivamente mercatista: teoricamente, quindi, lo stesso non dovrebbe neppure mettersi nella condizione di far violare le norme europee sulla concorrenza e non dovrebbe neppure preoccuparsi dei rapporti bilaterali Italia-Francia, ma dovrebbe scegliere la strada principale, facendola rispettare attraverso le decisioni di Bruxelles in una proiezione esclusivamente di libera concorrenza di mercato. Quindi, o comportarsi così o avviare un intervento statale riguardante i rapporti bilaterali delle imprese energetiche; in questo caso, è necessario chiarirsi sulla linea che il Governo intende seguire. È evidente, infatti, come gli accordi tra Stati producono delle norme inevitabilmente anticoncorrenziali; in questo caso, non ci Pag. 125si può ergere a paladini del liberismo. Comunque, se si scegliesse l'altra strada, in un mercato dove la reciprocità è assolutamente inesistente e le asimmetrie tra i mercati nazionali sono evidenti, non vi sarebbe la possibilità di immaginare un percorso che non veda qualcuno soggiacere alla dominanza di qualcun altro.
Siamo di fronte a questi interrogativi, quindi ripetiamo che per il Governo non può esser semplicistica la strada che intende sottolineare come questo provvedimento deve essere rimosso, perché non si è nelle condizioni di poterlo sostenere di fronte ad un contenzioso con l'Unione europea che potrebbe produrre una multa.
Vogliamo sapere qual è lo stato della trattativa in corso fra l'Italia e la Francia nell'applicazione di quel protocollo che si ricordava in precedenza riguardante la collaborazione in campo energetico.
Vogliamo, inoltre, conoscere lo stato dei rapporti con la Russia e quali aspettative vi siano, anche in relazione alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e se Enel ed Electricité de France stiano arrivando ad un'intesa e se essa contrasti con le norme concorrenziali o se avvenga nell'interesse del paese e dell'azienda.
Vogliamo che il Governo si ponga al più presto questi interrogativi, perché riteniamo che la politica energetica possa essere condivisa se ne è condiviso il percorso e la sua elaborazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge all'ordine del giorno, per cui l'Assemblea aveva deliberato l'urgenza il mese scorso, risulta, come è emerso anche nel corso dell'esame in Commissione, un atto dovuto alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Tutti noi abbiamo ben chiara l'importanza della normativa comunitaria nella nostra vita quotidiana, non solo per l'incidenza che ha sulle nostre attività ma, soprattutto, perché il nostro paese deve moltissimo ai vincoli imposti da Bruxelles. Con troppa facilità, spesso, si imputano all'Europa, in particolare alla moneta unica, molte delle responsabilità per le difficoltà economiche che ha attraversato il paese in questi anni. Alcune forze politiche, ora all'opposizione, hanno anche assunto in passato atteggiamenti antieuropeisti; a caccia di qualche voto in più hanno dato corpo ad un sentimento irresponsabile e potenzialmente dannoso per il futuro del paese.
Onorevoli colleghi, fatemelo dire: ricordiamo in quali condizioni erano le «casse» del paese nel 1992 e nel 1993? Se non vi fosse stato il Trattato di Maastricht con i suoi vincoli, se non vi fosse stata la rincorsa e lo sforzo per entrare nella moneta unica, in quali condizioni ci ritroveremmo oggi? L'Europa, cari colleghi, è certamente una risorsa ed una grande opportunità per il nostro paese. Questa consapevolezza è e deve continuare ad essere uno dei principali tratti caratteristici del Parlamento, dell'attuale Governo e del paese.
In proposito, ricordo il costante impegno che caratterizzò già il primo Governo Prodi, accompagnato in particolare dalle capacità dell'allora ministro Carlo Azeglio Ciampi, dei suoi collaboratori, che hanno consentito, insieme agli sforzi compiuti dai nostri cittadini, di raggiungere traguardi inimmaginabili solo fino a poche settimane prima e, alla fine, in fondo al percorso, hanno anche permesso di entrare, tra i primi, nella moneta unica provocando un immediato sollievo alla nostra economia.
Ora, ci troviamo in una situazione simile (non so dire se meno grave), certamente causata da chi ha preceduto il Governo Prodi e - mi rivolgo in particolare al Presidente - forse anche dalla famosa finanza creativa. Nonostante tutto, siamo fermamente convinti che il Presidente Prodi, insieme alla valida squadra di Governo che lo assiste e all'aiuto dei cittadini, sarà in grado di traghettarci fuori da questa nuova impasse economica, rimediando ancora una volta ai danni prodotti da cattive gestioni.
Troppo spesso, infatti, il nostro paese si è distinto per il mancato recepimento e Pag. 126rispetto della normativa comunitaria ed è proprio per questo motivo che l'Italia dei Valori esprime, oggi, apprezzamento per il Governo Prodi, che con il disegno di legge in esame dimostra di avere a cuore il rispetto, come paese, della normativa comunitaria.
Inoltre, i termini per l'adeguamento alla normativa comunitaria, e da ciò la necessità della dichiarazione d'urgenza, erano scaduti lo scorso 5 giugno e, in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui chiediamo sacrifici ai cittadini per il risanamento dei conti pubblici, sarebbe veramente clamoroso sperperare denaro pubblico nel pagamento delle sanzioni pecuniarie derivanti dall'inadempimento del nostro paese.
Il disegno di legge al nostro esame riguarda il tema dell'energia. Credo che sarà opportuno aprire un dibattito su una tematica così delicata, anche e soprattutto per il costo che andiamo a sopportare insieme ai nostri cittadini, che tanti problemi ha creato negli ultimi anni al paese. Non posso non pensare a quel black out notturno del settembre 2003, che lasciò la penisola al buio per troppe ore e poi ancora a tutti gli allarmi lanciati all'inizio di ogni estate dal gestore della rete elettrica. Ma la deliberata urgenza è dovuta alle motivazioni già ricordate. Oggi non ci consente di aprire questo dibattito.
Infatti, il Consiglio ha subito approvato questo disegno di legge per poter fare un passo avanti. La predisposizione del disegno di legge governativo di settore appare comunque auspicabile, anche perché una delle prime potenze mondiali non può permettersi il persistere di problematiche di questo tipo, che alla fine dimostrano una debolezza strutturale inaccettabile.
Una seria politica di buon governo dunque non può prescindere da una costruttiva politica industriale, soprattutto in una realtà come quella italiana che da sempre denuncia carenze con particolare riferimento ad alcune zone del nostro paese, che non riescono proprio a superare una depressione storica. Apprezziamo molto, quindi, l'intenzione del Governo, manifestata nel corso del dibattito che ha accompagnato il provvedimento nella Commissione per le attività produttive, di affrontare il problema energetico partendo dalla predisposizione di una seria politica industriale. Sarà su quel terreno che apriremo un confronto produttivo per riuscire là dove chi ci ha preceduto non ha risolto i problemi in campo.
Per tutte queste motivazioni preannuncio il voto favorevole dell'Italia dei Valori e l'espressione di un convinto apprezzamento nei confronti della politica del Governo, in particolare della linea intrapresa con riferimento al provvedimento oggi in esame.
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Allasia e Lazzari, iscritti a parlare: s'intende vi abbiano rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Affronti. Ne ha facoltà.
PAOLO AFFRONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame si inserisce nel complesso tema della liberalizzazione e della reciprocità. Le disposizioni contenute nel disegno di legge rappresentano, infatti, una soluzione contingente al problema più vasto di una effettiva liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica e del gas nel nostro paese, che verrà affrontato dal Governo con il disegno di legge a firma del ministro Bersani, già deliberato dal Consiglio dei ministri. Quando discuteremo quel provvedimento, auspichiamo che si possa affrontare in modo sistematico il problema di un organico riordino delle politiche energetiche nazionali; un reale processo di realizzazione che richiede infatti sin dall'inizio della legislatura grande determinazione e l'adozione di provvedimenti di carattere strategico.
In questo senso, occorre ricordare la debolezza delle politiche energetiche del Governo precedente, caratterizzate spesso dalla estemporaneità degli interventi, affidati in larga misura a decretazione d'urgenza, nonché all'assenza di una visione organica dei problemi connessi alla sostenibilità economica e alla compatibilità ambientale dell'approvvigionamento energetico.Pag. 127
Nella passata legislatura si sono spese molte parole e poco si è realizzato. Il Governo precedente ha brillato per poca progettualità e per qualche black out, i cui effetti sono stati finalizzati alla emanazione di decreti-legge, che hanno consentito la produzione di energia in deroga alle norme sulle emissioni in atmosfera e in danno al territorio.
Tornando al merito del provvedimento in esame, esso prevede, in adempimento alle richieste della Commissione europea, l'abrogazione dei decreti-legge n. 192 del 2001 e n. 81 del 2005, non soltanto per evitare sanzioni pecuniarie, ma anche e soprattutto per garantire all'Italia una apertura effettiva del mercato, consentendo quindi la partecipazione alla gestione e al controllo delle nostre imprese, secondo i principi generali relativi all'esercizio del diritto di voto nelle società in condizioni di parità con la politica di liberalizzazione internazionale.
Il decreto-legge n. 81, infatti, sbloccava il tetto del 2 per cento ai diritti di voto della società francese Électricité de France in Edison, che era stato introdotto nel 2001 dal Governo Amato per tutelare l'interesse nazionale nel corso del tentativo di scalata dell'allora Montedison da parte di EDF. Tali limiti al diritto di voto erano stati imposti con il decreto-legge n. 192 del 2001 in un contesto del tutto diverso dall'attuale. L'obiettivo del Governo era quello di impedire un'operazione da parte di un soggetto straniero pubblico nei confronti del secondo gruppo elettrico italiano in assenza di ogni condizione di reciprocità.
Già nel 2001 queste erano norme che non avremmo mai voluto fossero emanate, ma le stesse erano conseguenza logica di quella che l'allora commissario Monti definiva eufemisticamente asimmetria tra i diversi livelli di apertura nei mercati dell'elettricità e del gas dei paesi membri dell'Unione europea. Erano norme che avremmo quanto prima dovuto eliminare sia per quello che esse certificavano, cioè gli squilibri gravi di mercato, sia perché avremmo conseguentemente voluto vedere approvate a livello europeo nuove norme che definissero reali condizioni di tutela dei mercati liberi e liberalizzati.
Eravamo consapevoli che ciò non era utile per l'immagine del nostro paese. Già nel 2001 era stato sollecitato ed avvertito il Governo che bisognava mettersi a lavorare da subito per abolire quelle norme che allora erano state introdotte per stato di necessità. Al contrario, il Governo precedente ha continuato a legiferare senza tener conto che, soprattutto in un settore delicato e specifico come quello dell'elettricità in cui esistono difficoltà, abbiamo offerto un'immagine non perfettamente serena e rispettosa dei regolamenti che noi stessi contribuiamo a predisporre a livello europeo, ma ciò fa parte di quel discorso di credere scarsamente nell'Europa, come è stato accennato prima.
Profonde e radicali trasformazioni hanno infatti investito nell'ultimo decennio l'intero settore sotto la crescente pressione di istanze di sviluppo e di liberalizzazione provenienti per un verso dai settori economici e produttivi nazionali e, per un altro verso, dall'Unione europea attraverso i vincoli di armonizzazione comunitaria. Interpretando tali istanze i Governi di centrosinistra avevano promosso un'estesa riforma del settore energetico mirata, in primo luogo, ad accrescere l'efficienza e la competitività nei mercati nazionali, anche attraverso l'avvio della privatizzazione dell'ENI e dell'Enel. Il principale punto di approdo di quel processo di riforma aveva coinciso, nella XIII legislatura, con l'emanazione dei cosiddetti dei decreti Bersani e Letta con i quali si è, di fatto, avviata la liberalizzazione dei mercati rispettivamente dell'energia elettrica e del gas naturale.
Restano ancora da affrontare compiutamente le questioni sia delle dotazioni energetiche e del parco di generazione, cioè il problema della produzione dell'energia nazionale, sia della definizione di norme di indirizzo idonee a risolvere, quanto meno nell'immediato, il consistente contenzioso costituzionale con le regioni che si è nel frattempo sviluppato.Pag. 128
Quanto alle misure per favorire l'effettiva liberalizzazione del mercato energetico e garantire la tutela degli interessi generali e collettivi, l'aspetto cruciale rimasto tuttora aperto è quello dei costi dell'approvvigionamento energetico per le imprese e per i cittadini, costi ancora troppo alti. Non può infatti trascurarsi come la debolezza del nostro sistema risenta anche dell'elevata incidenza fiscale e della scarsa efficienza degli impianti produttivi di energia. Basti ricordare che le accise sui prodotti petroliferi arrivano a circa il doppio del valore della produzione.
Oggi una famiglia italiana paga quasi il 50 per cento di luce in più della media europea e tale sistema tariffario svantaggia ovviamente tutte le famiglie meno abbienti. Il divario con le tariffe europee aumenta ancora di più nel settore del gas, gravato da un'imposizione fiscale pesantissima, senza parlare del problema delle imprese. Di fronte a questi dati, non a parole ci stiamo occupando delle imprese e dei cittadini consumatori. Dobbiamo garantire una sovracapacità di approvvigionamento che ci consenta di avere la sicurezza dell'energia e, possibilmente, anche di ridurre i prezzi: questo ha detto nella recente audizione in Commissione il ministro Bersani. Tuttavia, il mercato dell'energia è europeo: quindi, o si costruisce insieme pian piano un sistema in cui la concorrenza sia equa, oppure non se ne verrà a capo e le nostre famiglie pagheranno sempre il 50 per cento di luce in più rispetto a quelle europee.
I processi di liberalizzazione e di apertura dei mercati sono, comunque, i principali catalizzatori di quel meccanismo virtuoso che, tramite la competizione, conduce alla discesa dei prezzi e, di conseguenza, all'accresciuta competitività delle imprese. Tuttavia, sappiamo che non basta affidarsi al mercato per ridurre le tariffe elettriche ed energetiche: da solo il mercato non è in grado di assicurare il funzionamento più efficace del sistema energetico. Non si può, quindi, fare quello che il Governo precedente ha fatto nella passata legislatura, cioè rinviare le scelte strategiche ed affrontare l'emergenza che tale rinvio inevitabilmente crea.
Infine, l'altra principale sfida della politica energetica nazionale deve consistere nell'integrazione della dimensione ambientale nei suoi obiettivi e nelle sue azioni, nel quadro della messa a punto di una politica energetica che sia duratura. Rimane per il legislatore nazionale l'esigenza di perseguire obiettivi specifici, che mirino a conciliare la competitività, la sicurezza dell'approvvigionamento e la tutela dell'ambiente nel settore energetico.
Le questioni ambientali sono ormai imprescindibilmente legate agli aspetti della nostra vita; il rispetto dell'ambiente e la sua conservazione sono un obbligo fondamentale a cui nessuno deve sottrarsi. A questo proposito, la politica energetica dovrebbe essere indirizzata ad identificare gli strumenti più idonei, ad incentivare le forme di risparmio energetico, a favorire la produzione energetica proveniente dall'uso delle fonti rinnovabili e a promuovere la ricerca e l'innovazione tecnologica di fonti energetiche che garantiscano una maggiore tutela ambientale.
Rispetto sì, ma senza esasperazioni, altrimenti ogni provvedimento non troverà mai sbocco positivo e finiremo per subire passivamente le decisioni di altri. In definitiva, noi Popolari-Udeur crediamo che il Parlamento debba riappropriarsi del controllo della politica energetica e legiferare di conseguenza, al fine di affrontare al più presto il tema di una seria politica industriale, che è strettamente legata a quella energetica. Dobbiamo inoltre cercare di comprendere le cause che portano le nostre famiglie e le nostre imprese a pagare una bolletta energetica molto più alta dei nostri partner europei ed agire prontamente per eliminare questa odiosa sperequazione che agisce come una palla al piede del nostro sviluppo economico (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bernardo. Ne ha facoltà.
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MAURIZIO BERNARDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa sera affrontiamo l'esame di un disegno di legge necessario a seguito di una sentenza della Corte di giustizia, che ci porta poi ad osservare il dispositivo ed entra anche nel merito, secondo la Comunità europea, di una violazione dell'articolo 56 del Trattato istitutivo della stessa.
Mi riferisco alla parte che riguarda la libera circolazione dei capitali ed a quanto il precedente Governo decise di fare su una materia estremamente delicata. Tra l'altro, ho anche avuto occasione di leggere la prima e - successivamente, a fine legislatura - la seconda relazione della X Commissione sullo scenario delle politiche energetiche e di ciò che ha prodotto il precedente Parlamento, trovando anche una comunione di intenti da parte dei gruppi che lo rappresentavano allora.
Per quanto riguarda gli argomenti, i colleghi che mi hanno preceduto sono entrati nel merito di ciò che hanno significato i due decreti-legge, il primo approvato nel 2001 ed il successivo nel 2005, provvedimenti d'urgenza successivamente convertiti in legge, rispetto alla sospensione automatica del diritto di voto, e su ciò che il Governo Berlusconi immaginava di dover sostenere, difendendo il sistema paese ed immaginando che quella reciprocità di cui tanto si parla in questo periodo si potesse poi attuare attraverso provvedimenti di legge importanti, che difendevano posizioni italiane rispetto ad uno scenario che andava oltre i confini nazionali.
Oggi discutiamo di un argomento estremamente delicato, che già in diverse occasioni, in queste ultime settimane, ha avuto modo di essere approfondito in occasioni quali il workshop dell'Aspen Institute, il forum promosso dall'Economist e - non ultimo, e forse ancor più importante - il G8, occasione, quest'ultima, in cui sul tema delle politiche energetiche il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha avuto modo di soffermarsi, mettendo in evidenza anche le preoccupazioni espresse in alcune occasioni temporali a noi vicine - mi riferisco a ciò che stiamo vivendo oggi ed a ciò che potrebbe accadere nel corso dei prossimi mesi -, ossia che si possa verificare un disagio qualora non fossero poste in essere iniziative importanti e vere da parte di questo Governo riguardo ai temuti black out che nel corso degli anni, purtroppo, si sono già verificati.
Ciò anche perché dobbiamo comprendere le esigenze che il nostro paese ha in funzione della necessità di disporre di infrastrutture migliori. Mi riferisco all'esigenza di nuovi rigassificatori, di linee di interconnessione tra i paesi europei - quindi, in una visione globale dell'Europa e non in una visione di singolo paese o di rapporto di reciprocità tra lo Stato italiano ed un altro Stato -, di nuovi accessi al gas, nonché alla capacità di coniugare la tutela ambientale con la sicurezza energetica, aspetto, quest'ultimo, che comporta anche la necessità di diversificare le fonti di energia.
Devo anche aggiungere che non bisogna dimenticare - lo ricordavano alcuni colleghi che mi hanno preceduto - quali siano i canali di approvvigionamento - mi avvio alla conclusione - che riguardano, in particolar modo, quattro linee. Mi riferisco ai quattro metanodotti che contribuiscono alle esigenze del sistema paese, segnatamente a quelli provenienti dalla Russia, dall'Algeria, dalla Svizzera e dalla Libia. Ormai da diverse settimane, anche nel corso dell'audizione svolta con la partecipazione del ministro Bersani, si parla di comprendere meglio ciò che si potrebbe verificare riguardo a Gazprom, oltre a ciò che potrebbe nascere, e con quali realtà imprenditoriali italiane. Mi riferisco ad ENI, ad Enel ed alla grande aggregazione delle utilities, che forse anche l'onorevole Ruggeri ricordava in precedenza.
Il DPEF, a proposito proprio delle aggregazioni di utilities su materie che riguardano le politiche energetiche è certamente un motivo di riferimento. Resta da capire, da parte del Governo, quale sia l'intenzione reale della Russia e del colosso russo Gazprom, che ha ambizioni, più o meno legittime, di inserirsi nel mercato italiano. D'altro canto, vi è l'esigenza di entrare nel sistema di produzione e di estrazione. Ciò, anche perché parliamo Pag. 130di costi e di tariffe e di quanto le famiglie italiane e le nostre imprese devono sopportare in termini di costi fissi, con ripercussioni sulla competitività, argomento necessariamente collegato alla situazione del sistema energetico.
Pertanto, ritengo - e concludo - che esista la necessità per il Governo di intraprendere una politica di continuità rispetto al quinquennio precedente. Si deve evitare che gli interventi realizzati in altri Stati membri della Comunità europea e consistenti nel non lasciare gli spazi necessari alle imprese italiane possano verificarsi anche nel nostro Stato. È un discorso che non riguarda soltanto il sistema energetico, il sistema elettrico o del gas; quella reciprocità - che però la Corte a volte ha ricordato essere limitata a questioni riguardanti l'azionariato di impresa, e non ad un mercato vero - porta poi alcuni paesi a non rispettare delle regole che dovrebbero essere di tutti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione europea ha deciso di invitare formalmente l'Italia a modificare la legislazione sull'esercizio dei poteri speciali nelle società privatizzate. La Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia in quanto ritiene che alcune disposizioni della normativa italiana riguardanti gli investimenti nelle società privatizzate costituiscono restrizioni ingiustificate alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento in violazione delle norme del Trattato istitutivo della Comunità europea. Mi riferisco all'articolo 56 ricordato dall'onorevole Bernardo e, anche, all'articolo 43.
I diritti speciali, anche conosciuti come golden share, sono usati dai Governi per mantenere il controllo sulle imprese privatizzate, riservandosi diritti che vanno oltre quelli derivanti dalla normale partecipazione azionaria. Tali diritti, inoltre, permettono ai Governi di bloccare eventuali OPA, di limitare il diritto di voto e di opporre il veto ad importanti decisioni aziendali.
Il Trattato europeo consente eccezioni per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica, salute pubblica e difesa; pertanto, l'obiettivo di proteggere alcune attività economiche può essere accertabile in casi specifici. La Commissione ha giudicato, però, eccessivo l'uso dei poteri speciali previsti dalla normativa italiana per raggiungere tali obiettivi; ha ritenuto che i criteri per l'esercizio di tali poteri siano vaghi e di portata indeterminata e pertanto danno al Governo italiano ampi poteri discrezionali nel giudicare i rischi per gli interessi vitali dello Stato. Ha ritenuto inoltre che le preoccupazioni di interesse pubblico, vale a dire garantire la fornitura di alcuni servizi di interesse generale, avrebbero potuto essere prese in considerazione mediante disposizioni alternative meno restrittive.
Comunemente, viene sostenuto che, dalla CECA all'Euratom, il progetto europeo è nato con il pretesto dell'energia; ancora comunemente, viene sostenuto che tale progetto rischia di perdere credibilità proprio a causa dell'atteggiamento protezionistico dei paesi membri del mercato energetico.
Eppure, noi sappiamo che il caso italiano non è unico e che numerosi, importanti paesi partner hanno sollevato il problema degli interessi vitali dello Stato. Ciò è accaduto, come si legge nelle recensioni ufficiali di siti di informazione europei, quando il 21 febbraio 2006 il colosso energetico tedesco E.On ha lanciato un'offerta di pubblico acquisto, l'OPA, su Endesa, importantissima società energetica spagnola operante sostanzialmente nel settore dell'elettricità. L'ingresso «a gamba tesa» dei tedeschi rappresenta un vero e proprio colpo di scena nella partita per la conquista della società madrilena e rischia di far sfumare il sogno del Governo spagnolo di dar vita ad un campione energetico nazionale. Le regole del gioco internazionali sono determinanti ma devono essere compatibili con ragionevoli interessi nazionali. Così si può sintetizzare la reazione del Presidente del Consiglio spagnolo Pag. 131Zapatero: «Comprendo perfettamente la volontà della Germania di avere un'impresa forte nel mercato nazionale, ma tutto il mondo deve capire che la Spagna vuole avere un'impresa forte nel settore energetico e nel mercato internazionale».
Zapatero ha messo a punto, in un arco di tempo veramente limitato - cosa che, credo, non siamo capaci di fare noi - un'efficace strategia di contrattacco, facendo approvare dal Consiglio dei Ministri alcuni provvedimenti legislativi in grado di impedire l'entrata del gigante tedesco nel settore energetico spagnolo, attraverso l'acquisto di Endesa.
Il primo provvedimento, il più criticato - e non solo a livello internazionale - ha comportato un ampliamento dei poteri della Commissione nazionale per l'energia, la CNE. Il Consiglio dei Ministri ha approvato la modifica della cosiddetta «funzione 14», in base alla quale è riconosciuto alla CNE il potere di esprimere il suo giudizio sulle operazioni di acquisizioni suscettibili di colpire gli interessi pubblici e strategici ed eventualmente di bloccare tale operazione ponendo il veto. La sfida dell'energia tra Germania e Spagna ha immediatamente mobilitato l'Europa. Agli scontri verbali hanno fatto poi seguito una serie di iniziative da parte della Commissione europea che non solo il 4 aprile scorso ha rinviato il Governo iberico alla Corte di giustizia per la legge spagnola del 1999, la quale viene considerata incompatibile con la legislazione comunitaria, ma ha anche aperto il 3 maggio scorso una procedura di infrazione contro la Spagna nella vicenda di E.On-Endesa. Si richiede a Madrid di modificare il decreto che, adducendo ragioni di sicurezza e di stabilità del sistema, conferisce alla CNE poteri di veto speciale riguardo ad operazioni volte a minacciare gli interessi strategici della Spagna.
Stesso discorso riguarda la Francia sul caso della golden share dello Stato nella Société Nationale Elf Aquitaine, per cui la Francia è stata condannata dalla Corte di giustizia, come l'Italia. In questo caso, il Governo francese ha sostenuto che l'approvvigionamento di prodotti petroliferi in caso di crisi sia garantito, da un lato, dal diritto alla requisizione delle riserve di petrolio grezzo della Société Nationale Elf Aquitaine all'estero e, dall'altro, dalle procedure di autorizzazione volte a mantenere in Francia il centro decisionale di tale società, che rientra nella pubblica sicurezza.
La tesi francese è quella che i prodotti petroliferi sarebbero essenziali per l'esistenza di uno Stato, poiché da essi dipenderebbe non solo il funzionamento della sua economia, ma soprattutto quello delle sue istituzioni e dei suoi servizi pubblici essenziali e, perfino - come nel caso della Francia - la sopravvivenza della popolazione.
Un'interruzione delle forniture dei prodotti petroliferi - e noi ne sappiamo qualcosa con la crisi ucraina - e i rischi che ne derivano per l'esistenza dello Stato potrebbero pertanto compromettere gravemente la pubblica sicurezza, a maggior ragione in quanto la Francia, in questo settore, dipende ampiamente dalle importazioni. Infatti, in caso di crisi grave, la Francia potrebbe efficacemente garantire la sicurezza dei suoi approvvigionamenti di prodotti petroliferi solo procedendo alla requisizione delle riserve di petrolio greggio che la Société Nationale Elf Aquitaine detiene all'estero; ciò sarebbe tuttavia possibile solo qualora il centro decisionale di tale società sia mantenuto in Francia. Non è secondario neppure il fatto che la posizione francese fosse sostenuta dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda del Nord: mercato unico, interessi nazionali. Siamo quindi di fronte alla solita vecchia tensione che, sin dalla nascita, l'Europa si trova ad affrontare.
Ne è emblematica testimonianza la dichiarazione che il premier spagnolo e quello francese Villepin hanno fatto al termine di un incontro alla Moncloa. Essi hanno assunto una posizione comune contro le accuse di protezionismo, invocando una politica energetica europea fondata sulla creazione di grandi gruppi frutto, però, non di OPA ostili, ma di accordi, e al limite facendo in modo che sia garantita la sicurezza dei rifornimenti.Pag. 132
«Difendiamo l'idea dell'Europa dei progetti ma è vero che vogliamo che questi progetti industriali siano portati a termine sulla base della cooperazione o della decisione amichevole tra i gruppi industriali».
Spagna e Francia sono, quindi, favorevoli ai gruppi europei ma da costituire nella maniera in cui si fanno le cose nell'Unione europea: con il dialogo e il fair play e mediante accordi. Sembra lecito chiedersi: vi è compatibilità fra il concetto di libero mercato e quanto proposto da Zapatero e de Villepin? Qual è la posizione che l'Italia ed il nuovo Governo Prodi dovrebbero sostenere?
PRESIDENTE. Onorevole Barani...
LUCIO BARANI. A ben guardare, vale la pena di soffermarsi a riflettere su un'altra questione che emerge da questa vicenda. Infatti, l'intervento del Governo spagnolo per impedire la realizzazione dell'operazione finanziaria contrasta, certamente, con il principio della libera circolazione dei capitali, affermato già nei Trattati di Roma con l'idea di dare vita ad un mercato unico ed integrato.
D'altro canto, l'acquisizione di Endesa da parte di Eon darebbe vita ad un vero e proprio colosso nel mondo dell'energia. Eon è la prima impresa tedesca del comparto e se l'offerta andrà a buon fine nascerà il più grande gruppo mondiale dell'energia, superando anche la francese EDF. Nascerebbe, così, di fatto, un potentissimo duopolio europeo governato da tedeschi e francesi, che lascerà alle spalle, come dimensioni, tutti gli attuali concorrenti del continente. L'emergere di un vero e proprio gigante nel settore energetico, quale sarebbe Eon qualora acquistasse Endesa, può dirsi compatibile con la creazione di un grande mercato concorrenziale? La liberalizzazione europea ha fatto affidamento, sin dall'origine, sull'idea che si potesse rafforzare la concorrenza all'interno dell'area, ottenendo una significativa diminuzione dei prezzi e rendendo il mercato più efficiente attraverso la moltiplicazione degli attori e l'agevolazione del loro accesso alla rete dell'operazione tradizionale.
È pur vero, come è stato accertato da tempo, che il settore energetico poco si presta ad un tipo di liberalizzazione quale quello sopra descritto. Le imprese energetiche, infatti, devono affrontare costantemente importanti investimenti sia al fine di migliorare e rimodernare le strutture esistenti sia per finanziare la ricerca e lo sviluppo, particolarmente importanti in questo settore. Tra l'altro, avere imprese energetiche rilevanti sul piano internazionale può rappresentare un'esigenza sul piano della sicurezza dei rifornimenti, con importanti implicazioni politiche ancor più che economiche. La questione risulta essere, evidentemente, molto complessa e delicata. Deve essere assolutamente affrontata con attenzione e serietà da parte dei Governi dei paesi membri.
Non è sufficiente, per l'Italia, ottemperare a quanto disposto dalla Corte di giustizia e, quindi, revocare le disposizioni di legge in materia. Non avremmo risolto problema. Infatti, è necessario - e in questo ci attendiamo risposte precise su quanto il Governo Prodi intenderà realizzare - procedere speditamente verso la creazione di una politica energetica comune che tuteli l'interesse di tutti gli Stati. Si tratta di un obiettivo difficilissimo da raggiungere. Infatti, siamo molto distanti da questa prospettiva, forse anche perché siamo lontani dal pensarci europei e dal cercare soluzioni comuni a problemi comuni, con l'intento di ottenere migliori risultati per tutti. L'Europa rimane quel «nano politico» che sta all'ombra del gigante economico.
Per questi motivi ci asterremo dall'esprimere un voto, perché riteniamo che, così facendo, il Governo è spronato a trovare tutte le soluzioni che i nostri cittadini si aspettano. Non possiamo più permetterci, infatti, di dipendere, in campo energetico, dal nucleare francese, svizzero, austriaco o sloveno o dall'approvvigionamento di gas proveniente dai quattro serbatoi e condutture citate dai colleghi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
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LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non pensavo che un provvedimento legato quasi ad uno stato di necessità conducesse ad una discussione generalizzata sul tema dell'energia, come è avvenuto. Vale la pena comunque di svolgere una puntualizzazione, in quanto da questo provvedimento si dovrebbero trarre due o tre considerazioni.
La prima è che partiamo da una politica condivisa, nel senso che sui provvedimenti precedenti - sia il decreto Amato sia il decreto Marzano - entrambe le parti hanno condiviso il percorso. Quindi, si trattava di una norma che tutelava l'interesse nazionale.
Occorre domandarsi se, eliminata la tutela contenuta in tale norma, il sistema Italia è garantito dai venti che sul settore possono abbattersi. Il nostro paese, nel campo della privatizzazione del sistema energetico, è quello che in Europa ha compiuto più passi in avanti. Siamo stati i più bravi di tutti, anche se ciò non ha comportato immediati risultati in ambito tariffario. Ma la motivazione - come sappiamo - è dovuta a ben altri aspetti!
La cosiddetta asimmetria nei mercati dell'energia a livello europeo esiste fortissimamente ed è dimostrata dalla tendenza a costituire monopoli europei rispetto ai vecchi monopoli nazionali. Occorre evitare che ciò avvenga, mentre i grandi movimenti in atto nella politica energetica continentale testimoniano che le aziende egemoni tendono ad impadronirsi dei mercati locali. Pertanto, noi non dobbiamo diventare un mercato locale o, in caso contrario, dobbiamo avere anche la capacità di essere mercato dominante in altri settori della vita strategica del sistema Italia. Altrimenti, il rischio è quello di essere colonizzati.
Vorrei svolgere solo altre due considerazioni, in quanto ormai su questo provvedimento abbiamo già detto moltissimo.
Non so come il Governo intenderà muoversi in questo settore. Non credo che quanto previsto sull'IVA dal decreto Bersani-Visco costituisca la novità più appariscente di una politica energetica da parte del Governo appena insediato, né credo che tale decreto cambierà la strategia per quanto concerne i cosiddetti valori di fondo della politica energetica portati avanti in questi anni.
Ritengo che il problema sia il rapporto che anche questo provvedimento pone in essere, vale a dire come si riesce a contrattare a livello continentale la forza del nostro sistema.
Nella scheda di lettura redatta dal Servizio studi della Camera, si dice che l'abrogazione dei due provvedimenti non toglie, di fatto, la possibilità di tenere in piedi quanto previsto dal comma 29 dell'articolo 1 della legge n. 239 del 2004, riguardante il riordino del settore energetico, in base al quale, fino alla completa realizzazione del mercato unico dell'energia elettrica e del gas naturale, in caso di operazioni di concentrazione di imprese operanti nei mercati dell'energia elettrica e del gas cui partecipano imprese o enti di Stati membri dell'Unione europea, ove non sussistano adeguate garanzie di reciprocità, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro delle attività produttive e di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, può, entro trenta giorni dalla comunicazione dell'operazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, definire condizioni e vincoli cui devono conformarsi le imprese o gli Stati membri interessati, allo scopo di tutelare esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti nazionali di energia.
Agganciandomi a questo aspetto di tutela del sistema energetico italiano, vorrei capire se sia quella indicata la «ciambella» su cui il Governo farà affidamento, appunto, nell'attività futura di tutela del sistema. Se non lo è, pur riconoscendo, ormai, che il mercato dell'energia dovrebbe essere di carattere continentale, il problema è quello di verificare se vi sia, anche nei rapporti bilaterali (in particolare, con quel colosso che, in qualche modo, è oggetto del provvedimento, per la reciprocità convenuta, ma mai dichiaratamente ed apertamente realizzata), una cosiddetta impuntatura.
Varrebbe la pena di verificare perché, se la situazione fosse quella ipotizzata, Pag. 134anche tutti quei progetti che erano stati indicati come fattori di reciprocità da parte di Enel in suolo francese verrebbero meno e ciò indicherebbe un'iniziativa effettivamente povera del nostro paese in materia di tutela di interessi particolari sull'importante scena quotidiana della tutela del servizio energetico nazionale.
Non credo che avremo difficoltà particolari come gruppo, anche se il compito di precisare la nostra posizione sul provvedimento in esame spetterà a chi farà la dichiarazione di voto finale. Tuttavia, attenderemo un segnale preciso da parte del Governo per quanto riguarda gli aspetti che sono stati sottoposti alla sua attenzione da numerosi colleghi, in particolare in ordine a ciò che sarà dopo l'abrogazione di quel 2 per cento che, in qualche modo, era stato congelato dai precedenti provvedimenti.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.