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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 1)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanza. Ne ha facoltà.
ANGELO MARIA SANZA. Onorevole Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghi, per brevità, mi limiterò a considerazioni riguardanti le materie di competenza della IX Commissione e dei dicasteri di riferimento.
Per noi dell'opposizione, il Documento di programmazione economico-finanziaria si caratterizza per una preoccupante mancanza di contenuti, per un'evidente vaghezza di propositi, per una frettolosa predisposizione di dati e di priorità. Condivido, al riguardo, la riflessione più approfondita svolta dal collega Alberto Giorgetti.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,55)
ANGELO MARIA SANZA. Evidenzio altresì l'incoerenza e la frammentazione politica di questa maggioranza, costretta ad una continua ambiguità per garantire la propria tenuta. Non più tardi di ieri, il ministro Ferrero - vorrei ricordare solo questo - ha minacciato lo sciopero contro la sua stessa maggioranza, se verranno colpite le pensioni. Come opposizione, non possiamo non evidenziare che questo esecutivo si è posto traguardi molto modesti.
La riduzione del cuneo fiscale non potrà, da sola, risolvere il problema legato alla produttività. Considerazioni allarmanti - lo ha richiamato, da ultimo, l'onorevole Alberto Giorgetti - sono contenute nell'allegato infrastrutture, peraltro giunto in ritardo all'esame di questo Parlamento, senza avere consultato la Conferenza Stato-regioni e senza che il CIPE avesse stabilito un reale ordine di priorità delle opere. Non si può accettare che infrastrutture come il Corridoio 5, da Berlino a Palermo, o la Lione-Torino debbano essere rinviate a tempo indeterminato. Lo stesso dibattito sulla TAV in Val di Susa, in questi giorni, non fa altro che evidenziare il ruolo sempre più polemico e decostruttivo della sinistra radicale. Viene Pag. 58da chiedersi se gli stessi ministri Bianchi e Di Pietro siano in grado di elaborare insieme un nuovo programma delle infrastrutture strategiche e dei trasporti o siano invece, come sembra, su posizioni assolutamente divergenti, a tutto danno della politica della mobilità.
Lo «spacchettamento» del precedente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in due distinte amministrazioni si traduce in un notevole aggravio di costi e, soprattutto, in un difficile coordinamento, preoccupando particolarmente in materia di sicurezza.
ANAS, Ferrovie dello Stato e Alitalia - solo per citare i maggiori nodi - perderanno l'interlocutore di riferimento, aggravando il loro difficile ruolo nella predisposizione del piano industriale e nella ricerca di un proprio equilibrio economico-finanziario, per non parlare dello scontro in atto sul management di queste aziende.
Che dire poi del trasporto pubblico locale? Ne parleremo in altre sedi. Il ministro dei trasporti - lo ha detto in Commissione - prenderà in gestione le opere che realizzerà il ministro delle infrastrutture: è questa la linea del Governo. Non è chiaro, però, chi definirà le priorità. I due ministri competenti, nelle audizioni, hanno mostrato di avere strategie molte autonome e spesso divaricanti. L'enfatizzare la scarsità delle risorse finanziarie è oggi solo un pretesto per rallentare il completamento del programma infrastrutturale e serve a celare le profonde divisioni che agitano questa variegata compagine governativa sulle scelte infrastrutturali, vanificando così il processo di modernizzazione avviato dal centrodestra e sollecitato dalla Comunità europea.
Ritengo, a questo proposito, doveroso ricordare che la Comunità europea, assegnando al nostro paese importanti finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture nell'ambito dei corridoi transeuropei, ha creduto nella realizzazione del ponte sullo Stretto. Tale opera, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, non occupa più un posto prioritario; l'amministratore delegato è stato promosso a più importante incarico. È evidente che, per incidere seriamente e proficuamente sulla struttura produttiva del Mezzogiorno, occorrono più risorse da destinare ad investimenti. Moderni e più efficienti sistemi portuali ed aeroportuali, praticamente assenti nelle previsioni del Documento di programmazione economico-finanziaria, favorirebbero uno sviluppo più incisivo nell'area del Mediterraneo.
Criptica, infine, la strategia che il Governo intende attuare nella politica delle telecomunicazioni, settore molto delicato; prevale una accorta politica del rinvio, ma già si intravede una strategia del ministro Gentiloni tesa a mettere mano ad una modifica della cosiddetta legge Gasparri, cogliendo l'infrazione che viene segnalata dalla Comunità europea.
Per noi è importante non disperdere i vantaggi accumulati in questi anni a favore del digitale terrestre; perché allora non si lavora davvero su questa strada di avanzamento tecnologico, di progresso industriale, di apertura reale del mercato, di ingresso di nuovi soggetti, individuando tempi e misure già esistenti per arrivare ad un sistema televisivo sostanzialmente diverso? Non si vorranno, invece, riproporre schemi vecchi, antiquati, superati, per punire alcuni, dividere il servizio pubblico e creare le condizioni...
PRESIDENTE. Presidente Sanza, sono amareggiato, ma debbo invitarla a concludere.
ANGELO MARIA SANZA. Sta bene, signor Presidente.
In conclusione, il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame, anziché esaminare le linee programmatiche, politiche e finanziarie dell'esecutivo, ha messo in luce tutte le insicurezze e le difficoltà della maggioranza nel governare il paese, con la necessità di ricorrere sistematicamente al voto di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento, ai sensi dell'articolo 41.
Pag. 59PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, oggi è in corso un incontro tra il Governo ed i rappresentanti dei farmacisti. Analogamente, è stata posta, nelle settimane scorse, la questione legata ai tassisti e ad una serie di interventi...
PRESIDENTE. Mi spiace, onorevole Borghesi, ma il suo intervento non è pertinente: l'articolo 41 consente un richiamo al regolamento purché sulla materia che si sta trattando...
ANTONIO BORGHESI. In quest'aula, ha chiesto di parlare più volte l'onorevole Tremonti per un richiamo al regolamento ai sensi dell'articolo 41; ebbene, egli è intervenuto su argomenti assolutamente diversi da quelli che erano in esame, come risulta dai resoconti parlamentari. Ha parlato per cinque minuti: io ne domando uno solo, per porre al Governo una questione i cui effetti riguardano il Documento di programmazione economico-finanziaria. Quest'ultimo, Presidente, prevede, infatti, che il decreto-legge n. 223 del 2006 rappresenta l'inizio dell'attuazione di tutta una serie di misure globalmente previste dal Documento stesso.
Quindi, noi abbiamo bisogno di sapere quali effetti avrà sul Documento di programmazione economico-finanziaria il decreto n. 223 del 2006, così come modificato in seguito all'intervento dei farmacisti...
PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, l'ho lasciata parlare...
ANTONIO BORGHESI. La ringrazio, Presidente.
PRESIDENTE. Ebbene, onorevole, l'ho lasciata parlare sapendo, però - io e lei, entrambi - che ella ha svolto un intervento di merito e non un richiamo al regolamento. Non deve, dunque, costituire precedente.
È iscritta a parlare l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghi, finalmente, per la prima volta, un Documento di programmazione economico-finanziaria individua la questione ambiente in maniera formale, come asse trasversale che interseca e attraversa le politiche economiche e sociali.
Qualcuno potrà dire che si tratta di una novità irrisoria, marginale, ma così non è. Il fatto che l'ambiente non sia più considerato un optional ma un must, non un capitolo aggiuntivo ma un arco portante della programmazione economica e finanziaria, è novità di grande portata. È un passo importante nella direzione di quell'integrazione tra politiche ambientali, sociali ed economiche che noi Verdi abbiamo posto da decenni al centro del nostro agire politico. Un matrimonio, quello tra ecologia ed economia - non a caso iniziano con lo stesso prefisso «eco», dal greco: |go|gi|gk|gj|gs, che significa casa -, che, per parafrasare il Manzoni, «s'ha da fare», e subito, se vogliamo consegnare ai nostri figli un pianeta vivente, e non una terra desolata.
Ma non bastano le enunciazioni di principio; per dare spessore alla formula «sviluppo sostenibile» sancita dalla Conferenza ONU di Rio del 1992, per fare in modo che non resti un mantra, evocato e raramente tradotto in azioni concrete, occorre affiancare ai tradizionali indicatori economici, come finalmente riconosce questo Documento di programmazione economico-finanziaria, ulteriori indicatori sociali e ambientali e sistemi di contabilità ambientale in grado di misurare e garantire la qualità dello sviluppo.
Questo approccio innovatore, fra l'altro, dopo cinque anni durante i quali il Governo di centrodestra ha penalizzato o bellamente ignorato la valenza trasversale della questione ambientale, permetterebbe di far tornare l'Italia nell'alveo di un dibattito politico e culturale planetario, innescato, nel 1972, dal MIT e dal Club di Roma con la pubblicazione dell'ormai famoso testo I limiti della crescita. Si tratta di un filone di pensiero economico ed ecologico di grande spessore, sostanziato da studi ed analisi ormai Pag. 60innumerevoli: cito, per tutti, quelli prodotti da organismi di prestigio internazionale come il Worldwatch Institute o il Wuppertal Institute o, nello stesso mondo imprenditoriale, dal Business council for sustainable development.
Tuttavia, per dare fiato alla sostenibilità, occorre coerenza tra gli enunciati di principio e le strategie concrete, coerenza che nel Documento di programmazione economico-finanziaria certamente ancora non c'è, non in misura sufficiente. Prendiamo ad esempio il capitolo relativo al protocollo di Kyoto. In un paese come l'Italia, tutt'altro che virtuoso, che ha aumentato del 12 per cento le emissioni di gas serra, invece di tagliarle del 6,5 per cento, in ottemperanza al protocollo, non si può e non si deve affermare che il rispetto degli obblighi derivanti degli accordi di Kyoto implicherebbe oneri troppo pesanti sia per le imprese sia per la finanza pubblica. È arrivato il momento, signor Presidente, di una vera e propria rivoluzione copernicana in materia. Occorre ribaltare nettamente l'ottica. Sarà, infatti, il mancato rispetto di quegli obiettivi a determinare, nel breve e, soprattutto, nel medio periodo, gravissimi costi, che l'Italia sta già iniziando a pagare per non avere investito in tempo - diversamente da altri paesi europei, quali la Germania e la Danimarca - nell'efficienza, nel risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili. Riteniamo, dunque, pienamente condivisibile il DPEF laddove richiama il fatto che i parametri del protocollo di Kyoto e i nuovi obiettivi di riduzione dei gas serra richiedono un ripensamento complessivo delle forme di produzione e consumo energetico e - aggiungiamo noi - un allargamento a comparti chiave, come trasporti ed edilizia, del taglio delle emissioni.
Concordiamo anche sulla necessità di studiare forme di fiscalità ambientale per dare priorità a progetti cofinanziati dall'Unione europea per la riduzione delle emissioni. In tale processo, ovviamente, è urgente - come indicato anche dal DPEF - rilanciare l'aggiornamento del piano nazionale per la riduzione dei gas serra, inteso come strumento non solo per ottemperare agli obblighi imposti dal protocollo di Kyoto ma per promuovere uno sviluppo davvero sostenibile.
Se rispondere alla «sfida di Kyoto» è vitale per arginare il cambiamento climatico che già ci sta addosso - basti constatare il caldo di questi giorni -, non possiamo trascurare, però, altre cinque direttrici che il Documento di programmazione economico-finanziaria individua - questo è un altro punto di forza del DPEF, a nostro avviso - per l'azione di governo in campo ambientale.
La VAS, la valutazione ambientale strategica, introdotta dalla direttiva comunitaria n. 42 del 2001, consente di valutare l'impatto di un intervento sul territorio non solo sotto il profilo squisitamente ambientale, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi in campo, quali salute, popolazione, patrimonio culturale, e così via.
La seconda direttrice è quella della difesa del suolo e della gestione delle acque. Quest'ultima è stata la grande assente, la «cenerentola» della politica ambientale negli anni del Governo Berlusconi, il quale ha pressoché azzerato le risorse per l'attuazione della legge n. 183 del 1989, sulla difesa del suolo, e non ha avviato una concreta politica per la corretta gestione del nostro sempre più sofferente patrimonio idrico - basti osservare la secca del Po - e per la tutela dei bacini idrografici.
La salvaguardia della natura è stata un'altra «cenerentola», negli ultimi cinque anni. Dobbiamo rilanciare la Convenzione sulla biodiversità e ridare una politica di conservazione che integri e superi la mera applicazione della legge quadro n. 394 del 1991, relativa alle aree protette.
Altre due grandi aree di intervento sono quelle della bonifica e dei rifiuti. La prima è legata alla necessità di porre rimedio agli errori della politica industriale del passato, trasformando la bonifica dei siti inquinati in una occasione di sviluppo sostenibile. Penso al caso di Bagnoli, la cui bonifica ho seguito più da vicino nella mia qualità di vicepresidente di una società di trasformazione urbana, Pag. 61Bagnoli Futura, che ha il compito di bonificare e di trasformare questa parte del territorio napoletano.
La seconda area di intervento, quella dei rifiuti, ci vede in netto ritardo rispetto a molti paesi europei. Questo ritardo ci ha fatto piombare in una situazione di continua emergenza, con cinque regioni commissariate e la totale inattuazione del principio «chi inquina paga», sancito dal decreto legislativo n. 22 del 1997, con il passaggio dalla tassa alla tariffa. Per uscire da questo tunnel, è chiaro che occorre sia rilanciare la cosiddetta politica delle 3 «r» - riduzione all'origine, recupero e riciclaggio - sia potenziare la raccolta differenziata, con l'obiettivo di ricondurre l'intero ciclo ad una sospirata normalità.
Last but not least, in un paese come il nostro, quasi tutto affacciato sul mare, è una politica di tutela e valorizzazione del patrimonio marino e delle aree marine protette e la gestione integrata delle coste, con piena attuazione della Convenzione internazionale di Barcellona.
Quelli indicati dalle cinque direttrici sopra elencate sono tutti settori, signor Presidente, che possono coniugare economia ed ecologia, promuovere l'occupazione «verde» e la crescita di quell'albero dei lavori «verdi» che già nel nostro paese prospera. Abbiamo già 365 mila posti di lavoro in questi settori, dai parchi all'educazione ambientale, al turismo sostenibile.
Ieri, mi trovavo in un paesino di 458 abitanti, Abbateggio, nel parco della Maiella, che in un solo anno è riuscito a passare da venticinque a cento posti letto, raddoppiando in tre anni le presenze proprio grazie al turismo sostenibile, all'agriturismo, all'agricoltura biologica, biodinamica e di qualità (un altro filone chiave da sostenere nell'ottica della sicurezza alimentare).
Il cambiamento dell'assetto energetico, con il graduale addio ai combustibili fossili e l'attenzione alle fonti rinnovabili, ai risparmi e all'efficienza, potrà anch'esso tradursi nella promozione dell'occupazione verde. Pensate alla Germania, dove il Governo rosso-verde, in pochi anni, è riuscito a creare 160 mila posti di lavoro in questo settore.
Non voglio dimenticare, infine, l'allegato infrastrutture. Condividiamo l'urgenza di una profonda riqualificazione e rimodulazione delle spese per investimenti strutturali, che non si limiti al semplice completamento delle opere senza un processo valutativo e una seria programmazione finanziaria. Occorre superare l'ottica della legge n. 443 del 2001, pertanto, i criteri per fissare la priorità delle opere devono basarsi su una valutazione ambientale strategica che abbia come obiettivi il riequilibrio modale verso sistemi a minore impatto, come ferrovie e cabotaggio, e il rilancio di strategie di mobilità sostenibile nelle città.
Non ho il tempo di addentrarmi in questa tematica particolarmente intricata, ma non posso tralasciare il richiamo ad una riflessione sugli hot spots, i punti scottanti che il DPEF omette, come il ponte sullo stretto di Messina (ricordiamolo bene, cassato dal programma dell'Unione) o la TAV in Val di Susa (al riguardo, viene citato uno specifico intervento di correzione relativo al ricorso alle procedure ordinarie per la valutazione d'impatto ambientale e viene richiamata la necessità di confronto e dialogo con le realtà locali).
Queste direttrici indicano, signor Presidente, le vere grandi opere, non il ponte sullo stretto, non il MOSE, ma quelle di cui il paese ha veramente bisogno, i tasselli che andranno a comporre - lo speriamo - il mosaico di uno sviluppo davvero sostenibile di cui il nostro paese e l'intero pianeta hanno disperatamente necessità: adesso, ora, subito! Il fattore T - il fattore tempo - è cruciale in questo difficile inizio di millennio. Non abbiamo più tempo - è la risorsa più scarsa - e la scelta è ora tra la sostenibilità, da un lato, e l'erosione irreversibile delle risorse del pianeta - acqua, suolo, foreste - che sono la base dell'economia planetaria, dall'altro.
Rievoco qui la famosa frase del buon, vecchio Engels: i prodotti non sono altro che natura trasformata.Pag. 62
C'è chi - sono tuttora molti - pensa ancora che la ricerca della sostenibilità sia un'utopia per anime belle. A costoro rispondo con le parole non di una Cassandra dell'ambientalismo, non di un no global ipercontestatore, bensì con il monito di un'industrialista di rango, un membro del gotha del business, Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma il quale, nel suo libro Campanello d'allarme per il XXI secolo scriveva: «(...) Allo stato attuale delle cose, il coraggio dell'utopia è il solo modo di essere realisti». Di questo coraggio abbiamo bisogno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi limiterò a svolgere alcune considerazioni sui contenuti del Documento di programmazione economico-finanziaria in materia di politiche di sostegno alla famiglia, argomento che, come è noto, rappresenta un capitolo di estrema importanza che interessa non solo il partito al quale appartengo ma milioni di famiglie in Italia.
La prima e più importante osservazione riguarda il fatto che il Documento sembra occuparsi esclusivamente delle famiglie meno abbienti e della diffusione di situazioni di indigenza.
Nessuno discute il fatto che le situazioni di emergenza debbano avere una sorta di canale preferenziale rispetto alle politiche che il DPEF prefigura con interventi ad hoc; tuttavia, queste misure vanno ascritte nel grande capitolo delle politiche alla lotta alla povertà e non in quello delle politiche familiari, che devono prendere in considerazione la famiglia in quanto tale senza aggettivi e non solo quando è povera e bisognosa.
Si parla in prima battuta, nelle prime pagine del DPEF, della povertà in termini relativi assoluti nonché di povertà soggettiva, con un'analisi delle tipologie familiari in situazioni di povertà. È vero che il Documento ammette la stretta correlazione tra povertà delle famiglie e numero dei figli, nel senso che la povertà relativa aumenta con il numero dei figli, ma questo non pare sufficiente perché gli interventi divengano effettivamente a sostegno delle famiglie con figli, cioè delle famiglie in quanto tali, non delle famiglie solo perché povere e bisognose.
Questo è dimostrato dalla stretta connessione che nel Documento si stabilisce tra misure volte a contrastare la povertà, in termini assoluti e relativi, nonché come povertà percepita e politiche di sostegno alla famiglia. Quando si parla correttamente di risanamento dei conti pubblici per liberare il sistema famiglia dal timore paralizzante di nuovi sacrifici, quando si parla di fiducia per investire nel futuro, di ritardi della crescita dell'Europa, non se ne traggono le logiche conseguenze, decidendo di fare un cospicuo investimento sulla risorsa famiglia. L'esempio più chiaro di questo errato approccio ai problemi della società italiana sta nel fatto che nel DPEF, non solo manca qualsiasi riferimento a politiche concrete a favore della famiglia (e per questo sarà bene forse aspettare la prossima finanziaria, che sarà la vera cartina di tornasole sulla volontà del Governo di sostenere in modo equo la famiglia), ma si confondono anche - questa è la seconda critica principale - le politiche per la famiglia con le politiche per i giovani e per le pari opportunità; questi, invece, rappresentano ambiti rigorosamente distinti. Si legge, infatti, che il Governo si impegna in un piano straordinario per i diritti e l'occupazione delle donne, dei giovani e in generale delle famiglie. Le politiche per le donne, per i giovani e per le famiglie non vanno confuse perché spesso queste categorie sono portatrici di interessi confliggenti e di problematiche specifiche; non si può, infatti, pensare di ridare un ruolo centrale alla famiglia, rendendo i giovani solamente autonomi, solo contrastando la povertà o assicurare i diritti dei bambini e delle bambine e realizzare le condizioni per un'infanzia libera dal rischio di povertà e ricca di occasioni di socializzazione.Pag. 63
In tutto il Documento non viene mai affrontato il tema dei diritti della famiglia in quanto tale, salvo quando si parla di favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare. Allora, in estrema sintesi, il Documento non contiene traccia di una vera politica per la famiglia e un altro esito di questa visione parziale delle politiche familiari sta nel fatto che non si possono ridurre le politiche per la famiglia ad una sola questione di welfare.
Il Documento, quindi, costituisce in realtà un passo indietro rispetto alle misure introdotte nel corso della XIII legislatura dal ministro Visco, che cercò di introdurre istituti in favore della famiglia con figli a prescindere dal reddito e che non riguardavano solo politiche di welfare, bensì importanti passi in avanti in tema di politiche fiscali con detrazioni per ogni figlio a carico.
Passando alle misure concrete, siamo d'accordo sull'obiettivo di favorire la conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia, ma non condividiamo l'ipotesi di un assegno per i minori che costituisce un'integrazione al reddito proporzionale alla numerosità della famiglia « escludendo oneri finanziari aggiuntivi».
PRESIDENTE. La prego, concluda.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Il Governo dovrebbe chiarire questo aspetto; infatti, non si può pensare di sostenere la famiglia senza adeguati investimenti.
Il nostro giudizio è pertanto negativo, l'appuntamento si sposta alla prossima finanziaria e direi - come ha detto l'onorevole Francescato - che mentre l'ambiente è un must, non lo è il problema della famiglia, che non è ancora un must, ma è semplicemente un capitolo che rappresenta un optional e speriamo che la costituzione di un Ministero per la famiglia dia delle risposte concrete che in questo Documento non appaiono.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piro. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, il DPEF in esame costituisce il necessario raccordo tra il programma di mandato e le concrete politiche che il Governo intende attuare. L'Italia ha accumulato ritardi gravi sia sotto il profilo della competitività, sia sotto quello dell'ammodernamento delle sue strutture fondamentali. L'economia stenta a riprendersi, i conti pubblici sono fuori dei parametri europei. In Italia sono aumentate soprattutto le diseguaglianze sociali e gli squilibri territoriali, la cui persistenza e gravità rendono assai difficile, se non la crescita, certamente uno sviluppo sostenibile.
Per questo il DPEF pone tre obiettivi ineludibili ed ambiziosi: il risanamento, lo sviluppo, l'equità. Ne condividiamo soprattutto la circolarità, l'essere l'uno funzione dell'altro. Assai correttamente, piuttosto che elencare risposte di tipo emergenziale, ci si concentra sulla necessità di far ripartire il paese intervenendo sui grandi nodi strutturali, tra questi il Mezzogiorno come priorità.
Al quinquennio 1998-2002, che ha fatto registrare una crescita relativa ma sostenuta, hanno fatto seguito anni di rallentamento progressivo, fino all'inversione che ha segnato il 2005.
L'analisi che più recentemente ha condotto lo Svimez è impietosa: il divario tra nord e sud si è allargato; i posti di lavoro sono diminuiti, mentre sono aumentati i lavoratori precari e irregolari; impressionante è il gap in termini di infrastrutture e di formazione.
Al raggiungimento di risultati così negativi ha dato un impulso determinante il Governo Berlusconi: a partire dal 2003 sono state diminuite le risorse per gli incentivi destinati al Mezzogiorno; l'incidenza sul totale della spesa complessiva per investimenti pubblici è scesa dal 41,2 del 2001 al 36,8 per cento del 2004, al di sotto persino del peso naturale del sud, pari al 38,5.
Anche la spesa ordinaria è scesa sotto la soglia del 30 per cento. Secondo i dati forniti nell'allegato infrastrutture, al sud è stato destinato soltanto l'8 per cento del fabbisogno finanziario. Il Governo Berlusconi, Pag. 64insomma, ha scelto un modello di sviluppo marginale del Mezzogiorno funzionale ad una massiccia redistribuzione di risorse dal sud al nord.
Noi intendiamo capovolgere questa impostazione, non solo perché occorre superare le disuguaglianze e gli squilibri, fortemente concentrati al sud, ma perché il Mezzogiorno può rappresentare una seria opportunità di sviluppo per l'intero paese, l'area dove generare maggiore valore aggiunto.
Non si tratta dunque di riproporre una questione meridionale, a cui contrapporre peraltro una questione settentrionale. Il dato di partenza è che esiste un'unica grande questione nazionale, che occorre affrontare coniugando visione unitaria dei problemi e risposte differenziate per i territori.
Tra gli obiettivi fondamentali si segnalano: la diffusione della cultura della legalità, il rafforzamento della sicurezza e dell'azione integrata e continua contro la criminalità organizzata; la visione strategica della prospettiva euromediterranea. Se l'allargamento a 25 dell'Europa ha creato ulteriori difficoltà, la ritrovata centralità del Mediterraneo nei flussi Asia e Europa può di contro offrire opportunità consistenti. Per coglierle occorre agire per la pace nel Mediterraneo, far ripartire il processo che mira alla creazione di un'area di libero scambio nel 2010.
Il nostro obiettivo è quello di fare del Mezzogiorno il ponte fra Asia ed Europa, sponda sud e sponda nord del Mediterraneo.
In questo quadro si rafforza il convincimento che il ponte sullo Stretto, prima ancora di essere un'idea sbagliata, è un'idea piccola.
La politica delle infrastrutture deve conseguire il risultato di trasformare la centralità geografica del Mezzogiorno nel Mediterraneo in centralità logistica, oltre che politica e culturale. Va privilegiata l'economia di qualità nei settori dell'energia, dell'agroalimentare, dei beni culturali e del turismo e vanno rafforzati gli interventi per la formazione e la crescita delle conoscenze.
Il sostegno al reddito va potenziato per combattere le povertà, la disgregazione e l'esclusione sociale. Gli investimenti pubblici devono essere rivolti prioritariamente alla eliminazione delle diseconomie, alla generazione di beni collettivi, all'attrezzatura del territorio. Il sostegno più efficace a queste politiche può venire dall'adozione di misure di fiscalità compensativa e di vantaggio. Si impone una nuova fase della concertazione istituzionale e territoriale, con un ruolo di maggiore responsabilità dei gruppi dirigenti del Meridione.
Nell'immediato: vanno reperite le risorse, circa 15 miliardi, cancellate dall'ultima legge finanziaria, per il completamento del programma comunitario 2000- 2006; va sottoposto a verifica di coerenza con la strategia della coalizione il quadro strategico nazionale e bisogna garantire che i fondi europei si aggiungano e non si sostituiscano all'intervento ordinario; va accompagnata la scelta dello stop al ponte sullo Stretto alla decisione di utilizzare i fondi già disponibili per la realizzazione delle infrastrutture collegate nell'area; va rafforzata l'incidenza per il sud della riduzione del cuneo fiscale.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FRANCESCO PIRO. Concludo, Presidente. Va avviata una politica di efficace riduzione del precariato, specie quello pubblico. Si tratta, in conclusione, di operare per trasformare i vincoli in risorse (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, premesso che gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica non sono a discrezione del Governo ma dettati dall'appartenenza all'Unione europea, si ritiene più importante valutare come essi verranno raggiunti e sacrificando Pag. 65cosa, piuttosto che se verranno conseguiti; obiettivo quest'ultimo che qualunque Governo è chiamato a rispettare.
Il DPEF, presentato dal Governo Prodi per gli anni 2007-2011, prevede nel panorama dell'andamento economico internazionale fattori di crescita e di sviluppo. Per il 2007 e a medio termine si prevede che l'economia mondiale cresca nel quinquennio del 4,3 per cento. Anche per l'area euro vi sono confortanti segnali di ripresa, seppure più contenuti. In tale contesto è fondamentale per il nostro paese approfittare da subito della ripresa economica per uscire da un periodo di costante stagnazione economica.
Le nostre aziende, in particolare quelle piccole e medie, attendono dal Governo soluzioni che possano rilanciare l'economia. Il percorso intrapreso dal Governo Berlusconi, e purtroppo non portato a compimento, di ridurre la pressione fiscale sia per i contribuenti sia per le imprese e, contemporaneamente, sostenere i ceti produttivi modernizzando il paese, ha reso l'Italia più allineata ai paesi europei ed ha liberato risorse per gli investimenti. I segnali di crescita che si registrano in tutti i settori, che si evincono anche dal dato della domanda dei consumatori riportata nel documento, sono gli effetti tangibili delle misure adottate dal Governo della Casa delle libertà. Purtroppo, l'avvento del Governo di centrosinistra desta pesanti preoccupazioni.
Già con il cosiddetto decreto Bersani si è avuta la prima testimonianza che il Governo Prodi riporterà al passato l'Italia e con essa le regioni del nord che sostengono il paese con un gettito tributario pari al 55, 8 per cento, mentre le regioni assistite del centro versano il 21 per cento e quelle meridionali il 23,2 per cento. Il cosiddetto decreto Bersani, senza concertazione alcuna con le categorie interessate e senza preavviso, ha cambiato le regole su cui le imprese, gli avvocati, i farmacisti, i tassisti e le imprese del settore immobiliare hanno programmato il loro lavoro a breve e a medio termine. È stato una sorta di punizione delle categorie che sicuramente non hanno dato il loro voto alla sinistra.
Con un provvedimento mascherato dall'ideale di liberalizzare i mercati, alcune decisioni del Governo Prodi sono dirette ad assicurare fette di mercato ai loro sostenitori. Il tutto ha consentito un prelievo fiscale elevato, intorno ai 13-14 miliardi di euro, mentre il Governo ha dichiarato che gli effetti delle nuove norme fiscali assicurano un gettito di 3,5 miliardi di euro. In pratica, si preleva dal ceto produttivo per coprire gli indebitamenti per spese obbligatorie, per il personale della pubblica amministrazione, per il deficit della spesa sanitaria - ricordo, che le regioni interessate sono quasi tutte governate dal centrosinistra - e per il mancato rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali e territoriali.
Irrisori, inoltre, sono i tagli alla spesa pubblica previsti nella manovra correttiva. Tutto ciò ci fa intuire quali siano i principi a cui si ispirerà la politica del Governo Prodi contenuta nel DPEF. In primis, prelevare le risorse dagli investimenti per dare al settore pubblico non produttivo, ai disagiati, in particolare alle masse di immigrati che si riverseranno nel nostro paese. Non si vanti il Governo Prodi dell'analisi dell'evoluzione della finanza pubblica degli ultimi 15 anni, in particolare che il saldo corrente ha registrato un attivo pari allo 0,3 per cento del PIL nel 1998, epoca del Governo di centrosinistra, perché ancora oggi i contribuenti e le imprese ricordano l'aumento della pressione fiscale operata dai precedenti Governi di centrosinistra, i quali ci hanno consentito di entrare nell'unione monetaria indeboliti e dissanguati.
I principi su cui si sviluppa la programmazione economica del Governo sono: crescita, risanamento ed equità. Per quanto riguarda la crescita, un po' di onestà dopo il continuo vilipendio operato nei confronti del Governo Berlusconi! Nell'analisi della mancata crescita ammiriamo che il centrosinistra si autoaccusi rilevando che l'Italia ha accumulato un grave ritardo nella crescita economica Pag. 66proprio a metà degli anni Novanta, quando erano loro alle redini del paese. Le cause risiedono in un apparato amministrativo arretrato, una pressione fiscale elevata, una mancanza di infrastrutture, una spesa pubblica non controllata.
Oggi con il DPEF il Governo propone un impegno per aumentare l'occupazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori più anziani: e come, se hanno sempre ostacolato la maggiore flessibilità dei contratti di lavoro? Come creare disponibilità nelle imprese per le nuove assunzioni, se le medesime non possono contare sul sostegno del Governo (si veda la questione dell'IRAP)? Belli gli intenti dell'impegno per le pari opportunità e per l'inserimento dei giovani nel settore del lavoro, la riduzione del cuneo fiscale sui contratti a tempo indeterminato e la creazione degli asili nido! Per la famiglia si promettono maggiore sostegno e servizi sociali. Tutto ciò è condizionato alla crescita dell'economia, per la quale si promette sostegno in termini di contesto, innovazione, ricerca e fiscalità.
Per quanto concerne la fiscalità, il Governo si riferisce al recupero immediato dei margini di competitività attraverso la riduzione dei costi di produzione e, in particolare, del lavoro.
Nel Documento si afferma che la riduzione del cuneo non intaccherà le aliquote contributive dei lavoratori destinate alle pensioni e all'assicurazione generale per l'invalidità e vecchiaia. Non solo, ma è intenzione del centrosinistra aumentare la contribuzione dei contratti anticipi al fine di arrivare quasi all'equiparazione dei contratti a tempo indeterminato. Ciò significa recuperare le risorse a carico delle imprese e dei lavoratori precari: ecco una delle fonti con cui si smaschererà la copertura finanziaria della riduzione del cuneo fiscale! Per quanto il costo del lavoro verrà ridotto, l'Italia non sarà mai competitiva rispetto alle produzioni cinesi dove il costo del lavoro è, a volte, pari a zero.
In materia di controllo della spesa pubblica preoccupa che gli interventi per arginare la continua crescita siano, in primo luogo, gli interventi sulle entrate, ossia più imposte, e, in seconda battuta, sui comparti di spesa relativi all'apparato pubblico, alla sanità, al sistema pensionistico e alla finanza degli enti decentrati.
Un'espediente, proposto per monitorare la spesa pubblica, è quello di modificare i processi di formazione del bilancio e la riclassificazione del medesimo, laddove nulla sarebbe più efficace della decisione politica e coraggiosa di ridurre la destinazione di risorse all'apparato pubblico. Del resto, un Governo che si è insediato, aumentando in maniera consistente le poltrone dei ministri e dei sottosegretari - soprattutto facendo dimettere dalla carica di parlamentare i predetti sottosegretari per raddoppiare il numero di poltrone e di stipendi, con conseguente aumento degli oneri per il bilancio dello Stato - non può garantire un'efficace riduzione delle spese connesse all'apparato burocratico del paese e risulta contrastante con l'intenzione di offrire ai cittadini una pubblica amministrazione efficace, snella ed efficiente nella sua struttura organizzativa, come è riportato nel DPEF a pagina 124.
In merito ai governi locali e al federalismo fiscale, proprio perché nel DPEF si riconosce che la spesa degli enti locali è cresciuta, anche in seguito all'attribuzione agli stessi di nuove funzioni (proprio con la legge Bassanini varata dal Governo di centrosinistra nella XIII legislatura), necessita, non essendo più procrastinabile, l'attuazione di un effettivo federalismo fiscale che dia autonomia impositiva agli enti locali e territoriali, riducendo nel contempo le risorse destinate al Governo centrale e sprecate nei meandri di una pubblica amministrazione inefficiente.
Come sostenuto dalla Lega Nord, solo la gestione a livello territoriale delle risorse finanziarie può consentire ai cittadini di vedere gli effetti della loro contribuzione fiscale, nonché di avere più controllo sul modo in cui viene gestito il loro denaro. Pertanto, appare riduttiva la proposta del Governo di dare una forma compiuta al federalismo fiscale italiano, mentre occorre concentrare l'attenzione soprattutto in un sistema di rafforzamento Pag. 67del monitoraggio sul rispetto del patto di stabilità, anche con meccanismi sanzionatori, per assicurare il rispetto dei parametri di finanza pubblica.
Il Governo parla di definizione condivisa delle risorse finanziarie destinate dalla regione agli enti locali, di maggiore partecipazione alla formazione del bilancio dello Stato e di maggiore responsabilità finanziaria.
Tutto ciò, però, è ben distante dalla nostra idea di federalismo fiscale.
Per ogni altro aspetto da me non trattato, evidenzio che la relazione di minoranza è stata predisposta in maniera condivisa da tutti i gruppi di opposizione: pertanto, per ragioni di brevità, rinvio a tutte le argomentazioni in essa contenute (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Ricci. Ne ha facoltà.
ANDREA RICCI. Signor Presidente, colleghe deputate e colleghi deputati, l'Italia vive oggi, simultaneamente, tre gravi emergenze. La prima è quella economica, che si manifesta nella prolungata stagnazione dell'attività produttiva e, in modo ancora più significativo, nel crollo della produttività totale dei fattori, ad indicare una rilevante perdita di efficienza nell'organizzazione tecnica della produzione.
Contrariamente a quanto si è sostenuto per lungo tempo, i problemi dell'economia italiana non derivano affatto da un alto costo del lavoro o da una eccessiva rigidità del suo impiego: al contrario, infatti, sotto tali aspetti il nostro paese presenta oggi un vantaggio comparato rispetto agli altri Stati aderenti all'Unione europea.
I problemi dell'economia italiana, invece, hanno origine da una scarsa propensione delle imprese all'investimento produttivo e all'ammodernamento tecnologico: vorrei osservare, a tale riguardo, che il Documento di programmazione economico-finanziaria individua, in modo convincente, alcuni elementi che spiegano questa «pigrizia» imprenditoriale.
Tuttavia, se si volesse riassumere in una formula sintetica l'origine delle difficoltà strutturali dell'economia italiana, si dovrebbe porre l'accento sui diffusi fenomeni di «patrimonializzazione» - in particolare, di carattere finanziario - che hanno contrassegnato il comportamento dei principali operatori economici. Le politiche di privatizzazione degli anni Novanta, anziché introdurre maggiore concorrenza, si sono sovente tradotte nella sostituzione di monopoli privati ai precedenti monopoli pubblici, nonché nello smantellamento di interi settori strategici della nostra industria. La ricerca ossessiva di posizioni di rendita è diventata, così, il carattere distintivo dell'economia italiana.
La seconda emergenza che vorrei evidenziare è quella sociale, caratterizzata da una forte e crescente polarizzazione nella distribuzione del reddito e della ricchezza a vantaggio del capitale ed a danno del fattore lavoro. Tale andamento distributivo ha fatto sì che le retribuzioni nette di un lavoratore italiano siano oggi ben al di sotto di quelle di un corrispondente dipendente tedesco o francese.
Le riforme previdenziali, la riduzione dei livelli di protezione sociale derivante dai tagli alla spesa pubblica e l'estensione generalizzata della precarietà hanno ulteriormente peggiorato la distribuzione del reddito a danno degli anziani, delle donne e dei giovani. Una parte considerevole delle famiglie italiane vive oggi, in particolare nel Mezzogiorno, in condizioni di povertà o comunque di seria difficoltà economica, ed è costretta a razionare i propri consumi e a non poter soddisfare pienamente i propri bisogni, compresi quelli primari.
Nello stesso tempo, invece, gli strati sociali superiori hanno accumulato enormi ricchezze, reali e finanziarie, ed hanno vistosamente incrementato i propri consumi superflui e di lusso. Cresce nel paese, ormai, un diffuso sentimento di «insopportabilità», anche morale, nei confronti di una distribuzione del reddito e della ricchezza così diseguale ed ingiusta. La redistribuzione del reddito torna, quindi, ad essere uno dei compiti fondamentali della politica economica.Pag. 68
La terza emergenza è quella finanziaria, derivante dal sensibile deterioramento dei conti pubblici avvenuto nel corso degli ultimi cinque anni. Noi, come è noto, non siamo tra i fautori dell'ortodossia monetaria ad ogni costo. La nostra critica al Trattato di Maastricht ed al Patto di stabilità e crescita rimane intatta, poiché tali strumenti, viziati da un approccio ideologico di stampo neoliberista, antepongono la ricerca ossessiva del pareggio di bilancio ad obiettivi di benessere sociale.
Essi dovrebbero essere superati, pertanto, a favore di una politica economica europea più unitaria e coordinata. Riteniamo, pertanto, che il nuovo Governo debba farsi promotore di un'iniziativa, in sede comunitaria, volta ad aprire una discussione tesa a rivedere gli attuali meccanismi che presiedono le regole della politica economica europea, comprese quelle che riguardano la gestione e le finalità della politica monetaria condotta dalla Banca centrale europea.
Tuttavia, quello che è accaduto negli ultimi cinque anni non ha nulla a che fare con tutto ciò. Il disastroso fallimento della politica economica del Governo Berlusconi consiste nell'aver generato una situazione di grave crisi finanziaria dello Stato senza che ciò abbia prodotto alcun beneficio in termini di maggiore sviluppo economico e di maggiore equità sociale. Al contrario, il deterioramento dei conti pubblici è stato usato per favorire ancora di più gli strati ricchi e privilegiati della popolazione.
Questa eredità disastrosa impone oggi alla nuova maggioranza di perseguire i propri obiettivi di sviluppo e di giustizia sociale all'interno di un'inevitabile operazione di risanamento dei conti pubblici. Per queste ragioni condividiamo la strategia di politica economica delineata nel programma dell'Unione, fondata sul simultaneo perseguimento dei tre obiettivi del risanamento, dello sviluppo e dell'equità. Questa strategia, complessa e difficile, impone che ogni misura di politica economica contenga in sé i tre obiettivi respingendo ogni logica dei due tempi.
Sulla base di ciò abbiamo espresso, pur nella condivisione dell'impianto di fondo, una valutazione critica su alcuni aspetti del DPEF ed auspichiamo che la discussione parlamentare e la conseguente risoluzione finale consenta di fugare pienamente i nostri dubbi e le nostre perplessità e crediamo che la relazione dell'onorevole Ventura dia un contributo in questa direzione.
In primo luogo, l'entità complessiva della manovra per il 2007 appare particolarmente onerosa. In particolare, ci preoccupano i previsti effetti recessivi che ridurrebbero dello 0,3 per cento il tasso di crescita tendenziale, pesando in particolare sulla spesa delle famiglie. Siamo convinti che il sostegno della domanda interna, da realizzare soprattutto attraverso interventi redistributivi, debba essere una delle componenti della strategia di rilancio economico. Sarebbe un errore riproporre senza correzioni il tradizionale modello di sviluppo italiano fondato prioritariamente sulle esportazioni e, conseguentemente, privilegiare esclusivamente interventi sul lato dell'offerta. Domanda ed offerta sono come le due lame di una forbice i cui movimenti devono essere tra loro coordinati. La ristrutturazione dell'offerta, che va perseguita nel quadro di una nuova programmazione democratica, non solo con le liberalizzazioni, ma anche con un nuovo intervento pubblico rivolto in particolare allo sviluppo del Mezzogiorno, deve quindi andare di pari passo ad una riqualificazione della domanda anche nella sua componente interna e ciò non può essere fatto nell'ambito di una politica di puro contenimento quantitativo. Sarebbe stato, pertanto, auspicabile che gli interventi necessari al conseguimento degli impegni europei fossero stati ripartiti sul biennio 2007-2008 anziché sul solo 2007. Il lassismo del precedente Governo rende, ad oggi, impossibile praticare questa strada. Tuttavia, riteniamo che occorra riproporre la questione in sede europea, anche alla luce della determinazione dimostrata dall'attuale Governo nel perseguire, fin da subito, il risanamento. In ogni caso, siamo fiduciosi che le stime sull'andamento delle entrate e delle spese, incorporate in modo estremamente prudenziale Pag. 69nel quadro tendenziale del DPEF, possano risultare migliori già in sede della prossima relazione trimestrale di cassa e che ciò possa consentire, nell'ormai usuale nota di aggiornamento del DPEF, di rivedere l'entità complessiva della manovra al fine di minimizzarne gli effetti recessivi.
Per quanto attiene al quadro programmatico di medio periodo, siamo convinti che l'avvio di una politica economica orientato allo sviluppo e all'equità possa portare maggiori frutti in termini di crescita rispetto a quelli prospettati nel DPEF alla fine del quinquennio e, pertanto, che gli obiettivi di riduzione del debito pubblico possano essere conseguiti in modo meno traumatico, in particolare rispetto all'entità dell'avanzo primario a fine legislatura.
In secondo luogo, in merito alla composizione della manovra per il 2007 riteniamo indispensabile porre una maggiore enfasi sulla politica delle entrate, chiarendo fin da subito le linee ed i principi generali degli interventi necessari per riequilibrare il carico fiscale tra le diverse categorie di reddito e per garantire maggiori introiti tributari. Per questo già nella prossima legge finanziaria occorrerà inserire quegli interventi indicati nel programma dell'Unione e tesi ad aumentare la base imponibile attraverso un piano organico di misure volte a combattere l'evasione e l'elusione fiscale definendo specifici strumenti e precisi obiettivi quantitativi; ad uniformare la tassazione sulle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni portandone il livello di imposizione sugli standard medi europei; a rivedere il cosiddetto secondo modulo della riforma IRE adottato dal precedente Governo al fine di ripristinare una più accentuata progressività nell'imposizione diretta.
In terzo luogo, per quanto attiene alle necessarie misure di contenimento della dinamica della spesa pubblica, gli interventi devono essere rivolti essenzialmente alla riqualificazione e alla razionalizzazione, garantendo, in ogni caso, il mantenimento e, laddove occorra, il potenziamento degli attuali livelli di protezione sociale.
Gli obiettivi di risanamento non possono andare a detrimento degli obiettivi di riforma e di estensione del welfare, delineati con precisione nel programma dell'Unione e non adeguatamente ripresi nel testo del DPEF, in particolare sul fronte della lotta alla precarietà del lavoro. Così come occorre mantenere fede agli impegni assunti sul tema delle politiche abitative, per dare risposta ad un problema sempre più drammatico, come quello della possibilità di accesso alla casa di larghe fasce della popolazione, in particolare quella giovanile.
Occorre, inoltre, chiarire, senza ombra di dubbio, che non rientrano negli intendimenti dell'attuale Governo, in quanto contrari al programma dell'Unione, gli interventi strutturali tesi a ridurre la copertura previdenziale per i lavoratori, come, ad esempio, attraverso l'aumento dell'età pensionabile.
Sul fronte pensionistico, un migliore equilibrio finanziario deve essere perseguito, se necessario, innanzitutto attraverso la graduale uniformazione delle aliquote contributive tra le diverse categorie di lavoratori, la separazione tra assistenza e previdenza, la lotta serrata all'evasione contributiva e l'adozione di misure di equità, come la riduzione delle cosiddette pensioni d'oro. Questi interventi, se attuati con serietà, appaiono del tutto sufficienti a garantire l'equilibrio finanziario di lungo periodo del sistema previdenziale.
Sul fronte della spesa sanitaria, ancora oggi inferiore alla media europea, nell'immediato occorre puntare ad una stabilizzazione e non ad una riduzione della spesa rispetto al PIL, attraverso una piena responsabilizzazione delle regioni. In prospettiva, occorre garantire che le risorse destinate alla sanità siano adeguate a garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale, mantenendo l'impianto universalistico del nostro sistema sanitario, la cui logica esclude barriere ai servizi, come quelle rappresentate da ticket generalizzati.
Per quanto attiene agli enti locali, taglieggiati dal precedente Governo, l'abbandono del vincolo dei tetti di spesa ed il Pag. 70ritorno al vincolo dei saldi potrà, di per sé, consentire un rallentamento della dinamica complessiva di spesa, garantendo l'autonomia e la correlata responsabilità alle amministrazioni locali.
Sul pubblico impiego, riteniamo necessario procedere ad una profonda riqualificazione della sua struttura in termini di competenze e di professionalità, in primo luogo, attraverso la stabilizzazione dei tanti lavoratori precari. Una grande operazione di riforma e di ammodernamento della pubblica amministrazione è in grado di produrre il duplice effetto del miglioramento dell'efficienza e del contenimento della spesa, senza necessità di procedere a tagli indiscriminati e selvaggi.
Un'altra questione sulla quale attendiamo ulteriori elementi dal Governo riguarda il terzo pilastro della politica economica annunciata, ossia la redistribuzione del reddito. Riteniamo che negli interventi a favore dello sviluppo debbano trovare adeguato spazio anche misure direttamente redistributive, tra le quali assumono particolare ed immediato rilievo la restituzione del fiscal drag ai lavoratori e ai pensionati ed un'equa ripartizione della riduzione selettiva del cuneo fiscale tra lavoratori ed imprese.
Vorrei concludere il mio intervento, signor Presidente, citando un ultimo punto. Crediamo che il tasso di inflazione programmata nel prossimo quinquennio debba essere fissato in linea con le stime di inflazione reale, e non essere fittiziamente utilizzato come strumento di riduzione del costo del lavoro.
PRESIDENTE. La prego...
ANDREA RICCI. In conclusione, come si può vedere, i punti da noi sollevati sul DPEF vanno nella direzione di una maggiore specificazione dell'impianto strategico di politica economica già delineato nel programma dell'Unione. A quell'impianto siamo fedeli, perché esso costituisce il cemento su cui si fonda la coalizione e contiene le risposte per uscire dalla grave crisi in cui si dibatte il paese.
Ci attendiamo che lo spirito riformatore che anima quel programma possa trovare risposta nella prossima manovra finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romagnoli. Ne ha facoltà.
MASSIMO ROMAGNOLI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, all'apertura del Documento di programmazione economico-finanziaria, leggo un aforisma di Immanuel Kant. Vi vorrei ricordare che tutto ciò che viene detto, oggi come ieri, è contestualizzato nel periodo storico in cui si vive. Quindi, vi sarei grato, vista l'importanza della discussione di un Documento di programmazione economico-finanziaria, di tenere fuori da tale discussione sia i filosofi che i cantori greci e di attualizzare il pensiero e l'azione sulle prospettive di oggi e del futuro del nostro paese.
Alla presentazione del suo DPEF, il ministro afferma che la politica economica del suo Governo è chiamata ad agire su tre fonti (sviluppo, risanamento ed equità), ma non si capisce come questa manovra finanziaria per il 2007 rispecchierà tale impostazione. Lei dichiara che la manovra complessiva sarà pari a 35 miliardi, di cui 20 destinati alla riduzione del deficit e 15 a misure di promozione della crescita, della competitività e dell'equità sociale. Qualsiasi neofita di studi economici capirebbe che i 20 miliardi - destinati alla riduzione di un deficit che, superando i 1.560 miliardi di debito pubblico, non rappresenta neanche lo 0,02 per cento - equivalgono a curare un malato di cancro con un'aspirina da banco in vendita presso i supermercati, come recita il cosiddetto decreto Bersani.
Ben altro ci vuole, caro ministro, per un paese che lei, il suo Presidente e la sua maggioranza avete descritto in questi ultimi mesi agli italiani. Consiglierei a lei e alla sua maggioranza, dopo cento giorni di Governo, di includere nella riduzione del deficit anche le generose parcelle elargite a Consorte ed a Sacchetti sullo scandalo, oramai insabbiato, di Unipol e BNL: allora Pag. 71sì che lei vedrebbe drasticamente diminuire il debito pubblico!
Lei afferma che questa correzione avrà carattere strutturale, cosa che credono solamente coloro che sono completamente a digiuno di economia e finanza. Ben altre sono le correzioni strutturali che, secondo la mia opinione e valutazione, vanno rimodulate, se vuole usando e abusando di un termine a voi molto chiaro, cioè quello della concertazione. Allora, permettetemi di fare luce su una delle più importanti promesse elettorali dell'attuale Governo che, tristemente, vado a smontare.
A pagina 125 del vostro DPEF - ove menzionate il cuneo fiscale, l'occupazione e la produttività -, si evince chiaramente una doppia discriminazione: una, quando parlate di selettività nell'applicazione del cuneo fiscale solo per un totale del 5 per cento delle industrie presenti sul territorio nazionale, dove il rimanente 95 per cento, essendo costituito da piccole e medie industrie, viene discriminato; l'altra riguarda il lavoratore dipendente, il quale non riceve alcun beneficio per la riduzione delle sue tasse.
Durante la vostra forsennata campagna elettorale, lo slogan era «non si arriva alla fine del mese», mentre oggi, secondo una logica tutta mediatica, improvvisamente stiamo tutti bene. Il fatto è che da quando siete al Governo tutto è aumentato, elettricità, gas, sigarette, alcoolici, benzine, e nessuno parla più di difficoltà delle famiglie, del piagnisteo sindacale e dello sciopero selvaggio: scomparso e finito a «Chi l'ha visto»?
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MASSIMO ROMAGNOLI. Con il vostro DPEF avete programmato una società di povertà, avete creato nel circuito mediatico una società a vostra immagine e somiglianza.
Concludo, rendendo noto a tutto il Parlamento il mio immenso dispiacere nel non aver letto nel DPEF neanche un provvedimento a favore delle nostre rappresentanze diplomatiche all'estero, che rispecchiano agli occhi del mondo intero il grave stato di salute del nostro paese; ma ancor più grave è la latitanza del Governo nei confronti dei nostri connazionali all'estero.
PRESIDENTE. Onorevole Romagnoli, la invito a concludere.
MASSIMO ROMAGNOLI. Nessuna agevolazione, nessun conforto, ma solo tanti danni, a cominciare dalla soppressione del Ministero per gli italiani nel mondo. Se il Governo Prodi predica e sbeffeggia tanto sulla vittoria delle elezioni politiche grazie al voto degli italiani all'estero, si preoccupasse di diminuire del 50 per cento l'ICI sulle case in Italia e di abolire totalmente l'IVA sull'acquisto di materiale edile per coloro che decidono di ritornare e costruirsi casa in Italia. Io farò la mia battaglia per gli italiani all'estero, dove sono stato eletto: mi auguro che l'opposizione tutta la faccia mobilitando la società italiana.
PRESIDENTE. Vorrei invitare i colleghi a rispettare i tempi loro assegnati, altrimenti sarò costretto a decurtare il tempo attribuito ad altri colleghi di gruppo. Vi prego quindi di evitare che questa penalizzazione possa ricadere su altri colleghi del vostro stesso gruppo.
È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, credo che l'intervento del collega Romagnoli dimostri forse, che l'assunzione di un punto di vista kantiano, critico e autocritico, non guasta perché ho sentito degli eccessi che, sinceramente, lasciano un po' sconcertati.
Al di là di questo, noi abbiamo a che fare con un DPEF - è già emerso nel corso della discussione - che presenta una previsione quinquennale di legislatura e prospetta cifre e stime prudenziali.
È un dato di novità, perché veniamo da cinque Documenti di programmazione economico-finanziaria nei quali abbiamo dovuto verificare scostamenti rilevanti tra Pag. 72cifre estremamente ottimistiche previste in entrata e cifre estremamente desolanti rilevate poi a consuntivo. Penso che la prudenza e la ragionevolezza di queste stime siano uno degli elementi di forza di questo Documento, pur nella genericità che è propria di tutti i Documenti di programmazione economica e finanziaria.
L'entità della manovra, 35 miliardi di euro, è certamente significativa - lo hanno rilevato anche colleghi della maggioranza - ma è un'entità dovuta, se non si vuole che gli unici interventi che ci si appresta a fare riguardino la componente correttiva della manovra. I 20 miliardi di euro che costituiscono la componente correttiva della manovra, tra l'altro, non sono neanche una scelta, ma rappresentano la necessità di farsi carico di un percorso di rientro concordato con l'Unione europea. È del tutto evidente che, se insieme e contestualmente al risanamento si vuole puntare sullo sviluppo e sulla crescita, questi 20 miliardi di euro debbono essere accompagnati da una quota significativa destinata allo sviluppo e all'innalzamento della competitività del paese.
Peraltro, anche un altro tema emerso, il vincolo della data del 2007, oggetto di discussione anche all'interno della nostra Commissione, merita qualche riflessione. Non possiamo non ricordare che tale data non è nelle disponibilità del nostro Governo, e non lo è nella misura in cui l'Italia, proprio perché viene da anni di finanza non irreprensibile, è «sorvegliata speciale» a livello europeo.
Nello stesso tempo, dobbiamo anche tenere conto del fatto che, responsabilmente, questa maggioranza ha scelto di concentrare il grosso dell'intervento sulla legge finanziaria del 2007. Lo ha fatto non tanto per trovare un accordo al proprio interno, quanto, piuttosto, per la necessità di concertare in maniera seria con le realtà economiche e sociali e con gli enti territoriali una serie di interventi in quattro comparti particolarmente delicati, richiamati negli interventi che mi hanno preceduto, che non possono essere oggetto di interventi dirigistici e centralismi. Mi riferisco alla necessità, da più parti richiamata, non solo di salvaguardare lo Stato sociale e di qualificare la spesa pubblica, ma di rendere più inclusivo il nostro livello di welfare. È quindi del tutto evidente che gli interventi di razionalizzazione non possono presentarsi in un'ottica punitiva di puro e semplice taglio e non possono neanche essere volti all'obiettivo di fare cassa. Essi debbono perseguire l'obiettivo di qualificare la nostra spesa pubblica e di qualificare il nostro sistema sociale.
Venendo allo specifico della Commissione finanze che si è occupata di questo tema, vorrei svolgere solo una osservazione. Nel parere che abbiamo approvato in Commissione, abbiamo ritenuto di porre particolare attenzione sulla necessità di una verifica e di una ridefinizione del secondo modulo della riforma Tremonti. Pensiamo che da lì si possano recuperare risorse da distribuire sui redditi medio-bassi e da destinare alla competitività delle imprese, così come abbiamo ritenuto sia necessario che nella legge finanziaria per il 2007 il Governo preveda misure efficaci per la restituzione del cosiddetto fiscal drag e anche misure in favore degli incapienti, ossia di coloro che, percependo redditi al di sotto dell'imponibile, non ricevono alcun giovamento da un sistema fiscale basato su deduzioni, mentre dovrebbero essere aiutati attraverso detrazioni in positivo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, per brevità, mi occuperò semplicemente degli argomenti che riguardano la Commissione di cui faccio parte, ossia la XIII. A dire la verità, in tale Commissione non abbiamo avuto la possibilità di studiare ed approfondire il dibattito sul DPEF, ma questa è una questione non da trattare in Assemblea. Domani, chiederemo un appuntamento al Presidente della Camera, anche perché, in questo momento, le condizioni per un dibattito e, quindi, la possibilità di intervenire democraticamente sulle questioni Pag. 73di nostra attinenza, in XIII Commissione non sussistono. Ma questo, ripeto, è un tema che affronteremo domani, quando i rappresentanti della Casa delle libertà chiederanno un confronto con il Presidente della Camera.
Passando allo specifico, quando abbiamo letto il DPEF, ci siamo resi conto che vi è una serie di questioni che vengono puntualizzate, quali, ad esempio, la tutela delle fasce più deboli nel settore agricolo, l'incremento di esportazioni e promozioni, le politiche di accorpamento aziendale e le politiche di stabilità fiscale. In effetti, sono queste le vere questioni che, guarda caso, ripercorrono alcuni punti salienti della politica del Governo degli scorsi cinque anni, ossia del Governo Berlusconi. Infatti, proprio di ciò ci stiamo occupando, con la tutela del made in Italy e con la tutela del prodotto italiano in sede di trattative della WTO. Ci siamo occupati di accrescimento aziendale ed accorpamento aziendale, di tutte le politiche messe in atto, con il meccanismo delle incentivazioni e delle disincentivazioni, con il decreto legislativo n. 99 del 2004. Ci siamo occupati di stabilizzazione del regime fiscale in agricoltura, con il decreto-legge n. 35 del 2005. Ci siamo occupati di fasce più deboli, quando abbiamo trattato una serie di questioni ed una serie di interventi straordinari in materia di calamità naturali e contro le crisi di mercato.
Nella proposta del Governo manca una serie di punti veramente importanti e siamo estremamente allarmati per tali carenze. Non si parla di OGM e non vi è alcuna posizione su tale materia, probabilmente perché si tratta di un tema, seppur importantissimo, sul quale l'attuale maggioranza non ha una unicità di intenti. Non si parla di biotecnologie, non vi sono indirizzi nei confronti di colture alternative che possono dare respiro e risposte ad un settore in crisi. Manca la parola «pesca», ossia un settore importantissimo e strategico del sistema produttivo dell'agroalimentare italiano. Non si parla di promozione italiana in difesa della pesca mediterranea e non si parla, soprattutto, di quei rifinanziamenti e di quelle misure legislative, quali la legge n. 30 del 2003, ed anche di altre misure che noi abbiamo introdotto ed abbiamo comunque supportato. Non vi è alcun cenno alla politica del Governo in merito alle problematiche relative ai costi energetici della pesca.
Mi avvio alla conclusione perché ho esaurito il tempo...
PRESIDENTE. No, dovrebbe proprio concludere, perché il suo tempo è già esaurito.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Senz'altro, signor Presidente.
Ci siamo resi conto che si tratta di un Documento superficiale, con alcuni buoni propositi, ma con molte ovvietà ed alcune elusioni. Non si affrontano le problematiche, non sono indicate soluzioni e non vi è un'idea di risoluzione forte per il sistema dell'agroalimentare; pertanto, il nostro parere è sicuramente negativo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ossorio. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, devo anzitutto constatare il tentativo del Governo di delineare un'impostazione di politica economica e finanziaria di lungo periodo, con un DPEF che copre l'intero arco della XV legislatura. Il DPEF, in tal modo, costituisce - a mio avviso - un manifesto programmatico che il Governo intende realizzare.
Mentre apprezzo la scelta compiuta nel dedicare un'apposita sezione di tale Documento ai problemi ed ai possibili interventi riguardanti il sud del paese, debbo constatare che il Mezzogiorno è diventato un punto residuale dell'intera politica economica del paese. Eppure, come si può evincere dai dati contenuti nello stesso DPEF, dopo diversi anni - dal 1995 al 2004 - in cui la crescita del Mezzogiorno si era attestata a livelli superiori rispetto alla media del resto del paese, tale trend positivo si è interrotto, facendo registrare una serie di risultati negativi, che hanno riproposto con forza il problema dello sviluppo meridionale.Pag. 74
Dobbiamo avere chiaro, onorevoli colleghi, che il livello del prodotto del meridione risulta ben lontano dal suo valore potenziale. Ciò, se, da un lato, costituisce elemento di preoccupazione, dall'altro, è indice delle grandi possibilità di sviluppo insite in tale area del paese.
Soffermarsi sulle questioni che attengono alla crescita del Mezzogiorno non deve essere considerato l'ennesimo tentativo di rivendicazione né, tantomeno, di recriminazione. Non è un momento giaculatorio. L'obiettivo è piuttosto quello di porre in risalto le grandi potenzialità di questa parte del nostro territorio ed il ruolo che esso potrebbe ricoprire nell'implementazione del programma di Governo; questo, se il Governo Prodi ha una tendenza inversa a quella che il Governo Berlusconi ha avuto nei confronti del Mezzogiorno.
Nonostante da più parti si sia giudicata oltremodo ambiziosa la scelta di perseguire contemporaneamente obiettivi di crescita economica e di equità sociale, non si dovrebbe sottovalutare l'opportunità offerta da un'efficace politica economica volta a favorire e a sostenere la crescita delle regioni meridionali in termini di contestuale ridimensionamento di una delle maggiori sperequazioni presenti nel nostro paese, ossia quella territoriale. La scelta adottata dal Governo di puntare su una strategia dell'offerta che incrementi gli investimenti pubblici di qualità nel Mezzogiorno è pienamente condivisibile. L'aumento delle infrastrutture materiali ed immateriali e dei servizi offerti dallo Stato potrà costituire un valido strumento di incentivazione e di sostegno per l'iniziativa privata locale, ed in tal senso attendiamo la prossima finanziaria. Va considerato infatti che troppo spesso gli imprenditori meridionali si trovano isolati nello svolgimento della loro attività, sia a causa della carenza di infrastrutture adeguate sul territorio, sia a causa dei rischi che una diffusa criminalità comporta per il loro lavoro.
Il Mezzogiorno rappresenta un punto di forza, non soltanto per ciò che attiene al rilancio della domanda interna, ma anche e soprattutto per ciò che riguarda la domanda estera e la crescita derivante dall'intensificazione degli scambi commerciali con gli altri paesi. Negli ultimi anni l'esposizione della concorrenza internazionale e la stagnante produttività della nostra economia hanno condotto ad un peggioramento del saldo commerciale, ad una riduzione della quote di mercato e ad una diminuzione degli investimenti diretti all'estero. Le imprese italiane, la cui produzione si concentra in settori ad alta intensità di lavoro e con scarsa innovazione tecnologica, non sono state in grado di confrontarsi in modo competitivo, sul mercato degli scambi internazionali, con quelle delle economie emergenti.
In questo contesto, il processo di nuova industrializzazione del Mezzogiorno, che noi chiediamo con forza in questa sede, potrebbe costituire un trampolino di lancio per la nostra economia, sotto due aspetti fondamentali. Da un lato, infatti, si tratta di favorire lo sviluppo di investimenti in settori tecnologicamente avanzati, sì da favorire i primi passi verso un recupero di competitività della nostra industria e dei suoi prodotti sui mercati internazionali. Dall'altro, la scelta del Mezzogiorno quale beneficiario privilegiato di tali interventi costituirebbe una strategia di politica commerciale volta ad individuare nelle regioni meridionali la piattaforma di riferimento per tutti gli scambi con le economie emergenti che si affacciano sul Mediterraneo. In questo senso, ci pare estremamente significativo - vorrei che il Governo la accompagnasse in modo costante; in ciò rivolgo un appello al rappresentante del Governo oggi qui presente, perché se ne faccia carico - il parere favorevole della Commissione europea ad un fondo italiano di cento milioni di euro a favore del capitale di rischio impegnato in investimenti di piccole e medie imprese innovative nel sud; questo in special modo nella fase iniziale dell'attività.
Ricordiamo tutti che la Commissione europea fu molto esitante nel 2005. Ora ha sciolto le riserve ed ha giudicato la misura attuabile nel 2007. Dobbiamo però essere Pag. 75molto attenti, perché questo non riduce le remore della Commissione europea verso altri espedienti per il Mezzogiorno. Tuttavia, dobbiamo dire che questo provvedimento europeo è un punto assai positivo, anche perché le piccole e medie imprese sono, come si sa, il cuore e le viscere dell'economia meridionale, che rappresenta la parte attualmente più dinamica di tutta l'economia italiana; senza sottacere che la maggior parte di esse (piccole e medie imprese) sono in una certa misura al nord ma anche al sud. In tal senso, il Governo nazionale dovrebbe attivare tutte le energie necessarie perché la politica economica del nostro paese incroci l'azione della Commissione europea in favore delle nostre regioni meridionali. In quest'ottica, si apprezza la scelta del Governo di allargare al Documento di programmazione economico-finanziaria il piano contenente lo stato di attuazione della legge obiettivo predisposto dal Ministro delle infrastrutture. Tuttavia, sarà necessaria un'inversione di tendenza dell'ammontare di risorse per il sud, che oggi sono esigue, come più volte è stato detto in quest'aula. Ci si augura che il Governo sarà in grado di dare piena attuazione ai programmi di sviluppo contenuti in tale Documento. Ciò nonostante, noi riteniamo che sia complessa la situazione del meridione.
Concludo, onorevoli colleghi, affermando che una fiscalità di vantaggio incentrata sulla previsione di crediti d'imposta per le imprese che intendano investire in queste aree del paese potrebbe costituire un ulteriore intervento a favore della crescita economica del sud. Ritengo che il presidente Duilio e l'onorevole Ventura debbano farsi carico di un confronto e di un rapporto forte con il Governo in questo senso.
Già nella precedente legislatura - e concludo - dal 1996 al 2001 il centrosinistra si è reso promotore di una simile iniziativa, ottenendo tra l'altro il via libera della Commissione...
PRESIDENTE. La ringrazio...
GIUSEPPE OSSORIO. Sarà ora opportuno - e concludo veramente, Presidente, le chiedo scusa - far tesoro delle precedenti esperienze ed adottare una manovra di politica fiscale differenziata che dia certezze e sostenga le imprese che scelgono di sviluppare la loro attività nel Mezzogiorno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Milanato. Ne ha facoltà.
LORENA MILANATO. Presidente, i pochi minuti che ci vengono messi a disposizione per intervenire oggi ci saranno comunque sufficienti, alla luce del fatto che il Documento di programmazione economico-finanziaria non offre molta materia di discussione. Gli obiettivi fissati - alcuni persino condivisibili, altri banali - non danno corpo ad un Documento di rilievo e in linea con le attese del nostro paese e dell'Europa. Per esempio, quando si parla di voler intervenire correggendo il disavanzo nel settore del pubblico impiego, nel sistema previdenziale, nella sanità o sulle pensioni, non si è forse in contraddizione con provvedimenti come quello, approvato pochi giorni fa, di riordino della funzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri? Un provvedimento in cui la spesa pubblica, sicuramente, non diminuirà ma, di certo, aumenterà. Per abbreviare il tempo, quindi, ci soffermeremo solo su alcune questioni; intendo però rinviare alla relazione di minoranza al preciso esame svolto dal collega Alberto Giorgetti.
Per quanto attiene alle aspettative delle imprese italiane, va detto che, benché nel Documento di programmazione economico-finanziaria sia inesistente l'attenzione del nostro Governo per esse, vi si trova solo ed esclusivamente una enunciazione degli obiettivi da perseguire, senza minimamente porre mano ai vari problemi, attraverso le azioni di governo di medio e di lungo termine; ad esempio, quello gravoso del costo di energia, anche questo sicuramente affrontato con troppa superficialità. Dunque, c'è un problema di grande criticità per le nostre imprese: non Pag. 76ritengo se ne parli in modo ampio e giustificativo. Ci limiteremo semplicemente a passare dal petrolio al gas, dal gas al carbone? Mi sembra troppo poco.
Che dire poi dell'assoluta mancanza di strategia per una delle parti più importanti della nostra economia (mi riferisco al settore del turismo)? Le tante criticate attenzioni poste da parte del Governo Berlusconi a questo comparto sono ormai nel dimenticatoio, come svanite nel nulla, a causa dell'incapacità di questa maggioranza non solo di trovare la strada per il rilancio del settore, ma anche per l'assoluta mancanza d'interesse per i problemi che vi si trovano. La perdita di competitività, ormai, è quasi giornaliera ed è sotto i nostri occhi per tutte le imprese che gravitano nel mondo del turismo.
Non si può, a mio avviso, che giudicare negativamente l'operazione che ha portato a sottrarre al Ministero delle attività produttive le competenze in materia di turismo e del commercio internazionale. In proposito, vorrei ricordare proprio come il Governo Berlusconi abbia potuto compiere significativi passi in avanti con riferimento allo sviluppo del commercio internazionale, proprio in ragione del fatto che la competenza in materia faceva capo al Ministero delle attività produttive.
Da ultimo, vorrei lanciare un appello a questa precaria maggioranza, che è quello di non buttare al vento tutto il lavoro normativo prodotto nella passata legislatura a favore di alcuni comparti professionali legati al mondo artigianale. Anzi, dovrebbe sicuramente ampliare, attraverso l'indicazione di altre categorie da valorizzare, quanto già è stato fatto.
Per concludere, signor Presidente, è di tutta evidenza che l'enunciazione di interventi troppo generici e, a volte, aleatori è da attribuirsi proprio alle forti differenze esistenti all'interno dell'attuale maggioranza di Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tuccillo. Ne ha facoltà.
DOMENICO TUCCILLO. Signor Presidente, mi limiterò - per brevità di tempo, ovviamente - ad una considerazione su un tema specifico afferente, come nel caso di alcuni interventi precedenti, alla questione del Mezzogiorno. Ebbene, secondo una visione a largo raggio della problematica, oltre tutte le notazioni già fatte dagli onorevoli Piro ed Ossorio, con riferimento all'arco di tempo che va dal 1995 sino al 2003 - ovvero al periodo compreso tra il primo Governo Prodi e, per così dire, la parte migliore del Governo Berlusconi -, noi troviamo un dato: il sud cresce, cresce di circa il 3,6 per cento; ma cresce, comunque, in misura molto inferiore al tasso di sviluppo di altri paesi poi entrati nell'Unione europea e, in ogni caso, anche in misura molto inferiore rispetto a quei paesi che, già appartenenti all'Unione, si trovavano in condizioni di difficoltà come il nostro Mezzogiorno. Alcuni di questi paesi sono cresciuti circa il doppio del sud d'Italia; un paese come l'Irlanda è cresciuto circa tre volte più del Mezzogiorno.
Se poi consideriamo gli anni 2004 e 2005, la situazione precipita in modo verticale: nel 2004, per la prima volta dopo sette anni, il sud cresce meno della restante parte del paese; nel 2005, si abbassano drasticamente e vanno in negativo tutti i dati macroeconomici. Il PIL scende sotto lo zero; la spesa per gli investimenti scende a meno 0,9; i consumi delle famiglie si attestano a meno 0,3.
D'altra parte, la «furbizia», compiuta con la finanziaria per il 2006, di far slittare i fondi per i cofinanziamenti europei al 2009 - quando sappiamo che al 2006 era fissata la data di scadenza per gli impegni ed al 2008 quella per i pagamenti - comporta che, difatti, quei 15 miliardi che il Governo Berlusconi dichiarava di prevedere in realtà vengono completamente meno e abbiamo un abbattimento del meno 34 per cento nella spesa per investimenti nel Mezzogiorno.
Questo è il quadro nel quale ci troviamo e rispetto al quale, oggi, la situazione del sud sconta due condizioni di crisi fondamentali. La prima, è la competizione con gli altri paesi dell'est europeo, che hanno una specializzazione produttiva e costi del lavoro molto più bassi, sicché Pag. 77sono molto più competitivi. La seconda, è la minore disponibilità delle risorse europee per le politiche di coesione. Quindi, noi ci troviamo a dover recuperare rispetto al quadro comunitario di sostegno che è stato «aggirato» dalla finanziaria per il 2006 e a prevedere politiche di intervento a sostegno del Mezzogiorno.
Cosa facciamo, in questo quadro? Sono sufficienti le indicazioni che vengono dal Documento di programmazione economico-finanziaria? Ebbene, ad una prima lettura, francamente, si risponderebbe di no. Sono misure che positivamente si collocano in una certa direzione ma che non appaiono sufficienti a fronteggiare una questione che giustamente è stata definita di unità nazionale e di ripresa del sistema paese; in termini, quindi, di realtà nazionale, e non di Mezzogiorno inteso quale realtà separata dalla parte restante del paese.
Su tale versante, il Documento di programmazione economico-finanziaria reca indicazioni interessanti; ad esempio, il proposito e l'indirizzo di aumentare la spesa per gli investimenti dal 38,7 per cento - addirittura, nel 2005, essa era scesa al 36,8, sotto il peso naturale del Mezzogiorno - al 42,3 per cento rappresenta un dato importante. Però, come sosteneva dianzi l'onorevole Piro, noi non possiamo rispondere a furbizie di altri con altre furbizie; non possiamo immaginare che la spesa per l'intervento straordinario serva a coprire la spesa ordinaria, che ugualmente deve essere attivata. Vogliamo, infatti, realizzare un'infrastrutturazione adeguata che, allo stato, è drammaticamente carente, non solo nelle infrastrutture materiali ma, a mio avviso, anche in quelle civili; mi riferisco, in particolare, all'amministrazione della giustizia civile e penale rispetto alla quale un intervento forte, determinato e consistente del Governo sarebbe quanto mai necessario, se veramente si vuole fronteggiare la situazione dell'ordine pubblico e della legalità nel Mezzogiorno.
L'altro aspetto sul quale mi soffermo...
PRESIDENTE. Onorevole ....
DOMENICO TUCCILLO. Concludo, Presidente.
L'altro intervento forte che compiamo è la riduzione del cuneo fiscale. Avevamo previsto il credito di imposta con grande vantaggio per il Mezzogiorno mentre il Governo Berlusconi ha risposto con la cosiddetta legge Tremonti-bis, spostando gli investimenti al nord: ora non possiamo concludere con una riduzione del cuneo fiscale che, di fatto, nella ripartizione, finirebbe per giovare, per il 90 per cento, al centro-nord e solo per il 10 per cento al sud.
Allora, è doveroso inserire misure di fiscalità di vantaggio, quali il credito d'imposta o quant'altro. Mi rivolgo al relatore per la maggioranza, onorevole Ventura, al presidente della Commissione Duilio ed al rappresentante del Governo che è presente in quest'aula per dire loro che uno sforzo in questo senso deve essere compiuto, per riequilibrare la situazione del paese e cercare di fronteggiare veramente, per la prima volta, questo problema, da intendersi come esigenza e come opportunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Germanà. Ne ha facoltà.
BASILIO GERMANÀ. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori del Governo, esaminando l'allegato II del DPEF, con soddisfazione ho avuto modo di constatare che considerate la «nostra» legge obiettivo come una novità fondamentale nello sviluppo civile e produttivo del paese; tutto questo per recuperare il grave ritardo accumulato nel settore rispetto agli altri paesi europei. In un altro capoverso, inoltre, si legge che occorre da un lato creare le condizioni di certezza regolamentativa per attirare risorse aggiuntive e valorizzare il partenariato pubblico-privato. Inoltre, si afferma la necessità di orientare, potenziare ed accelerare il processo di sviluppo territoriale delle regioni meridionali verso i paesi nordafricani, dando concreta attuazione allo spirito della nuova Costituzione europea. Nell'allegato II Pag. 78del DPEF, tuttavia, non fate riferimento all'attraversamento stabile dello stretto di Messina. L'Europa guarda con attenzione al mercato dei ventuno paesi frontalieri del Mediterraneo. Per conquistare questi mercati esistono tre direttrici: quella turco-greca, quella spagnolo-portoghese e quella italiana, attraverso la costruzione del suddetto manufatto.
Dopo queste brevi premesse, vi pongo alcune domande. Innanzitutto, ritenete che possiamo essere credibili all'estero dopo aver effettuato una gara internazionale che ha coinvolto imprese di tutto il mondo? Ritenete, altresì, di dover rinunciare alle ricadute positive sul sistema economico e turistico per tutta l'area dello stretto? Ritenete, inoltre, che Fintecna, RFI ed ANAS, società a totale controllo pubblico, abbiano falsato alcuni dati per questo investimento imprenditoriale basato su analisi di rendimento e prospettive di recupero? Ritenete anche che lo studio di fattibilità finanziaria redatto dal Mediocredito centrale sia stato volutamente falsato, peraltro quando voi eravate al Governo? Quanti di voi erano favorevoli alla realizzazione del ponte e oggi non lo sono più perché attaccati alle poltrone? Prodi, allora presidente dell'IRI, era favorevole. Rutelli, nel 2001, durante la campagna elettorale, venne a Messina e precisò anche la data della posa della prima pietra! Folena presentò un ordine del giorno in cui chiedeva, per questa opera, 40 miliardi. Allora, il Presidente Prodi e il Vicepresidente del Consiglio Rutelli come si giustificano con gli italiani?
Posso solo apprezzare, come in passato, le posizioni di Rifondazione Comunista e dei Verdi, che hanno sempre mantenuto ferma la loro parola contraria alla costruzione del ponte. Non posso certamente condividere quanto espresso dal sottosegretario Bargone, il 31 marzo 1998, rispondendo ad una mia mozione. Egli affermò che non erano stati presi in esame gli effetti di numerosi agenti perturbatori, quali vento e mare in tempesta. Ma quale mare in tempesta! Il ponte sarebbe sospeso a 65 metri di altezza: ce ne vogliono di tsunami, caro Presidente! Abbiate, allora, il coraggio di affermare che devono essere soppresse le opere programmate dal Governo Berlusconi, pur se utili, per aprioristici pregiudizi ideologici, anche se non avessero alcun costo per lo Stato! Vorrei ricordare, infatti, che le risorse degli azionisti rappresentano un investimento imprenditoriale - non un contributo a fondo perduto, non uno sterile capriccio - avallato, tra l'altro, da advisor esterni e dal fatto che, nelle nostre leggi finanziarie, non abbiamo mai previsto un euro per la costruzione del ponte.
PRESIDENTE. Onorevole Germanà...
BASILIO GERMANÀ. Concludo immediatamente, signor Presidente.
Realizzando quest'opera consentiremmo ai siciliani di guadagnare 70 minuti di tempo - prediligendo il trasporto su ferro a quello su gomma - e risparmieremmo i 400 miliardi del costo dell'attraversamento. Lo Stato, inoltre, incasserebbe l'IVA utile a realizzare gli snodi.
Pertanto, signor Presidente, posso concludere soltanto ricordando all'Assemblea e, soprattutto, al Governo che la mafia si combatte con il lavoro, non con promesse o cose inutili che sono date in pasto agli italiani soltanto per propaganda elettorale (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ricordo nuovamente ai colleghi che il tempo aggiuntivo utilizzato quest'oggi sarà decurtato dagli interventi che saranno svolti domani. Quindi, è bene che i rappresentanti dei gruppi in Assemblea cerchino di regolamentare un po' meglio il rispetto dei limiti temporali che sono stati indicati.
È iscritta a parlare l'onorevole Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Signor Presidente, colleghi, finalmente siamo di fronte ad un Documento di programmazione economica e finanziaria oggettivo nei dati e nelle analisi; un Documento che traccia il quadro di un paese reale che deve affrontare Pag. 79molte difficoltà che, per interi comparti, impongono una riconversione graduale degli indirizzi di spesa.
Il piano dettagliato delle misure che saranno intraprese, come noto, sarà prospettato solo a settembre, con la presentazione del disegno di legge finanziaria ed è proprio partendo dal DPEF, anche con riferimento alla finanziaria, che intendo proporre alcune sollecitazioni, piuttosto che considerazioni, in merito al sistema sanitario nazionale ed al suo finanziamento.
Il diritto alla salute si colloca tra i diritti prioritari della persona. Esso ha bisogno di politiche che lo rendano esigibile su tutto il territorio nazionale e per tale motivo il sistema sanitario deve saper mettere al centro un cittadino sempre più competente e protagonista del suo benessere e deve saper intervenire con decisione, attraverso i controlli, sui tagli agli sprechi per liberare risorse non sempre utilizzate al meglio.
La Corte dei conti ha denunciato la costante sottovalutazione dei costi della sanità negli ultimi anni e l'insufficienza delle misure correttive proposte.
Alcune misure di risparmio di spesa previste dal Governo di centrodestra sono state definite dalla stessa Corte dei conti addirittura irrealistiche. La perdurante sottostima delle risorse ha tenuto in questi anni il sistema sanitario in forte tensione fino ad un punto di crisi che rischia il non ritorno con disavanzi tali da fare emergere seri problemi di non governabilità.
Per questo, oggi è urgente, ai fini di un rendimento positivo nel futuro, muoversi per dare al sistema sanitario certezze di risorse, sottraendo il fondo sanitario da una costante logica emergenziale, come avvenuto in questi anni.
Il livello di finanziamento del fondo sanitario deve essere, quindi, adeguato rispetto alle tabelle di spesa tendenziali, indicate nel Documento di programmazione economica e finanziaria.
Di fronte all'eventuale persistenza di un consistente divario - vorrei esprimere al riguardo una mia opinione - tra il finanziamento del fondo e la spesa reale, sarebbe assai arduo, nonché del tutto illusorio, ritenere tale differenza colmabile attraverso una compartecipazione degli utenti alla spesa soltanto o alla tassazione regionale soltanto, come ha fatto, peraltro fallendo l'obiettivo, il precedente Governo di centrodestra.
Il servizio nazionale dovrà, quindi, contribuire a ridurre la spesa tendenziale rispetto al PIL, come si sostiene nel Documento di programmazione economica e finanziaria; tuttavia, rispetto all'attuale quadro di risorse, è importante che l'ammontare dei finanziamenti, se magari si vogliono mantenere ed ampliare i livelli essenziali di assistenza e la rete dei servizi, si assesti almeno intorno al 6,7 per cento del PIL (è, tuttavia, un tema che riguarderà la legge finanziaria e, pertanto, in quella sede il finanziamento del sistema sarà una questione di grande rilevanza).
Sempre in previsione del disegno di legge finanziaria, vorrei, nel poco tempo che mi rimane a disposizione, proporre una sollecitazione in ordine al tema della non autosufficienza. Riteniamo - lo abbiamo discusso in Commissione affari sociali - che chi ha responsabilità di Governo della cosa pubblica non possa più sottrarsi al compito di promuovere politiche che mirano ad estendere significativamente la rete dei servizi, tema lasciato - lo ricordo - in un vergognoso stato di abbandono dal precedente Governo di centrodestra. Ciò, per fornire risposte ai bisogni quotidiani di ogni singola persona non autosufficiente, potenziando e aggiornando un sistema di servizi che deve essere qualitativamente diverso dal passato, basato su un più forte coordinamento ed un'integrazione delle politiche socio-sanitarie in grado di offrire una maggiore possibilità di scelta agli utenti e di intervenire sulla base di progetti individuali e personalizzati.
La questione della non autosufficienza, Presidente, richiede soluzioni inedite e coraggiose in ordine all'innovazione del welfare e alla messa a disposizione di risorse tali da rendere esigibile per i Pag. 80cittadini non autosufficienti e per le loro famiglie su tutto il territorio nazionale il diritto all'assistenza.
In questi giorni in Commissione affari sociali si è incardinata la discussione su diversi progetti di legge al riguardo già presentati, fra i quali quello di iniziativa popolare promosso dalle tre organizzazioni sindacali dei pensionati.
Vorremmo, Presidente, che fosse questa ...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
KATIA ZANOTTI. ...la legislatura nella quale si forniscano risposte certe, praticabili e consolidate nel tempo alle aspettative di cittadini e di cittadine, di famiglie in profondo stato di bisogno.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, con la presentazione del DPEF relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 viene affermato il concetto secondo cui le situazioni di sofferenza finanziaria colpiscono soprattutto gli strati più deboli, oltre che le generazioni future. Pertanto, allo scopo di garantire la tutela per tutte le categorie sociali, sorge l'esigenza di porre fine a fenomeni inaccettabili di evasione e di elusione fiscale. Il concetto espresso, in larga parte condivisibile, viene eluso nella realtà operativa laddove non si programma alcuna concreta iniziativa volta a spegnere o, quanto meno, a contenere il fenomeno della elusione fiscale utilizzata in favore di vaste categorie che fanno parte dell'apparato di sostegno dell'attuale maggioranza di Governo.
La lotta all'evasione fiscale costituisce un punto fermo sul quale vi è e vi sarà piena condivisione in omaggio al principio costituzionalmente sancito che tutti debbono concorrere alla spesa pubblica in proporzione alle proprie possibilità economiche. Accanto a tale lodevole dichiarazione di intenti, vanno concretamente poste in essere le opportune iniziative volte ad eliminare i vantaggi, le aree di evasione legali e le elusioni previste dall'ordinamento in favore di soggetti protetti.
Il DPEF predisposto dal Governo concede scarsa attenzione ai problemi connessi alla congiuntura e alla crescita del Mezzogiorno; infatti, mentre viene riconosciuto che le aree del sud e delle isole nel 2005 hanno segnato una crescita mediamente migliore rispetto a quella del centro-nord per il prodotto interno lordo, per la produttività, per l'esportazione e per gli investimenti, viene altresì confermato che, tra il 2005 e il primo quadrimestre del 2006, il meridione ha fatto rilevare un trend positivo per effetto del miglioramento dell'occupazione e del clima di fiducia delle imprese registrato dal buon andamento delle esportazioni; tuttavia, tali segnali non inducono ad abbassare la guardia o a cullarsi nell'ottimismo di maniera. È necessario, quindi, che il Governo mostri maggiore attenzione verso il Mezzogiorno, affrontando i temi della sicurezza, del potenziamento dei servizi, della qualità della vita e del comparto produttivo; infatti, nelle regioni del sud si verificano, con preoccupante frequenza, gravi episodi di criminalità e di violenza che allarmano l'opinione pubblica e nei confronti dei quali il Governo mostra completa indifferenza.
Tali fatti criminosi vanno ricondotti a diverse cause sulle quali è necessario intervenire: in primo luogo sulla grave crisi occupazionale che colpisce soprattutto i giovani. La situazione penalizza intere aree del sud che, per converso, vanta grandi e consolidate tradizioni di operosità ed è popolata da gente dotata di grande generosità, la cui principale ispirazione è quella di progredire e far progredire il proprio territorio; occorre, quindi, una maggiore e più incisiva presenza dello Stato al fine di sconfiggere i non marginali fenomeni malavitosi e migliorare la qualità della vita. A tale riguardo, non può negarsi - e la situazione è a tutti nota - che gli enti territoriali preposti non sono stati in grado di risolvere l'annoso problema dello smaltimento dei rifiuti. Faccio in particolare Pag. 81riferimento a quanto accade nella regione Campania, dove si vive in una condizione di cronica e grave emergenza con seri rischi per la salute dei residenti.
Avremmo visto con favore nel DPEF incisivi e mirati interventi volti a migliorare la viabilità, la rete dei trasporti pubblici e dei servizi, ma la disamina del Documento programmatico, del tutto privo di una valutazione delle problematiche complessive del Mezzogiorno d'Italia, ci consegna una realtà peggiore rispetto ad ogni più pessimistica previsione.
Per quanto riguarda il settore della sanità, il DPEF ricostruisce le linee di tendenza della spesa sanitaria, ponendola a raffronto con il sistema dei principali paesi dell'Unione europea. In tale contesto si rilevano gravi inefficienze che vanno corrette con nuovi sistemi di razionalizzazione e di controllo della spesa, mantenendo inalterati gli attuali livelli essenziali ...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DOMENICO ZINZI. ...di assistenza su tutto il territorio nazionale.
Al riguardo, va rilevato che mentre in alcune regioni il sistema di erogazione dei servizi sanitari riscontra un efficiente livello di assistenza, tali condizioni, a parità di risorse disponibili, non si riscontrano in alcune regioni del Mezzogiorno. Pur in una situazione economicamente non facile, va quindi considerata l'opportunità di incrementare le risorse destinate al fondo sanitario, in relazione a molteplici fattori, primo fra tutti l'invecchiamento della popolazione e, quindi, l'allungamento della vita media.
Concludo, Presidente. Gli estensori del deludente DPEF esordiscono richiamando un aforisma tratto dagli scritti di Kant; ci saremmo aspettati che la concretezza del filosofo tedesco avesse trovato asilo nelle intenzioni del Governo, che viceversa dimostrano e documentano la frammentarietà, l'inconcludenza e, in estrema sintesi, l'inadeguatezza delle proposte di chi oggi detiene il governo del paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Musi. Ne ha facoltà.
ADRIANO MUSI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le considerazioni che mi appresto ad esporvi e a sottoporre alla vostra attenzione vogliono rappresentarvi la mia difficoltà ad esprimere un giudizio su un DPEF quinquennale, che, per chi crede nella politica fatta di contenuti, di scelte strategiche, di priorità coerenti con i valori ed i principi a cui la politica si ispira, è chiaro nei suoi obiettivi di risanamento, è chiaro nei suoi obiettivi di sviluppo, nei suoi obiettivi di equità. Tuttavia, tali obiettivi richiedono, per essere raggiunti, strumenti, e, per come sono delineati nel testo del DPEF per il quinquennio, necessitano di approfondimenti, di comprensione degli effetti, di trasparenza dei dati, poiché solo dalla credibilità dei percorsi indicati si possono far discendere provvedimenti finanziari attuabili, per una politica economica capace di offrire traguardi ambiziosi, di restituire fiducia alle famiglie, di offrire un futuro in cui impegnarsi alle nuove generazioni.
Positivo in tal senso è il rilancio del metodo concertativo, che, respingendo autosufficienze presuntuose, in discontinuità con il recente passato, ricerca con il consenso e la corresponsabilità delle forze economiche e sociali la salvaguardia degli interessi generali ed il rispetto dei principi costituzionali di tutela della dignità delle persone in una Repubblica fondata sul lavoro.
È nell'etica della responsabilità, nell'etica della gestione della spesa pubblica, nel rispetto delle regole e delle leggi senza scorciatoie il vero misuratore della vita di un grande Stato industriale moderno. La discussione di merito per il raggiungimento degli obiettivi e le decisioni conseguenti non consentono più a nessuno solo di pensare di poterla fare franca, di poter continuare una festa che per tanti, primi i pensionati, non è mai iniziata, come hanno puntualmente evidenziato gli ultimi dati forniti dalla Banca d'Italia.Pag. 82
C'è un evidente problema di redistribuzione del reddito, soprattutto se consideriamo che vi sono 16 milioni e mezzo di italiani che vivono con entrate al di sotto dei mille euro al mese. Con tale consapevolezza, vanno approfonditi gli strumenti indicati per il raggiungimento degli obiettivi del Documento di programmazione economico-finanziaria, con l'equità che diviene allora la priorità.
Lo sviluppo richiede una più puntuale selettività, accompagnata da politiche di settore più specifiche, non generalità di soluzioni. Si può finanziare da parte dello Stato un costo per minori entrate, per orientare un volano capace di rilanciare la competitività per le imprese soggette a concorrenza internazionale o per superare un divario territoriale tra aree a sviluppo differenziato nel paese, stabilizzandone l'occupazione, non per ampliare in questa fase economica i margini di convenienza di attività che agiscono solo sul mercato interno.
Questo vale anche per le scelte indicate per il risanamento, obiettivo condiviso, ma che richiede massima attenzione e la trasparenza delle cifre come obbligo, per la serietà richiamata dal relatore. Solo la conoscenza delle vere cifre consente decisioni consapevoli ed anche accettate, evitando che le «macedonie» statistiche ed i luoghi comuni evocati per pigrizia di approfondimenti - ci auguriamo, non peggio, per interesse di parte da perseguire -, oggi come ieri, creino solo confusione. Non può spiegarsi altrimenti il perché si continua ad ignorare, nel fornire i dati delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, che in tali incrementi siano ricompresi i costi sostenuti per le missioni militari, ed è altrettanto inspiegabile il perché ci si ostini a non voler fare una operazione di trasparenza su quella che viene definita spesa pensionistica, con una chiara inosservanza della legge dello Stato, che chi governa non dovrebbe mai dimenticare, dovendo essere un esempio di legalità, trasparenza e linearità dei comportamenti, anche quando questo contraddice le proprie convinzioni.
Ed evitiamo di rispondere con l'esigenza di innalzare l'età di fuoruscita dal lavoro. Questa è un'esigenza che con i conti non c'entra: innalzare l'età è sentirsi ancora attivi, stante il prolungamento della vita; ed è esigenza di dignità di reddito, poiché difficilmente le generazioni future matureranno i trentacinque o i quarant'anni di contribuzione utili con l'età anagrafica dei padri.
Sono questi i quesiti che poniamo al Governo. All'esecutivo, in particolare, vogliamo far notare che sarebbe meglio porre attenzione sul perché, ad esempio, per ottenere una licenza per svolgere un'attività produttiva occorrano ottantotto procedure o sul perché il costo di progettazione e di realizzazione di una grande rete di trasporto sia di 13 milioni di euro al chilometro in Francia, di 15 milioni in Spagna e di 45 milioni - avete capito bene! - in Italia.
Sono queste le riforme strutturali da realizzare ed esse rappresentano solo la punta di un iceberg. Chi si propone l'equità come propria stella polare non può metterla sempre al secondo posto. Equità fa venire in mente la politica fiscale; in particolare, la dimensione di un'evasione fiscale stimata più facilmente delle entrate ufficiali, tenuto conto che i dati relativi a queste ultime non si riescono più ad avere in tempo reale, né disaggregati per tipologie di contribuenti.
PRESIDENTE. Onorevole Musi, concluda.
ADRIANO MUSI. Concludo, Presidente.
Chiediamo, quindi, al nuovo Governo di realizzare qui la vera discontinuità, mettendo tali dati disaggregati a disposizione del Parlamento e del paese. Insomma, equità in ogni atto e in ogni decisione. Essa rappresenta l'unico modo per affermare la diversità che c'è tra un diritto di cittadinanza e una concessione, tra un diritto e un atto di beneficenza. Equità è restituire certezza alle donne e ai giovani di Locri e a tutto il Mezzogiorno, dimostrando così che le strade dello sviluppo passano anche da loro e per far sì che un diritto non sia più un'elemosina.Pag. 83
Mi auguro che, dalle risposte del Governo, che spero di potere avere, dalle conclusioni di questo dibattito e dai contenuti della risoluzione finale (ho apprezzato la relazione svolta dall'onorevole Ventura), io possa avere elementi per esprimere oggi il mio giudizio su questo DPEF.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, desidero svolgere, come hanno fatto in precedenza i miei colleghi, un breve intervento sui temi relativi alle politiche del Mezzogiorno e, più in generale, delle aree sottoutilizzate.
Il divario dei livelli di sviluppo tra le diverse aree del paese costituisce il primo vero problema strutturale dell'intera economia italiana. Il recupero di più elevati tassi di crescita nel sud e nelle altre aree svantaggiate dovrebbe rappresentare la priorità assoluta nelle linee di indirizzo di politica economica, soprattutto quando, come nel caso del DPEF al nostro esame, si vorrebbe privilegiare, accanto alla prosecuzione del processo di risanamento della finanza pubblica, anche l'obiettivo della crescita. Un più elevato prodotto interno lordo e, quindi, un più elevato livello dei consumi e degli investimenti in quella parte del paese che coincide con il territorio di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, assicurerebbe a tutta l'economia nazionale una spinta decisiva, derivante da una domanda aggiuntiva in grado di permetterle di recuperare il ritardo rispetto alle economie più avanzate.
Va denunciata, lo hanno fatto, anche se in forme diverse, i colleghi negli interventi precedenti, la superficialità, il vero e proprio disinteresse che traspare chiaramente dal DPEF su queste tematiche. L'ultimo capitolo del Documento di programmazione economico-finanziaria, quello che appunto si occupa del Mezzogiorno e delle aree sottoutilizzate, si segnala per l'assoluta pochezza dell'analisi ma soprattutto per la totale mancanza di indicazioni. Sembra quasi che coloro i quali nell'ambito del Governo si sono occupati di questo tema si siano limitati, peraltro maldestramente, a recuperare frasi e concetti dei Documenti degli scorsi anni, a prescindere da una strategia coerente e da una visione organica.
Quanto all'analisi, il Documento in esame non manca di riconoscere - questo va certamente detto -, con una certa onestà intellettuale, che nella precedente legislatura le politiche per il Mezzogiorno hanno consentito di conseguire, pur in presenza di una fase stagnante dell'economia nazionale, un incremento dell'occupazione. In effetti, nel corso della precedente legislatura, il Governo e il Parlamento hanno dedicato un'attenzione costante a questo tema. L'attività svolta andava di pari passo all'impegno manifestato dal Governo, nella comune consapevolezza che su questi temi è indispensabile procedere coerentemente sia sul versante interno sia su quello comunitario.
Si pone, infatti, un duplice problema: quello delle risorse da destinare allo sviluppo delle aree sottutilizzate e quello degli strumenti di intervento.
Quanto al primo problema, la Commissione bilancio nella scorsa legislatura ha inteso sollecitare e supportare l'azione del Governo, perché l'allargamento dell'Unione europea e l'ingresso di numerosi Stati membri, intervenendo proprio quando, per la responsabilità di alcuni dei maggiori partner, le risorse destinate al bilancio comunitario sono state ridimensionate, non comportasse un grave pregiudizio di tipo economico per le politiche di coesione.
Sappiamo che nei prossimi anni due regioni del sud (Sardegna e Basilicata) usciranno dall'obiettivo 1. Questo è un danno molto grave che comporterà una contrazione delle risorse complessivamente destinate al Mezzogiorno italiano. Proprio l'impegno del Governo e del Parlamento ha impedito che si determinasse un danno ancora più grave. Occorre tuttavia che le autorità comunitarie si facciano carico del danno che potrà subire il Pag. 84Mezzogiorno d'Italia, riconoscendo più ampi spazi di intervento nell'ambito della riforma degli aiuti di Stato.
È proprio di questi giorni la notizia che l'Unione europea ha concesso il via libera su una misura importante di sostegno al rafforzamento patrimoniale delle imprese che investono nel sud. Si discute sul recupero del credito di imposta come strumento per favorire l'incremento dell'occupazione ed i nuovi investimenti. Si tratta di segnali importantissimi che confermano la bontà della politica del precedente Governo e il fondamento delle azioni sostenute dalla precedente maggioranza, anche nel senso di ammettere misure di fiscalità di vantaggio a favore del Mezzogiorno.
Queste proposte erano guardate con scetticismo dallo schieramento che ora sostiene il Governo e ritenute impraticabili in quanto palesemente in contrasto con la normativa comunitaria.
I più recenti orientamenti delle autorità europee e le aperture manifestate su questo tema dimostrano a tutti noi che un lavoro convinto e costante, per sostenere le tesi che si ritengono meritorie, può produrre risultati concreti.
Nel DPEF sul tema delle risorse non si dice nulla, limitandosi a rinviare al prossimo Quadro strategico nazionale relativo al periodo 2007-2013.
PRESIDENTE. Onorevole Giudice..!
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Giudice. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
GASPARE GIUDICE. Vorrei aggiungere un'ultima considerazione, signor Presidente.
Nel Mezzogiorno trovano, infatti, espressione più acuta tutti i problemi e i fattori di criticità del sistema produttivo italiano. Lo stesso Mezzogiorno dispone tuttavia di risorse e potenzialità inespresse che potrebbero, ove sostenute ed incoraggiate, segnare la svolta nel senso di una netta inversione di tendenza del tasso di crescita non soltanto per il sud ma per l'intero paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, molti commentatori in questi giorni si sono affrettati a scrivere che il Documento di programmazione economico-finanziaria è uno strumento ormai inutile, perché inevitabilmente generico in attesa che la legge finanziaria disponga di interventi più dettagliati sul bilancio dello Stato.
Possiamo senz'altro convenire sulla opportunità di valutare una riforma del percorso parlamentare che prepari la sessione di bilancio, non senza tuttavia ricordare che quando non esistevano né il DPEF né la legge finanziaria si trattava di anni disastrosi per la finanza pubblica. Posso aggiungere che la prospettiva di cambiamento non può in alcun modo sminuire la portata di novità e di rottura con gli anni precedenti contenuta nel DPEF presentato dal Governo Prodi e qui ottimamente illustrato dal collega Ventura.
Vorrei rafforzare questi concetti, concentrandomi sui tre punti che - a mio parere - segnano una forte discontinuità con il Governo precedente, quello uscito sconfitto dalle elezioni politiche del 9 e 10 aprile.
Il primo elemento di svolta consiste nel fatto che i numeri che presentiamo noi sono veri: il nostro paese ha bisogno di fare i conti, perché per troppo tempo non li ha fatti. Con queste parole significative il ministro Padoa Schioppa ha replicato a chi lo accusava ingiustamente di parlare solo con le tabelle. Dopo cinque anni di previsioni gonfiate, analisi irrealistiche, conti truccati e finanza creativa, ecco un Documento che presenta la situazione dell'economia Pag. 85italiana e dei conti pubblici esattamente per quella che è: un'operazione di verità e di responsabilità di fronte al paese e all'Europa che ci osserva, certamente con maggiore fiducia rispetto ad un anno fa.
Il secondo elemento di svolta nella politica economica del nostro paese è dato da una visione di lungo periodo. Vanno anche qui alle nostre spalle gli anni delle misure-tampone, degli interventi una tantum, dei condoni e delle sanatorie. Il Governo Prodi presenta al Parlamento il suo programma di politica economica per tutta la legislatura.
Ho ascoltato qualche collega dell'opposizione affermare che non si può che essere unanimemente d'accordo con i tre sostantivi fondamentali del DPEF: crescita, risanamento ed equità. Non è affatto così, a mio avviso, poiché il significato di queste tre parole non è neutro: la semplice menzione, nell'ambito di un documento ufficiale del Governo, di frasi come «contrasto alle diseguaglianze economiche e sociali» rappresenta, di per sé, una novità di grande rilievo.
Sono numerosi anni, infatti, che il tema delle disuguaglianze è stato escluso non solo dall'agenda, ma persino dal linguaggio della politica. Vorrei ricordare che, nel 2004, il 10 per cento di famiglie italiane con i redditi più elevati ha percepito il 26,7 per cento del totale dei redditi prodotti; viceversa, al 10 per cento delle famiglie con i redditi più bassi è toccato il 2,6 per cento della ricchezza nazionale, vale a dire dieci volte di meno.
Negli ultimi quattro anni, inoltre, un lavoratore dipendente ha dovuto rinunciare, in totale, a 1.647 euro, come ha calcolato uno studio sui salari elaborato dall'IRES-CGIL, la quale ha confrontato la situazione italiana con quella degli altri paesi europei, scoprendo come, da noi, la crisi abbia colpito più duramente.
È in tale quadro che il provvedimento che più di ogni altro coniuga la spinta alla ripresa con l'equità è il cosiddetto decreto-legge Bersani, il quale si colloca in piena coerenza con il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame e lo rende ancora più credibile. Con le liberalizzazioni introdotte dal ministro Bersani, infatti, la nostra economia riceve una «scossa» salutare per diventare più aperta e più competitiva. Si tratta dell'avvio di una vera rivoluzione liberale, che va nella direzione di tutelare il soggetto più debole del mercato, rappresentato dal cittadino-consumatore.
Il terzo ed ultimo, ma non meno importante, elemento di discontinuità con il Governo della destra è rappresentato dal metodo, poiché torna la concertazione con le parti sociali e con gli enti territoriali. Dopo gli anni del centralismo soffocante, infatti, il Governo Prodi vuole ristabilire un equilibrio istituzionale tra Stato, regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di affrontare unitariamente le sfide del riordino istituzionale e del rilancio economico.
Il passaggio, nell'ambito del cosiddetto patto di stabilità interno, dalla fissazione di «tetti» all'adozione del sistema dei saldi contabili costituisce un passo in avanti apprezzato da tutte le autonomie locali, le quali, in tal modo, possono tornare a respirare e vedere salvaguardati i principi di autonomia e di responsabilità.
Gli sforzi che, tutti insieme, siamo chiamati a compiere richiedono, dunque, partecipazione, condivisione e gestione collegiale, nell'ambito delle quali ciascun soggetto...
PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi...
FRANCO CECCUZZI. ... deve svolgere il proprio compito. Per cogliere obiettivi così importanti ed ambiziosi, quindi, chi governa non può fare a meno della concertazione.
In conclusione, signor Presidente, per il bene dell'Italia dobbiamo tutti augurarci che questa nuova politica economica abbia successo e che, con essa, abbia inizio una nuova stagione di benessere diffuso e di inclusione sociale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.
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ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, desidero iniziare il mio intervento formulando due considerazioni.
Vorrei osservare, innanzitutto, che è un'impresa sicuramente ardua tracciare un quadro credibile dell'evoluzione economica e della finanza pubblica in un arco temporale di cinque anni, tante e tali sono le variabili che, in un mondo globalizzato ed interdipendente come il nostro, possono provocare mutamenti così repentini e forti da sconvolgere numerose previsioni relative sia al prodotto interno lordo, sia ad altri fattori economici.
Mi riferisco, in primo luogo, all'acutizzarsi di una delle crisi già in atto, o all'accendersi di un nuovo conflitto in un'area sensibile per le risorse energetiche, in specie quelle petrolifere. Chi può oggi prevedere, credibilmente, quale sarà il prezzo di un barile di petrolio nel 2011? Si tratterà forse dei 71 dollari indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria in esame?
Dal momento che numerose altre valutazioni economiche e finanziare dipendono, conseguentemente, da tale dato, si rischia, pertanto, di costruire un quadro macroeconomico assai ipotetico. Si tratta di un limite che lo stesso Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 - peraltro, onestamente - indica nelle sue premesse.
La seconda osservazione che desidero svolgere è che non può non esservi accordo sui punti cardine della strategia indicata dal Governo, vale a dire crescita, risanamento ed equità: credo, infatti, che su tali indicazioni di ordine generale il consenso sia trasversale e totale. Il vero confronto avverrà, evidentemente, sulle scelte che verranno compiute successivamente per tradurre in azioni concrete, con il disegno di legge finanziaria, tali indirizzi programmatici in ordine ai quattro comparti indicati nel DPEF: apparato delle amministrazioni pubbliche, sistema pensionistico, servizio sanitario nazionale e finanza degli enti locali.
Ciò detto, vorrei osservare che il quadro economico reale da cui partiamo presenta sicuramente seri elementi di criticità, ben lungi da quelle «magnifiche sorti e progressive» che ci erano state pomposamente indicate, in diretta televisiva, cinque anni fa. Il Bollettino economico della Banca d'Italia, nel marzo di quest'anno, lo ha fin troppo chiaramente indicato. Un noto quotidiano lo aveva definito un bollettino di guerra - dalla crescita zero alla voragine dei conti pubblici - ed il rapporto annuale ISTAT lo ha ampiamente confermato. Il confronto tra la crescita dell'Italia e quella dell'Europa, senza voler prendere in considerazione altri paesi ed aree in piena espansione, è lì a testimoniare che la nostra economia vive una sua specifica crisi.
Le parole magiche per invertire la tendenza sembrano essere «privatizzare» e «liberalizzare»: mercati più aperti e concorrenziali quale condizione di equità ed efficienza, si legge nel documento. Ci auguriamo che sia effettivamente così e tuttavia, pur senza alcuna nostalgia sovietica, non possiamo non manifestare qualche preoccupazione a fronte di concrete situazioni che i cittadini toccano quotidianamente con mano. Il caso delle ferrovie è esemplare: le trasformazioni in atto ci hanno portati da un carrozzone inefficiente ad uno «spezzatino» (Rete ferroviaria, Trenitalia e quant'altro) in cui gli utenti non riescono spesso ad intravedere significativi miglioramenti del servizio. Altro che efficienza ed equità! L'equità è solo nel disagio. Non vorremmo che lo stesso avvenisse in altri settori essenziali.
Ricerca ed innovazione: questa, sì, ci sembra una condizione sine qua non per lo sviluppo in un'area economica quale la nostra. A Lisbona, l'Unione europea aveva fissato un obiettivo di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3 per cento del PIL. L'Italia è all'1,1 per cento, tra gli ultimi posti in Europa e nell'OCSE. Anche in questo caso, il ragionamento si riallaccia significativamente a quanto detto prima. È proprio il settore privato infatti - si legge nel DPEF - ad avere bassa propensione Pag. 87all'investimento nella ricerca, mentre il settore pubblico non si discosta significativamente dalla media dei paesi OCSE.
Sul piano delle politiche sociali, le indicazioni contenute nel DPEF e già in parte tradotte concretamente nel cosiddetto decreto Bersani-Visco sono pienamente condivisibili: il piano straordinario per le pari opportunità, il piano d'azione per l'occupazione giovanile, gli interventi per la famiglia, così come le direttrici relative all'occupazione, volte a ridurre l'area del lavoro precario. Perché tutto ciò non rimanga un esercizio di stile, occorre evidentemente liberare le risorse necessarie. Tali risorse sul piano strutturale dovranno venire dall'auspicata ripresa economica, ma anche da interventi che pongano fine a quelli che il ministro dell'economia e delle finanze, nella sua lettera di trasmissione del DPEF, definisce fenomeni inaccettabili di evasione ed elusione fiscale. Dovranno venire anche da quella riduzione della spesa pubblica da tutti e da sempre auspicata, ma da nessuno realizzata, il cui punto cardine è un'articolata, coraggiosa, radicale politica di contenimento della spesa per il funzionamento dello Stato, in tutte le sue articolazioni: dai ministeri, alle regioni, agli enti locali. Qui occorre impugnare la scure e superare le prevedibili resistenze di apparati divenuti elefantiaci che si autoalimentano e, come l'Idra di Lerna, rispuntano continuamente sotto diverse spoglie. Anche su questo il decreto-legge n. 223 del 2006 ha aperto una strada condivisibile con le misure volte al contenimento della spesa per commissioni e comitati di vario genere, per gli incarichi di consulenza, per il personale.
Le iniziative possibili ed auspicabili, certo, non mancano; spesso manca la determinazione nel metterle in atto. Basti pensare, ad esempio, all'onere sempre più gravoso sui bilanci degli enti locali delle spese di progettazione: dagli studi di prefattibilità alla direzione lavori, con quel meccanismo perverso che lega le parcelle all'importo dell'opera. A volte, servirebbe qualche iniziativa esemplare nella riduzione della spesa pubblica. Potremmo, cari colleghi, dare noi l'esempio impugnando la scure rispetto al Parlamento. Il centrodestra, nella sua riforma della Costituzione, ha proposto la riduzione del numero dei deputati da 630 a 518. Nel corso della campagna elettorale per il referendum, il Presidente Prodi ha dichiarato che il centrosinistra è favorevole ad un'ancora più significativa riduzione a 400. Presentiamo, allora, unitariamente, una proposta di legge costituzionale in tal senso: non inciderà sicuramente in modo significativo sui costi complessivi dell'apparato statale, ma sarebbe un segnale preciso rivolto al paese.
Un'ultima questione. Il ministro Padoa Schioppa ha scritto che, per individuare le forme di intervento più appropriate, il Governo ha bisogno di un'interlocuzione con le parti sociali e con i rappresentanti degli enti territoriali e, nell'allegato 2 - programma delle infrastrutture, si legge che la definizione degli interventi sarà, comunque, effettuata previa consultazione della Conferenza Stato-regioni.
Credo che sempre, ma soprattutto nella definizione delle grandi linee strategiche, il confronto sia essenziale, imprescindibile e lo sia soprattutto con le regioni, che, nell'ottica federalista propria delle minoranze linguistiche, rappresentano elementi costitutivi dello Stato e, in quanto tali, devono potersi confrontare con pari dignità.
Non solo interlocuzione, dunque, ma codecisione sulle scelte fondamentali, che poi è il presupposto per una piena assunzione di responsabilità a tutti i livelli.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, ormai sono tre legislature che assisto alla stanca ritualità di questo DPEF che si discute durante la calura estiva. Francamente, non ne posso più, anche perché, arrivati in autunno, una brevissima tabella modifica le previsioni del DPEF, tra l'altro, Pag. 88senza dare il tempo di approfondire perché e per come siano state modificate tali previsioni. L'ho detto in Commissione e lo ripeto in quest'aula.
Considerando l'esercizio programmatico ed econometrico del DPEF dal 2007 al 2011, vediamo che il PIL sale dall'1,2 del 2007 all'1,7 del 2011. In realtà, lo 0,5 per cento in cinque anni è nulla. È nulla perché, Presidente, da molti anni, al di là dell'andamento congiunturale, registriamo crescite molto modeste, e le registriamo praticamente dalla seconda metà degli anni Settanta, quando in questo paese le tendenze progressivamente affermatesi hanno determinato un crollo del tasso di natalità; come conferma l'ISTAT, quest'anno ciò interessa anche il Mezzogiorno che, fino a poco tempo fa, aveva registrato tassi più significativi.
Naturalmente, con il calo della natalità e con l'invecchiamento della popolazione, l'orizzonte economico degli operatori si riduce, nonostante l'allungamento della speranza di vita. Ciò riguarda gli imprenditori, coloro che operano nel mercato, compresi quelli che operano nel mercato finanziario, che non è il capitale finanziario, non è merce del diavolo, onorevole Ventura! Non facciamo i marxisti, in questo caso; anche coloro che producono effetti di carattere solo finanziario lavorano nell'interesse del paese. Questo significa che non si devono demonizzare nemmeno le rendite finanziarie, che sono, tra l'altro, una conseguenza dell'invecchiamento della popolazione: se uno invecchia, si accorcia l'orizzonte economico e, quindi, si preferisce la rendita piuttosto che il rischio dell'imprenditoria.
Il Presidente Prodi, durante la campagna elettorale, ha detto che in questo paese ci vuole una scossa. Tale scossa può avvenire attraverso un'aggressione sul rapporto debito pubblico accumulato-prodotto interno lordo (l'ho già detto in Commissione). Non è possibile che noi, sempre in termini programmatici, dal 107,7 per cento del 2006 scendiamo al 99,7 per cento del 2011. Pensate che il limite stabilito dal Trattato di Maastricht è del 60 per cento; quindi, non avremmo risolto nulla. In realtà, pensiamo di ridurre il peso del debito accumulato soltanto con la crescita dell'avanzo primario. Il problema è molto più serio, se vogliamo dare una scossa al paese. Dare una scossa ad un paese che invecchia, che ha un tasso di natalità decrescente, significa fornire un sistema di servizi che rimetta in moto l'economia.
Naturalmente, per fornire un sistema di servizi adeguato - per esempio, di infrastrutture - ci vogliono molti soldi e, se abbiamo il peso del debito pubblico, evidentemente non avremo la possibilità di affrontare tale problema. Allora, bisogna pensare - come del resto avevamo ipotizzato noi della Casa delle libertà nel nostro programma elettorale - ad un'operazione di ingegneria finanziaria, per mettere sul mercato l'attivo patrimoniale, che è stato calcolato essere molto superiore al passivo patrimoniale, cioè al debito accumulato, comprendendo nel debito sia quello dello Stato sia quello degli enti locali e delle regioni. Questo significa mettere a fattor comune un sistema di valori patrimoniali, sia societari sia soprattutto immobiliari, che attualmente o non sono sul mercato o, se lo sono - come qualche municipalizzata -, sono ancora fortemente in mano all'azionista di controllo, che poi in genere è il comune.
A questo punto, se noi non affrontiamo questo problema per quantità consistenti - che non riguardino i 96 miliardi di euro delle privatizzazioni già effettuate, ma una cifra notevole e, quindi, capace di abbattere il rapporto debito-PIL in misura consistente - e poniamo questo asset davanti al tavolo della Commissione europea, magari per avere un ulteriore vantaggio in termini di rallentamento del rientro nel 3 per cento del deficit-PIL, non potremo mai avere le risorse necessarie per sostenere la crescita del sistema infrastrutturale del nostro paese, che, in fondo, è una piattaforma logistica che dovrebbe servire al Pag. 89flusso di merci da e per l'Europa, che la globalizzazione consente oggi.
Quindi, cosa si può fare? Si dovrebbe mettere a fattor comune una serie di fondi finanziari e, attraverso il collocamento sul mercato di tali fondi, acquisire risorse con le quali alimentare il fondo di ammortamento del debito pubblico e, quindi, ridurre il debito (naturalmente, finanziando l'indebitamento di questi fondi attraverso l'incasso e l'utilizzo dei redditi che il patrimonio immobiliare potrebbe dare una volta affluito nel fondo o nei fondi predisposti).
Questo è un sistema che potrebbe essere facilmente realizzato. Voi avete il controllo politico di quasi tutte le regioni e gli enti locali e potreste benissimo «mettere in riga» queste strutture amministrative - fra l'altro, non è detto che il ritorno ai saldi significhi riduzione della spesa degli enti locali -, ed utilizzare tale strumento per ridurre il loro indebitamento, che sta notevolmente crescendo (i BOC e i BOR emessi in tutti questi anni fanno crescere l'indebitamento).
Si tratta di un disegno che una maggioranza così frastagliata come la vostra non potrà mai realizzare, ma è un progetto che l'opposizione potrebbe rilanciare al paese, soprattutto alla parte più produttiva del nord, quella che ci ha dato prevalentemente i voti.
Credo che, attraverso questo ragionamento - certo con la calura estiva magari lo si dimentica dietro l'ombrellone o durante le vacanze -, si possa svolgere un approfondimento serio dei problemi del paese. Come ho detto, tali problemi nascono dalla denatalità - ecco la necessità della politica a favore delle famiglie -, dall'invecchiamento della popolazione, che è drammatico e che non fa crescere soltanto le spese sanitarie, ma determina una riduzione dell'orizzonte economico di tutto il sistema paese. Quindi, occorre svolgere una riflessione di questo tipo per affrontare seriamente e, magari in modo bipartisan - questo, onorevole Ventura, è un progetto che potremmo sviluppare insieme -, realizzare un'operazione che potrebbe servire a tutto il paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Intervengo solo per rilevare che a pagina 94 del DPEF si legge che dal 2004 la povertà ha colpito soprattutto i bambini al sud e le donne al nord. Si legge anche che la povertà è legata al numero di figli, per cui le famiglie che hanno figli impoveriscono. Si tratta di una situazione drammatica perché vera. Giustamente, allora, il Governo, nel capitolo quarto del DPEF - intitolato «Crescita, risanamento ed equità» - parla di conciliazione dei tempi.
Ebbene, ciò che vorrei chiedere al Governo, che parla di famiglia in modo impreciso, è se sia consapevole che la conciliazione dei tempi prevede risorse economiche da destinare ai nuclei familiari; inoltre, quando il Governo parla di emersione del lavoro di cura, spero non si rivolga esclusivamente al lavoro dipendente. In Italia il lavoro di cura ha un valore enorme ed è svolto da più di otto milioni di donne che lavorano a tempo pieno in famiglie, le casalinghe, e da altre 7 milioni di donne che sono casalinghe a tempo parziale.
Se il Governo intende, come di fatto fa in questo DPEF, entrare nel merito dei problemi del paese sul tema della famiglia, distinguo una superficialità nei termini. Ciò mi preoccupa alquanto, pertanto vorrei sapere dal Governo se intende investire sulla conciliazione dei tempi e, quindi, sul rispetto dei diritti dei bambini e di chi ai bambini si dedica, che non sono solo le badanti (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de L'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la seduta odierna.
Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.