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Seguito della discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00011, Elio Vito ed altri n. 1-00013 e Sereni ed altri n. 1-00014 in materia di missioni italiane all'estero (ore 9,38).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00011, Elio Vito ed altri n. 1-00013 e Sereni ed altri n. 1-00014 in materia di missioni italiane all'estero (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 17 luglio 2006 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, non intervengo per anticipare la dichiarazione di voto che, a nome del gruppo di Alleanza Nazionale, svolgerà il collega Briguglio, ma per annunciare il ritiro della mozione La Russa ed altri n. 1-00011, in quanto riteniamo sia assorbita dalla mozione Elio Vito ed altri n. 1-00013.
PRESIDENTE. Ne prendo atto.
(Parere del Governo)
PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Sereni ed altri n. 1-00014, presentata dai deputati della maggioranza, e parere contrario sulla mozione Elio Vito ed altri n. 1-00013.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, preliminarmente mi permetta di far osservare che, contemporaneamente ai lavoriPag. 2dell'Assemblea, sono in corso sedute di numerose Commissioni, in particolare della Commissione bilancio, che sta esaminando gli emendamenti al disegno di legge riguardante la materia di cui trattano le mozioni in esame ed io stavo svolgendo un intervento in quella sede.
Il problema riguarda la programmazione dei lavori dell'Assemblea. Capisco la difficoltà, ma si creano ulteriori problemi. Ho dovuto chiedere alla presidenza la cortesia di posticipare il mio intervento. In questi casi, bisognerebbe procedere alla sconvocazione delle Commissioni anche quando non si vota.
PRESIDENTE. La ringrazio per la segnalazione; disporremo immediatamente, dato che siamo in fase di dichiarazioni di voto, la sospensione dei lavori delle Commissioni.
Prosegua pure, deputato La Malfa.
GIORGIO LA MALFA. Non intendo determinare un ritardo dei lavori delle Commissioni ma bisognerebbe invitare i presidenti delle stesse a convocarle in modo tale da evitare il sovrapporsi con i lavori dell'Assemblea.
Signor Presidente, la mozione Elio Vito ed altri n. 1-00013, di cui sono cofirmatario, illustra bene le posizioni della precedente maggioranza sulla politica estera. Constatiamo con grande preoccupazione un progressivo spostamento della politica estera del nuovo Governo anche rispetto alle enunciazioni fatte in campagna elettorale.
In particolare, in questo momento la Commissione bilancio sta esaminando - ed è la ragione del mio ritardo - un emendamento del Governo al disegno di legge relativo alla partecipazione italiana alle missioni internazionali, che prevede l'esclusione dell'uso degli elicotteri Predator nella missione in Afghanistan.
Evidentemente, è intervenuto un accordo successivo alla presentazione del disegno di legge che stabilisce il non impiego di questi elicotteri, inizialmente preso in considerazione, invece, dal Governo. Dobbiamo verificare non solo una politica estera diversa da quella della precedente maggioranza, il che è legittimo, dato il risultato delle elezioni, ma anche uno spostamento progressivo.
Lo abbiamo constatato ieri nel discorso dell'onorevole D'Alema, che giudicare non equilibrato è il minimo, anzi è stato giudicato non equilibrato da buona parte degli esponenti della maggioranza o della Margherita. Quindi, quotidianamente tale politica si sposta verso una specie di pacifismo assoluto: potrà fare piacere ai colleghi dell'estrema sinistra, ma certamente non fa piacere a noi e colloca la posizione dell'Italia nel quadro internazionale in modo molto problematico. Altro che un'Italia più europea, come si è sentito dire! Questa è un'Italia sempre più distante dai suoi impegni internazionali, sia quelli presi in sede di comunità atlantica, sia quelli presi in sede di Unione europea. Rischiamo di creare una posizione che è un unicum, che nemmeno i momenti di maggiore ambiguità degli anni della prima Repubblica avevano visto.
Segnalo tutto questo, e concludo signor Presidente, con enorme preoccupazione. Capisco che vi sono anche settori della maggioranza che si rendono conto del problema, ma prima o poi la questione dovrà essere affrontata politicamente in modo più serio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, onorevoli deputati, oggi siamo chiamati ad approvare una mozione importante che definisce i contorni politici entro i quali dovranno muoversi le nostre missioni militari all'estero. Si tratta di un documento che è il frutto di un dibattito intenso all'interno della maggioranza, un dibattito che - è inutile negarlo - ha avuto anche momenti acuti e difficili. Tutti abbiamo accolto con soddisfazione la decisione del Governo del ritiro totale delle nostre truppe dall'Iraq, anche se noi avremmo voluto e chiediamo ancora tempi più celeri. Le altre missioni militari non vedonoPag. 3una nostra contrarietà, anche se è importante l'impegno assunto dal ministro D'Alema per il Governo ad una verifica puntuale in Parlamento degli esiti e delle prospettive di ogni singola missione.
Detto questo, è però indubbio che è emerso netto nel Parlamento e nel paese un giudizio diverso tra le forze dell'Unione sulla natura e sull'opportunità della missione militare italiana in Afghanistan. Noi del gruppo dei Comunisti Italiani in queste ultime settimane abbiamo cercato di portare informazioni ed argomentazioni a sostegno dell'opinione, che non è solo nostra ma di tanta parte del movimento della pace e del 61 per cento dell'opinione pubblica italiana, che in Afghanistan non è in corso una missione di polizia internazionale, ma una guerra vera e propria. Per noi è, infatti, davvero difficile poter considerare operazione di polizia internazionale un intervento che prevede l'uso dei cacciabombardieri e nel corso del quale, solo nelle ultime settimane, sono morte più di ottocento persone.
In realtà, siamo di fronte ad un'operazione che, seppur nata dopo l'11 settembre come risposta ad un terribile attacco terrorista, ha assunto nel tempo le caratteristiche di una guerra aperta, i cui obiettivi non sono più espliciti. Colpire, infatti, un'organizzazione terrorista non può essere la stessa cosa che combattere intere regioni, contro migliaia e migliaia di persone, causando terribili distruzioni ed enormi perdite nelle popolazioni civili. Tutto ciò, poi, nel nome di una presunta esportazione della democrazia che a Kabul ha fatto veramente pochi passi in avanti, come dimostra la forza che mantengono i macellai che si autodefiniscono «signori della guerra».
In realtà, in Afghanistan si sta consumando uno scontro del tutto diverso, che ha come posta la ridefinizione della geopolitica mondiale, nel nome dell'egemonia USA su un'area strategica che va dal Medio Oriente sino ai confini della Cina. Il Presidente Bush ha chiarito bene quale sia la strategia del Governo USA quando ha dichiarato che questa guerra durerà per un'intera generazione ed è stata dichiarata perché nessuna nascente potenza regionale possa mettere in discussione gli attuali equilibri di forza a livello mondiale. Il tutto per la difesa dell'attuale standard di vita e di spreco dei cittadini statunitensi che essi considerano non negoziabile.
L'Iraq come l'Afghanistan sono, quindi, cruciali per gli Stati Uniti non per l'esportazione della democrazia o dei diritti umani, ma perché fondamentali ai fini del controllo diretto dei principali giacimenti di petrolio e di gas. Come in Iraq anche in Afghanistan, dopo cinque anni di guerra, l'instabilità è ormai una costante e la sicurezza una vera e propria chimera. Ciò che è stato esportato, in realtà, sono le tragedie umanitarie per le popolazioni che, paradossalmente ma non troppo, costituiscono il brodo di coltura ideale per ogni organizzazione fondamentalista e terrorista.
Noi Comunisti Italiani riteniamo che prima l'Italia e l'Europa si differenzieranno completamente da questa guerra scatenata dal Governo statunitense, prima potremo difendere gli interessi veri dei nostri popoli e prima ancora la politica e non la guerra tornerà ad essere la forma del confronto internazionale. Per questo, in modo strutturale riteniamo incompatibile la missione in Afghanistan con l'articolo 11 della nostra Costituzione e con il programma dell'Unione, che vincola tutte le forze della maggioranza. Di questo abbiamo discusso e il confronto tra di noi è oggi parte del dibattito pubblico del nostro paese. Dobbiamo però registrare che, ad oggi, non siamo ancora riusciti a trovare nella maggioranza un'intesa per aprire le porte ad un ritiro dei nostri militari dall'Afghanistan, come invece abbiamo fatto e deciso per l'Iraq. Noi continuiamo e continueremo a sostenere che la soluzione minima necessaria per l'Afghanistan è il ritiro, anche della missione ISAF, e che, tra l'altro, non è sotto il comando ONU ma della NATO.
Siamo convinti che, se oggi il nostro obiettivo non può drammaticamente realizzarsi, in futuro le nostre argomentazioni, come nel caso dell'Iraq, diventeranno patrimonio di tutta la coalizione, di cui lealmente facciamo parte. Detto questo,Pag. 4non possiamo che registrare, senza trionfalismi ma anche con soddisfazione, che la mozione che il Parlamento si appresta ad approvare rappresenta un passo in avanti nel metodo e nel merito.
Nel metodo la mozione indica la necessità che l'Italia si faccia promotrice di un'ampia fase di approfondimento nelle sedi internazionali di tutti gli strumenti con cui le Nazioni Unite e la NATO operano in Afghanistan. C'è inoltre l'impegno fondamentale a non partecipare come paese alla missione Enduring freedom, ma, anzi, a promuoverne il superamento. Nel merito, tra i tanti punti in avanti, mi preme sottolineare il fatto che un emendamento da noi presentato al disegno di legge sulle missioni per l'applicazione del codice militare di pace a tutti i nostri militari all'estero è divenuto emendamento dell'intera maggioranza, con l'impegno del Governo ad accoglierlo.
Centrale risulta per noi la questione dell'indagine sulle tragedie umanitarie ed ambientali prodotte dall'uso di proiettili all'uranio impoverito e dalle bombe al fosforo bianco. L'uso di questi armamenti in Kosovo, come in Iraq e in Afghanistan, si configura infatti come un crimine di guerra che colpisce le popolazioni inermi per intere generazioni. Per questo, noi riteniamo che vadano riconosciuti ai popoli colpiti i danni di guerra e che l'Italia debba promuovere a livello internazionale la messa al bando di questo tipo di armi, che sono, nei fatti, armi di distruzione di massa. Infine, importantissima per noi è la richiesta, che il Parlamento formula al Governo, di una netta separazione tra la cooperazione e gli interventi militari. Il nostro Governo si è mosso secondo questo principio, denunciando pubblicamente le caratteristiche essenzialmente militari di quel Provincial reconstruction team, che la destra voleva mantenere in Iraq per raggirare nei fatti l'impegno al ritiro. Dato però che i PRT sono diffusi in tutto l'Afghanistan, ci aspettiamo che, una volta approvata la mozione, il Governo italiano superi anche in questo paese questo tipo di presenza e punti, invece, sulla vera cooperazione civile, fatta essenzialmente insieme alle ONG locali, come fanno le Nazioni Unite. Ci sono poi vari punti, sia nella premessa che negli impegni, che definiscono il fatto che le missioni militari italiane devono svolgersi sotto il costante controllo del Parlamento, che opererà anche in rapporto con la società civile e il mondo della cooperazione internazionale.
Signor Presidente, onorevoli deputati, il partito dei Comunisti Italiani non è mai stato contrario per principio alle missioni militari italiane all'estero. In relazione alle missioni militari sosteniamo che, come è scritto nel programma dell'Unione e cito testualmente, «l'Italia deve dare un'applicazione rigorosa dell'articolo 11 della Costituzione, che, oltre all'ovvio principio dell'autodifesa, prevede e consente l'uso collettivo della forza soltanto in quanto misura di sicurezza collettiva, come previsto dall'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, secondo criteri che distinguano la funzione di polizia internazionale dalla guerra, il mandato delle Nazioni Unite, una forza delle Nazioni Unite di natura tale da garantire la terzietà rispetto al paese e agli interessi in campo, la congruità dei mezzi rispetto ai fini perseguiti».
Il programma dell'Unione è ciò che vincola tutti noi e che ci lega al patto elettorale che gli elettori hanno premiato.
Noi faremo ogni sforzo per darvi attuazione.
Signor Presidente, onorevoli deputati, alla luce di tali considerazioni, il gruppo dei Comunisti Italiani voterà, quindi, a favore della mozione presentata dalla maggioranza; voteremo a favore perché un solo punto, anche se importantissimo, di dissenso non può far mancare la nostra fiducia ad un Governo e ad una maggioranza che stanno complessivamente bene operando.
Noi Comunisti Italiani continueremo a batterci, con tutte le nostre forze, per la pace e per il ritiro dall'Afghanistan e perché il nostro paese continui a definire una propria politica estera pienamente autonoma, europea e libera (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, nel corso della discussione sulle linee generali abbiamo avuto modo di spiegare i motivi per cui ci riconosciamo nella mozione sulla quale il Governo ha espresso parere favorevole; la mozione sottoscritta da tutti i presidenti di gruppo dell'Unione.
Ritengo che questa mozione consenta al Governo di poter sostenere, così come ha fatto il viceministro Intini in Commissione affari esteri, la valenza strategica del disegno di legge in materia di missioni internazionali in quanto primo atto parlamentare della politica estera del Governo Prodi; tale strategia è stata esplicitata nei punti politici più significativi contenuti in questa mozione e, pertanto, noi ci ritroviamo con convinzione nel suo dispositivo.
Vorrei richiamare però l'attenzione su un paio di profili che non abbiamo discusso.
Il primo riguarda l'impegno che noi chiediamo al Governo per un particolare investimento negli strumenti della prevenzione dei conflitti e di mediazione e di accompagnamento dei processi di pace. Risulta che l'Italia sta svolgendo un'azione diplomatica di cui auspico l'efficacia; un'azione che di sicuro sarà utile nel conflitto in atto tra Israele e zone del Libano. Spero che tale intervento italiano abbia successo.
A dire il vero, noi riteniamo che si tratti di un'azione di supplenza perché in questi giorni l'Unione europea non ha un'investitura politica sufficientemente coesa per svolgere un'azione diplomatica forte; alcuni paesi dell'Unione, però, hanno avanzato proposte, sottoscritte anche dal nostro Governo, molto importanti. La prima di queste è la proposta di una forza di interposizione dell'ONU per mettere in sicurezza la frontiera del Libano ed Israele; a tale proposito, spero che tale soluzione possa trovare il sostegno del Consiglio di sicurezza al quale l'Italia, come membro non permanente, parteciperà.
Voglio anche richiamare l'attenzione su talune questioni che possono apparire di dettaglio; quando noi chiediamo al Governo di impostare l'attività di cooperazione giudiziaria dell'Italia con l'Iraq conformemente al diritto penale internazionale e all'acquis della Corte penale internazionale, pensiamo anche al processo in corso contro Saddam Hussein. Quel processo rappresenta un percorso estremamente importante per il popolo iracheno, ma anche per la comunità internazionale che, in qualche modo, lo ha tacitamente «sottoscritto». Se dovesse concludersi, tale processo, con l'impiccagione del dittatore Saddam Hussein, ritengo che noi avremmo reso un pessimo servizio al nostro concetto di diritto e avremmo rafforzato una logica basata sulla vendetta. Spero che ciò non avverrà e che potremo in qualche modo adoperarci in tal senso.
Per quanto riguarda la giustizia in Afghanistan, vorrei ricordare che lì vige la sharia e che noi siamo il paese che in primo luogo sostiene la riforma della giustizia afghana. A mio avviso, dovremmo tentare di avvicinare di più la giustizia afghana, nelle forme in cui si sta concretizzando, ai principi che noi riteniamo essenziali per uno Stato di diritto, a cominciare dal pieno rispetto dei diritti umani.
A questo fine credo che sarà necessario un lavoro un po' diverso e un investimento un po' più sostanzioso nella qualità della giustizia afgana. Non si tratta di un'azione teorica perché in certe zone dell'Afghanistan, dove la giustizia statale non arriva, sta tornando la giustizia come servizio alla comunità fornita dai talebani, che in certe comunità locali non vengono visti come tiranni od oppressori ma come fornitori di sicurezza. Credo che occorra tener conto di tutto ciò e, a nome del gruppo dei Verdi, ribadisco il nostro voto favorevole sulla mozione Sereni n. 1-00014, che spero ci aiuterà a portare avanti una politica estera coesa in giorni estremamentePag. 6difficili per la comunità internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mancini. Ne ha facoltà.
GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, la mozione presentata dalle forze dell'Unione di centrosinistra, che la Rosa nel Pugno ha contribuito ad elaborare e che voterà, punta a definire l'azione del Governo rispetto alle missioni internazionali e, più in generale, fissa le traiettorie della politica estera dell'Italia per il presente e per il futuro.
Nel corso del dibattito che ha impegnato in questi giorni il Parlamento, in molti, tra i leader dell'opposizione, hanno tenuto a rimarcare una - a loro detta - sostanziale continuità nell'azione dell'attuale Governo rispetto a quella del passato esecutivo.
Riguardo ai temi di politica estera le grandi democrazie calibrano una linea che è normalmente condivisa da uno spettro di forze più ampio di quelle che compongono la maggioranza parlamentare. È questa una consuetudine che vorremmo si affermasse anche nel nostro paese. Riteniamo, però, che abbia ragione il viceministro Intini, che è intervenuto con puntualità in questo dibattito e che segue con acutezza la crisi in Medio Oriente, quando ha ricordato che la politica estera italiana tradizionale espressa dai Governi guidati dai democristiani e dai socialisti si è sempre basata su due forti pilastri: uno rappresentato dall'Alleanza atlantica, l'altro dall'unità politica dell'Europa.
Il passato Governo ha messo in discussione questa giusta e sperimentata impostazione ed ha preferito sbilanciarsi verso uno soltanto di questi pilastri: l'Alleanza atlantica. Questa determinazione ha costretto l'Italia a coltivare un rapporto quasi esclusivo con Washington e a sostenere acriticamente la dottrina unilaterale di Donald Rumsfeld e a marcare le distanze con quella che veniva sprezzatamente definita la «vecchia Europa».
E proprio qui poggia la differenza o, se si preferisce, la discontinuità che le forze del centrosinistra vogliono imprimere alla nostra presenza nello scacchiere planetario.
La sfida in cui oggi è impegnato il nostro paese, il suo Governo, la sua maggioranza è quella di investire e di far accrescere il ruolo politico dell'Europa con l'obiettivo ambizioso di far diventare l'Unione europea un attore forte e autorevole che potrà spendersi utilmente nella risoluzione delle tante criticità della comunità internazionale.
Da ormai otto giorni il Medio Oriente è sconvolto da venti di guerra. L'attacco del 25 giugno dei miliziani libanesi, Hezbollah, di Hassan Nasrallah, contro il kibbutz di Kerem Shalom, che ha provocato l'uccisione di due soldati israeliani e il rapimento del caporale Shalit, è stata la terribile scintilla che ha provocato la dura reazione di Israele ed ha rappresentato l'inizio di una nuova e terribile escalation di violenze in quella martoriata area del globo.
Il nuovo conflitto rischia di compromettere definitivamente i già difficili negoziati di pace che faticosamente si stavano svolgendo e, conseguentemente, può dare forza ai movimenti fondamentalisti islamici e a quei paesi arabi, con in testa Iran e Siria, che apertamente dichiarano il loro intento di cancellare lo Stato di Israele dalla carta geografica.
In questo drammatico contesto, il dovere della comunità internazionale è quello di impegnarsi in una decisa azione politico-diplomatica finalizzata all'interruzione di questa devastante spirale di violenza. Ieri, il ministro degli esteri ha riferito in Parlamento del suo impegno personale, di quello del Presidente del Consiglio e del Governo. Apprezziamo l'operato e auspichiamo che l'azione sinergica tra Stati Uniti d'America e Unione europea porti ad immediati risultati positivi per la stabilità della comunità internazionale.
L'Italia è chiamata a fare la sua parte. L'ambizione è quella di tornare a svolgere un ruolo riconosciuto e non secondario.Pag. 7La mozione che stiamo votando potrà conferire al nostro paese - ce lo auguriamo - un nuovo slancio in questa difficile sfida (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Del Bue, per un minuto. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, ho ascoltato la replica puntuale del viceministro Intini seguita al dibattito che si è svolto in quest'aula e voglio solo soffermarmi su due punti di questa replica, dopo l'intervento che ho pronunciato ieri mattina nel corso del dibattito. In primo luogo, è vero che, in altre nazioni, taluni partiti come il partito laburista, il New Labour di Tony Blair, o il partito repubblicano di Bush negli Stati Uniti si dividono su grandi questioni di politica estera, ma è anche vero che esiste in Gran Bretagna come negli Stati Uniti, e come altrove, una maggioranza di Governo omogenea, al di là delle divisioni dei singoli partiti per le scelte importanti di politica estera. Ora, invece, in Italia ci troviamo di fronte ad una maggioranza divisa sui temi di politica estera, condizionata profondamente da un'estrema sinistra che, non condividendo le opzioni di fondo della politica estera italiana, pretende una serie di mediazioni che portano poi alla presentazione di mozioni così generiche come quella presentata nel corso di questo dibattito, in accompagnamento al disegno di legge sulle missioni.
Vengo al secondo punto della replica del viceministro Intini. È vero che maggioranze e minoranze si uniscono spesso in grandi paesi sui grandi temi di politica estera - è vero che questo avviene soprattutto negli Stati Uniti d'America -, ma è anche vero che maggioranza e minoranza si uniscono, come è accaduto in Italia su alucni temi di politica estera in occasione di certe decisioni in passato, senza per questo che la minoranza si sostituisca ad una parte della maggioranza che viene meno. Questo invece è ciò che può accadere in Italia. Dunque, mi pare sia giusto richiamare la particolarità italiana rispetto ai due esempi di Intini.
Noi siamo d'accordo, lo eravamo ieri e lo saremo domani - e concludo -, per quanto riguarda le missioni italiane all'estero; non abbiamo dubbi sulla necessità di proseguire le missioni in Afghanistan e di porre un accento nuovo sull'esigenza di intervenire anche in quelle aree del mondo che sono state fino ad ora ritenute assolutamente marginali, come l'Africa o il Darfur. Riteniamo possibile una partecipazione italiana ad una missione di pace in Libano, purché all'interno di questo conflitto sia chiaro che la responsabilità principale sta nel terrorismo che ha aggredito Israele e la necessità principale è quella di disarmare Hezbollah, secondo la risoluzione dell'ONU (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi e signori ministri, desidero per prima cosa sottolineare che il voto favorevole sulla mozione Sereni n. 1-00014 relativa al finanziamento delle missioni italiane all'estero è anche un apprezzamento per la politica estera dell'Italia.
Una politica che, nel pieno rispetto dei principi costituzionali in materia di tutela degli interessi politici ed economici del paese, attribuisce all'Italia un grande ruolo quale punto di riferimento internazionale e di promozione dell'equità, della giustizia e della pace.
Proprio per tale motivo, signor Presidente, i Popolari-Udeur non accettano quella politica del muro contro muro che danneggia l'immagine del nostro paese. Nel rispetto del ruolo della maggioranza e dell'opposizione riteniamo che l'interesse dell'Italia sia prioritario.
Abbiamo partecipato fattivamente alla definizione del testo della mozione proposta dalla maggioranza in materia di missioni italiane all'estero e riteniamo che talePag. 8mozione, per quanto ci riguarda, debba costituire anche la linea guida per la futura azione del Governo in politica estera.
A volte, non condividiamo l'eccesso di distinguo emerso anche all'interno della nostra maggioranza. Siamo per una politica estera che tenda sempre a valorizzare il ruolo del nostro paese in una dimensione multilaterale, multipolare e globale, al fine di promuovere una comunità internazionale basata sullo sviluppo e sulla solidarietà tra i popoli.
In questi primi tre mesi del Governo di centrosinistra non si può non rilevare, infatti, un grande impegno per rilanciare la posizione dell'Italia in una dimensione europeista. L'Italia sta finalmente tornando ad essere protagonista, giocando un ruolo attivo non solo per la prevenzione dei conflitti e per il mantenimento della pace, ma anche per la creazione di un assetto più equilibrato non solo in ambito europeo.
Tuttavia, bisogna fronteggiare una serie di gravissimi problemi, a cominciare dalle molteplici minacce alla sicurezza provocate dal terrorismo, che occorre efficacemente contrastare. Pertanto, il ruolo dell'Italia nel rapporto con le grandi organizzazioni sovranazionali - in primis l'ONU - diventa di fondamentale importanza.
Il nostro impegno dovrà anche essere quello di contribuire a rilanciare e ridefinire il ruolo di tali organizzazioni, valorizzando anche un nuovo rapporto tra Europa e Stati Uniti; rapporto che dovrà essere paritario, al fine di consentire un confronto equilibrato rispetto alle diverse problematiche da affrontare, come ad esempio quella relativa all'attuale conflitto tra Libano ed Israele.
Le decisioni assunte dal Governo ci trovano pienamente d'accordo. Riteniamo infatti indispensabile - entro i tempi previsti dall'esecutivo - il rientro del nostro contingente dall'Iraq, concordandone con le autorità irachene i tempi e i modi. Lasciare l'Iraq non dovrà tuttavia significare abbandonare gli iracheni, in quanto riteniamo necessario il contributo del nostro paese dal punto di vista della ricostruzione civile ed economica e dell'aiuto alla formazione; contributo però da non fornire in territorio iracheno.
Per quanto riguarda le altre missioni internazionali nelle quali siamo impegnati - ciò è ben chiaro nella nostra mozione - sono tutte basate su azioni mirate a favorire la sicurezza, la tutela dei diritti umani, la promozione della democrazia, nonché la stabilizzazione e la ricostruzione nell'ambito di operazioni di peace-keeping adottate in sintonia con gli organismi internazionali.
Si tratta di missioni che vedono le nostre Forze Armate fortemente impegnate, anche con grande umanità e professionalità, con risultati eccellenti e apprezzamenti a livello internazionale e da parte delle popolazioni locali.
Proprio per tale motivo, nell'ambito di una politica estera che non sia caratterizzata dal muro contro muro, non possiamo non essere favorevoli anche ad alcuni aspetti - soprattutto per quanto riguarda i Balcani - contenuti nella mozione Elio Vito n. 1-00013.
La missione in Afghanistan ha una diversa caratterizzazione rispetto a quella in Iraq, infatti è stata realizzata in applicazione dell'articolo 5 del Trattato atlantico. Pertanto la nostra presenza è indispensabile per la ricostruzione del paese.
Apprezzando, quindi, il lavoro che l'esecutivo sta svolgendo, dichiaro il voto favorevole del gruppo dei Popolari-Udeur sulla mozione presentata dalla maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
Chiedo infine che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Onorevole Cioffi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, annuncio il votoPag. 9favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori sulla mozione Sereni ed altri n. 1-00014.
Tale mozione, volta ad articolare un giudizio sulle missioni di pace, che si accompagna ad un disegno di legge che, con un azzardo verbale, potremmo definire poco più che un atto amministrativo, perché serve soltanto a rifinanziare un impegno che, in taluni casi, portiamo avanti da anni, per non dire da decenni, è volta, tra l'altro, anche a sostenere e a riorientare correttamente il senso delle nostre scelte di politica estera e la nostra collocazione nel quadro delle alleanze internazionali, a partire dalle politiche dell'Unione europea.
Rispetto al dibattito che, in questi giorni, in queste settimane, si è sviluppato dentro e fuori le aule parlamentari, mi ha colpito la divergenza tra chi voleva accentuare il carattere di continuità delle missioni internazionali e chi ne voleva marcare il carattere di discontinuità. Ovviamente, non si tratta di un artificio dialettico. In ogni provvedimento, riguardante soprattutto la politica estera, possiamo riscontrare elementi di continuità e di discontinuità.
Vorrei provare a coniugare questi due momenti da un punto di vista strettamente politico, partendo dall'osservazione acuta del collega Leoluca Orlando, per il quale con questa mozione marchiamo in maniera più forte e più corretta lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione e l'elemento di discontinuità rispetto al riferimento improprio all'articolo 11, fatto precedentemente.
Il nostro gruppo, Italia dei Valori, individua un elemento di novità. La vera discontinuità di questo provvedimento si rinviene nel passaggio in cui si afferma che il finanziamento della missione Antica Babilonia è finalizzato al ritiro delle nostre truppe da quel teatro di guerra. Non è una fuga, non è un disimpegno, ma è la coerente conseguenza del riorientamento delle nostre scelte di politica internazionale. Infatti, è importante e significativo ricordare che, in quel teatro di guerra, le nostre truppe, almeno all'inizio, non si trovavano sotto l'egida delle Nazioni Unite. Eravamo al seguito di un'iniziativa sbagliata, di una guerra assolutamente inefficace nella lotta al terrorismo, anzi una guerra che ha prodotto il diffondersi del terrorismo in quella realtà. Per non parlare delle atrocità di cui siamo venuti a conoscenza a seguito di quelle azioni; penso alle condizioni dei detenuti di Guantanamo, a quanto è accaduto d Abu Ghraib, senza dimenticare le operazioni sporche portate avanti dagli 007 a livello internazionale, che hanno coinvolto persino il nostro paese e su cui spero si riuscirà alla fine a fare chiarezza.
Ma la domanda centrale è: può continuare ad essere efficace, se questo era il vero obiettivo, la lotta al terrorismo, immaginando soltanto di bombardare le montagne o le pianure dove si pensa possa essersi nascosto, di volta in volta, Bin Laden o qualche suo adepto, senza colpire le vere centrali che alimentano il terrorismo? Mi riferisco al sistema bancario, al sistema della finanza internazionale, che, questi sì, dovrebbero essere colpiti con efficacia e con interventi mirati. Quindi, cogliamo nel ritiro delle nostre truppe dall'Iraq il primo elemento di discontinuità.
Il secondo elemento di discontinuità lo cogliamo nel provvedimento in esame oggi, laddove mettiamo in discussione la nostra presenza all'interno della missione Enduring freedom, in verità, già ridotta e fuori dal teatro afghano.
Infine, l'ultimo elemento di discontinuità che vogliamo sottolineare, perché è stato proposto, in primo luogo, da un deputato del gruppo dell'Italia dei Valori, è costituito dal superamento del codice penale militare, che era limitato, almeno nella prima stesura del provvedimento, soltanto alle missioni che operano in Afghanistan. A fronte delle numerose proposte emendative e di una disponibilità fin qui affermata dal Governo a rimettere in discussione l'applicazione di questo codice per le sole missioni che operano in Afghanistan, noi cogliamo questo elemento di discontinuità. Con la mozione, quindi, diamo un contributo al Governo, al paese e negli organismi internazionali.Pag. 10
C'è indubbiamente una questione politica di fronte a noi. Su questa votazione si incentra oggi l'attenzione del paese e delle forze politiche, perché la maggioranza è chiamata in primis a sostenere uno sforzo di coesione e di sostegno alle scelte del Governo. Tuttavia, siccome siamo anche in un momento particolarmente difficile (le notizie drammatiche che giungono dal Libano e l'ipotesi che, già dalla prossima settimana, le nostre forze militari possano essere impegnate in una nuova missione di interposizione pacifica), sarebbe quanto mai auspicabile che, ferma restando l'autosufficienza della maggioranza, potessimo riuscire a realizzare quest'oggi un più ampio consenso intorno alla mozione e, soprattutto, al disegno di legge che sostiene il rifinanziamento delle nostre missioni di pace.
Pertanto, confermo il voto favorevole dell'Italia dei Valori (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Penso che la prima considerazione da cui dobbiamo muoverci nel votare queste mozioni è che non esiste una maggioranza di Governo in politica estera. Non lo diciamo noi dell'opposizione, ma lo ha già detto molto chiaramente il viceministro Intini, in sede di replica, osservando candidamente che non si tratta di un problema soltanto italiano e soltanto di questa maggioranza, ma che è abbastanza diffuso in tutto il mondo. Egli ha portato esempi illuminanti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove i partiti che esprimono il Governo hanno posizioni differenziate al proprio interno.
Quindi, se non c'è una maggioranza nelle scelte di politica estera, cosa importa? L'importante è trovare delle convergenze in Parlamento. Questa è una evidente ammissione della realtà dei fatti. Lo abbiamo riscontrato, anche in questi giorni e in queste ore, negli interventi degli esponenti della maggioranza, fatti a diverso titolo, che si contemperano in una mozione equivoca, che dice tutto e nulla, tanto che possiamo assolutamente affermare che è possibile dire una cosa - lo hanno fatto il collega Venier e, ieri, la collega di Rifondazione Comunista -, scriverne un'altra nella mozione e, poi, nella realtà, farne un'altra ancora quando si tratta di approvare il disegno di legge, che noi voteremo, che proroga le missioni militari internazionali di pace.
In questa situazione di estrema confusione, in cui lo stesso Governo ammette di non avere una maggioranza e confida di trovarne un'altra all'interno della Camera, credo che la chiave di lettura, che ci deve ispirare e guidare nella problematica relativa alle missioni militari di pace all'estero, sia costituita dal principio di immaginazione piuttosto che dal principio della realtà.
Il principio di immaginazione, purtroppo, guida larga parte dell'attuale maggioranza di sinistra, che si rifugia in immagini certamente auspicabili, ma assolutamente irrealistiche.
L'ingerenza umanitaria non violenta - per carità! - è una cosa nobilissima, allorché si attua attraverso le armi della diplomazia, della pressione internazionale e del convincimento. Ma sappiamo perfettamente che queste sono armi spuntate, quando ci troviamo di fronte ai cosiddetti Stati canaglia.
Poi, ci sono le solite frasi ricorrenti, che tirano sempre in ballo l'ONU. Peccato che l'ONU abbia una capacità di intervento limitatissima, essendo sottoposta a veti incrociati, ed una capacità operativa ulteriormente limitata. Quindi, il ricorso ripetuto all'ONU rappresenta, in realtà, soltanto un escamotage per eludere i problemi e, magari prendere tempo in attesa che qualcun altro ci tolga le castagne dal fuoco. Adesso, è tornata di moda l'esigenza di attuare una politica estera europea e - per carità! - questo lo condividiamo anche noi.
Vi sono difficoltà domestiche e non riusciamo a trovare una linea comune: allora, si dice che l'Europa dovrebbe promuovere una politica estera unita e comune,Pag. 11per contrastare le situazioni di crisi che abbiamo di fronte. Peccato che l'Europa non abbia una politica estera comune e peccato che, ad esempio, i vertici del Governo francese sostengano posizioni totalmente diverse rispetto a quelle di altri Governi europei!
Allora, rispetto al principio di immaginazione, che guida la politica estera della maggioranza, credo si debba partire dal principio di realtà, considerando la realtà dei fatti. E la realtà dei fatti è che - come bene si dice nella mozione presentata dalla Casa delle libertà - l'11 settembre ha segnato una svolta. Non si può dire - come anche ieri ha fatto il ministro D'Alema - che la situazione del terrorismo si è, di fatto, incancrenita per colpa degli americani, che sono intervenuti in Iraq e a Baghdad. Dobbiamo partire dal principio di realtà che la forza militare, talvolta, è necessaria, purché ci sia la legittimazione internazionale: lo afferma anche qualche esponente del Governo e lo ha sostenuto più volte l'onorevole Intini. Dobbiamo distinguere tra missioni legittimate dalle risoluzioni dell'ONU e altre missioni che tale legittimazione non hanno ottenuto. Perfetto!
Tuttavia, se ripercorriamo la storia delle missioni rifinanziate dal Governo attraverso il disegno di legge all'esame dell'Assemblea, troveremo missioni di pace, in cui si è ricorso alle forze militari, che inizialmente non erano legittimate da risoluzioni dell'ONU. Non vorrei che la memoria mi tradisse, ma mi trovavo in quest'aula quando l'allora Governo D'Alema partecipò ad azioni di guerra nei Balcani, addirittura senza l'autorizzazione del Parlamento, che è arrivata dopo.
Allora, lo ribadisco: vi sono il principio di immaginazione e il principio di realtà. Certo, in questi anni lo stesso onorevole D'Alema ha dimostrato di avere ben presente il principio di realtà che dovrebbe condurre la politica estera di un paese. È un principio da tenere presente, quando si ha la responsabilità di condurre tale politica.
Ieri, il principio di realtà ha portato l'onorevole D'Alema a dire, in questa sede, che la missione in Iraq è sbagliata e che machiavellicamente si potrebbe affermare che oggi il fenomeno terroristico, anche di marca sciita, si è acuito per il fatto che in Iraq non c'è più Saddam Hussein. Magari, se ci fosse ancora Saddam Hussein, il terrorismo di marca sciita, che evidentemente ispira soprattutto Hezbollah, oggi avrebbe minore forza propellente. Ciò vuol dire che, oggi, sarebbe stato meglio avere ancora Saddam Hussein al Governo dell'Iraq? Lo vogliamo chiedere ai curdi che vivono in Iraq e che, forse, oggi hanno spazi di autonomia e democrazia che sotto Saddam Hussein non avevano mai conosciuto? Chiediamo alla popolazione irachena se è più contenta oggi rispetto a qualche anno fa! Ribadisco che l'onorevole D'Alema ben conosce il principio di realtà, e lo ha dimostrato quando ha deciso di partecipare alla guerra umanitaria nei Balcani.
Oggi, a posteriori, quella guerra fu giusta, ma dobbiamo mantenere nel Kosovo i nostri militari a difendere l'esigua minoranza perseguitata, di cui tutti si dimenticano, di religione cristiana.
PRESIDENTE. Onorevole Giorgetti...!
GIANCARLO GIORGETTI. Concludo, Presidente. Riguardo all'Afghanistan, trovo che nella mozione della maggioranza vi siano cose veramente incredibili. Prima si afferma che «in Afghanistan agli aspetti positivi del risveglio democratico del popolo afghano, visibile in particolar modo nella rinnovata partecipazione femminile alla vita sociale e politica, e all'allontanamento della dittatura integralista dei talebani, si affianca una situazione di evidente criticità, caratterizzata dalla difficoltà di stabilizzazione e di rafforzamento delle istituzioni democraticamente elette, dalla persistenza di aree ancora controllate dai talebani e altri gruppi armati e dalla permeabilità dei confini del paese a infiltrazioni di gruppi terroristici». Dopo aver detto questo, per accontentare non si sa quante componenti della maggioranza, al punto c) del dispositivo si conclude con una valutazione sulla prospettiva di superamentoPag. 12della missione Enduring freedom in Afghanistan, cioè la possibilità di andarcene, permettendo le infiltrazioni terroristiche, così che il consolidamento democratico non avvenga.
Tale difficile conciliazione tra principio di immaginazione e principio di realtà dimostra l'assoluta inconsistenza della politica estera del Governo, che non c'è e che si regge solo su una incerta prospettiva.
Noi del gruppo della Lega Nord, anche se nelle premesse vi sono più parti che non ci convincono pienamente, voteremo convintamente la mozione presentata dalla Casa delle libertà (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Egregio Presidente, cari colleghi, è il mio primo intervento in quest'aula e prendo la parola con qualche tremore e difficoltà, poiché intendo ricordare quello che è accaduto l'altra sera al Portico d'Ottavia.
Cari colleghi della sinistra, cari colleghi del Governo, caro viceministro Intini, gli applausi a scena aperta all'ex ministro degli esteri, Gianfranco Fini, al Portico d'Ottavia l'altra sera, dicono qualcosa a me e dovrebbero dire qualcosa a lei. Non possiamo ripercorrere la strada di quel centrosinistra o di quelle coalizioni democristiano-socialiste che hanno portato l'Italia ad essere vicina soltanto ad una parte.
L'amicizia instaurata in questi anni - occorre darne atto - con lo Stato d'Israele e con il Parlamento e le istituzioni israeliane sono una conquista da non disperdere. Credo che, all'interno di una politica estera per molti aspetti orrenda e vergognosa, come quella dell'amicizia con Putin, lo sterminatore dei ceceni, occorre riconoscere al Governo Berlusconi, e io lo faccio, all'ex ministro degli esteri Fini, ed io lo faccio, un'inversione di tendenza nei rapporti con il Governo d'Israele e le istituzioni democratiche israeliane. Partiamo da lì, mettiamo assieme i due aspetti della medaglia, diamo nuova forza a quel percorso accidentato della politica estera italiana, che negli anni Ottanta e Novanta ha portato ad uno sbilanciamento rispetto ad alcune formazioni terroristiche palestinesi ed a una lontananza rispetto alle buone ragioni dello Stato democratico di Israele.
È per questo che valuterò come votare la mozione presentata: sicuramente voterò, almeno su molte parti di essa, a favore, ma intendo segnalare a lei e al Governo l'esigenza di tenere conto di una politica estera che in questi anni è cambiata, per cui non si butti via insieme all'acqua sporca anche il bambino dei nuovi buoni rapporti con lo Stato d'Israele (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevole viceministro, onorevoli colleghi, nel ribadire le ragioni di assenso alla mozione Elio Vito, La Russa, Volontè ed altri n. 1-00013, dichiaro che il gruppo cui appartengo voterà a favore del provvedimento sul rifinanziamento delle missioni internazionali.
La mozione evidenzia la nostra convinzione della necessità che paesi pervenuti ad un livello avanzato di salvaguardia dei diritti civili, di rispetto delle libertà fondamentali e di garanzia dei diritti umani fondamentali non restino indifferenti alla sofferenza dei popoli, alle violenze di massa, ai soprusi, alle aggressioni tra Stati ed alle violazioni del diritto internazionale.
Il dialogo, la cooperazione economica, tecnologica e culturale, la capacità di cogliere le specificità e le ragioni delle singole crisi devono essere gli strumenti privilegiati per combattere la povertà, che spesso favorisce lo sviluppo dei conflitti e del terrorismo, e per concorrere ad una più equa ripartizione delle risorse. Ma, quando i conflitti sono aperti e le popolazioni sono esposte a rischi di massacri ePag. 13di nuove oppressioni, l'intervento, volto alla deterrenza, all'interposizione ed alla garanzia della ricostruzione morale e materiale, diviene essenziale.
Lasciamo l'Iraq modificando la forma di cooperazione con quel paese, che comunque non abbandoniamo ad un destino di violenza, di terrorismo, di guerriglia, di massacri di civili. I nostri militari possano sentire l'orgoglio di avere servito una comunità sofferente e di aver concorso alla ricostruzione istituzionale di quel paese e all'insediamento di un regime parlamentare democratico. E tutto il nostro paese dovrà sempre onorare la memoria dei militari e civili il cui sangue è stato versato per questa causa. Rimarremo con una missione di cooperazione e di assistenza al popolo iracheno.
Confermiamo le altre missioni, confidando di poter conseguire, nei prossimi anni, la stabilità istituzionale e condizioni di pacifica convivenza nelle aree interessate, alcune delle quali presentano, ancora oggi, una complessità che richiede un supplemento di impegno e di presenza a tutta la comunità internazionale. Mi riferisco, in particolare, a Palestina, Afghanistan e Darfur. Ribadisco la necessità di restare in Afghanistan, dove di fatto è ripresa la guerra civile, e dove vanno mantenuti stretto collegamento e leale solidarietà con le Nazioni Unite, gli alleati della NATO ed il governo Karzai, per evitare, insieme, il ritorno ad un passato di oppressione, di oscurantismo e di lacerazione della comunità nazionale.
Mi auguro - e questo dovrà essere un impegno di tutti noi, di tutte le forze politiche presenti in Parlamento - che sempre più si sviluppi un monitoraggio anche di tipo parlamentare, anche da parte delle competenti Commissioni parlamentari, sull'esito di queste nostre missioni, sulle scelte, sulle azioni, sulle operazioni condotte nei territori interessati, sui risultati della nostra azione, sull'effettiva ricostruzione che sarà realizzata, sulle condizioni di vita di quelle popolazioni, per correggere il tiro, se necessario, e per adottare le scelte conseguenti (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, ci stiamo occupando di una mozione dell'Unione e di due mozioni della Casa delle libertà.
La nostra, quella dell'Unione, è una mozione di indirizzo al Governo sulla politica estera e sulla questione delle missioni militari. Noi la consideriamo molto importante per diversi motivi. In primo luogo, sulla questione delle missioni militari, la maggioranza ed il Parlamento forniscono al Governo un indirizzo al quale il Governo si dovrà attenere per tutta la legislatura.
Noi lo consideriamo un fatto importante. Non ci sono mai piaciute l'idea e la logica secondo le quali la politica in materia di missioni militari e, più in generale, la politica estera si debbano delineare all'interno dell'esecutivo e debbano trovare in Parlamento soltanto il voto che avalli decisioni già prese. Quello che abbiamo fatto è importante: si tratta di un vero salto di qualità, di una vera novità.
Avendo riguardo al contenuto della mozione, alcuni punti di essa danno luogo ad una svolta nella politica estera relativa alle missioni militari, rispetto non soltanto al Governo Berlusconi, ma a tutti i Governi che si sono succeduti nel corso degli anni Novanta.
Lo stesso viceministro Intini - e lo ringrazio per la sua replica di ieri, nella quale ha sommato le sue considerazioni sulle mozioni e sul testo del disegno di legge - ha sottolineato questi punti di novità. Il fatto che il Governo italiano si impegni a porre nel Consiglio di sicurezza dell'ONU la questione della formazione di una forza militare permanente sotto il comando del Segretario generale dell'ONU è un elemento ricchissimo di implicazioni. È esattamente l'opposto di quello che gliPag. 14Stati Uniti - e in parte anche la NATO (non tutti i paesi della NATO, a dire il vero, ma gran parte) - avevano voluto, hanno voluto e probabilmente continueranno a volere: cioè che le Nazioni Unite non possiedano una forza militare per svolgere una funzione di polizia internazionale che consenta alle potenze e alle alleanze occidentali di decidere, con la disponibilità o meno di truppe, su richiesta delle Nazioni Unite, che cosa fare.
È una svolta molto importante, così come è importantissimo che il Governo dichiari che la sua priorità nella politica estera, per quanto attiene alla questione dei conflitti, è rappresentata non dallo svolgimento di missioni militari, bensì - come recita la mozione nel suo dispositivo - degli strumenti di prevenzione dei conflitti, di mediazione, di accompagnamento dei processi di pace.
Voglio aprire una piccola parentesi. Per tutti gli anni Novanta, ci siamo sentiti dire che l'importanza dell'Italia derivava dalla sua partecipazione alle missioni militari; noi abbiamo sempre sostenuto un'altra tesi: che l'Italia, per vocazione, per capacità, dovrebbe primeggiare nella promozione dei processi di pace, nell'arte della diplomazia e della mediazione, nell'arte dell'accompagnamento dei processi di pace, prima che nelle iniziative di carattere di stampo militare.
Ciò non evita che vi siano iniziative e missioni militari, ed infatti noi, sulla gran maggioranza di quelle missioni, che oggi o domani voteremo, abbiamo sempre votato a favore...
PRESIDENTE. Pregherei i colleghi di prestare maggiore attenzione agli interventi.
RAMON MANTOVANI. Grazie, Presidente. Ora, anche in questo caso nella mozione presentata dalla maggioranza, per bocca del viceministro, c'è il riconoscimento di un cambio di impostazione. A noi sembra veramente molto importante.
Nella mozione viene cristallizzata una mediazione, un compromesso - e non c'è nessun mistero, tutti lo sanno - su alcune missioni sulle quali ci sono pareri diversi, se non addirittura opposti, nella maggioranza di Governo. Parliamo segnatamente dell'Afghanistan. Mentre nel disegno di legge si voterà l'articolato tecnico della proroga di queste missioni, in questa mozione si consolida la parte politica del compromesso che è stato raggiunto. È vero che non c'è la exit strategy, cioè che non c'è un impegno del Governo a fuoriuscire in tempi brevi o medio lunghi da queste missioni, ma è anche vero che si parla di verifica e di superamento rispettivamente per le missioni ISAF ed Enduring freedom. Confidiamo che la verifica porti ad una rivalutazione e anche ad una exit strategy da quelle missioni. Del resto, le missioni sono prorogate fino al 31 dicembre 2006, non sono prorogate all'infinito, e noi abbiamo previsto, in un'altra parte della nostra discussione, che si costituiranno anche organismi nuovi di monitoraggio e controllo delle missioni e che questi monitoraggi e controlli potranno dar luogo a decisioni politiche. Potremo raggiungerle o meno, ma in ogni caso la questione è aperta; sia nella mozione sia nel disegno di legge non c'è una accettazione da parte nostra della validità di questa missione, c'è il compromesso, per cui si congelano le forze italiane così come sono e si rifiutano le richieste che sono giunte dal Segretario generale della NATO, che peraltro erano riprese nella mozione La Russa n. 1-00011, che è stata ritirata. Quindi, la questione per noi rimane aperta. Non rinunciamo alle nostre posizioni politiche di principio.
In conclusione, noi siamo chiamati a votare la mozione dell'Unione e la mozione presentata dal collega Elio Vito. È stata infatti ritirata, ripeto, la mozione dei colleghi La Russa, Gamba e Briguglio, nei confronti della quale avremmo votato convintamente contro perché prevedeva un aumento delle truppe in Afghanistan ed un maggiore impegno italiano in Afghanistan.
La mozione Elio Vito n. 1-00013 troverà il nostro voto contrario - anche se è scritta in modo tale da poter suscitare alcune convergenze su qualche punto specifico - perché in realtà quella mozione èPag. 15ispirata da una politica estera ben precisa, che è quella che il Governo Berlusconi ha seguito per cinque anni: una politica estera subalterna agli Stati Uniti, plaudente all'unilateralismo degli Stati Uniti e giustificante la guerra in Iraq. Per questi motivi non potrà che trovare il nostro voto contrario, come credo - anzi sono sicuro - troverà il voto contrario convinto di tutte le forze della maggioranza che hanno criticato e non condiviso la politica estera del Governo Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Briguglio. Ne ha facoltà.
CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza Nazionale voterà per la prosecuzione delle missioni militari all'estero e, quindi a favore della mozione dell'opposizione e contro quella della maggioranza.
Questa è l'occasione solenne per una chiarificazione che serva a smontare due piccole e grandi mistificazioni: la prima riguarda la nostra missione in Iraq ed in particolare - è importante che questo rimanga agli atti di questo Parlamento - la dichiarazione con cui il Presidente Prodi in una sede solenne, quali furono le dichiarazioni programmatiche del nuovo Governo, definì o acconsentì che si definissero truppe di occupazione i contingenti della nostra missione militare in Iraq.
Noi abbiamo il dovere come opposizione, come Alleanza Nazionale, di dire alto e forte che così non è; infatti, le nostre truppe non sono state e non sono truppe di occupazione, sono in missione militare di pace e, quindi, abbiamo una particolare missione che intendiamo svolgere non soltanto dal punto di vista della sicurezza, ma anche dal punto di vista umanitario di ricostruzione civile e morale di quel paese. Credo che sia grave che quelle dichiarazioni non siano state ancora corrette con forza.
La seconda mistificazione è quella del ministro D'Alema, il quale, in sede di esposizione delle linee programmatiche del proprio dicastero, proprio per accentuare una discontinuità che in fondo è un prezzo pagato all'area della sinistra radicale della maggioranza, ha voluto adombrare una sorta di patto segreto fra il precedente Governo di centrodestra e gli Stati Uniti d'America: il ritiro delle truppe che era già stato previsto e la circoscrizione ai soli compiti civili della missione decisa dal precedente Governo, in realtà avrebbe nascosto l'intento, coperto da una sorta di omertà, per cui i nostri soldati sarebbero rimasti quasi integralmente o, comunque, prevalentemente, sotto le mentite spoglie di una missione civile.
Ricordo al ministro D'Alema che, se vi è stata un'occasione di omertà di Stato da parte di un Governo, essa ha riguardato proprio il Governo da lui presieduto, che mise in campo quella che fu definita elegantemente un'operazione di polizia internazionale, ma che era una vera e propria guerra in Kosovo. Ebbene, allora si nascose alla pubblica opinione ed al Parlamento italiano, unico caso in Occidente, che vi era una vera e propria guerra in cui eravamo impegnati in prima persona, con i nostri piloti che duellavano con i piloti della parte avversa e con i nostri aerei che bombardavano il territorio jugoslavo, proprio per difendere le popolazioni inermi dal genocidio (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Ciò va detto!
Intendo, inoltre, svolgere una profonda riflessione sulla politica estera dell'attuale maggioranza, la più grande mistificazione che dobbiamo smontare. Il Parlamento deve analizzare e riflettere su ciò. Il Governo non ha una propria maggioranza in politica estera e, quindi, non ha una maggioranza di Governo. Infatti, è arduo ritenere che si possa avere una maggioranza politica in senso complessivo senza averla in politica estera. È una riflessione che dovete fare, perché si tratta di un nodo che presto verrà al pettine. Siamo in un mondo globalizzato in cui irrompono ogni giorno tragedie ed in cui vi sono tensioni internazionali fortissime, come dimostra ciò che sta avvenendo in MedioPag. 16Oriente in questi giorni. Sono fatti ed eventi che non possono essere fronteggiati da un Governo privo di una maggioranza autonoma.
Per questo motivo osserviamo con sospetto le «sirene» che provengono dalla maggioranza, in particolare da settori del centrosinistra e della Margherita, che sostengono sia necessario allargare la maggioranza sulla politica estera. Se ciò si dovesse tentare (dato che da parte nostra vi è un netto rifiuto), se si sentisse la necessità di allargare la maggioranza verso la Casa delle libertà significherebbe che sarebbe già fallito il Governo attuale e la sua maggioranza.
Assistiamo a contorsioni inspiegabili. Non vi era un «Bertinotti-pensiero» ed un «Pecoraro Scanio-pensiero» nella scorsa legislatura, quando fu votata la missione in Afghanistan, missione che addirittura il Segretario generale dell'ONU, venuto in Italia, ci esorta a potenziare se non a mantenere. Ebbene, Bertinotti, non ancora Presidente della Camera, disse che l'incontro tra Polo delle libertà e gran parte del centrosinistra rappresentava per lui la «notte della politica».
Adesso, sono cambiate le condizioni. Non dimentichiamo che vi sono parti della sinistra, una sinistra oggi di Governo, che si sono formate attraverso i luoghi comuni che le hanno influenzate nelle scorse legislature, una sinistra che faceva polemica sulla concessione delle basi militari o che ha espresso contrarietà all'intervento in Albania, in Kosovo, una sinistra che si oppose, nonostante il mandato ONU, a che Saddam Hussein fosse fatto sgombrare dal Kuwait che aveva appena invaso.
È vero che la politica è diventata il luogo della dissolvenza della memoria, ma la sinistra deve riannodare il filo della memoria e capire che la maggioranza ed il Governo si reggono anche sui voti dell'elettorato pacifista, oggi rappresentato soltanto dai dissidenti della maggioranza di centrosinistra, ad iniziare da quei sette o otto senatori che sono stati ripresi in malo modo. Quello è il valore aggiunto dal punto di vista elettorale che vi ha fatto vincere le elezioni ed a cui dovete rendere conto.
Per quanto ci riguarda, faremo il nostro dovere in nome della lotta al terrorismo internazionale e all'interesse nazionale, come abbiamo dimostrato anche nelle scorse legislature, in tempi non sospetti, per far sentire il calore della comunità nazionale ai nostri ragazzi che operano in nome della pace (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, nell'esprimere il voto favorevole sulla mozione Elio Vito ed altri n. 1-00013, compattamente presentata da tutti i gruppi della Casa della libertà, vorrei svolgere qualche piccola considerazione di carattere generale...
PRESIDENTE. Torno a chiedere maggiore attenzione, colleghe e colleghi, per il dibattito in corso.
ANTONIO MARTINO. La ringrazio, signor Presidente.
Il provvedimento sul rifinanziamento delle nostre missioni all'estero arriva in Parlamento con ritardo: dal 30 giugno scorso i nostri militari sono privi di copertura giuridica e finanziaria. Dal provvedimento e dalla mozione che lo accompagna si evince la posizione, la linea di politica internazionale, di questo Governo. Essa ricorda la linea euclidea che, avendo direzione ma non spessore, non è visibile. In effetti, la posizione del Governo è priva di spessore, non è visibile ed è palesemente inadeguata al momento storico attuale. Per illustrarlo consentitemi di ricordare alcuni fatti, peraltro noti a tutti.
È in atto, da anni, una campagna terroristica a livello planetario condotta da estremisti islamici, molti dei quali coordinati da Al Qaeda, contro l'occidente democraticoPag. 17in primo luogo, ma anche contro paesi islamici moderati. I gravissimi attentati che si sono susseguiti a partire da quelli dell'11 settembre 2001 sono lì a dimostrarlo. Denominatore comune di quasi tutte le cellule terroristiche è l'antiebraismo; obiettivo comune a molte di esse è la distruzione di Israele. Inizialmente i terroristi di Al Qaeda, come sappiamo, facevano base nell'Afghanistan governato dai talebani. Quel regime è caduto grazie all'azione congiunta della resistenza afghana e di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d'America ed al suo posto è subentrato un Governo democratico guidato dal presidente Karzai. Tuttavia, talebani e terroristi di Al Qaeda, anche se sconfitti, non sono stati debellati e tentano di riconquistare il paese.
I terroristi venivano addestrati anche dall'Iraq di Saddam Hussein: ci sono prove testimoniali e documentali che 8 mila terroristi di Al Qaeda sono stati addestrati in campi iracheni. Saddam finanziava anche i terroristi suicidi della Palestina che facevano strage di israeliani. Il regime di Saddam è stato sconfitto e, attraverso un processo di transizione esemplare, al suo posto è subentrato un Governo democraticamente eletto, in base ad una Costituzione consacrata dal suffragio popolare. Anche lì nostalgici di Saddam e terroristi di Al Qaeda tentano di far fallire la giovane democrazia irachena con continui attentati a danno della popolazione civile.
Venendo all'Iran, il suo Presidente Ahmadinejad, appena eletto, ha subito negato lo sterminio degli ebrei ad opera del nazismo e dichiarato di porsi come obiettivo prioritario la cancellazione dello Stato di Israele dalla carta geografica. Come se non bastasse, ha proseguito con decisione il programma volto a dotare l'Iran di capacità nucleari, incurante delle proteste della comunità internazionale.
George Santayana sosteneva che chi non ricorda gli errori del passato è condannato a ripeterli. Dovremmo avere imparato dalla storia quanto sia pericoloso non dare peso alle farneticanti minacce dei fanatici. È incomprensibile chi, da un lato, condanna le atrocità commesse dai nazisti e, dall'altro, mostra comprensione, se non indulgenza, per chi vorrebbe ripetere quelle atrocità, ma sembra che il nostro Governo preferisca ignorare le lezioni della storia.
In Palestina le elezioni sono state vinte da Hamas, un movimento che ha giurato di distruggere Israele e che pratica sistematicamente il terrorismo per raggiungere i suoi scopi. Infine, in Libano la Siria continua a controllare la situazione consentendo a Hezbollah, braccio armato dell'Iran, di attaccare Israele, e questo con buona pace della risoluzione n. 1559 delle Nazioni Unite.
Lo Stato di Israele, nelle ultime settimane, è stato sottoposto congiuntamente ad attacchi con razzi provenienti da Gaza a sud e dal Libano meridionale a nord. Evidentemente, Hezbollah da una lato e Hamas dall'altro, con la complicità ed il sostegno di Siria e di Iran, tentano di realizzare il loro proposto esplicitamente e ripetutamente dichiarato: distruggere Israele. Essendo in gioco la sua sopravvivenza, Israele è l'unico Stato sovrano al mondo di cui si è messa in discussione l'esistenza; il Governo israeliano è costretto a difendersi con la forza. Se questo è il quadro della situazione, dovrebbe essere evidente che è in atto una attacco terroristico planetario che mette a repentaglio la sicurezza di tutti, con rischio concreto di una guerra di proporzioni enormi. Tutti, quindi, dovrebbero fare la propria parte, contribuendo a sconfiggere le forze del terrore. Invece, cosa fa il Governo italiano delle sinistre? In meno di due mesi ha dilapidato il patrimonio di affidabilità acquisito nei cinque anni del Governo Berlusconi, ha cancellato la missione civile a guida ONU che c'eravamo impegnati a realizzare in Iraq, ha risposto negativamente alla Nato e all'Unione europea che ci chiedevano maggiori truppe e mezzi in Afghanistan e sta dando vita ad uno spettacolo indecoroso di divisioni sul finanziamento delle missioni militari all'estero.
Con uso sproporzionato della farsa, per illustrare il brillante gioco di parole diPag. 18Ellekappa, il Presidente del Consiglio ha ritenuto di doversi coprire di ridicolo rivolgendosi proprio a Ahmadinejad perché si adoperasse per una tregua. Come prioritaria iniziativa del suo dicastero il ministro degli esteri ha ritenuto necessario precipitarsi a Teheran, abbandonando, forse a malincuore, i suoi quattro sottosegretari e tre viceministri, per rassicurare gli esponenti di quella grottesca teocrazia medievale che egli considera inalienabile il diritto dell'Iran a dotarsi di capacità nucleari a scopi civili. Non contento di ciò, ha ritenuto di doversi rifugiare nella creatività linguistica proclamando la sua «equivicinanza», neologismo di cui non si sentiva il bisogno, fra i terroristi di Hamas e lo Stato di Israele. Infine, in presenza del quadro attuale, non trova di meglio che biasimare la reazione sproporzionata di Israele.
La situazione sarebbe ridicola se non fosse tragica. È come se l'Italia avesse deciso di disertare, di uscire di scena, di cessare di esistere, relegandosi al ruolo di spettatrice impotente della storia del nostro tempo e tutto questo per fare piacere a gruppuscoli estremistici di scalmanati, fra cui quelli che cacciarono l'onorevole Fassino dal corteo pacifista. Evidentemente, l'obiettivo di farlo riammettere a quel corteo è per il Governo delle sinistre più importante dell'onore dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sereni. Ne ha facoltà.
MARINA SERENI. Signor Presidente, onorevole ministro, colleghi e colleghe, prima di motivare il voto favorevole del gruppo dell'Ulivo sulla mozione presentata da tutti i gruppi della maggioranza, vorrei fare una breve premessa. Non siamo tra coloro i quali ritengono che un cambio di segno nella maggioranza di Governo debba necessariamente comportare un cambio di linea in politica estera. La collocazione internazionale di un grande paese come l'Italia non può dipendere, in altre parole, dall'esito di una tornata elettorale. Per queste ragioni, non consideriamo auspicabile che sulle grandi scelte di politica estera si determini una contrapposizione frontale e pregiudiziale tra maggioranza ed opposizione, ferma restando la possibilità di un confronto tra opzioni diverse. Perché questo sia possibile è necessario però che tutti formulino giudizi a partire dalla realtà, dai problemi all'ordine del giorno, dalle proposte e dai primi provvedimenti che il Governo effettivamente sottopone al Parlamento.
Dobbiamo registrare, purtroppo, che il dibattito politico di queste settimane e, ancora ieri, molti degli argomenti e dei toni della discussione sulla grave crisi in atto in Medio Oriente sono stati pesantemente condizionati da una volontà polemica e da strumentalità incomprensibili. Per questo, con molta pacatezza, vorrei dire ai colleghi dell'opposizione che avremmo preferito un confronto di merito, che più limpidamente desse conto all'opinione pubblica degli effettivi elementi di novità che i primi atti del Governo dell'Unione hanno prodotto rispetto al quinquennio precedente.
I riferimenti essenziali delle scelte che in queste settimane il Governo ha compiuto, mi sembrano chiari.
Innanzitutto, la convinzione che l'Italia può e deve tornare ad investire senza riserve nella dimensione europea, superando ogni timidezza e scetticismo rispetto al processo di unificazione politica. Soltanto un'Europa unita e autorevole sul piano istituzionale e politico può avere l'ambizione e la forza per promuovere la pace e contribuire effettivamente a risolvere i conflitti in atto e a costruire un ordine mondiale più giusto ed equilibrato.
In secondo luogo, combattere efficacemente il terrorismo internazionale e le altre gravi minacce che attraversano il pianeta, a cominciare dal sottosviluppo, dalla povertà, dall'assenza di democrazia e diritti che affliggono tanta parte dell'umanità, richiede un serio rilancio del multilateralismo e del ruolo delle grandi organizzazioniPag. 19sovranazionali. Maggiore convinzione nell'Unione europea e riconoscimento del valore delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni multilaterali cui l'Italia partecipa non sono affatto in contraddizione con la lealtà e l'impegno verso l'alleanza con gli Stati Uniti. Anzi, a nostro avviso, proprio sulla base di tali premesse è possibile un rinnovato sviluppo delle relazioni transatlantiche che, fondandosi sui valori che uniscono Europa e Stati Uniti e sulla capacità di un dialogo su basi di pari dignità, faccia compiere un passo avanti nella direzione della pace e della sicurezza.
Tali coordinate rappresentano la continuità o la discontinuità con le linee di politica estera del Governo precedente? Forse, la domanda è mal posta. A me sembra che il Governo Prodi stia sviluppando un'iniziativa indubbiamente caratterizzata da forti elementi di novità, tornando a muoversi lungo il solco della migliore tradizione della politica estera italiana da cui il Governo di centrodestra si era progressivamente e maldestramente allontanato. È all'interno di tali coordinate, comunque, che il Governo ha assunto la decisione di provvedere al rientro, entro l'autunno, del contingente militare italiano dall'Iraq e di mantenere tutte le altre missioni attualmente in corso, dando peraltro seguito ad un programma elettorale ampiamente annunciato.
Vorrei domandare ai colleghi del centrodestra: vi è differenza tra la scelta che il Governo Prodi sta facendo in Iraq e quanto avrebbe fatto la Casa delle libertà se aveste vinto voi le elezioni?
Il dibattito, in questi giorni, non ha consentito di chiarire tale punto; ricordo però che in campagna elettorale autorevoli esponenti del centrodestra avevano annunciato ripetutamente un imminente ritiro dall'Iraq.
Il nostro ragionamento è semplice e trasparente; l'intervento militare in Iraq è avvenuto al di fuori delle Nazioni Unite e in violazione del diritto internazionale; come opposizione, noi non avevamo condiviso il sostegno, dato dall'Italia, ad un'iniziativa nata sotto il segno della guerra preventiva, che ha diviso l'Europa e la comunità internazionale. Riteniamo che l'intervento in Iraq, e più in generale la filosofia che ispirò allora l'amministrazione Bush, non abbiano affatto indebolito il terrorismo e, anzi, abbiano alimentato il fondamentalismo e l'odio antioccidentale in tanta parte del mondo islamico.
Tuttavia, senza alcun pregiudizio, abbiamo sempre ricercato un rapporto positivo con quelle forze che in Iraq, all'indomani della caduta di Saddam Hussein, da tutti salutata positivamente, hanno cercato di costruire una transizione democratica. Le elezioni in Iraq, l'approvazione della Costituzione, le elezioni del presidente Talabani e l'insediamento del Governo di Nuri al Maliki certamente sono la testimonianza che tanti iracheni hanno scommesso sulla possibilità di costruire un paese libero e democratico. Ma ciò non può nascondere la drammatica difficoltà a raggiungere un'effettiva pacificazione e stabilizzazione, ed anzi il rischio è che, alla violenza terroristica, si sovrapponga una vera e propria guerra civile tra le principali componenti etniche e religiose irachene. Non è un caso se oggi, negli stessi Stati Uniti, molti autorevoli analisti, anche tra coloro che appoggiarono l'intervento militare, esprimono dubbi e critiche sulla conduzione della missione e considerino improrogabile la conclusione della presenza militare straniera in quel paese.
Il rientro dei militari italiani dall'Iraq era stato chiaramente esposto nel programma del centrosinistra; è stato concordato nei tempi e nelle modalità con le autorità irachene ed è stato oggetto di un confronto serio e rispettoso tra il nostro Governo e l'amministrazione USA. Al ritiro del contingente militare non corrisponde affatto un disimpegno dell'Italia verso l'Iraq, poiché assicureremo un forte contributo alla ricostruzione, economica e civile, di quel paese. Perché non riconoscere la serietà e la correttezza di questo percorso? Si può dissentire ovviamente, ma non è accettabile descrivere queste scelte come una fuga vergognosa dall'Iraq.
Quanto alle altre missioni, l'Italia manterrà gli impegni in corso ed anzi dichiaraPag. 20la disponibilità a partecipare ad una nuova missione in Darfur qualora l'ONU si esprimesse in tal senso. Si tratta di un quadro di responsabilità molto vasto e significativo che vede complessivamente impegnate le nostre Forze armate in teatri rischiosi nei quali hanno sempre dato prova di grandi capacità professionali ed umane.
Con la mozione che oggi proponiamo vogliamo ribadire la nostra idea dell'uso della forza e il carattere delle missioni italiane all'estero. Il ricorso allo strumento militare può essere inevitabile di fronte a gravi minacce per la pace e la sicurezza collettiva. Esso dev'essere sempre l'estrema ratio e deve essere esercitato nei limiti e sulla base del diritto internazionale, come prevede peraltro l'articolo 11 della nostra Costituzione. Coerentemente con il dettato costituzionale i nostri militari sono impegnati in azioni di tutela delle popolazioni civili, di ricostruzione, di stabilizzazione, all'interno di una cornice chiaramente multilaterale.
La nostra mozione si sofferma in particolare sull'Afghanistan. Non voglio tacere che ciò derivi anche dall'esigenza e dalla volontà di ricercare un punto di vista condiviso all'interno della maggioranza su una missione che ha visto in passato esprimere opinioni diverse nel centrosinistra. Tuttavia, vorrei che non ci fermassimo a questa spiegazione. Abbiamo, infatti, tutti convenuto sull'utilità di una riflessione più approfondita sulla situazione in Afghanistan a cinque anni dall'intervento militare autorizzato dall'ONU in quel teatro. Non è in discussione il mantenimento degli impegni che l'Italia ha assunto con l'ONU e con la NATO. In Afghanistan sono presenti i principali paesi europei e nessuna decisione potrà essere assunta fuori dalle sedi multilaterali. La caduta del regime dei talebani ha sicuramente aperto una fase di grandi speranze in quel paese: tanti afgani, che erano fuggiti all'epoca dell'invasione sovietica o con l'avvento dei talebani, sono rientrati; le scuole si sono riaperte, si è avviato un processo di partecipazione politica e democratica; in molte aree del paese è iniziato un difficile programma di ricostruzione. Al tempo stesso occorre riconoscere che la capacità militare dei talebani è negli ultimi tempi aumentata, che in alcune aree la stabilizzazione è ancora lontana, che le condizioni di vita materiale di molti sono ancora difficilissime, che i programmi di eradicazione delle colture di oppio hanno aperto nuove contraddizioni.
Non si tratta, dunque, di confrontare dogmaticamente delle certezze e di rimanere fermi al giudizio sull'intervento del 2001. Per queste ragioni riteniamo opportuno che l'Italia si faccia promotrice di una riflessione nelle sedi sovranazionali competenti, che si determino le condizioni per verificare i risultati della presenza internazionale in Afghanistan, che si valuti la possibilità di conclusione della missione Enduring freedom e che si rilanci in ogni caso l'impegno della comunità internazionale per la ricostruzione economica, sociale e civile di quel paese.
PRESIDENTE. Onorevole Sereni, concluda.
MARINA SERENI. Concludo, Presidente, con un'ultima sottolineatura. In questi giorni è tornata alla ribalta una questione che periodicamente attraversa il dibattito sulla politica estera: l'irriducibilità del punto di vista del pacifismo rispetto al realismo della politica. Non ho il tempo per approfondire tale questione ma, tuttavia, non sono convinta che ci si debba arrendere all'idea che una cultura di Governo non possa assumere seriamente e profondamente il valore della pace, della pace come obiettivo alto che include il rispetto dei diritti di ogni essere umano, la libertà, la giustizia.
Un obiettivo per il quale vale la pena mettere in campo politiche e strumenti di cooperazione, di dialogo, di mediazione; un obiettivo che richiede un impegno a fianco delle Nazioni Unite, anche volto a riformare quel sistema che certo risente del momento storico in cui fu fondato...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole.
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MARINA SERENI. Un obiettivo che può essere realisticamente avvicinato, valorizzando il lavoro prezioso e quotidiano di tanti civili, volontari e cooperanti, impegnati in luoghi davvero difficili.
Ho illustrato le ragioni per le quali voteremo a favore della mozione della maggioranza. Esprimeremo invece un voto complessivamente contrario sulla mozione Elio Vito ed altri n. 1-00013, perché - al di là di singoli punti pur condivisibili - non possiamo non considerare il contesto politico entro cui questo dibattito si svolge.
«La pace è un concetto astratto» - disse Rabin alcuni decenni fa - «e i governanti tendono a considerare solo gli elementi che formano il quadro generale. Per quanto mi riguarda, io cerco sempre di tradurre il concetto di pace nella vita della gente, uomini e donne in carne ed ossa, con nomi e indirizzi, talvolta quando devo prendere una decisione penso ad alcune persone in particolare e considero la vita che è capitata loro in sorte». Ecco, credo dovremmo seguire l'insegnamento di questo grande uomo di pace, farci guidare da un'idea della politica che abbia il coraggio di andare oltre ciò che appare scontato (Commenti). Una politica che prova a cambiare anche le cose più difficili...
PRESIDENTE. La prego di concludere, per favore.
MARINA SERENI. ...a cominciare dalla richiesta di far cessare il fuoco in Medio Oriente immediatamente, per salvare vite umane innocenti e per ridare voce al negoziato e una speranza al futuro (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de La Rosa nel Pugno - Commenti dei deputati dei gruppi dell'opposizione).
PRESIDENTE. Colleghi, ho richiamato l'onorevole Sereni, ma - come voi avete visto - non ho richiamato nessun collega che è andato oltre il tempo stabilito, per la semplice ragione che questo è stato un dibattito molto importante e impegnativo.