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Seguito della discussione del documento: Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1) (ore 9,35).
(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 4)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, intendo innanzitutto manifestare il mio personale disappunto per il fatto che, a fronte degli annunci del Governo relativamente alla maggiore rilevanza che il DPEF - e successivamente immaginiamo la legge di bilancio - avrebbe dato al settore della conoscenza, il Documento all'esame dell'Assemblea non contiene significative novità sul punto. Anzi, per molti aspetti rappresenta un arretramento inaccettabile anche rispetto alle politiche europee.
Per quel che riguarda, in particolare, gli interventi relativi al settore dell'università e della ricerca non posso non evidenziare che le considerazioni contenute nel DPEF in merito alla necessità di migliorare la qualità della spesa equivalgono all'ammissione dell'assenza di risorse adeguate da utilizzare nel settore.
Passando ad esaminare la tematica della scuola, stigmatizzo con forza l'assenza di riferimenti nel documento di programmazione economico-finanziaria al tema della formazione professionale e, quindi, delle opportunità create nella precedente legislatura attraverso i percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale, all'interno del diritto-dovere. Si tratta di percorsi finalizzati aPag. 2contrastare, innanzitutto, la dispersione scolastica e formativa, buco nero del nostro sistema educativo, ma prima ancora a qualificare i nostri giovani attraverso il conseguimento possibile entro il diciottesimo anno di età di un titolo di studio o di una qualifica professionale spendibile nel mercato del lavoro nazionale ed europeo.
Soprattutto critico l'impostazione del Documento tendente a dare risalto al potenziamento del diritto allo studio, poiché questa impostazione aveva una sua ragione di essere in un'epoca in cui il livello di scolarizzazione nel paese era molto basso, quindi con riferimento alla situazione degli anni Settanta. Oggi occorre puntare piuttosto sul miglioramento della qualità dell'istruzione, passando da politiche di accesso all'istruzione scolastica a politiche volte al successo formativo: questo è il problema.
In merito, quindi, all'elevazione dell'obbligo scolastico richiamato nel Documento non riteniamo assolutamente condivisibile la proposta contenuta di elevare tale obbligo a 16 anni, dato che l'obbligo scolastico e formativo è già stato elevato dal precedente Governo, con la riforma Moratti, a 18 anni. Si tratta quindi piuttosto di una riduzione dell'obbligo scolastico; si tratta di dare meno tempo e minori opportunità di formazione ai nostri giovani. Si riduce, quindi, inopportunamente il diritto-dovere. Una prova che noi abbiamo elevato già a 17 anni l'obbligo scolastico sta nel fatto che gli studenti, da qualche anno, non pagano le tasse scolastiche proprio perché abbiamo provveduto ad abolirle contestualmente con l'attuazione del diritto-dovere all'istruzione fino a 18 anni e che, nel frattempo, attraverso la gradualità prevista dalle leggi finanziarie, è giunta al diciassettesimo anno di età.
Ancora: contestiamo le osservazioni contenute nel DPEF relativamente al miglioramento dell'autonomia scolastica, visto che le azioni del Governo sono andate in direzione opposta.
Infine, con riferimento alla messa in sicurezza degli edifici scolastici giudichiamo proibitiva la proposta anche perché avrebbe costi elevati e non ci sembra che il DPEF garantisca questo tipo di finanziamenti. Con riferimento al personale docente riteniamo riduttiva la proposta di risolvere la questione della docenza scolastica soltanto con la parziale soluzione del problema dei precari.
Quindi, si tratta di una proposta insufficiente, molto debole e, soprattutto, poco europea. È il caso di dire, Presidente, che la montagna partorirà un topolino!
Preannunzio, pertanto, l'espressione del voto contrario da parte del gruppo di Forza Italia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, il Governo dell'Unione ha ereditato una situazione complessiva di gravità, come già denunciato negli interventi svolti ieri, per quanto riguarda l'andamento economico e la situazione sociale complessiva del paese.
Il programma con cui l'Unione si è presentata alle elezioni ha definito una linea alternativa alle politiche che il Governo di centrodestra ha realizzato in questi anni, promettendo, a fronte di una serie di interventi e allo sviluppo di una politica neoliberista, una ripresa, una crescita economica ed un progresso per tutti. Così non è stato ed i dati reali sono sotto gli occhi di tutti!
La situazione reale della società italiana è tale che gli elettori hanno sconfitto il Governo di centrodestra. Il perno della politica alternativa che il programma dell'Unione ha definito si basa su due nodi: «no» alla politica dei due tempi e capacità di rilanciare una politica di risanamento, di equità sociale e sviluppo.
Noi abbiamo espresso alcuni dubbi ed alcune perplessità non solo e non tanto con riferimento all'impianto del DPEF, ma al rapporto tra questo e le ventilate ipotesi di legge finanziaria per il prossimo anno che devono essere coerenti con tale impostazione.
Speriamo che la risoluzione finale serva a chiarire i dubbi, in particolarPag. 3modo, in ordine all'entità della manovra, alla sua concentrazione in tempi stretti; se, infatti, la manovra di risanamento interviene di nuovo con tagli sul terreno della spesa, potrebbe non avviarsi la ripresa economica e non si fornirebbe una risposta positiva ai problemi di crisi sociale. Infatti, se è sempre possibile ragionare in termini di razionalizzazioni e risparmi, è chiaro che non si possono mettere in campo misure drastiche di taglio della spesa sociale.
La spesa sanitaria in Italia è ancora sotto la media europea e bisogna partire dalla stabilizzazione di questa spesa in percentuale sul PIL per favorire nel futuro, attraverso la ripresa economica e nuove risorse, anche la capacità dell'Italia di adeguarsi a livello europeo.
Altrettanto si può dire per quanto riguarda le pensioni. Non bisogna considerare le pensioni come il terreno di scorribande o di ragionamenti per fare cassa. Bisogna smetterla! Le pensioni sono già state pesantemente toccate e molti lavoratori e lavoratrici italiani ne hanno in qualche modo fatto le spese.
Oggi, invece, si tratta di fare un'operazione di giustizia e di verità, togliendo dal fondo dell'INPS, relativamente alle pensioni, quel carico di spese e di costi che nulla hanno a che fare con la previdenza. Solo dopo questa operazione e aver valutato, quindi, la corretta coerenza e tenuta del fondo pensionistico, epurato da tutto ciò che riguarda, invece, l'assistenza ed altro, si può ragionare sullo stato del sistema pensionistico. Il problema allora emergerà con chiarezza.
Non occorre prevedere nuovi tagli alle pensioni, anzi, forse, bisogna fare quello che il Governo il centrodestra non ha fatto in questi anni, vale a dire un adeguamento reale dell'aumento delle pensioni, soprattutto, quelle minime, perché molte persone vivono in una situazione di grande difficoltà.
Bisogna capire, quindi, come affrontare il terreno delle risorse. Allora, lotta all'evasione, fiscale e contributiva e, soprattutto, capacità di intervento complessivo nei confronti di quei redditi e quelle rendite che, in questi anni, hanno goduto di una politica del centrodestra sul terreno fiscale impostata in termini contrari: sono state tolte le tasse ai ricchi, lasciando invariati, se non sono aumentati, attraverso i tagli alla spesa sociale, i costi della vita per le persone con redditi medio-bassi!
Quindi, bisogna intervenire sul fronte delle entrate, ripristinando una giustizia fiscale, una proporzionalità, e restituendo ai lavoratori e alle lavoratrici italiane quello che hanno pagato in più in questi anni e che non è stato rimborsato loro, cioè la restituzione del fiscal drag.
L'altro grande tema del nostro tempo è la precarietà del lavoro. Penso che sui temi della precarietà e della sicurezza del lavoro bisognerà, con il DPEF e la legge finanziaria, presentare due disegni di legge: uno che affermi un testo unico sulla sicurezza del lavoro e l'altro che riordini l'insieme del mercato del lavoro nel nostro paese. Ci vuole tempo per realizzare questi obiettivi ed è bene che il DPEF abbia una portata quinquennale. Questa maggioranza avrà tutto il tempo di lavorare, applicando il programma dell'Unione per realizzare e dare una risposta alle domande dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, debbo innanzitutto rilevare che, nonostante sia stato presentato questo Documento di programmazione economico-finanziaria con grande enfasi da parte della maggioranza, il Governo non è presente nella sua massima espressione, in particolare con il ministro dell'economia. Con il Governo Berlusconi eravamo abituati ad avere presente, quanto meno, qualche viceministro. Con tutto il rispetto per il sottosegretario, riteniamo che questo sia, ancora una volta, una dimostrazione di scarsa attenzione da parte del Governo nei confronti del Parlamento. Il Governo ha presentato un Documento di programmazionePag. 4economico-finanziaria bello e impossibile, come recita la nota canzone di Gianna Nannini. Bello perché, come tutti i libri dei sogni, fa sognare o, meglio, tenta di far sognare e tenta di accontentare tutti. Basta pensare che si tratta di ben 165 pagine, dove c'è tutto e il contrario di tutto, quando ne sarebbero bastate solamente qualche decina, come sanno i colleghi in quest'aula. È un DPEF impossibile perché non dice niente, proprio niente, sugli strumenti che saranno utilizzati per raggiungere gli obiettivi. Prevede solamente che nel 2007 ci sarà bisogno di ben 35 miliardi di aggiustamento, dei quali 20 miliardi per riportare i conti sotto i parametri europei e 15 miliardi per lo sviluppo. A legislazione vigente, perciò, il disavanzo 2006 è pari al 4 per cento, inferiore dunque alla forchetta 4,1-4,6 per cento stimata dalla due diligence fatta eseguire dal Governo a metà giugno. Questo sarebbe il buco lasciato dal Governo di centrodestra?
Bisogna riconoscere, lo devono riconoscere tutti gli esponenti dell'attuale maggioranza che hanno parlato di dissesto e di disastro, che il deficit di bilancio nel passaggio di legislatura è stato veramente contenuto: in fondo solamente 5 miliardi in più rispetto alla trimestrale di cassa presentata dal Governo di centrodestra. La correzione prevista per il 2007, quindi, rispetto al disavanzo tendenziale, è pari all'1,3 per cento del PIL, vale a dire circa 20 miliardi di euro. Per questo il Governo prevede con molta approssimazione una riduzione delle retribuzioni in valore assoluto ed una crescita dei consumi intermedi di poco più dell'1 per cento.
Dicevo che si tratta di un libro dei sogni perché pochi sono i dettagli su come si raggiungeranno questi obiettivi così ambiziosi. È vero che il Documento di programmazione economico-finanziaria ha sempre avuto la funzione di libro dei sogni di mezza estate - dove i Governi indicano tutte le cose pregevoli che vorrebbero fare e realizzare, salvo poi fare il contrario con le finanziarie autunnali -, ma questa volta ci sembra veramente troppo, poiché la manovra correttiva disegnata nella sua composizione generale è priva di qualsiasi contenuto, che dovrà essere individuato con la prossima legge finanziaria e con i provvedimenti collegati. Il DPEF indica solo che dovranno essere strutturalmente ridotte le spese per la previdenza, la sanità, l'amministrazione pubblica e gli enti locali, senza tuttavia ancora definire con quali riforme.
Non una parola è spesa sulla necessità di elevare l'età pensionabile, né sul passaggio integrale al sistema contributivo delle pensioni. Sulla spesa sanitaria non si anticipano riforme idonee a realizzare un pieno federalismo responsabile delle regioni. Anzi, si continua con il sistema del ripiano a carico dello Stato. Sul lato delle entrate, il DPEF prevede che un contributo importante verrà dato dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, ma non sono state annunciate azioni incisive di riorganizzazione e di riforma dell'amministrazione finanziaria, senza le quali ancora un volta le promesse restano solo sulla carta.
Non è stato ancora precisato quale sarà la redistribuzione del carico fiscale, necessaria anche per finanziare la riduzione del cuneo fiscale e contributivo di 5 punti percentuali. Il DPEF si limita a promettere il proseguimento della politica di privatizzazione e di dismissione del patrimonio pubblico residuo, senza nemmeno quantificarne le dimensioni. Non vorremmo che alla fine l'aggiustamento richiesto fosse raggiunto ancora una volta - lo diceva il collega della sinistra poco fa - ricorrendo soprattutto ad inasprimenti fiscali a carico della parte del paese che adempie scrupolosamente ai propri doveri fiscali.
Oltre che bello e impossibile, questo DPEF è anche velleitario, in quanto vuole coniugare risanamento e crescita. Tecnicamente si tratta di un tentativo di utilizzare simultaneamente il freno e l'acceleratore. Il rischio è che da un punto di vista della finanza pubblica le due misure si annullino a vicenda e che si resti fermi per quanto riguarda lo sviluppo e con i conti al di fuori del controllo e quindi dei parametri di Maastricht. Per questo ilPag. 5DPEF non risulterà credibile a Bruxelles e dunque bisognerà aspettare la finanziaria per il 2007.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, se il Consiglio dei ministri avesse approvato una finanziaria da 35 miliardi di euro, anziché il DPEF, si potrebbe dire senza tema di essere smentiti che il paese ha finalmente imboccato la strada del cambiamento epocale, perché recuperare risorse finalizzate sia al risanamento della finanza pubblica sia al rilancio dello sviluppo attraverso i ventilati interventi strutturali sulla sanità, sulla previdenza, sugli enti locali e sulla pubblica amministrazione significa avviare veramente un processo di modernizzazione. Purtroppo questo DPEF, approvato dal Governo con notevole travaglio interno e con la significativa eccezione del ministro Ferrero di Rifondazione Comunista, è soltanto uno strumento inutile, come tutti noi sappiamo.
La verità è che, a fianco delle grandi quattro voci di spesa, non ci sono numeri precisi né strumenti che ci dicano come verranno recuperati i 20 miliardi di tagli, né come saranno utilmente impiegati i 15 miliardi previsti per sostenere lo sviluppo. Il vero problema, onorevoli colleghi, è la capacità di questa maggioranza di fare scelte coraggiose e lungimiranti, assumendosene la responsabilità politica di fronte agli italiani, senza spaccarsi quando si metterà in discussione un consolidato sistema di spesa pubblica. La domanda quindi è: può un Governo debole in Parlamento e diviso fra una componente radicale ed una riformista reggere all'urto non tanto di questo DPEF, che forse riuscirà a reggere, ma della finanziaria, che ne dovrebbe essere la prosecuzione attuativa? Tutto ciò è compatibile con le forze politiche radicali ed antagoniste, che con la cultura di Governo non hanno nulla da spartire? Noi pensiamo proprio di no! Per questo in autunno inoltrato il Governo cadrà ed il centrosinistra andrà a casa (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.
TINO IANNUZZI. L'esame del DPEF rappresenta la prima occasione per un confronto in Parlamento sulla politica infrastrutturale del nostro paese. Si tratta quindi di un'occasione preziosa per discutere e per definire i punti fermi della strategia del Governo e del Parlamento in questo campo, per fissare le grandi direttrici che devono orientare e caratterizzare l'operato e le decisioni dell'esecutivo in questa legislatura e per dare il volto generale alla politica del nostro Governo nel campo delle infrastrutture.
Vogliamo, come gruppo dell'Ulivo, sottolineare subito con grande convinzione, ma anche con grande forza, che la questione dell'ammodernamento e del potenziamento del sistema infrastrutturale del nostro paese è una questione assolutamente centrale e decisiva, che interessa in maniera particolarmente forte e marcata il Mezzogiorno, ma interessa in misura altrettanto irrinunciabile il centro, il nord del paese e l'intero sistema Italia.
La questione infrastrutturale interessa l'intera nazione e richiede un impegno, nella distinzione e nell'autonomia dei ruoli, comune e convergente della maggioranza e dell'opposizione, in un dialogo di merito franco e a tutto campo. Infatti, è evidente che senza l'adeguamento della rete infrastrutturale non potremmo mai realizzare le condizioni di un paese più moderno, più funzionale, più europeo. Noi condividiamo anche l'impostazione che il ministro Di Pietro ha dato all'allegato al DPEF in materia infrastrutturale, che parte innanzitutto dallo sforzo di realizzare un'analisi a trecentosessanta gradi della situazione esistente, del cosiddetto stato dell'arte dal punto di vista dei cantieri aperti, degli appalti in svolgimento, dei finanziamenti erogati, delle risorse ancora disponibili, del fabbisogno finanziario: elementi che bisogna acquisire per perseguire con decisione un chiaro programma di ammodernamento infrastrutturale.Pag. 6
Ci rendiamo, altresì, conto che tutta l'impostazione politica di questa legislatura non può non far tesoro del grande limite che è emerso nel quinquennio che abbiamo alle nostre spalle e che si identifica nell'aver voluto tracciare, con la delibera del CIPE del 21 dicembre 2001, attuativa della legge obiettivo, un elenco smisurato, infinito e irrealizzabile di opere cosiddette prioritarie, ben 228! Troppe priorità, tante priorità, nella sostanza significano nessuna vera effettiva e grande priorità, che ci porta ad aprire e chiudere i cantieri di una grande opera pubblica nel corso della legislatura. Oggi invece dobbiamo voltare pagina e dire con chiarezza che l'elenco delle priorità deve essere estremamente circoscritto e puntuale, ma soprattutto deve essere rapportato con responsabilità e coraggio politico alla quantità di risorse finanziare effettivamente disponibili; ma sicuramente, alla luce della situazione complessiva della finanza pubblica del nostro paese, questi fondi cui attingere sono esigui.
Allora dobbiamo definire una griglia ristretta ed effettiva di grandi, vere e reali priorità, identificandole in quelle opere che sono capaci di far compiere un salto di qualità a territori di area vasta, a cominciare, ad esempio, nel Mezzogiorno dal completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Condividiamo anche il metodo preannunciato dal ministro, che è quello di un dialogo e di una condivisione con il territorio, con le regioni e con le comunità locali. Naturalmente tale dialogo deve svolgersi in maniera proficua e approfondita, preventiva e chiara, ma deve anche avere tempi certi, responsabilità reciproche e soprattutto consentire alle opere di essere condivise nelle elaborazioni progettuali e poi portate avanti con decisione. Vogliamo, altresì, dire che è particolarmente giusta l'indicazione che il ministro dà circa lo svolgimento del trend degli investimenti infrastrutturali nella scorsa legislatura: vi è un grave deficit, una grave carenza infrastrutturale che si evince nel Mezzogiorno. Ebbene, degli investimenti realizzati, il 77 per cento è andato al nord, il 13 per cento al centro, solo il 10 per cento al sud.
Ora, è evidente che nel Mezzogiorno occorre intervenire subito e di più, ma è altrettanto evidente che i problemi infrastrutturali sussistono anche nel centro e nel nord del paese. Sono problemi diversi, che pure vanno affrontati con responsabilità e coraggio. Riteniamo anche giusta l'indicazione di dare priorità innanzitutto alle grandi opere pubbliche avviate già in misura significativa e rilevante, e di dare grande attenzione, inoltre, ai nodi territoriali strategici per la competitività del paese. Riteniamo inoltre che, nelle prossime settimane, nel definire la griglia di priorità, dovremo affrontare con chiarezza il discorso della finanza di progetto, che è decollata ma si è fermata, soprattutto a livello comunale, per investimenti e opere di taglio piccolo e medio.
Dal punto di vista delle grandi opere, come insegna anche l'esperienza della Bre-Be-Mi, ancora non abbiamo esempi significativi, ma dobbiamo distinguere - e concludo, signor Presidente - tra opere che possono essere realizzate con la finanza pubblica e quelle che possono essere realizzate con il contributo dei privati. Naturalmente, per il Mezzogiorno sarà prioritaria e decisiva la destinazione delle risorse finanziarie pubbliche, perché lo Stato non può non farsi carico di realizzare le opere necessarie all'infrastrutturazione del Sud (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non mi annovero tra quanti reputano indispensabile il Documento oggi in discussione; ritengo, anzi, che questo DPEF in particolare debba farci riflettere sulla validità dello strumento che abbiamo a disposizione.
Infatti, il Documento di programmazione economico-finanziaria, nato alcuni anni fa quando gli strumenti di contabilità economica dello Stato non erano ancoraPag. 7affinati come oggi, serviva a fotografare lo stato dell'arte, al fine, poi, di impostare la legge finanziaria. Ma gli strumenti oggi a disposizione dello Stato e dei ministeri sono talmente evoluti che questi dati, ormai, li conosciamo in tempo reale; quindi, quello odierno rischia di diventare un lavoro inutile.
Ho fatto tale premessa perché tutti insieme, forse, dovremmo cominciare a meditare se valga la pena impegnare le Camere, nei mesi di giugno e luglio, in una discussione che potrebbe risultare inutile. Anzi, è talmente inutile che oggi facciamo fatica ad identificare, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, le linee che poi dovremmo affrontare, invece, nell'esame in prima lettura della finanziaria, tra settembre ed ottobre.
In questa sede, ci limitiamo a quantificare il fabbisogno dello Stato per il 2007 in 35 miliardi di euro; in realtà, a mio avviso, lo si quantifica in 41 miliardi di euro. Infatti, la manovra Visco-Bersani che approveremo nei prossimi giorni avrà un riflesso in termini di maggiori imposte per il 2007 di circa 6 miliardi di euro, che si sommeranno - così ha dichiarato il ministro dell'economia e delle finanze nell'ultima seduta congiunta delle Commissioni bilancio di Camera e Senato - ai 35 miliardi che dovremo ancora reperire; perciò, il fabbisogno dello Stato sarà di 41 miliardi di euro.
Mi preme anche aggiungere che mi appassiona poco lo «scaricabarile» sulla passata gestione dei conti dello Stato; mi limito solo a chiarire come siano tre gli elementi che si identificano in questo Documento di programmazione economico-finanziaria.
Il primo, positivo, è un boom delle entrate fiscali; ciò significa che la politica economica del Governo precedente incomincia a dare i propri frutti. Considerate che si tratta di un boom senza provvedimenti straordinari e, quindi, probabilmente ripetibile anche nel corso dei prossimi anni.
In secondo luogo, finalmente si dichiara la verità sull'avanzo primario; è vero che è azzerato ma, nella relazione al Documento di programmazione economico-finanziaria e nel Documento stesso, si dichiara esplicitamente che ciò è anche dovuto ad un cambiamento dei criteri contabili di elaborazione dell'avanzo primario imposto dall'Unione europea, sicché non vi è una grande differenza rispetto agli esercizi precedenti.
Terzo, ma non ultimo, il fatto che l'indice di povertà, negli ultimi cinque anni, è calato; ciò significa che la politica, soprattutto fiscale, portata avanti dal precedente Governo ha dato, per le classi disagiate del nostro paese, un risultato altamente positivo.
Mi interessa anche sostenere che, se vogliamo che questi 35 miliardi di euro non gravino in particolare sugli enti locali bisogna che rafforziamo, quando vareremo la legge finanziaria, la parte riguardante le privatizzazioni. Al riguardo, nel Documento si parla solo delle privatizzazioni dello Stato; a mio avviso, invece, dobbiamo compiere una grande riflessione sulle privatizzazioni da effettuarsi a livello locale, soprattutto se vogliamo procedere verso le liberalizzazioni. È vero infatti che privatizzare non significa liberalizzare, ma noi non liberalizzeremo mai se prima non privatizzeremo le multiutilities locali. La presenza dei comuni in quelle multiutilities è un ostacolo alle liberalizzazioni; la finanziaria dovrà perciò prevedere un'incentivazione per quei comuni che decideranno di dismettere le proprie partecipazioni. Solo così, riusciremo a convincere i nostri amministratori locali a vendere parte di quelle partecipazioni, a facilitare il progetto di liberalizzazione dei servizi pubblici locali e a reperire quelle risorse - e mi aggancio all'intervento svolto dianzi - indispensabili per ammodernare i territori locali.
PRESIDENTE. Onorevole...
GIAN LUCA GALLETTI. L'ultima considerazione che voglio svolgere riguarda gli enti locali; è indispensabile che, se il patto di stabilità funzionerà, come è scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, per saldi e non più perPag. 8tetto di spesa, i trasferimenti ai comuni siano in aumento.
Il patto di stabilità per i saldi funziona solo in presenza di trasferimenti crescenti per gli enti locali, altrimenti metteremmo i comuni nella condizione di dover aumentare le imposte al posto dello Stato. Questo sarebbe scorretto per lo Stato e per gli enti locali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fasolino. Ne ha facoltà.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il DPEF 2007-2011 denuncia anche quest'anno i limiti derivantigli dal costituire un provvedimento inutile e ripetitivo, che fa parte ormai di un rituale di cui sarebbe opportuno potersi quanto prima liberare. Un merito comunque ce l'ha: quello di smascherare, ove ve ne fosse ancora bisogno, le incongruenze e le menzogne di un centrosinistra che ha perseguito il solo obiettivo di predicare in modo ingannevole per gli elettori, salvo cambiare atteggiamento una volta pervenuto al Governo.
L'unico traguardo sinora tagliato dalla coalizione ulivista e dal Presidente del Consiglio in realtà rimane il record di ministri e sottosegretari in un Governo della Repubblica. Prodi, per la verità, è vicino anche ad altri notevoli primati: il Governo con il più numeroso ricorso a voti di fiducia, insieme alla più massacrante ed avvilente utilizzazione dei senatori a vita.
Il Governo Prodi sta mostrando agli italiani una faccia negativa di questo grande istituto e spero vivamente che il Presidente Napolitano voglia per il futuro procedere, all'occorrenza, alla nomina di componenti più giovani, attingendo, diversamente da quanto operato dai suoi predecessori, a tutte le culture del paese. Il paese merita questo rispetto e questa attenzione.
Per quanto concerne le politiche per la crescita economica, un primo «tonfo» il Governo l'ha registrato sulle liberalizzazioni, facendo due passi avanti e quattro indietro sui provvedimenti approvati.
In primo luogo, il decreto-legge non sembra la misura più idonea per realizzare riforme di grande spessore; in secondo luogo, è stata intenzionalmente esclusa la metodologia della concertazione, quasi che il lavoro autonomo professionale fosse di serie B rispetto al lavoro dipendente.
In terzo luogo, sarebbe stato più corretto ed opportuno - dico anche più coraggioso - intervenire inizialmente sui settori dei grandi monopoli, delle comunicazioni e dell'energia; evidentemente Bersani, Franca Rame, Rizzo, per citare solo alcuni degli esegeti del nuovo corso, amano riempirsi la bocca con pretese lotte ai grandi potentati, salvo all'occorrenza precipitosamente ripiegare su provvedimenti più semplici e meno compromettenti.
Sulla politica delle infrastrutture registro con soddisfazione...
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere: ha esaurito il suo tempo.
GAETANO FASOLINO. Concludo, con un passaggio sul ministro Di Pietro. Registro con soddisfazione che il ministro Di Pietro ha asserito di voler dare continuità all'azione del precedente Governo, in considerazione dell'importanza delle opere infrastrutturali del paese.
Dopo il folkloristico defenestramento del consiglio di amministrazione dell'ANAS, misura che ha rasserenato tutti gli italiani sulle sue non sopite capacità inquirenti, il ministro metterà altre frecce al suo arco, perché sicuramente Pecoraro Scanio, dopo una transitoria opposizione strumentale e di facciata, rinfodererà la spada e si accoderà a tutte le iniziative in materia di infrastrutture, che altro non sono che quelle del Governo Berlusconi.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Fasolino, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Merloni. Ne ha facoltà.
MARIA PAOLA MERLONI. Signor Presidente, il DPEF 2007-2011 si inserisce in un quadro economico e finanziario tutt'altro che rassicurante. La legislatura appena avviata ha trovato un'Italia sfibrata da una lunga stagnazione economica, dalla costante crescita del debito pubblico, dalla perdita di credibilità a livello europeo e soprattutto da una grave e complessiva crisi di fiducia dei cittadini, delle imprese e dei lavoratori.
Senza voler entrare nel merito dei motivi e delle responsabilità, dobbiamo cercare nel più breve tempo possibile di porvi riparo affrontando con decisione i principali problemi che abbiamo di fronte: lo squilibrio dei conti pubblici da un lato, e la mancata crescita dall'altro. Da questo punto di vista, il DPEF rappresenta un'importante novità contenuta essenzialmente nell'enunciazione di voler evitare la politica dei due tempi, affermando invece la necessità di intervenire in contemporanea su entrambi i problemi. La nostra crescita economica non può prescindere dal risanamento dei conti pubblici e non si possono che apprezzare le misure che il DPEF indica a questo proposito. In particolare, è estremamente importante che vi sia indicata la volontà di rientrare, già dal prossimo anno, nei parametri europei. Il nostro paese potrà così, oltre alla stabilità dei conti, riacquistare anche quella credibilità presso i mercati internazionali che in parte si era ridotta negli ultimi anni.
Negli ultimi mesi abbiamo visto qualche segnale di ripresa, ma sappiamo bene che la ripresa di per sé non è sufficiente a risolvere il problema della mancata crescita che ci affligge da oltre un decennio e che rischia ormai di intaccare il talento innovativo dell'economia, di deprimere perennemente le speranze dei giovani e di affossare ulteriormente la fiducia dei cittadini. Dunque, così come dieci anni fa l'obiettivo che ci eravamo posti era quello di entrare nell'euro, oggi il traguardo che dobbiamo perseguire è quello di tornare a crescere. Dagli anni Novanta in poi l'economia italiana si è praticamente fermata e la nostra competitività è calata in maniera preoccupante. I motivi sono molteplici; hanno sicuramente pesato la mancata crescita dimensionale delle imprese, così come la scarsa innovazione ma anche l'assenza di concorrenza in molti settori fondamentali come, ad esempio, i servizi e l'energia, il costo del lavoro e il fisco. Si tratta di ritardi strutturali gravi che si possono risolvere con misure adeguate. Da questo punto di vista riteniamo che il DPEF indichi percorsi condivisibili a partire dall'impegno di utilizzare le risorse che verranno reperite sia attraverso il taglio delle spese sia con nuove entrate non solo per incidere sul disavanzo, ma per finanziare misure utili a stimolare la crescita e la competitività, per creare nuove opportunità per i giovani, per combattere la povertà e l'emarginazione, per promuovere l'equità sociale.
Qualcuno ha osservato che il DPEF è un po' come un libro dei sogni; in realtà, il suo ruolo è quello di fissare i punti cardinali e la direzione nella quale dovrà può muoversi la legge finanziaria alla quale spetta il compito di dare concretezza alle diverse misure per il risanamento e lo sviluppo. Riteniamo che il taglio del cuneo fiscale sia un segnale importante in questa direzione. Si tratta di un elemento essenziale per correggere le distorsioni del costo del lavoro e per liberare risorse che le imprese potranno poi destinare a nuovi investimenti avviando una spirale virtuosa anche nei confronti dell'occupazione. Ma altri provvedimenti oltre a questo sono ugualmente urgenti e necessari. Per ricordarne soltanto alcuni: occorre aumentare la concorrenza in tutti i settori superando la centenaria storia di privilegi di alcune categorie a scapito di altre. Proseguire, quindi, senza indecisioni sulla strada già avviata delle liberalizzazioni, ampliandone il raggio ed estendendole ai settori dei servizi pubblici locali e dell'energia i cui costi costituiscono un peso per la nostra economia. Occorre affrontare con decisione il nodo delle infrastrutture, terreno sul quale siamo in ritardo gravissimo e che rischia di tagliare il nostro paese fuori dall'Europa. Definire, quindi, urgenze ePag. 10priorità e maggiore correlazione con le esigenze logistiche delle aree produttive del paese.
Occorrono misure che agevolino la crescita patrimoniale e dimensionale delle imprese, la loro capacità di fare innovazione e ricerca, l'internazionalizzazione.
PRESIDENTE. Onorevole Merloni...!
MARIA PAOLA MERLONI. Occorre individuare misure adeguate per sfruttare al meglio la nostra industria del turismo, occorre dare una speranza nuova al Mezzogiorno. Occorrono, infine, provvedimenti che puntino all'ammodernamento della pubblica amministrazione e alla semplificazione della burocrazia.
Il ministro Padoa Schioppa, con una formula inusuale, ha voluto aprire il DPEF con una citazione di Kant: «Coloro che dicono che il mondo non andrà sempre così com'è andato finora (...) contribuiscono a far sì che l'oggetto della loro predizione si avveri». A noi piace credere che, se non il mondo, almeno l'Italia possa finalmente da oggi tornare a crescere (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preannuncio fin d'ora il voto favorevole del gruppo dei Comunisti italiani, che rappresento in quest'aula, al Documento di programmazione economico-finanziaria e dico, innanzitutto, che si tratterà di un voto fondato su un meccanismo di fiducia, non della fiducia che tecnicamente viene posta dal Governo, e che reiteratamente è all'ordine del giorno dei nostri lavori, anche di quelli dell'Assemblea del Senato di questi giorni, ma di quella che sta nelle cose che sono scritte nel Documento stesso.
Ha detto qualche collega prima di me, richiamandolo talvolta come fatto positivo o anche come negativo, che il DPEF sarebbe in fondo un libro dei sogni. Ma io domando a me e a voi, colleghi, che cos'altro deve fare la politica se non tradurre in documenti, in mozioni, in norme non i sogni, bensì le aspirazioni di una società a realizzare più sviluppo, più equità e a risanare i conti del paese?
Quella che i Comunisti italiani manifestano con il voto favorevole è naturalmente una fiducia prudente, che guarda alla legge finanziaria. È stato ricordato che non tutte le forze che compongono la coalizione dell'Unione danno la medesima lettura di questo documento. A tale proposito vi sono stati dei distinguo anche significativi, che però, per quanto mi constano, sono stati posti non in termini assoluti, ma di sospensione del giudizio, la stessa sospensione che, in buona sostanza, su alcuni punti degli intenti dichiarati nel Documento, anche i Comunisti italiani pongono in essere.
Parlare di equità in questo paese, che non sempre, e particolarmente negli ultimi anni, ha fatto ricorso a tale concetto, è già di per sé un fatto importante. Quando dell'equità si fa il punto centrale di un documento di programmazione, si stanno svolgendo comunque affermazioni che pesano come pietre, che intendono precisare una linea di pacificazione sociale e di condivisione di misure, anche di quelle che nel nostro singolo cortile possono sembrare meno facilmente accettabili.
Abbiamo già visto che il Governo, attraverso la decretazione, si è mosso in alcuni settori dell'economia e non credo che spetti ai Comunisti italiani, in linea generale, glorificare i sistemi di liberalizzazione come incentivo alla concorrenza e come strumento di realizzazione dell'equità e dello sviluppo sociale. Devo dire, però, considerato che qualche collega si riferisce spesso a noi chiamandoci «sinistra radicale», con un termine che, oltre ad essere poco gradito, è anche abusato, che i radicali in questa Assemblea sono rappresentati da ben altre forze e che il significato della parola «radicale», anche in altri paesi di tradizione democratica, ha ben altra valenza. Credo che si debba parlare di noi piuttosto come di una sinistra consapevolmente riformista, assolutamente rigorosa e che probabilmentePag. 11preferirebbe chiamarsi ancora - mi si passi il termine, se non storicamente e politicamente desueto - «sinistra comunista».
Dunque, non sta a noi, egregi colleghi, glorificare il sistema delle liberalizzazioni; dobbiamo bensì riconoscere, posto che la logica economica alla quale storicamente si ispira questo paese è quella nella quale il mercato ha un ruolo importante e significativo, che la riaffermazione di regole di concorrenza e di competizione corretta ne costituiscono un elemento basilare.
Anche in ciò, infatti, risiede la citata equità. Vorrei segnalare che io stesso sono rimasto favorevolmente impressionato dal fatto che, quando si discute di correttezza nell'ambito della concorrenza, si faccia riferimento al rispetto delle regole. Sto parlando, innanzitutto, del pagamento delle tasse e della regolarizzazione delle posizioni previdenziali dei lavoratori dipendenti attraverso il versamento dei contributi, nonché di tutti gli oneri che, legittimamente, derivano dall'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria in esame, inoltre, è contenuta un'indicazione importante riguardo alla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, poiché vi si afferma che il beneficio che ne deriverà...
PRESIDENTE. Onorevole Vacca...
ELIAS VACCA. ...non dovrà andare a favore delle imprese indiscriminatamente, poiché dovranno trarne giovamento soprattutto quelle aziende che stabilizzeranno i posti di lavoro: per i Comunisti, allora, si tratta di un elemento ancora essenziale.
Concludo, signor Presidente, accogliendo il suo invito a terminare il mio intervento ed affermando che è evidente che il DPEF contiene dichiarazioni di intenti e che tali dichiarazioni, successivamente, saranno tradotte in numeri ed in misure concrete dal disegno di legge finanziaria.
Tuttavia, poiché il Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 contiene, almeno in termini concettuali, qualche risposta alle aspirazioni che emergono nel nostro paese, esso riceverà il voto favorevole del gruppo dei Comunisti Italiani.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.
ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, vorrei ricordare come, da più parti, sia stato affermato che Documento di programmazione economico-finanziaria è uno strumento che non risulta utile allo svolgimento dei lavori parlamentari.
Ritengo che in parte sia vero e che sussista la necessità di approfondire lo strumento in questione; tuttavia, credo che l'impianto della legge n. 468 del 1978 affidi al DPEF l'obiettivo di fissare principi ordine generale. In primo luogo, infatti, esso deve definire l'entità del fabbisogno del bilancio dello Stato, nonché altri parametri economici e finanziaria fondamentali, sulla base di una previsione almeno triennale.
Penso che, per non trovarsi tra le mani dei libri dei sogni, occorra approfondire i temi che, attraverso il Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011, il Governo di centrosinistra ha sottoposto alla nostra attenzione.
Vorrei affrontare, in primo luogo, la questione del risanamento dei conti pubblici. Infatti, non potrebbe esservi l'intervento della politica in generale, di questa Assemblea e dello stesso Governo senza avere certezze in ordine allo stato dei conti dello Stato. È inutile parlare di eredità del passato, poiché si tratta di una questione di fondo: infatti, quando ci troviamo a discutere di crescita economica, di sviluppo, di equità e di redistribuzione del reddito, incontriamo difficoltà nel reperire le necessarie risorse finanziarie. All'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame, pertanto, il risanamento dei conti pubbliciPag. 12rappresenta, giustamente, un tema centrale.
Tale processo di risanamento si articola in alcuni interventi. Vorrei ricordare, infatti, che esso prevede di reperire 35 miliardi di euro attraverso una seria e concreta lotta all'elusione e all'evasione fiscale; evidenzio, inoltre, che il cosiddetto decreto-legge Bersani-Visco ha già indicato alcuni comportamenti di fondo nell'ambito degli indirizzi relativi all'azione del Governo.
Per l'economia dei nostri lavori non intendo richiamarli, poiché avremo modo di discuterli in sede di conversione del decreto-legge in oggetto; vorrei osservare che, comunque, si tratta di un provvedimento strutturale, che porterà nelle casse dello Stato 7 miliardi di euro, destinati al risanamento dei conti pubblici per l'esercizio finanziario in corso. Vorrei peraltro segnalare che, quando parliamo dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo, è sempre bene ricordarsi l'entità della manovra in termini assoluti.
A tale riguardo, vorrei sottoporre all'attenzione dell'Assemblea, tra i tanti, il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal precedente Governo nel 2002. In tale Documento si legge che l'obiettivo in termini di indebitamento netto strutturale per il 2003 era stato fissato all'1,8 per cento del PIL, mentre per il 2004 era pari all'1,3 per cento, per il 2005 allo 0,8 per cento e per il 2006 allo 0,3 per cento del prodotto interno lordo. I dati contabili attuali, tuttavia, indicano che tale livello, pur con tutte le manovre correttive adottate, si attesta al 4 per cento del PIL.
Vorrei osservare che siamo in presenza di uno scostamento di quasi 4 punti percentuali di prodotto interno lordo, pari a circa 60 miliardi di euro. Se consideriamo anche che paghiamo oneri sul debito pubblico ad un tasso d'interesse del 5 per cento, allora ciò significa che stiamo trasferendo l'azione di risanamento finanziario sui prossimi anni, vale a dire sulle giovani generazioni!
Questo bel libro, che reca la firma di Berlusconi e Tremonti - che sa fare i conti senza mettere le mani in tasca agli italiani -, ci forniva anche un altro obiettivo, vale a dire il fatto che il debito complessivo del PIL doveva trovarsi in un rapporto del 99,4 per cento. Leggendo l'indicatore di oggi, si registra una cifra pari al 107 per cento.
Quindi, le previsioni del Governo precedente evidenziano come non si sia prestata attenzione al tema dei conti pubblici e del risanamento. Infatti, il risanamento dà nuovamente spazio alla politica economica del paese; se parliamo di innovazione, di sviluppo tecnologico, di nuova politica scolastica, non può esservi un'operazione di questo tipo se il bilancio dello Stato è in queste condizioni ed è costituito da previsioni fantastiche, non credibili e disattente.
Quindi, la nostra domanda è la seguente: la proposta di questo strumento di programmazione economica è credibile rispetto ai conti pubblici? Ritengo che, nel nostro atteggiamento, dovremmo superare tutta la parte di rappresentanza anche lobbistica, territoriale e di categoria, sforzandoci affinché questo strumento, nell'interesse del paese, raggiunga l'obiettivo del risanamento, della crescita e dell'equità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, può ricordarmi il tempo che ho a disposizione?
PRESIDENTE. Onorevole Barani, lei ha a disposizione 9 minuti.
LUCIO BARANI. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria fa bella mostra di sé una frase - letta ed apprezzata da molti - del filosofo Kant, secondo la quale: coloro che dicono che il mondo andrà sempre così com'è andato finora, contribuiscono a far sì che l'oggetto della loro previsione si avveri.
Si potevano utilizzare molte altre citazioni, ma esiste sempre quel lapsus freudiano, per il quale si cita casualmente un concetto che in realtà denota le reali intenzioni o le idee della compagnia.Pag. 13
Il ministro Padoa Schioppa sapeva bene con chi aveva a che fare e gli è sfuggito l'incipit del suo Documento. Cerchiamo dunque di definire chi sono coloro che dicono che il mondo non cambierà mai.
In primis, tutti i sindacati. Dell'incontro con le organizzazioni sindacali si è parlato come di un incontro non facile, quasi freddo; il segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani, lo dice chiaramente: non sono soddisfatto! E il numero uno della CISL, Bonanni, rimarca la dose: temiamo atti unilaterali, come il Governo Berlusconi! Inoltre, Epifani afferma: sembra di cogliere un'accentuazione - che non condividiamo - nei confronti dei tagli alla spesa sociale, in modo particolare nel settore della previdenza, della sanità e degli enti locali. Non sono soddisfatto né dell'entità delle informazioni né dello squilibrio nei confronti dei tagli sociali che non ci sono stati quantificati. Sottolinea Bonanni: la spesa sociale non si tocca. Dicono che vogliono mettere sotto pressione i punti principali della spesa, come il pubblico impiego e le pensioni. Non siamo d'accordo e lo diremo con molta forza!
Inoltre, tra coloro che dicono che il mondo non cambierà mai, vi sono anche «pezzi» dell'Unione. Ad esempio, Rifondazione Comunista, attraverso il ministro Ferrero, ha reso esplicito il dissenso nei confronti del provvedimento che prefigura una finanziaria da 35 miliardi di euro, da reperire anche e soprattutto attraverso interventi strutturali sulla pubblica amministrazione, sulla previdenza, sulla sanità e sugli enti locali.
Il segretario Giordano chiede un percorso di consenso, ma non manca di sottolineare l'apertura verso le richieste dei sindacati con l'innalzamento del tasso programmatico di inflazione al 2 per cento, mentre, il sottosegretario per lo sviluppo economico, Alfonso Gianni, contesta proprio l'impianto del Documento, prefigurando una manovra da 15 miliardi di euro, invece che da 35, senza l'obiettivo di abbattere da subito il debito.
Anche Verdi, PDC e sinistra-DS non mancano di esprimere forti preoccupazioni. Siamo di fronte a dei dilettanti allo sbaraglio!
Poi, è la filosofia stessa di tutta l'Unione che certamente non è kantiana, se è vero che, per anni, ci ha abituato ad un catastrofismo che ha impaurito cittadini, borse e mercati. Tale filosofia è altrettanto stucchevole quanto l'esagerato buonismo e ottimismo messo in atto dalla Casa delle libertà.
Poi ci sono i soliti e autorevoli criticoni. Questo è il giudizio dell'agenzia Standard and Poor's sul DPEF: la manovra economica annunciata dal Governo italiano contiene obiettivi ambiziosi, che, però, rimarranno fuori portata, a meno che Roma non specifichi con quali riforme strutturali intende realizzarli; come è accaduto in precedenza, il DPEF contiene molte buone intenzioni, ma poche misure concrete; il Governo dovrà quindi specificare le riforme strutturali per rendere raggiungibili gli ambiziosi obiettivi.
Non mancano poi giudizi sulla debolezza del Governo in carica. Per la Standard and Poor's, sul DPEF la risicata maggioranza parlamentare della coalizione porterà, nel tempo, ad una progressiva erosione delle prospettive di consolidamento fiscale, ragione per cui la valutazione della credibilità del percorso di consolidamento prospettato e, quindi, la prossima mossa sul rating, sovrano dell'Italia, dipenderà dal successo dell'attuazione nei primi tempi del Governo. L'outlook negativo resta quindi appropriato, fino a quando una sostanziale realizzazione non è in corso. Se, però, i progressi nel 2006 sono poco o niente, il rating potrebbe essere abbassato prima della fine dell'anno.
Poi c'è la Corte dei conti: ciò che continua a risaltare è l'assenza, ripetutamente lamentata dalla Corte, di una strategia di contrasto all'evasione che sia finalmente intesa come una ordinaria attività gestionale. È la critica del Presidente della Corte dei conti Staderini. Manca una programmazione - dice Staderini - che, partendo dalla periodica sistemazione ePag. 14quantificazione delle dimensioni e della composizione del fenomeno dell'evasione, per imposta, tipologia del contribuente, territorio, classe di reddito e quant'altro, fissi e renda noti obiettivi e traguardi, generali e specifici, di riduzione delle perdite di gettito e definisca coerenti misure di contrasto da aggiornare e rivedere continuamente sulla base della costante verifica dei risultati conseguiti e pubblicizzati. Nel corso delle audizioni presso la Camera dei deputati, egli ha aggiunto che la spesa pubblica registra una preoccupante espansione e che il buon esito delle entrate sarebbe assorbito interamente dalla maggior spesa corrente primaria.
Secondo Staderini, la crescita dell'1,2, prevista nel DPEF per il 2007, è una ipotesi inverificabile in assenza di indicazioni più precise sulla composizione della manovra e, in particolare, sui provvedimenti diretti a contenere il reddito disponibile di famiglie e di imprese.
Poi ci sono le regioni: secondo il loro parere comune, espresso in Conferenza unificata, l'allegato relativo alle infrastrutture non è stato elaborato con il coinvolgimento delle regioni, che risultano ancora una volta estromesse da un fondamentale processo decisionale destinato ad incidere sulle loro rispettive realtà. Le regioni sono contro il DPEF anche per quanto riguarda gli aspetti legati alle risorse da destinare al Servizio sanitario nazionale. Non emergono aspetti quantitativi e di certezza sulle risorse nel breve-medio periodo. Le regioni chiedono che tale certezza sia indicata in un nuovo patto per la salute, da definire prima della pausa estiva.
Quindi, ha ragione l'onorevole Tremonti, quando riassume il tutto nel solito e lapidario commento: il Governo non sa cosa ha approvato.
Mi fermo qui. Ciò basta per dimostrare che, in fondo, è vero quanto affermato nell'incipit del ministro Padoa Schioppa. Pare che tutti stiano a dire che il mondo descritto dal Documento di programmazione economico-finanziaria non ha cambiato nulla sotto i cieli dell'Unione e, sostanzialmente, sta scontentando tutti. Comunque, un ministro tecnico dovrà fare i conti dei mille interessi politici e corporativi che sono rappresentati dalla variopinta moltitudine prodiana.
Penso che, alla fine, se ci sarà un dimissionario, sarà proprio il ministro Padoa Schioppa. Ci pensano già talmente in tanti che contribuiranno a far sì che l'oggetto delle loro previsioni si avveri. E credo che ciò avverrà molto precocemente.
In conclusione, mi sembra che aumenti sempre più la sfiducia nello Stato da parte di cittadini, imprenditori e, soprattutto, professionisti. Si continua a non capire che l'evasione fiscale si combatte dando a tutti la possibilità di detrarre il più possibile, in modo che tutti siano stimolati a chiedere le ricevute al ristorante, allo stabilimento balneare, al professionista, al ferramenta. C'è uno statuto del contribuente, alla luce delle direttive dell'Unione europea, che viene completamente disatteso. Andando avanti così, si toccherà veramente il fondo!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zipponi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ZIPPONI. Signor Presidente, risanamento, sviluppo ed equità sono tre parole che, per il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, devono parlare, innanzitutto, ai lavoratori, ai pensionati, al sistema delle imprese italiane.
Risanamento, con entrate che attaccano davvero l'evasione fiscale; risanamento, discutendo con l'Europa sia sui tempi sia sul livello di rientro dal debito.
Sviluppo, tenendo conto che siamo in una nuova fase economica, ossia siamo di fronte al più grande processo mondiale di industrializzazione e che anche le imprese manifatturiere italiane stanno uscendo in molti casi dalla crisi.
Oggi, è necessario che, a partire dal Governo, si dia l'imput per una nuova rinascita industriale nazionale dell'Italia. E cosa deve contenere il DPEF per lo sviluppo? Innanzitutto, deve individuare i settori manifatturieri strategici, a partire dall'energia; l'energia, che è il punto debole nei costi delle imprese e per le tasche dei lavoratori e dei pensionati.Pag. 15
Bisogna agire sulle infrastrutture, intervenendo anche sulle grandi speculazioni, come la vendita della società Autostrade da parte del gruppo Benetton agli spagnoli, facendo prevalere l'interesse nazionale. Bisogna intervenire con strumenti finanziari a sostegno dell'impresa che cresce e crea lavoro buono, ossia a tempo indeterminato.
Equità: per equità intendiamo lotta al precariato, un cuneo fiscale selettivo per le aziende che creano lavoro a tempo indeterminato. Intendiamo la restituzione del fiscal drag e la difesa delle retribuzioni dei pensionati di questo paese.
Questi temi parlano direttamente al paese. Per tale motivo, crediamo che il Governo di centrosinistra abbia iniziato bene, perché prima con la «manovrina» e, poi, con il cosiddetto decreto Bersani si è data l'idea di volere decidere. Si decide chi deve pagare, perché non possono continuamente pagare coloro che, negli anni passati, hanno già contribuito con prezzi altissimi.
Pertanto, riteniamo sbagliato fare allarmismo da parte di alcuni ministri di questo Governo, che continuamente citano termini come previdenza, sanità, pubblico impiego e quant'altro, come se tutti fossero uguali, come se le pensioni non fossero già state colpite.
Deve essere chiaro che, nella prossima legge finanziaria - dove davvero si discuterà delle scelte - le pensioni dei lavoratori dipendenti non saranno a disposizione del Governo. Comunque, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea si batterà contro qualsiasi intervento volto a tagliare le pensioni.
Non sarà possibile intervenire contro chi, in questi dieci anni, ha pagato prezzi altissimi. Per questo motivo, nel Consiglio di ministri, il nostro ministro non ha votato a favore del DPEF. Per questo motivo, la legge finanziaria dovrà parlare al paese con chiarezza, indicando con decisione chi dovrà pagare, per far sì che le parole sviluppo, equità, rinascita del paese e risanamento si rivolgano direttamente alle persone interessate.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, questo DPEF di inizio legislatura non resterà certo negli annali. D'altra parte, credo che, in altra sede, andrebbe forse discussa più in generale l'utilità di tale documento.
A proposito del trittico, richiamato più volte anche dai colleghi, che avrebbe dovuto dare contenuto politico e di indirizzo all'azione del Governo - sviluppo, risanamento, equità - desidero sottolineare, nel breve tempo di cui dispongo, un paio di elementi emblematici.
Per quanto concerne il risanamento, la vostra strategia si basa sulla ricostituzione dell'avanzo primario. Partite dal presupposto che la riduzione, fin quasi all'azzeramento, dell'avanzo primario sia una grave responsabilità del Governo Berlusconi e che voi siate ritornati per rimettere le cose a posto in qualche modo. Il presupposto è falso per due motivi.
Nel 1997, l'avanzo primario era del 6,7 per cento - il sottosegretario Pinza lo sa bene - ed è stato lasciato dai Governi del centrosinistra al 3,2 nel 2001 (ed erano tempi di vacche grasse). La progressiva riduzione dell'avanzo primario negli anni del Governo Berlusconi è stata indotta, in larga parte, dal rallentamento dell'economia mondiale, com'è dimostrato dal confronto internazionale: in Francia, l'avanzo primario passa dall'1,5 per cento del 2001 al meno 0,1 per cento del 2005; in Germania, nello stesso periodo, esso passa dallo 0,4 al meno 0,6 e, in Olanda, dal 3 allo 0; in Gran Bretagna, l'avanzo primario è negativo dal 2003.
Si obietterà che noi abbiamo il debito pubblico più alto del mondo, o quasi - giusto, anzi sacrosanto! - e che tale debito va aggredito. Ebbene, nel programma elettorale della Casa delle libertà vi era un piano Tremonti (in qualche modo analogo alla proposta Guarino) di valorizzazione e cessione del patrimonio pubblico, un attivo di bilancio che rende pochissimo, a fronte di oneri e debiti costosissimi. Nel DPEF in esame, di fatto,Pag. 16non c'è nulla che riguardi le privatizzazioni, nulla che riguardi l'eventuale dismissione del patrimonio pubblico, nulla che riguardi la diminuzione della spesa pubblica nei tre punti fondamentali della previdenza, della sanità e degli enti locali. In particolare, riguardo agli enti locali, fate riferimento ai saldi e non al contenimento della spesa; e anche questo lascia intravedere quello che sarà ...
PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... il cuore della vostra iniziativa - ho quasi finito, signor Presidente - vale a dire l'inasprimento fiscale.
Tralascio altre considerazioni per dedicarmi all'ultimo aspetto che intendo sottolineare. Sullo sviluppo e sull'equità rilasciate soltanto affermazioni, ma il rischio è quello di fare la politica della carestia. L'unico elemento del DPEF che è collegato allo sviluppo è il cuneo fiscale. Si tratta di una scelta sbagliata: il cuneo fiscale non è altro che una svalutazione realizzata con altri mezzi e, quindi, dopo quattro o cinque anni il vantaggio sarebbe assorbito. Inoltre, se selezionate le imprese o i settori, fate un'operazione dirigista che è bene non fare; se non si selezionano i settori, si creano incentivi perversi a favore delle società che operano in settori labour-intensive (e, forse, non è questa la prospettiva in cui l'economia italiana deve muoversi). Soprattutto, una volta svanito il beneficio competitivo, come succedeva subito dopo le svalutazioni, della diminuzione del cuneo fiscale resterà, a differenza di quanto avveniva dopo le svalutazioni, l'onere del finanziamento della riduzione del cuneo fiscale, che, da quanto è stato detto in campagna elettorale...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Della Vedova.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... volete trasferire.
Avete parlato - e chiudo, signor Presidente - di allineamento delle aliquote sulle rendite finanziare. In realtà, se fate il cuneo fiscale, o trasferite la spesa per le pensioni alla fiscalità generale oppure colpirete duramente i risparmi degli italiani. Non credo che questa sia una via possibile per sostenere lo sviluppo. Forse, è meglio ridurre la spesa pubblica e ridurre le tasse (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raiti. Ne ha facoltà.
SALVATORE RAITI. Onorevole Presidente, onorevole rappresentante del Governo, nella qualità di capogruppo dell'Italia dei Valori in Commissione bilancio, non posso non prendere atto, all'inizio del mio intervento, della situazione attuale: sono svaniti gli effetti della finanza creativa messa in atto dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura e, oggi, ci troviamo a dover prendere atto della condizione nella quale il paese versa realmente. Il ministro dell'economia e delle finanze l'ha ben descritta: essa è simile a quella del 1992, in quanto caratterizzata da un aumento dell'indebitamento e da un rapporto debito-PIL assolutamente insostenibile.
Da questo dato dobbiamo partire per cominciare un ragionamento che ci porti a valutare con serietà il Documento di programmazione economico-finanziaria che guiderà l'attività del Governo Prodi nei prossimi cinque anni. Il Documento costituirà, per così dire, la cornice all'interno della quale saranno inseriti gli interventi concreti, improntati alla serietà, al rigore ed all'equità, che faranno ripartire il nostro paese.
Questo complesso di interventi a noi dell'Italia dei Valori ci convince e ci convince in maniera completa. Riteniamo sia giusto ripartire da una tassazione più giusta e solidale e riteniamo che questo sia ineludibile, partendo dal recupero dell'evasione e dell'elusione fiscale, che hanno rappresentato alcuni degli effetti più sconvolgenti della cosiddetta finanza creativa a cui facevo cenno all'inizio del mio intervento.Pag. 17
L'ammontare dell'evasione fiscale ha raggiunto oggi una cifra elevatissima, pari al 16 per cento del PIL. Appare dunque doveroso indirizzare l'azione di Governo verso un forte contrasto di questo fenomeno, che rappresenta un grave handicap per la forza del nostro paese. Siamo consapevoli che, come avverte responsabilmente il DPEF, la dimensione dello squilibrio rende indispensabile intervenire anche su tendenze strutturali della spesa pubblica. Anche su questo il sostegno dell'Italia dei Valori non verrà meno, ma con altrettanta determinazione crediamo necessario che il Governo assuma l'impegno al contrasto continuo e rigoroso di ogni forma di evasione e di elusione fiscale. In tal senso riteniamo necessario impegnarsi per mettere in atto una strategia coordinata e complessiva di controlli fiscali capaci di usufruire di appositi studi di settore e, soprattutto, di una effettiva semplificazione degli adempimenti, attuata grazie all'adozione su scala generale dell'utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche oggi disponibili.
In secondo luogo, appare necessario, come lo stesso DPEF evidenzia, l'obiettivo di concentrare gli sforzi nella direzione di una migliore armonizzazione delle spese degli enti locali. Tali spese sono cresciute a dismisura e spesso sono fuori controllo. Il DPEF evidenzia in maniera assolutamente convincente l'intervento sul patto di stabilità interna degli enti locali che possa consentire di rimodulare e, in qualche maniera, rendere più efficace la spesa. Noi dell'Italia dei Valori riteniamo che questo sia uno strumento utile e necessario, ma forse non sufficiente. Per quanto ci riguarda, sarebbe opportuno studiare la possibilità di avere delle autorità indipendenti che possano certificare, attestare o fare comunque in modo che si torni ad una gestione sulla legalità e sulla legittimità della spesa anche in via preventiva, sapendo che comunque questo cozza e deve trovare gli equilibri necessari sulla base del tessuto costituzionale oggi vigente.
Un altro argomento da noi ritenuto assolutamente importante, che tra l'altro fa parte in modo sostanziale del programma dell'Unione, è quello del Mezzogiorno. Noi riteniamo che l'Italia non possa ripartire se non riparte il Mezzogiorno d'Italia; purtroppo la forbice negli ultimi cinque anni è aumentata a dismisura, basti vedere ciò che è accaduto per la ripartizione dei fondi della legge obiettivo, più volte richiamata dal Governo precedente, che avrebbe dovuto far ripartire i cantieri. Da un'analisi rigorosa e puntigliosa operata dal Ministero delle infrastrutture abbiamo dovuto prendere atto con amarezza che il 77 per cento dei fondi disponibili è stato impiegato per il nord Italia, il 13 per cento per il centro ed il 10 per cento per il Mezzogiorno.
Questi squilibri hanno procurato le difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti: il Mezzogiorno infatti non è ripartito. Crediamo che sia opportuno e necessario invertire la marcia e andare nella direzione opposta. Bisogna intervenire con politiche di fiscalità di vantaggio, in armonia con quanto stabilito dall'Unione europea, che adesso consente di poter procedere in questa direzione; bisogna intervenire anche con una modulazione del cuneo fiscale, uno degli argomenti fondamentali della politica economica di questo Governo, facendo in modo che esso possa essere distribuito in maniera diversa a seconda dell'esigenza di recupero delle zone più disagiate del paese, prestando quindi attenzione al meridione d'Italia.
Noi riteniamo che se riparte il meridione ripartirà tutto il paese. Lo stesso ragionamento può essere fatto ritenendo necessario realizzare infrastrutture di qualità nel meridione d'Italia e questo nel DPEF è evidenziato, anche se deve essere puntualizzato in maniera più specifica per quanto riguarda le infrastrutture che possono collegare il Tirreno con l'Adriatico o per quanto riguarda le cosiddette opere invarianti sullo Stretto di Messina.
Sono opere necessarie ed indispensabili che possono armonizzare e rendere effettivamente fruibile lo stato infrastrutturale del meridione d'Italia, possono rilanciare la domanda, possono creare più occupazione evitando, nello stesso tempo, impatti ambientali straordinari. Possono, inoltre,Pag. 18creare quell'indotto di crescita necessario ed indispensabile per porre al centro dell'azione del nostro paese quella parte dell'Italia senza la quale non possiamo crescere.
PRESIDENTE. Onorevole Raiti...
SALVATORE RAITI. Dobbiamo tenerlo in considerazione, e lo teniamo fortemente in considerazione insieme al Governo - e concludo, Presidente - in relazione a quanto accadrà nel 2010 quando, in ossequio al Trattato di Barcellona, partirà l'area del libero scambio del Mediterraneo. Non possiamo pensare di non considerare il meridione e l'Italia tutta come una piattaforma logistica del Mediterraneo: su questo bisogna investire per rendere protagonista il nostro paese nel futuro millennio.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO. Signor Presidente, alcuni dei colleghi che mi hanno preceduto hanno già avuto modo di toccare diverse tematiche relative al silenzio programmatico del Documento presentato dal Governo. Quindi, mi concentrerò su un solo tema, quello delle privatizzazioni, che ritengo emblematico.
Da un ministro tecnico, al quale riconosciamo squisita cortesia, che ha trascorso i passati mesi parlando di una nuova dottrina delle privatizzazioni ci aspettavamo che fosse in grado di esplicitarla. Da un ministro tecnico, che ha detto di condividere un approccio colbertiano alle privatizzazioni, ci aspettavamo che ci sapesse indicare come e se avrebbe ottemperato e come avrebbe contemperato le esigenze sociali al dictum del Trattato di Roma in tema di privatizzazioni sorrette ed assistite da golden share. Ci aspettavamo che ci dicesse come intende reagire al deferimento dell'Italia alla Corte di giustizia da parte della Commissione europea su questo tema. Ci aspettavamo che ci dicesse se sta studiando misure alternative per superare il test di legittimità comunitario, magari applicando la riforma Vietti voluta dal Governo Berlusconi, pensando a nomine di rappresentanti dello Stato negli organi di amministrazione e controllo delle società privatizzate. Soprattutto, ci aspettavamo che ci dicesse se intende incidere in modo concreto e rilevante sul rapporto debito/PIL mediante la cessione di immobili dello Stato.
In realtà, ciò che troviamo nelle sei righe dedicate dal DPEF alle privatizzazioni sono solo due enunciazioni di un clamoroso falso e di una clamorosa dichiarazione di impotenza. Nel clamoroso falso si dice che il precedente Governo ha avuto un'incapacità di programmazione e di pianificazione, quando questa stessa maggioranza accusò il ministro Tremonti, stravolgendo la realtà, di voler vendere troppi immobili dello Stato. La clamorosa dichiarazione di impotenza è quella di un ministro che si rivela ostaggio delle roventi discussioni in seno alla sua maggioranza e che non è, di fatto, in grado di decidere.
Riteniamo che un Governo serio possa decidere di privatizzare o di non privatizzare, possa decidere di essere Colbert o la Thatcher, ma non possa decidere di non decidere (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.
MARIO BARBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in campagna elettorale noi dell'Ulivo e dell'Unione ci siamo impegnati a riportare serietà al Governo e questo DPEF è, a nostro avviso, una prova di serietà anche per i trasporti e le infrastrutture.
Nel dibattito in IX Commissione i colleghi dell'opposizione, a differenza, per la verità, dell'onorevole Pedrizzi poc'anzi, hanno imputato alla maggioranza ed al Governo mancanza di visione ed incapacità di sognare. In effetti, abbiamo dovuto aprire gli occhi e svegliarci più che dai sogni dai miraggi della legge obiettivo, passata da un elenco iniziale di quattro priorità ad una lista infinita di 238 opere, la cui realizzazione risulta finanziata per appena un terzo.Pag. 19
La destra ci ha lasciato le casse vuote ed il Governo, per riportare la spesa in conto capitale nell'anno corrente ad un livello appropriato, vale a dire da meno del 3,8 per cento (dati della trimestrale di cassa) a più del 4,2 per cento del PIL e, quindi, per non tagliare servizi e chiudere cantieri, ha dovuto provvedere con un intervento straordinario che ha, tra l'altro, assegnato 1,8 miliardi alle Ferrovie dello Stato e un miliardo all'ANAS.
Niente miraggi, dunque, ma progetti nel senso indicato dal programma dell'Unione, che individua nella debolezza delle infrastrutture e della logistica, nonché nella saturazione e congestione delle reti di trasporto, pesantemente sbilanciate sul trasporto su gomma, uno dei grandi assi per la modernizzazione ed il rilancio del paese e della sua capacità competitiva.
Sui trasporti il DPEF evidenzia la priorità dell'intervento su nodi e segmenti infrastrutturali che rivestono un'importanza strategica per il paese e sulla necessità di collegare le infrastrutture e le reti interne ed europee, garantendo i collegamenti orizzontali e verticali tra le diverse aree dell'Italia. Nella stessa ottica di modernizzazione, il DPEF precisa che un elemento indispensabile è costituito dalla diffusione e dall'accesso, a livello di massa, alle tecnologie digitali e, quindi, dalle connessioni in banda larga e dal contrasto del digital divide.
Il Documento programmatico chiarisce che il Governo affronta il tema della realizzazione delle grandi opere, considerando le risorse stanziate ed il grado di avanzamento delle opere stesse, e segnala che particolare attenzione sarà riservata al sistema infrastrutturale di Roma capitale.
Vi sono poi correzioni da fare: sia il ricorso alla via ordinaria per la valutazione dell'impatto ambientale della TAV in Val di Susa, sia gli interventi sulla missione e la funzione del concessionario autostradale ANAS, che non può continuare ad esercitare il ruolo di realizzatore e vigilante.
Anche quest'anno è stato presentato l'allegato infrastrutture, che indica la linea di azione per lo sviluppo delle capacità trasportistiche e logistiche dell'armatura infrastrutturale del territorio nazionale, linea di azione che passa attraverso il potenziamento e la messa a sistema delle grandi direttrici strategiche e dei relativi nodi di rango internazionale, di fatto identificabili nei corridoi terrestri transeuropei, nelle autostrade del mare, negli hub aeroportuali di Fiumicino e Malpensa, nonché negli assi e corridoi di rilevanza nazionale transfrontaliera, con particolare attenzione ai corridoi tirrenico ed adriatico.
L'allegato si sofferma, quindi, sulla situazione attuale delle infrastrutture connesse alle diverse modalità di trasporto stradale, ferroviario, aeroportuale, portuale ed urbano, evidenziando diverse ipotesi operative di interventi strategici per le seguenti tipologie: hub portuali, interportuali e aeroportuali, snodi ferroviari e sistemi urbani.
L'ammontare complessivo delle risorse necessarie al completamento delle opere individuate è pari a 3,4 miliardi di euro. Tutte le ipotesi operative in tal modo individuate dovranno essere oggetto di consultazione con le parti sociali e con le autonomie locali.
In conclusione, non possiamo non aggiungere che, nel quadro dato, appare indispensabile provvedere ad un forte aumento della quota di risorse destinate ad investimenti nelle regioni meridionali ed insulari, che risultano decisamente svantaggiate dall'attuale distribuzione degli investimenti. Ci pare utile, inoltre, anche un richiamo a sbloccare il sistema portuale italiano, a superare gli attuali commissariamenti di talune autorità, nonché a procedere alla soluzione della questione dell'affidamento delle concessioni delle gestioni aeroportuali.
Il DPEF in esame è attento, quindi, alle questioni del sistema dei trasporti italiani, che saranno al centro dell'azione di Governo proprio perché dobbiamo cambiare rotta rispetto alle insoddisfacenti politiche del passato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taglialatela. Ne ha facoltà.
Pag. 20MARCELLO TAGLIALATELA. Signor Presidente, colleghi, il mio intervento si concentra sulle regioni del sud che, con riferimento al Documento di programmazione economico-finanziaria, sembrano non dico dimenticate, ma accantonate.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11)
MARCELLO TAGLIALATELA. Appare strano che, all'interno di una manovra ambiziosa di 35 miliardi di euro, le parole espresse dal Governo in favore del necessario sviluppo economico e occupazionale delle regioni meridionali siano davvero scarne. Soprattutto, appare strano come all'interno del Documento uno dei temi complessivamente ben accolti da tutto lo schieramento politico, sia di centrodestra sia di centrosinistra, quello della fiscalità di vantaggio, sia cancellato. Nel contesto di una manovra che cancella il tema della fiscalità di vantaggio, che può rappresentare una delle possibili soluzioni per determinare il riscatto economico dei territori delle regioni meridionali, si accompagna anche una decisione di contenimento della spesa pubblica che è certamente necessaria, laddove siamo in presenza di sprechi; tuttavia, nel momento in cui colpisce in modo particolare la spesa sanitaria, il trasferimento agli enti locali e, in prospettiva, la spesa previdenziale, è evidente che colpisce in maniera diretta e molto più articolata soprattutto il sistema economico delle regioni meridionali.
In sintesi, se contemporaneamente alla diminuzione della spesa pubblica, per effetto delle riduzioni dei trasferimenti dello Stato nazionale alle regioni per quanto riguarda il fondo sanitario, e al contenimento della spesa sanitaria si accompagnasse anche un contenimento dei trasferimenti agli enti locali e, in prospettiva, della spesa per il sistema previdenziale, e se a questa manovra non si accompagnasse una decisione che, poi, deve trovare una sua concretezza nell'utilizzare strumenti che determinino una maggiore attenzione alle regioni meridionali ed una maggiore competitività degli imprenditori all'interno delle stesse, si rischierebbe di aggiungere ad una condizione di difficoltà una situazione di vero e proprio pericolo.
Eppure esistono strumenti già immediatamente utilizzabili e dei quali non si fa cenno all'interno del Documento, mentre la grande discussione sulla fiscalità di vantaggio - discussione che, ovviamente, deve essere portata soprattutto all'attenzione della Comunità europea - ovviamente prenderà i suoi i tempi, ma prima si comincia e meglio è. Mi riferisco agli sgravi IRAP per i neoassunti, che sono stati approvati dalla Comunità europea - era una delle manovre principali del precedente Governo -, e che, se fossero inseriti all'interno della prossima legge finanziaria, potrebbero determinare un effetto estremamente positivo. Innanzitutto, il mancato ricorso ai contributi in conto capitale o ai contributi a fondo perduto nei confronti delle aziende, sostituiti viceversa con sgravi fiscali soprattutto in presenza di nuove assunzioni, è uno dei meccanismi che viene auspicato anche dai rappresentanti datoriali. Non è vero che all'interno del Mezzogiorno le associazioni datoriali chiedono in maniera semplicistica e semplicemente il recupero di vecchi strumenti di contributi a fondo perduto e a pioggia, che nel tempo non hanno determinato - e i fatti lo dimostrano - gli effetti positivi che ci si aspettava. Inoltre, non tutti i rappresentanti delle associazioni di categoria chiedono il ripristino di meccanismi automatici per quanto riguarda gli sgravi fiscali, mentre ci sono strumenti, quelli legati in modo particolare ad uno sgravio IRAP in ragione della presenza di neoassunzioni, che certamente rappresentano un'occasione felice.
Ebbene, all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria di ciò non si fa cenno. Durante le audizioni con il ministro Padoa Schioppa, nonostante ci siano state domande specifiche in tal senso, non si è arrivati ad una risposta soddisfacente. La sensazione è che all'interno di questo Documento vi sia semplicemente la volontà e la semplicistica dichiarazione di principio del contenimentoPag. 21della spesa pubblica, ma non vi sia ancora una chiara idea di come poter intervenire in maniera strutturale per determinare condizioni positive. Ci sono stati certamente spunti felici all'interno delle discussioni nella Commissione bilancio e, tra questi, vi è stata anche la proposta, anticipata dalla Conferenza delle regioni e fatta propria dall'ufficio di presidenza della Commissione bilancio, di istituire una commissione per il monitoraggio della spesa pubblica, che sarebbe uno strumento molto più efficace rispetto ad un generico provvedimento di tagli alle spese.
Tra l'altro, faccio notare che, nei cinque anni precedenti, da parte del centrosinistra e quindi da parte degli attuali esponenti del Governo c'è sempre stata l'accusa nei confronti del Governo Berlusconi di una povertà di risorse per la spesa sociale e per gli enti locali, mentre nel DPEF si legge esattamente il contrario: la spesa sanitaria è andata troppo oltre rispetto all'incidenza sul PIL e la spesa per il funzionamento degli enti locali (e complessivamente il trasferimento di risorse agli enti locali) non ha trovato una corrispondente efficacia nella qualità dei servizi. Si dicono quindi cose che all'interno di quest'aula non possono restare dimenticate.
Si tratta di approfondire le varie questioni e soprattutto di individuare gli strumenti economici e finanziari che consentano, all'interno della prossima manovra finanziaria, quella dei 35 miliardi di euro, non solo di contenere le spese e di combattere l'evasione fiscale, ma anche di ottenere un risultato positivo per il sud. Quest'analisi sostanzialmente manca, così come manca l'approfondimento dei temi della fiscalità differenziata e di vantaggio. Nel documento che l'opposizione di centrodestra sta elaborando, queste questioni verranno ovviamente ulteriormente approfondite. Resta la nostra valutazione negativa rispetto all'attuale stesura del Documento di programmazione economico-finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Leddi Maiola. Ne ha facoltà.
MARIA LEDDI MAIOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina è stata sollevata in ordine al DPEF, del quale stiamo discutendo, una questione di forma, che già era stata sollevata più volte anche nel corso degli interventi che ci sono stati in Commissione Bilancio durante le varie audizioni. Il DPEF serve o non serve? Credo che, trattandosi di uno strumento portante della nostra attività, sia una questione che merita comunque una risposta. Per parte mia, ritengo di poter dire che il DPEF, che pure ha diciotto anni di vita, è comunque uno strumento utile. Ritengo utile anzitutto il fatto che esso sia uno strumento che ci consente di arrivare alla predisposizione della finanziaria avendo sentito il polso della società. Questo non è irrilevante, considerato che tutte le azioni che abbiamo svolto in questo periodo, in termini di audizioni con soggetti esterni, credo siano state estremamente utili per posizionare la nostra azione in relazione alla finanziaria, che sarà poi lo strumento operativo con cui determineremo l'economia del paese nel prossimo anno. Quindi la mia risposta su questo tema è sicuramente di ordine positivo, anche perché credo che uscire dall'aria a volte un po' rarefatta dei nostri palazzi per sentire il polso che batte all'esterno sia cosa estremamente utile.
Un altro rilievo emerso più volte nel corso del dibattito in Commissione Bilancio, in occasione delle varie audizioni, è stato, invece, proprio un rilievo di sostanza. Alcuni colleghi autorevoli dell'opposizione hanno infatti chiesto, in relazione al DPEF, perché non si sia osato di più. Io credo che osare sia di per sé sempre un valore. Osare è il principio per mettere in moto le cose. Osare troppo è però un disvalore. Credo che l'azione che il Governo ha svolto, in particolare il ministro Padoa Schioppa, con la predisposizione del DPEF, sia stato un giusto equilibrio tra l'analisi della situazione e la capacità di osare ciò che appare sostenibile. La procedura che è stata utilizzataPag. 22per identificare che cosa si potesse osare è quella che tradizionalmente si usa nelle aziende.
È stato introdotto al riguardo il termine due diligence, un termine molto aziendalistico che ora è entrato a far parte del nostro linguaggio. Con esso si indica un'operazione che normalmente si fa quando si vuol capire a fondo lo stato di un'azienda. L'azienda-paese, a seguito della due diligence, ha avuto una fotografia della realtà. I numeri sono freddi e asettici, ma indispensabili. L'attività che il Governo ha svolto e che trovo particolarmente lodevole e significativa è stata quella di leggere dietro ai numeri. Le percentuali e i numeri dicono molto, ma non a sufficienza per capire quali sono le politiche che si devono impostare. La due diligence è servita a capire quali disfunzioni avessero determinato questi numeri e, conseguentemente, quali fossero le azioni da porre in essere per rimediare ad uno stato di fatto dei conti del paese che è unanimemente riconosciuto dalla maggioranza e dalla minoranza come di estrema criticità e che richiede interventi rapidi.
Trovo che l'impostazione che il Governo ha dato nel DPEF sulla terapia, una volta fatta la diagnosi, per rientrare dalla situazione grave in cui versano i nostri conti, sia in sè una vera sfida: rilancio, equità e risanamento sono contestualmente le azioni che nel DPEF il Governo ha indicato di voler intraprendere nelle modalità, nei modi e nei termini per affrontare la vera sfida indispensabile - e concludo Presidente - se s'intende restituire il futuro al paese.
Credo che - le chiedo solo pochi secondi per finire, signor Presidente - il rilancio sia la sfida intorno a cui costruire un'idea di paese che si deve strutturare per restare tra i grandi e quindi vincere la grande sfida nella capacità di fare scelte sulle infrastrutture e sull'efficienza. Quest'ultima è ciò che serve per dare alle nostre aziende che competono nel mondo ciò che gli altri hanno, vale a dire un paese che consenta loro di fare scelte rapide ed avere la capacità di muoversi adeguatamente. L'equità è un punto indispensabile, come molti colleghi hanno sottolineato; la credibilità del nostro paese passa anche per l'equità fiscale e quest'ultima significa anche combattere l'evasione fiscale o altrimenti lo Stato sarà lo sceriffo di Nottingham e non Robin Hood.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zorzato. Ne ha facoltà.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il Documento di programmazione economico-finanziaria, al di là delle considerazioni fatte in Commissione sulla sua utilità o meno, sia da ritenere un documento certamente utile perché ci consente di cominciare un confronto tra opposizione e maggioranza sulle rispettive linee di politica economica e sociale. Soprattutto, mai come in questo momento, credo esso sia utile per verificare e quindi confrontare in Parlamento le contraddizioni in seno alla stessa maggioranza che già sono emerse con molta forza sia durante le audizioni sia - soprattutto - durante il dibattito in Commissione.
Sono forse preliminari lo scontro e il confronto all'interno della maggioranza, ma lo stesso Documento di programmazione economico-finanziaria risulta generico e lacunoso nelle proposte, ma soprattutto nelle quantificazioni di risparmio e di contenimento nei vari comparti di spesa, e ciò sarà, ovviamente, oggetto di polemica all'interno della stessa maggioranza prima dell'elaborazione della legge finanziaria. Ecco allora che è facile convenire sui titoli: crescita, risanamento, equità. Come si fa a non essere d'accordo con questi termini? D'altra parte è anche facile dire che è normale che i settori da contenere in termini di spesa sono quello sanitario, del sociale, delle pensioni, della pubblica amministrazione e degli enti locali, i quali comportano l'80 per cento della spesa pubblica. Dunque, come facciamo a non essere d'accordo su queste linee di principio? È troppo indefinita e volutamente omertosa la quantificazione delle tipologie di risparmio. Certamente, nelle audizioni abbiamo ascoltato con attenzionePag. 23il ministro, che ha anche ammesso la bontà dell'ultima legge finanziaria, di Tremonti; almeno in questo, un po' di onestà intellettuale gli va riconosciuta. Certo è che l'aver gridato «al lupo, al lupo» durante la campagna elettorale sui conti pubblici, per poi passare, dopo quel momento, ad un primo provvedimento che rappresenta un contenimento dei costi pubblici dello 0,1 per cento del PIL nel 2006, ci fa pensare che, forse, la finanza pubblica che abbiamo lasciato non era poi così devastante come è stata descritta.
Ancora, a riconoscimento della sua onestà intellettuale, voglio ricordare che il ministro è consapevole - lo scrive, peraltro, nel Documento di programmazione economico-finanziaria - che, durante il periodo del Governo Berlusconi, la spesa sociale è passata dal 22 al 23,7 per cento del PIL - quindi, è aumentata - e che la spesa sanitaria, nello stesso periodo, è anch'essa aumentata, dal 5,8 al 6,7 per cento del PIL. Dichiara, poi, il ministro, che le regioni che non sono state virtuose - quasi tutte governate dal centrosinistra - devono prendere a modello quelle virtuose (ed ha citato Veneto e Lombardia) per il rientro dei debiti finanziari; ebbene, ciò ci fa onore: dove governiamo, governiamo bene!
Sempre lo stesso ministro scrive - il Documento l'ha fatto lui - che la spesa italiana per l'istruzione, l'università e la ricerca è in media con quella europea; per anni, invece, ci avete criticato sostenendo che spendevamo poco. Non solo, scrive che il rapporto docenti-alunni in Italia è il più alto in Europa e che la qualità dell'alunno che esce dalla nostra scuola è tra le peggiori d'Europa. Voi, però, accantonando la riforma Moratti, volete mantenere ancora per anni questo stato di cose, un sistema costoso e inefficiente.
PRESIDENTE. Onorevole...
MARINO ZORZATO. Avendo esaurito il tempo a mia disposizione, Presidente, proseguirò il mio intervento rapidamente in modo da concludere subito.
Analoghe considerazioni possono essere riferite alla ricerca, tema delicatissimo, per il quale voi sostenete, in questo Documento, che la spesa è in media con quella europea; ma aggiungete che manterrete in ogni caso un limite di spesa, ovvero non aumenterete l'investimento nella ricerca. Ritengo si tratti di un dato abbastanza preoccupante.
Orbene, Presidente, il Documento è poco coraggioso, manca di fiducia soprattutto negli italiani, propone tagli in settori delicati, non dà prospettive; aspettiamo con interesse la predisposizione della legge finanziaria, quando le vostre contraddizioni e le vostre liti interne - come hanno detto i colleghi già intervenuti - esploderanno. Voi, infatti, non potete stare assieme, soprattutto in materia di finanza, di una finanza che guardi al futuro. Certo, ci proponete una finanza...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.
MARINO ZORZATO. Signor Presidente, concludo chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Zorzato, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta. Ne ha facoltà.
SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, in questo mio brevissimo intervento sul Documento di programmazione economico-finanziaria cercherò di trattare, portandoli a sintesi, due temi in questo momento di per sé fortemente connessi, che segnano anche la cifra del mio impegno civile e politico e che saranno la guida per me in questa legislatura: il Mezzogiorno e le infrastrutture.
Dopo alcuni anni nei quali, grazie all'azione dei Governi di centrosinistra, tra il 1996 e il 2001, le regioni del Mezzogiorno tendevano ad un riallineamento in termini di sviluppo rispetto alla restante parte del paese - come dimenticare, adPag. 24esempio, la finanziaria, D'Alema dal titolo: per il Mezzogiorno del Governo? - gli effetti del Governo di centrodestra sono sotto gli occhi di tutti: il divario è aumentato nuovamente; il delta si è di nuovo divaricato.
I dati Svimez lo segnalano in moto netto e obiettivo: il Mezzogiorno, nel momento in cui, nel 2005, il prodotto interno lordo del paese è rimasto fermo, ha avuto un decremento dello 0,3 per cento; la spesa per investimenti è diminuita del 2,8 per cento; la spesa per consumi delle famiglie, dello 0,3 per cento. L'occupazione, tra il 2002 ed il 2005, segnala un calo di 69 mila unità, a fronte del nord del paese, in cui vi è una crescita di 618 mila unità, certo, dovuta in parte ai lavoratori venuti dall'estero ma molto anche ai lavoratori che partono nuovamente dal sud per trovare lavoro al nord: si pone un problema di nuovo flusso migratorio.
La Svimez ha anche segnalato che, dal punto di vista complessivo degli investimenti pubblici, l'incidenza sul totale italiano è scesa dal 41,2 per cento del 2001 al 36,8 per cento nel 2004. La Svimez denuncia, inoltre, il mancato rispetto della riserva del 30 per cento da parte di amministrazioni dello Stato - Ferrovie dello Stato ed ANAS, per fare degli esempi - nei confronti del sud.
In tale quadro, già di per sé negativo, si iscrive il ragionamento del deficit infrastrutturale. Un recente studio dell'istituto Tagliacarne ha dimostrato che, considerando 100 la dotazione infrastrutturale delle singole regioni, anzi delle singole province, e differenziando le province in cinque classi, praticamente tutto il Mezzogiorno si trova nell'ultima classe, contrassegnata da un dato percentuale tra il 24 e il 62 per cento. Il colore cromaticamente utilizzato per descrivere queste zone è il rosso (non è una notazione politica: è, invece, il dato assolutamente negativo di deficit infrastrutturale). L'allegato infrastrutture al DPEF - e qui è il punto - che ci ha presentato il ministro Di Pietro fa di più: esso dice che, con riferimento ai frutti della legge obiettivo in termini di investimenti reali, non in termini di progetti o di idee, i fondi investiti ad oggi nelle regioni del nord sono il 73 per cento e solo il 10 per cento nel Mezzogiorno. In pratica, anziché un riallineamento ed un riequilibrio, vi è una redistribuzione al contrario: si è dato di più a chi aveva di più.
Questo avviene in un momento in cui il Mezzogiorno avrebbe grandi potenzialità, considerata la nuova fisionomia dell'Unione europea. Davanti alla Comunità economica europea, il Mezzogiorno d'Italia rappresentava una parte confinante e laterale rispetto alla restante parte dei paesi, mentre oggi, con l'allargamento ai paesi dell'est, l'Italia e il Mezzogiorno d'Italia hanno una posizione centrale. Ancor di più questo è vero per i nuovi flussi mercantili, che ormai interessano la direttrice Asia-Stati Uniti e attraversano e interessano integralmente il Mezzogiorno, e per il ruolo doloroso, come vediamo in questi giorni, ma sempre più influente, che il Mediterraneo ha nei nuovi schemi.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
SALVATORE MARGIOTTA. Concludo, signor Presidente.
Se tutto questo è vero, bisogna però segnare un'inversione di tendenza. Da questo punto di vista, riteniamo che il DPEF rappresenti solo un primo passo in questa direzione, non ancora totalmente sufficiente. L'Ulivo deve riconsiderare centrale la questione meridionale. Io e tanti altri saremo vigili sulle scelte del Governo, ma anche protagonisti nelle sedi dove si determineranno le scelte.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, nel pur breve tempo a mia disposizione, vorrei affrontare una parte importante di questo, come di tutti i DPEF predisposti da quattro anni a questa parte, cioè l'allegato infrastrutture. Parto da una premessa, che è poi un giudizio complessivo se si parla di infrastrutture, di privatizzazioniPag. 25e di rilancio del paese. Peraltro, si tratta di un giudizio comune, espresso anche da altri colleghi (mi riferisco alla collega Ravetto e al collega Zorzato).
Questo DPEF è accomunato - poi cercherò di dimostrarlo, seppur brevemente, nella lettura dell'allegato infrastrutture - da un minimo comune denominatore: la povertà strategica, la povertà politica, la povertà economica, l'idea di una mancata assunzione di responsabilità. Anzi, in particolare, nell'allegato alle infrastrutture si decide di non decidere, si decide di rinviare, con la scusa del confronto con le regioni, decisioni indispensabili per questo paese: quali priorità darsi, in che direzione procedere, come prendere e attivare le risorse.
Vediamo nel dettaglio la declinazione di questo nostro giudizio. In primo luogo, nell'allegato infrastrutture del DPEF, si dice che il precedente Governo avrebbe avuto una povertà di visione strategica e avrebbe realizzato opere a pioggia. Ebbene, un dato che tutti denunciavano e che tutti conoscevano prima del 2001 era che, dal 1990 al 2000, gli investimenti in infrastrutture in Italia erano stati inferiori di 205 miliardi di euro rispetto alla media europea, con la conseguenza di dover far fronte ad un deficit infrastrutturale.
Un dato che tutti riconoscono, che anche questo DPEF riconosce, è che il precedente Governo ha posto fine alle chiacchiere sulle infrastrutture e ha presentato finalmente al paese, attraverso la legge obiettivo - che anche questo DPEF definisce innovativa -, un piano decennale per coprire questo deficit infrastrutturale. Tale piano ha in sé un programma strategico e non è, quindi, un intervento a pioggia. Domando ai colleghi del Governo e al ministro di Pietro: è un intervento a pioggia dire che c'è bisogno della Bre-Be-Mi, della Salerno-Reggio Calabria, del Corridoio 5, del Corridoio 1? Si tratta di interventi a pioggia o non, piuttosto, di verificare le esigenze effettive di questo paese?
È necessario, quindi, smetterla di chiacchierare e dotare finalmente il paese delle grandi infrastrutture di cui necessita. Per far ciò, chi ha la responsabilità di Governo deve fare una cosa: deve assumersi la responsabilità di dire quello che manca - e manca tanto - e, soprattutto, di vincere questa sfida.
Il ministro Di Pietro forse non sa che quando si predispone un programma decennale, oltre ad individuare le infrastrutture strategiche mancanti, si definisce anche, per quell'arco di tempo, la relativa copertura finanziaria. Quando, nel 2001, dicemmo che occorrevano 125,8 miliardi di euro per realizzare il programma decennale, oggi aggiornati a 175,5 miliardi di euro, volevamo dire che quella era la cifra che in dieci anni occorreva reperire.
Nella passata legislatura, come Governo, quanto abbiamo investito? Lo si evince anche dal DPEF: 58,4 miliardi di euro, che hanno rappresentato il volano necessario e indispensabile per far partire quel programma. Rimangono da reperire nei prossimi cinque anni altri 120 miliardi di euro. Quei 58,4 miliardi di euro sono stati trovati in tre anni e sono, quindi, disponibilità finanziarie. Il Governo deve, dunque, dirci se ritiene indispensabile realizzare il piano strategico di dotazione delle infrastrutture e come intende individuare le risorse necessarie, oppure se ritiene opportuno porre in essere la politica del piccolo cabotaggio, del piccolo pensiero, la guerra tra poveri. È più importante la Salerno-Reggio Calabria o la Bre-Be-Mi? In questo paese é importante la Salerno-Reggio Calabria così come la Bre-Be-Mi.
Un'ultima osservazione, anche perché è giunto ormai il momento di dire basta alle falsità. Colleghi, leggete questo e i precedenti DPEF. Il primo capitolo del DPEF dello scorso anno, presentato dal Governo Berlusconi, recava come titolo: «Il rilancio e lo sviluppo del Mezzogiorno». Nei cinque anni del Governo di sinistra, che ha avuto tanti Presidenti del Consiglio dei ministri, gli investimenti in infrastrutture per il Mezzogiorno sono stati pari al 7 per cento. I dati relativi agli investimenti in infrastrutture degli ultimi tre anni, contenuti anche in questo DPEF - e proprioPag. 26per questo motivo invito il ministro Di Pietro a rileggerseli - sono i seguenti: il 22 per cento di quelle risorse è stato destinato ai cantieri per il sud; sommando gli investimenti dell'ANAS, si giunge ad una percentuale pari al 31 per cento. Questo è un dato: 31 per cento, contro il 7 per cento!
PRESIDENTE. Onorevole Lupi, concluda.
MAURIZIO ENZO LUPI. Concludo, Presidente.
Non sono sufficienti? Certo che non sono sufficienti! Ma vi è stata una svolta? Certo, che vi è stata una svolta! Ciò detto, il paese ha bisogno di capire se il Governo vuole lanciare la sfida - altro che politica degli interventi a pioggia! - ed assumersi la responsabilità di decidere per lo sviluppo del paese, oppure se vuole morire ed annegare nel mare delle divisioni al suo interno, nascondendo la testa dietro una falsa unità di Governo, così non affrontando mai i problemi. Il paese ha bisogno della realizzazione delle infrastrutture.
Noi, con il precedente Governo, abbiamo dato a questo riguardo un grande contributo. Quindi, vi sfidiamo su questo terreno. Sulla sfida della realizzazione delle infrastrutture siamo disposti a confrontarci; sul terreno della demagogia, della non responsabilità, della non decisione, ovviamente non saremo d'accordo. In questo momento, fra l'altro, abbiamo un ministro, Di Pietro, che si è autosospeso e, conseguentemente, non sappiamo con chi parlare. La Lombardia, così come la Sicilia e la Calabria, aspetterà la fine dell'autosospensione del ministro di Pietro per capire se si realizzeranno o meno le infrastrutture necessarie al paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cordoni. Ne ha facoltà.
ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, nel valutare il DPEF presentato dal Governo, ritengo sia importante porre in rilievo alcune questioni.
In primo luogo, la volontà che il centrosinistra vuole mettere in campo opera su tre fronti: lo abbiamo detto durante la campagna elettorale, lo diciamo nel programma dell'Unione e lo ribadiamo con questo Documento di programmazione economico-finanziaria.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,30)
ELENA EMMA CORDONI. In particolare, la politica economica che vogliamo mettere in atto deve saper operare su tre campi: sviluppo, risanamento ed equità.
Tale esigenza nasce dal fatto che la crescita è indispensabile a generare le risorse necessarie ad un aumento del benessere ed anche al risanamento dei conti pubblici, così come l'equilibrio di bilancio lo è per liberare finalmente i cittadini e le imprese dal timore di possibili, ulteriori nuovi interventi. L'equità esige, infine, che si ponga termine ai diffusi fenomeni di evasione e di elusione fiscale che il Governo Berlusconi, con le sue politiche di condono, ha alimentato in questi anni.
I provvedimenti assunti finora, e quelli che verranno ad esserlo a partire anche dalla legge finanziaria, terranno - ne sono sicura - sempre questa impostazione, poiché nel nostro dibattito è chiaro che non vogliamo mettere in campo, di fronte alla difficile fase che il paese attraversa, una politica dei due tempi.
Sviluppo, risanamento e redistribuzione saranno i riferimenti della politica economica: è quanto abbiamo promesso agli italiani nella campagna elettorale ed è quanto sosteniamo nel Documento di programmazione economico-finanziaria. È vero che i dati relativi al nostro paese non sono dei migliori, perché la ripresa che il mondo sta attraversando pare solo lambire il quadro italiano, e che, senza una vera politica economica, sarebbe impossibile credere che una realtà produttiva così disarticolata e frammentata come quella italiana possa veramente sfruttare le spinte provenienti dai grandi mercati internazionali. Si deve puntare alla crescitaPag. 27economica - lo ripeto - se si vuole rispondere anche alle pressioni del mercato finanziario e internazionale.
Non soltanto tutto quello che è successo espone il nostro paese a tali rischi, ma la bassa crescita, le distorsioni del sistema fiscale, la scarsa efficacia della politica di bilancio ai fini redistributivi, le diffuse arretratezze dell'apparato amministrativo pubblico continuano a peggiorare le condizioni degli italiani, aumentando la disuguaglianza.
Ribadisco che sviluppo, risanamento e redistribuzione saranno i temi che guideranno i comportamenti e le scelte della politica economica del Governo di centrosinistra.
Una politica economica può creare condizioni favorevoli alla crescita; certo, non è sufficiente. Adesso, spetta all'azione delle imprese, delle parti sociali, dei cittadini cogliere le opportunità che possono arrivare dall'apertura di mercati più aperti e concorrenziali, da regole più efficaci e certe, da una fiscalità giusta e da un'offerta più completa dei beni pubblici.
È questa la strada che vogliamo intraprendere per recuperare quel divario che oggi separa l'Italia dall'Europa. L'Italia, infatti, rispetto all'Europa e agli altri paesi industrializzati, ha accumulato in questo decennio un significativo ritardo di crescita ed a questo ha contribuito anche l'andamento del mercato del lavoro. Il tasso di occupazione italiano è più basso rispetto a quello dell'Europa; quello di occupazione femminile è relativamente ancora più basso e ciò che viene previsto nel DPEF, se così rimarrà lo sviluppo e non vi saranno elementi di modificazione, sicuramente porterà ad un lieve miglioramento del tasso di occupazione, non tale da permetterci di raggiungere gli obiettivi che ci eravamo dati a Lisbona.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria si sottolinea la necessità di aumentare in maniera congiunta sia la produttività del lavoro che il tasso di occupazione. Valutiamo positivamente il fatto che si sia posto al 2 per cento il tasso di inflazione programmata, così come l'esigenza di definire un piano straordinario per le pari opportunità ed anche per la politica giovanile.
Concludendo, mi preme rilevare, come è risultato molto chiaro dal parere espresso dalla Commissione lavoro, che il tema della restituzione del fiscal drag ai lavoratori e ai pensionati è un capitolo importante di questa politica economica, così come l'obiettivo della costruzione di un percorso di stabilizzazione del lavoro privato e pubblico.
PRESIDENTE. Onorevole Cordoni, la ringrazio...
ELENA EMMA CORDONI. Ritengo che nella legge finanziaria ci troveremo nelle condizioni di ritrovare anche politiche di protezione sociale a favore dei lavoratori precari.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, non intendo soffermarmi sulla validità dello strumento che stiamo discutendo, né, tantomeno, sulle contraddizioni presenti nello stesso Documento di programmazione economico-finanziaria, poiché un problema analogo si era evidenziato anche durante l'attività svolta dal Governo di centrodestra.
Vorrei preliminarmente formulare due considerazioni. Il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame si esprime in termini «prudenti» riguardo alle prospettive di crescita economica. Ciò ci fa piacere, poiché, come avevamo già evidenziato riguardo ad altri strumenti del genere, esisteva il rischio che lo sviluppo economico fosse presupposto, anziché essere un obiettivo da conseguire.
Ipotizzando una crescita «prudente», tuttavia, si giunge ad affermare che il sistema-Italia presenta problemi strutturali che devono essere risolti. Proprio perché esistono tali problemi, credo che porre sullo stesso piano il risanamento dei conti pubblici, lo sviluppo e l'equità sia una scelta incomprensibile dal punto diPag. 28vista politico. È facile prevedere, infatti, che lo sviluppo economico possa sia condurre al risanamento finanziario, sia garantire una maggiore equità sociale.
È questo il punto sul quale il Governo non ha voluto sforzarsi di ragionare e comprendere la situazione esistente, al fine di compiere scelte radicali. Il vero problema di questo paese, infatti, è proprio lo sviluppo economico. Vorrei osservare che tale problema non risale a due, tre o cinque anni fa, ma si trascina ormai da un quindicennio.
Ritengo che lo sviluppo rappresenti la questione centrale per la trasformazione del nostro sistema economico. Sappiamo perfettamente, inoltre, che i gravi problemi che rappresentano un peso per i processi di sviluppo sono la scarsa produttività, i costi dell'approvvigionamento energetico (il nostro sistema industriale, infatti, non può sopportare che il prezzo di un barile di petrolio superi i 50 dollari) e lo stato della finanza pubblica.
Per quanto concerne la produttività dei fattori, vorrei osservare che, quando il Governo parla di sviluppo e lo lega alla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, mi domando se lo stesso cuneo fiscale possa essere collegato alla produttività. Ho la sensazione che la ventilata riduzione del cuneo fiscale sia una sorta di «promozione pubblicitaria»; forse, per alcuni versi, è un problema che attanaglia il centrosinistra in questo momento.
Si tratta, infatti, più che di un elemento finalizzato alla promozione dello sviluppo, di uno strumento che viene in qualche modo sacrificato alla realizzazione di un programma. Vorrei altresì comprendere - e, in questo caso, sarebbe opportuno che il Governo lo chiarisse una volta per tutte - se la riduzione del cuneo fiscale sarà generalizzata od avverrà in maniera selettiva.
In questo paese, infatti, esiste un problema rilevante. Il settore manifatturiero costituisce una parte considerevole del prodotto interno lordo, tuttavia sappiamo che una parte di tale comparto ha difficoltà a rimanere competitivo sul mercato. Aiutare anche alcune imprese di tale comparto ha dunque un significato strategico, oppure significa operare un intervento a pioggia con finalità esclusivamente clientelari? In sostanza, il Governo ha l'intenzione di fare di tutta l'erba un fascio, anziché operare in maniera selettiva in tale ambito, per non avere problemi né con la Confindustria, né con i sindacati.
Se consideriamo i tagli di spesa previsti dal DPEF in esame, inoltre, ci accorgiamo che vengono effettuati anche attraverso minori trasferimenti agli enti locali. Sono d'accordo con tale misura, tuttavia vorrei svolgere una considerazione in ordine all'anima della politica.
Quando noi del centrodestra adottammo interventi di questo tipo, siamo stati insultati...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
LUIGI D'AGRÒ. ...e ci è stato detto che si trattava di provvedimenti che avrebbero aumentato le imposte locali. Noi vi diciamo non che sbagliate oggi, ma soltanto che eravate bugiardi allora. Vorrei osservare che non è giusto che la competizione politica si basi su bugie: proprio per trasformare il paese, infatti, è giunta l'ora di raccontare al paese stesso la verità sui fatti!
Da ultimo, signor Presidente, vorrei ricordare che forse sussiste la necessità di rivedere le previsioni relative ai tagli delle spese destinate al comparto della difesa. Così come sono formulati, infatti, arrecherebbero danni irreversibili a tale comparto, anziché assicurare una maggiore funzionalità ed efficacia per metterlo al servizio dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, nel mio intervento mi riferirò quasi esclusivamente alle questioni che riguardano le materie di competenza della VII Commissione nonché al dibattito che si è svolto in tale sede.Pag. 29
È solo un manifesto, abbiamo sentito dire dal centrodestra durante il dibattito con riferimento al Documento di programmazione economico-finanziaria. E ancora: voi avete l'ossessione della discontinuità. Certo, un manifesto! Finalmente un manifesto! Un manifesto che guarda lontano, che indica una politica, linee di lavoro, impegni, scelte conseguenti. Rigore, equità e sviluppo sono i punti forti della manovra e sono i segnavia di un percorso di Governo.
Per quanto riguarda la discontinuità, si tratta di ossessione o di necessità? Una ripresa duratura della crescita e un graduale innalzamento del tasso di crescita potenziale dell'economia postulano - si dice nel DPEF - che la produttività esca dalla lunga stasi degli ultimi anni. Ciò implica più investimenti, più innovazione, più ricerca e sviluppo, come previsto dalla strategia di Lisbona.
L'economia della conoscenza chiede un sistema produttivo che sappia investire in ricerca, in innovazione - anche nel settore privato -, in tecnologie. L'economia italiana - dopo anni di scarsi investimenti in ricerca ed innovazione nel settore pubblico e ancor di più in quello privato - soffre di marginalizzazione e di bassa qualità. È questo che rende particolarmente pesante la stagnazione che il paese sta vivendo, è questo che rende l'Italia - tra i paesi dell'Unione europea - il più esposto alla concorrenza dei paesi asiatici i quali, proiettati sul futuro, non si limitano a produrre magliette, scarpe o componenti elettroniche, ma formano - in qualità e quantità - ingegneri, matematici ed esperti in tecnologie.
Per tale motivo, occorre invertire una tendenza, occorre discontinuità con le politiche del precedente Governo, per un'idea dello sviluppo che si proponga di affrontare le sfide dell'innovazione di prodotto, della produzione di nuove tecnologie, di un sistema avanzato e diffuso di ricerca. Si tratta di leve indispensabili per superare le difficoltà e l'affanno attuale del nostro sistema produttivo.
Per fare ciò, sono necessari anche più alti livelli culturali per tutti; è quello che il Documento definisce «investimento in capitale umano». Ed è quanto diceva Lester Turow: Un paese cresce se cresce il livello culturale della maggior parte della sua popolazione.
È qui l'altro terreno di forte discontinuità con le politiche del centrodestra: favorire il diritto allo studio per tutti, mettere in condizione i capaci e i meritevoli di andare avanti senza decidere a priori chi può e chi non può studiare, chi non deve studiare. Vi sono state le politiche della canalizzazione precoce, l'idea che il figlio dell'operaio e il figlio del dottore non possano avere le stesse opportunità.
Allora, il DPEF indica alcune strade, in particolare che l'aumento dei diplomi e delle lauree - soprattutto delle lauree tecnico-scientifiche, così come già affermato nella Conferenza di Lisbona - è problema di equità e di garanzia dell'uguaglianza e dei diritti ma, al tempo stesso, una necessità per l'economia. È la scelta compiuta negli anni Sessanta dai Governi di centrosinistra, che compresero che, se il paese doveva fare un salto da paese agricolo a paese industriale, aveva il compito di elevare il livello culturale della popolazione; e fu la scuola media unica, la riforma del 1962! Noi non possiamo essere meno lungimiranti.
Pertanto, occorre un sistema di incentivi per favorire la ricerca anche nel settore privato, ma soprattutto, per quanto riguarda l'istruzione, occorre l'estensione dell'obbligo scolastico, il potenziamento dell'autonomia, la messa a norma del patrimonio edilizio e la soluzione del problema del precariato. Sono misure che garantiscono condizioni concrete...
PRESIDENTE. La prego...
ALBA SASSO. ...per migliorare l'apprendimento - sto per concludere - e combattere quell'analfabetismo tecnologico che non permette una modernizzazione vera.
E così per l'università si indicano linee di fondo e interventi strutturali, politiche del diritto allo studio per i capaci ePag. 30meritevoli e un sistema di valutazione che premi il merito e la qualità.
Ci convince anche - per questo vi è il parere positivo della maggior parte della Commissione - che ci siano scelte per la cultura e per politiche culturali che indichino come questo settore costituisca una risorsa per il sistema produttivo e per la formazione dei cittadini. Solo chi non ha cultura non capisce le straordinarie opportunità che derivano dalla cultura stessa.
Per concludere, la chiave del Documento è proprio quella dell'investimento nel «capitale umano» come risorsa cruciale del tessuto sociale europeo, come strumento del decollo dell'intero paese verso obiettivi più elevati di crescita e insieme di inclusione e coesione sociale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, noi del gruppo della Rosa nel Pugno valutiamo positivamente il Documento di programmazione economico-finanziaria, perché riteniamo che all'interno di esso vi siano le scelte e le indicazioni che abbiamo portato avanti con determinazione e con convinzione nella scorsa legislatura.
Si tratta di un Documento che pone all'attenzione del paese e dei cittadini come sia possibile determinare una condizione di crescita all'interno del paese, come fare in modo che vi sia una equità in questo paese e che i conti pubblici siano messi sotto controllo.
Noi abbiamo di fronte un quadro internazionale estremamente significativo, nel senso che vi è una crescita importante a livello internazionale, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti paesi emergenti. Ma la cosa più significativa è che anche la nostra Europa, il vecchio continente, se così vogliamo definirla, in quest'ultimo periodo ha avuto una crescita estremamente significativa. Essa è dovuta, probabilmente, alla competitività e alla ripresa che si registra in alcuni paesi importanti, come per esempio la Francia e la Germania, ed anche all'aumento dei consumi interni, che ha caratterizzato anche una fase di crescita del nostro paese in quest'ultimo periodo.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria delinea questi aspetti con chiarezza, stabilendo che vi è una ripresa anche all'interno del nostro paese, dovuta ad una domanda dei consumi che sta aumentando e ad una ripresa della fiducia che i cittadini hanno nel sistema Italia. Ciò, evidentemente, non è accaduto negli anni passati perché, quando veniva posto alla nostra considerazione il DPEF del Governo Berlusconi, vi era tutta una serie di indicatori estremamente ottimistici che, poi, sistematicamente dovevano essere riverificati, perché non si realizzavano. Nello stesso tempo, il Presidente del Consiglio di allora poneva all'attenzione dei cittadini la cosiddetta «grande fiducia». Ciò è tanto vero che poi questa fiducia non si è trasformata nella crescita economica del nostro paese, nella crescita occupazionale e nell'intera questione della equità sociale.
È giusto, quindi, che questo DPEF sia estremamente cauto, proprio in virtù di ciò che abbiamo vissuto nei tempi passati. Si dimostra così la serietà non soltanto del ministro dell'economia e delle finanze, ma anche del Governo, che capisce bene che vi possono essere fattori che possono influenzare negativamente anche una crescita che è definita all'1,5 per cento per il prossimo anno. Sono fattori legati, come ben sappiamo, al costo del petrolio, che potrebbe aumentare sensibilmente, e alle difficoltà geopolitiche esistenti a livello internazionale.
Quindi, vi è una grande responsabilità, nonché la grande consapevolezza della possibilità di agganciarsi alla ripresa, per fare in modo che questo paese cresca e cominci a ricollocarsi nello scenario economico europeo ed internazionale.
In proposito, si è determinata la cosiddetta triade, ossia i tre elementi più importanti per la ripresa: la crescita, il recupero del debito pubblico e, quindi, il risanamento, e la cosiddetta equità. La crescita è possibile: all'interno di questo Documento vi sono chiari indicatori in talPag. 31senso. La crescita si intravede chiaramente. Vi è la necessità di recuperare un debito e di tenere sotto controllo la spesa pubblica, senza intaccare gli elementi che influenzano la possibilità della stessa crescita.
Per quanto riguarda la cosiddetta crescita dell'economia privata, all'interno del Documento sono menzionati indicatori chiari: non mi riferisco semplicemente alla questione del cuneo fiscale. Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che il cuneo fiscale, che interviene sia dalla parte dell'impresa sia dalla parte del lavoratori, crei un sistema di equità e di recupero del reddito che può agire sulla domanda e, quindi, accelerare anche un processo di maggiori consumi. Siamo convinti che il cuneo fiscale agisca soprattutto sugli indici del costo del lavoro, ponendo la nostra industria in condizione di competere a livello internazionale con i livelli più bassi del costo del lavoro.
Siamo anche convinti che la produttività delle imprese debba essere recuperata attraverso un confronto forte e serrato con le parti sociali e con i soggetti interessati. All'interno del sistema impresa - qui vi è anche un altro limite dello scorso Governo Berlusconi di centrodestra -, non si è mai pensato di attuare una politica industriale che ponesse il paese in grado di competere a livello internazionale, in modo da realizzare una crescita diversa da quella registrata negli anni passati (che abbiamo già verificato) o all'inizio di questa nuova legislatura.
Quindi, come ho detto, vi sono tutte le condizioni affinché questo paese si possa indirizzare verso la ripresa e la crescita del sistema, che influenzano notevolmente anche i livelli di occupazione del paese. Tali livelli devono aumentare: lo stesso DPEF sta a dimostrare che vi sono le condizioni affinché ciò accada, certamente con una certa gradualità e con una certa cautela, in virtù dei problemi cui ho accennato precedentemente.
L'occupazione deve essere stabile e non precaria, come è accaduto negli anni passati. In questo ambito si inserisce il sistema degli incentivi, che abbiamo riproposto nel DPEF: mi riferisco soprattutto ai cosiddetti crediti di imposta, che agevolano in buona sostanza le possibilità di intervento nelle aree del Mezzogiorno, e al bonus occupazionale. Tali fattori determinano una stabilità del lavoro e non certamente la sua precarietà. Si tratta di indirizzi chiari che il Governo ha sottoposto all'attenzione dell'Assemblea e del paese. Occorre restituire fiducia anche a coloro i quali vedono tale fiducia messa in discussione per la precarietà e per le condizioni di grande difficoltà in cui si trovano.
Su questa linea, il DPEF contiene elementi di credibilità, elementi innovativi per quanto riguarda la possibilità di dare certezze in termini di equità e di giustizia sociale, anche nell'ambito di quel lavoro elastico che si svolge all'interno del sistema, in un contesto in cui non vi siano quelle condizioni di disparità che fino ad oggi si sono verificate all'interno del nostro paese, soprattutto con il Governo di centrodestra.
In buona sostanza, desidero soffermarmi su alcuni aspetti importanti del Documento di programmazione economico-finanziaria in esame.
È stato obiettato che il programma delle infrastrutture, allegato al DPEF, non delineerebbe scelte strategiche volte a fare in modo che il paese si doti di un sistema infrastrutturale forte e si inserisca, in tal modo, nel sistema competitivo internazionale. Non è così! Non è così! C'è una differenza tra il Documento in esame e quelli presentati negli anni passati: nel Documento al nostro esame è contenuta un'analisi chiara degli interventi che bisognerà realizzare nel paese, in relazione ai quali sono definite le priorità e, soprattutto, sono determinate le possibilità finanziarie. Lo stesso non accadeva nella precedente legislatura, quando nel DPEF si inseriva di tutto e di più (per accontentare un sistema di autonomie e di raccordi) senza indicare, però, le disponibilità finanziarie volte a rilanciare il sistema infrastrutturale del paese.
Nel DPEF, per il periodo 2007-2011, viene delineato con chiarezza il futuro delPag. 32nostro paese attraverso gli interventi relativi alle infrastrutture autostradali, al sistema ferroviario - il Governo precedente li ha tagliati, mentre quello in carica ha previsto di rilanciare gli investimenti ferroviari, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, mediante la manovra aggiuntiva -, ai porti ed agli aeroporti, alle autostrade del mare, significative non soltanto per i commerci con il Medio Oriente, ma anche per ricostituire il sistema della logistica nel paese, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
Quello del Mezzogiorno d'Italia è un problema serio che va affrontato con grande determinazione, al di là delle appartenenze politiche. A tale proposito, emerge un dato reale che va posto in risalto. Mentre, negli anni scorsi, il DPEF conteneva di tutto e di più - ma poi abbiamo dovuto constatare che gli investimenti previsti non sono mai stati realizzati -, il DPEF al nostro esame fa una precisa scelta di campo: il Mezzogiorno d'Italia deve essere considerato il vero problema del paese. Dopo tanti anni in cui vi era stato anche al sud un minimo di ripresa, oggi si registrano un rallentamento ed una conseguente condizione di difficoltà. È difficile, in particolare, fare in modo che il reddito pro capite del sud si agganci a quello del centro-nord.
Ebbene, il DPEF in esame prevede investimenti programmati ed indirizzi chiari. Ad esempio, per affrancare una parte della popolazione dalla condizione di povertà è importante anche contrastare l'assenza di un adeguato livello di istruzione. Inoltre, bisogna affrontare il problema degli indigenti che fanno parte dei nuclei familiari del Mezzogiorno d'Italia. Dunque, si vogliono dare risposte in materia di innovazione e di istruzione, mentre gli interventi finanziari non devono riguardare situazioni generali ma, com'è giustamente sottolineato nel Documento, devono avere riguardo, in particolare, alle imprese ed agli interventi pubblici da realizzare nel Mezzogiorno d'Italia.
Il DPEF contiene un esame chiaro degli interventi che si devono e che si possono realizzare. Con grande serietà e con grande responsabilità - e concludo, signor Presidente -, esso pone all'attenzione del paese e dei cittadini gli obiettivi che il centrosinistra si è dato: crescita, rientro del debito pubblico, equità. Non vogliamo più sacrifici per nulla: questo centrosinistra vuole che ai sacrifici corrispondano crescita e sviluppo per tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fitto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria alla nostra attenzione ritengo sia lo specchio delle contraddizioni e, quindi, della conseguente debolezza che il Governo manifesta in termini di politica economica. Stranamente, ciò che maggiormente preoccupa non è tanto il suo contenuto ma, soprattutto, ciò che viene puntualmente omesso sulle grandi questioni che riguardano il nostro paese.
Nei pochi minuti che mi vengono assegnati vorrei soffermare l'attenzione su tre questioni di particolare rilievo, sulle quali emerge appunto in modo molto chiaro l'assenza di una programmazione e di una scelta da parte del Governo: il tema delle infrastrutture; il tema della politica economica e quindi anche del conseguente inasprimento fiscale nei confronti dei cittadini; il tema del Mezzogiorno. Queste sono le tre questioni che mancano nel DPEF, perché su ognuna di esse ci si limita ad un generico riferimento ai precedenti DPEF, ma, nel merito, si omettono alcuni aspetti fondamentali.
Sin dal 2002, il DPEF del Governo Berlusconi ha sempre previsto una tabella allegata con la quale si segnalavano in modo specifico le infrastrutture che dovevano essere realizzate. Le scelte degli anni scorsi hanno portato ad una crescita complessiva, stimata anche in riferimento alla media europea, pari al 4,3 per cento della spesa per investimento sulle infrastrutture. Una spesa importante, che ha collocato il nostro paese in un contesto molto piùPag. 33ampio della crescita complessiva a livello europeo nel settore delle infrastrutture. Ebbene, su tutto ciò vi è un silenzio totale: nell'ambito del DPEF si rinvia a questioni di carattere generico, senza indicare in modo specifico quali saranno le infrastrutture che il Governo si impegna a realizzare e con quali precise risorse.
Penso che questo sia un aspetto da rimarcare, unitamente alla questione della finanza pubblica, che viene omessa all'interno di questo Documento, se è vero, come è vero, che ciò che non dice il DPEF viene puntualmente scritto all'interno del cosiddetto decreto Visco-Bersani, sul quale saremo chiamati a discutere, perché è evidente che, rispetto alle questioni poste, noi, dopo aver verificato il gran polverone sollevato con dei dati parziali, a posteriori rivelatisi errati, da parte della commissione appositamente creata dal ministro per la due diligence sui conti pubblici, abbiamo avuto modo di verificare che tanto rumore non ha creato alcunché nel merito dell'attuazione degli interventi. Sostanzialmente, vengono eluse le questioni principali.
Concludo con un ultimo richiamo. Ho ascoltato molti interventi che parlavano di Mezzogiorno; sinceramente, da parte mia esprimo una forte preoccupazione al riguardo. Si fa un riferimento che poggia esclusivamente sui contenuti del lavoro del Ministero dell'economia e delle finanze per la nuova programmazione comunitaria 2007-2013, non si cita alcun intervento specifico, si individua il cofinanziamento del programma comunitario come unica fonte di riferimento finanziario per l'azione del Governo nel Mezzogiorno. Si cita in modo specifico la proiezione, senza alcuna tabella, del tentativo di raccordo sullo 0,6 per cento della spesa complessiva sul PIL, per mantenere, anche se questo dato è assolutamente inferiore a quello precedente, le spese del fondo per le aree sottoutilizzate. Mi sembra che tutto ciò debba suscitare una grande preoccupazione, tale da portare ad un'azione contraria da parte nostra.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.
ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, discutiamo oggi del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011, il primo di questo Governo Prodi.
Il DPEF persegue l'obiettivo di delineare il percorso di uscita dall'attuale situazione di crisi, soprattutto in materia di finanza pubblica, in una nuova ottica di sviluppo, di risanamento e di equità. Infatti, ad oggi, la situazione economica del paese è caratterizzata da ritardi e squilibri che stanno minando le nostre reali possibilità di crescita. All'azione diretta a porre sotto controllo ed a risanare i conti pubblici posta in essere negli anni che vanno dal 1992 al 2001, ha fatto invece seguito, negli anni che vanno dal 2001 al 2006, una crescita incontrollata del debito e la forte diminuzione dell'avanzo primario.
In questo senso il documento di programmazione economico-finanziaria di cui oggi discutiamo si fa apprezzare per un percorso graduale volto ad ottenere un rientro del deficit al 2,8 per cento ed un pareggio nel 2011, un consistente recupero dell'avanzo primario già nel 2007, una diminuzione del debito pubblico nel 2007 sino alla quota del 99 per cento del PIL nel 2011, obiettivi cui si potrà pervenire attraverso un'aumentata capacità di crescita del nostro sistema economico.
La correzione dei conti pubblici avrà carattere strutturale non solo perché questo ci chiedono gli impegni europei, ma ancor più perché i problemi stessi del paese hanno natura strutturale e richiedono, quindi, soluzioni in grado di recare benefici che durino nel tempo.
Qualcuno ha definito il DPEF una sorta di wish list del Governo, lista dei desideri che difficilmente vengono poi tradotti in realtà. Invece, il Documento di cui oggi discutiamo si caratterizza per un impianto realistico che tiene conto dell'avvenuta realizzazione delle misure di dismissione e privatizzazione, ma anche della volontà di realizzare gli obiettivi prefissati di liberalizzazionePag. 34e concorrenza. Ciò che lo caratterizza è sicuramente il fatto che sono tenute in debita considerazione le esigenze di partecipazione rimandando i dettagli delle politiche economiche agli esiti di specifiche concertazione con le parti sociali, ai fini della più vasta condivisione delle relative misure attuative.
L'intervento previsto sui quattro comparti della spesa pubblica risponde a strategie di riforma strutturale e non a logiche di mero taglio delle spese in quanto ciò non comporterà la riduzione né dell'offerta di servizi, né delle garanzie individuali. L'intervento è sostenibile in quanto graduale e non concentrato in settori esclusivi e, soprattutto, in linea con le richieste dell'Europa circa l'abbandono della prassi di misure una tantum che, come molti sanno, hanno esiti tutt'altro che positivi, come abbiamo visto nel passato.
La stagione della cosiddetta finanza creativa della scorsa legislatura può dirsi conclusa e noi Popolari-Udeur riteniamo imprescindibile l'esigenza di riportare finalmente l'equilibrio in un paese che ha visto, in questi ultimi cinque anni, aumentare il divario tra ricchi e poveri, tra aree territoriali forti e deboli, come mai era accaduto negli ultimi vent'anni.
L'intervento sul cuneo fiscale assume, poi, un carattere di straordinarietà per il rilancio della competitività, ma deve accompagnarsi chiaramente a misure selettive e a serie politiche strutturali per la crescita.
Ulteriore obiettivo del documento è costituito dall'affermazione del principio dell'equità e dell'equilibrio sociale nella distribuzione delle risorse. È necessario, infatti, legare le prospettive dello sviluppo economico alla costruzione di maggiore giustizia sociale in termini di crescita occupazionale connessa alla produttività, nonché di riequilibrio del reddito e della ricchezza. In un regime democratico una maggiore equità è condizione indispensabile per il sostegno popolare al risanamento finanziario e per il rilancio della crescita. Equità sociale significa realizzare un programma nel campo dei diritti di cittadinanza e delle politiche per la famiglia che sia in grado di modificare la situazione di assoluto degrado che viviamo oggi. In Italia è necessaria una svolta in questi ambiti perché si parte da una quota di risorse dedicate a sostegno dei redditi bassi e precari e delle responsabilità familiari, nonché alla fornitura di servizi sociali ed abitativi alle famiglie ed ai soggetti non autosufficienti inferiore alla media europea. In questo senso i Popolari-Udeur salutano con favore la recente calendarizzazione in Commissione giustizia della proposta di legge a favore di soggetti in situazione di insolvenza per i quali è prevista la possibilità di concludere con i creditori una particolare forma di concordato per far fronte alla situazione di insolvenza in cui sono venuti a trovarsi. Si tratta di una misura a favore delle famiglie disagiate, di quelle persone fisiche che sono venute a trovarsi in una situazione di sovraindebitamento per esigenze relative a necessità familiari o domestiche.
Noi Popolari-Udeur, che ci siamo fatti carico in campagna elettorale di rappresentare la parte più moderata della coalizione di centrosinistra - il centro, per intenderci - saremo particolarmente attenti a valutare le misure che saranno attuate con riguardo alla famiglia, al mercato del lavoro, alla salvaguardia dell'individuo nel suo complesso. Certamente, non siamo il partito del «no» a scelte condivise da tutte le componenti politiche della coalizione, ma saremo il partito dell'attenzione e della critica laddove sarà necessario.
La crescita del sistema Italia passa attraverso la valorizzazione della risorsa Mezzogiorno, ma le politiche recenti al riguardo hanno contribuito solo ad aumentare le disuguaglianze, anche attraverso una riduzione all'osso degli investimenti infrastrutturali. Invece, le infrastrutture di qualità dovrebbero essere considerate questione centrale per favorire lo sviluppo economico dell'intero paese, data la collocazione geografica dell'area del Mediterraneo che ne fanno il nodo cruciale per tutte le attività di scambio.Pag. 35
In conclusione, esprimo a nome del gruppo dei Popolari-Udeur una valutazione positiva sulle linee programmatiche indicate nel DPEF, auspicando che le indicazioni in esso contenute trovino realizzazione nel prossimo disegno di legge finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, nella lettera con la quale il Presidente del Consiglio ed il ministro dell'economia accompagnano la trasmissione del Documento di programmazione economico-finanziaria si dice, con molta forza e chiarezza, che la politica economica è chiamata ad agire su tre fronti: lo sviluppo, il risanamento e l'equità; obiettivi, dicono i due interlocutori, che devono essere affrontati simultaneamente perché sono inscindibili (e ne spiegano anche le ragioni).
Esaminando le cifre programmatiche del DPEF, ci si domanda come sia stato tradotto questo impegno così solennemente assunto addirittura dal Presidente del Consiglio e dal ministro e la tavola n. IV.4, riportata nel documento, ci consente di esprimere un giudizio sullo stesso. Il dibattito, secondo me, è anche troppo esteso, perché si tratta di un punto centrale.
Il contenuto degli interventi lo vedremo con il disegno di legge finanziaria, ma l'andamento tendenziale degli obiettivi programmatici è chiaro ed è indicato, in primo luogo, dall'andamento del PIL che, in termini reali, nel 2011 riesce a scardinare l'andamento negativo, quello dell'1,3 per cento di crescita tendenziale, portandolo - colleghi, è un risultato formidabile - all'1,7 per cento.
È un Governo che ha cambiato la natura dell'economia italiana, perché laddove questa è stata stagnante per molti anni, invece di non fare nulla, mantenendo la crescita all'1,3 per cento, affronta un enorme programma che scomoderà gli enti locali, la sanità, la previdenza per sollevare dello 0,4 per cento il reddito tendenziale (è ciò che accade anche relativamente agli anni precedenti).
La domanda che rivolgo al Governo è la seguente: si tratta di un programma serio? Pensate davvero che su questa base possiate raggiungere gli altri due obiettivi, vale a dire il risanamento e l'equità sociale?
Quando il ministro Padoa Schioppa disse di voler raggiungere tre obiettivi, risanamento, equità e sviluppo, gli dissi che, nella storia italiana, è stato molto difficile coniugare il risanamento e lo sviluppo e che aggiungere un terzo obiettivo mi sembrava molto complicato. Si tratta di un vaste programme, come disse una volta il generale De Gaulle, a proposito di un'altra questione. Ma questo vaste programme si riduce al nulla, quando si scopre che la crescita del reddito è nulla; quindi, forse si raggiunge l'obiettivo del risanamento, perché il debito comincia a scendere, ma non c'è certamente lo sviluppo ed è molto difficile raggiungere anche l'obiettivo dell'equità. Se la torta non lievita, è molto difficile ridistribuire; è più difficile sottrarre a chi possiede qualcosa, piuttosto che aggiungere a chi ha meno, quando il reddito cresce.
La conferma di questo problema si rinviene nell'andamento disperato della produttività e del costo del lavoro per unità di prodotto. Tendenzialmente, la produttività, che secondo Prodi e Padoa Schioppa rappresenta una problema italiano, nel 2011 crescerebbe dello 0,7 per cento. Dopo cinque anni di un Governo così virtuoso e così impegnato, crescerebbe dello 0,9 per cento: ma pensate davvero che questo sia il programma economico dell'Italia, di un Governo di legislatura?
Il CLUP, vale a dire il costo del lavoro per unità di prodotto, da cui dipende la competitività, addirittura cresce dell'1,2 per cento. Quindi, invece di migliorare, come migliora in Francia, in Germania, peggiora ulteriormente.
Questo è il programma di politica economica? La mia proposta - lo dico ai colleghi della maggioranza - è di fare ciò che avvenne nel 1996, quando il Presidente del Consiglio Prodi ritirò il Documento di programmazione economico-finanziaria ePag. 36ne ripresentò un altro. Ritirate il Documento di programmazione economico-finanziaria, perché è stato costruito male! Non è un documento serio, non è un documento di legislatura e non vi consentirà di attuare una politica di risanamento.
O affrontate seriamente le cause del basso tasso di crescita della produttività - e, ovviamente, il cuneo fiscale non c'entra niente, c'entra di più la legge Biagi - oppure, se non potete affrontare tali questioni, non potrete affrontare i problemi dell'economia italiana e la lascerete in una condizione di difficoltà, la stessa nella quale si dibatte da molti anni.
Onorevole Ventura, non ci dite che tutto questo è prudenza, come ha detto qualche esponente di Governo, perché, quando il Governo «parla» al Parlamento con il DPEF, non può dire che i numeri sono stati inseriti ma pensa ad altro. Se voi pensate ad altro, scrivete altro, se pensate che la vostra terapia sia in grado di far crescere l'economia del 2,5, del 3 o del 4 per cento avete l'obbligo di scriverlo.
Per tali motivi, credo che il Documento di programmazione economico-finanziaria si debba riscrivere e, prima lo fate, meglio è!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Signor Presidente, colleghi, penso che il Parlamento debba esprimere il suo apprezzamento al Governo per questo Documento perché individua con assoluta chiarezza le due strade davanti alle quali è il paese. Nella parte non programmatica del Documento si intravede con precisione quello che sarebbe il percorso del prodotto interno lordo nei prossimi anni qualora nulla venisse fatto. Il prodotto crescerebbe, come sappiamo già, dell'1,5 per cento quest'anno, per poi pian piano declinare verso il suo tasso di crescita di lungo periodo, che non va oltre l'1,2 - 1,3 per cento, dopo essere cresciuto anche l'anno prossimo dell'1,5 per cento a seguito del favorevole andamento del ciclo internazionale. Se, invece, venissero adottate le misure descritte dal Documento, sia pure nella sua giusta vaghezza, avremmo un percorso completamente diverso. L'anno prossimo avremmo una crescita ridotta perché, in qualche maniera, si farebbe comunque sentire l'impatto della manovra da farsi a settembre, ma, a distanza di tre o quattro anni, il prodotto potenziale - quindi, il prodotto di medio periodo - crescerebbe dell'1,7 per cento. Capisco che cinque decimi di punto possano sembrare poca cosa e comprendo perfettamente chi osserva che cinque decimi di punto, forse, non valgono lo sforzo. Tuttavia, vorrei ricordare che la legge dell'interesse composto suggerisce che, se i cinque decimi di punto diventassero strutturalmente un tasso di crescita più elevato di questo paese, da qui a vent'anni ci sarebbero un reddito pro capite di un quinto superiore a quello odierno, a quello che avremmo altrimenti, e non è certamente poca cosa.
Quindi, credo che vada dato merito al Governo di aver chiaramente indicato al paese i benefici derivanti da una cura non banale. Mi limito a due osservazioni, una riguardante le modalità di copertura e l'altra la ripartizione territoriale di questi risultati. Sul fronte della modalità di copertura, in questo caso mi rivolgo soprattutto alla maggioranza, per quanto il Documento sia giustamente vago - qui mi permetto di dissentire da ciò che il ministro dell'economia ha detto più volte -, continuo a pensare che lo stesso potrebbe essere fatto di una sola paginetta e di un solo numero, e che non vi sarebbe assolutamente bisogno della grande discussione estiva, che di solito il Documento stesso innesca, ma si tratterebbe di questioni addizionali. Dal punto di vista delle coperture, il Documento - lo si legge chiaramente non solo nelle sue pieghe, ma anche in ciò che è scritto a pagina 158 - immagina con una certa precisione il che cosa e il da dove, anche se non esattamente da quali poste ma quali grandi comparti, e credo di non sbagliare molto se dico che il Documento è poggiato su un'ipotesi che, sostanzialmente, divide a metà la copertura del provvedimento stesso fra entrate ed uscite.Pag. 37
Questo punto è rilevante perché l'andamento di cui ho parlato prima, in particolare i due o i tre decimi di punto di crescita che si perderebbero nel 2007, si tiene - e il risultato non sarebbe, invece, peggiore nel 2007 - solo se quella proporzione viene mantenuta. Quindi, credo che debba essere chiaro a tutti, soprattutto alla maggioranza che sostiene il Governo in questo sforzo non facile, che l'obiettivo implicito del Documento deve essere un obiettivo di tutta la maggioranza.
Se mancassimo quell'obiettivo, nel senso per esempio di immaginare una copertura pressoché interamente derivante dal fronte delle entrate, la situazione nel 2007 potrebbe essere assai più seria di quella che invece viene descritta nel Documento stesso. Quindi, il tema delle coperture non riguarda solo ed esclusivamente il prossimo mese di settembre. Esso riguarda in realtà tutto il 2007, in particolare la congiuntura economica, e di conseguenza anche politica, che vivremo nel 2007. Dunque l'impegno da parte di tutti deve essere teso a rispettare il vincolo implicito nel Documento stesso.
Il secondo punto sul quale vorrei soffermarmi riguarda invece quella che io considero una delle parti meno riuscite del Documento: la parte relativa agli squilibri territoriali. Al riguardo, mi permetto di segnalarvi che, se si fa riferimento al grafico che compare nelle ultime pagine del Documento, la crescita di lungo periodo del centronord si attesterebbe all'1,5 per cento, mentre la crescita di lungo periodo del sud arriverebbe al 2,5 per cento. Quest'ultimo dato percentuale, considerati i pesi del sud e del centronord, fornirebbe quell'1,7 per cento di lungo periodo, cui fa riferimento il Documento.
Ebbene, credo che al riguardo il Governo debba fare una valutazione molto attenta. Innanzitutto perché è poco credibile che la congerie di provvedimenti immaginata nel Documento per il centronord del paese, cioè nell'area certamente a maggiore densità produttiva, determini un incremento del prodotto potenziale valutabile in soli due decimi di punto. Onestamente non è una valutazione molto credibile e, se lo fosse, sarebbe un problema non piccolo.
Del resto, è veramente difficile immaginare che, dopo sette anni in cui il Mezzogiorno è cresciuto più o meno come il centronord del paese, improvvisamente si passi ad un tasso di crescita meridionale di lungo periodo di 1,3 punti superiore a quello del centronord o comunque superiore a quello che si avrebbe altrimenti. Questo soprattutto perché lo stesso grafico evidenzia un qualche cosa a cui dovremmo porre mente. Quel grafico lo si potrebbe nominare fino ad oggi «niente», da domani «miracoli». Peraltro è lo stesso grafico che vediamo puntualmente nelle pagine del Documento di programmazione da sette anni a questa parte.
Mi chiedo allora come sia francamente pensabile che le stesse politiche - perché le stesse politiche sono riportate in quelle pagine del Documento di programmazione - possano produrre un risultato così miracoloso. Evidentemente così non è ed evidentemente proprio in quelle pagine, proprio in quella direzione, proprio nel capitolo che riguarda gli interventi sul Mezzogiorno, mi attendo che il Governo dia dei segnali di novità, con chiarezza, determinazione e decisione già a partire dal prossimo mese di settembre (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Centa. Ne ha facoltà.
MANUELA DI CENTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo mio breve intervento sull'esame del DPEF si soffermerà su una carenza, che ho riscontrato nel contenuto del Documento stesso: la montagna, intesa come territorio - più della metà del territorio italiano è montagnoso - e come popolazione che vive sulle montagne, con tutte le sue risorse e le sue peculiarità.
Nel Documento, tra le numerose politiche di settore illustrate non figura mai il riferimento alle zone montane. Le aree montagnose rappresentano risorse imprescindibili per il settore del turismo, perPag. 38l'attività di piccola, media e grande impresa. Le aree montagnose sono strategiche per la competitività delle merci e sono miniere preziose grazie alle loro acque, boschi e foreste, e per le fonti di energia che ci propongono (ad esempio idroelettrica e biomassa).
Il Documento sottolinea la necessità di agire su tre fronti: sviluppo, risanamento, equità. Tuttavia il Governo non fa riferimento alla montagna nemmeno nella parte dedicata al turismo o ai beni culturali, né tanto meno in quella dedicata allo sport, come se la montagna non rappresentasse, ad esempio, una vera cartolina geografica del made in Italy. Ne è esempio il Giro d'Italia, con la sua cima Coppi, con lo Stelvio, con le Dolomiti, con l'Etna e quant'altro.
Secondo il Documento, il turismo in Italia deve costituire una componente significativa del ritorno alla crescita economica e alla sua stabilità. Esso fa specifico riferimento alla qualificazione dell'offerta turistica sotto il profilo culturale, con una particolare attenzione ai piccoli comuni e agli itinerari storico-culturali-religiosi. Questo Documento è una semplicistica visione dell'industria turistica: noi dobbiamo invece pensare ad una visione più ampia, ove il turismo montano deve essere considerato nella globalità del «mondo montagna». Dobbiamo pensare alle popolazioni che vivono stabilmente in quei territori, che producono, che determinano anch'essi la crescita del prodotto interno lordo e contenere il fenomeno della fuga verso le città delle popolazioni alpine e appenniniche. Dobbiamo pensare ad incentivare i residenti, affinchè proseguano quelle attività artigianali, industriali ed agricole che hanno sempre caratterizzato la montagna e che, col passare degli anni, vengono abbandonate.
Passate le Olimpiadi invernali di Torino 2006, la montagna è ritornata sulle prime pagine dei giornali solo con le vicende della val di Susa e della TAV e, ogni tanto, con qualche frana che interrompe la viabilità. Il rilancio del turismo montano potrà avvenire anche attraverso il miglioramento delle rete stradale tra le valli e delle vie di collegamento ed interconnessione con i paesi d'oltralpe. Questo servirà anche per un più rapido trasporto delle merci del prodotto «Italia nel mondo».
Invito i colleghi della maggioranza - e concludo, signor Presidente - a ricordarsi della montagna in sede di redazione della risoluzione con la quale sarà approvato il DPEF, così come invito il Governo a considerare, in sede di predisposizione del disegno di legge finanziaria per il 2007, il rifinanziamento del fondo per la montagna ormai caduto nel dimenticatoio. Noi lavoreremo, signor Presidente, anche dai banchi dell'opposizione, affinché nella XV legislatura ci possa essere l'approvazione della nuova legge sulla montagna.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Prendo atto che il relatore e il Governo si riservano di svolgere le repliche nella seduta di domani.
Avverto che le risoluzioni al Documento di programmazione economico-finanziaria potranno essere presentate prima dello svolgimento delle suddette repliche.
Sospendo la seduta fino alle 15.
La seduta, sospesa alle 12,25 è ripresa alle 15,05.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI