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Discussione del disegno di legge: Disposizioni per la partecipazione italiana alle missioni internazionali (A.C. 1288) (ore 9,03).
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1288)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la III Commissione, onorevole Ranieri.
UMBERTO RANIERI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Ranieri.
Ha facoltà di replicare la relatrice per la IV Commissione, onorevole Pinotti.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, anch'io rinunzio alla replica.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Pinotti.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, tra ieri ed oggi - con le mozioni e con il presente provvedimento - si sono svolte oltre otto ore di discussione. Si è trattato di una discussione importante, in cui non si è fatta propaganda, ma si è tentato di approfondire gli argomenti. Ho ascoltato, ho preso nota ed ho imparato dagli interventi dei deputati della maggioranza e dagli interventi dei deputati dell'opposizione.
Svolgo anzitutto, una breve riflessione politica generale, che riguarda gli schieramenti. In qualunque paese normale, anche dove al Governo vi è non una coalizione di partiti, ma un solo partito, non il cento per cento di tale partito è d'accordo con il cento per cento della politica estera. Nel Regno Unito non il cento per cento del Labour Party è d'accordo con la politica irachena di Blair. Negli Stati Uniti non il cento per cento del Partito Repubblicano è d'accordo oggi con il multilateralismo di Condoleeza Rice, che apprezziamo, e non il cento per cento era d'accordo ieri con l'unilateralismo di Rumsfeld, che apprezzavamo molto meno. In qualunque paese normale, su una larga parte della politica estera sono d'accordo sia la maggioranza sia l'opposizione. Esattamente questa è la forza delle grandi democrazie: più largo è il consenso tra maggioranza ed opposizione, più uniti sono gli sforzi, più stabile ed autorevole è la politica estera di un paese.
Queste sono le ovvie considerazioni dalle quali iniziare. Anche l'Italia è un paese normale, anche in Italia, dunque, la maggioranza non è unanime su tutta la politica estera. La maggioranza e l'opposizione non sono pertanto divise su tutta la politica estera.
Passiamo alla sostanza del provvedimento: si finanziano quasi trenta missioni militari all'estero. L'impegno militare lontano dai confini è assolutamente normale per qualunque grande paese moderno, è routine. Nel mondo globalizzato nessun incendio può essere lasciato divampare senza che esso riguardi qualsiasi zona del mondo, senza che sia necessario l'intervento dei pompieri. L'impegno militare all'estero è, dunque, normale ed è importante; tuttavia sono più importanti l'impegno per lo sviluppo e l'impegno politico e diplomatico.
Noi riconosciamo questa gerarchia negli impegni all'estero; sappiamo che la statura internazionale di un paese non dipende dal peso del suo impegno militare, ma quest'ultimo, anche ciò sappiamo, è indispensabile. È indispensabile anche se non tutti gli impegni militari possono essere valutati sullo stesso piano. Anche tra gli impegni militari vi è una gerarchia, come ama ricordare l'onorevole Mantovani, e a ragione.
La filosofia dell'Italia in materia è molto semplice; noi preferiamo gli impegni multilaterali, le azioni militari di peace keeping, quando sono multilaterali, perché sono più neutrali, più legittimate e, quindi, più efficaci. Preferiamo dunque gli interventi sotto la guida diretta delle Nazioni Unite e vorremmo una capacità militare diretta delle Nazioni Unite stesse; ma non sempre ciò è possibile. Dunque, possiamo anche impegnarci nell'ambito delle alleanze tradizionali (la NATO o l'Unione europea), purché tali azioni siano promosse dalle Nazioni Unite, come appunto è avvenuto in Afghanistan. Non possiamo invece impegnarci al di fuori di tutte le alleanze tradizionali, e anche per questo ci ritiriamo dall'Iraq.
Dunque, anche la cornice, la forma degli interventi militari comporta una gerarchia: in cima si pongono le iniziative delle Nazioni Unite mentre, ad un livello minimo di efficacia e di accettabilità, si pongono quelle unilaterali.
La comunità internazionale interviene militarmente dunque nel mondo, ma purtroppo l'impegno non sempre è proporzionato alla gravità delle sofferenze umane; spesso è proporzionato piuttosto Pag. 68all'importanza strategica dell'area in cui si interviene: per tale ragione, in Africa, abbiamo avuto crisi con milioni di morti dimenticati da tutti.
Oggi, la maggioranza è molto sensibile a tale tema ed è perciò significativa l'intenzione di concorrere ad una missione in Darfur, che si auspica sia decisa il più presto possibile dalle Nazioni Unite.
Le nostre missioni sono di pace; il codice militare che deve essere applicato, dunque, è quello militare di pace, e non di guerra. Se mai sarà necessario, si potrà ammodernarlo per renderlo adatto alla nuova realtà delle missioni degli anni Duemila, una realtà impensabile quando, tanti decenni fa, si costruirono i codici militari attuali.
Il Governo vuole seguire una politica coerente, ed è coerente che ci si ritiri dall'Iraq rimanendo, però, in Afghanistan. Ciò, per la semplice ragione che l'Iraq non è l'Afghanistan e che in Iraq, per la prima volta dal dopoguerra, siamo intervenuti al di fuori di tutte le alleanze internazionali tradizionali, dalle Nazioni Unite alla NATO all'Unione europea: non era mai accaduto. In Afghanistan, invece, siamo intervenuti sotto l'egida della NATO, insieme a paesi come la Svezia e la Finlandia che, pur non facendo parte di tale organizzazione, sono tuttavia noti per il loro impegno umanitario e pacifista.
L'intervento in Iraq è nato da una menzogna o da un errore, dall'affermazione che esistessero armi di distruzione di massa che in realtà non esistevano. In Afghanistan, invece, l'intervento è nato dalla circostanza di fatto che in quella regione esistevano davvero le basi di Al Qaeda e che in quell'area, certo, si nascondeva Bin Laden. Si tratta di fatti reali, non inventati, che furono alla base dell'azione militare condotta in Afghanistan; analogamente, fu un fatto reale e non inventato la tragedia dell'11 settembre.
Dall'Iraq, dunque, si può venire via come singoli perché ci siamo andati come singoli, come parte di una coalizione di willings, di volenterosi. In Afghanistan, no. In Afghanistan, infatti, siamo intervenuti non come singoli ma come parte delle comunità NATO e Unione europea; anche se volessimo, non potremmo venire via dall'Afghanistan senza rompere una solidarietà collettiva. A tale proposito, ancora sull'Iraq, ci si deve porre una domanda molto semplice alla quale non ho mai sentito una risposta: perché mai in Iraq si dovrebbe chiedere all'Italia un impegno diverso e maggiore di quello che si chiede alla Francia, alla Germania, alla Spagna e a tutti i paesi dell'Europa continentale? Perché mai si dovrebbe chiedere a noi qualcosa che non si chiede a nessuno? La risposta non c'è e, difatti, la domanda non viene posta. Bush ha capito la posizione italiana: ci siamo disimpegnati dalla presenza militare in Iraq, ma non dalla presenza in Iraq, senza venir meno ad un rapporto corretto con i nostri alleati. L'Italia in Iraq se ne stava militarmente impegnata, ma isolata rispetto al cuore dell'Europa e rispetto ai padri fondatori dell'Europa tra cui ci siamo noi. Questo era anche il modo simbolico di un capovolgimento della tradizionale politica estera italiana. Vedete, la politica estera italiana tradizionale, da decenni, con i Governi guidati da democristiani e da socialisti, si è basata su due pilastri: da un canto l'Alleanza atlantica e, dall'altro, l'unità politica dell'Europa. Due pilastri legati l'uno all'altro, perché un rapporto paritario con gli Stati Uniti si può avere soltanto attraverso un'Europa politicamente unita. Per la prima volta, il Governo Berlusconi non si è più appoggiato a questi due pilastri, ma ad uno solo: l'Alleanza atlantica. È per questo che la politica estera del Governo Berlusconi è stata profondamente sbilanciata.
Tornando all'Afghanistan, occorre dire che in quel paese le cose non vanno bene. Non sempre c'è rispetto sufficiente per la popolazione, un adeguato sforzo per lo sviluppo o una fermezza verso la corruzione e l'arroganza dei signori della guerra, gli stessi che erano stati cacciati dai talebani. Non c'è sufficiente fantasia nell'iniziativa politica. A proposito di fantasia, si è parlato di oppio; ne ha parlato con competenza l'onorevole D'Elia ieri, e l'onorevole Zacchera avrebbe dovuto Pag. 69ascoltarlo. In effetti, si è sempre tentato di distruggere le coltivazioni di oppio, ma non ci si è mai riusciti. Allora, si può tentare una strada diversa, vale a dire quella di acquistare legalmente l'oppio per l'industria farmaceutica internazionale. Il denaro illegale proveniente dalla vendita dell'oppio è l'acqua nella quale navigano i pesci del terrorismo e della guerriglia: bisogna prosciugare quest'acqua e lo si può fare anche attraverso questa strada. Si risponde: ma non serve tanto, non è presente una tale domanda di oppio!. Ciò non è vero, perché non stiamo parlando della domanda in Italia. A Zurigo o a Roma si muore di cancro - grazie a Dio senza sofferenze atroci - perché c'è la morfina. Nel Lagos o a Kinshasa, si muore tra sofferenze atroci: perché non deve essere dato questo aiuto anche ai sofferenti del terzo mondo? Come si vede, la domanda non è anelastica. La domanda può crescere se si sviluppano ragioni di umanità.
Le cose dunque in Afghanistan non vanno bene. È giusto monitorare la situazione affinché non sfugga di mano, ma l'Italia deve prendersi le sue responsabilità. Poi, proprio per questo, avrà l'autorità di dire la sua in seno alla NATO e all'Unione europea. Su questi temi, onorevoli deputati, la filosofia del Governo è ispirata al semplice buonsenso. Il pacifismo è un valore, certo, ma non lo è più se diventa isolazionismo. Prima viene la politica e l'aiuto allo sviluppo e la lotta alla povertà, ma spesso senza la sicurezza e senza l'impegno militare non c'è né politica, né sviluppo, né lotta alla povertà. Questo è il senso delle nostre missioni all'estero.
Vorrei concludere, sottolineando il grande sforzo che tutti dobbiamo compiere e che si è avvertito in questo dibattito. Il terrorismo fondamentalista islamico, come la guerra fredda, durerà per decenni, non dobbiamo farci illusioni; andiamo incontro ad una guerra che durerà per decenni. Non si può affrontare questa nuova guerra degli anni 2000 con la psicologia, la filosofia, il dogmatismo ed i pregiudizi del secolo scorso. Tutti, maggioranza ed opposizione, dobbiamo compiere un grande sforzo di modernizzazione politica e culturale (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, dei Popolari-Udeur, del Misto-Minoranze linguistiche e del Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Avverto che la discussione sulle linee generali del disegno di legge in materia di società operanti nel settore dell'energia e del gas avrà luogo al termine dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30 con la deliberazione sulla richiesta di stralcio relativo alle proposte di legge in materia di amnistia ed indulto. Seguirà l'informativa urgente del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Medio Oriente.
La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 15,35.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI