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Votazione finale del disegno di legge: Disposizioni per la partecipazione italiana a missioni internazionali di pace (A.C. 1288).
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1288)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Reina, del Movimento per l'Autonomia. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che, dopo il lungo e, per molti versi, esaustivo dibattito al quale abbiamo assistito sull'argomento posto alla nostra attenzione, rimangano da esprimere ben poche considerazioni finali.
In ogni caso, noi, come Movimento per l'autonomia, riteniamo di esprimere il nostro assenso e il nostro voto favorevole rispetto all'atto che il Parlamento è chiamato a compiere, nella convinzione che esso sia utile alla salvaguardia e al mantenimento della pace nel nostro pianeta e, soprattutto, perché costituisce, simbolicamente, a nostro avviso, un atto di continuità rispetto alla politica estera del nostro paese.
È opportuno che, al di là delle discussioni e delle schermaglie che oggi si sono registrate in quest'aula, ciascuno di noi ricordi che un paese è tanto più grande quando riesce ad essere univoco e continuo sul piano della politica estera. Diversamente, ben difficilmente riesce ad essere identificato nella comunità internazionale come un soggetto credibile, che può portare un contributo vero al superamento dei conflitti.
Per queste ragioni di fondo, noi esprimeremo un voto favorevole, ma ricordiamo che questo non è sufficiente. Non è sufficiente la continuità della nostra presenza in Afghanistan per garantire la pace. È, invece, necessario che si rafforzi il ruolo dell'ONU. Occorre che venga riconsiderato il ruolo dell'ONU nel mondo e che sia rimessa in ordine questa grande organizzazione, che deve dare stabilità, sicurezza e certezza di futuro alle popolazioni della terra, in modo che possa essere realmente autorevole e non schiava delle esigenze e delle nequizie di questo o di quell'altro grande Stato, che riescono molto spesso a prevalere sull'interesse generale.Pag. 92
Quindi, confermo il nostro voto favorevole sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto- Movimento per l'Autonomia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Catone, del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista. Ne ha facoltà.
GIAMPIERO CATONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo della Democrazia Cristiana- Partito Socialista, preannuncio il nostro voto favorevole sul disegno di legge per il rifinanziamento delle missioni internazionali. Attraverso questo voto ci atteniamo ad un impegno di coerenza nella politica estera. Ricordiamo, infatti, che la partecipazione a molte di queste missioni internazionali è nata durante il Governo Berlusconi ed è armonica e coerente con gli impegni e le posizioni assunte da quel Governo in politica estera. Esprimendo un voto favorevole sul provvedimento in esame, oggi, molto semplicemente, confermiamo la nostra linea di politica estera, la stessa linea che era propria del Governo precedente.
Le relazioni internazionali - si sa - sono materia delicata, ed è importante dimostrare agli Stati partner una serietà e una continuità nelle politiche e nei comportamenti del nostro paese, perché è proprio a partire da questi fattori che veniamo giudicati nella comunità internazionale. Le sfide che oggi il contesto internazionale ci pone sono sempre più grandi e complesse e impongono a tutto il nostro paese un impegno sempre più pressante e una coerenza sempre più ribadita.
Noi manifestammo la stessa coerenza, anche quando, durante precedenti Governi di centrosinistra, votammo a favore di provvedimenti di politica estera che, invece, avevano fatto venire gravi mal di pancia alla maggioranza che li sosteneva. Oggi quella situazione si ripropone in modo diremmo eclatante, con esponenti dell'attuale maggioranza che si distinguono per i distinguo.
Siamo, tuttavia, arrivati alla curiosa situazione - come, peraltro, alcuni colleghi hanno fatto già notare - che l'appoggio a questo provvedimento giunge in modo chiaro e coerente dai partiti dell'opposizione, mentre avviene esattamente il contrario per quanto riguarda i partiti della maggioranza.
Ricordiamo, per dovere di cronaca, che questo disegno di legge è proposto dal Governo e dovrebbe, pertanto, essere approvato dalla sua maggioranza, come avviene - per citare il Vicepresidente D'Alema - nei paesi normali.
Ci preme, tuttavia, sottolineare, in via preliminare, come la situazione di ambiguità e di debolezza in cui si trova il Governo in questo frangente non ci rende felici. Non ci sembra, insomma, un'opportunità per le sorti dell'opposizione. Ciò perché riteniamo siano in gioco interessi superiori: gli interessi del paese e il suo prestigio internazionale.
Ci sembra anche che sia in gioco il ruolo che le forze italiane di pace svolgono in modo così importante in così tante parti del mondo. Se un paese sovrano decide di inviare truppe all'estero per operazioni di mantenimento della pace, non può poi comportarsi in modo ondivago e indeciso e ritirare le sue forze, senza aver prima posto le premesse per un superamento della situazione che aveva determinato l'invio di quelle truppe. Si tratta di rispettare, prima ancora che un principio di coerenza e di prestigio nelle relazioni internazionali, le esigenze pressanti delle popolazioni.
Non si può fornire protezione militare per il mantenimento della pace a popolazioni indifese e, poi, andarsene così sportivamente, a cuor leggero, lasciando drammaticamente quelle popolazioni e i giovani Governi scaturiti da quelle trasformazioni in balia degli eventi e, probabilmente, delle vendette, delle rappresaglie, della recrudescenza dei conflitti, che proprio la nostra presenza militare contribuiva ad evitare. Non ci sembra moralmente giusto fare questo. Una simile decisione rappresenterebbe, inoltre, uno spreco insensato delle risorse e dei sacrifici spesi fin qui.
In riferimento alle risorse e ai sacrifici, vorrei rivolgermi, prima di tutto, alle nostre Forze armate, cui va il nostro rispetto,Pag. 93il nostro omaggio e il nostro ringraziamento per gli sforzi, i sacrifici e l'abnegazione dimostrati nell'adempimento del dovere.
Vogliamo ricordare con immenso affetto tutti i soldati che, nel corso di queste missioni di pace, sono stati feriti o sono caduti. Dobbiamo avere tutti grande considerazione per i nostri militari, perché ad essi chiediamo una cosa grave e assolutamente inusuale per i cittadini - quali essi sono - di una moderna e democratica potenza occidentale.
Chiediamo loro di usare in certe condizioni la forza, che deve necessariamente essere proporzionata al pericolo attuale per le persone, proprio in ragione dello scrupolo circa l'uso della forza, che siamo certi pervade la stragrande maggioranza del popolo italiano e delle forze politiche che lo rappresentano. Non possiamo accettare certo pacifismo ad oltranza, che, più che pacifismo, sembra piuttosto una dichiarazione di estraneità, un chiamarsi fuori dalla realtà del mondo attraverso la reiterata enunciazione di astratte formule ideologiche, un modo usato talvolta per lavarsene le mani, mentre noi riteniamo che i problemi vadano affrontati.
Sentimenti e apprezzamenti differenti fanno parte, beninteso, della dialettica della democrazia e proprio per questo vorremmo soffermarci brevemente sulla nostra missione in Afghanistan.
È stato sostenuto che, anche in questa circostanza, i nostri soldati sarebbero poco legittimati a stare a Kabul e che, comunque, i risultati delle missioni di mantenimento della pace in quel paese stanno dando pochissimi frutti; anzi essa è completamente fallita. Questa missione sta aiutando la popolazione e il nuovo Governo in un'operazione di stabilizzazione e progresso, aumentando il tasso di sicurezza, quindi lo sviluppo di quel paese.
Il nostro paese, con la sua nota capacità di interazione e interpretazione dei bisogni delle popolazioni dei territori in cui opera, potrebbe svolgere un ruolo importante di cerniera e di mediazione per aiutare l'Afghanistan. Tutto ciò naturalmente presuppone che l'Italia mantenga una capacità di partnership, una coerenza e una credibilità presso gli alleati.
Vogliamo sottolineare il legame esistente tra presenza militare e opportunità di miglioramento sociale ed economico: ciò vale, prima di tutto, per l'Afghanistan, ma è tuttavia un principio, e una preoccupazione, che da sempre accompagna le nostre missioni internazionali e che fa onore al nostro paese.
Questo legame sottrae ulteriore argomento ai pacifisti ad oltranza presenti nell'attuale maggioranza. Lasciare oggi l'Afghanistan potrebbe significare contribuire a far precipitare di nuovo quel paese nel dramma e nel buio di una crisi senza sbocchi. Il dovere del nostro paese deve essere, invece, quello di porsi l'obiettivo di come contribuire a svolgere un ruolo propulsivo e propositivo con gli altri alleati per affrontare e superare i problemi dell'Afghanistan, del dopo talebani e giungere ad una stabilizzazione certa e irreversibile.
L'invio di missioni militari obbedisce allo scopo di creare le precondizioni per la pace e per il progresso sociale per i paesi in difficoltà. L'uso dello strumento militare non può essere fine a se stesso, ma deve rappresentare una misura di emergenza inevitabile, finalizzata ad ulteriori interventi che facciano perno sulla politica, sul consenso, sullo sviluppo. Ci pare che questo legame sia sempre stato chiaro nella politica estera italiana e che costituisca la ragione di base del nostro voto favorevole.
In quest'ottica vorremmo spendere una parola per i drammatici problemi del Darfur, per i quali vorremmo porre all'attenzione di tutte le istituzioni una proposta da rivolgere alla comunità internazionale per una missione di pace a sostegno di quelle popolazioni.
Leggiamo sui giornali questi giorni che il Presidente del Consiglio confida nel voto favorevole della coalizione. Apprendiamo sempre dalla stampa che il Presidente Prodi ha proposto una forza multinazionale ONU, che svolga in qualche modo un ruolo di interposizione tra Libano e Israele. I due argomenti sono ovviamentePag. 94legati fra di loro e il loro raffronto genera nell'osservatore politico un senso di smarrimento e sconcerto.
Come è possibile che il premier italiano sia costretto a confidare nel consenso della sua maggioranza? Certo, l'autorevolezza del suo Governo ne esce praticamente a pezzi. In un contesto di debolezza come questo, come è possibile che il Presidente del Consiglio si spinga a proporre alla comunità internazionale una forza per il Libano? E con quale coerenza e credibilità, se trova difficoltà a far passare nel suo paese il rinnovo delle missioni già in corso? Sospettiamo che la proposta di Prodi per il Libano altro non sia che un escamotage, una fuga in avanti per tentare di aggirare le problematiche e gli scogli politici oggi alla nostra attenzione. Come potrebbe darsi una partecipazione italiana ad una forza in Libano ed un nostro contemporaneo ritiro dall'Afghanistan?
Dalla stessa maggioranza attuale sono giunte recentemente autorevoli riflessioni sul fatto che essa non sarebbe in grado, non avrebbe numeri e la forza per poter governare un'intera legislatura. Osserviamo allora che i nodi, da noi da tempo segnalati, sembrano venire al pettine.
Lo stesso Presidente della Repubblica ha osservato che, qualora i voti dell'opposizione dovessero risultare rilevanti ai fini dell'approvazione delle missioni internazionali, la cosa non potrebbe essere priva di conseguenze.
Ecco allora riemergere prepotentemente il problema, da noi sempre denunciato e finora sprezzatamente respinto, della debolezza intrinseca di questo Governo e di questa maggioranza. Tale problema viene alla ribalta proprio in occasione di questo importante appuntamento sulla politica estera nelle nostre missioni internazionali. Vogliamo lavorare e dare il nostro contributo affinché le incertezze dell'attuale maggioranza non provochino indirettamente un arretramento delle posizioni del nostro paese in politica estera.
In politica estera deve prevalere, al di là dello svolgersi della dialettica e della lotta politica interna, una logica che consideri prioritario il nostro interesse nazionale. Per noi è sempre stato così. Quindi, coerentemente, sarà così anche oggi, in occasione del voto sul rinnovo nelle nostre missioni internazionali (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fabris, per il gruppo Popolari-Udeur. Ne ha facoltà.
MAURO FABRIS. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe, colleghi, con il voto che esprimeremo oggi sul disegno di legge all'esame di questa Assemblea la maggioranza ha l'occasione di dimostrare di essere, appunto, tale, cioè una coalizione di forze politiche che, in base ad un programma elettorale condiviso, si sono presentate agli italiani, ottenendo da loro la maggioranza per governare.
Noi dell'Udeur abbiamo sempre sostenuto che la politica estera è la cartina di tornasole della credibilità della maggioranza di fronte agli italiani, di fronte ai nostri tradizionali alleati internazionali e di fronte al mondo intero. Quello di oggi è, dunque, un voto di straordinaria importanza, perché investe il ruolo che il nostro paese, guidato da una maggioranza di centrosinistra, intende esercitare nei rapporti multilaterali a livello internazionale.
Di per sé, il contenuto del testo al nostro esame è molto semplice, anche perché, se contiene, indubbiamente, alcune discontinuità rispetto ad analoghi provvedimenti approvati dai precedenti Governi Berlusconi, tratta di rifinanziare la partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace e di stabilizzazione dei conflitti, nonché di rafforzamento dei processi democratici in tante parti del mondo in cui l'Italia, da più legislature e sotto la guida di Governi diversi, si è impegnata. Non c'è, dunque, soltanto la missione italiana in Iraq o quella in Afghanistan, di cui tanto si discute: sono ben ventiquattro le missioni italiane nel mondo che si intende rifinanziare oggi. Certo, nonPag. 95sfugge ad alcuno come, in particolare, siano proprio le missioni in Iraq ed in Afghanistan quelle attorno alle quali si è discusso di più nella maggioranza, al punto che il voto che ci accingiamo ad esprimere costituisce un banco di prova decisivo per il centrosinistra per poter continuare a governare.
Allora, parliamo di Iraq e di Afghanistan. Nel programma con cui ci siamo presentati agli elettori era chiaramente previsto il rientro delle nostre truppe dall'Iraq, dove esse si sono distinte per lo spirito di grandissima professionalità e sacrificio con cui hanno assolto il mandato che il Parlamento aveva loro affidato. Anche nella precedente legislatura, l'Udeur, pur essendo forza di opposizione, ha sempre votato a favore della partecipazione italiana alle missioni in Iraq, pur condannando la guerra preventiva ed ingiusta voluta da Bush, che, come ricordava ieri il ministro D'Alema, ha aggravato, e non risolto, la questione del terrorismo e del fondamentalismo religioso in quell'area del mondo.
Noi vogliamo, proprio oggi, ripetere quanto siamo orgogliosi di come i nostri soldati si sono comportati nell'operazione Antica Babilonia. Ancora una volta, sentiamo il dovere di esprimere loro il nostro «grazie» e, soprattutto, la nostra solidarietà e la partecipazione al dolore delle famiglie dei soldati italiani caduti in Iraq nell'adempimento del loro dovere di servitori del nostro paese. Ma in Iraq non ha più senso rimanere, come abbiamo scritto nel programma dell'Unione e, dunque, è giusto prevedere il finanziamento del loro rientro, ordinato e concordato con i nostri alleati e con il legittimo Governo iracheno. Peraltro, il rientro è stato annunciato per il settembre 2006 anche dall'ex capo del Governo, Berlusconi, di fronte al fatto che gli iracheni percepiscono la presenza di soldati stranieri sul loro territorio come forze di occupazione più che di pace. Certo, gli iracheni non vanno lasciati soli. Infatti, l'attuale Governo ha previsto azioni di rafforzamento di iniziative civili e di sostegno ad iniziative internazionali utili a pacificare quel paese.
Cosa diversa è la nostra partecipazione alla missione in Afghanistan. La presenza italiana con l'ISAF è stata decisa in seguito a quattro precise risoluzioni dell'ONU, a partire da quella del 2001, con le quale l'ONU stesso ha delegato la NATO ad espletare le azioni previste dall'articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite (ovvero il possibile ricorso alla forza) per ripristinare la democrazia e contrastare il terrorismo internazionale. In questo scenario, operiamo, insieme ad altri trenta paesi, a partire dal gennaio 2002. Diverso discorso riguarda l'operazione Enduring freedom, nata sempre con riferimento alla situazione afghana, alla quale l'Italia partecipa sulla base di un accordo diretto con gli Stati Uniti, ma per la quale forniamo solo due unità della Marina militare, con lo scopo di pattugliare alcune zone di mare fuori dal territorio afghano.
Questa è la situazione con riferimento all'Iraq e all'Afghanistan.
Ora si dice, specialmente da parte di alcuni nel centrosinistra e da parte di alcuni dei cosiddetti movimenti che si autodefiniscono pacifisti: bene per l'Iraq, ma in Afghanistan tutto è cambiato; c'è la guerra e, dunque, l'Italia deve venire via anche da lì (perché, appunto, ci sarebbe la guerra).
Rimango sempre stupito di fronte a questo tipo di pacifisti che si arrogano il diritto di parlare a nome di tutti in quanto si credono gli unici depositari della verità, gli unici abilitati a stabilire quando c'è guerra e quando non c'è, gli unici - a sentire loro - con una conoscenza e una sensibilità che li porta certissimamente a scegliere ciò che è giusto e ciò che non è giusto, ciò che bene e ciò che è male, anche rispetto a quanti vivono, soffrono e muoiono nelle aree dove c'è la violenza di pochi contro il diritto dei molti a vivere in pace.
Noi non abbiamo queste loro incrollabili certezze. Intanto, vogliamo dire loro che il movimento pacifista italiano è ben più articolato di quanto essi vogliano far credere; basterà pensare al prezioso apporto che ad esso è stato dato dall'associazionismo cattolico, che ha garantito unaPag. 96larga presa sull'opinione pubblica italiana delle ragioni della pace, ad esempio in occasione della guerra ingiusta, come la definì Giovanni Paolo II, quella guerra ingiusta definita invece da Bush la guerra preventiva scatenata contro l'Iraq.
Sappiamo che la pace, la democrazia, la giustizia sociale, non sono mai date una volta per sempre, ma vanno costruite e difese giorno per giorno. Nel mondo, non da parte nostra, non da parte dell'Europa, non da parte dei nostri alleati, non da parte dell'ONU, è stata scatenata una guerra terroristica in gran parte basata su un fondamentalismo religioso, che vorrebbe scardinare i fondamenti del mondo libero. Noi stiamo con la stragrande maggioranza degli italiani che vogliono la pace nella sicurezza, nella giustizia, contro il terrorismo. Noi stiamo con l'Europa che si è sempre schierata contro il terrorismo internazionale e che già nell'ottobre del 2001 si era espressa in favore dell'instaurazione in Afghanistan di un governo stabile e legittimo. Noi stiamo con i tanti paesi europei oggi presenti in Afghanistan, tra cui la Spagna del tanto celebrato, laicissimo e progressista premier Zapatero che ha addirittura dichiarato di voler rafforzare la sua presenza in Afghanistan. Noi stiamo con i nostri alleati, che in base all'articolo 5 del Trattato NATO hanno deliberato il 30 ottobre 2001 di intervenire in Afghanistan sulla base della risoluzione ONU n. 1368. Stiamo infine con l'ONU, una istituzione sicuramente debole e da riformare - ma è ciò che abbiamo - , che ci ha chiesto con Kofi Annan un rafforzamento della nostra presenza in Afghanistan, dopo averci chiesto di intervenire con le risoluzioni prima ricordate. Ecco perché voteremo convintamente il disegno di legge del Governo. Siamo convinti, come ha scritto il quotidiano cattolico Avvenire, che la pace ha bisogno talora della forza per difendere i più deboli contro i genocidi che avvengono sotto i nostri nostri occhi e ancora che la pace oggi esige un nuovo diritto internazionale, che preveda, tra l'altro, l'ingerenza umanitaria di fronte al palese non rispetto dei diritti dei popoli e delle persone.
Vogliamo però, prima di chiudere, aggiungere che, pur rispettando tutte le posizioni, non comprendiamo il fare minaccioso e i contenuti dell'azione parlamentare di alcuni colleghi di maggioranza, che, dimenticando l'impegno assunto quando sono candidati, oggi minacciano sulla nostra presenza in Afghanistan di far cadere addirittura il Governo e minacciano al tempo stesso di farlo ugualmente cadere, anche se in Parlamento, nonostante il loro voto contrario, si manifestasse comunque una maggioranza a sostegno delle missioni italiane all'estero. Due minacce opposte e contrarie sullo stesso tema francamente ci sembrano eccessive, ma non ci spaventano. In tutte le coalizioni stare insieme non è facile, ma noi pensiamo che l'attuale maggioranza possa ritrovarsi unita a sostegno di una sua autonoma linea di politica estera, su cui, pur con sottolineature diverse, possiamo marcare la nostra discontinuità con la politica estera delle «pacche sulle spalle» praticata prima dai Governi Berlusconi.
Ci auguriamo che l'Unione tutta approvi questo provvedimento in modo da irrobustire la nostra credibilità internazionale e influenzare la politica estera dell'Unione europea e dell'ONU. In politica non ci si può affidare all'utopismo facile e vuoto e a volte da furbettini, ma alla profezia del possibile da tradurre in scelte politiche coerenti e concrete. Qui in Parlamento, certo, serve un po' di utopia, ma soprattutto bisogna decidere, scegliere e governare se si è capaci.
L'Udeur votando sì al rifinanziamento delle nostre missioni all'estero sceglie responsabilmente di sostenere la lotta al terrorismo internazionale a cui contrapporre la costruzione di una comunità internazionale basata sulla libertà e la giustizia per i popoli e per le persone, sullo sviluppo e sulla solidarietà (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Bonelli, per il gruppo dei Verdi. Ne ha facoltà.
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ANGELO BONELLI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe siamo oggi chiamati ad un voto molto importante e difficile nello stesso tempo perché drammatica è la situazione in cui si trova una parte del nostro pianeta a causa delle guerre che devastano nazioni e popoli.
Il disegno di legge di rifinanziamento delle missioni militari non può che essere letto congiuntamente insieme alla mozione di indirizzo che abbiamo votato stamane in materia di missioni militari. Una mozione che rappresenta un impegno solenne, vincolante per il Governo, e non chiacchiere, come il deputato Casini ha oggi affermato.
Il Governo Prodi ha avviato una nuova fase in politica estera, recuperando lo storico ruolo di dialogo nei rapporti con i paesi del mondo arabo e del Mediterraneo. Dico «recupero» perché il Governo Berlusconi ha contraddistinto la sua azione in politica estera da notaio, ovvero si è limitato alla ratifica di decisioni prese da altri. L'Italia ha rinunciato alla sua autonomia a favore di quelle decisioni unilaterali che hanno segnato la politica degli ultimi anni e che si è rivelata fallimentare.
Partiamo dalla guerra in Iraq, decisa e costruita sulla base di una menzogna e fuori dalla legalità internazionale; infatti, ci hanno raccontato di armi di distruzione di massa che poi gli stessi Stati Uniti d'America hanno verificato che non sono mai esistite. Al contrario, milioni di tonnellate di bombe sono state sganciate sulla base di una menzogna. Sino al 16 luglio 2006, secondo il sito Iraq Body Count, sono morti 45 mila iracheni, 2.543 americani e 226 cittadini di altre nazionalità, tra cui nostri militari e civili.
Il precedente Governo ci ha detto che tutto ciò sarebbe servito a portare ed esportare democrazia, realizzando un effetto domino; invece, tutto ciò non solo non è accaduto, ma quell'area è ancor più instabile ed insicura. Questa è stata sicuramente una guerra per il controllo geopolitico di un'area e dei suoi pozzi di petrolio. Non si porta la democrazia e non si tutelano i diritti umani con i bombardamenti; questa è pura follia, una follia che questo Governo ha il dovere di fermare attraverso una nuova politica estera.
Sappiamo che il terrorismo è un pericolo che va contrastato, ma noi sappiamo che il terrorismo si nasconde dietro la guerra ed è per questo che dobbiamo contrastare la guerra per sconfiggere anche il terrorismo.
In coerenza con il programma dell'Unione, votato dai cittadini e che ha portato questa maggioranza al governo del paese, oggi decidiamo il ritiro dei militari italiani dall'Iraq. C'è chi li aveva inviati in un'area di guerra, c'è chi invece, come noi dell'Unione, i militari li riporta a casa. Questo è un grande risultato dovuto anche alla mobilitazione della popolazione italiana contro la guerra in Iraq.
Noi Verdi ci poniamo di fronte ad un grande ed impegnativo quesito, ovvero quando può e se deve essere legittimato l'uso della forza. Un quesito a cui abbiamo il dovere di dare una risposta. L'uso della forza deve essere sempre un'ultima risposta e, se applicata, deve essere proporzionata a garantire la tutela dei popoli da pericoli che ne minacciano la loro incolumità e la pace. Questa per noi deve essere coerente con l'articolo 11 della Costituzione e con il primato delle Nazioni Unite.
È molto importante che la mozione approvata stamane preveda che il Governo italiano promuova presso l'ONU la costituzione di un contingente militare di pronto intervento, sotto le strette dipendenze dell'ONU, per garantire pace e sicurezza internazionale.
Prevediamo, inoltre, l'avvio di un monitoraggio ambientale per verificare i livelli di inquinamento bellico ed avviare i piani di bonifica; infatti, nessuno fino ad oggi si è mai preoccupato delle condizioni di vita di una popolazione che è sottoposta a inquinamento bellico da uranio impoverito, cioè un inquinamento che sta condizionando e condizionerà la vita delle future generazioni di quei popoli.
Affronto una questione che molto fa discutere, che ha fatto discutere e che non è certamente semplice: noi Verdi siamoPag. 98stati contrari alla guerra in Afghanistan, abbiamo votato contro quell'intervento ed esprimiamo, ancora oggi, la nostra valutazione negativa su quell'intervento; abbiamo, però, insieme a tutta la coalizione dell'Unione raggiunto una sintesi, un punto di incontro: il ritiro dall'Iraq, un impegno forte in Darfur, più fondi alla cooperazione. Nel disegno di legge abbiamo innanzitutto ottenuto che vi fosse il congelamento della presenza militare italiana in Afghanistan, ovvero il non aumento delle nostre truppe, il non invio di bombardieri e il non spostamento delle truppe nel sud del paese, ma avviamo contestualmente la verifica della missione per valutarne l'efficacia ed una riflessione sulla strategia politica sino ad oggi attuata; inoltre, porremmo presso gli organismi internazionali il superamento della missione Enduring freedom.
Vogliamo ringraziare il Governo che, questa mattina, ha precisato che nell'ambito di Enduring freedom l'Italia non ha avuto, non ha e non avrà alcuna presenza in territorio afgano.
Infine, il Parlamento sarà impegnato a realizzare un Comitato parlamentare per il monitoraggio permanente delle missioni militari. Siamo consapevoli, noi Verdi, che realizzare una politica di pace è difficile ed è per questo che siamo tenaci e pazienti, perché riteniamo che tale politica si costruisca, se lo vogliamo veramente, tassello dopo tassello, azione dopo azione, su un percorso che vogliamo il più breve possibile.
Questo è quello che abbiamo previsto per l'Afghanistan: una via che indica un percorso diretto al disimpegno militare, a favore di un sempre più forte impegno civile per il bene del popolo afgano, che non merita certamente di tornare sotto il regime dei talebani, che ha violato i diritti umani e delle donne. I talebani, oggi, sono alleati con il narcotraffico e attraverso le colture di oppio finanziano la propria guerra. Ecco perché abbiamo previsto un piano di riconversione delle colture di oppio.
Vengo a un dunque politico. Noi Verdi abbiamo un grande senso di responsabilità, innanzitutto nei confronti dei cittadini italiani che ci hanno votato e poi nei confronti del popolo afgano, che reclama diritti e che non intendiamo lasciare solo. Ma, proprio questa consapevolezza e responsabilità ci fanno comprendere, anche oggi, che una maggioranza diversa da quella attuale, senza i Verdi, farebbe arretrare ed indebolirebbe le ragioni di chi vuole la pace, di chi vuole contrastare la guerra ed applicare, per il bene del paese, il programma elettorale, diventato poi di governo, dell'Unione.
Sappiamo che, oggi, dalla destra qualcuno sperava in un nostro voto contrario sul disegno di legge, in esame, ma uscirete delusi perché questo regalo non solo non lo faremo, ma noi Verdi, oggi, siamo la garanzia dentro la coalizione dell'Unione che le ragioni della pace, della tolleranza e del dialogo saranno sempre più forti contro l'industria della guerra e della sopraffazione dei popoli.
La destra, oggi, ha annunciato di votare a favore di un provvedimento che prende decisioni diverse da quelle realizzate nella precedente legislatura. È un vostro problema di coerenza, ma è evidente la vostra strumentalità. Questo attiene alla vostra coscienza e alla vostra coerenza.
La coalizione dell'Unione è, politicamente, per noi Verdi un bene primario e ci batteremo affinché essa non sia stravolta, perché sarebbe un atto di slealtà nei confronti dei milioni di italiani che il 9 e 10 aprile ci hanno votato. Per queste ragioni, signor Presidente, preannuncio il voto favorevole dei Verdi sul disegno di legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e de La Rosa nel Pugno - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Diliberto, a nome del gruppo dei Comunisti italiani. Ne ha facoltà.
OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente e colleghi, l'intervento di ieri del ministro degli affari esteri in Assemblea ha facilitato il mio compito di oggi. È stata illustrata, infatti, non solo la giusta posizionePag. 99italiana sulla crisi libanese, ma anche le linee fondamentali della nuova politica estera del nostro Governo, che condividiamo.
Ritiro dall'Iraq e critica di quella guerra irachena come principio dell'attuale gravissima crisi internazionale, ma più in generale critica della guerra come arma efficace contro il terrorismo (che, infatti, come tutti sappiamo, è aumentato in ogni parte del mondo); lavoro, invece, in favore della pace israelo-palestinese, per uno Stato della Palestina indipendente come garanzia anche della sicurezza di Israele, sino a giungere a proporre truppe di interposizione di pace dell'ONU a Gaza.
Assistiamo, dunque, con favore alla ripresa di un'autonoma, ancorché nell'ambito delle alleanze internazionali, politica attiva dell'Italia nel bacino del Mediterraneo, nostra tradizionale vocazione storica, geografica e politica, un'Italia vista non più come il sud dell'Europa ma come il centro del Mediterraneo, fonte di cooperazione e di pace tra l'Unione europea ed i paesi rivieraschi, dal Maghreb sino al Vicino Oriente.
Ed ancora, vi è il rifiuto delle sanzioni economiche all'Iran, ma pressioni diplomatiche e, infine, ruolo convintamene europeista dell'Italia. Insomma, torniamo alla politica estera, abbandonando il più umiliante vassallaggio verso l'amministrazione americana degli ultimi cinque anni.
È in questo quadro che discutiamo oggi le missioni, un quadro profondamente mutato nel contesto, come riconosciamo positivamente al Governo, e ci attendiamo che, a novembre, a Riga, al Vertice della NATO, il Governo italiano, come è stato anche suggerito dal Presidente emerito Francesco Cossiga, certo non sospettabile di antiamericanismo, l'Italia proponga una rinegoziazione complessiva delle missioni e rivaluti quali siano, oggi, le ragioni stesse del Patto atlantico, impegnato in territori evidentemente ben distanti da quelli per i quali era sorto.
Sull'Afghanistan - si sa - manteniamo invece opinioni diverse rispetto a pezzi della maggioranza. Non riuscirete a convincerci che si tratti di una missione umanitaria o di pace. È in corso, viceversa, una guerra ed un'occupazione sanguinosissima, pericolosissima, anche per i nostri soldati. Per giunta, ritengo si tratti di una guerra destinata comunque ad essere drammaticamente perduta dalla stessa NATO.
Cercherò di spiegarmi: i talebani hanno spostato le proprie forze in Pakistan, dove gli americani non possono attaccarli, perché il Pakistan è governato da un golpista - spero che questo mi venga riconosciuto - di nome Musharraf, alleato degli americani. Inoltre, oggi i talebani sono dotati di armi molto più sofisticate di prima, procurate dagli emissari sauditi di Al-Qaeda, ma evidentemente anche l'Arabia Saudita non può essere toccata perché alleata degli Stati Uniti. La guerra, dal canto suo, ha accresciuto le reclute del terrorismo: ogni caduto provoca nuove adesioni. Popolazioni di diverse province, un tempo ostili ai talebani, oggi li vedono come nemici dell'invasore e, dunque, nuovi amici. I civili sono sempre più spesso coinvolti nelle azioni di guerra, con un'infinità di morti e di feriti il che, come è ovvio, aumenta l'odio antioccidentale.
Si è infine creata, grazie all'invasione, un'inedita alleanza tra talebani, da una parte, ed i produttori e i trafficanti di oppio, dall'altro. L'87 per cento della produzione mondiale di oppio proviene dall'Afghanistan e serve, come è noto, a reinvestire questi enormi profitti nel conflitto stesso. I signori della guerra non sono stati minimamente disarmati: Karzai controlla a mala pena Kabul. Gli aiuti umanitari sono ridicoli ed è tornata la polizia religiosa, quella degli ulema, come ai tempi dei talebani: controlleranno la moralità delle donne, i programmi della scuola, i programmi televisivi. Vi prego, nessuno mi venga a parlare di guerra per i diritti umani o per la democrazia! È l'esito della guerra cosiddetta al terrore che ci ha portato più terrore, le storture di Abu Ghraib, le prigioni di Guantanamo ed a noi italiani ha portato l'uccisione di Nicola Calipari, che voglio ricordare in quest'aula con deferenza.Pag. 100
Questa guerra non può essere vinta, e non c'è bisogno di scomodare nella guerra afgana il ricordo del fallimento militare sovietico. Non c'è riuscito nemmeno Alessandro Magno a conquistare l'Afghanistan, non ci riuscirà oggi David Richards, comandante NATO.
In Afghanistan si sta giocando una partita enorme, di cui spero abbiamo tutti contezza: è il primo teatro di operazioni della NATO fuori dal suo teatro naturale, quello euroatlantico. L'Italia potrebbe, dunque, giocare un ruolo fondamentale se proponesse agli alleati un ripensamento complessivo dei compiti e della natura stessa della NATO. Allora, distinguere le nostre responsabilità, signori del Governo, da questa guerra sarebbe un atto giusto - perché la guerra è contraria alla Costituzione -, ma anche saggio, di buon senso, di realismo politico, di lucidità.
In ogni caso, resta ferma e chiara la nostra contrarietà, quella dei Comunisti Italiani. L'Italia non è e non sarà in guerra in Afghanistan in nostro nome. Si sono raggiunti alcuni risultati proprio grazie alla nostra posizione di fermezza, di coerenza, spesso - lo dico con rammarico - molto isolata. Tali risultati sono da valorizzare perché si tratta di diversità sostanziali rispetto al Governo precedente: codice penale militare di pace e non di guerra, impegno in sede internazionale a rinegoziare complessivamente la missione, ruolo dell'ONU e non dei soli Stati Uniti. Abbiamo lavorato per un compromesso - sì, per un compromesso - perché facciamo parte di una coalizione e a noi stanno a cuore la tenuta ed i destini del Governo Prodi e non vorremmo mai, neppure involontariamente, fare un regalo alla destra, e non lo faremo.
Da qui, da questo compromesso si può ora lavorare affinché nel prossimo futuro si possa ritirare anche il contingente italiano dall'Afghanistan. Se, viceversa, malauguratamente il Governo non avesse la maggioranza, sarebbe una sciagura proprio per il movimento della pace perché, dopo questo Governo, non potrebbe che esservene un altro molto ma molto più atlantico di questo. Noi interpretiamo, dunque, questo voto come un voto di fiducia al Governo a tutti gli effetti, ad iniziare dalla politica estera che ci sembra complessivamente forte e convincente, ed abbiamo fiducia che il Governo, dal canto suo, sarà rispettoso di quanti ci hanno votato, consentendoci oggi di avere la maggioranza e di governare. Si tratta di donne e di uomini, cari colleghi della maggioranza, che desiderano la pace e vorrebbero un'Italia fuori da ogni conflitto, da tutti i conflitti, compreso quello afgano (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Crema, a nome del gruppo de La Rosa nel Pugno. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, i deputati della Rosa nel Pugno voteranno a favore del disegno di legge che autorizza il proseguimento delle missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan e, tra le altre, dà il via a tre nuove missioni, due in Congo ed una in Darfur. In questo contesto si prevede anche la conclusione della nostra partecipazione militare in Iraq. Ribadiamo che il rientro da questa missione non significa la rinuncia a garantire da parte dell'Italia un sostegno significativo al processo di ricostruzione e riorganizzazione istituzionale e civile dell'Iraq: quindi, la nostra missione umanitaria di stabilizzazione e ricostruzione deve proseguire.
Per quanto riguarda l'Afghanistan, la sconfitta del regime talebano ha aperto una stagione difficile di ricostruzione delle istituzioni e di una forma accettabile di convivenza civile. Non possiamo non riconoscerlo e saremmo in grave errore se non rimarcassimo tutte le difficoltà che permangono nella fase di stabilizzazione.
I talebani controllano tuttora ampie zone del paese, l'economia dipende ancora al 50 per cento dalla produzione di oppio e la convivenza civile non può dirsi degna di una democrazia tradizionale. Una seriaPag. 101ed approfondita riflessione è necessaria, da parte dei paesi e delle forze impegnate in questa missione di stabilizzazione e di pace, sulle difficoltà e sugli ostacoli che hanno impedito fino ad oggi il raggiungimento degli obiettivi che erano stati prefissati. Anche per questo a noi appare chiaro che sarà necessario che l'Europa e, in generale, le grandi democrazie aumentino le risorse da impiegare per favorire la riconversione della locale economia verso attività legali capaci di produrre un reddito certo e più elevato: senza il sostegno economico e militare esterno in Afghanistan si precipiterebbe nel caos.
Probabilmente, ci vuole più equilibrio tra la presenza militare e gli interventi civili; probabilmente, le operazioni militari debbono essere più legate alla società afghana, con pratiche di rispetto dei diritti dei cittadini residenti. Noi ribadiamo oggi che siamo per gli impegni multilaterali, e le missioni militari di peacekeeping lo sono. Siamo per missioni sotto l'egida diretta delle Nazioni Unite e partecipiamo a quelle sotto comando NATO e dell'Unione europea che siano promosse dalle Nazioni Unite, come - voglio rimarcarlo - è avvenuto per l'Afghanistan.
Così, invece, non è stato per l'Iraq ed anche per questo oggi ci ritiriamo. Rinnoviamo il sostegno al Governo del nostro paese che, coerentemente, si ritira dall'Iraq e rimane, invece, in Afghanistan. Il motivo è semplice, perché in Iraq l'intervento è avvenuto, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, fuori da tutte le alleanze internazionali tradizionali, dalle Nazioni Unite alla NATO e all'Unione europea.
In Afghanistan siamo invece intervenuti come parte della NATO e dell'Unione europea, insieme ai nostri tradizionali alleati, e non con un impegno singolo ed unilaterale; dobbiamo e vogliamo mantenere la solidarietà collettiva.
Ha ragione il viceministro, onorevole Intini, a ricordarci che da sempre la nostra politica estera si è basata su due pilastri: da un lato, l'Alleanza atlantica; dall'altro, l'Unione europea. Due pilastri che ci consentono di avere con gli Stati Uniti un rapporto di reciproco rispetto ma paritario. Il Governo Berlusconi ha rotto questo equilibrio e ha scelto un solo interlocutore, l'amministrazione degli Stati Uniti, indebolendo e sbilanciando la nostra politica estera. Gli Stati uniti peraltro, con l'amministrazione Bush, si sono sempre più allontanati da una valutazione complessiva in sede ONU e dai propri alleati, fino alla decisione del ricorso unilaterale alla forza in Iraq. Inopinatamente, l'Italia si è fatta politicamente coinvolgere in questa avventura e oggi paghiamo un pesante isolamento da parte delle cancellerie del nostro continente.
Ci poniamo però una domanda: perché mai in Iraq si dovrebbe chiedere all'Italia un impegno diverso e maggiore di quello di Francia, Germania, Spagna e di tutti i paesi dell'Europa, Regno Unito escluso? L'Italia è isolata in Europa; infatti, oggi, noi non siamo protagonisti della tradizionale e coerente politica estera del nostro paese; ma questa tradizionale e coerente politica estera noi vogliamo recuperare.
La sfida in cui oggi sono impegnati il nostro paese, il Governo e la sua maggioranza è quella di investire e di fare accrescere il ruolo politico dell'Europa, con l'intento di far diventare il nostro continente un attore forte, con una voce che diventi sempre più unitaria, così da essere sempre più autorevole; una voce che dovrà spendersi per la risoluzione delle crisi nella comunità internazionale.
Ieri ed oggi, gli interventi dei colleghi onorevoli Villetti, D'Elia e Mancini hanno con precisione delineato la nostra posizione in merito alle missioni di pace e sulla pesante e drammatica situazione in Medio Oriente. Ne ricaviamo una certezza, che il terrorismo fondamentalista islamico ci impegnerà, come fu per decenni la guerra fredda, per un lunghissimo periodo, richiedendo uno sforzo eccezionale che dobbiamo compiere tutti insieme; dobbiamo farlo senza riprodurre schemi ideologici e divisioni politiche che ci hanno lacerato nel secolo scorso.
Signor Presidente, nel ribadire il voto favorevole sul presente disegno di legge, i parlamentari della Rosa nel Pugno rivolgonoPag. 102un affettuoso saluto ed un riconoscente ringraziamento a tutti i nostri soldati, di ogni arma e grado, che, con professionalità e dedizione, garantiscono in tutte le missioni gli alti ideali di pace e convivenza civile (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno, dell'Italia dei Valori e dei Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoluca Orlando, a nome del gruppo dell'Italia dei Valori. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, siamo giunti alla votazione finale del disegno di legge sulle missioni all'estero; i deputati tutti dell'Italia dei Valori voteranno a favore dell'approvazione di questo disegno di legge così come abbiamo espresso un voto favorevole, questa mattina, sulla mozione unitaria presentata e approvata dall'intera coalizione dell'Unione.
Ho ricordato la mozione con riferimento a questo disegno di legge perché essa ne costituisce la cornice e offre la chiave di lettura per comprendere le posizioni politiche della coalizione di maggioranza che sono sottese al provvedimento.
È la prima volta che questa Camera ed il nuovo Parlamento deliberano su pace, su guerra e sul contrasto al terrorismo, così come sul ruolo e sulla credibilità internazionale dell'Italia. Il disegno di legge presentato dal Governo è del tutto coerente con il programma dell'Unione quale esplicitato nella mozione appena approvata e vuol dare un contributo all'interpretazione, oggi, nel mutato scenario internazionale (dopo la caduta del muro di Berlino), dell'articolo 11 della Costituzione. Tale articolo - è noto, ma credo giovi sempre ricordarlo - afferma che «l'Italia ripudia la guerra» e afferma altresì, fino a pervenire alla limitazione della sovranità nazionale, in condizioni però sempre di reciprocità, il multilateralismo ed il ruolo delle organizzazioni internazionali, in primo luogo quella delle Nazioni Unite.
La legalità internazionale definita nelle sedi di cui l'Italia fa parte - ONU, UE e NATO - e la legalità nazionale, quale definita con la nostra legislazione, devono stare in armonia. Sta in questo principio di corrispondenza tra legalità internazionale e legalità nazionale la vera continuità della scelta del Governo e della nuova maggioranza dell'Unione. Una continuità con i principi costituzionali - in primo luogo, l'articolo 11 della Costituzione - che taluno rileva essere una discontinuità e che noi dell'Italia dei Valori siamo convinti rappresentare una discontinuità necessaria a fronte di talune scelte, quelle sì discontinue, rispetto all'articolo 11, del Governo passato e della precedente maggioranza parlamentare.
È pertanto una scelta di continuità costituzionale quella di concludere la missione Antica Babilonia in Iraq nata in conseguenza di un intervento militare deciso in violazione di quella legalità internazionale che la Costituzione all'articolo 11 e l'attuale maggioranza ritengono invece essere la bussola della nostra stessa legalità nazionale sino al punto di prevedere limitazioni - contenute in quell'articolo - alla sovranità in condizione però di reciprocità. Se quelle limitazioni di sovranità non sono accettate, come talora è accaduto nell'esperienza dell'ultimo Parlamento e dell'ultimo Governo, in condizione di reciprocità finisce il multilateralismo e diamo luogo ad un'impostazione dei rapporti internazionali che noi rigorosamente rifiutiamo.
È ancora una scelta di continuità costituzionale rispetto all'articolo 11 l'affermazione ribadita dall'Unione e dal ministro degli affari esteri che in territorio afghano l'Italia non è più in alcun modo impegnata militarmente nell'ambito della missione Enduring freedom, essendo ormai il contributo italiano a questa iniziativa limitato alla presenza di unità navali nel Golfo arabico.
È una scelta di continuità costituzionale rispetto all'articolo 11 la volontà espressa dall'Unione e dal Governo diPag. 103procedere ad una valutazione sulla prospettiva di superamento della missione Enduring freedom in Afghanistan.
È ancora una scelta di continuità costituzionale rispetto all'articolo 11 il multilateralismo e l'impegno militare dell'Italia nei limiti posti nelle sedi internazionali delle quali l'Italia fa parte (ONU, UE, NATO).
Tale continuità costituzionale rispetto all'articolo 11 è, al tempo stesso, il modo legittimo - l'unico modo costituzionalmente legittimo - ma anche il modo più efficace per costruire cultura di pace e per contrastare il terrorismo dilagante, vera e propria non terza guerra mondiale ma piuttosto vera e propria guerra mondiale del terzo millennio.
Il gruppo dell'Italia dei Valori sollecita, così come nella mozione dell'Unione accoglie, una legislazione organica sulle missioni perché in futuro esse, così ricche di professionalità e di impegno dei militari e dei civili, non siano disciplinate e confinate entro aride elencazioni di autorizzazione di spesa.
È ancora una scelta di continuità costituzionale rispetto l'articolo 11 la scelta accolta dalla maggioranza e dal Governo, proposta e sollecitata anche a firma mia e di altri colleghi dell'Italia dei Valori, di superare il richiamo al codice penale militare di guerra e di richiamare invece l'applicazione del codice penale militare di pace.
È ancora una scelta di continuità costituzionale rispetto all'articolo 11 la scelta di confermare e di rafforzare interventi di cooperazione allo sviluppo da tenere distinti dai pur necessari interventi di sicurezza e di polizia internazionale.
Nel preannunciare il voto favorevole dei deputati dell'Italia dei Valori, ritengo opportuno sottolineare l'importanza della scelta del Governo in favore della pace e del rispetto della legalità internazionale in tutte le missioni all'estero. Questo impegno di pace e di legalità internazionale dell'Italia siamo certi il Governo italiano saprà confermare in ogni futura ipotesi, anche nel Medio Oriente, costruendo nelle sedi internazionali, e non con scorciatoie e fuori da esse, la vera credibilità delle Nazioni Unite, e dell'Italia in esse, e la vera credibilità dell'Unione europea, e dell'Italia in essa.
Con queste parole, nel confermare il voto favorevole dei deputati del gruppo dell'Italia dei valori, desidero esprimere sempre a nome degli stessi e a nome mio personale, il pieno apprezzamento per i militari e i civili impegnati all'estero, per tenere alta la cultura della pace e al tempo stesso la credibilità del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori e de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, il deputato Bricolo, a nome del gruppo della Lega Nord Padania. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, la proroga delle missioni di pace sino al 31 dicembre 2006 non è questa volta un passaggio di rito. Noi per cinque anni - possiamo dirlo - abbiamo votato in modo granitico tutte le proroghe delle missioni di pace, senza alcuna eccezione da parte dei parlamentari del centrodestra. Invece oggi il centrosinistra arriva in quest'aula diviso, spaccato, cercando mille compromessi per riuscire ad arrivare ad un voto unitario. Dunque, diventa importante fare alcune premesse e considerazioni sulle missioni di pace già in atto.
Continua, e continuerà ancora a lungo, il nostro impegno militare in Kosovo, questo è certo. Tutti gli analisti concordano sul fatto che l'uscita da quel teatro non è all'orizzonte. La causa in parte è nell'impasse in cui si trova la diplomazia internazionale. In Kosovo, infatti, risulta difficile prevedere se e quando si giungerà ad una soluzione politica definitiva concernente lo status giuridico finale della provincia, che non è più serba e non tornerà a Belgrado, ma la cui indipendenza in questo momento non interessa più a nessuno. Non è un caso che le cose abbiano preso questa piega. In molti temono, infatti, che un Kosovo indipendente crei uno Stato musulmano nel quadro dei Balcani, magari aperto alle infiltrazioni jihadiste,Pag. 104con il tempo capace di assumere iniziative per dare vita ad una grande Albania; scenario al quale noi della Lega Nord Padania non siamo assolutamente favorevoli, in quanto fatto - a nostro avviso - non compatibile con l'interesse del nostro paese.
Bisogna essere conseguentemente molto fermi nel creare ostacoli a questo tipo di percorso; dobbiamo impedire a tutti i costi che la grande Albania diventi un paese in quest'Europa. È giusto ricordare anche che l'UCK, che in questo momento ha il potere in Kosovo, ebbe relazioni politiche ed economiche con lo stesso odioso regime dei talebani.
Per quanto riguarda l'Afghanistan, da questo paese non possiamo scappare. Karzai lo ha detto apertamente: se si perde in Afghanistan il terrorismo tornerà ad insanguinare impunito l'Occidente. Occorre quindi chiarezza e dire che si resterà in quel paese tutto il tempo necessario a riportare un successo certo, incontrovertibile e definitivo, senza scappatoie e senza sotterfugi, se il profilo della missione diventerà più elevato, riguardo sia alla lotta ai neotalebani, sia alla lotta ai trafficanti di droga. Ebbene, il nostro paese deve accettare questa sfida e deve portarla avanti a tutti i costi, e non certo come vuole evidentemente fare il centrosinistra. Per favore - lo diciamo sempre ai colleghi del centrosinistra e soprattutto al Governo - smettetela di appellarvi all'Europa nella scelta della vostra politica estera. L'Europa difatti in politica estera non c'è mai stata e non c'è, e lo dimostra la posizione che sta tenendo sulla crisi in Medio Oriente.
Faccio alcuni esempi: di rientro da un viaggio-lampo a Beirut, l'alto rappresentante della politica estera europea, Solana, ha affermato l'assoluta necessità di arrivare ad una de-escalation della situazione in Israele e a non entrare in una dinamica di azione e reazione. Il Consiglio degli affari generali dell'Unione europea del 17 luglio scorso, a cui peraltro il ministro d'Alema non ha nemmeno preso parte, è riuscito a comporre una dichiarazione finale assolutamente originale: ha chiesto solennemente, infatti, la fine delle ostilità. Questa non è la prima volta che citiamo dichiarazioni e posizioni dell'Unione europea che colpiscono solo per l'assoluta superficialità e inadeguatezza, per la palese ipocrisia dei capi di Stato europei, che sono uniti solo nelle foto di gruppo, ma poi non hanno intenti comuni. Ma le soglie del ridicolo sono ormai state superate troppe volte: pazienza, finchè si approvavano normative europee assurde su questo o su quel genere alimentare, o su questo o su quel modulo di certificazione di un attrezzo o qualcos'altro; pazienza, finchè si perdono i mesi e i milioni in discussioni sullo «zero virgola» dei budget che gli Stati devono dare all'Europa; pazienza! Ma la stupidità di questa Europa senz'anima diventa offensiva quando essa pretende di risolvere in due frasette di circostanza la sorte di essere umani, che siano israeliani o libanesi o iracheni o anche europei stessi, che rischiano ogni giorno di morire sotto le bombe del terrorismo e del conflitto etnico-religioso.
Dov'era l'Europa quando la Danimarca è stata messa a ferro e fuoco per due vignette? Che cosa ha saputo fare l'Europa quando la Spagna e la Gran Bretagna sono state dilaniate dalle bombe islamiche? Ha mai saputo dire una parola chiara, che fosse una, contro il fondamentalismo islamico, contro una religione che, per sua stessa definizione, non può contenere né Islam moderato né interlocutori che vogliano dialogare con l'Occidente? No, l'Europa ha sempre sostenuto acriticamente il mondo arabo pur di ritagliarsi una posizione definita solo in quanto antitesi rispetto agli Stati Uniti. Ha finanziato esponenti palestinesi di comprovata disonestà, ha pagato la propaganda antioccidentale, perfino nei libri di testo delle scuole e non ha mai voluto spendersi per una politica di controllo dell'immigrazione che ci proteggesse, almeno dalla violenza, se non dal declino culturale e identitario. Prendiamo atto del fatto che le Cancellerie europee si giocano interessi nazionali e non interessi comuni, che i grandi paesi europei hanno una loro tradizione di rapporti di interessi internazionali ed hanno una storia ed una eredità che ne segnano le scelte e che le posizioniPag. 105di Parigi e di Berlino, espresse a Bruxelles, sono soltanto abili giochi politici ad uso della propria politica interna, ben consapevoli - come sono - che qualunque cosa sia espressa e portata avanti in sede europea danno non farà, perché concretamente non produrrà alcunché.
Anche per il nostro paese la politica estera, nel vuoto comunitario, potrebbe almeno essere strumento di promozione e valorizzazione del nostro prestigio nazionale, della nostra immagine economica, politica e, addirittura, morale. Se la politica estera europea non è mai nata - e certo non nascerà a breve - che almeno ci sia una politica estera di questo paese che faccia dell'Italia un attore della scena e non l'ultimo degli ospiti. L'ossessione comunitaria di Prodi sta facendo in modo che alla chimera di una Europa che giace nei suoi sogni sia sacrificata ogni ambizione di prestigio dell'Italia; il nostro Presidente del Consiglio rincorre le Cancellerie europee che contano per rassicurarle che l'Italia non creerà problemi, anzi seguirà ogni proposta multilaterale dove non occorre, peraltro, assumere responsabilità di scelte difficili, non si opporrà alla richiesta di un seggio tedesco al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e rispetterà il patto di stabilità, come il primo della classe che fa un compito, a costo di «strozzare» il paese con le tasse. È persino un peccato che tanta paziente tessitura rischi di essere mandata in frantumi dalla vostra variopinta maggioranza, che in uno o nell'altro dei suoi esponenti riesce sempre a trovare qualcosa contro cui alzare barricate. Per fortuna, sono barricate di carta, facilmente annullabili al momento opportuno, di fronte al supremo bene della tenuta del vostro Governo e del suo tentacolare organigramma di ministri, viceministri, sottosegretari di Stato e ruffiani vari. State insieme solo per mantenere i vostri posti di potere: questo dobbiamo dirlo ai cittadini che ci stanno ascoltando in questo momento. Queste barricate sono sempre fastidiose e obbligano, oggi, ad annunciare alcune cose per contraddirle domani. Per salvare capre e cavoli, siete costretti a clamorose svolte che, di fatto, penalizzano l'immagine del nostro paese.
Ma c'è un «ma». I giornali italiani non li leggiamo soltanto noi e le televisioni occidentali sono seguite, con ben altri occhi, nel mondo islamico. Il concetto di ritiro dall'Iraq espresso da questo Governo è stato letto come una fuga, come un cedimento, come vigliaccheria da tutti i siti islamici e integralisti. Stiamo permettendo loro di pensare che hanno vinto, stiamo alimentando l'orgoglio del fanatismo, stiamo offrendo sostegno alla propaganda terrorista, che citerà anche l'Italia quando farà il lavaggio del cervello ad un nuovo kamikaze, e stiamo mettendo ulteriormente a repentaglio la sorte degli eserciti che hanno deciso di restare. Mi sembra un prezzo troppo alto da pagare per salvare i due o tre voti dei Verdi, di Rifondazione Comunista o dei Comunisti Italiani che vi sono indispensabili per non cadere clamorosamente al Senato.
Ci tenevo, signor Presidente, a concludere il mio intervento con un pensiero che non è politico ma che ha, prima di tutto, una dimensione umana. Mi rendo conto che, dopo avere visto segretari di partito che partecipano ai funerali di Stato dei nostri militari ridendo e scherzando, qualunque considerazione sull'operato dei nostri militari da parte di questa Assemblea possa sembrare loro più un insulto che un sostegno (Applausi dei deputati dei gruppi, della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
Ognuno dei nostri soldati che parte in missione fa una scelta, ognuno ha un motivo diverso e delle aspettative, ma tutti indossano una divisa e sentono di rappresentare il paese.
Chi progetta, scrive e vota provvedimenti di questo tipo non sempre ha ben chiara davanti agli occhi la situazione dei ragazzi che, in ogni parte del mondo, sono impegnati in queste missioni di pace, che vedono tragedie che noi non vediamo e che lavorano per i nostri interessi. Sanno di correre rischi e noi - lo dico molto chiaramente - non permetteremo più che qualcuno di voi dica che i nostri soldatiPag. 106stavano lì per errore, per una missione che non era importante, che non era necessaria.
Che nessuno si permetta ancora di affermare che siamo noi i cattivi; che nessuno giustifichi e difenda chi fa saltare sulle bombe i nostri militari. Noi non ve lo permetteremo più (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Casini, a nome del gruppo dell'UDC. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, vorrei iniziare questo intervento a nome del mio gruppo esprimendo un pensiero deferente, che si indirizza ai nostri militari e, in particolare, ai caduti e alle loro famiglie. Vorrei dire loro una cosa molto semplice, ma importante: il loro sacrificio non è stato vano, il loro sacrificio è motivo di orgoglio per tutta la nazione.
Signor Presidente della Camera, ministro della difesa, rappresentanti del Governo, in ogni vicenda della vita ci sono grandi e piccoli uomini e in ogni area del mondo ci sono grandi paesi e piccoli paesi e non credo che i termini «grandi» e «piccoli» abbiano attinenza solo con la geografia (a volte non ce l'hanno affatto).
È un grande paese quello che coltiva la consapevolezza della continuità delle sue istituzioni. Gli uomini passano, ma le istituzioni rimangono; ciò vale per la Presidenza della Camera, ciò vale per la direzione del Governo di un grande paese come il nostro.
Un grande paese sono gli Stati Uniti, dove Hillary Clinton, in pieno dissenso con Bush forse anche sulla guerra in Iraq, sa esprimere al Presidente americano la condivisione di un sentimento e non lo lascia solo. Un piccolo paese - geograficamente si tratta di un grande paese, ma non si è dimostrato tale -, un paese che amo, è la Spagna che prima, con il suo Primo ministro Aznar si reca alle Azzorre con Blair e Bush, mentre dopo qualche mese, con Zapatero, abbandona precipitosamente l'Iraq.
Piccole scelte che pongono in uno stato di disorientamento anche l'opinione pubblica che, al di là delle nostre piccole o grandi beghe politiche e partitiche, ha davanti l'immagine del proprio paese; e quando il tricolore si alza, non penso che ci possano essere distinzioni di parte.
Ebbene, esprimeremo un voto favorevole sul disegno di legge in esame e lo facciamo con spirito di continuità con la politica estera. Questo è un valore, come lo è il multilateralismo simboleggiato nell'ONU, la scelta atlantica dell'Italia e la nostra scelta europea. E l'Europa - onorevole Diliberto - è in Afghanistan, non è fuori dall'Afghanistan! L'Europa, anche quell'Europa «zapateriana» che voi citate, non ha nostalgia dei talebani, è in Afghanistan a combattere i talebani (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Valorizzare la discontinuità in nome di un pacifismo velleitario può essere funzionale a consolidare la maggioranza, ma è deleterio per l'Italia e le istituzioni.
Noi votiamo a favore del disegno di legge in esame, e lo facciamo anche se vi sono parti più convincenti e parti che lo sono meno. Votiamo a favore del presente provvedimento perché non intendiamo abbandonare i militari che abbiamo mandato in Afghanistan, e non vorrei deludere una parte dell'attuale maggioranza nel ricordare che fu proprio il precedente ministro della difesa, onorevole Martino, ad anticipare il ritiro dei nostri militari dall'Iraq.
Dunque, mi dispiace, ma c'è un principio di continuità al di là e al di sopra delle chiacchiere che ritroviamo in questo disegno di legge!
In questa Assemblea sono stati ascoltati discorsi inaccettabili, ma la nostra solidarietà va - come ha detto questa mattina l'onorevole Giovanardi - agli uomini ed alle donne che, in Iraq e in Afghanistan,Pag. 107hanno fatto la coda per votare. Non credo che l'Italia sia stata estranea a tale scelta di libertà e di democrazia: l'Italia l'ha favorita, e noi siamo orgogliosi di averlo fatto, pur con tutte le drammatiche difficoltà che quei paesi vivono (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania)!
Quando noi abbiamo votato a favore dell'intervento in Kosovo, onorevole D'Alema, non ci siamo chiesti se ci conveniva o meno, poiché non ne abbiamo fatto una questione di opportunismo politico. Noi oggi non votiamo a favore del presente disegno di legge per compiacere, favorire o sfavorire il Presidente del Consiglio: queste valutazioni ci sono estranee! Noi, invece, voteremo a favore di questo provvedimento nello spirito di continuità con la politica estera dell'Italia.
Non c'è stata una «legislatura d'ombra»; non ci sono state «le tenebre» in questi cinque anni: ci sono state decisioni anche discutibili, ma compiute tutte in nome della scelta atlantica ed europea del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Nutriamo preoccupazione per il futuro. Ci domandiamo, infatti, se un Governo che ha manifestato, in quest'aula, una preoccupante disomogeneità a proposito delle coordinate della politica estera possa essere all'altezza del mondo terribile in cui viviamo. Qualcuno, infatti, ha parlato con disinvoltura della nostra partecipazione alla formazione di un contingente delle Nazioni Unite in Medio Oriente.
Ma io chiedo alla parte di questa maggioranza che ha dimostrato tutti questi «mal di pancia» e tutte queste perplessità: vi rendete conto di cosa ciò significherà in futuro? In questa legislatura, infatti, siamo partiti dall'Iraq per rimettere in discussione la nostra presenza in Afghanistan. L'attuale legislatura si è aperta con una parte della maggioranza che chiedeva il disimpegno dall'Iraq e che, una volta ottenutolo, ha riversato i suoi «mal di pancia» su una scelta, come la presenza in Afghanistan, sulla quale l'intera Unione europea si trova in sintonia. Vorrei peraltro ricordare ai «zapateristi» nuovi e vecchi che la Spagna, dopo il suo ritiro dall'Iraq, ha rafforzato il proprio contingente in Afghanistan.
Allora, cari colleghi, ribadisco che noi voteremo a favore del provvedimento in esame proprio con questo spirito di continuità. La pace non è l'obiettivo di una sola parte di quest'aula: vogliamo solamente ricordarvi che non esiste pace vera senza libertà. Sulla pace, possiamo avere ricette diverse sul modo per raggiungerla, ma la vogliamo tutti.
La vogliamo in spirito di continuità non solo con la nostra Costituzione, ma anche con le grandi scelte che sono state sempre compiute, in Europa e nel mondo, dal nostro paese. Comprendo il disagio della parte estrema della maggioranza, nonché il suo fastidio.
Il fastidio si manifesta in mille modi: con le battute, con le frasi, con le prese in giro, con il disinteresse degli uomini di Governo e con i sorrisi che, in realtà, dovrebbero lasciare il posto alla sobrietà, perché stiamo parlando di questioni che riguardano la vita e la morte di migliaia di persone, ed anche dei nostri militari (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Io capisco tutto, perché capisco la politica, e il ragionamento che qualcuno di voi fa mi è chiaro: più diviso è un paese su questo tema, più, per alcuni di voi, è forte la maggioranza. Ma questa è una logica tutta partitica, che spinge qualcuno, ma che non fa onore al nostro paese.
È chiaro che la mancata autosufficienza al Senato della vostra maggioranza aprirebbe problemi politici enormi, come hanno ricordato i ministri degli esteri e della difesa e come ha autorevolmente detto il Presidente della Repubblica. Vorrei concludere dicendo che questo non ci interessa; il tema non è questo. È un problema vostro. Noi, oggi, non votiamo per il Governo: votiamo per l'Italia e perPag. 108gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Democrazia Cristiana-Partito socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giordano, a nome del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, dopo anni di mobilitazione democratica e pacifista, l'Italia ritira le proprie truppe dall'Iraq. Questo avevamo promesso al paese, questo avevamo scritto nel nostro programma e questo è ciò che il Governo dell'Unione concretamente dispone. Non resterà nessun nostro militare in quella terra martoriata dalla guerra e dal terrorismo. Mi creda, presidente Casini, ne siamo ben lieti. Dico sinceramente, da un punto di vista democratico, che, finalmente, quella di oggi, la sua, è un'autocritica sulla politica estera del Governo precedente.
Sa qual è la differenza tra noi e voi? Voi, ogni mese, annunciavate il ritiro delle truppe dall'Iraq. Questo Governo, oggi, viene in aula e lo fa concretamente con un disegno di legge (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo).
Si pone fine - questa è una vera discontinuità - alla subalternità del nostro paese ad una guerra dolorosa e crudele. Ci differenzia anche il nostro giudizio su quella guerra. Come tutte le guerre è crudele, ma è anche una guerra che ha fallito tutti gli obiettivi per i quali era stata proclamata. Si sono alimentati i bacini dell'odio in cui, in modo perverso, sono cresciuti il fondamentalismo e il terrorismo. È diventata sempre più vicina la precipitazione nel baratro del conflitto tra civiltà. La politica è stata annichilita dal fragore delle armi e da una semina di morte e di distruzione che ha desertificato la partecipazione dei popoli e la costruzione della democrazia.
Tutta la regione mediorientale è stata destabilizzata. Questo è il fallimento della politica americana e della strategia della guerra permanente di Bush. Ha avuto ragione ieri, il ministro D'Alema, ad affermare esattamente tutto ciò.
C'è una crisi come non accadeva dal 1990 tra Israele e Palestina. Il Libano è sull'orlo di una guerra civile ed è stato invaso da Israele. Siria ed Iran sono al massimo della tensione nelle relazioni della regione con il mondo. La Palestina è allo stremo.
Stiamo pagando un prezzo altissimo per le scelte del Governo Bush. Ora, bisogna fermare il conflitto, far cessare il fuoco, riaprire la via negoziale, fermare l'offensiva israeliana, rilasciare, per questa via, prigionieri ed ostaggi. L'interposizione dell'ONU deve essere finalizzata alla sola protezione dei civili e dei confini, peacekeeping ai confini tra il Libano ed Israele, a Gaza e in Cisgiordania. Tutti devono essere coinvolti alla costruzione del negoziato. Basta con gesti ed azioni unilaterali.
Il movimento per la pace si è opposto, dentro l'onda lunga del movimento contro la globalizzazione neoliberista, a questa drammatica escalation di distruzione e di arretramento politico e culturale e ci ha proposto la vera alternativa al precipizio della guerra di civiltà. La nostra internità a questo movimento e il contemporaneo riconoscimento della sua autonomia e della forza della sua cultura politica ci fanno dire che niente può giustificare una guerra, poco importa se fatta unilateralmente o in forma multilaterale. È questo per noi il valore straordinario dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
Questo Governo ha ereditato un paese già coinvolto in diversi scenari di guerra. Noi ci stiamo battendo per avviare processi di pace.
Non abbiamo condiviso e non condividiamo la guerra in Afghanistan: lo ha ribadito limpidamente in questa sede il ministro degli affari esteri D'Alema e lo vogliamo ringraziare. La nostra opzione politica resta quella del ritiro delle truppe.Pag. 109Oggi, sappiamo che questa opzione è prevalente nella società italiana e non solo nel movimento pacifista.
Ma nell'Unione vi sono opinioni diverse, contrastanti. Per questo motivo, abbiamo lavorato limpidamente al raggiungimento di una mediazione che rifiutasse il prevalere di una logica di maggioranza all'interno dell'alleanza di Governo o la semplice riproposizione della logica bipartisan anche in materia di politica estera.
Proprio sulla politica estera vogliamo dare il segno del rinnovamento e della discontinuità, un rinnovamento che ci è richiesto dalla società italiana. È una mediazione dalla quale far ripartire l'iniziativa del movimento della pace. Questa nostra mediazione ha impedito lo scambio, che pure è stato proposto all'Italia dagli Stati Uniti d'America e dalla NATO, dopo l'uscita dall'Iraq, di dislocare più mezzi e uomini in Afghanistan. In fondo, aveva fatto così anche Zapatero, il cui ritiro dall'Iraq è stato unanimemente apprezzato nel mondo pacifista.
I nostri militari non sposteranno la loro area di intervento al sud, dove il conflitto si fa sempre più aspro e pericoloso, non muteranno la regole di ingaggio e sarà adottato il codice penale militare di pace al posto di quello di guerra.
Per la prima volta, compare uno stanziamento per il Darfur, paese in cui è in corso una tragedia umanitaria e che non riesce ad avere una centralità nella comunità internazionale solo perché lì non si concentrano gli interessi geopolitici statunitensi.
Con la mozione, che è parte integrante di questo accordo di maggioranza, abbiamo provato a tracciare le linee programmatiche delle nostre missioni, in particolare quelle in Afghanistan, con la costituzione di un comitato parlamentare di monitoraggio al quale associare organizzazioni non governative e pacifiste in grado di stimare l'evoluzione concreta della situazione afgana, valutando l'ipotesi di un superamento di Enduring freedom e la possibilità di ridiscutere nelle sedi internazionali la nostra presenza in quel territorio. Si profila, così, l'avvio di un'altra politica estera del paese, diversa e alternativa a quella del Governo precedente. Bisogna continuare su questa strada, e andare oltre.
In questi giorni, abbiamo interloquito nel pieno rispetto delle autonomie con il variegato arcipelago pacifista. Ma è anche il Governo, in tutte le sue articolazioni, che deve sentire questa interlocuzione come la bussola della propria iniziativa, come il riferimento costante di una nuova grammatica di relazione tra i popoli e gli Stati.
Come potrebbe, d'altronde, il nostro paese non usare questo vocabolario di pace, immerso così com'è nel mare Mediterraneo, crocevia di ricche relazioni con i paesi che si affacciano sull'altra sponda? Sono la stessa posizione geografica, la nostra storia, la nostra identità culturale, che i Governi delle destre hanno cercato di stravolgere e snaturare, che ci hanno fatto contrastare ogni dissennata pretesa di primazia della civiltà occidentale, preludio culturale dello scontro di civiltà.
Colleghi delle destre, in questi anni avete sistematicamente (e ne abbiano avuto echi anche or ora in quest'aula) costruito la paura del nemico esterno - l'Islam, i migranti e tutto quello che vi appariva diverso - per costruire un'identità regressiva e conservatrice sul piano culturale e sul piano politico e una totale subalternità agli interessi americani.
Noi investiamo sulla pace per costruire una società solidale e alternativa sul piano culturale e rivendicare l'autonomia e la dignità del nostro paese. Noi speriamo e lavoriamo affinché l'agenda politica di questo paese sia cambiata radicalmente, e sia cambiata dalle iniziative di pace. Chiediamo a questa agenda politica che al primo posto ci sia scritta proprio quella parola: la parola pace (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ronchi, a nome del gruppo di Alleanza Nazionale. Ne ha facoltà.
Pag. 110
ANDREA RONCHI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, il gruppo di Alleanza Nazionale voterà a favore del rifinanziamento delle nostre missioni all'estero, in profonda coerenza con i principi che hanno guidato la politica estera del nostro Governo di centrodestra.
Il ministro degli esteri D'Alema ha sempre auspicato che l'Italia diventasse un paese normale, nel senso che avesse tra l'altro una vita politica e istituzionale normale, come quella delle grandi democrazie occidentali. Per quanto possiamo dargli atto di questi suoi tentativi, oggi stiamo assistendo, proprio sul campo, onorevole ministro D'Alema, della politica estera, alla assoluta anormalità della nostra Italia, con un Governo sempre più ostaggio e condizionato da una sinistra massimalista pacifista e radicale, nel senso deteriore del termine, che certamente sta portando anche in queste ore la nostra Italia in una condizione di difficoltà e di marginalità nello scacchiere internazionale.
Il voto sulle missioni all'estero delle nostre Forze armate è stato preceduto da un dibattito aspro con toni particolarmente accesi, non tanto tra maggioranza ed opposizione, come sarebbe giusto che fosse, ma proprio all'interno della vostra, della sua maggioranza. Basta ascoltare. Abbiamo sentito poco fa gli interventi dell'onorevole Diliberto e dell'onorevole Crema, totalmente in antitesi, l'uno profondamente diverso dall'altro: bella maggioranza!
Nel tentativo di eliminare questa anomalia, i partiti della maggioranza di centrosinistra hanno chiesto aiuto all'ONU. Kofi Annan e il rappresentante delle Nazioni Unite a Kabul, il tedesco Koenigs, sono venuti a Roma per sostenere la bontà della scelta fatta - pensa un po'! - dal governo Berlusconi, e cioè che in Afghanistan, onorevole Giordano, siamo per una missione di pace, sì per una missione di pace, e non possiamo sottrarci alle nostre precise responsabilità, bensì dobbiamo rispondere positivamente alle richieste della NATO, che opera sul terreno per conto delle Nazioni Unite, che chiede proprio un rafforzamento del nostro apporto militare.
Abbiamo così assistito alle contestazioni di Annan e di Koenigs da parte di coloro che la bandiera delle Nazioni Unite hanno sempre sventolato, invocandola come insostituibile, per qualsiasi operazione militare internazionale di pace o di lotta al terrorismo. Nel caso dell'Afghanistan ora questo - pensate - non vale più, e da certa sinistra è stato ripreso il tema secondo il quale la legittimazione internazionale dell'ONU, negli interventi di cui stiamo parlando, è necessaria, ma, guarda un po', non più insostituibile. Alla prova dei fatti - ricordiamoci drammaticamente del Rwanda e di Srebrenica - le Nazioni Unite, purtroppo, hanno spesso fallito e, dal punto di vista operativo, sono state costrette a ricorrere, come nel caso dell'Iraq, ad una forza multinazionale, che è stata ripetutamente avallata dal Consiglio di sicurezza e, nel caso dell'Afghanistan, formalmente gestita dall'ONU.
Abbiamo assistito, e stiamo assistendo, ad un indecoroso e ridicolo dibattito su come ridurre l'impegno, su come camuffarlo, su come evadere le richieste della NATO. Pensate, siamo arrivati al punto di decidere di non mandare gli elicotteri Predator, che chiamandosi così non sono conciliabili con una missione di pace: ministro D'Alema, è una politica estera seria? È una politica estera credibile? Noi crediamo che questa non sia una seria politica estera credibile di un grande Stato, di una grande Italia!
Sono le stesse dichiarazioni del ministro degli esteri, che denuncia un ritiro dall'Afghanistan come unilateralismo suicida, che danno la misura delle vostre profonde contraddizioni; e nonostante le acrobazie volte a salvare un Governo dal naufragio parlamentare, specialmente al Senato, le vostre contraddizioni ci sono, restano solide e non sono superabili, non foss'altro perché sulla sinistra esiste una componente tardo-ideologica che, legittimamente certo, ha una visione del mondo non diversa, ma che noi definiamo antitetica, non soltanto alla nostra, ma anchePag. 111a certi partiti centristi proprio della sua maggioranza di centrosinistra dell'Unione.
Per aggirare e coprire queste vistose e profonde contraddizioni, avete coniato addirittura due neologismi politici: discontinuità ed equivicinanza.
Che cosa significa? A sentire voi, una rottura con l'operato proprio del Governo Berlusconi. E per quanto riguarda l'equivicinanza, invocata per la situazione in Medio Oriente? Vi dovreste vergognare, perché voi vorreste un'Italia equamente vicina ad Israele ed ai terroristi di Hamas; ma questo noi non ve lo permetteremo mai, perché noi saremo sempre e comunque, senza «se» e senza «ma», contro ogni forma di terrorismo!
Cosa è avvenuto? Cosa sta avvenendo? Nel caso dell'Afghanistan, il Governo è stato costretto, nella realtà e non nelle formulazioni bizantine di documenti dettati e formulati in nome di un compromesso, a rivendicare la continuità della politica proprio del Governo Berlusconi, in perfetta sintonia con i rappresentanti delle Nazioni Unite: questa è la sostanza della scelta! Mi dispiace per l'onorevole Giordano e per l'onorevole Diliberto, ma questa è la realtà dei fatti di oggi! I riferimenti alla discontinuità, ai limiti della missione, e i capziosi correttivi dialettici sono stati escogitati per salvare la faccia di chi, alla fine, obbedisce e sta obbedendo alla logica del potere e non a quella delle idee e dei propri convincimenti. In queste ore, però, gli italiani si stanno rendendo conto delle vostre grandi contraddizioni, delle vostre contrapposizioni e delle assurdità che caratterizzano, ora dopo ora, la maggioranza di centrosinistra e l'Unione. Cosa vuol dire, altrimenti, la discontinuità?
Vede, ministro D'Alema, nel nostro paese, la politica estera obbedisce, da oltre cinquant'anni, ad alcuni punti fermi sui quali non ci può, non ci deve e non ci dovrà mai essere discontinuità: l'Alleanza atlantica, l'Europa, la democrazia come grande valore di civiltà, il rapporto con gli Stati Uniti e, più recentemente, la lotta al terrorismo. Quali sono i vostri? Vede, onorevole Giordano, le vorrei ricordare che noi non siamo subalterni a nessuno, ma siamo fieramente contro il terrorismo. E noi combatteremo, politicamente, culturalmente e moralmente, il terrorismo! Aspettiamo da voi i fatti veri, per sapere cosa fate e cosa farete per combattere, in Europa, il terrorismo!
Il nuovo Governo intende operare una soluzione di discontinuità su questi punti? A sentire quanto sostengono certi esponenti del vostro Governo, la risposta è «sì»: la NATO non avrebbe più ragione di esistere! Abbiamo ascoltato, in queste ore, che gli Stati Uniti sono sempre e comunque una potenza imperialista.
Allora, è lecito chiedersi: come può definirsi e come può essere credibile una politica estera così fragile e così contraddittoria? È lecito anche chiedersi come si possano lanciare appelli affinché l'opposizione possa muoversi in maniera responsabile, tenendo presenti gli interessi superiori della nazione italiana, quando poi voi siete così frastagliati e contraddittori.
Discontinuità ed equivicinanza, signor ministro, non reggono proprio alla prova dei fatti e delle realtà! Il tentativo di porre sullo stesso piano l'unica, vera, credibile democrazia del Medio Oriente, Israele, con gruppi terroristici come Hamas, che vogliono proprio la distruzione dello Stato di Israele, è politicamente sbagliato e moralmente inaccettabile, perché Hamas non è Abu Mazen, al quale proprio l'ex ministro degli esteri, onorevole Fini, portò il sostegno dell'Italia e dell'Europa per la creazione di uno Stato palestinese capace di vivere in pace con quello ebraico.
Come per l'Afghanistan, ma, forse, ancor più per il Libano e Gaza, abbiamo assistito al solito scontro tra le tante vostre anime, con partiti orientati a comprendere le ragioni di Israele ed altri, invece, che parteggiano per Hamas.
Il presidente Fini ha ampiamente illustrato le ragioni di questa crisi e perché la democrazia israeliana debba essere garantita nella pace, nella tranquillità e nella sicurezza. Quel che intendiamo ribadire adesso è che, pur nelle diverse situazioni dei problemi, c'è un grande filo conduttore che va dal Golfo al Mediterraneo: è quelloPag. 112della lotta al terrorismo, contro ogni forma di terrorismo. A questo proposito, vorrei ricordarvi che proprio l'amministrazione Clinton, a voi così cara, approvò ed applicò l'intervento umanitario per giustificare guerre spesso preventive.
Alleanza Nazionale ritiene che la lotta al terrorismo in tutte le sue manifestazioni, resti una priorità che non può e non deve consentire discontinuità. Ed è questo il caso dell'Afghanistan. I nostri soldati si trovano in quel paese nel quadro di un impegno militare internazionale che, iniziatosi con l'obiettivo di privare del santuario talebano Al Qaeda, prosegue adesso per dare senso e prospettiva a questa missione, per portare pace, libertà, sviluppo e democrazia.
Nel caso dell'Iraq, infine, abbiamo un altro esempio di quanto la vostra discontinuità non abbia senso e sia pericolosa. L'attuale Governo ha dovuto soltanto prendere atto di quanto aveva deciso quello precedente - il ritiro dei nostri soldati entro quest'anno -, e ha cercato di presentare come discontinuità la fissazione di un calendario già imposto...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
ANDREA RONCHI. ...da necessità operative e logistiche, criticando una missione di cui in questo momento e in questo contesto rivendichiamo la giustezza e che ha come protagonisti i nostri soldati, i soldati italiani, portatori e costruttori di pace, quella vera (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Berlusconi, a nome del gruppo di Forza Italia. Ne ha facoltà.
SILVIO BERLUSCONI. Signor Presidente, signori del Governo, signori deputati, purtroppo la drammatica realtà di queste ore è di nuovo la guerra in Medio Oriente. Israele esercita il suo diritto a difendersi attaccando le infrastrutture del terrore, che hanno portato morte e distruzione nella sua terra, nelle sue città, e che minacciano la sua stessa esistenza. La reazione di Israele è direttamente proporzionale alla provocazione che preme ai suoi confini con il metodo odioso della presa di ostaggi e del lancio di razzi sulle abitazioni civili. «Immaginatevi se piovessero missili dall'Italia o dalla Svizzera sulla terza città più importante della Francia» - ha detto il senatore democratico di New York Chuck Schumer, in polemica con quegli europei che parlano di un uso sproporzionato della forza da parte di Israele. Anche il ministro degli esteri italiano, in quest'aula, ieri, ha riconosciuto che l'iniziativa armata è partita dai radicali islamisti di Hezbollah e di Hamas, incoraggiati e protetti e finanziati e armati dai regimi di Damasco e Teheran.
L'onorevole D'Alema, nonostante il suo curioso senso delle proporzioni, sa bene che ogni causa ha il suo effetto e che la guerra di Israele al terrorismo islamista ha una ferrea base di legittimità, impossibile da disconoscere. Dietro i razzi di Hamas e degli Hezbollah c'è il regime cugino di Saddam Hussein a Damasco ed uno Stato come quello iraniano, il cui capo nega le camere a gas di Auschwitz, predica la distruzione dello Stato di Israele, lavora per la sua cancellazione dalla carta geografica e si sottrae nel contempo al dovere di osservare il trattato di non proliferazione nucleare, raggirando da anni le diplomazie di tutto il mondo.
Una politica estera e di sicurezza seria misura su questi dati il suo senso delle proporzioni. Da qui si parte per esercitare le arti della diplomazia e della mediazione, che fanno parte di una visione realistica della politica, non si parte dalla negazione della realtà o dalla sua edulcorazione. Abbiamo sentito di molte telefonate partite da Palazzo Chigi in questi giorni verso il Medio Oriente, ma non abbiamo ascoltato una parola chiara di severità contro gli aggressori e di sincera solidarietà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e deiPag. 113Democristiani di Centro) e della Lega Nord Padania) nei confronti del paese, nei confronti di Israele, nuovamente aggredito dal partito del terrore che si maschera dietro le insegne del partito di Dio.
Ma, come ha detto al Knesset il premier israeliano Ehud Olmert, nella vita di una nazione vi sono momenti di purificazione, in cui le dispute politiche e partigiane, che ci separano, vanno sostituite da un senso di responsabilità comune. E questo vale, deve valere anche per noi, dal momento che il voto sulla missione in Afghanistan dovrà essere la prova che la posizione dell'Italia nel mondo, la sua lealtà verso i propri compiti di grande paese occidentale, la sua capacità di stare in campo per una pace duratura nella battaglia contro il terrorismo e contro l'offensiva fondamentalista non sono cose che cambiano ad ogni evento elettorale, ma radici profonde del nostro modo di essere e di agire nella comunità internazionale.
Voteremo, quindi, compatti, dal primo all'ultimo deputato e senatore dell'opposizione, a favore del rifinanziamento della nostra missione a Kabul. Chi ha restituito agli afghani il diritto di vivere liberi dall'oppressione dei fanatici, chi ha smantellato le basi di Bin Laden e i suoi campi di addestramento, chi ha portato quel popolo consegnato da secoli al dominio dei signori della guerra ad eleggere democraticamente un proprio Parlamento ha il diritto di avere tutto l'appoggio che un paese come l'Italia può dare all'interno delle sue alleanze internazionali.
Nei cinque anni in cui ho presieduto il Governo ho sempre sollecitato, purtroppo invano, la formazione di maggioranze, le più larghe possibili, per sostenere le missioni militari di pace in cui ci siamo impegnati. Quando eravamo all'opposizione, ai tempi della guerra contro il nazional-comunismo serbo, che aggrediva le popolazioni albanesi e musulmane del Kosovo, ci comportammo alla stessa maniera.
Il senso del nostro voto non è dunque quello di una tattica parlamentare, o peggio di una «gherminella» per scompaginare una maggioranza - di suo diciamo piuttosto fragile - sui temi decisivi della politica estera e delle alleanze dell'Italia. Il senso del nostro voto incondizionato e libero è un'altro: crediamo che l'Italia non possa permettersi di tornare alla pratica del rovesciamento di fronte e del tradimento delle intese stipulate con il beneplacito e l'incoraggiamento delle Nazioni Unite e della NATO (Applausi dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
Siamo convinti, siamo assolutamente sicuri che in questo Parlamento ci sarà sempre una maggioranza atlantica, occidentale, capace di far fronte alla guerra contro il terrorismo e capace di operare per l'ampliamento della democrazia nei paesi arabo-islamici che è poi la premessa, l'unica effettiva premessa, di una vera pace.
Noi siamo oggi l'opposizione costituzionale, votiamo di regola contro le scelte della maggioranza che abbiamo il mandato di controllare e di contrastare, proponendo soluzioni alternative che scaturiscono dal nostro programma e dalla fiducia che metà degli italiani ci hanno espresso con il proprio voto.
Sulle questioni che riguardano l'identità del paese, i suoi principi, votiamo in coerenza con le nostre idee, sicuri del fatto che anche questo fa parte del mandato ricevuto dagli elettori.
La maggioranza di regola dovrebbe essere politicamente autosufficiente in entrambe le Camere ed in particolare nell'ambito decisivo della politica estera e di sicurezza; se questo non fosse sarà vostra responsabilità, signori del Governo, indicare una strada seria per uscire dalla crisi. Un paese privo di una maggioranza stabile in politica estera sarebbe uno strano animale mitologico, un ircocervo senza capo né coda che la comunità internazionale guarderebbe con un misto di compassione e di ilarità. Un paese ridicolo che non possiamo permetterci (Applausi dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani ePag. 114dei Democratici di Centro), della Lega Nord Padania, della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del deputato La Malfa - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fassino, a nome del gruppo de L'Ulivo. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi deputati, il nostro dibattito si svolge mentre immagini di guerra entrano nelle nostre case e ci testimoniano la sofferenza e il dolore che la popolazione civile israeliana, palestinese e libanese anche questa volta paga sulla propria pelle.
Anche in questa sede uniamo la nostra voce a quella del Governo italiano e a quella dell'intera comunità mondiale nel sollecitare le parti ad una tregua che arresti l'escalation bellica e consenta un'azione internazionale di mediazione per la liberazione dei soldati israeliani rapiti e la sospensione di tutte le attività militari, sia le incursioni degli Hezbollah e di Hamas contro Israele sia le operazioni dell'esercito israeliano a Gaza e in Libano.
Naturalmente, non può e non deve essere negato ad Israele il diritto a difendersi contro chi ne insidia e ne minaccia l'esistenza e la sicurezza. E di fronte ai ripetuti attacchi di Hezbollah e di altri gruppi islamici la nostra solidarietà ad Israele ed al suo popolo è piena.
Chi, in questi giorni, guarda con inquietudine alla durezza della risposta israeliana a quegli attacchi e richiama un criterio di proporzionalità nell'uso della forza, non lo fa per un pregiudizio antiebraico o per sottovalutazione dei rischi a cui Israele è esposta. Preoccupano le conseguenze che, prima di tutto, sulla sicurezza di Israele possano ricadere ed il rischio che, ancora di più, si pregiudichino i residui spiragli di un percorso negoziale di pace e si riducano gli spazi di azione politica per Abu Mazen e quei settori della dirigenza palestinese che vogliono la pace con Israele. Insomma, l'impegno del Governo e della maggioranza è volto a favorire ogni atto che possa spezzare la spirale dell'odio e riaprire il dialogo, il confronto, il negoziato.
Per questo ci auguriamo che la disponibilità manifestata dal Segretario generale delle Nazioni Unite ad inviare una forza multilaterale di interposizione dell'ONU sia accolta dalle parti come la condizione per interrompere la spirale di atti terroristici e di azioni militari, a favore della ricerca dell'unica soluzione di pace possibile, quella fondata sul riconoscimento reciproco, sul consenso e sulla parola.
Proprio guardando al Medio Oriente, possiamo constatare la coerenza del disegno di legge che il Parlamento sta esaminando. Esso muove da una consapevolezza: il mondo ha bisogno di pace, perché solo nella pace potranno essere perseguite le soluzioni alla povertà, all'ingiustizia, alle ineguaglianze e alle tanti contraddizioni che affliggono, ancora, tanta parte del pianeta. Ma la pace ha bisogno di stabilità e di sicurezza, tanto più di fronte ad un terrorismo che, dall'11 settembre 2001 ad oggi, ha funestato il mondo intero mettendo a rischio la vita di milioni di uomini e la stessa convivenza civile.
Non solo, ma proprio perché viviamo in un mondo globale e interdipendente non esistono più quelle che, una volta, chiamavamo «guerre locali», perché ogni conflitto, ovunque avvenga, incide sulla vita del pianeta e ci riguarda tutti. Dunque, sconfiggere il terrorismo, fermare le guerre, prosciugare le paludi dell'odio, far prevalere le ragioni della parola sulla violenza delle armi è responsabilità di ogni paese.
Ma ciò significa mettere in campo strategie e mezzi adeguati, significa abbandonare definitivamente la strada dell'unilateralismo, cioè l'illusione che una nazione, da sola, sia in grado di garantire la sicurezza del pianeta. Non è così! Nessun paese, neanche il più potente del mondo da solo può riuscire ad assicurare pace, sicurezza e stabilità. Questi obiettivi si possono conseguire se si coinvolge ogni nazione, rendendola responsabile di azioni comuni e condivise, e questo significaPag. 115riconoscere alle istituzioni multilaterali in cui la comunità internazionale si riconosce tutta, a partire dall'ONU, la responsabilità di guidare la risoluzione dei conflitti.
Non è ciò che è avvenuto in Iraq, dove invece si è scelta la strada unilaterale di una guerra decisa senza legittimità internazionale e sulla base di motivazioni (lo smantellamento degli arsenali militari di Saddam Hussein) che si sono rivelate artificiose. Si è trattato, soprattutto, di una guerra percepita, non solo dalla popolazione irachena ma dall'intero mondo islamico, come un atto di ostilità dell'Occidente, con la conseguenza nefasta che una guerra che avrebbe dovuto rendere il mondo più sicuro ha, in realtà, scavato un solco di diffidenza ed incomunicabilità ancora più profondo tra Occidente ed Oriente, ha alimentato il diffondersi di pericolosi umori antioccidentali nel mondo islamico, ha indebolito l'isolamento del terrorismo e l'azione di contrasto alle sue organizzazioni criminali.
È questa la ragione per cui abbiamo sempre manifestato contrarietà alla guerra in Iraq e abbiamo sollecitato più volte gli Stati Uniti e la comunità internazionale ad adottare una strategia del tutto diversa nella transizione alla democrazia in quel paese. È per questo che oggi, in coerenza con gli impegni assunti con gli elettori, predisponiamo il rientro dei soldati italiani dall'Iraq, accompagnando tale decisione con un programma di aiuti per lo sviluppo economico e di assistenza per la ricostruzione civile e politica di quel paese. Questo proprio perché il rientro dei soldati italiani dall'Iraq non vuole essere e non è una riduzione dell'impegno dell'Italia che, invece, intende assumersi tutte le responsabilità necessarie ed utili nella lotta al terrorismo e nel sostegno alla soluzione dei conflitti ed ai processi di stabilità, di pace e di democratizzazione.
Lo abbiamo fatto e lo facciamo nei Balcani, dove da dieci anni la consistente presenza militare italiana contribuisce in maniera decisiva alla stabilità ed alla pace in un'area devastata per anni dalla pulizia etnica, dagli stupri di massa e dalla guerra. Lo abbiamo fatto e lo facciamo in Afghanistan, dove i nostri soldati sono presenti insieme a contingenti militari di tutti i paesi europei sulla base di una decisione dell'ONU, volta a sostenere il consolidamento democratico in quel paese ed impedire il ritorno dei talebani e del loro regime dispotico. Lo abbiamo fatto qualche anno fa a Timor Est concorrendo, insieme ad altri paesi europei ed asiatici, a garantire una pacifica transizione verso l'indipendenza di quella nazione. Siamo pronti a farlo, come ancora ieri ha ricordato il ministro D'Alema, nel Darfur per contribuire alla soluzione di un tragico conflitto troppo a lungo rimosso e dimenticato. Siamo pronti a farlo in Medio Oriente, dove già oggi i soldati italiani sono presenti su mandato ONU al passo di Refah e sul confine tra Libano e Israele, contribuendo ad una forza di interposizione che arresti la spirale tragica di queste settimane, tuteli la sicurezza di Israele, riapra la strada al negoziato.
Tutto questo non è in contraddizione con l'articolo 11 della Costituzione. Al contrario, è perfettamente coerente con quell'articolo nel quale c'è scritto, sì, che l'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, ma anche che l'Italia è pronta a concorrere, anche con le sue Forze armate, alle iniziative promosse dalle istituzioni internazionali multilaterali per il mantenimento della pace e della democrazia. Insomma, l'articolo 11 della Costituzione dice «no» alla guerra, ma dice «no» anche al terrorismo e dice «no» alla negazione dei diritti universali di libertà, impegnando il nostro paese a difenderli contro chi li viola, li nega e li opprime. Peraltro, una considerazione intellettualmente onesta sull'uso della forza, che in politica è un'eventualità estrema ma possibile, non può negare quanto sia forzato e deviante rappresentare come guerra azioni ed interventi che, in realtà, hanno il carattere di polizia internazionale a tutela di valori, diritti e principi essenziali per la pace e la sicurezza nel mondo.
Sono queste le ragioni per le quali noi dell'Ulivo sosteniamo con convinzione il disegno di legge che il Governo ci ha presentato e chiediamo a tutte le forzePag. 116politiche presenti in questo Parlamento di sostenerlo. Lo chiediamo prima di tutto a tutte le forze di maggioranza, che hanno il dovere di manifestare solidarietà e coesione in una materia così delicata e strategica per la vita del nostro paese e del mondo intero. Anche chi può avere dubbi, che naturalmente rispettiamo, non necessariamente deve tradurli in un voto contrario. Si può benissimo rendere esplicito un dissenso e, al tempo stesso, farsi carico di non incrinare nel voto la coesione della maggioranza di Governo. Senza imbarazzi chiediamo il voto favorevole anche alle forze dell'opposizione perché, non da oggi, siamo convinti che su grandi temi che riguardano il destino dell'Italia, la sua collocazione internazionale, la sua sicurezza sia necessario realizzare la più ampia condivisione sia per consentire alle nostre Forze armate di assolvere alle loro missioni forti del consenso della nazione intera, sia perché quanto più larga sarà la condivisione di scelte così impegnative tanto più il ruolo di pace dell'Italia, un ruolo che ancora una volta qui riconfermiamo, sarà efficace e riconosciuto (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Verdi e dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale a nome dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.
Avranno ora luogo, al di fuori della ripresa televisiva diretta, alcuni interventi, della durata massima di due minuti ciascuno, per dichiarazione di voto a titolo personale.
Prendo atto che il deputato Armani, che aveva chiesto di parlare, vi ha rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Cannavò. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, spiace dover produrre una dichiarazione di voto in dissenso dal proprio gruppo e dal proprio partito. Tuttavia, il provvedimento che in questa sede oggi votiamo, nonostante contenga la previsione dell'importantissimo ritiro dall'Iraq, frutto della battaglia di uno dei più imponenti movimenti per la pace, conferma la missione in Afghanistan; una missione che non solo chi vi parla ma la stessa NATO, che guida le operazioni, considera di guerra e che, tra l'altro, non ha risolto nessuno dei problemi di quella popolazione.
Si tratta, quindi, di una missione che viola l'articolo 11 della Costituzione e che, non a caso, non è stata contemplata nel programma dell'Unione: mai, quindi, è stata sottoposta al giudizio ed al mandato degli elettori i quali, per il 61 per cento, chiedono il rientro in patria dei nostri soldati.
Su tale missione, le forze della sinistra radicale e pacifista si sono sempre espresse in modo contrario, a differenza di quei partiti del centrosinistra che hanno invece votato con le destre e con il Governo Berlusconi (Commenti del deputato Fabris).
Oggi, questa unità bipartisan viene ricomposta in un modo che mi sembra innaturale; suonano quindi irricevibili le pressioni indebite scagliate contro chi vuole mantenere una coerenza nel voto; alcune di queste pressioni sono, esse sì, davvero anacronistiche.
Il «no» alla guerra rappresenta un elemento costitutivo della politica, e non può contemplare l'ipotesi di un'illusoria riduzione del danno. Manterrò quindi il voto contrario su questo provvedimento senza che ciò comporti la delegittimazione della maggioranza o una sfiducia al Governo (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Avrei preferito esprimere il voto separatamente sulle diverse missioni, come indicato dal programma dell'Unione. Programma che, come è evidente, viene violato non da chi rivendica un legittimo dissenso ma da chi della guerra non vuole discutere davvero e fino in fondo (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Burgio. Ne ha facoltà.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, il mio voto contrario sul disegno di legge è coerente con le motivazioni che mi hanno indotto a sottoscrivere due proposte emendative al provvedimento in esame poc'anzi respinte dall'Assemblea.
A quanti considerano un voto in dissenso su questa materia un vulnus per la maggioranza, mi permetto di ricordare che la possibilità di esprimere un dissenso, soprattutto se è in discussione la partecipazione del paese ad una guerra, è un cardine dell'istituzione parlamentare, è un valore fondamentale per il corretto svolgimento della funzione di ciascuno di coloro che siedono in questa aula.
VALENTINA APREA. Certo, ma ha conseguenze politiche!
ALBERTO BURGIO. Non è certo un caso che tale possibilità sia contemplata nel regolamento di questa Camera. La decisione del Governo di far votare unitariamente le ventinove missioni italiane all'estero, in deroga a quanto previsto nel programma dell'Unione, mi costringe ad esprimere un voto contrario sull'intero provvedimento in esame. È un voto che per quanto mi riguarda non compromette il mio rapporto di lealtà nei confronti della maggioranza che sostiene il Governo e del gruppo parlamentare al quale appartengo (Commenti e applausi ironici dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Pegolo. Ne ha facoltà.
GIAN LUIGI PEGOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel corso di questi giorni si sono abbattuti giudizi assai pesanti sui parlamentari del centrosinistra che hanno espresso il loro parere negativo sul disegno di legge in esame; perfino autorevoli cariche dello Stato sono intervenute per lanciare un grido di allarme sulla possibile crisi della maggioranza di Governo.
Tutto questo allarmismo non si è manifestato quando il centrodestra ha annunciato il voto favorevole sul disegno di legge in esame, segno che, se si è paventata la crisi della maggioranza, non ci si è preoccupati però di un emergente consociativismo in materia di politica estera che a me pare sconcertante (Commenti).
Nel merito, la mia riserva sul disegno di legge che ratifica a tempo indeterminato la missione in Afghanistan resta netta. Non vi dovrebbe essere alcun dubbio che in Afghanistan è in corso una guerra e che tale guerra muove dall'esigenza di tutelare e consolidare il ruolo internazionale degli Stati Uniti in un'area di indubbia rilevanza strategica e che senza una soluzione politica non vi sarà fine a quella tragedia.
Per questa ragione voterò contro questo disegno di legge. Il rifiuto della guerra non può essere un optional a cui si ricorre solo quando si è all'opposizione. Si pone, quindi, almeno per me, un problema di coscienza e di coerenza politica che non può essere eluso.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, non c'è nessuna divisione del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea sui principi pacifisti: la nostra comune stella di orientamento è l'articolo 11 della Costituzione. Comune in Rifondazione Comunista-Sinistra Europea è la volontà di porre fine al sistema di guerra permanente e preventiva.
La guerra ora infiamma e devasta Gaza e il Libano e, come sempre, uccide i civili senza sconfiggere il terrorismo. Corre tra noi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea solo una diversa valutazione politica su come costruire la via d'uscita dell'Italia dalle guerre per far divenire il nostro paese un'attiva forza di pace.
Un primo positivo risultato è la fine della missione militare in Iraq. La mozionePag. 118di indirizzo che ho votato rende possibili più incisive iniziative istituzionali e politiche e apre spazi per l'intervento dei movimenti pacifisti. Occorrono però atti e non solo propositi per porre alla NATO il drammatico problema della guerra in Afghanistan, dove l'Alleanza nordatlantica opera addirittura contro il suo statuto violando i suoi compiti, dichiarati sulla Carta essere sempre difensivi.
Se in Parlamento si fossero votate le singole missioni, come previsto dal programma dell'Unione, avrei votato «sì» alla fine della missione in Iraq e «no» alla prosecuzione di quella in Afghanistan. Per esprimere il mio dissenso con le scelte complessive sulle missioni militari non parteciperò alla votazione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo per dichiarazione di voto a nome dei deputati repubblicani in attesa di costituire una componente politica in seno al gruppo Misto.
I colleghi che mi hanno appena preceduto manifestano un disagio politico molto forte rispetto all'orientamento prevalente della maggioranza e del Governo. Ciò pone un problema se non qui alla Camera certamente al Senato, dove i numeri sono diversi. Ma vi è un problema politico più ampio che questo importante dibattito ha messo in luce. Mi riferisco al fatto che si può constatare una profonda differenza di posizioni tra il discorso che ha tenuto or ora l'onorevole Fassino o quelli che hanno tenuto i rappresentanti del Governo e le posizioni argomentate e meditate che hanno espresso gli onorevoli Giordano, Bonelli e Diliberto, ciascuno dei quali ha rivendicato una visione della politica internazionale che esclude una presenza italiana in Afghanistan.
Questo è il vero problema politico che è emerso, non si tratta, quindi, tanto del dissenso manifestato da alcuni dei parlamentari di Rifondazione Comunista quanto, appunto, la coesistenza all'interno di una maggioranza di posizioni politiche diverse.
Noi voteremo il disegno di legge in esame presentato dal Governo con il quale si prevede il finanziamento, fino alla fine dell'anno, della missione in Iraq e la continuazione di quella in Afghanistan. Lo facciamo per le ragioni illustrate dai colleghi, in particolare, da ultimo, dall'onorevole Berlusconi. Ma voi, onorevoli Prodi, D'Alema e Fassino, non potete ignorare che vi è un problema più ampio del dissenso dei colleghi che oggi esprimono il loro voto contrario o la loro astensione. Con una maggioranza così profondamente divisa e lacerata si pone, infatti, il problema di assicurare al paese, in una situazione internazionale così complessa e difficile, un'efficace guida in materia di politica estera (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Provera. Ne ha facoltà.
MARILDE PROVERA. Colleghe e colleghi, signore e signori del Governo, alla luce dei contenuti definiti dalla mozione votata oggi, in particolare per la parte degli impegni, per il percorso che intende fare il mio gruppo (percorso riaffermato poc'anzi dal nostro segretario Giordano e chiaramente illustrato non con chiacchiere, ma con precisione, da Ramon Mantovani in successivi interventi), particolarmente rispetto alla volontà di continuare ad agire per il rientro della missione di guerra in Afghanistan, in aggiunta al risultato pieno ottenuto già ora per quella irachena, che si conclude con questo provvedimento; per questa possibilità, per questo continuo agire reso possibile dalla mozione, il cui risultato viene prefigurato e lasciato trasparire come ipotizzabile dalla dichiarazione del Vicepresidente del Consiglio D'Alema, in questa sede di dibattito oggi; dunque per la prospettiva attesa e ribadita nel dibattito - anche grazie alla ricca discussione resa possibilePag. 119dai due emendamenti a prima firma Cannavò -, dibattito che vede peraltro il Governo affermare di non essere impegnato di fatto nella missione Enduring freedom afghana; dibattito che rende pensabile non trovarsi con questa identica e difficile decisione fra sei mesi, che - per quel che mi riguarda - non potrà avere ulteriori appelli; per l'insieme di questi motivi che pongono accanto al senso di responsabilità di Rifondazione Comunista - sottolineo: accanto, non dopo - la determinazione manifestata da tutto il mio gruppo parlamentare di affermare una pace vera, non armata, in ottemperanza reale ai fondamenti dell'articolo 11 della Costituzione, voterò - per questa volta - a favore del provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, il deputato Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Presidente, il mio è un breve invito rivolto al Presidente del Consiglio a prendere atto di questo dissenso che, per le parole usate da alcuni deputati che lo hanno manifestato in quest'aula, significa crisi della maggioranza. Inoltre, invito a prendere atto del fatto che questi 4 o 5 voti contrari sono solo un anticipo di quello che - lo abbiamo già letto sul giornale - accadrà al Senato, sollecitandolo a trarne le conseguenze a partire dal voto che si terrà tra qualche minuto.
GIOVANNI CARBONELLA. Siamo alla Camera!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la relatrice per la IV Commissione, Roberta Pinotti, per un ringraziamento. Ne ha facoltà.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Presidente, intervengo soltanto per ringraziare, anche a nome dell'onorevole Ranieri, tutti i deputati delle Commissioni esteri e difesa. Sono state tre settimane di lavoro molto serrato. Voglio, altresì, ringraziare gli uffici che ci sono stati veramente vicini nella necessità di approfondimento, aiutandoci anche ad organizzare una teleconferenza con Kabul e Herat che credo sia stata molto utile per approfondire i temi in discussione.