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Discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00010, Realacci ed altri n. 1-00009 e Lion ed altri n. 1-00022 sull'introduzione di regole riguardanti l'utilizzo di pratiche enologiche alternative alle tradizionali tecniche di invecchiamento del vino (ore 22,25).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Realacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00009. Ne ha facoltà.
ERMETE REALACCI. Signor Presidente, cercherò anch'io di essere sintetico, tuttavia penso sia utile lasciare agli atti le motivazioni che hanno portato alla presentazione di questa mozione. Del resto, ci troviamo di fronte a tre mozioni che sono sostanzialmente molto simili tra di loro e credo che tutte possano essere approvate, dal momento che vanno nella stessa direzione. La discussione avviene su richiesta del gruppo della Lega Nord, quindi dell'opposizione, che ha presentato una mozione successivamente alla mia, peraltro sottoscritta da esponenti sia della maggioranza che dell'opposizione. Tra gli altri, vorrei ricordare i colleghi Franceschini, Lion, Alemanno, Tabacci, Cacciari ed altri. Inoltre, un'ulteriore mozione sulla stessa lunghezza d'onda è stata presentata dai colleghi della Commissione agricoltura. Tutte le mozioni sono volte ad affrontare una questione apparentemente marginale, ma che in realtà è importante per definire non solo il futuro del vino italiano, ma anche le caratteristiche della nostra agricoltura e, in ultima analisi, della nostra economia.
A livello internazionale con decisioni assunte anche a livello di Unione europea si sta introducendo una pratica enologica che prevede una specie di surrogato dell'invecchiamento in botti o in barriquePag. 102attraverso l'aggiunta di trucioli. In realtà, si tratta di segatura aggiunta nella fase di fermentazione del vino con il risultato di ottenere un prodotto sicuramente a costo più basso, ma al tempo stesso con la banalizzazione e la standardizzazione del gusto.
Tale pratica si è molto diffusa in paesi concorrenti dell'Italia sul mercato internazionale, affacciatisi recentemente sul terreno alla produzione del vino con grande energia. Noi riteniamo che, oltre ad essere discutibile sul piano della qualità e degli effetti che produce, tale pratica sia contraddittoria rispetto alla funzione che il vino e l'agricoltura italiana sono chiamate a svolgere. Mi sia consentito dirlo perché è una metafora del tipo di economia che il nostro paese deve costruire. Le tre mozioni si chiudono con l'invito rivolto al Governo ad essere attivo a livello internazionale nel tentativo di contrastare queste pratiche enologiche. In altra occasione ho avuto scherzosamente modo di definire «vino di Pinocchio» il prodotto realizzato con un surrogato dell'invecchiamento in barrique. Inoltre, si dovrebbe quanto meno garantire ai cittadini europei una trasparenza nelle etichette rispetto ai vini che adoperano queste pratiche enologiche nonché il divieto di utilizzo di tali pratiche nei vini maggiormente pregiati (DOC, DOCG, IGT). Siamo a favore dei vini certificati che oramai rappresentano una parte importante della nostra produzione e sicuramente quella di maggior valore.
Tale scelta, condivisa nelle tre mozioni, ritengo debba essere assunta con impegno dal Governo, ma è utile fare un passo indietro per compierne uno in avanti. Infatti, dobbiamo capire cosa è successo nel mondo del vino nel corso di questi anni e quale può essere lo sviluppo di questo come di altri settori produttivi della nostra agricoltura e del nostro paese.
Vent'anni fa il vino italiano attraversò una crisi devastante, quella del metanolo.
Nel marzo del 1986, ci fu una sofisticazione criminale che, purtroppo, produsse molte vittime. Ci furono circa 20 morti e alcune persone rimasero accecate e, peraltro, ci sono ancora pratiche di risarcimento aperte con riferimento alle famiglie delle vittime.
Questa sofisticazione era figlia di una tendenza che il vino italiano aveva preso, cercando di aumentare di molto la quantità e di abbassare i prezzi. Tale tendenza, già prima della crisi del metanolo, portò il nostro vino in un vicolo cieco.
Molto spesso i nostri vini venivano esportati - ad esempio, in Francia - come vini da taglio per produrre vini più pregiati e altre volte venivano distillati per ricavarne alcol. Nella ricerca del basso prezzo, penetrò la sofisticazione quando per un caso fu detassato il metanolo, con conseguenze sanitarie pesanti.
Cosa è successo dopo quella crisi tremenda, che produsse un crollo delle vendite? È accaduto che - senza una politica pubblica di indirizzo e di orientamento, ma per un'azione territorialmente molto estesa da parte di imprenditori agricoli e di organizzazioni di agricoltori - si è cambiata completamente rotta. Si è passati da una fase in cui si puntava sulla quantità e sul basso prezzo ad una scelta molto più forte legata alla qualità e al territorio.
L'effetto di tale mutazione, nel corso di questi vent'anni, è stato che oggi l'Italia produce circa il 40 per cento in meno del vino prodotto negli anni Ottanta, ma il vino prodotto oggi vale in moneta costante più del triplo di quello che valeva allora il complesso della produzione di vino. Inoltre, le nostre esportazioni sono più che triplicate: abbiamo battuto la Francia, non solo ai mondiali di calcio, ma anche nell'esportazione del vino; siamo i primi su mercati importanti come quelli americani e, molto spesso, i vini sono diventati ambasciatori dei nostri territori e le produzioni di vino di qualità si sono estese dalle zone tradizionali a tutto il paese. Oggi - lo dico perché sono presenti sottosegretari meridionali - ci sono vini di straordinaria qualità anche in tante zone del sud e, molto spesso, quando pensiamo a determinati vini pensiamo a specifici territori. Ciò vale per il Chianti o per le Langhe e per tante zone del sud; quando pensiamoPag. 103a Montalcino pensiamo al Brunello, quando pensiamo alla Sicilia pensiamo anche a grandi vini e lo stesso vale per tutte le regioni del nostro paese.
La scelta per una qualità legata al territorio è quella che ha fatto vincere il nostro vino. Per carità, non sono tutte rose e fiori; le vicende sono complesse, occorre rafforzare la nostra capacità di difendere i marchi all'estero, di vendere meglio i nostri prodotti, di coordinare meglio le azioni, ma partiamo sicuramente da un successo.
Oggi, l'introduzione di una pratica di questo tipo si muoverebbe in una direzione opposta a quanto accaduto. Capisco e posso anche accettare che ci siano vini di qualità più bassa anche nel nostro paese, come le produzioni non certificate. Tenete conto che, nel frattempo, le produzioni certificate - DOP, DOCG e IGT - sono passate dal 10 per cento della metà degli anni Ottanta a circa il 60 per cento.
Il cuore della competitività dei nostri vini, della nostra agricoltura e della nostra economia è costituito da una scommessa fortissima sulla qualità. Una scommessa che implica politiche di accompagnamento, che si coordinano con le politiche del turismo e della difesa del made in Italy.
Durante il precedente Governo fu svolta un'inchiesta di grandissimo interesse sulla quantità di prodotti che sul mercato erano venduti utilizzando un nome italiano. Da tale inchiesta risultò che soltanto sul mercato statunitense ogni anno venivano venduti 17 miliardi di dollari di prodotti con nome italiano, che venivano acquistati con un prezzo più alto proprio per il fatto di avere un nome italiano.
Di questi 17 miliardi di dollari, provenivano dall'Italia soltanto 1,5 miliardi di dollari: l'8 per cento. Quindi, eravamo di fronte a circa 30 mila miliardi di vecchie lire di «patacche», cioè di prodotti che utilizzavano il richiamo italiano pur non avendo visto l'Italia neanche in cartolina. Altro che i cinesi! Questo ci fa capire che lo spazio enorme che noi abbiamo quando difendiamo ciò che è italiano legato alla qualità, al territorio, alla creatività è veramente il terreno su cui la nostra economia si deve muovere, ed è un terreno ortogonale rispetto a quello del vino con i trucioli.
La frontiera competitiva del nostro vino nel futuro non solo è legata alla prosecuzione di ciò che abbiamo fatto nel corso di questi anni, ma può puntare su una carta che i nostri concorrenti non hanno. Nel nostro paese esistono migliaia di vitigni autoctoni, figli del fatto che in Italia esiste una cultura del vino che risale ai greci, ai romani, ai cartaginesi. Tale cultura, ovviamente, non esiste nei nostri concorrenti emergenti: i vitigni autoctoni non esistono in California, in Sudafrica, in Australia, in Nuova Zelanda, in Cina. I vitigni autoctoni non sono solo, oggi, una straordinaria biodiversità da conservare, ma possono essere la base di grandi vini del futuro.
Già questo, in parte, è accaduto: anni fa nessuno avrebbe pensato che il Nero d'Avola potesse avere lo sviluppo che ha avuto, ma questo è accaduto in tanti altri campi. Uno dei migliori vini italiani degli ultimi anni è, ad esempio, il Sagrantino di Montefalco. Quest'ultimo era un vitigno scomparso che è stato recuperato da un bravissimo imprenditore, Marco Caprai, che ha realizzato anche una mappatura genetica per recuperare questo vitigno. Si tratta di scelte che richiedono spesso l'utilizzo di tecnologie avanzate, ed oggi quel vino è un vino di straordinaria qualità. Lo stesso vale per il Passito di Pantelleria e per tanti altri vini che hanno tali caratteristiche straordinarie.
In conclusione, il senso della nostra mozione è apparentemente limitato, ma in realtà è un invito forte nel comparto del vino, negli altri settori dell'agricoltura e nell'economia a competere difendendo i punti di forza del paese. L'Italia è forte quando compie due scelte: da un lato, scommette, come è necessario fare per un grande paese avanzato, su innovazione, ricerca e conoscenza, ma dall'altro scommette sulle cose che abbiamo in misura più straordinariamente forte di altri paesi. Si tratta di un intreccio unico al mondo, in cui città e patrimonio storico-culturale,Pag. 104ambiente naturale e paesaggio, prodotti tipici e buona cucina, coesione sociale, creatività e Italian way of life rappresentano qualcosa che il mondo ancora ci invidia ed apprezza.
Leggevo oggi sui giornali, se vogliamo alleggerire quest'ora tarda della sera, che quando i tre italiani sono saliti sul podio del Gran premio di motociclismo il telecronista giapponese è andato in visibilio e ha cominciato a dire: «Italia, Italia, Italia!» Dubito che l'avrebbe detto per altri paesi. Questa capacità dell'Italia di affascinare è molto legata al suddetto tipo di cultura, di tradizione, di produzione.
È per questo che, nel vino come in altri campi, proiettare nella modernità queste nostre caratteristiche è la vera nostra forza. Accedere, invece, a tecnologie e forme di commercializzazione che impoveriscono non solo la nostra storia, ma anche il nostro futuro è una scelta sbagliata, dal punto di vista innanzitutto della nostra identità, ma anche della nostra economia (Applausi).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Fundarò, iscritto a parlare: si intende vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare il deputato Bellotti. Ne ha facoltà.
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, pochi onorevoli colleghi, sebbene in quest'aula molto spesso ci si divida su tutto o quasi, il Parlamento italiano su tale tema ha trovato una sua unità nella difesa del settore vitivinicolo italiano, del consumatore e delle sue prerogative che si sono andate affermando sempre più negli ultimi anni come veri e propri diritti. È per questo che siamo in questa sede oggi a discutere della questione sollevata dalle mozioni in esame.
Non si tratta di questioni secondarie, ma di riaffermare invece che lo Stato intende farsi carico della tutela del consumatore, ambito economico e strategico importantissimo all'interno del nostro paese. Di che cosa stiamo parlando, infatti? L'accordo bilaterale, firmato a Londra il 10 marzo 2006, tra l'Unione europea e gli Stati Uniti, sebbene abbia evitato l'accendersi di un contenzioso di cui le esportazioni italiane non hanno proprio bisogno, non può che essere definito come un accordo al ribasso, permettendo agli Stati Uniti di immettere sul mercato comune vini invecchiati tramite l'utilizzo di trucioli di rovere e, conseguentemente, ponendo all'ordine del giorno l'introduzione di tale pratica anche nella viticoltura europea.
Ciò che appare ancora più grave è che la proposta della Commissione europea in tal senso non prevede neppure l'obbligo di indicare sull'etichetta dei vini l'utilizzo di trucioli per l'invecchiamento del prodotto, creando i presupposti per una scarsa valorizzazione delle produzioni vinicole di più comprovata tradizione e penalizzando le imprese vitivinicole di minori dimensioni, che continuano ad operare l'invecchiamento in tradizionali botti del tipo barrique.
Il problema che qui si pone è duplice: da una parte, si discute delle misure che lo Stato deve adottare per la tutela della cittadinanza, per permettere che l'acquirente conosca ciò che acquista; dall'altra, si cerca di dibattere un tema squisitamente economico, ossia se si intenda o meno proseguire sull'idea che la via principale per lo sviluppo dell'agricoltura italiana deve essere quella di tutelare le produzioni tipiche, le coltivazioni d'eccellenza, la tutela delle tradizioni, al fine di garantire l'immissione sul mercato di derrate che abbiano, quale cifra specifica, la qualità, requisito che porrebbe al riparo le nostre quote da aspetti della concorrenza, quali il prezzo, cui difficilmente il settore primario italiano potrebbe far fronte con l'invasione di prodotti dai mercati emergenti.
Entrambe le questioni sollevate sono fondamentali e richiedono interventi rapidi, ribadendo che si parla del futuro della nostra agricoltura e cercando anche nei confronti dell'Europa di avere una chiara posizione nazionale, forte nel garantire una sorta di difesa delle nostre produzioni, che non sono solo quelle italiane ma anche quelle degli altri paesiPag. 105europei. È un dovere preciso che abbiamo nei confronti degli agricoltori, dei consumatori e del mercato.
Per quanto riguarda il consumatore, credo che debba essere riconosciuta al precedente Esecutivo l'azione svolta a favore del consumatore, che deve essere il nuovo protagonista nella logica di mercato del futuro. Il problema di questo particolare periodo storico per quello che riguarda l'agricoltura italiana non risiede tanto nell'offerta di prodotto, quanto nella domanda e nel sapere affrontare i mercati in maniera importante. La competitività delle produzioni italiane deve contare sulla capacità di garantire al consumatore ciò che egli chiede. Se diventa difficoltoso gareggiare sui prezzi con paesi in cui il costo della produzione, della vita e della manodopera è inferiore, l'agricoltura italiana deve puntare sulla qualità, sulla tracciabilità, sulla sicurezza e sull'informazione corretta.
Il consumatore deve diventare il protagonista del mercato, e per questo noi ci stiamo battendo. Le produzioni devono essere costruite sul consumatore, e questa deve essere la caratteristica principale per tutto il made in Italy, non solo per la nostra agricoltura.
Dobbiamo proseguire sulla strada già intrapresa dal precedente Governo, per garantire produzioni d'eccellenza. Ritengo che sia estremamente positivo che tutto il Parlamento italiano concordi sul fatto che la produzione di vino per invecchiamento con l'utilizzo di trucioli non possa essere considerato positivamente. Da una parte, avremmo un vino di scarsa qualità, invecchiato artificialmente, inferiore a quello prodotto tramite l'invecchiamento in barrique: come potremmo spacciare questo vino come artigianale? Come potremmo accantonare la sapienza e la pazienza della tradizione per logiche di mercato che, tra le altre cose, non pagheranno né nell'immediato né nel futuro? Dall'altra, non prevedendo l'obbligo della descrizione del tipo di invecchiamento in etichetta, non diamo neppure modo al consumatore di poter scegliere, di sapere cosa compra, di premiare le produzioni superiori, anche se più costose.
Noi daremo modo di ingannare l'acquirente, di falsare la concorrenza; creeremo un'informazione, se non falsa, sicuramente parziale, e ciò andrebbe a danno del consumatore e produrrebbe un precedente pericoloso per il futuro delle nostre strutture produttive.
Ma non si esauriscono qui le ragioni per cui Alleanza Nazionale si batte contro l'introduzione di questa pratica enologica in Europa e in Italia; soprattutto, per alcune considerazioni che riguardano il mercato e l'Unione europea.
Se siamo d'accordo sul fatto che il mercato premia la qualità e che, per questa ragione, l'agricoltura italiana deve puntare soprattutto su questo, non potendosi opporre alla riduzione costante dei prezzi della concorrenza, dobbiamo anche garantire una continuità su questa linea di condotta, in modo da dare un segnale forte al mercato. Il vino italiano è conosciuto in tutto il mondo ed è fortemente apprezzato. L'Italia è il secondo produttore di vino al mondo, il vino italiano è tra i più bevuti ed ha superato anche quello francese negli Stati Uniti. Il settore vitivinicolo è di certo quello che ha le caratteristiche più marcate di traino della nostra agricoltura.
Nonostante ciò, ci troviamo a dover affrontare difficoltà che non dobbiamo trasformare in sfide. Anche se ci sono nuovi competitori (Australia, Sudafrica, Stati Uniti) e se le vendite nei paesi produttori si stanno restringendo (in Italia, meno 38 per cento), il mercato dei consumatori va allargandosi (Cina più 300 per cento, Stati Uniti più 21 per cento, Australia più 45 per cento). Per questo motivo, non è importante che il vino italiano sia sempre il più economico, ma è importante che sia il migliore sotto il profilo qualitativo. Il Governo precedente si è sempre impegnato per la qualità e la tracciabilità dei prodotti agricoli e confidiamo che il presente esecutivo voglia fare altrettanto.Pag. 106
È un fatto che la difesa italiana della produzione agricola passi oggi soprattutto per l'Europa e che non bastano proclami di principio sul suolo nazionale per svolgere una politica attiva ed efficiente a favore del made in Italy e della sua agricoltura. Il Governo precedente ha saputo farlo. Porto l'esempio di alcuni settori strategici che sono stati difesi e che hanno trovato uno sbocco importante, vale a dire i settori del tabacco e dell'olio d'oliva. Il centrodestra ha saputo difenderli in Europa in modo importante, così come è accaduto per molti marchi nazionali. Il centrodestra ha saputo lottare in Europa per l'agricoltura italiana e chiediamo all'esecutivo di fare altrettanto. Le esigenze presenti richiedono semplicemente che voi lo facciate nel modo migliore, senza «se» e senza «ma», per usare un'espressione a voi cara. La politica agricola in Europa deve ottenere e mantenere un ruolo di protagonista. Il Presidente Prodi e il ministro De Castro devono inserire questo punto come prioritario nella loro agenda quando andranno in Europa, così come seppero farlo il Presidente Berlusconi e l'allora ministro Alemanno.
Il negoziato con gli Stati Uniti a proposito di vino è stato condotto con grande debolezza, una debolezza che l'agricoltura italiana, ma anche quella europea, non possono sicuramente accettare. Per questo motivo noi ci battiamo: per dare un segnale forte. Il Governo deve porre in atto tutte le misure di propria competenza, al fine di garantire una corretta informazione al consumatore per ciò che concerne le merci vitivinicole presenti sul mercato italiano e, più specificatamente, di rendere obbligatoria l'inclusione in etichetta di chiare indicazioni sulle metodologie di produzione delle stesse.
Occorre proseguire sulla via tracciata dal precedente esecutivo anche in sede comunitaria, per la tutela delle produzioni tipiche e di qualità in cui il settore vitivinicolo italiano riveste posizioni di primo piano, anche per la sua plurisecolare esperienza, tale da rendere i vini nazionali tra i più stimati nel panorama enologico mondiale. Quando parliamo di vino, parliamo della nostra storia, così come quando parliamo dei nostri principali alimenti, che costituiscono la radice del nostro paese, un paese a pieno titolo nel centro del Mediterraneo.
Assieme all'olio e al pane, dunque, il vino costituisce una sorta di simbolismo religioso. Si tratta di una storia e di una cultura che non devono essere difese solo per tutelare la nostra economia: infatti, abbiamo una grande responsabilità nei confronti di una coltivazione che da secoli, nella nostra Italia, sa dare i suoi migliori frutti e che rappresenta, altresì, la massima espressione del made in Italy.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fiorio. Ne ha facoltà.
MASSIMO FIORIO. Signor Presidente, è stata precedentemente illustrata dall'onorevole Realacci una delle mozioni concernenti la possibilità di introdurre trucioli di legno nel vino, al fine di modificarne la componenti organolettiche. Si tratta, in altre parole, di aggiungere trucioli di legno (le cui misure possono variare), in luogo dell'invecchiamento tradizionale nelle piccole botti di legno di tipo barrique, in modo tale da riprodurre, in poco tempo e con minori costi, la generazione di quelle note aromatiche presenti in vini pregiati invecchiati in legno.
Tale pratica, finora non in uso in Europa, ma adottata in altri paesi del mondo (come USA, Australia e Cile), è diventata di particolare attualità in seguito all'adozione di una serie di atti amministrativi comunitari che ne consentirebbero l'introduzione nei paesi europei. In primo luogo, infatti, l'accordo bilaterale tra Stati Uniti ed Unione europea, che consente la libera circolazione dei vini artificialmente invecchiati e che tende a limitare la possibilità di contenziosi, prevede che le pratiche adottate da una parte siano estese anche all'altra.
Il comitato di gestione dei vini, inoltre, il 3 maggio 2006, si è espresso favorevolmente alla proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea chePag. 107stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 2165 del 2005, per quanto concerne le condizioni di impiego di pezzi di legno di quercia nella lavorazione dei vini, lasciando agli Stati membri la facoltà di decidere per quale categoria di vini autorizzare tale pratica.
In un quadro di mutamento e di trasformazione del comparto vinicolo, alla vigilia della discussione dell'organizzazione comune del mercato dei vini, vale a dire della regolamentazione del comparto stesso a livello comunitario, la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha avviato lo svolgimento di un ciclo di audizioni che ha interessato una serie di soggetti coinvolti nel settore. La considerazione era e rimane quella per cui la pratica dell'aggiunta di trucioli di legno possiede elementi di criticità e di preoccupazione tali da indurre a svolgere una attenta riflessione in proposito, per fornire alcune indicazioni al Governo.
Non si tratta, dunque, di schierarsi, nella battaglia dai toni anche un po' ideologici, a favore di uno dei due fronti, vale a dire tra quello dei «tradizionalisti» o «puristi», che vorrebbero il vino solo nel legno, contrapposto agli «innovatori» che, in nome delle economie di produzione, preferiscono «il legno nel vino», oppure tra chi è, in tutto e per tutto, contro l'omologazione del gusto che mercato globalizzato e tecnologia comportano e coloro che, invece, sono convinti che è possibile contrastare la concorrenza australiana e cilena solo sul loro stesso terreno.
Si tratta, piuttosto - è questo lo spirito delle mozioni presentate -, di prendere atto di vari aspetti tra loro intrecciati, ovvero della difficile situazione che vive il mercato del vino, del valore della tipicità (soprattutto in un paese, come l'Italia, che rappresenta sicuramente la piattaforma produttiva vitivinicola più ricca di tipicità del mondo) e infine, ma non da ultimo, del diritto del consumatore non solo di pretendere la salubrità dell'alimento (perché non dobbiamo dimenticare che il vino è un alimento), ma di conoscere provenienze e metodi di lavorazione del prodotto che consuma.
Per quanto riguarda il mercato interno, vorrei ricordare che la situazione italiana soffre, come molti altri paesi, di sovrapproduzione; la necessità di affrontare il mercato nazionale ed internazionale, inoltre, fa sì che ci si debba attrezzare per permettere che ciò avvenga.
Vorrei ricordare, al riguardo, che i dati forniti dall'ISMEA sul consumo del vino in Italia fanno emergere chiaramente una diminuzione della spesa, particolarmente concentrata nel settore dei vini da tavola. Le statistiche fornite dallo stesso istituto parlano, inoltre, di un calo della domanda nel lungo periodo (1990-2003) del 16 per cento e, nello stesso periodo, del 33,59 per cento nel settore dei vini da tavola, a fronte di un maggior consumo di vini a denominazione di origine controllata, in crescita di quasi l'80 per cento.
Per quanto concerne le esportazioni, invece, non vi è dubbio che, mentre in alcuni paesi industrializzati ed economicamente avanzati siamo leader per valore di prodotto esportato, grazie alla maggiore domanda di vini di qualità, in altri mercati in via di sviluppo troviamo ancora numerose difficoltà nell'affermare i nostri brand, a causa dei prodotti provenienti dai paesi competitor (in particolare, Cile, Argentina e California).
Evidentemente, c'è da fare una riflessione sulla particolare situazione del settore commerciale del vino, a partire dalla differenziazione della domanda dei tipi di prodotto. In questa ottica - ed è quella alla base della mozione che è stata presentata -, deve essere inquadrata anche la questione della pratica enologica dei trucioli. La preoccupazione principale è che tali pratiche non siano problematiche perché possono ledere una qualche idea di tradizione, ma che concretamente con esse si rischi una deriva omologante del gusto, che porti a considerare il vino una bevanda fra le altre, una sorta di fast drink disponibile, per caratteristiche e valore, in ogni parte del mondo.
Da questo punto di vista, il valore, anzi la grandezza dell'enologia italiana (e per molti versi europeo) consiste nella varietà e ricchezza delle possibilità di fruire e farePag. 108esperienza del gusto, in una vasta gamma di offerte. C'è un concetto che più di ogni altro esprime la nostra differenza, che è poi anche la nostra chance commercialmente riconosciuta: il concetto francese di terroir, concetto praticamente estraneo agli altri paesi extraeuropei, che esprime l'insieme e la connessione stretta di suolo, territorio, pratica e memoria addirittura di un particolare vigneto. Salvaguardare il patrimonio di tipicità significa anche avere un occhio di riguardo per il settore agricolo, soprattutto per quelle colture che intraprendono il discorso della qualità già in vigna.
In questo senso, salvaguardare la filiera della qualità è un modo per affrontare il drammatico problema del reddito agricolo. Da questo punto di vista, la Commissione si è espressa congiuntamente nella direzione che l'obiettivo deve restare quello di evitare che i vini europei si trovino in una situazione di svantaggio competitivo sui mercati internazionali, rispetto ai vini americani o australiani che, adottando tecniche volte ad abbattere i costi, si affidano alla tecnica dei trucioli.
Tuttavia, si ritiene prioritario salvaguardare ed incentivare le produzioni di qualità, che rappresentano un'opportunità fondamentale per il nostro paese. Si tratta di incentivare non l'omologazione, ma la differenziazione, la specificità piuttosto che l'uniformità. Da questo punto di vista, l'invito al Governo è quello di escludere l'adozione della pratica dei trucioli dai vini a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), da quelli a denominazione di origine controllata (DOC) e da quelli a indicazione geografica tipica (IGT).
Il parere è dunque negativo per quei vini che, attraverso gli strumenti dei disciplinari, mantengono forte il legame con l'ambiente e il territorio di provenienza. Pur non escludendo tale impiego per i vini da tavola, tuttavia, si ritiene inderogabile la chiara indicazione in etichetta del ricorso a tale pratica, in modo tale da permettere al consumatore di riconoscere il carattere non tradizionale della pratica e di evidenziare chiaramente la quota di mercato di riferimento. Il consumatore, che ha un ruolo fondamentale nel mercato del vino, deve sapere e deve essere messo in condizione, leggendo l'etichetta con l'obbligatorietà della menzione dell'eventuale uso dei trucioli, di distinguere il tipo di offerta e il tipo di lavorazione (botte grande o piccola) che il vino ha subito. Deve conoscere il rapporto qualità-prezzo, e via dicendo.
Per concludere, si ritiene che, qualora la pratica dei trucioli venga autorizzata, essa debba essere esclusa non solo per i vini DOC e DOCG, ma anche per i vini IGT - che nella nostra legislazione rappresentano il primo passo verso il riconoscimento della denominazione di origine controllata -, con l'obbligo della menzione in etichetta per i vini da tavola che la utilizzano. Infine, appare curioso chiamare in causa la moralità del legno o il fatto che le pratiche enologiche non interessino le piazze. Non si tratta di evocare alcun legno onesto, ovvero doghe, chips e trucioli, atti a cedere al vino solo le sostanze naturali contenute nel legno, ma si tratta di riferirsi all'onestà dell'uomo per l'uso che ne fa e soprattutto per la comunicazione che ne dà.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Buonfiglio, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un precedente intervento ha richiamato nelle conclusioni riferimenti religiosi ed evangelici. Quindi, non stupirà che il mio intervento, a nome del gruppo della Rosa nel Pugno, cominci con un «pane al pane e vino al vino», perché tutte e tre le mozioni attualmente in discussione hanno un qualcosa, una retrogusto, si potrebbe dire, di ipocrisia.
Pur essendo tra i firmatari della mozione Lion ed altri n. 1-00022, che condivido appieno, che è frutto del lavoro della XIII Commissione e che rappresenta pienamente il mio pensiero, rilevo un dato di fatto: le mozioni vorrebbero poter direPag. 109«no» all'utilizzo dei trucioli nella produzione di vino, ma non possono farlo perché decisioni dell'Unione europea (e nostre, all'interno degli organismi europei) hanno già detto, e dicono all'Italia, che questa pratica deve essere riassorbita tra quelle possibili per la produzione del vino. Allora, le mozioni hanno un valore politico, che deve essere ben misurato, attentamente vagliato.
Già in tanti altri settori riguardanti l'agricoltura abbiamo corso il rischio di percorrere - e, in molti casi, abbiamo percorso per intero -, la strada della demonizzazione del nuovo, dell'innovazione, delle conquiste tecnologiche più o meno auspicabili, ma che ci sono, perché il mercato e la globalizzazione ce le impongono (un riferimento puntuale e preciso è quello agli OGM). È troppo facile dire che occorre segnalare in etichetta cosa contiene il prodotto, l'alimento, se, prima, il prodotto, l'alimento, viene costantemente demonizzato, indicato come il demonio che arriva.
Per la pratica enologica dei trucioli si sta verificando una cosa simile: siamo tutti d'accordo a chiedere che la pratica venga limitata, regolamentata, precisamente indicata, ricordata in etichetta, ma dobbiamo fare attenzione a non demonizzarla, per molti motivi, essenzialmente per il lavoro che abbiamo svolto in XIII Commissione, e perché tutti, o quasi tutti, gli esponenti del mondo produttivo vinicolo italiano ci hanno detto che la pratica serve al mercato italiano del vino. Nel mercato italiano abbiamo grandi vini, grandi produzioni di qualità e di prestigio, con riconoscimenti di qualità, di marchi DOC, DOCG e IGT, ma abbiamo anche una produzione di vasta scala, non di nicchia, di largo consumo, di vini da tavola, di vini da cucina, addirittura di vini ormai commercializzati nei contenitori di carta. A questa produzione occorre dare una risposta, ed anche quella di consentirle di essere sul mercato e di essere competitiva rispetto ai concorrenti stranieri è una risposta che ci viene richiesta.
Altro discorso, che tutti condividiamo, è quello di trovare forme per valorizzare la grande storia e la grande cultura della produzione, per riuscire a vendere con il vino, come dicevano il collega Fiorio ed il presidente Realacci, anche il nostro territorio, la nostra cultura e la nostra storia, per far passare, insomma, con la produzione e con la vendita di un prodotto tipico, anche tutto un mondo, uno stile di vita ed una cultura italiani.
Questo è un problema ed una risorsa: occorre riuscire a sdoppiare le due facce del problema. Questo è un dato che l'agricoltura italiana vive costantemente: c'è un ragionamento sulle produzioni di nicchia, c'è un lavoro da fare sulle produzioni di nicchia, sulle produzioni di altissima qualità; c'è un'altra politica da fare per quanto riguarda le produzioni intensive ed estensive di larga scala. L'Italia è contemporaneamente le due cose: può essere il giardino, l'orto, la vigna d'Europa e del mondo per le produzioni di altissima qualità ma, al momento, è anche la riserva di una produzione di massa. Come dimostrano le analisi di mercato, noi stessi, le famiglie, i cittadini italiani non sempre e non solo acquistano prodotti di altissima qualità, non sempre e non solo possono permettersi di comprare il vino DOC al prezzo che la sua qualità impone. Allora, occorre che il Governo sappia.
Le mozioni, a dire la verità, qualcuna con qualche dose di ipocrisia in più, qualcuna - quella che ho firmato io - credo sostanzialmente in modo corretto, indicano al Governo una volontà di contemperare le due esigenze, di tenere conto che vi è un'esigenza del mercato di difesa delle proprie produzioni di buona qualità, senza essere di eccelsa o di altissima qualità, e l'esigenza, invece, dei grandi vini di qualità. Occorre sdoppiare le problematiche, per non fare, con un unico discorso, una confusione pericolosa.
Ricordo ai colleghi, soprattutto ad alcuni dell'opposizione, che sulla questione del vino «ai trucioli» erano partiti, in Commissione, con un «no» preventivo e, poi, udendo i soggetti invitati, hanno dovuto sostanzialmente scrivere le stesse parole, le stesse mozioni che abbiamo scritto tutti, anche noi della maggioranza. È lo stessoPag. 110mondo dei produttori che ci testimonia che questa pratica enologica è, peraltro, per molti aspetti, anche antica ed è stata tralasciata e non utilizzata in Italia anche per il gusto italiano: era un gusto che non prevedeva, fino a qualche lustro fa, l'utilizzo del barrique, ossia l'utilizzo di un gusto molto legato al legno. Occorre sapere che la pratica è stata riconosciuta come non nociva. Occorre dire che è una pratica non nociva, non dannosa; occorre, tuttavia, regolamentarla seriamente ed in modo puntuale. Un conto è parlare di frammenti di legno di quercia di grandi o di medie dimensioni, altro conto sono la polverizzazione, la segatura o, addirittura, gli estratti di legno per aromatizzare il vino.
Il problema che si apre, dunque, è vasto. Su ciò, la competenza, le professionalità e le capacità del Governo potranno, giustamente, essere messi all'opera. Queste mozioni indicano un problema, con qualche ipocrisia, ma con la volontà di difendere una produzione tipica, quella del vino, che si accompagna ad una produzione di larga scala che ci chiede di essere messa sul mercato almeno alle stesse condizioni di partenza dei grandi nuovi produttori che si affacciano sul mercato mondiale.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dei deputati Sperandio, Cosenza e Patarino, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.