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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROBERTA PINOTTI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1288
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Il provvedimento che giunge oggi all'esame dell'Assemblea è stato discusso in sede congiunta dalle Commissioni esteri e difesa a partire dal 6 luglio. È stato posto alla nostra attenzione all'inizio di una nuova legislatura e ciò ha comportato anche l'opportunità di una riflessione complessiva sugli indirizzi di sicurezza e difesa del nostro paese e sull'insieme degli impegni militari che l'Italia ha nel tempo contratto sullo scenario internazionale. Colgo l'occasione per inviare a nome di tutti i parlamentari delle Commissioni un saluto affettuoso e riconoscente a tutti i nostri militari impegnati nelle missioni all'estero, per la generosità e la professionalità con cui svolgono il loro dovere.
Nella mutata realtà internazionale i concetti di sicurezza interna e internazionale così come le iniziative di politica estera e militari sono sempre più interdipendenti. Ecco quindi l'opportunità di affrontare contestualmente alla discussione di questo provvedimento la discussione e la votazione di atti di indirizzo come quelli presentati ieri in aula, che formalizzino la volontà del Parlamento e diano allo stesso Governo le direttrici strategiche su cui condurre la propria iniziativa sulla base della necessaria legittimazione internazionale nelle sedi e nelle organizzazioni di cui l'Italia fa parte: l'ONU, l'Europa, la NATO. È questo un obbligo che il nostro paese deve sentire vincolante per due fondamentali motivi. Il primo trova la sua ragion d'essere nel nostro dettato costituzionale. L'altro nella spinta che in questa direzione prepotentemente esercitano l'interdipendenza e la globalizzazione dei fattori che condizionano ormai le relazioni tra gli Stati e la politica internazionale. A ricordarcelo ancora una volta, ammesso che ce ne fosse bisogno, è la drammaticità delle immagini che entrano nelle nostre case da Beirut, da Haifa, dalla striscia di Gaza. La stessa agenda del G8 - convocata su temi cruciali per la comunità internazionale quali sono appunto quelli della sicurezza, della lotta al terrorismo, dell'energia, della non proliferazione nucleare - è diventata altra cosa di fronte al rischio concreto di una nuova guerra in Medio Oriente.
Ecco perché vanno quindi sostenuti con forza l'appello del G8 e l'iniziativa avviata dal Governo italiano in quella stessa direzione.
Le «Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali», contenute nell'atto Camera n. 1288, sono state discusse con serietà e larga partecipazione nei lavori di Commissione.
È stato un impegno serio segnato anche da uno sforzo organizzativo che tenesse in conto le diverse emergenze del lavoro parlamentare. Proprio per questo occorre dare atto della buona volontà di tutti i componenti delle Commissioni, che ha consentito di superare le difficoltà procedurali e organizzative per garantire, comunque, tempi adeguati per la discussione, come dimostra il fatto che sono state svolte, nei limiti delle disponibilità degli auditi, tutte le audizioni richieste ed è stato realizzato in video conferenza un collegamento con i comandi militari a Kabul e ad Herat. Durante la discussione in Commissione sono apparse chiare le linee guida di politica estera seguite dal Governo italiano. I rappresentanti del Governo Pag. 138hanno ampiamente illustrato tali linee e sono sotto gli occhi di tutti sia gli elementi di continuità sia quelli di discontinuità con il recente passato. L'Italia sceglie di muoversi nell'ambito degli organismi multilaterali di cui fa parte, facendosi carico delle responsabilità derivanti da un mondo ormai globalizzato, al contempo rifiutando però impegni di tipo unilaterale, nel pieno rispetto, come già detto, del dettato costituzionale.
Va precisato che le norme in discussione hanno un duplice contenuto: da un lato definiscono lo stato giuridico, il trattamento economico e la giurisdizione da applicare al personale inviato nelle missioni internazionali. Dall'altra «autorizzano» la partecipazione delle nostre Forze armate alla missione, definendone lo status internazionale e i compiti principali.
Così è per prassi normativa in uso da tempo. Una prassi legittima che può però essere migliorata ove le due tematiche venissero, dal punto di vista normativo, separate. Non vi è infatti alcuna necessità, dal punto di vista legislativo, di ridefinire periodicamente le norme che regolano gli aspetti del personale (trattamento giuridico ed economico) che, sia detto per inciso, vengono - con la stessa periodicità - riconfermate nei loro contenuti. Questa materia potrebbe quindi essere definita da una legge quadro.
Resta intatta invece l'assoluta necessità di lasciare nelle mani del Parlamento la decisione sulla partecipazione a missioni internazionali, per tutto ciò che riguarda non solo la durata e i compiti, come si è fatto sinora, ma anche gli obiettivi, la valutazione dei risultati, le regole e la legittimazione internazionale dentro le quali può essere consentito l'uso della forza militare.
Desta preoccupazione, infine, nella coscienza giuridica cui è ispirato il nostro stato di diritto il permanere di norme tratte dal codice penale militare di guerra. Risultano presentati emendamenti intesi a sopprimerne l'applicazione nelle missioni Antica Babilonia, Enduring Freedom e ISAF. Mi auguro che l'Assemblea approvi questa soppressione, e rivolgo quindi una precisa sollecitazione al Governo affinché predisponga un provvedimento che, facendo propri i principi e gli istituti del diritto umanitario e i profili di responsabilità dei militari impiegati in missioni armate, senza ricorrere al codice penale militare di guerra, garantisca tutti i soggetti - i militari, i civili e le popolazioni locali - disciplinando organicamente, mediante un apposito codice, i profili penali concernenti le particolari situazioni di impiego dei contingenti militari armati all'estero. Ricordo che i codici in vigore risalgono al 1941.
Nel contenuto, il disegno di legge che stiamo esaminando autorizza la prosecuzione di tutte le missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, che per semplicità possono essere ricomprese in tre grandi gruppi: l'area dei Balcani, Iraq e Afghanistan, altre parti del mondo. Si individua per ciascuna di esse il costo previsto e il termine temporale di differimento e si autorizzano tre nuove missioni. L'articolo 2 del provvedimento stabilisce invece la conclusione della nostra partecipazione militare in Iraq con la missione Antica Babilonia.
Iraq: il provvedimento dispone il rientro del contingente militare e contestualmente la prosecuzione dell'opera di stabilizzazione, ricostruzione e cooperazione e per queste attività stanzia 33 milioni di euro contro i 19 milioni del semestre precedente. Si tratta di uno stanziamento ancora lontano dalle effettive necessità dopo che la guerra e il terrorismo hanno distrutto il paese, ma è la parte di cui si fa carico l'Italia, proprio a concretizzare sotto altre forme la continuità del nostro impegno come concordato con lo stesso governo iracheno. La fine della missione militare in Iraq prevista nel programma elettorale del centrosinistra è stata decisa attraverso un'ampia iniziativa diplomatica che ha coinvolto tutti i soggetti interessati, rinunciando a scorciatoie unilaterali. Il rientro del nostro contingente avviene in un quadro accettato dal governo iracheno e dai nostri alleati e, sul piano operativo, si realizzerà con ordine, avendo attenzione alla massima sicurezza di tutti, secondo Pag. 139modalità decise dai nostri comandi militari, della cui professionalità e capacità abbiamo avuto già ampie prove. Si autorizza, quindi, fino al 31 dicembre 2006, la spesa per la prosecuzione della partecipazione di esperti militari italiani alla riorganizzazione dei Ministeri della difesa e dell'interno iracheni, nonché alle attività di formazione e addestramento del personale delle Forze armate irachene.
In coerenza con gli stessi principi e condividendo le preoccupazioni che molti parlamentari hanno espresso su una situazione di permanente difficoltà in Afghanistan, ritengo che nelle sedi internazionali e negli organismi multilaterali, di cui l'Italia fa parte, debba essere avviata una seria e puntuale riflessione su come continuare ad aiutare quel paese a consolidare l'esperienza democratica appena avviata. C'è bisogno di una forte iniziativa politico-diplomatica. Gli obiettivi proposti dalla risoluzione dell'ONU, di per sé già difficili da raggiungere in un contesto segnato da retaggi tribali e conflitti interni, divengono ancor più problematici perché è in atto un'attività terroristica e larga parte del paese è protagonista e vittima della coltivazione dell'oppio e dei traffici ad essa collegati. La questione dell'oppio, come la situazione di generale instabilità del paese, non può essere sottovalutata ed anzi diventa condizione necessaria per qualunque progetto di ricostruzione e normalizzazione istituzionale e civile del paese.
Tali considerazioni testimoniano l'esigenza di una discussione più approfondita dell'intera situazione afgana in Parlamento e nell'ambito delle organizzazioni internazionali a cui partecipa il nostro paese. È evidente che alla presenza militare deve essere affiancata una più incisiva strategia politica, economica e umanitaria in grado di corrispondere ai bisogni più urgenti della popolazione e alle attese della società afgana.
Le condizioni di sicurezza restano in Afghanistan molto precarie, si sono moltiplicati negli ultimi mesi attentati anche contro obiettivi civili registrando in tal senso una ripresa dell'attività dei gruppi armati e delle milizie talebane che rendono difficili anche gli interventi primari di ricostruzione.
Per quanto riguarda l'Afganistan, si prevede l'autorizzazione fino al 31 dicembre 2006, con una spesa di oltre 136 milioni di euro (quasi 149 milioni nell'ultimo decreto di differimento) per la proroga della partecipazione di personale militare alla missione internazionale International Security Assistance Force (ISAF). La partecipazione italiana a tale missione è iniziata il 10 gennaio 2002.
Ricordo che ISAF è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386/2001 che, come previsto nell'Allegato 1 all'Accordo di Bonn, ha autorizzato la costituzione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'allora autorità provvisoria afghana.
Il mandato iniziale, di sei mesi, è stato successivamente rinnovato dalle risoluzioni nn. 1413/2002, 1444/2002 e 1510/2003. La risoluzione n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prorogare il mandato per un periodo di dodici mesi, autorizza la riorganizzazione delle attività di ISAF. Alla missione prendono parte circa 5.500 uomini di trentuno nazioni diverse, il 95 per cento dei quali provenienti da paesi NATO.
Il contingente italiano ha il compito di provvedere alla sicurezza del Comando della missione e alle attività di bonifica da ordigni esplosivi o da armi chimiche. Esso è costituito, oltre che da unità dell'Esercito e dei Carabinieri di stanza a Kabul, anche da un nucleo dell'Aeronautica militare presente ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti).
Il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell'operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e missione.
La decisione è stata resa operativa 1'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.Pag. 140
La guida politica è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i paesi non NATO che contribuiscono all'operazione. Il vertice NATO di Istanbul di giugno 2004 ha deciso il rafforzamento della presenza militare in Afghanistan, in occasione delle elezioni presidenziali che si sono tenute il 9 ottobre 2004. L'Italia, per consentire lo svolgimento della consultazione elettorale, ha potenziato il proprio contingente con l'invio, da metà settembre a metà novembre 2004, di 500 alpini del battaglione Susa. Da ultimo, il decreto-legge n. 10 del 2006 ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006.
La missione, ora a guida NATO, in linea con le citate risoluzioni dell'ONU, ha il compito di assistere il governo afgano al fine di realizzare e mantenere un ambiente sicuro favorendo lo sviluppo istituzionale e creando le condizioni per estendere l'autorità del governo a tutto il paese.
La missione, inoltre, mira a consolidare le istituzioni politiche afgane e ad accelerare la riforma del settore della giustizia e a promuovere i diritti dell'uomo e lo sviluppo economico e sociale.
La campagna militare che ha portato all'abbattimento del regime talebano è stata condotta dagli Stati Uniti e da una coalizione ad essi collegata con l'operazione Enduring Freedom.
All'operazione partecipano sia paesi dell'Alleanza atlantica sia paesi non facenti parte della NATO. Dopo gli attentati di New York e Washington, il Consiglio atlantico, il 3 ottobre 2001, ha riconosciuto, per la prima volta nella storia dell'Alleanza, le condizioni per l'applicazione dell'articolo 5 del Trattato. Contestualmente il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato due risoluzioni in materia di lotta al terrorismo internazionale: la risoluzione n. 1368 del 12 settembre 2001, che condanna gli attacchi terroristici ed esprime la disponibilità a prendere tutte le misure necessarie per rispondere a tali attacchi; la risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001, che riafferma, tra l'altro, il diritto all'autodifesa. Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano.
L'operazione Enduring Freedom si propone attualmente di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del paese, di definire d'intesa con gli altri paesi della coalizione, gli strumenti necessari a prevenire il riemergere del terrorismo e a supportare le operazioni umanitarie, nonché l'addestramento dell'esercito afgano. In Afghanistan convivono come è noto due missioni: ISAF ed Enduring Freedom, che pur essendo tra loro coordinate, operano con modalità diverse. La prospettiva di una loro unificazione sotto ISAF ha molti aspetti problematici che sollecitano quindi un serio approfondimento a livello internazionale.
Sotto la missione Endurig Freedom sono state svolte attività navali nell'area del mare arabico e del Mediterraneo orientale.
In tal senso è utile precisare che in questo quadro l'Italia ha partecipato all'operazione dal 18 novembre 2001 con un Gruppo navale d'altura composto dalla portaeromobili Garibaldi, da due fregate e da una rifornitrice di squadra. Successivamente, l'impegno italiano si è ridotto prima a due unità (un cacciatorpediniere e una fregata) e poi ad una fregata, la Euro, presente fino al 28 giugno, affiancata per un breve periodo da un'altra unità. Dal 15 marzo al 15 settembre 2003 è stato operativa in Afganistan la Task Force «Nibbio», costituita dal circa 1.000 unità dell'Esercito, con il compito di effettuare attività di interdizione d'area nella zona di Khowst, al confine tra Afganistan e Pakistan, impedendo infiltrazioni di talebani e di terroristi. Si sono alternati nell'area gli alpini della Brigata «Taurinense» ed i paracadutisti della Brigata «Folgore». La situazione operativa in cui furono chiamati ad operare registrò anche nella discussione parlamentare molta preoccupazione.
Dal gennaio 2003 al dicembre 2004 la componente navale italiana ha operato nell'ambito della forza marittima europea Pag. 141EUROMARFOR che, con l'operazione Resolute Behaviour, ha svolto nella zona del Corno d'Africa e del Golfo Arabico compiti di identificazione, sorveglianza e riconoscimento, eventualmente di operazioni di interdizione marittima e operazioni di interdizione della Leadership, nonché di monitorizzazione di eventuali traffici illeciti. Attualmente oltre a 8 uomini dell'Esercito presenti presso il Comando USA di Tampa in Florida, dove ha sede il quartier generale del comando centrale statunitense, che esercita la responsabilità operativa delle forze in campo, è presente nell'area delle operazioni la fregata Euro che, unitamente ad unità delle Marine USA e tedesca, costituisce la Task Force 150 (TF 150) incaricata di svolgere operazioni di interdizione e contrasto navale, controllo del traffico marittimo, scorta di unità della coalizione.
Da ultimo, il decreto-legge n. 10 del 2006 ha prorogato il termine della partecipazione italiana al 30 giugno 2006. Alla data del 5 giugno 2006, il contingente italiano ammontava, oltre ai citati 8 militari dislocati in Florida, a 240 unità della Marina militare.
Il disegno di legge autorizza, fino al 31 dicembre 2006, la spesa di 25.569.180 milioni di euro per la proroga della partecipazione di personale e mezzi della Marina militare italiana alla missione multinazionale già denominata Resolute Behaviour, operante nel quadro della missione Enduring Freedom, e alla missione della NATO Active Endeavour ad essa collegata.
Stando alla relazione governativa, la spesa complessiva della missione sembrerebbe riferita anche alla presenza di una fregata che, soltanto ipotizzata (e quindi non dotata della relativa copertura finanziaria) nel provvedimento di proroga della missione per il primo semestre 2006, è stata di fatto impiegata a partire dal mese di febbraio. Al momento, e più esattamente in data 28 giugno è stata fatta rientrare dal mare arabico la fregata Euro (unità della classe Maestrale con spiccate capacita e dotazioni per il combattimento contro sottomarini, navi e aerei). Sotto la stessa data l'Italia ha assunto, con 1'ammiraglio Ruzitto il comando della 152a task force che opera nel Golfo Persico e sono state schiera due unità: nave Etna (nave appoggio con capacità logistiche ed ospedaliere) e nave Foscari, un pattugliatore armato di un cannone e due mitragliatrici con capacita belliche decisamente minori rispetto a quello dello schieramento precedente.
Per quanto riguarda le altre missioni, ricordo che nel teatro balcanico l'impegno italiano è decisamente considerevole ed anche il più ampio per il numero di personale impiegato che assomma a 3378 unità. Il processo di riorganizzazione politica nei Balcani pone tuttora la comunità internazionale davanti a problemi di non facile soluzione, ma proprio per questo è evidente che appare obbligato un percorso che apra agli Stati che si sono formati dopo la disgregazione dell'ex Jugoslavia la prospettiva e l'opportunità di essere parte dell'Unione europea. È dentro questa cornice che può svilupparsi con successo una iniziativa politico-diplomatica come quella che i1 Governo italiano è impegnato a portare avanti.
Per quanto concerne specificatamente le missioni in atto, in particolare quella nei Balcani, ricordo che quelle sotto comando NATO sono le seguenti: Multinational Specialized Unit (MSU) svolta da carabinieri, insieme ad appartenenti a forze di polizia militare di altri paesi, in Kosovo, con compiti di mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, a supporto delle autorità locali, e per il reinserimento dei rifugiati; Joint Enterprise, svolta da forze militari, nell'area balcanica, con compiti di attuazione degli accordi sul cessate il fuoco, di assistenza umanitaria e supporto per il ristabilimento delle istituzioni civili; Criminal Intelligence Unit (CIU), svolta da carabinieri, in Kosovo, con compiti di intelligence contro la criminalità; Albania 2 svolta in Albania dal 28o gruppo navale, con compiti di sorveglianza delle acque territoriali albanesi, al fine di prevenire e contenere il fenomeno dell'immigrazione clandestina in Italia.Pag. 142
Nel sottolineare come le missioni sotto la responsabilità dell'Unione europea rappresentino anche un significativo banco di prova delle capacità militari dell'Unione di intervenire con risorse proprie, ricordo che esse sono costituite dalle seguenti: ALTHEA in Bosnia-Erzegovina, volta a contribuire al mantenimento delle condizioni di sicurezza per l'attuazione dell'accordo di pace di Dayton; European Union Planning Team (EUPT) in Kosovo, che vede la partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri; Temporary International Presence in Hebron (TIPH 2), dove opera una forza multilaterale con il compito di contribuire alla sicurezza del territorio mediante attività di monitoraggio e osservazione; European Union Border Assistance Mission in Rafah (EUBAM Rafah), con finalità di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah. La missione, collocandosi nel più ampio contesto degli sforzi compiuti dall'Unione europea e dalla comunità internazionale per sostenere l'Autorità nazionale palestinese nell'assunzione di responsabilità per il mantenimento dell'ordine pubblico, è volta a contribuire allo sviluppo delle capacità palestinesi di gestione della frontiera a Rafah, nonché ad assicurare il monitoraggio, la verifica e la valutazione dei risultati conseguiti nell'attuazione degli accordi in materia doganale e di sicurezza; AMIS II, ovvero la partecipazione di personale militare alla missione dell'Unione europea di supporto alla missione dell'Unione africana nella regione del Darfur in Sudan, denominata per il rispetto dell'accordo sul «cessate il fuoco» fra le due parti in lotta, siglato l'8 aprile 2004, e la protezione degli osservatori; EUPOL Kinshasa, missione di polizia dell'Unione europea nella Repubblica democratica del Congo, con funzioni di controllo, guida e consulenza dell'unità integrata di polizia (IPU) costituita a Kinshasa, nell'ambito della forza di polizia locale, con finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo e con ulteriori contributi dell'Unione europea e degli Stati membri; EUFOR RD CONGO, missione militare dell'Unione europea nella medesima Repubblica democratica del Congo per sostenerne il processo di transizione verso l'istituzione dello stato di diritto nel paese.
Nel seguito del provvedimento sono essenzialmente autorizzate, fino al 31 dicembre 2006, le spese per la proroga della partecipazione di personale militare alle diverse missioni nell'area balcanica: si può citare in primo luogo la partecipazione di personale militare del Corpo della guardia di finanza, nonché della Polizia di Stato, alla missione denominata United Nations Mission in Kosovo (UNMIK), forza internazionale dell'ONU delegata all'amministrazione civile del Kosovo. Ricordo che la missione UNMIK ha il compito di organizzare le funzioni amministrative essenziali, creare le basi per una solida autonomia ed autogoverno del Kosovo, facilitare il processo politico per determinare il futuro status del Kosovo, coordinare gli aiuti umanitari di tutte le agenzie internazionali, fornire sostegno alla ricostruzione delle infrastrutture più importanti, mantenere l'ordine pubblico, far rispettare i diritti umani, assicurare la sicurezza ed il regolare ritorno in Kosovo di tutti i rifugiati ed i dispersi.
Si ricorda inoltre la partecipazione di personale dell'Arma dei carabinieri alla missione in Bosnia-Erzegovina denominata EUPM, nella quale è coinvolto personale proveniente da quarantadue paesi, con il compito di assicurare il proseguimento delle attività di riorganizzazione delle locali Forze di polizia. Il mandato della missione, in linea con gli obiettivi generali stabiliti nell'Accordo di Dayton, consiste nello stabilire dei dispositivi di polizia sostenibili sotto l'autorità della Bosnia-Erzegovina conformemente alle migliori pratiche europee ed internazionali, elevando in tal modo gli standard della polizia della Bosnia-Erzegovina. Il 24 novembre 2005 l'Unione europea, su invito delle Autorità bosniache, ha focalizzato il mandato della missione sul supporto alla lotta contro il crimine organizzato e sul processo di riforma della polizia.
Rimando alla lettura della relazione governativa per quanto concerne l'illustrazione delle disposizioni riferite ai profili giuridici ed economici connessi alla proroga Pag. 143delle missioni: si tratta, in buona sostanza, delle consuete norme in materia di trattamento economico accessorio ed assicurativo da erogare al personale impiegato, delle disposizioni contabili e delle norme in materia penale, (sulle quali mi sono già espressa).
È inoltre prevista la clausola di salvaguardia degli atti adottati, delle attività svolte e delle prestazioni effettuate dal 1o luglio 2006 alla data di entrata in vigore della legge e si stabilisce il termine di entrata in vigore della legge.
In conclusione, a proposito delle diverse missioni che oggi stiamo per discutere, desidero sottolineare che molto a lungo ci siamo soffermati su quella in Afghanistan e molto meno su altre missioni, tra cui quella nei Balcani - una missione per noi molto importante, nella quale, come ho già ribadito sono impegnati quasi 3.500 soldati - e quella altrettanto significativa sul valico di Rafah, che era stata inviata immaginando che il problema circa la situazione israelo-palestinese fosse costituito da quel confine. Purtroppo, il problema è esploso con molta virulenza da un'altra parte e questo ci pone, oggi, nuove domande. Credo che sia necessaria una attenzione da parte del Parlamento - come anche è richiesto dalla mozione - per un monitoraggio costante di tutte le missioni, non solo di quelle che costituiscono, per così dire, l'attualità del momento politico e della discussione politica. Purtroppo, il mondo si muove, a volte, secondo direttrici diverse da quelle del nostro dibattito politico. Credo sia molto importante che i soldati che noi decidiamo di inviare oggi sentano davvero vicino il Parlamento e le sue decisioni.