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Si riprende la discussione.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3395-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Affronti. Ne ha facoltà.
PAOLO AFFRONTI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento che ci apprestiamo a votare riguarda la proroga della partecipazione dell'Italia a diverse missioni umanitarie ed internazionali.Pag. 23
Si tratta di un impegno complesso che i nostri militari - ai quali va il nostro ringraziamento per la riconosciuta professionalità, competenza ed umanità - stanno sostenendo con convinzione ormai da molti anni. A tale proposito, vorrei ricordare tutti coloro che hanno perso la vita o sono rimasti feriti in una di queste missioni in cui l'Italia cerca, con il proprio contributo, di riportare pace, democrazia e libertà.
Il decreto-legge alla nostra attenzione prevede un impegno in contesti internazionali molto diversi tra loro, ma tutti caratterizzati da una situazione di grande instabilità. La partecipazione italiana ad operazioni multinazionali avviene in conformità sia ai principi costituzionali sia al diritto internazionale.
Dobbiamo ricordare sempre che il multilateralismo è l'aspetto saliente di queste missioni, un multilateralismo dal volto umanitario nei confronti di altri popoli. Con coerenza, quindi, il Governo italiano ha deciso, ancora una volta, di sostenere concretamente, sul piano politico ed operativo, il rafforzamento di una politica multilaterale per il mantenimento della pace.
È proprio per questo che non si deve mai dimenticare che purtroppo il terrorismo internazionale e la questione irachena sono ancora ferite aperte. I gruppi terroristici continuano a rappresentare una minaccia letale per la stabilità internazionale, e soprattutto l'esperienza irachena dimostra che nell'affrontare simili situazioni l'unilateralismo non paga. Il nostro Paese, anche nella crisi libanese, ha svolto un grande ruolo, e potrà continuare a svolgerlo attraverso l'approvazione del decreto-legge in discussione. Infatti, il consistente impegno di forze assicurato in Libano attraverso la missione UNIFIL vede la presenza di un numeroso contingente militare di Stati membri dell'Unione europea, sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
In questo quadro, è del tutto evidente che l'azione concreta della missione militare italiana nelle varie regioni, dal Libano all'Iraq, dall'Afghanistan al Sudan, deve essere confermata e valorizzata, per rendere possibile in questi Paesi anche interventi umanitari per la ricostruzione civile e delle istituzioni. Per ciò che concerne l'Iraq, di grande significato è il fatto che l'impegno dell'Italia continua ancora ad essere fondamentale, anche se solo sul versante civile. Per ciò che concerne invece la missione italiana in Afghanistan, non si possono sottovalutare rischi e difficoltà ancora presenti, come la rinata capacità militare dei talebani, l'elevato livello di corruzione e il traffico di oppio che la alimenta. Occorre quindi rilanciare l'iniziativa politica, promuovendo un approccio più organico ed integrato. Il presupposto è quello di contribuire affinché sempre più gli afgani possano essere i veri protagonisti dei processi di sviluppo e delle funzioni di governo e controllo del proprio territorio, fino al raggiungimento di una sostanziale autosufficienza.
È soprattutto in questa direzione che noi Popolari-Udeur ci siamo mossi, anche durante l'esame in sede referente del provvedimento, presentando emendamenti, alcuni dei quali sono stati accolti, diretti a promuovere lo sviluppo e favorire l'utilizzo delle risorse locali, sia umane che materiali. In particolare, abbiamo ottenuto che in relazione agli interventi di cooperazione allo sviluppo e agli interventi a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, il Ministero degli affari esteri, nell'affidare incarichi temporanei di consulenza, proceda assicurando il rispetto del principio della pari opportunità tra uomo e donna, e dia la precedenza a persone di nazionalità locale.
Inoltre, abbiamo chiesto e ottenuto che gli acquisti e i lavori da eseguire in economia da parte del Ministero degli affari esteri, nonché da parte dei comandanti dei contingenti militari, al fine di sopperire a esigenze di prima necessità della popolazione locale, compreso il ripristino dei servizi essenziali, siano effettuati assegnando priorità all'impiego di risorse locali, sia umane sia materiali.
Si tratta di elementi di estrema importanza, perché siamo convinti che solo incentivando e valorizzando le risorse localiPag. 24possiamo sperare di contribuire seriamente a promuovere lo sviluppo di questi Paesi. Da parte nostra, dichiariamo il voto favorevole al provvedimento, che assegna la giusta collocazione al nostro Paese in ambito europeo e internazionale, mantenendo fermo il principio, codificato dalla Carta delle Nazioni Unite, che considera l'uso della forza come un'extrema ratio (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, Viceministro Intini, ancora una volta il Governo ha respinto la richiesta di valutare separatamente ognuna delle missioni militari internazionali cui l'Italia partecipa. Si tratta di una decisione grave, che comprime la discussione e costringe a focalizzare l'attenzione sulle missioni principali. È necessario quindi che il voto che dovremo esprimere passi in primo luogo da un bilancio del nostro intervento in Afghanistan e in Kosovo.
Queste due missioni si svolgono oggi fuori dalla legittimità delle Nazioni Unite. Chi decide in Afghanistan non è infatti l'ONU, ma gli USA e la NATO. Ed è la NATO a dirci chiaramente che quella non è una missione di pace, ma una guerra aperta.
In Afghanistan la NATO chiede di estendere la guerra, nuove armi e più uomini, e libertà piena di uccidere chiunque si opponga alla presenza straniera. In Afghanistan il Governo da noi sostenuto è nelle mani di criminali di guerra collusi con il narcotraffico; in Afghanistan i giornalisti vengono condannati a morte, i deputati espulsi con violenza dal Parlamento, le persone catturate, torturate e detenute senza processo e senza accuse. È stata ristabilita in Afghanistan la polizia morale e per la repressione del vizio, che ha il compito di reprimere le donne, la stampa, la società civile. Sotto gli occhi della NATO, l'Afghanistan ha moltiplicato per cento la propria produzione di oppio, mentre i bombardamenti a tappeto degli USA e della NATO hanno consentito la rinascita dei talebani, che oggi diffondono la loro influenza in tutta la regione.
Siamo di fronte ad un fallimento strategico, politico e militare, e di questo fallimento l'Italia è corresponsabile. Ma, purtroppo, questo non è il solo fallimento che dobbiamo registrare. Contro le decisioni delle Nazioni Unite pochi giorni or sono il Kosovo ha proclamato unilateralmente la propria dipendenza, e l'Italia, proprio in questi minuti, ha riconosciuto uno Stato fantoccio, dove governano estremisti e dove spadroneggiano criminali e trafficanti. Eppure, con il decreto al nostro esame stiamo per confermare una missione dei nostri militari, che dovrebbe agire in Kosovo sulla base di una risoluzione che per primo il nostro Paese, l'Italia, sta per violare, ha violato nel modo più palese. La dura realtà è che proprio la presenza della NATO in Kosovo ha consentito una feroce pulizia etnica ai danni della popolazione serba e dei rom.
Anche altre missioni, però, stanno mostrando sempre crescenti criticità. Persino la missione in Libano rischia di diventare un boomerang. Questa missione, che pur noi abbiamo sostenuto, doveva però aprire una nuova fase di intervento delle Nazioni Unite in Medio Oriente, volta appunto al rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite e Alla costruzione della reciproca sicurezza sulla base della legalità internazionale. Dopo un momento di speranza è però mancato ogni coraggio nell'imporre un'analoga forza di protezione a favore della popolazione palestinese della Cisgiordania e di Gaza, dove è in corso da decenni un'occupazione militare illegale da parte dello Stato di Israele. È fallita drammaticamente la nostra missione sul valico di Rafah, tra la striscia di Gaza e l'Egitto, dove i palestinesi non hanno potuto contare sui nostri militari ma sulle loro mine per abbattere il muro che li costringe prigionieri a Gaza.
Potrei continuare parlando della missione in Sahara occidentale, dove non abbiamo applicato gli accordi di pace voluti dalle Nazioni Unite, o di quella aPag. 25Cipro, dove continua impunita la colonizzazione turca, per dire che molte sono le criticità e le contrarietà a tali missioni; o, ancora, della Libia, dove il contrasto all'immigrazione significa la sistematica e brutale violazione dei diritti umani.
Vi sono, quindi, molti e forti motivi di merito che ci portano ad esprimere un voto contrario su questo decreto. Vi è, al contempo, un importantissimo motivo politico, che impone alla sinistra di dire in modo chiaro e comprensibile al Paese che non è più disponibile a sostenere missioni come quella in Afghanistan e in Kosovo.
Come tutti sanno, infatti, la rottura dell'alleanza di centrosinistra che ha governato in questi anni l'Italia non è stata provocata dalla sinistra: è stato il Partito Democratico a rompere unilateralmente con la sinistra, e lo ha fatto perché il Partito Democratico non vuole più avere il freno di chi si batte più coerentemente per la pace, per i diritti del lavoro, per la laicità dello Stato. Noi siamo sempre stati leali fino in fondo con il centrosinistra; noi ci siamo assunti la responsabilità e l'onere di cercare sempre un compromesso, e quando ciò non è stato possibile abbiamo dato comunque il nostro voto di fiducia al Governo. Sull'Afghanistan, come sulle missioni, così ci siamo sempre comportati. Eravamo radicalmente contrari, ma abbiamo strappato limiti e caveat precisi che, pur con crescenti contraddizioni, hanno messo al riparo i nostri soldati dai rischi maggiori.
Non abbiamo però fatto cadere il Governo, ma abbiamo dato fiducia ad un Governo che si era impegnato ad ottenere una conferenza internazionale di pace, e che aveva detto di portare in sede della NATO la nostra condanna alle criminali strategie belliche di quell'alleanza.
Abbiamo lavorato affinché terminasse la missione USA e NATO in Afghanistan e si passasse a una vera missione delle Nazioni Unite, con il comando politico-militare affidato a queste ultime. Tutto ciò, difficile con il Governo Prodi, diventa ora impossibile, non per responsabilità della sinistra.
Pertanto, per ragioni di merito e per motivi legati al fosco quadro politico che si annuncia, il gruppo Comunisti Italiani voterà contro il disegno di legge di conversione del decreto-legge in discussione, nella speranza che, nel nuovo Parlamento, una forte presenza della Sinistra Arcobaleno riesca ad imporre scelte di pace e, finalmente, il pieno rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cannavò. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, con la mia dichiarazione di voto è la quarta volta che intervengo, in questi due anni di legislatura, per dichiarare il mio voto contrario alle missioni militari. Se permette una piccola digressione personale, dal mio punto di vista tale questione ha marcato la mia legislatura e ha segnato in gran parte la mia vita politica.
Si tratta di una posizione che, in questi anni, è stata definita in molti modi: esattamente un anno fa, purtroppo, essa è stata espulsa dal partito che avevo contribuito a fondare nel 1991 - Rifondazione Comunista - e proprio un anno fa, il 21 febbraio 2007, al Senato, si verificò la prima crisi del Governo, Prodi in occasione del voto sulla politica estera. Tale posizione è stata da molti definita coerente: anche in quest'Aula ho ricevuto riconoscimenti e solidarietà (colgo l'occasione del finale di legislatura per ringraziare i deputati che hanno espresso tali apprezzamenti). In questi due anni, però, tale posizione è stata definita - dal Governo Prodi e dalla direzione politica del Paese - come irrealistica e irresponsabile, in ossequio a un certo pragmatismo politico che ha caratterizzato in particolare l'attività della Farnesina.
Continuo a pensare ancora oggi che questa posizione sia, invece, maggioritaria nel Paese e che proprio per questo motivo essa venga contrastata con una sapiente propaganda mediatica e politica, che inPag. 26alcuni casi - seppure eccezionali - arriva perfino a strumentalizzare il dolore dei familiari dei soldati italiani caduti in guerra: un dolore che noi, contrari alla guerra, abbiamo sempre e comunque rispettato e che continuiamo a rispettare.
Occorre dire, però, che irrealistica, probabilmente, è la linea politica che sorregge la decisione di inviare soldati in missioni di guerra. Anche se tardi e fuori tempo massimo, nel finale di legislatura, sarebbe il caso invece di effettuare un bilancio serio, lucido e, una volta tanto, realista di quanto è avvenuto in questi ultimi dieci anni: l'Italia, infatti, è impegnata nei Balcani dagli anni Novanta, in Kosovo dal 1999, in Afghanistan dal 2001, in Libano soltanto dal 2006 con la missione UNIFIL 2, ma da molto prima con la missione UNIFIL 1. Qual è il bilancio di tutte queste missioni? In Libano non si è fatto un passo avanti: si è ancora fermi e la missione - che pure era stata presentata come un'occasione per la causa palestinese - non ha saputo dire nulla e non può dire nulla rispetto alla tragedia del popolo palestinese, come è stato evidenziato dalla vicenda della Striscia di Gaza e dall'abbattimento del confine con l'Egitto.
In Afghanistan vi è una paralisi evidente, e continuano a morire soldati italiani e, ovviamente, civili afghani. Il Viceministro Intini, chiudendo la fase della discussione sulle linee generali, ha già affermato che dobbiamo puntare ad una Conferenza di pace, anche perché i talebani non sono più quelli di una volta. Essi sono cambiati in larga misura nella percezione della popolazione afgana, anche in virtù delle bombe e dell'intervento militare della NATO, che li ha resi molto più accetti alla popolazione afgana di quanto non lo fossero all'inizio di quest'avventura.
Con riferimento al Kosovo, abbiamo appena finito di parlare: non c'è molto da dire se non che quanto sta avvenendo oggi è il frutto maturo di una crisi che nove anni fa è stata gestita con la sciabola, con la dissennatezza delle bombe sui civili e con l'idea che un groviglio di quella natura e di quelle dimensioni potesse essere districato dalla spada piuttosto che dalla politica. Oggi ci troviamo di fronte a una scelta di indipendenza unilaterale e, contemporaneamente, di fronte al rafforzamento progressivo del nazionalismo serbo, che è esattamente il frutto di quell'azione dell'Occidente, della NATO e anche del Governo italiano, allora diretto dall'onorevole Massimo D'Alema.
Oggi, quindi, il realismo consiglierebbe di tirare un bilancio serio, di compiere alcune inversioni di tendenza e di rimettere al centro la politica, anche divincolandosi dall'abbraccio con gli Stati Uniti, che continuano a orientare qualunque scelta di politica estera del nostro Paese, come dimostra il recente riconoscimento unilaterale dell'indipendenza kosovara.
Invece, politicamente con chiara e lucida scelta politica, si continua a scegliere la linea dell'adesione alla guerra per contare sui tavoli della politica internazionale - lo ha detto con chiarezza cristallina ancora una volta il Viceministro Intini l'altra sera - nella più piena continuità con quella logica imperialista che ha rappresentato il cuore della linea politica occidentale.
Ribadiamo quindi il nostro «no» e il rifiuto di questa linea politica. Vediamo che oggi vi è un ripensamento e un ritorno sulle antiche posizioni da parte della sinistra di Governo e, in particolare, per quanto mi riguarda, da parte di Rifondazione Comunista. Personalmente, non può che farmi piacere, perché è il riconoscimento, sia pure tardivo e fuori tempo massimo, che avevamo ragione noi, già due anni fa. Politicamente, però, immagino rappresenti un'amara sconfitta per coloro che dell'obiezione all'interventismo militare hanno fatto un valore assoluto e hanno dovuto sacrificare, invece, quella convinzione sull'altare della governabilità. È una sconfitta duplice per chi, invece, si è baloccato in questi anni nell'illusione della riduzione del danno anche su vicende che attengono alla questione militare e allo sganciamento di bombe.
Nel finale di legislatura mi interesserebbe, però, proporre una riflessione più generale all'Aula. Da fronti opposti, sulla vicenda della guerra, abbiamo assistito aPag. 27posizioni che hanno sorvolato sui principi, per privilegiare questioni tattiche di Governo: la sinistra, per salvare il Governo, ha disperso la propria credibilità pacifista; la destra, per abbattere il Governo, si è rimangiata le scelte che essa stessa aveva intrapreso, come nel caso dell'Afghanistan.
Ricordo che quest'ultima applaudiva entusiasta alle mie dichiarazioni di dissenso al Governo Prodi, che, invece, erano dichiarazioni che contrastano nettamente le loro convinzioni e le loro visioni di politica internazionale. In questi due anni, la politica ha continuato a ridursi a schermaglia, a mera tattica, a posizionamento geometrico, invece di privilegiare il contenuto, i valori e i principi di fondo. Questa è la ragione principale di quella crisi della politica di cui parliamo ogni tanto, non sempre, in quest'Aula. Se ne è parlato molto poco in questi due anni. È una crisi della politica che non viene smentita nemmeno da una campagna elettorale in cui gli antichi avversari oggi si alleano e si spartiscono gli spazi in televisione, mentre i vecchi amici si sparano addosso.
Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di mantenere un filo di coerenza e di rispetto per le nostre idee. Lo abbiamo fatto con il senso del limite, senza alcuna presunzione e con il massimo rispetto di tutti e tutte. Per questa ragione, però, molto probabilmente non rientreremo in Parlamento. Vi è una linea di coerenza e di adesione alle proprie convinzioni di fondo che non sarà probabilmente premiata, ma, se tornassimo indietro, rifaremmo esattamente tutto quanto.
Non abbiamo alcun pentimento, ma forse di questa esperienza ci resta un insegnamento: continueremo a opporci alla guerra nettamente, senza se e senza ma, come ormai abbiamo imparato a dire. Lo faremo anche fuori dal Parlamento e, vista come è andata in questi due anni, probabilmente sarà più utile ed efficace (Applausi di deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo semplicemente per annunziare il voto favorevole dei repubblicani sul rifinanziamento delle missioni militari e dell'attività delle amministrazioni italiane, in particolare del Ministero degli affari esteri, per contribuire al ristabilimento della pace in Afghanistan e negli altri territori nei quali siamo impegnati.
Onorevoli colleghi, sarebbe troppo semplice far risaltare le differenze di posizioni presenti all'interno della maggioranza che ha governato il Paese negli ultimi due anni, così come sarebbe troppo semplice fare osservare che è impossibile avere un'azione di Governo degna di questo nome, quando all'interno della maggioranza parlamentare, che dovrebbe sostenerla, vi sono visioni così radicalmente opposte, ossia concezioni di fondo così diverse sul ruolo dell'Italia e sulle responsabilità che il Paese si deve assumere con i suoi alleati.
Da questo punto di vista, è significativo che questo dibattito coincida con la fine della legislatura e che, in un certo senso, il voto diviso di questa maggioranza, che ha governato l'Italia in questi due anni, sancisca l'inevitabile conclusione di quella vicenda, non voglio dire «avventura».
Signor Presidente della Camera e signori del Governo, in fondo queste contraddizioni - che erano evidenti fin dalla stesura del programma dell'onorevole Prodi - avrebbero dovuto imporre al Partito Democratico della Sinistra e alla Margherita di non costituire quella coalizione.
Da questo punto di vista, la decisione di correre solo, che il Partito Democratico ha assunto nelle ultime settimane, è inevitabile.
Naturalmente, sarà consentito osservare che la capacità di riconoscere i propri errori non è la base migliore per chiedere un'investitura popolare: non è affermando di essere oggi liberi e soli, che si garantiscono gli italiani che domani non si ripeteranno gli errori che sono stati compiuti ieri, avantieri, tre giorni fa, in sostanza nel corso intero del dopoguerra.
Una classe dirigente che rimane immutabile alla guida delle formazioni politiche,Pag. 28ma che cambia le politiche, non è la garanzia migliore per avere politiche che servano gli interessi del Paese.
Noi, come forza politica, abbiamo una lunga tradizione sulle questioni di politica estera, che non è mai mutata nel corso dei decenni; quindi, se ci rivolgiamo agli italiani, lo facciamo come una forza politica le cui opinioni sono affidabili, in quanto hanno una continuità nel tempo.
Tuttavia, dire che la base della fiducia è la capacità di riconoscere i propri errori, onorevole Veltroni, credo sia un equivoco che vada rapidamente messo evidenza; perlomeno bisogna saltare un turno, per così dire, e spero che gli italiani garantiscano alla nuova strada che il Partito Democratico imbocca quel tempo necessario, dall'opposizione, per dimostrare che la revisione degli errori che sono stati compiuti - e di cui abbiamo la testimonianza sotto i nostri occhi - sia un vero cambiamento di fondo e non semplicemente una «pecetta» o un tentativo di presentare come nuovo ciò che nuovo non è, perché è semplicemente il tentativo di nascondere le proprie contraddizioni in un apparente cambiamento che, però, nella sostanza non offre garanzia di un cambiamento al nostro Paese.
Questa è la nostra conclusione: voteremo a favore del disegno di legge in esame e speriamo che gli italiani diano mandato ad una maggioranza coesa, per poter imprimere una linea coerente alla politica estera italiana.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, in questo finale di legislatura ci accingiamo a votare sulle missioni militari di pace nelle quali è impegnata l'Italia. Si tratta di una scelta molto rilevante per quanto riguarda la nostra politica estera.
Il Viceministro degli esteri Intini, intervenendo in precedenza, ha chiarito quale debba essere l'impostazione del nostro Paese. Il problema delle missioni militari - e mi riferisco in particolare a quella in Afghanistan - ha tormentato la maggioranza a sostegno del Governo Prodi.
È difficile non osservare che - e mi rivolgo al collega Giancarlo Giorgetti, che pure ha svolto una funzione di stimolo nel dibattito parlamentare - nel corso della legislatura ormai alla fine, l'opposizione ha letteralmente martellato il Governo (e non senza fondamento) sulle diversità presenti all'interno della maggioranza, riguardo importanti scelte di politica estera.
Larga parte dell'opposizione, però, ha fatto di più: pur condividendo alcune scelte della politica estera, si è rifiutata di convergere, in Parlamento, con la maggioranza di Governo.
È del tutto evidente che questa rappresentazione, che viene fatta in Parlamento, delle posizioni dei diversi partiti e dei diversi gruppi parlamentari, e la divisione che vi è nella maggioranza che ha sostenuto il Governo Prodi chiariscono meglio di altre argomentazioni il motivo per cui tale schieramento non si ripresenti agli elettori nel format in cui si era presentato nelle scorse elezioni.
Si tratta di una scelta impostata sostanzialmente sulla chiarezza. È del tutto evidente che una coalizione di Governo dovrebbe avere una sostanziale omogeneità sulle scelte fondamentali di politica interna ed estera. Tuttavia non è sufficiente che ci sia omogeneità nella maggioranza che sostiene il Governo.
Tante volte abbiamo ripetuto, e non per chiedere una stampella ad una maggioranza che era in difficoltà, che le linee di politica estera di un Paese devono godere di un largo consenso parlamentare. Ci deve essere nelle alternanze dei Governi una continuità della politica estera in un Paese che vuole svolgere un ruolo importante nella scena internazionale.
La preoccupazione che noi sottolineiamo e non a scopo elettorale, si basa sul fatto che invece, troppo spesso, proprio su questi temi di politica estera si accende un conflitto strumentale tra la maggioranza e l'opposizione di turno. Alla fine di questa legislatura possiamo solo auspicare che ciò non avvenga e che la politicaPag. 29estera rappresenti un terreno di unità politica del Paese e non si presti a divisioni e a strumentalizzazioni. Un Paese forte, autorevole e credibile nella scena internazionale deve avere una sua forte compattezza interna.
Abbiamo ascoltato in Parlamento il dibattito che vi è stato sulla scelta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo (ieri il Ministro degli affari esteri ha illustrato la questione di fronte alle Commissioni riunite). Su questa scelta si è realizzata una larga convergenza parlamentare che non è quella né di una nuova maggioranza, né di una nuova opposizione. Questa posizione non significa affatto che non si vuol esprimere preoccupazione sulla situazione in Afghanistan, lo abbiamo detto tante volte: in quel martoriato Paese non è possibile una soluzione militare, bisogna ricercare una soluzione politica. Siamo presenti in Afghanistan perché si tratta di una missione autorizzata dalle Nazioni Unite. Non può esserci altra fonte di legalità per intervenire con forza, cosa che deve essere l'estrema ratio, se non quella delle Nazioni Unite. Siamo stati, infatti, in dissenso e continuiamo a pensare che sia stata una scelta ingiusta quella dell'intervento americano in Iraq.
Il problema della legalità internazionale non è solo morale, ma politico. Vogliamo ribadire che siamo contrari alla violazione dei diritti umani anche nella lotta al terrorismo e le prigioni di Guantanamo rappresentano una aperta violazione dei diritti umani. Nella stessa campagna elettorale americana, non solo tra i probabili candidati del Partito Democratico, ma anche tra quelli del Partito Repubblicano, vi è una ferma posizione per chiudere finalmente questa macchia della politica occidentale democratica nella lotta contro il terrorismo.
Si tratta quindi di condurre un'iniziativa politica e di dare autorevolezza al nostro Paese. Il nostro Paese può avere questa autorevolezza solo attraverso l'Europa, con l'Europa e con il ruolo dell'Europa, nei confronti dei Balcani, degli Stati Uniti con cui occorre un rapporto di autonomia e di collaborazione, e nei confronti di tutte le potenze che si confrontano a livello internazionale. Questa è una piattaforma che non deve essere di una coalizione contro l'altra, bensì deve rappresentare una linea che unisce il Paese e conferisce continuità alla politica estera italiana.
Alla fine del mio intervento intendo rivolgere un ringraziamento e un saluto - che credo sia condiviso da tutta l'Assemblea - alle nostre Forze armate impegnate nelle missioni militari (Applausi). Noi sappiamo cosa si rischi, quali siano le difficoltà che vengono affrontate, e come i nostri soldati le sappiano affrontare a rischio della propria vita: non è cosa da poco. Quindi, alla fine di questo dibattito parlamentare credo che, da parte di tutto il Parlamento, anche di coloro che hanno votato e voteranno contro le missioni militari, debba esprimersi una grande solidarietà nei confronti delle Forze armate.
Tante volte si dice che questo è un Paese allo sbando, che non ci sono più valori e che non ci sono più principi. Ebbene, quei giovani che sono consapevoli di partecipare a missioni di pace e non di guerra danno un bell'esempio al nostro Paese. Noi, come Parlamento, dobbiamo essere vicini e solidali alle nostre Forze armate e affermare che su queste grandi scelte l'Italia sarà sempre unita, adesso e dopo le elezioni, perché questi sono principi fondamentali sulle quali si basa la nostra convivenza civile, cioè quelli della Costituzione italiana (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali - RNP).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, la Sinistra Arcobaleno avrebbe voluto svolgere un'altra discussione. Avevamo già chiesto più volte, durante la discussione nelle diverse Commissioni, di «spacchettare» il decreto-legge che oggi stiamo per votare. Questa richiesta non è stata né accolta né assolutamente presa in considerazione. A volte ci richiamano al senso di responsabilità, ma vorremmo sommessamentePag. 30chiedere: dov'è il senso di responsabilità quando si rinuncia a discutere approfonditamente e, caso per caso, nel merito di ciascuna missione? Forse per i colleghi del centrosinistra e del centrodestra Libano e Kabul sono la stessa cosa? Forse il Kosovo di oggi, quello riconosciuto dal Governo italiano - in questo caso, lo voglio ribadire, non c'è il consenso della sinistra - è la stessa cosa di qualche anno fa? Dobbiamo spiegare tutto ciò, sia ai civili di quei Paesi in guerra, sia ai cittadini ed elettori italiani, sia ai nostri militari che sono lì, nei fronti di guerra, quelli di cui parlava il collega Villetti poc'anzi.
La Sinistra Arcobaleno non ha mai fatto venire meno la fiducia al Governo Prodi sulla politica estera. Quando abbiamo visto elementi di sviluppo e di svolta nella politica del Governo l'abbiamo applaudita e sostenuta. La scelta di ritirare le truppe dall'Iraq ha segnato la rottura con alla stagione dell'unilateralismo e con una dottrina, quella della guerra preventiva, che aveva visto l'Italia andare a rimorchio, soltanto per sedersi al tavolo dei presunti grandi. Lo stesso si può dire per il Libano, con l'apertura di un approccio nuovo al dramma del conflitto mediorientale e con la promozione della missione UNIFIL 2 nel quadro delle Nazioni Unite.
Ma è sul nodo di Kabul che pesano - e pesano ancora - alcuni dubbi molto forti, che diventano progressivamente contrarietà. Diciamolo apertamente: sono venute meno le ragioni di un nostro sostegno alla missione in Afghanistan. In Afghanistan, infatti, non vi sono più le condizioni per stare sotto l'ombrello della missione NATO-Stati Uniti. Vi è un problema di legalità internazionale, ma anche la presa d'atto del fallimento di una scelta militare. Avevamo affermato ciò già un anno fa, non è una notizia di oggi, caro Cannavò. Allora ci fu detto che il 2007 sarebbe stato l'anno della svolta, quello della nuova conferenza di pace per l'Afghanistan: un appuntamento che avrebbe dovuto vedere coinvolte tutte le parti in conflitto, dai Paesi delle regioni vicine alle diverse forme di organizzazione tribale, dalla società civile organizzata e laica alle istituzioni democraticamente elette. Esso sarebbe stato, quindi, l'occasione e la necessità di un grande processo di riconciliazione nazionale.
Tutto questo andava fatto nell'anno della svolta e, invece, abbiamo visto un'effettiva regressione del quadro afghano, che ha messo in discussione gli obiettivi stessi della missione. Il massiccio ricorso da parte dei talebani a tattiche terroristiche e attentati suicidi ha fatto registrare in quest'anno - nel 2007 - il numero più alto di vittime tra i civili e i militari dal 2001. Si tratta di una popolazione stremata da oltre un trentennio di conflitti, su cui si scarica una ripresa forte di fiducia e consenso verso gli insorgenti, oltre che un aumento a dismisura di produzione e commercio di oppiacei. Su questo terreno, hanno avuto modo di festeggiare proprio i talebani. Fame, povertà e violenza continuano a dominare, mentre programmi di ricostruzione delle infrastrutture materiali civili restano al palo.
Queste sono soltanto le domande della sinistra o sono patrimonio di ciascun deputato e ciascuna deputata di questo Parlamento? Non vi inquieta il permanere di una situazione di stallo in quella terra martoriata? Noi pensiamo che non sia più tempo di mettere dei cerotti. Abbiamo il dovere di una riflessione vera sul ruolo e la funzione dell'Italia, qui e ora. A cosa serve all'Italia una tale mole di spesa per armamenti (il 2 per cento del prodotto interno lordo) e un tale numero di partecipazioni militari all'estero (ventisette in diciannove Paesi, per 8.400 soldati)? Per fare cosa? L'alfa e l'omega della nostra Italia, dell'Italia della Sinistra Arcobaleno, resta l'articolo 11 della Costituzione. La nostra Italia è quella che ha al centro della sua strategia la cooperazione, la diplomazia, il multilateralismo e il ripudio della guerra. È questa Italia che ci fa andare avanti a testa alta per il mondo; è la stessa idea del Partito Democratico? È la stessa idea del Popolo della Libertà?
Il voto di oggi ci pone di fronte ad una riflessione in più: qual è oggi il grande tema che attraversa i processi di mondializzazione,Pag. 31che inquieta popoli, che mette in discussione modelli di sviluppo, che rischia di aprire una nuova stagione di crisi e di ricostituzione di blocchi incomunicabili fondati sulla deterrenza? Il disarmo. Il disarmo è la scommessa del presente (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani) e la sfida su cui misuriamo non una forza politica, non una coalizione e neanche un Governo, ma l'intera comunità internazionale; dovrebbero misurarsi su di essa anche le classi dirigenti di questo Paese.
Per queste ragioni, noi, la Sinistra Arcobaleno, non possiamo votare a favore del decreto-legge sulle missioni e ciascun deputato e ciascuna deputata valuterà come esprimere la propria contrarietà (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, in occasione di questo decreto-legge, confermiamo l'appoggio della Lega Nord Padania alle missioni di pace all'estero. È doveroso ricordare, prima di tutto, l'impegno dei nostri uomini, sia militari che civili. Tale impegno li ha resi particolarmente amati dalle popolazioni sul cui territorio si trovano ad operare. Essi possiedono una commistione di abilità tecnica, professionale, insieme ad una speciale capacità di relazionarsi con la società civile; una sensibilità particolare nell'avvicinare le popolazioni e sostenerle concretamente: di fatto aiutare, costruire e proteggere fa sentire loro fiducia e speranza. Sono teatri di guerra e di disperazione, dove anche le operazioni di aiuto comportano gravi rischi, dovuti ad un contesto che non è facile immaginare nella sua brutalità, stando qui, a molti chilometri di distanza. Le cronache degli ultimi giorni, con le immagini del funerale del maresciallo Pezzulo, testimoniano chiaramente come anche portare viveri ed aiuti nelle regioni più povere e sperdute dell'Afghanistan (prive di interessi strategici, ma vittime della fame e della distruzione) può essere pericoloso per chi opera su quei territori, perché vi è chi - come gli integralisti islamici - non vuole la pacificazione di quel Paese e, dunque, compie attacchi a tradimento che comportano rischi tragici.
È chiaro, quindi, che la realtà dei teatri di conflitto - diversamente da quanto si vorrebbe far credere - impone che anche l'aiuto umanitario e il sostegno alla popolazione civile debbano essere svolti con un'adeguata possibilità di difesa, protezione, equipaggiamenti e direttive chiare. Questo è un elemento sul quale non ci stancheremo mai di batterci. Ogni volta che decidiamo di inviare i nostri uomini in missione all'estero, dobbiamo essere certi che essi non corrano rischi inutili e che ogni sforzo materiale e politico sia fatto per assicurare loro un'adeguata protezione. Chiediamo, dunque, di mantenere sempre un'altissima attenzione - in particolare ogni volta che andiamo a prorogare e a rivedere i decreti-legge che regolano le missioni - all'adeguatezza dei mezzi, delle regole di ingaggio, delle dotazioni, degli armamenti e degli obiettivi.
Pensiamo, in particolare, alla missione UNIFIL in Libano, sulla quale, inizialmente, abbiamo avuto alcune riserve. UNIFIL sta operando ed i nostri uomini stanno svolgendo bene i compiti assegnati, ma continuiamo a ritenere che esistano rischi gravi e che gli elementi sovversivi presenti sul territorio stiano continuando ad armarsi e organizzarsi, nonostante la forza multinazionale. Ciò avviene a causa della debolezza politica di quest'ultima, dovuta a regole e mandati non chiari e non sufficientemente forti.
Detto ciò, è giusto fare anche una riflessione sull'uso delle nostre forze armate in generale. Crediamo che l'ampiezza dell'operato di queste missioni e la portata finanziaria molto elevata - più di un miliardo di euro - suggeriscano anche una riflessione sul ruolo e sull'opportunità dell'impiegoPag. 32di militari, poliziotti, finanzieri, accanto anche a magistrati e tecnici nei teatri di guerra. Le operazioni all'estero hanno assorbito una parte amplissima dell'impegno e delle risorse di questi corpi, quasi a lasciare intendere che lo scopo delle forze armate sia di difendere qualcuno che sta al di fuori dello Stato, ma che non esistono più esigenze di difesa dello Stato stesso. Non è così. Questa non è la realtà. Il nostro Paese ha ancora confini - anche se non più frontiere - che oggi si sono ridotti a canali di accesso senza controllo e senza difesa. L'allargamento accelerato dei confini dell'Unione europea, assieme all'arrivo al Governo di una classe politica (rappresentata chiaramente da questo Governo di centrosinistra, da Prodi e da Veltroni stesso che, con il Partito Democratico ha sostenuto questo Governo) che sembra amare più gli immigrati clandestini che i legittimi cittadini, ha fatto sì che il nostro Paese diventasse - nell'immaginario collettivo di tantissimi extracomunitari - la meta più appetibile da raggiungere.
Oggi, chi parte dall'altra sponda del Mediterraneo o dall'Europa centrale, clandestino irregolare, sa che da noi troverà assistenza immediata, con un po' di pazienza una regolarizzazione, diritti, nessun dovere, nessun obbligo e, se commetterà qualche reato, una giustizia clemente e superficiale. Soprattutto, costui sa che nessuno lo obbligherà ad andarsene, qualunque cosa egli faccia o non faccia. Esistono oggi, colleghi, vere e proprie rotte organizzate e specializzate. Il connubio di buonismo, umanitarismo, egualitarismo ed impunità, ha fatto sì che proprio lungo le nostre coste si siano consolidati traffici stabili: droga, prostituzione, manodopera schiavizzata, delinquenza.
È grottesco che ogni ampliamento delle quote del cosiddetto decreto flussi sia giustificato con l'esigenza di manodopera nelle industrie e di assistenza alle famiglie quando migliaia di uomini e di donne partono dai loro Paesi già destinati a qualche settore illecito ben definito: furti negli appartamenti, borseggi, prostituzione, spaccio di droga e così via. Noi riteniamo che le nostre forze armate possano essere utilizzate anche per contrastare tali fenomeni. Voi avete usato i nostri militari per raccogliere la spazzatura di Napoli e della Campania per colpa di Bassolino, Pecoraro Scanio ed altri; questa è una vera vergogna (applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Per quanto ci riguarda, l'immondizia di Napoli dovrebbe essere raccolta da loro, non certo dai nostri uomini che hanno una elevata professionalità, che sono preparati, che possono essere sicuramente utilizzati per difendere i nostri confini, non solo nelle missioni di pace all'estero. Non è a questo che deve servire il nostro esercito; esso dovrebbe essere impegnato con più efficacia e con più dignità per difendere il nostro territorio lungo i propri confini. Le nostre forze militari e di polizia hanno strumenti e competenze importanti, sperimentate all'estero per la lotta al terrorismo, per il monitoraggio del traffico di armi, di sostanze stupefacenti, per operazioni sul terreno e di intelligence; potrebbero svolgere un'attività costante di filtro e di contrasto anche all'immigrazione clandestina. Questa è un'attività che oggi viene svolta solo parzialmente e ben al di sotto delle potenzialità. Gli accordi bilaterali con i Paesi di origine, è giusto ricordare anche questo, sono insufficienti, molto spesso non vengono rispettati; i compiti e le prerogative delle unità impegnate sono fortemente limitati. Nessuno chiede rappresaglie contro i boat people, ma il semplice buon senso suggerisce che non possiamo continuare ad essere il Paese che recupera «carrette» dal mare, anche molto lontano dalle proprie coste, in acque internazionali, praticamente di fronte all'altra sponda del Mediterraneo. Si diffondono in fretta tra i clandestini in attesa di partire le immagini di nostre navi che recuperano tutti, sfamano tutti, curano tutti, soccorrono tutti. Altri Paesi come Malta e la Spagna non lo fanno più da tempo e il numero di clandestini che fa rotta verso le loro coste è drasticamente diminuito. Questa è la realtà, vengono tuttiPag. 33da noi perché nessuno fa nulla per impedirlo (applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Concludo con un suggerimento. Dal momento che ci apprestiamo ad andare al Governo e dal momento che si è parlato a lungo nelle Commissioni di leggi organiche di riassetto delle norme connesse all'impiego delle forze militari in missione all'estero, propongo di rivedere, più in generale, le funzioni della difesa, al fine di contrastare le minacce dirette che il Paese subisce costantemente, minacce che costituiscono un'emergenza destinata ad aggravarsi ulteriormente in mancanza di un segnale chiaro e forte di un cambio di rotta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'UDC, in coerenza con le posizioni assunte in ogni altra occasione, conferma il proprio voto favorevole a questo provvedimento, forte della convinzione che le missioni internazionali, che la presenza di civili e militari del nostro Paese nelle aree di crisi impegnati nelle attività di cooperazione, di assistenza, di prevenzione, di tutela della sicurezza delle popolazioni sia un'attività doverosa in base ad una rinnovata cultura dell'impegno multilaterale, della solidarietà universale, dell'interdipendenza tra loro delle crisi e delle condizioni di instabilità nel mondo. I nostri operatori civili e militari nelle varie aree in cui abbiamo inviato missioni, e di cui oggi votiamo un nuovo finanziamento, si sono resi protagonisti di un impegno che ha suscitato grande apprezzamento nella comunità internazionale e nelle popolazioni locali. Hanno portato aiuti, soccorsi, hanno confortato le popolazioni colpite da profonda sofferenza.
Abbiamo pagato un tributo di sangue, anche recentemente, con l'attentato mortale al maresciallo Pezzulo ed il ferimento del maresciallo Mercuri proprio nel momento in cui stavano portando soccorso alle popolazioni. Abbiamo dimostrato uno spirito di solidarietà che deve essere sempre confermato, a prescindere dai Governi che si succederanno, a prescindere dal colore politico delle formazioni che assumono la guida del Paese. Credo che non ci si possa sottrarre a questo impegno, soprattutto laddove le crisi appaiono di più difficile definizione rispetto a queste missioni che oggi rifinanziamo, a cui partecipiamo in virtù della nostra presenza nella NATO o insieme alle Nazioni Unite o con l'Unione europea o, a volte, anche in virtù di semplici accordi bilaterali con i Paesi in cui siamo presenti. Si tratta talvolta di crisi che sono vicine ad una soluzione, ad una stabilizzazione e altre volte di condizioni, invece, molto delicate in cui ancora sono forti i pericoli, sono aperte conflittualità e sono lontani assetti di stabilizzazione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 12,05)
ALESSANDRO FORLANI. Mi riferisco in particolare, sotto quest'ultimo aspetto, al Libano, all'Afghanistan e al Kosovo: crisi ancora aperte, con scenari ancora inquietanti e preoccupanti che allarmano la comunità internazionale, spesso connessi a criticità delle aree circostanti, connessi al terrorismo, al cosiddetto conflitto di civiltà e in cui i passaggi non possono non essere molto graduali ed irti di ostacoli.
Credo che accanto all'azione di monitoraggio della sicurezza e di assistenza - che pure continueremo, ribadendo il nostro consenso al rifinanziamento - occorra sviluppare, riprendere (e farlo sarà compito del Governo e del Parlamento che usciranno dalle prossime consultazioni di aprile, Governo che sarà dotato, a quel punto, di forte legittimazione politica e di consenso del Paese e del Parlamento) attraverso le organizzazioni del multilateralismo, un'azione tenace dell'Italia nella prospettiva della soluzione di queste crisi. Il riassetto istituzionale del Libano, una compensazione della recentemente annunciataPag. 34indipendenza del Kosovo con l'integrazione della Repubblica serba nel consesso delle Nazioni europee, confortati dalla vittoria del presidente Tadic nelle ultime elezioni presidenziali, espressione di un partito moderato, di un partito europeista.
Soprattutto - l'ho sottolineato in sede di intervento sul complesso delle proposte emendative - è importante moltiplicare gli sforzi e rivedere, forse, anche la stessa strategia della comunità internazionale in Afghanistan. In quella realtà gli sforzi, i progressi si rivelano troppo lenti, troppo graduali ed è ancora lontana una stabilizzazione e una piena sovranità del Governo democraticamente eletto. Si tratta di un Paese in cui ancora ampie fasce di potere sono sottratte a questo Governo da poteri di fatto, da poteri inaccettabili che vengono a costituirsi in virtù della prepotenza all'interno del Paese, di una realtà in cui è ancora aperta una guerra civile ed è ancora presente la sfida talebana ed in cui gli stessi alleati ci chiedono maggiori sforzi militari e un maggiore coinvolgimento nel conflitto.
Ciò potrebbe determinare una situazione molto pericolosa anche per i nostri uomini impegnati su quel terreno. Se in Afghanistan si vuole evitare una recrudescenza bellica occorre intensificare lo sforzo politico e di pacificazione, il dialogo con le componenti con cui sia possibile in qualche modo affrontare un'interlocuzione costruttiva per l'avvenire di quel Paese così martoriato.
Pertanto, mi auguro che questo nostro ultimo atto di legislatura che conferma la vocazione multilaterale e solidaristica dell'Italia sia poi seguito, allorché torneremo in un certo senso ad una condizione di normalità parlamentare dopo le elezioni, da un'azione più incisiva e coraggiosa di politica estera che veda tra le sue priorità anche la partecipazione alla soluzione del conflitto israelo-palestinese che in qualche modo rappresenta il fulcro dell'instabilità mediorientale ed è strettamente connesso con altre crisi presenti nella stessa area. Mi riferisco all'Iraq, al Libano e alle posizioni di alcune potenze regionali, in particolare alla Siria e al ruolo che sta svolgendo l'Arabia Saudita nelle mediazioni. Questo deve essere uno degli obiettivi principali della politica estera del prossimo Governo, qualunque sia il suo colore politico.
Con tali convinzioni e priorità ribadiamo il nostro consenso al provvedimento in esame e annunciamo il voto favorevole del gruppo dell'UDC.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo poche parole per rinnovare la posizione favorevole e ribadire il voto di Alleanza Nazionale a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge sul rifinanziamento delle missioni militari internazionali.
È stato più volte oggetto del dibattito dell'Assemblea in occasione dei periodici decreti-legge di rinnovo l'espressione della nostra posizione, ma certamente ancora una volta in tale circostanza va ribadito, oltre alla posizione di favore in termini politici e legislativi in ordine agli adempimenti anche di carattere finanziario e burocratico connessi alla nostra presenza negli scenari internazionali, il pieno appoggio, la solidarietà più ferma, il rispetto, la vicinanza e la grande ammirazione che da parte della destra si è sempre dimostrata - deve essere peraltro non ritualmente ribadita in ogni circostanza - nei confronti delle Forze armate italiane e dell'impegno, in particolare, dei nostri contingenti sugli scenari internazionali.
Sono ben ventisette i Paesi nei quali vi è l'impegno delle nostre Forze armate. Quasi 8.500 uomini e donne, la maggior parte dei quali (7.500) sostanzialmente divisi fra le tre missioni principali, quella del Libano, dell'Afghanistan e dei Balcani. Ma, anche le altre, che vedono una presenza più diffusa e diversificata in molti teatri del pianeta, sono contraddistinte da caratteristiche di professionalità, competenza, grande umanità ed efficacia nell'azionePag. 35dei nostri militari che ha riscosso l'apprezzamento di tutte, in buona sostanza, le componenti della scena internazionale. Certamente, anche in tali circostanze devono essere ricordate e ribadite parole di cordoglio nei confronti di chi, in nome dell'Italia, per la partecipazione alle missioni di ricostruzione e di sostegno a tante situazioni diversificate di disagio nell'ambito internazionale, ha mantenuto il proprio impegno supremo del dovere sino all'estremo sacrificio.
Certo, nel corso della discussione periodica che ha visto impegnate le Camere in occasione dei diversi rifinanziamenti purtroppo si è sempre avvertita la necessità di ricordare alcuni caduti nei mesi precedenti, anche a testimonianza di quanto sia seria, difficile, ma nello stesso tempo tanto importante l'opera dei nostri militari nei diversi scenari internazionali.
Nuovamente in questa circostanza, l'ultima della legislatura, abbiamo dovuto riscontrare, questa volta apertamente (non vi sono più infingimenti, né si avverte la necessità di mistificazioni politiche), la totale divisione che regna nella maggioranza che ha sostenuto il Governo Prodi. Oggi vi è la possibilità, subito colta da parte dei gruppi della sinistra comunista, di esprimere un voto libero, diverso da quello che, in tante altre circostanze, hanno espresso obtorto collo; è la dimostrazione plastica di ciò che, da parte dell'opposizione, è sempre stato indicato come l'elevato livello di divisione con particolare riferimento alla politica estera. Tale politica dovrebbe essere, invece, quella che maggiormente contraddistingue l'unità della maggioranza che sorregge un Governo, l'unità dello stesso Governo, ed anche dei due rami del Parlamento e della rappresentanza politica nel suo complesso. In questa circostanza, ci permettiamo di rinnovare un appello al nuovo Esecutivo e alla nuova maggioranza - qualunque essa sia, anche se siamo fiduciosi che sarà di centrodestra - che si costituiranno perché delle Forze armate, della loro importanza, della loro necessità di una maggiore possibilità di risorse e di finanziamenti non si discuta e non si parli esclusivamente in relazione alle missioni internazionali (che ottengono, come sappiamo, finanziamenti specifici), ma anche in termini di maggiori risorse di bilancio.
Infatti, tanti dei mezzi impiegati, degli uomini e delle donne attualmente impiegate a rotazione sugli scenari internazionali e delle strutture, dei sistemi, della tecnologia che vengono utilizzate sono messe a dura prova dall'impiego costante e ripetuto in tanti scenari internazionali. È necessario ampliare le risorse per la difesa e, lo ripeto, come destra rivolgiamo un appello al nuovo Esecutivo che si costituirà proprio perché sempre più efficaci, ma anche sicure siano le possibilità per i nostri contingenti nei diversi scenari.
La richiesta sempre più pressante che proviene dall'Alleanza atlantica per un impegno ulteriore e diversificato nell'ambito dello scenario afgano è ineludibile e, quindi, una nuova maggioranza dovrà dimostrare una nuova consapevolezza circa l'importanza e la vicinanza nei confronti delle nostre Forze armate. Dal nuovo Esecutivo, dalla nuova reggenza della nostra patria dovrà provenire un segno di ulteriore stima, vicinanza, ma anche consapevolezza dell'importanza di questo impegno, ormai ultra ventennale, dell'Italia nell'ambito internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Saluto una delegazione di docenti e alunni della scuola media Vito Volterra di Ariccia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cossiga. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE COSSIGA. Signor Presidente, Forza Italia voterà a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame in perfetta consonanza di vedute con gli altri amici che stanno confluendo con noi nel Popolo delle Libertà. Lo facciamo in coerenza con la posizione evidenziata in tutti questi anni, ma anche con uno spirito più sollevato rispetto a quanto è accaduto e che a volte ci ha portato a volerci distinguere rispetto a questo Governo e a questa maggioranza.Pag. 36
Siamo sollevati perché sappiamo che, i momenti difficili che ci accingiamo ad affrontare, per la prima volta in due anni non saranno più nella responsabilità di questo Governo pasticcione e di questa maggioranza pasticciata. Sottolineo ulteriormente la macedonia di posizioni e di differenziazioni che oggi, anche nel voto, ma prima soltanto nelle affermazioni, hanno caratterizzato l'attuale ex maggioranza.
Noi siamo per la continuità nella politica estera, ma per una continuità che forse è un po' diversa da quella di chi, in un Governo Prodi di qualche anno fa, è stato protagonista nel Kosovo, bombardando la Serbia, ed oggi, ormai sfiduciato, ritiene di procedere rapidamente ad un riconoscimento. Ebbene tutto questo, se Dio vuole, è passato, ed è con piacere che votiamo a favore della conversione di questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, colleghi, il Partito Democratico, attraverso il voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge che rinnova la partecipazione dell'Italia a missioni internazionali, vuole sottolineare la sua approvazione alla politica estera del Governo italiano. A partire dalla decisione del ritiro del contingente italiano in Iraq, presa all'indomani dei risultati elettorali del 2006, il Governo ha impresso una svolta alla nostra politica estera e l'Italia è stata impegnata nella ricerca di un'alternativa alla crisi dell'opzione unilaterale e nel difficile tentativo di costruzione di una nuova prospettiva multilaterale.
Una linea di politica estera nella quale lo stesso uso della forza e della presenza militare si giustificano non solo nel quadro della legittimità delle istituzioni internazionali che le deliberano, ma anche di un'azione che affida alla politica, e non alle armi, la soluzione dei conflitti. Una linea di presenza attiva dell'Italia, esattamente il contrario di una linea di disimpegno. Naturalmente è stata una presenza attiva consapevole delle contraddizioni di quanti si muovono in una situazione nella quale una nuova legittimità internazionale costituisce un obiettivo della nostra azione, un obiettivo che sta davanti a noi, non una premessa che è alle nostre spalle, in un mondo così sconvolto dai processi che abbiamo conosciuto nel corso di questi anni.
Per brevità, non parlerò delle altre missioni, non parlerò in particolare del Kosovo, ne ha parlato a lungo e con precisione l'onorevole Mattarella questa mattina, intervenendo nel dibattito sull'ordine del giorno, ma voglio spendere qualche parola in più a proposito dell'Afghanistan. La nostra posizione, con la conversione del decreto-legge oggi sottoposto al nostro voto, come risulta anche dall'ordine del giorno che abbiano presentato e che è stato accolto dal Governo, non muove dall'idea che le cose vadano bene; anzi siamo consapevoli che, per quanto riguarda l'Afghanistan, vi sia la necessità di una svolta profonda. Conosciamo, e non solo noi, le cause che hanno condotto quello scenario da una situazione che sembrava quasi aver risolto le difficoltà tra la fine del 2002 e l'inizio del 2003 ad un'involuzione e sappiamo che se non cambiano le condizioni, se non cambia la politica della coalizione internazionale che oggi si misura in Afghanistan, vi è il rischio di una sconfitta. Non solo una sconfitta della missione internazionale, ma più gravemente la sconfitta della prospettiva di uno sviluppo democratico, di uno sviluppo dello stato di diritto e il riprecipitare dell'Afghanistan in una spirale di violenza e di barbarie.
Sappiamo che non è sul piano militare, ma su quello della perdita del consenso sociale e politico che è avvenuto l'indebolimento della presenza internazionale in Afghanistan. Sappiamo che ricostruire una prospettiva significa affrontare con nuove soluzioni le difficoltà politiche che abbiamo conosciuto. Ciò significa, in primo luogo, un impegno quantitativamente e qualitativamente nuovo contro la povertà, per lo sviluppo, per la scuola, per i servizi, per la lotta alla corruzione e allaPag. 37criminalità; scelte nuove per quanto riguarda la lotta alla coltivazione e il traffico degli stupefacenti. Naturalmente sappiamo che tutto ciò necessita nuove risorse che devono essere investite su questo terreno e non solo su quello militare.
Sappiamo, come secondo punto, e siamo coscienti, che è necessaria una presenza militare rivolta non solo a reprimere il terrorismo e contrastare l'aggressione che oggi proviene, di nuovo, dalle forze talebane, ma a garantire la sicurezza collettiva; l'azione militare deve essere ispirata ai principi della sicurezza umana.
Sappiamo, come terzo punto, che vi è bisogno di una prospettiva politica che riaffermi la necessità di un negoziato, di una trattativa che coinvolga tutte le forze disponibili, tutti quei gruppi disposti a concorrere ad una prospettiva di stabilizzazione.
Pensiamo che vi sia la necessità di un coinvolgimento di tutti i Paesi interessati (questa era anche l'idea della Conferenza regionale), a partire dal Pakistan e dall'Iran, e di una loro responsabilizzazione nel processo di pace.
Voi sapete, cari colleghi, che questo è quello che ci chiedono la società civile afgana e tutti i volontari che sono impegnati su quel terreno: ossia di contribuire in questo modo.
Voi sapete, cari amici e cari compagni della Sinistra Arcobaleno, che da nessuno di quanti sono impegnati su quel terreno, afgani o volontari italiani, è giunta la richiesta di ritiro delle truppe e che, invece, la presenza di un contingente militare qualificato in questa direzione è una richiesta che proviene da quelle forze.
Vi chiediamo: da dove si può agire per questo cambiamento necessario? Estraniandoci, o dall'interno della comunità internazionale, assumendoci le nostre responsabilità, e del sistema di alleanze nel quale siamo impegnati? Da dove si lavora per una svolta? Da dove si indica una prospettiva che non sia solo quella del disimpegno, ma di un Paese che sappia assumere le sue responsabilità di lotta per la pace e non semplicemente di «tirarsi» fuori, lavandosi le mani, alla vigilia di una prospettiva di una situazione elettorale?
Lo voglio dire: non solo non ci compiacciamo e non ci rassegniamo ad un'involuzione che porti le forze politiche parlamentari importanti ad allontanarsi dal campo della responsabilità che hanno praticato con noi in questi anni. Non solo non ci rassegniamo, ma, cari amici, noi, che vogliamo tenere fermo il timone sulla rotta che in questi anni ha restituito prospettive, identità, forza e riconoscimento alla politica estera italiana, vi sfidiamo sul terreno del fare, della responsabilità e delle realizzazioni concrete sul terreno della pace.
Questo è il senso del voto favorevole che oggi noi esprimiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo per pochissimi secondi per rendere l'ultima dichiarazione di voto di questa legislatura per quanto mi compete. Penso che, archiviando la votazione di oggi, tutti noi, di qualsiasi parte politica, dobbiamo riflettere per il senso di responsabilità e di affetto che ci deve legare a tutti gli italiani che in questi mesi di legislatura sono morti all'estero, compiendo il proprio dovere.
Abbiamo votato a favore o contro questi interventi, ma poi ciascuno di noi deve fermarsi a riflettere su quelle bare che sono arrivate a Ciampino, tutte coperte dalla bandiera tricolore. Un Paese può essere di destra o di sinistra, ma se non si riconosce in quelle bare è un Paese che non ha futuro, perché dimentica le proprie radici.
Troppe volte stiamo dimenticando, in pochissimi giorni, quei caduti. Lo abbiamo visto anche la scorsa settimana: pochi secondi e spariscono dai telegiornali. Ma anche questa è la realtà e la forza del nostro Paese.
Concludendo, voglio essere vicino a quelle famiglie con il senso di responsabilità di un voto, ma penso anche ai caduti in Iraq di ieri, in Afghanistan oggi, ai feriti in Libano e in Kosovo.
Penso che la Camera dei deputati debba idealmente stringersi a quelle famiglie,Pag. 38perché questo è il cemento che fa grande una nazione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.