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Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo (ore 15,38).
(Ripresa discussione)
PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.Pag. 42
È iscritta a parlare la deputata Carlucci. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di quattro minuti.
GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, questa mattina uno dei bollettini ufficiali dell'informazione della sinistra, Il Corriere della Sera, diretto da Paolo Mieli, dava notizia dello sciopero dei dipendenti del CNEL. È una notizia che desta preoccupazione, non tanto per il legittimo e sacrosanto diritto dei lavoratori del CNEL a scioperare, ma perché è evidente che lo sciopero è contro il presidente del CNEL, Antonio Marzano, la cui unica colpa è quella di essere stato al servizio del paese come ministro delle attività produttive nel Governo Berlusconi.
Non soffro di manie di persecuzione, però è molto strano che dopo 55 mesi, cioè quasi cinque anni, solo adesso gli azionisti di riferimento della sua maggioranza, e cioè CGIL, CISL e UIL, sentano la necessità di chiamare alla lotta i lavoratori: in questi cinque anni, quando a dirigere il CNEL era il capo della UIL, Larizza, dove erano i rappresentanti dei lavoratori? In quali fondamentali faccende erano occupati tanto da ignorare le rivendicazioni dei dipendenti del CNEL? Forse erano troppo impegnati a tentare di far cadere senza successo il Governo Berlusconi! È questo che lei intende per dialogo? Quale paese vuole rappresentare se non condanna immediatamente questi comportamenti?
La svolta della sinistra, e il suo modello culturale, inizia con le liste di proscrizione? E allora noi tutti dobbiamo iniziare a vergognarci del nostro passato?
A questo proposito, le segnalo - caso mai le fosse sfuggito - che lei, signor Presidente del Consiglio, è circondato da comunisti, estimatori di una ideologia aberrante che, come il nazismo, si porta sulle spalle la responsabilità di qualche milione di morti. Loro, sì, che devono vergognarsi di quello che hanno predicato, anche quelli che oggi hanno modi gentili e cortesi!
Presidente Prodi, lei dispone di una maggioranza che, per eterogeneità, è più simile al circo Barnum che al consesso di sensibilità diverse, come invece si tende a spacciarla. Ma vi è di peggio: lei è il capo di un Governo di comunisti e sindacalisti che allarga il fossato che voi avete creato nel paese, prima con la vergognosa campagna sul presunto declino dell'Italia e, poi, con il culto della disinformazione e della scientifica mistificazione che, ad esempio, riguarda anche il sud, nel quale sono stata eletta e che conosco molto bene.
Per il sud, lei consegna ad un sindacalista le chiavi della cassaforte. Il risultato sarà quello di sempre, dei comunisti e dei sindacalisti, ovvero assistenzialismo e clientela, con buona pace di progetti di rilancio e sviluppo. Penso alla Puglia che, in questi anni, ha messo in pratica, attraverso moltissime leggi finanziate dal Governo Berlusconi, proprio l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo in tanti settori dell'economia.
GIOVANNI CARBONELLA. D'accordo con i sindacati...!
GABRIELLA CARLUCCI. Per non parlare dell'IRAP e delle tasse sull'impresa. Per dirla alla romana, lei, Presidente Prodi, ha rifilato una bella «sola» alla Confindustria! Infatti, lei non solo aumenterà le tasse, ma non abolirà l'IRAP. Devo tuttavia riconoscere che lei è stato molto innovativo. Infatti, ancora prima che le aziende subiscano il danno dell'aumento delle tasse, ha già riservato loro una bella beffa, regalando il Ministero del lavoro alla FIOM. Non vorrei essere nei panni di Montezemolo, quando dovrà spiegare ai suoi quanto accaduto, quando dovrà spiegare che la legge Bassanini - volta a semplificare la burocrazia, ad accorpare i ministeri, a diminuire i costi alle imprese - è divenuta carta straccia.
Lei, Presidente Prodi, ha compiuto uno sciagurato e piccolo capolavoro che metterà nei guai le nostre imprese; infatti, ha scisso lo strumento di penetrazione sui mercati internazionali - il commercio Pag. 43estero - dal Ministero delle attività produttive per affidarlo alle politiche comunitarie. Un vero colpo di genio, degno del capo di un Governo di comunisti e sindacalisti.
Leggendo i giornali in questi giorni si scopre che ognuno dei suoi ministri fa a gara per abolire qualcosa, purché sia stata realizzata dal Governo Berlusconi (dalla legge Biagi alla legge Bossi-Fini, alla riforma Moratti, alla legge sulla droga, passando naturalmente per l'abolizione della festa della Repubblica). Mi domando: avete un'idea o siete solo capaci ad abolire? A meno che il vostro concetto di unità del paese non si fondi sul dogma della malvagità di Berlusconi, allora ciò spiegherebbe tutto, compresa la vostra insipienza!
Vorrei ricordare, Presidente Prodi, le sue scellerate affermazioni sull'Iraq. A tale proposito, invece di parlare di un rientro delle nostre truppe sulla base di un piano condiviso, lei parla - essendo a capo di un paese che partecipa all'opera di pacificazione - di truppe di occupazione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GABRIELLA CARLUCCI. Ciò senza rendersi conto di stimolare un tiro al piccione nei confronti dei nostri militari.
Concludo, ricordando quanto affermato da un giornale di sinistra in ordine a quanto da lei dichiarato sulle donne. Dal modo in cui è stato formato il Governo si possono desumere tre chiari messaggi: il fatto che le donne non contano nulla come opinione pubblica e come possibili centri di competenza; escluse da tutte le cariche istituzionali, alle donne sono stati assegnati sei ministeri, di cui quattro leggerissimi, senza portafoglio, fatti di avanzi e ritagli; ciò è quasi offensivo, quasi al punto che sarebbe preferibile che rifiutassero di essere prese in giro e di essere utilizzate per una presa in giro collettiva di milioni di elettrici. Non sono parole mie, ma di Chiara Saraceno, su La Stampa di venerdì.
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Carlucci, ma deve concludere. Se lo ritiene, la Presidenza la autorizza, secondo i consueti criteri, a consegnare la restante parte del suo intervento ai fini della pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna.
GABRIELLA CARLUCCI. Va bene, signor Presidente, consegnerò la restante parte del mio intervento.
Ciò premesso, si potrebbe dire: arrangiatevi! Tuttavia, poiché io e i miei colleghi amiamo questo paese, faremo la nostra opposizione senza quartiere, fino a quando non vi manderemo a casa (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Applausi polemici di deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Verdi - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Signor Presidente del Consiglio, ho apprezzato molto il suo discorso programmatico, perché indica in modo forte un progetto di cambiamento e di sviluppo della società italiana che appare alternativo a quello del centrodestra. Ciò in quanto pone al centro il valore delle persone, dei loro diritti e della coesione sociale, quali elementi fondanti della qualità civile e quali fattori di sviluppo della nostra società.
Signor Presidente, nel suo discorso programmatico c'è un'idea di futuro, un'idea di società moderna, attiva e «mobiliante» - lei ha usato anche questo termine - che trova la sua forza esattamente in quello che il berlusconismo non ha mai offerto, perché basato sull'individualismo ed il guadagno, che trova la sua forza in quel quadro di valori che offre alle persone le ragioni profonde per interessarsi le une delle altre.
Prendo a riferimento due temi che considero a questo riguardo di grande significato. Il primo è il fatto che lei ad inizio di legislatura indichi come obbligo quello di proporre interventi per affrontare la situazione insostenibile delle carceri. Tutto ciò è assolutamente di grande significato, perché pone termine ad un Pag. 44opprimente silenzio su questo tema di grande civiltà, anche quello della politica, che ha stentato a prendere voce sulle condizioni di vita nelle carceri del nostro paese, che sono ormai diventate, come è noto a tutti, delle vere e proprie discariche sociali.
Vi è poi una seconda questione che io considero di grande rilevanza; essa consiste nel fatto che, fra le linee portanti del suo disegno di rinnovamento della società, è posto al centro il sostegno all'assunzione della responsabilità delle persone nella definizione del loro progetto di vita e delle loro scelte esistenziali. Dopo anni di abbandono, finalmente si torna a riprogettare iniziative ed interventi in tal senso. Leggo esattamente in questo modo l'attenzione che nel discorso programmatico lei ha riservato ai giovani, alle nuove politiche migratorie, alle politiche dei servizi a sostegno delle persone più deboli, ma anche alla genitorialità, agli interventi per le persone non autosufficienti, agli impegni per accrescere la dotazione di mezzi, risorse ed opportunità per le donne di questo paese.
Certo, il tema della redistribuzione di risorse pubbliche secondo nuove priorità, nonché il nodo veramente dirimente delle risorse aggiuntive rispetto a quelle oggi disponibili è urgente e sicuramente di non facile soluzione. È questione che evoca a me, immediatamente, ciò che da questo Governo è considerata giustamente una questione prioritaria, il sostegno alle persone non autosufficienti, che richiede infatti soluzioni inedite e coraggiose. Proprio per questo, signor Presidente, io considero questa priorità indicata nella sua relazione un fatto di grande importanza, proprio perché ritengo che l'attenzione di questo programma fornisca delle risposte a quella che rischia di essere una crisi di sfiducia nel rapporto fra i cittadini e la politica, nella misura in cui cresce in essi la percezione che i sistemi di welfare non sono in grado di proteggerli a sufficienza.
Presidente, voglio sollevare ancora un'ultima questione nel tempo che mi resta a disposizione. La voglio sollevare in modo serio, e non con i riferimenti liquidatori dell'onorevole Carlucci. La voglio sollevare in modo serio perché ritengo che questo Governo, nella sua composizione, abbia perso un'occasione per dare un segnale politico forte, di innovazione vera e sostanziale, concretamente praticata, che qui ed ora nella politica italiana si poteva esprimere, innanzitutto e soprattutto, attraverso una modificazione della rappresentanza dei sessi nella partecipazione al potere politico.
Insieme alla soddisfazione per avere fra i ministri sei donne di esperienza indubbia, competenza ed autorevolezza politica, è diffuso tra le donne, assai più di quello che arriva sotto i riflettori dei media, un sentimento di delusione, ma ancor più di critica profonda. Dal Governo dell'Unione, è inutile negarlo, ci si aspettava di più, perché il numero di donne presenti fa in questo caso qualità e sostanziale innovazione della politica, ma anche perché, dopo i devastanti cinque anni del Governo Berlusconi contro le donne e le loro libertà, ci si aspettava un segnale, anche sul piano simbolico, di forte assunzione della soggettività femminile per segnare una modifica di passo, perché dare responsabilità alle donne vuol dire attuare veramente quelle scelte che prevedono che sviluppo economico, sviluppo sociale e diritti alla libertà e alla cittadinanza procedono alla pari per sostenere l'impianto complessivo di una società moderna e pienamente democratica.
Signor Presidente, i prossimi mesi e i prossimi anni richiedono riflessioni, iniziative politiche e legislative, ma soprattutto una profonda innovazione della cultura politica; questa è davvero la cosa più complicata, perché ha a che fare con la natura complessa del potere e con i rapporti asimmetrici che donne e uomini hanno con il potere stesso (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paroli, a cui ricordo che ha quattro minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
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ADRIANO PAROLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, non è passato poi così tanto da quando la sua maggioranza, in quest'aula, qualche anno fa, le tolse la fiducia. E chi, come me, era presente allora non può non chiedersi cosa sia cambiato. Infatti, rispetto al fatto che lei abbia vinto le elezioni, il sottoscritto, insieme a tanti altri, nutre molti dubbi. Non credo che lei e la sinistra abbiate vinto le elezioni. Avete raggiunto una maggioranza parlamentare risicata, contestata, ed è stata ottenuta con una scalata, utilizzando come gradini i problemi dei nostri cittadini, i problemi del nostro paese, in alcuni casi strutturali e, in gran parte, causati dalla sinistra, dai sindacati e da lei stesso.
Avete contribuito a creare, in un passato anche recente, questi problemi che avete poi strumentalizzato in questa scalata fatta di demagogia, enfatizzando e strumentalizzando la realtà, i temi in discussione, sfruttando tutto il pessimismo di cui la vostra coalizione è capace. L'avete fatto anche nel peggiore dei modi, spaventando i cittadini, parlando di emergenza economica. Ma vede, Presidente, l'emergenza economica il nostro paese, i nostri cittadini l'hanno affrontata più volte e sempre con coraggio e capacità, dal dopoguerra in poi. Quella a cui i nostri cittadini non sono preparati è un'emergenza nei contenuti, un'emergenza nei valori. In sintesi, gli italiani non sono in grado di costruire, di lavorare, in assenza di valori. Non possono costruire senza sapere perché; quegli stessi valori, quegli stessi temi che lei, la sua coalizione, all'interno del programma avete posto nella confusione o fatto scomparire.
Parlate di lavoro, di riforma del lavoro, contraddicendovi in continuazione. Non possiamo non ricordare che anche la sua maggioranza cercò di fare la riforma del mondo del lavoro; ma quando uccisero D'Antona la sua maggioranza - con grande coraggio! - si arrese alle Brigate rosse e si fermò, fermò tutta la sua capacità riformatrice. La stessa cosa non è accaduta alla nostra maggioranza che, di fronte alla vile uccisione di Biagi, ha continuato con coraggio un'opera riformatrice, varando la legge Biagi, perfettibile certamente, ma che ha dato un grande contributo all'occupazione nel nostro paese. Ma così è su tanti altri temi.
Sulla famiglia c'è una confusione totale. Avete creato addirittura un ministero senza avere ancora deciso che cosa sia per la vostra coalizione la famiglia. Di fronte alla scuola, alcuni di voi parlano giustamente di libertà di educazione, altri contraddicono tale concetto, vedono le scuole non statali come un intruso nel sistema educativo italiano. Questo vale anche per la sussidiarietà e per tanti altri temi cari, non ai cattolici o al nostro schieramento, ma al paese, che voi negate!
Questo è, purtroppo, ciò cui ci troviamo di fronte. Per non parlare della politica estera. Ma il capolavoro della contraddizione, certamente, l'avete realizzato con l'elezione del Presidente della Repubblica. Ho continuato per sette anni a sentir dire: il metodo Ciampi ha dato i suoi frutti; dobbiamo riadottare il metodo Ciampi. In più, il Presidente del Consiglio in campagna elettorale...
PRESIDENTE. Onorevole Paroli...
ADRIANO PAROLI. ... ha continuamente ricordato un paese diviso, spaccato, dicendo: voi avete diviso il paese, io lo riunirò!
Allora, cosa è accaduto? Perché questo diktat, il nome di D'Alema, proposto dai DS, e poi l'altro nome trovato dalla coalizione, quello di Napolitano, dicendo: prendere o lasciare? Perché? Ebbene anche la realtà, in questo senso, ci viene in aiuto, perché quando la partita si fa difficile...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ADRIANO PAROLI. Sto per concludere, Presidente. Quando la partita si fa difficile - lo abbiamo visto, purtroppo, nelle tristi cronache calcistiche - si sceglie l'arbitro. Questo avete fatto.
Credo che il suo Governo riassuma tutti i limiti della sinistra italiana: capaci di Pag. 46governare, ma incapaci di governare bene. Da questo punto di vista, credo che la stragrande maggioranza del paese, dopo i vostri primi passi, si auguri che duriate il meno possibile. Ma credo che questo, probabilmente, se lo auguri anche qualcuno tra voi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burgio, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signori membri del Governo, onorevoli colleghi, rappresentare implica comprendere la volontà dei rappresentati. Nel caso degli elettori dell'Unione, non è certo azzardato supporre una forte volontà di cambiamento. I nostri elettori chiedono un'inversione di tendenza rispetto ai cinque anni che ci lasciamo alle spalle. Questo è vero per tutti i terreni su cui si eserciterà l'azione del nuovo Governo, ma vale in particolare per alcune grandi questioni: il lavoro e la giustizia sociale; la politica giudiziaria e la salvaguardia delle istituzioni repubblicane; la pace.
Parlare del lavoro e dei suoi diritti significa in primo luogo parlare di precarietà. Di recente, proprio l'onorevole Damiano ha scritto che nelle aree forti del paese la quota di lavoro precario nelle nuove assunzioni, che riguardano in gran parte i nostri giovani, è pari al 70 per cento e che si registra una tendenza alla crescita della precarietà. Questo accade nelle aree più sviluppate. Se ci riferissimo alle regioni più deboli, a cominciare dal Mezzogiorno, le stime sarebbero molto più pesanti. Tale stato di cose non è frutto di un destino avverso. È il risultato di scelte che hanno sistematicamente scaricato sul lavoro le carenze e i ritardi del nostro apparato produttivo.
Da questa situazione occorre uscire rapidamente, tutelando i diritti del lavoro e generalizzando il rapporto a tempo indeterminato. Si smetta di considerare il lavoro come un problema e non come la risorsa fondamentale del paese, e si cessi con una retorica della buona flessibilità, che troppo spesso cela un'inconfessata propensione a perseverare nella precarizzazione del lavoro dipendente.
Dire giustizia sociale significa denunciare la redistribuzione selvaggia della ricchezza, attuata in questi anni a vantaggio dei grandi patrimoni e delle rendite. Non mi attarderò a citare dati ufficiali. Ne ricordo uno soltanto, particolarmente significativo: nel 2005, l'indebitamento delle famiglie italiane - una manna per gli usurai, oltre che per le banche e le finanziarie! - ha raggiunto cifre record, pari al 30 per cento del PIL, contro il 18 per cento del 1996. È una situazione insostenibile, che deve essere rapidamente superata. Per questo sono urgenti la restituzione del fiscal drag, l'attribuzione ai salari di una quota rilevante della riduzione del cuneo fiscale, l'istituzione di un meccanismo che attui un'efficace difesa del potere acquisto delle retribuzioni e la fine dello scandalo di un'evasione fiscale corrispondente ad oltre 200 miliardi di euro l'anno (e, stando alle ultime rilevazioni della Guardia di finanza, in vertiginoso aumento).
Signor Presidente del Consiglio, non si tratta solo di un'esigenza di equità. Si tratta anche dello sviluppo del nostro paese, poiché non è possibile un rilancio dell'economia se tanti lavoratori e pensionati faticano ad arrivare ai mille euro al mese. Si tratta altresì di saggezza politica. Il disagio può indurre a scelte gravi, come insegna drammaticamente la storia del Novecento. Non mancano campanelli d'allarme in questo senso. In Inghilterra, lo scorso 4 maggio, interi quartieri operai di Londra, colpiti dalla disoccupazione e da una politica di privatizzazioni e di tagli alla spesa sociale, hanno votato per il British National Party, diretto erede di una formazione neonazista. Anche nel nostro paese il fenomeno di operai e pensionati che votano a destra tende ad espandersi in misura inquietante.
Vi è poi la questione della politica giudiziaria ed istituzionale. In questi cinque anni, il paese ha assistito alla sistematica aggressione della magistratura da Pag. 47parte della precedente maggioranza, culminata nel varo di leggi che hanno sancito impunità, bagatellizzazione di gravi reati societari ed impedimenti al regolare svolgimento dei processi, e di leggi che mirano al controllo politico della magistratura, che rischiano di mettere in forse la stessa funzione di garanzia della Corte costituzionale e che hanno procurato gravissimi guasti anche al tessuto morale e civile del paese, elevando a modello comportamenti antisociali improntati all'indifferenza nei confronti del bene pubblico.
Tutto questo mentre si sono promulgate norme intolleranti delle libertà civili e leggi repressive nei confronti di chi vive, suo malgrado, ai margini della società, a cominciare dai tossicodipendenti e dai migranti in cerca di occupazione. Ne fa fede la situazione delle nostre carceri che ella, signor Presidente del Consiglio, ha definito, a ragione, insostenibile. Una situazione per la quale si impongono immediati provvedimenti di clemenza che almeno riportino il totale dei detenuti ad una quantità corrispondente alla capacità ricettiva degli istituti, oggi superata di oltre 20 mila unità. Anche da questa grave condizione del sistema giudiziario occorre uscire rapidamente, adottando misure che attuino in tempi brevi l'obiettivo costituzionale della ragionevole durata dei processi, nel rigoroso rispetto del principio di eguaglianza di tutti i cittadini.
Il catalogo delle questioni impellenti sarebbe ancora lungo e imporrebbe di parlare di quella bomba ad orologeria che è la riscrittura della seconda parte della Costituzione attuata dal centrodestra. Concordo con quanti considerano il voto del referendum di giugno come il più importante di tutti, e penso sia imprudente dare per certa la prevalenza dei no. Occorre una grande mobilitazione per scongiurare il rischio di una conferma di questa pessima riforma, che spaccherebbe il paese e che farebbe del Capo del Governo il dominus incontrastato dell'intero sistema politico.
Bisognerebbe parlare anche dell'emergenza abitativa, dei problemi irrisolti del Mezzogiorno, della violenza posta in essere nei CPT, della scuola e dell'università, sulla quale si allungano minacciose ombre di disegni di privatizzazione. Mi limiterò, in chiusura, ad un altro solo tema, forse il più importante ed urgente di tutti. Faccio riferimento alla situazione in Iraq e in Afghanistan, la quale è sempre più grave.
Ogni giorno l'elenco delle vittime civili e militari di ogni parte si allunga drammaticamente. I nostri cittadini ci chiedono di porre fine, per quanto è in nostro potere, a questa situazione non più tollerabile. È necessario ritirare immediatamente le nostre truppe dall'Iraq secondo quando stabilito nel programma dell'Unione. Non parlerò della menzogna delle armi di distruzione di massa, né di Abu Ghraib e della vergogna delle torture, né di Falluja e del fosforo bianco, né del dilagare del terrorismo che la guerra avrebbe dovuto fermare; mi limito ad osservare che in Iraq è stato finalmente insediato un Governo. E, se davvero crediamo che si tratti di un governo legittimo e sovrano, dobbiamo allora riconoscere che la presenza di eserciti stranieri non è più giustificabile, ammesso che prima lo fosse, e non ha più alcuna ragion d'essere.
Anche in Afghanistan, il fallimento della strategia della NATO e degli Stati Uniti è sotto i nostri occhi. È in atto un'incalzante escalation della violenza bellica. Per contrastare le milizie talebane, i comandi militari chiedono ulteriori dispiegamenti di forze. Si tratta di una guerra in piena regola, come ha onestamente riconosciuto nei giorni scorsi anche l'ambasciatore Sergio Romano, certo non tacciabile di debolezze pacifiste.
Come ella sa, signor Presidente del Consiglio, qualche giorno fa è stato diffuso un appello che chiede il ritiro immediato dei militari italiani da tutti i teatri di guerra, nel rispetto della nostra Costituzione. A questo appello, promosso da autorevoli personalità del mondo cattolico e del volontariato, hanno subito aderito decine di associazioni, migliaia di nostri concittadini e molti parlamentari della Repubblica. A lei e al Governo da lei presieduto rivolgiamo la preghiera di ascoltare questa vibrante domanda di Pag. 48pace, che dà voce ad un sentimento vivo nella grande maggioranza del nostro popolo; così come le chiediamo di adoperarsi affinché l'Italia e l'Unione europea favoriscano una giusta risoluzione del conflitto israelo-palestinese, perché sia finalmente fermata la strage degli innocenti e perché, nel rispetto della sicurezza di Israele e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, si realizzi in tempi brevi la nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano entro i confini precedenti la guerra del 1967.
In conclusione, signor Presidente, il mondo è stanco di guerre e di violenze. L'Italia, che oggi occupa un assai poco onorevole settimo posto nella graduatoria mondiale delle spese militari, deve tornare ad essere una forza di pace e di giustizia. Questo è l'auspicio con cui oggi le auguriamo buon lavoro, consci delle grandi responsabilità che l'attendono, ma anche fiduciosi nella sua buona volontà (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Landolfi, al quale ricordo che ha a disposizione dieci minuti. Ne ha facoltà.
MARIO LANDOLFI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, sarebbe sin troppo facile evidenziare le macroscopiche contraddizioni del suo Governo; sarebbe addirittura un gioco da ragazzi fare una raccolta delle prime uscite pubbliche dei suoi ministri, dei suoi viceministri, dei suoi sottosegretari, per poi esibirle e sventolare, come prova e dimostrazione che il suo esecutivo non marcia con il passo di un esercito bene ordinato, ma con l'andamento caracollante e scanzonato tipico di una armata Brancaleone.
Dalla famiglia al fisco, dalle grandi opere all'energia, dalla politica internazionale alla legge Biagi - la può chiamare anche così qualche volta, Presidente, se non altro in omaggio alla comune matrice bolognese -, è tutto un sovrapporsi di posizioni contraddittorie. Siamo ad una sorta di Kamasutra programmatico, Presidente. Sarebbe facile e farebbe ridere, ma, poiché parliamo del Governo del paese, abbiamo il dovere di essere seri.
Veda, Presidente, non voglio indugiare sulla dimensione pletorica del suo Governo; se fossi stato direttore di un giornale, avrei titolato ricordando La carica dei 101, ma sono un dirigente di partito e non mi è estranea la dinamica che i partiti imprimono nel momento in cui si deve formare un Governo di coalizione.
Non sono dunque le smisurate dimensioni del suo Governo a preoccuparmi, quanto il fatto che esse sono inversamente proporzionali alle sue ambizioni. Il problema, tanto per capirci, è che questo suo Governo è frutto esclusivo di scelte partitocratiche: altro che Unione! Se non aveste aggiunto altri posti a sedere, il vostro Governo non sarebbe neanche nato! Però nasce male e, per quello che riguarda le sue responsabilità, nasce all'insegna del «vorrei ma non posso»: lei avrebbe voluto una squadra più snella, ma i partiti glielo hanno impedito; lei avrebbe voluto una donna vicepremier, ma quelle che ha nominato sono tutte senza portafoglio; lei avrebbe voluto portare la serietà al Governo, e si trova a gestire la confusione al potere; lei avrebbe voluto il «grande Ulivo» e si trova con due vicepremier, uno vicario e l'altro, evidentemente, sicario.
E pensare che, per evitare questa penosa condizione di subalternità ai partiti, lei ha voluto le primarie! Tutti noi ricordiamo la retorica dei 4 milioni di voti che l'avevano incoronata leader incontrastato della coalizione, 4 milioni di persone che sono andate a votare per lei; ebbene, il risultato è sotto gli occhi di tutti: il suo Governo non reca neppure l'ombra di una leadership riconosciuta come tale dai suoi stessi alleati. Il duello a distanza di queste ore tra Fassino e Rutelli ne è la prova. Delle due l'una, Presidente: o lei mentiva allora, sapendo di mentire, o lei è costretto a disattendere oggi quel che si era impegnato a fare ieri. In entrambi i casi, lei non ne esce bene.
Non sottovaluti con eccessivo cinismo questo dato, perché non erano pochi quanti avevano affidato in buona fede a Pag. 49quell'esperimento un valore legato alla sua persona, coltivando l'illusione di un «prodismo», come un riformismo fatto a piccoli passi e senza strappi.
L'impianto selvaggiamente partitocratico del suo Governo ha disintegrato questa piccola, ma non irrilevante aspettativa di parte del suo elettorato, e oggi non vi resta che fondare il vostro equilibrio sulla gestione del potere. Ma non ci facciamo illusioni: sappiamo che siete consapevoli della vostra esiguità numerica al Senato e della vostra fragilità programmatica, e questo vi costringerà a concedere poco o nulla alle ragioni dell'opposizione. Del resto, si è visto chiaramente dal suo intervento al Senato, nel quale mi sono sforzato di trovare una sola idea nuova, una scintilla, una eresia feconda. Siamo stati invece costretti ad ascoltare una stanca e stantia elencazione di problemi; sembrava di assistere ad una noiosa appendice di campagna elettorale.
Sono alla mia quarta legislatura, Presidente, e non ho mai visto né sentito prima d'ora un Presidente del Consiglio passare tutto il suo tempo non a dire quello che vuole fare, ma a tentare di demolire ciò che chi lo ha preceduto ha fatto (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
Non è questo ciò che gli italiani si aspettano da lei; da lei non si aspettano la demagogica giaculatoria declinista, ma parole chiare, cioè parole in grado di mobilitare energie e risorse rispetto ai nodi che il Governo è chiamato a sciogliere.
Ora è lei che deve dire che cosa vuole fare rispetto a queste grandi questioni. Gli italiani vogliono sapere, ad esempio, che cosa farete sull'energia, se incentiverete le ricerche sul nucleare pulito, se realizzerete i rigassificatori, se farete partire i lavori per le centrali bloccate, come richiede l'interesse nazionale, o se continuerete a trastullarvi con la storia delle fonti alternative.
Chi prevarrà nel suo Governo, Presidente: Bersani o Pecoraro Scanio? I cittadini vogliono sapere cosa farà della TAV: se vi inchinerete alle proteste o se la realizzerete. Vorremmo sapere che cosa volete fare riguardo al fisco. Lei ha parlato di un fisco amico della famiglia. Bene, noi siamo d'accordo, perché vogliamo il quoziente familiare. Però, noi abbiamo un'idea di famiglia, che è quella fondata sul diritto naturale e quella riconosciuta dalla Costituzione. La sua qual è? Quella basata sui Pacs e sulle unioni tra omosessuali? Chi prevarrà nel suo Governo: Bonino o Mastella?
E ancora, per venire alle questioni delle quali mi sono occupato direttamente nel periodo in cui ho avuto l'onore di far parte del Governo Berlusconi, che cosa farete della RAI? Che cosa ne sarà del servizio pubblico, Presidente? Abrogherete la legge Gasparri e, con essa, la prospettiva del digitale terrestre, che non è un'ossessione italiana figlia del conflitto di interessi, ma è un grande ed ambizioso progetto europeo?
Veda, Presidente Prodi: nella striminzita parte che lei ha riservato a tale tema, non ha neppure sfiorato il cuore del problema! Lei crede che tutto si risolva con la cura dimagrante di RAI e Mediaset, perché siete ossessionati dell'interesse al conflitto, che è l'altra faccia del conflitto di interessi. Non vi rendete conto che l'avvento del digitale e la convergenza multimediale tra TV, telefono e computer ha completamente modificato il panorama dell'informazione e delle telecomunicazioni.
Proprio in questo campo, quello dell'informazione come presidio industriale, comprensivo delle oltre 600 emittenti locali, nel campo delle telecomunicazioni, nel campo delle nuove tecnologie, da ministro, ho avuto modo di vedere - e non solo di vedere - un paese che muoveva grandi passi in avanti. Cito solo un dato: nel 2001 trovammo 300 mila abbonati alla banda larga; alla fine del 2005 erano diventati 7 milioni! Certo, merito delle nostre imprese, della loro vitalità, della loro effervescenza; ma merito anche del nostro Governo, che ha saputo accompagnare uno sviluppo tumultuoso, grazie al Pag. 50quale l'Italia è cresciuta in misura esponenziale rispetto a tutti gli altri partner europei.
È grazie a questa visione che abbiamo gettato le basi per ridurre il digital divide, espressione che non sta ad indicare soltanto il divario tecnologico, quanto l'assenza di pari condizioni di partenza tra cittadini. Noi abbiamo operato affinchè a tutti fosse consentito di accedere alle grandi opportunità offerte dalla rete, perché siamo consapevoli che è proprio sulla frontiera dell'innovazione tecnologica che passano, oggi, le nuove povertà, i nuovi disagi, le nuove disuguaglianze, che passano le sfide per la competitività del sistema paese.
Noi abbiamo messo in campo una nostra idea dell'Italia, che è molto diversa da quella che voi ci accreditate: un'Italia consapevole dei propri limiti, ma anche delle proprie enormi potenzialità, e perciò dinamica e desiderosa di crescere.
Ora è lei, Presidente, che deve mettere in campo una sua idea dell'Italia. Vede, come è stato scritto, la differenza tra il 1996 ed il 2006 è proprio qui: dieci anni fa, lei riuscì, non senza difficoltà e non senza sacrifici per gli italiani, a centrare l'obiettivo dell'euro. Non tutto fu fatto, e non tutto quel che fu fatto fu fatto bene, tanto è vero che ne paghiamo ancora le conseguenze; però, quella era la sua missione, tanto è vero che, poi, fu licenziato dalla sua stessa maggioranza. Oggi, nessuno sa quale sia il suo obiettivo, la sua missione. Fare le cose insieme? Può essere una buona idea per scrivere un libro a quattro mani, ma non è mai stato, non è e non sarà mai un convincente programma di Governo!
In poche parole, Presidente, lei ha deluso un po' tutti, tranne i duri e puri fautori del «poco, maledetto e subito». Quando si va al Governo come c'è andato lei, cioè più per fortuna che per valore, e quando l'opposizione è, in realtà, l'altra maggioranza, e rappresenta metà degli elettori, non si fa della fragilità una forza e non si punta tutto su un clima da campagna elettorale permanente: il gioco d'azzardo va bene nei casinò, ma non può assurgere a pratica di governo!
Lei ha deluso: non ha esibito il radicalismo ideologico di uno Zapatero, ma neppure il coraggio riformatore di un Blair. Edmondo Berselli, commentatore a lei molto vicino, ha scritto che, tra i due modelli socialisti alla guida del Governo in Spagna ed in Gran Bretagna, lei non ha tracciato una terza via, ma sta cercando una mezza via. A me, più modestamente, Presidente, sembra che lei si stia cacciando in un vicolo cieco, in una sorta di «tirare a campare» in attesa di tempi migliori. Lei ha scelto di galleggiare, nella speranza che, presto, il vento della ripresa economica le gonfi le vele.
PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Landolfi.
MARIO LANDOLFI. Auguri, Presidente! Si accomodi pure, ma ricordi Seneca, il quale diceva che non esiste vento a favore per chi non sa dove andare! Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia, della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente del Consiglio, essendo stato eletto in Sardegna, sarebbe mio dovere che mi soffermassi alquanto a chiedere al suo Governo l'impegno ad attuare la solenne intesa istituzionale di programma tra Stato e regione sarda sottoscritta dai precedenti Governi di centrosinistra, ma rimasta incredibilmente inattuata nel corso dei successivi Governi di centrodestra. Comunque, in questa occasione preferisco soffermarmi più diffusamente sui contenuti delle sue dichiarazioni programmatiche, di cui abbiamo apprezzato molti punti: le negative valutazioni sulla guerra in Iraq e sulla partecipazione italiana, con Pag. 51l'assicurazione di un pronto ritiro delle nostre truppe; l'impegno per un lavoro più stabile; il rilancio della competitività e lo sviluppo del Mezzogiorno; la solidarietà nei confronti delle persone e delle famiglie; l'attenzione per le nuove generazioni e per un'effettiva parità di genere, che occorrerà rendere effettiva oltre le declamazioni.
Particolare favore tributiamo all'impronta etica e legalitaria che ha pervaso le sue dichiarazioni, perché coerente con la ragione sociale di Italia dei Valori. Scandali e conflitti di interesse hanno alimentato la nefasta convinzione che la politica possa essere concepita come uno strumento per ottenere privilegi ed arricchimenti. Lei lo ha denunciato con nettezza, perciò occorre da subito, con atti visibili e concludenti, ripristinare l'idea che la politica, invece, è un servizio per i cittadini, che le regole vanno sempre applicate, che il danaro pubblico va trattato con sacrosanto rispetto e che le difficili condizioni del paese impongono a tutti, compresi i partiti, un bagno di austerità, a cominciare dall'eliminazione degli sprechi e dalla drastica riduzione dei costi della politica, enormemente lievitati, nelle amministrazioni centrali non meno che in quelle territoriali e negli enti economici.
Mi sento dunque di chiederle, signor Presidente, che la scossa etica da lei annunciata si traduca anche nel disporre e coordinare da subito un efficace lavoro di ricognizione di ogni spesa pubblica inutile, eccessiva o addirittura scandalosa, riferendo al Parlamento e ponendo in essere tutti gli interventi, amministrativi o di proposizione legislativa, idonei ad ottenere quel risultato senza guardare in faccia nessuno: questo mi sembra uno degli impegni da primi cento giorni. Noi la sosterremo, signor Presidente, pronti ad assumere un'iniziativa o a collaborare ad altre analoghe, ma vigileremo affinché ciò accada.
Apprezziamo anche l'intento che sia restituita serenità alla magistratura ordinaria. È urgente ricomporre i corretti rapporti costituzionali tra poteri dello Stato e ripristinare la fiducia dei cittadini nella giustizia, dopo gli interventi degli ultimi anni pesantemente delegittimanti nei confronti della magistratura, con continue offese e con la sprezzante modifica dell'ordinamento giudiziario, ispirata dalla volontà di punire i giudici e da una concezione burocratica della funzione giudiziaria, in contrasto con l'articolo 101 della Costituzione, che vuole i giudici soggetti soltanto alla legge; così come bisogna rivedere quelle leggi che non sembrano essersi ispirate al principio di generalità (ed usiamo un eufemismo). Noi non vogliamo travolgere indiscriminatamente gli atti della precedente maggioranza; noi siamo responsabili, ma non si può pretendere da noi che conserviamo tutto quanto di sbagliato o di sconvolgente è stato fatto solo per non apparire punitivi.
Non si vuole il giustizialismo, cioè il primato dei giudici sulla politica, ma allo stesso modo respingiamo l'idea del primato della politica nel senso che chi vince le elezioni «sbanca tutto», si fa le regole a proprio piacimento e si permette anche di dire agli altri poteri dello Stato, compresi i giudici, che cosa debbono fare e, soprattutto, non fare. Vogliamo solo il rispetto dei ruoli che la Costituzione assegna a ciascun potere dello Stato, e questo è il momento dei segnali netti; il tempo della mediazione verrà dopo. Ci vuole tempo per verificare che cosa può salvarsi del nuovo ordinamento giudiziario e che cosa va eliminato perché incide sui valori costituzionali dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura.
Ciò impone che, se necessario, con decretazione d'urgenza si sospenda l'imminente entrata in vigore dei primi decreti delegati, mentre è opportuno senz'altro abrogare la disposizione dell'ordinamento giudiziario - questa già, chissà perché, vigente - che preclude ai magistrati ultrasessantaseienni la possibilità di concorrere alle cariche direttive, che sta producendo somme ingiustizie e il dannoso esodo di tanti magistrati con grande esperienza.
Si devono, poi, da subito rivedere leggi sbagliate, quali la legge n. 46 del 2006, sulla inappellabilità delle sentenze assolutorie Pag. 52di primo grado, o la legge n. 251 del 2005 (meglio nota come «legge Cirielli»), che produce l'effetto di riempire le galere...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
FEDERICO PALOMBA. ... con i soliti disgraziati - mi avvio alla conclusione, signor Presidente -, attraverso il micidiale effetto più pesantemente moltiplicatore della pena per i recidivi. Tale atto di giustizia va compiuto subito, prima ancora di pensare ad un provvedimento di generalizzata clemenza.
Concludo affermando che apprezziamo il suo impegno, Presidente del Consiglio, per l'adozione di urgenti interventi normativi, strutturali e finanziari atti a rendere la giustizia più celere, poiché ciò serve soprattutto ai deboli: dimezzare la pendenza delle cause in cinque anni sarebbe un risultato strepitoso. Prendiamo positivamente atto del suo impegno, ed aspettiamo i primi segni già alla prova del prossimo disegno di legge finanziaria: il punto di aumento del budget per la giustizia.
Noi siamo pronti, Presidente Prodi, a collaborare lealmente, con determinazione, ma anche con costante vigilanza (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carta, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
GIORGIO CARTA. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, colleghi, il compito che si appresta ad affrontare questo Governo non è né semplice, né facile. Il clima politico è rovente e manca una coesione nazionale di fondo: il che rende più difficile il cammino della ripresa del paese.
Il PSDI, riorganizzandosi autonomamente e collocandosi, all'interno del sistema bipolare, nella sua tradizionale posizione di partito della sinistra moderata, all'interno del centrosinistra, ha chiesto di contribuire alla formazione di un programma e di un progetto alternativi al centrodestra precedentemente alla guida del paese. I vertici dell'Unione hanno avuto, a tale proposito, atteggiamenti per certi versi sconcertanti: da un lato, vi sono state disponibilità ampie; dall'altro, sono state manifestate riserve per la nostra partecipazione alle riunioni della coalizione, per presunti veti attribuiti a diverse forze politiche.
Le pubbliche dichiarazioni fatte, al nostro congresso straordinario, dagli onorevoli Prodi e Fassino, in cui si affermava che il PSDI faceva parte, a tutto tondo, dell'Unione ci hanno indotto a firmare il programma, nel quale ci siamo riconosciuti, pur non avendo contribuito ad elaborarlo (e non per nostra volontà). Abbiamo, quindi, partecipato alla competizione elettorale nella coalizione di centrosinistra, e sono stato fortunosamente eletto nelle liste dell'Ulivo.
Ipotizzavamo che, dopo le elezioni, fosse finito lo stato di isolamento politico. Invece no: alla nostra richiesta di chiarimenti circa i rapporti del PSDI con l'Ulivo, le altre forze dell'Unione ed il Governo - precisando che non intendevamo restare in chiesa a dispetto dei santi -, è seguito un assordante silenzio, tranne un'interlocuzione con il leader dei DS, onorevole Fassino.
Comprendiamo, onorevole Presidente del Consiglio, che, per rispettare l'impegno programmatico del contenimento della spesa pubblica, lei abbia voluto escluderci, assieme all'MRE, dalla ristrettissima compagine ministeriale che ha varato. Tuttavia, poiché siamo adusi a non confondere gli effetti con le cause, ci permettiamo, su questo punto, di svolgere qualche ulteriore considerazione.
Abbiamo sempre pensato che il progetto per un Governo di alternanza e quello del riordino del sistema politico italiano fossero questioni distinte, seppure non indifferenti, e ciò lo pensavano anche numerosi autorevoli esponenti delle forze maggiori dell'Ulivo. Le primarie hanno fatto mutare atteggiamento ed hanno innescato un'accelerazione ad un processo di Pag. 53aggregazione, facendo prefigurare imminente la creazione del partito democratico. Il cosiddetto motore riformista all'interno della coalizione si porrebbe al centro di un processo che riguarderebbe l'asse portante del Governo ed il nucleo fondante del futuro partito democratico, di modo che le azioni dell'uno sarebbero il presupposto necessario per il raggiungimento dell'altro.
Lo slogan più gettonato dell'Ulivo è stato, ed è, di voler essere progetto plurale a tutela di tutte le storie e culture. I fatti dimostrano l'esatto contrario: si prefigura un processo politico che si incardina in una specie di rinnovato compromesso storico, in chiave riformista, che unisce le forme di aggregazione per decreto. Ecco perché l'esclusione dall'esecutivo delle componenti socialdemocratica e laica risulta essere un fatto politicamente rilevante, al di là dell'apporto numerico che queste potevano offrire.
Detto questo, noi non agiremo sotto l'impulso del sentimento e, peggio ancora, del risentimento, anche se quello che più ci ferisce è il non rispetto del rapporto che dovrebbe contraddistinguere le diverse forze politiche, anche se di dimensioni notevolmente differenti.
Abbiamo sottoscritto il programma dell'Unione e, conseguentemente, sosterremo il programma di Governo. Siamo stati messi ai margini della maggioranza, ma coerentemente con i nostri principi di eticità rispetteremo il mandato elettorale senza ambiguità, dando il nostro apporto costruttivo con ampia libertà di critica nell'interesse del paese.
Signor Presidente del Consiglio, ho usato in questo mio breve intervento il plurale maiestatis non per civetteria, ma perché, anche se unica voce in questo Parlamento, rappresento quei 100 mila - anche se pochi sono sempre più di 24 mila - elettori socialdemocratici che hanno votato il centrosinistra e quelli che lo voteranno domenica alle amministrative. Essi mi vincolano ad onorare gli impegni presi con la coalizione, ma anche a far sì che il PSDI non sia in questo Parlamento politicamente afono.
PRESIDENTE. Deputato Carta, si avvii a concludere.
GIORGIO CARTA. Non ho voluto in questa occasione, signor Presidente, soffermarmi sui contenuti del programma, aderendo ad esso con un ulteriore atto di fede, anche perché ci sarà tempo - almeno lo spero - per intervenire sui singoli atti che questo Parlamento sarà chiamato ad esaminare. Grazie e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, la vicenda politica che ha portato alla presentazione del suo Governo presenta molti problemi, alcuni assai seri, altri che invece rasentano il grottesco e il ridicolo. Vi è stata una lottizzazione delle massime cariche dello Stato, che, secondo l'interpretazione della maggioranza, non potevano non essere assegnate ai tre maggiori partiti della coalizione. Per quello che riguarda la Presidenza della Repubblica è avvenuto qualcosa di più e di pregio: da parte dei DS è stata affermata una pregiudiziale che, essa sì, implicava una discriminazione, come poi si è visto nella pratica. Secondo questa impostazione la scelta non poteva non cadere su un esponente politico che avesse in tasca la tessera dei DS: affermazione fatta dall'onorevole Violante per bocciare, senza alcuna esitazione e anche senza alcuna eleganza, la candidatura dell'onorevole Amato. Ma ciò non bastava: questo personaggio politico doveva esprimere la continuità con il PCI, secondo una dichiarazione di notevole importanza dell'onorevole Fassino. Si è sottolineato, in modo esplicito, che paradossalmente ormai il percorso politico-culturale dei DS procede a ritroso e che, anzi, la continuità con la tradizione comunista è un valore e la discontinuità un disvalore.
Questa rivincita esplicita del «continuismo» si è emblematicamente espressa nella preclusione alla massima carica dello Pag. 54Stato nei confronti del vicepresidente del partito socialista europeo, che avrebbe dovuto rappresentare, al contrario, l'emblematico punto di approdo di tutta una evoluzione politica, se essa vi fosse stata.
Detto questo, veniamo a cose meno serie e cioè alla composizione del suo Governo. Signor Presidente del Consiglio dei ministri, le voglio ricordare che il maggior partito che compone il suo esecutivo - i DS - nel corso della sua storia precedente, quella del PCI, ha sempre gridato alla lottizzazione sulla base del manuale Cencelli quando venivano costituiti i governi democratici. Anche il PDS-DS ha ripetuto questa denuncia in occasione della formazione del governo Berlusconi nel 2001; ebbene, va detto che gli allievi hanno superato i maestri: ci avete offerto l'immagine di un autentico suk delle nomine, che venivano vendute, acquistate, restituite e scambiate sulle numerose bancarelle che esponevano merce pregiata e merce avariata nel vostro mercatino di piazza Santi Apostoli.
È evidente che non vogliamo entrare nell'intimo di questo groviglio; siccome però lei ha voluto parlare di eticità, rileviamo che nel suo dicastero sono fortissime le punte di diamante della corrente Unipol-Consorte, mentre va detto che, per contrappasso, è valso il motto che chi fra i DS ha toccato i fili dell'Unipol per contrapporsi ad essa è poi caduto sul campo. Mi riferisco, per fare degli esempi significativi, agli onorevoli Bassanini e Morando, che non sono stati chiamati nel suo dicastero dopo aver condotto sul caso Unipol una battaglia assai esplicita e netta.
In ogni caso, in nome di una lottizzazione selvaggia, fatta non per dare rappresentanza ai piccoli, ma per soddisfare la voracità dei partiti più grandi, avete compiuto un'operazione gravissima, quella che ha portato alla sostanziale liquidazione della riforma Bassanini, con lo spezzettamento irrazionale di una serie di ministeri. Avete diviso infrastrutture e trasporti, spezzettato lavoro, solidarietà sociale e famiglia, distinto istruzione, università e ricerca, sottratto lo sport ai beni culturali e gli enti locali al Ministero dell'interno. Siamo di fronte ad un pasticcio politico-amministrativo che produrrà uno scontro infinito di competenze che vi bloccherà per mesi e che vi rende anche ridicoli. Non solo siete dei lottizzatori, ma siete dei lottizzatori pasticcioni, in lotta anche con il diritto amministrativo e con la riforma che voi stessi avete fatto; inoltre, avete di fronte a voi anche un contenzioso assai complicato con il sindacato del pubblico impiego.
Veniamo, ora, al nodo politico di fondo. Il suo Governo e la formula stessa del centrosinistra si fondano sull'alleanza dell'establishment finanziario editoriale del nostro paese con la sinistra postcomunista, con la CGIL e con la sinistra estrema. È un'alleanza anomala e perversa, destinata a produrre coerentemente effetti negativi sia nella politica economica sia nella politica estera. È un'alleanza che dovrà destinare quote crescenti di spesa pubblica sia alle grandi imprese, che non sanno dove sta di casa la concorrenza, sia alle richieste assai esose della CGIL. L'alleanza con la CGIL e con la sinistra estrema vi impedisce di toccare la spesa. Anzi, già leggiamo che il ministro Damiano mette in discussione la riforma delle pensioni. L'unica conseguenza sarà non la retorica lotta all'evasione fiscale, ma un aumento secco e forte della pressione fiscale, di cui l'onorevole Visco è certamente un concreto realizzatore.
Sempre in nome di questa alleanza perversa ed innaturale tra grandi gruppi e CGIL, voi siete il Governo contrapposto ai piccoli, ai piccoli imprenditori, agli artigiani, ai commercianti, ai professionisti, contro il nord-ovest ed il nord-est e il sud più dinamico. Il successo elettorale di Berlusconi deriva anche dal fatto che tutte queste aree e ceti sociali hanno capito benissimo il pericolo che corrono. Il suo, in effetti, onorevole Prodi, è il Governo della controriforma, il Governo che cercherà di smantellare la cosiddetta legge Biagi, la legge di riforma costituzionale, la legge sulle pensioni, la legge sulla scuola, la cosiddetta legge Bossi-Fini, cosa quest'ultima che ci farà diventare il ventre molle dell'Europa.Pag. 55
È evidente che la nostra è una linea di opposizione certamente propositiva, da partito di Governo, ma anche netta e globale.
Concludendo, vorrei svolgere due osservazioni. Una riguarda i servizi segreti. Visto che si parla di nuovo di riforma dei servizi, ribadiamo adesso ciò che abbiamo già detto con il precedente Governo. Siamo disponibili a ragionare con tutti i necessari contrappesi di garanzie funzionali, ma siamo totalmente contrari all'istituzione di un servizio unico. Lo siamo stati ai tempi del Governo Berlusconi; ovviamente, lo siamo anche adesso. Di tutto ha bisogno questo paese, tranne che di una simile concentrazione di potere in un settore così delicato.
Signor Presidente del Consiglio, basta guardare la composizione del suo dicastero e le scelte programmatiche che dovrà compiere, per sapere che ella si troverà di fronte ad una serie di difficili alternative; per fare qualche esempio, dovrà scegliere tra le posizioni del ministro Padoa Schioppa e quelle del ministro Ferrero, tra quelle di Di Pietro e quelle di Bianchi, tra quelle di Fioroni e quelle di Emma Bonino. La sua - per citare il titolo di un film oggi sugli schermi - è una sorta di «missione impossibile».
Certamente, le sue capacità di incassatore, la sua forza di resistenza non vanno sottovalutate. Ricordiamo che, come una salamandra, lei è passato indenne attraverso il fuoco di molte vicende burrascose, anche attraverso tangentopoli. Allora, si salvò anche grazie all'unico intervento garantista fatto in quella vicenda dal Presidente Scalfaro, che la sottrasse alle grinfie del suo attuale ministro delle infrastrutture, l'onorevole Di Pietro.
Per parte nostra, faremo di tutto per far cadere il suo Governo, perché è un Governo privo di autorevolezza, di coerenza e di credibilità (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Del Bue, al quale ricordo che ha diciassette minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, desidero, innanzitutto, ringraziare l'Ufficio di Presidenza per avere accolto la nostra richiesta di deroga relativa alla formazione di un gruppo autonomo composto dalla lista Democrazia Cristiana-Partito socialista, che si è presentata alle recenti elezioni politiche e, in base alla legge elettorale approvata, ha ottenuto una sua rappresentanza parlamentare.
Signor Presidente del Consiglio, avremmo preferito si fosse formato un Governo di ampie intese politiche dopo consultazioni che hanno diviso il corpo elettorale esattamente in due, con una Camera in bilico ed una corroborata da un premio di maggioranza conseguito per un briciolo di voti. Che poi al Senato la maggioranza sia stata raggiunta grazie al voto degli italiani all'estero, ciò non ne diminuisce il significato poiché - è giusto riconoscerlo - è stata la stessa Casa delle libertà a volere la legge che va sotto il nome del suo tenace propugnatore, Mirko Tremaglia. Né a noi pare un fatto anomalo che essa sia stata poi ulteriormente allargata con il voto dei senatori a vita. Conosciamo l'atteggiamento dei senatori a vita, generalmente favorevoli ad accordare la fiducia ai Governi, a qualsiasi Governo. Prototipo del senatore a vita consenziente è stato Gianni Agnelli, che tra il 1994 ed il 1996 votò la fiducia sia al Governo di centrodestra, sia al Governo di centrosinistra, sia al Governo né di centrodestra né di centrosinistra presieduto da Lamberto Dini, nella piena continuità dell'atteggiamento della FIAT, che nel Novecento è stata a favore dei governi liberali, dei governi fascisti, dei governi democristiani e dei governi post-democristiani: un atteggiamento filogovernativo ad oltranza, se così lo vogliamo definire.
Avremmo preferito un Governo di ampie intese, perché più consono agli interessi del paese e più in linea con il risultato elettorale. In fondo, è evidente a tutti la crisi del bipolarismo nostrano. Non parlo del bipolarismo in sé, uno schema decisamente entrato nella testa della gente anche in Italia e che è efficacemente Pag. 56praticato in tutta Europa, ma di questo assurdo bipolarismo che porta a coalizioni di partiti eterogenei ma tutti indispensabili per vincere, contrariamente al contesto europeo dove si fronteggiano formazioni di ispirazione socialdemocratica e democristiana o liberale. A buona ragione l'Unione può vantare l'elaborazione del suo programma, un programma, però, frutto di infinite mediazioni, un lungo elenco di obiettivi e di promesse che dice e non dice e di fronte al quale ogni partito coalizzato continua a sottolineare la sua diversità, oggi peraltro ancora più legittimata da una legge elettorale che ha partorito parlamentari eletti da liste di partito e non già di coalizione.
È mancato quel coraggio riformista che ha portato in Germania l'ex cancelliere Schroeder, in nome degli interessi del suo paese, a preferire una maggioranza con il suo avversario elettorale Merkel, rispetto ad una maggioranza con l'estrema sinistra di La Fontaine, che non mi risulta sia stato mai comunista, ma certo massimalista sì. Sarebbe come se in Italia Romano Prodi avesse preferito formare una maggioranza con Berlusconi piuttosto che comporre una coalizione con Rifondazione ed il partito dei Comunisti italiani. In Germania lo si è fatto, in Italia no. Certo, in Italia la coalizione è stata composta prima delle elezioni. Così, oltre all'errore originario di preoccuparsi solo di vincere e non di governare, compiuto mettendo insieme riformisti, massimalisti, pezzi di Confindustria e giornali dei poteri forti, si è preferito perseverare nell'errore dopo un risultato modesto che avrebbe dovuto consigliare quanto meno una riflessione, se non una vera e propria revisione di atteggiamento.
Tuttavia, noi riteniamo legittimo il suo Governo, signor Presidente, e ci comporteremo come un'opposizione democratica e costruttiva, capace di mettere sempre in evidenza le contraddizioni politiche e programmatiche dell'esecutivo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene e di proporre soluzioni in grado di offrire sbocchi diversi al paese.
Non occorre molta fantasia per mettere in evidenza le contraddizioni del suo Governo e della sua maggioranza, signor Presidente del Consiglio. Per quanto mi riguarda, vorrei segnalarne soltanto alcune. La prima, a colpo d'occhio, riguarda i processi politici avviati dai più grandi partiti della maggioranza. DS e Margherita pensano di creare in Italia un partito democratico, un partito che non esiste in nessun'altra parte del mondo se non negli Stati Uniti, un partito che non esiste in nessun'altra nazione europea.
Sono intanto stati formati gruppi unificati alla Camera e al Senato, con presidenti unici. Mentre questo avviene nelle due Camere, nel Governo del paese si è assistito ad un revival degli interessi di cassetta dei due maggiori partiti: DS e Margherita hanno preteso una quota di ministeri per ciascuno di loro, lottizzando la compagine governativa e arrivando al punto di designare due diversi Vicepresidenti del Consiglio, uno per ognuno dei due partiti, che si ritrovano così uniti nel Parlamento e divisi nel Governo. Margherita e DS sono uniti, insomma, nella fase della discussione, ma restano divisi nella gestione del potere. Questa ci pare, francamente, una contraddizione particolarmente significativa nei rapporti tuttora presenti tra i due principali partiti della maggioranza; ostacoli e difficoltà peraltro richiamati, nei giorni scorsi, anche negli articoli di fondo dell'amico Corriere della Sera.
Una seconda contraddizione, ancora più evidente sempre sul piano politico, riguarda il rapporto tra i riformisti e i libertari della Rosa nel Pugno e l'identità comunista presente all'interno della sua maggioranza. Parlo del caso Emma Bonino, del quale tanto si è discusso nelle scorse settimane. Ho letto che l'onorevole Diliberto, segretario del partito dei Comunisti Italiani, ha affermato che la Bonino non poteva ricoprire l'incarico di ministro della difesa perché non è pacifista, cioè non si è dichiarata così espressamente contraria alla guerra in Iraq e al ritiro immediato del contingente italiano.Pag. 57
Conoscendo il passato di Emma Bonino, credo che, se si chiedesse a qualsiasi italiano minimamente informato di politica chi ritenga essere più pacifista, nel senso di chi ha lavorato di più per la pace, tra la Bonino e Diliberto, il risultato non sarebbe certo così favorevole al dirigente comunista.
Mi chiedo, in generale, quali siano stati i criteri di valutazione all'interno di questa maggioranza. Si è scritto che con l'elezione alla Presidenza della Camera di Fausto Bertinotti - sulla coerenza del quale nessuno credo abbia nulla da eccepire - e dopo, ancora, con l'elezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, si è definitivamente superato il «fattore K», il «fattore communist», come scriveva alcuni anni fa il famoso giornalista e politologo Alberto Ronchey. Penso che sia certo un fatto positivo aver liberato energie discriminate in base al loro passato o alla loro identità, per rendere un significativo servizio al paese, visto che da anni ormai il comunismo è scomparso dalla faccia dell'Europa. Però, qui tira tutt'altra aria: la candidatura di Giuliano Amato alla Presidenza della Repubblica (lo ha ricordato giustamente Fabrizio Cicchitto poco fa), che avrebbe potuto contare su un ben più largo consenso di voti, non è mai stata ufficialmente avanzata; si è scritto che egli non faceva parte dell'album di famiglia, cioè non è mai stato iscritto al vecchio PCI. D'altronde, come salutare la fine del «fattore K» affidando l'incarico di sfondamento ad un candidato ex-socialista? E così pure, nella querelle Diliberto-Bonino, ha dovuto cedere non già il comunista, ma la libertaria, laica e socialista. Ci sembrano tempi un po' strani questi, signor Presidente, in cui anche la storia può essere capovolta e con essa le sue buone ragioni.
Aggiungiamo a queste due contraddizioni politiche anche qualche contraddizione di ordine programmatico. Un uomo non di centrodestra, non un vostro nemico, ma Michele Serra, ha scritto su la Repubblica: «In quindici minuti i nuovi ministri hanno abbattuto il ponte sullo stretto, rivisto la TAV, abolito la legge sull'editoria e la festa del 2 giugno».
Altro che politica del cacciavite, signor Presidente del Consiglio! Qui siamo alla politica del piccone, e non me ne voglia il Presidente Cossiga per avere richiamato lo strumento che ne ha contraddistinto l'identità durante il suo settennato.
Liberi di decretare la morte del ponte sullo Stretto, definito dal nuovo ministro dei trasporti (a proposito, che errore dividere i ministeri delle infrastrutture e dei trasporti: siamo tornati a sei anni fa!) come l'opera più inutile e dannosa negli ultimi decenni. Liberi di ravvedervi, giacché quest'opera, voluta fortemente dall'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi ed introdotta nel programma elettorale del PSI già nel 1992, venne accolta dai Governi Prodi I, Amato e D'Alema ed è oggi inspiegabilmente ripudiata. Ripudiata, per la verità, già nel programma dell'Unione, e vedremo se il ripudio costerà, come dicono i tecnici, quasi come la realizzazione dell'intera opera. Sarebbe davvero un paradosso incomprensibile ed inaccettabile!
Ma che dire della Tav, in particolare, della ferrovia Torino-Lione, definita come opera indispensabile e strategica dalla Comunità europea ed inspiegabilmente contestata da alcuni partiti di Governo, incapaci di non respirare a pieni polmoni l'aria dei sit-in e delle manifestazioni di piazza, nella più coerente tradizione antiriformista. Chi conosce la storia sa che la caratteristica dei riformisti è quella di saper dire dei «sì», ma anche dei «no» agli umori della piazza, come fece Turati, in occasione del primo sciopero generale nel 1904, come fece Nenni nel tumultuoso 1968, come fece Craxi in occasione del referendum sulla scala mobile del 1985. Non può avere capacità di Governo chi sa dire solo e sempre «sì» alla protesta per contestare strumentalmente una scelta e per catturare qualche consenso in più. Così si può fare della buona propaganda, ma non si può governare un paese!
Tanti auguri al ministro degli esteri Massimo D'Alema, che si appresta da Pag. 58neoministro a varcare l'oceano, secondo indiscrezioni della stampa, per incontrare Condoleeza Rice. Credo che voglia rassicurare il più importante alleato in ordine al fatto che il rientro del contingente italiano dall'Iraq - che, come dice Prodi nelle sue dichiarazioni programmatiche, non è più immediato (e mi rivolgo agli autorevoli esponenti di Rifondazione Comunista), ma sarà promosso nei tempi tecnici necessari ed attuato con la consultazione di tutte le parti interessate, garantendo condizioni di sicurezza - avverrà senza mettere in discussione l'amicizia e la collaborazione dell'Italia con gli Stati Uniti d'America.
Non ho letto, signor Presidente, la cosa che ritengo più importante, quella che avrebbe maggiormente onorato i nostri caduti, che lei giustamente richiama, e cioè che la nostra missione non era una missione di guerra, che l'Italia a questa guerra non ha direttamente partecipato, come gli Usa o la Gran Bretagna. La nostra era una missione militare di pace, delimitata dai principi stabiliti dalla comunità internazionale. Questo riconoscimento avrebbe davvero reso in una luce più chiara il sacrificio di vite di nostri connazionali, che anche noi vogliamo onorare come si meritano, come nostri figli inviati in terra straniera dal nostro paese e divenuti martiri per fini nobili e non biechi, per servire e garantire una debole, nuova democrazia aggredita dal terrorismo.
Vi attendiamo al varco anche sulla politica economica e sociale e, in particolare, sulla riforma della legge Biagi: Biagi e non legge n. 30; Biagi, come il nome di una nuova vittima del terrorismo interno che, in vita, ha coerentemente lavorato per individuare nuove frontiere, per produrre lavoro per i giovani e le donne e garanzie in un mercato in continua evoluzione. Un riformista socialista che non merita di essere sostituito con un numero!
Signor Presidente del Consiglio, il suo Governo è il più popoloso della storia della Repubblica italiana. Si compone, se sommiamo i partiti che hanno espresso parlamentari o membri dell'esecutivo, di 13 componenti politiche. Leggo da sinistra a destra, come nel calcio, le formazioni: Rifondazione Comunista, PDCI, Verdi, DS, Italia dei Valori, Rosa nel Pugno, partito dei Socialisti italiani, Repubblicani europei, Margherita, Udeur, PSDI, partito dei pensionati, Alleanza lombarda. Forse, la scelta è stata ispirata alla scaramanzia: il 13 è un numero che porta fortuna. Resta il fatto che tenerli tutti insieme sarà molto complicato e a lei spetta un duro lavoro di mediazione e anche di repressione. Del resto, lei, signor Presidente, ha invitato i suoi ministri a non parlare e ad attenersi scrupolosamente al programma concordato, ben sapendo che il debutto non era stato al riguardo particolarmente edificante.
Nella prima parte delle sue dichiarazioni programmatiche lei ha dichiarato: «Non ci sono nemici, né in quest'aula né fuori. Ci sono solo, qui e fuori, italiani che amano l'Italia come l'amiamo noi, ma che legittimamente coltivano priorità e auspicano scelte diverse dalle nostre. Non c'è un paese da pacificare.» È vero ed è giusto: condividiamo queste sue affermazioni. Per la verità, nel quinquennio passato non sono mancate da parte di alcune vostre componenti tendenze che sottolineavano il contrario, che parlavano di regime, che equiparavano il Presidente del Consiglio a una sorta di dittatore di stampo sudamericano anni Settanta, da sconfiggere anche per via giudiziaria. E i «girotondismi», i «morettismi», gli intellettualismi da salotto, i giornalisti interessati hanno al riguardo anche fatto opinione.
Credo che, innanzitutto, questo appello vada dunque rivolto a loro, che pure hanno proseliti anche in Parlamento, anche perché, vede, signor Presidente del Consiglio, vi è un vecchio proverbio cinese che afferma: è facile cavalcare la tigre, il difficile è scendere dalla tigre quando è in corsa. Dunque, non è difficile prevedere che costoro - cioè la nuova sinistra massimal-giustizialista - cominceranno a predicare anche contro di voi e, tra un po', ad accusarvi di non essere sufficientemente di sinistra, puri, incontaminati, cioè in sostanza di non fare quello che vi dicono Pag. 59loro. Il vecchio Pietro Nenni diceva: c'è sempre un puro più puro che ti epura. Questa è la storia bislacca di una sinistra che non ha saputo risolvere il conflitto tra riformisti e massimalisti...
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere!
MAURO DEL BUE. ... tanto che - ho quasi finito, Presidente - ha costretto una parte di riformisti di ispirazione liberale a rintanarsi nella Casa delle libertà.
C'è la sinistra del «no», la sinistra demolizionista, quella della ruspa e non del cacciavite, signor Presidente, che vi osserva e vi controlla. Anche noi sapremo osservare con interesse questa dialettica. Vedremo dai fatti quale visione dell'Italia prevarrà, se riuscirete - come credo sarà molto difficile - a domare le tendenze più radicali o se dovrete cedere ad esse.
Per quanto ci riguarda, sapremo sviluppare un dialogo ed un confronto interessato con tutti i riformisti di qualsiasi parte e provenienza.
Ho lasciato - e concludo - nel 1994 quest'aula, senza avere cambiato identità, partito e simbolo, senza avere rinnegato e dimenticato, ma certo consapevole che l'Italia è cambiata e che i problemi di oggi non possono essere risolti con le ricette di ieri. Ho lasciato nel 1994 le macerie del mio partito politico, con i suoi errori e con le umiliazioni e le persecuzioni di tanti che lanciavano i sassi avendo molti peccati sulla coscienza. Oggi molto è cambiato: oggi il nome di Craxi, che allora era divenuto tabù, fa comodo sia alla maggioranza che alla minoranza...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
MAURO DEL BUE. ... e, purtuttavia, ancora non si dischiude la porta della rinascita di una forza socialista socialdemocratica e riformista. Tenteremo di operare anche per questo, ben sapendo che il passato non ritorna e che un progetto politico si realizza lavorando, e sodo, per gli interessi generali del nostro paese.
Tanti auguri di buon lavoro, signor Presidente: glieli rivolgo da emiliano ad emiliano, da reggiano a reggiano. Credo, e mi permetta di sottolinearlo, che ne abbia davvero bisogno (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata De Simone. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di nove minuti.
TITTI DE SIMONE. La ringrazio, Presidente.
Signor Presidente del Consiglio, noi abbiamo molto apprezzato il suo discorso programmatico, anche per quanto riguarda la centralità dell'istruzione per il paese che il programma di Governo e lei, signor Presidente, con forza ha voluto qui sottolineare. Scuola, università e ricerca pubblica sono, infatti, per noi la chiave di un futuro diverso per il paese, sono mondi certamente complessi, che necessitano - uso sue parole - di un progetto condiviso e di lungo periodo: ed è infatti questo un concetto cardine del programma di Governo che abbiamo costruito e che è stato il frutto di un lavoro impegnativo di confronto.
Dopo gli anni della Moratti, il paese necessita di un processo di ricostruzione e di rilancio della scuola pubblica, di qualità e dell'inclusione. Ciò occorre, innanzitutto, per rompere gli elementi di classe e di divisione sociale che sono stati prodotti in questi anni e per proporre un'idea di istruzione opposta, a partire dal coinvolgimento reale della scuola, dei suoi protagonisti, dagli insegnanti agli studenti.
Il nostro programma di Governo corrisponde a questi fondamentali principi e ciò è quindi per noi un punto fermo, anzi, fermissimo.
Il mondo della scuola è una parte viva, attiva e mobilitata della società. Vi è dunque un'aspettativa preziosa, che, se rimotivata, costituisce anche una grande risorsa e che corrisponde al consenso ottenuto molto largamente dall'impianto del nostro programma sull'istruzione.Pag. 60
Signor Presidente, esistono problemi che occorrerà affrontare presto, al fine di bloccare i danni prodotti dalla Moratti e per cominciare ad incanalare gli obiettivi fissati dal nostro programma. Mi riferisco alla sospensione del decreto di riforma della scuola secondaria, per dare corso invece all'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni in un biennio di istruzione. Al contempo, molte cose dovremo restituire alla scuola pubblica: tempo, tempo pieno, risorse e organici, valorizzando il ruolo degli insegnanti - che sono stati mortificati dalle politiche della riforma Moratti - e ascoltando i bisogni degli studenti. Occorrerà porre fine ad un vergognoso precariato, garantendo l'unitarietà del sistema per tutti.
Ciò vale allo stesso modo per l'università pubblica e per la ricerca, soffocate da una politica miope di tagli, di privatizzazione, di dequalificazione e di precarizzazione, di cui pagano il prezzo le nuove generazioni. Talenti, intelligenze, saperi sono un patrimonio che chiede un vero rilancio negli investimenti per il diritto allo studio e nell'organizzazione didattica. Siamo tra gli ultimi in Europa ad investire nella ricerca; dobbiamo cambiare questa situazione aprendo innanzitutto le porte dell'università pubblica ai nostri giovani ricercatori, sapendo che la ricerca ha bisogno in primo luogo di stabilità. Niente, certo, potrà essere calato dall'alto; la partecipazione è anche in questo caso una premessa di metodo sostanziale.
Signor Presidente, abbiamo imparato dalla lezione di Don Milani che la scuola della Repubblica è il primo spazio di una vera e compiuta cittadinanza. Ed è sulla cittadinanza che si concentrano oggi sfide importanti, conflitti e bisogni.
La politica, quando non è mero esercizio di conservazione del potere, non può sfuggire alle domande poste alla nostra società da parte di soggetti che ne rappresentano una necessità di ridefinizione e di estensione di diritti. Questi temi non possono essere ridotti ad uno scontro ideologico, ad una mera questione di libertà di coscienza. Trovo che la doppia morale sia un vizio della politica istituzionale, e che vi sia dell'immorale nell'uso che la destra fa della famiglia, agitandola come una clava. Occorrerebbe più rispetto per donne ed uomini in carne ed ossa, per le loro scelte, per i loro problemi.
Nella nostra società, accanto alla famiglia tradizionale, vi è una pluralità di scelte. Non possiamo far finta di niente; si tratta di un fatto di civiltà riconoscerlo giuridicamente, garantendo con le unioni civili nella sfera pubblica diritti che arricchiscono e aggiungono cittadinanza a chi non ne ha, come oggi le coppie di fatto eterosessuali ed omosessuali. Cosa toglie ciò alla famiglia tradizionale? Proprio nulla, semmai avrà liberato tutti da una discriminazione sociale e da un odioso pregiudizio.
È un discorso complesso quello sulla laicità, che va preservato da qualsiasi scontro ideologico. Ritengo che nella società le diverse culture possano incontrarsi sull'etica della responsabilità individuale e dei diritti fondamentali della persona, che occorre porre al centro della politica.
Dunque, si approvi presto una legge sulle unioni civili, in ordine alla quale ci siamo impegnati nel programma. Da parte nostra, signor Presidente, forniremo tutto il contributo possibile per giungere presto ad una proposta governativa. Sono sicura che, insieme alle donne di questa maggioranza, potremo costruire un contributo forte sul tema della cittadinanza; condivido inoltre profondamente i discorsi aperti in questi giorni, anche sulla necessità di rivedere una legge contro la libertà femminile come quella sulla fecondazione assistita.
Nella società le donne sono già un soggetto della trasformazione, ma la politica non le ama. Noi qui abbiamo probabilmente anche una responsabilità in più nel rapporto con la società femminile, a cui in questi cinque anni dovremo dare un segnale forte, risposte concrete, a partire dal tema della rappresentanza di genere. Alla partenza potevamo fare decisamente meglio; dovremo recuperare molto bene ed è anche per tutto ciò che questo Governo ha la mia fiducia più autentica (Applausi Pag. 61dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Lupi e Raiti, iscritti a parlare: s'intende che vi abbiano rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata Siliquini. Ne ha facoltà.
MARIA GRAZIA SILIQUINI. Grazie, signor Presidente, ma preferirei essere chiamata deputato. Non sono graditi questi nomi declinati al femminile: siamo il senatore o il deputato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17)
MARIA GRAZIA SILIQUINI. Signor Presidente del Consiglio, ministri, onorevoli colleghi, sui temi della scuola, dell'università e delle libere professioni, di cui ho avuto l'onore di occuparmi nel Governo Berlusconi come sottosegretario al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, non ho rilevato le linee programmatiche chiare che mi sarei aspettata dal suo intervento, anzi, ella ha detto poche parole sommarie e peraltro superficiali. Tutto ciò non può stupire, perché del resto in questi cinque anni di governo, con buona pace della collega De Simone, le riforme strutturali sono state realizzate dal Governo di centrodestra.
Vorrei ricordare ciò che lei sembra dimenticare. Innanzitutto, abbiamo aumentato la spesa per la scuola statale, che in cinque anni - si tratta ovviamente di dati ufficiali - è passata dai 35 miliardi che spendevate voi nel 2001 ai 46 miliardi che abbiamo speso noi nel 2005, con un incremento notevole, pari a ben il 13 per cento in più per la scuola statale. Abbiamo introdotto l'istituto fortemente innovativo dell'alternanza scuola-lavoro, apprezzatissimo da scuole, famiglie, imprese e studenti. Oggi, gli studenti, invece di abbandonare la scuola dopo i 15 anni, possono fare degli stage presso artigiani, imprese, aziende agricole sotto la regia della scuola. Ricordo che quando voi ci avete lasciato il Governo l'abbandono era di ben 240 mila ragazzi ogni anno; noi ne abbiamo riportati 120 mila all'interno del percorso scolastico, con la riduzione dell'abbandono dal 25 al 20 per cento, vicino al tasso europeo del 18 per cento.
Presidente, lei ha detto, e la cosa mi stupisce veramente, che noi avremmo liquidato la formazione tecnica. Credo che non sia stato ben informato su questo tema e la invito ad approfondirlo, perché è vero il contrario, tanto che oggi gli istituti tecnici fanno parte dell'alveo degli otto licei che noi abbiamo istituito per andare incontro alle vocazioni degli studenti, ed esistono un liceo tecnologico ed un liceo economico che daranno forti competenze, anche di istruzione di base, che mancavano negli istituti tecnici, oltre a quelle tecnologiche ed economiche, a chi dopo i 18 anni vuole entrare nel mondo delle imprese. Ma lei ci ha detto - e questo è veramente stupefacente - che voi volete mettere ordine nella scuola. Chiedo allora quale sia il vostro ordine: è l'ordine di Diliberto, che su tutti i muri d'Italia scriveva «abroghiamo la Moratti», o è l'ordine di Rutelli, che una settimana prima del voto ha detto che si tratta di una buona riforma che non va eliminata? Quale dei due è l'ordine che vuole instaurare?
Molto più semplicemente, io le chiedo di essere coerente con se stesso, perché lei dimentica, o finge di dimenticarsi che, in qualità di Presidente della Commissione europea, ella ha approvato la riforma Moratti riconoscendo che si tratta di un'ottima riforma. Negli atti pubblici c'è scritto anche il perché: essa aveva raggiunto tutti gli obiettivi fissati dall'Unione europea. Presidente, la prego, sia coerente con se stesso: non tocchi la riforma, la migliori, ma non segua i diktat di Diliberto.
Abbiamo ereditato una università terribile, dequalificata, ingessata, autoreferenziale, nepotistica.
Abbiamo constatato, attraverso tutti gli organi di stampa, come sia finito il presidente Pag. 62della Conferenza dei rettori, da voi molto sostenuto e sponsorizzato. Con la riforma del «tre più due», che abbiamo dovuto «aggiustare», sono stati frantumati tutti i percorsi universitari, con grave danno per gli studenti (chiunque abbia un figlio o un parente che segua il percorso «tre più due» sa quali danni ha subito).
Abbiamo introdotto, attraverso la cosiddetta «y», una differenziazione dei percorsi, mantenendo quelli triennali, ma sostituendo i percorsi quinquennali con un percorso organico, unitario, armonico: è il percorso di cinque anni di studio. Abbiamo riformato lo stato giuridico dei docenti sulla base della meritocrazia (voi non sapete assolutamente cosa sia) ed introdotto un concorso nazionale unico per combattere forme macroscopiche e scandalose di concorsi truccati per favorire interessi locali e nepotismi di cui la stampa ha dato ampia notizia.
Abbiamo cercato di collegare l'università al lavoro, per favorire gli sbocchi professionali (di cui vi siete dimenticati!), con il decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328: abbiamo trascorso cinque anni a modificarlo e ci auguriamo che non vogliate bloccare un provvedimento che attualmente è all'esame della Corte dei conti, perché lo attendono tutti coloro che sono interessati.
Abbiamo delineato la riforma della valutazione universitaria, che mira a razionalizzare i finanziamenti all'università che, nel vostro precedente quinquennio, avete dato a pioggia senza alcun criterio. Per quanto riguarda i finanziamenti, non dimentichiamoci che abbiamo raggiunto il più alto incremento del fondo ordinario, ossia il 7 per cento della finanziaria del 2005. Con la legge finanziaria per il 2006 sono stati destinati 25 milioni di euro per gli affitti degli studenti fuori sede (e voi parlate di internazionalizzazione!), e non c'era alcuno strumento per pagare gli affitti degli studenti fuori sede! Abbiamo defiscalizzato le spese dei privati destinate all'università e alla ricerca e, da ultimo, ma non certo ultimo per importanza...
PRESIDENTE. Onorevole Siliquini...
MARIA GRAZIA SILIQUINI. ...abbiamo previsto la possibilità di finanziare la ricerca con il 5 per mille, che è una delle perle dei provvedimenti che non vi siete mai sognati di fare quando eravate al Governo!
Ultima considerazione sulle professioni intellettuali. Andrà fatta la riforma degli ordini professionali. Siamo intervenuti sulla norma che avete approvato con la sciagurata riforma costituzionale, con riferimento alla quale anche la Corte costituzionale vi ha bocciato cinque volte, e che prevede la competenza concorrente dello Stato e delle regioni. Con la nostra riforma costituzionale (chiederemo a tutti i professionisti di esprimersi favorevolmente in occasione del referendum), abbiamo trasferito, secondo le linee della Corte costituzionale, la competenza esclusiva allo Stato.
Abbiamo approvato provvedimenti importanti. Abbiamo sostenuto i liberi professionisti. Abbiamo istituito ordini per 22 professioni sanitarie non mediche che andavano regolamentate e riconosciute per arginare un abusivismo nel campo sanitario di cui non vi siete mai occupati! Anzi, volete togliere gli ordini per creare un abusivismo diffuso! Questo è quello che avete già cercato di fare tra il 1996 ed il 2000.
So che avete illustri ministri: Bersani, D'Alema, Amato; peccato che non siano new entry. Non sono new entry loro, non sono new entry io, ahimè, veterana per essere una donna alla quarta legislatura. Ricordo tutti i tentativi che avete fatto dal 1996 al 2000 per abolire o ridurre le professioni!
Concludo avvisandovi che vigileremo nelle Assemblee e nelle Commissioni parlamentari. Non tentate di aggredire i professionisti, perché non lo permetteremo! Il mandato che abbiamo ricevuto da 2 milioni e 300 mila professionisti è fortissimo. Ricordatevelo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Commenti di deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. L'onorevole Lupi, precedentemente dichiarato assente, ha la parola per svolgere un breve intervento, data la rilevanza dell'argomento.
Prego onorevole Lupi, ha facoltà di parlare.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, la ringrazio per la disponibilità e le chiedo scusa per la mia assenza ma stavo entrando in aula.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, vorrei cominciare il mio pur breve intervento citando alcune parole che lei, Presidente del Consiglio, ha pronunciato nel corso della replica al Senato. Lei ha sostenuto con forza che in entrambe le Camere avete la maggioranza e che questa maggioranza sarà compatta e coesa. La cosa non mi meraviglia. Non mi meraviglia la sua sicurezza perché, per richiamare un esempio, quando l'oste parla del proprio vino difficilmente dice che è cattivo. Peccato, signor Presidente del Consiglio, che mentre lei pronunciava queste parole davanti all'Assemblea, la sua coalizione si dimostrava tutt'altro che compatta.
Non è trascorsa neanche una settimana dal giuramento davanti al Presidente della Repubblica che la sua coalizione, in particolare addirittura i suoi ministri, hanno discusso e litigato su tutto - le farò poi alcuni esempi -, dando pareri esattamente l'uno il contrario dell'altro.
In questo breve tempo che ho a disposizione vorrei soffermarmi su due argomenti che mi sono cari: il primo è legato al tema della famiglia, il secondo a quello delle infrastrutture. Su entrambi i temi, che credo siano cari a tutti coloro che siedono in questo Parlamento, avete esattamente dato la dimostrazione di quanto ho poc'anzi affermato. Nel testo delle sue dichiarazioni programmatiche, consegnato qui alla Camera, lei ha parlato della difesa della famiglia, così come descritta nella Costituzione, cioè di quella famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Benissimo, siamo tutti d'accordo. Perché non ci dice - ovviamente non accenna minimamente a questo - cosa ne pensa quella parte della coalizione che continua invece a parlare dei Pacs, un'altra parola che lei non ha mai pronunciato nel suo discorso, tanto è vero che non avete inserito questa parola neanche nel vostro programma di 281 pagine? Pensa forse che lo stratagemma linguistico usato nel programma, dove si parla molto vagamente di unioni civili, reggerà ancora per molto?
Credo che il problema sia sostanziale e non formale. Alcuni dei suoi alleati, membri autorevoli della vostra maggioranza, hanno iniziato a parlare non della famiglia, ma delle famiglie. Su questi argomenti ad un certo punto bisogna smetterla con gli stratagemmi, per far venire a galla la verità. In quale direzione il Governo pensa di andare?
Vorrei ora soffermarmi sul tema delle infrastrutture, che ho seguito in questi anni. Su questo argomento, il suo Governo ha già sfiorato il ridicolo, perché è riuscito nell'opera - devo dirle difficilissima, signor Presidente del Consiglio - di andare contro quello che aveva fatto dieci anni fa. Le ricordo appunto che dieci anni fa fu opera del suo Governo, come conclusione della famosa riforma Bassanini, unificare in un unico dicastero le infrastrutture e i trasporti, proprio per la strategicità di questi settori e per l'unicità del programma e dell'azione del Governo, che si voleva sottolineare.
Noi, nei nostri cinque anni, abbiamo lavorato in questa direzione, usando questa unità dei due ministeri proprio per attuare il nostro programma. Ebbene, ma se era stato proprio il suo Governo, signor Presidente, a riunire questi due dicasteri, allora che fine ha fatto questa intuizione programmatica? Glielo dico io. È stata sacrificata, per cercare di accontentare tutti i «pezzettini» della sua coalizione! Il risultato...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Lupi.
MAURIZIO ENZO LUPI. ...è che due ministri, un minuto dopo aver giurato, hanno cominciato a litigare non solo per Pag. 64la distribuzione delle competenze, ma addirittura sulle opere da realizzare: ponte sullo Stretto di Messina sì, ponte sullo Stretto di Messina no; TAV sì, TAV no. E la posizione del ministro dell'ambiente è ovviamente opposta, da quel che si legge, a quella del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta.
Sono molto curioso, signor Presidente, di sapere come andrà a finire. Credo, e concludo, che in questi anni o in questi mesi avremo la necessità di confrontarci finalmente non sugli stratagemmi e sulle parole per nascondere una non unità, ma effettivamente su che cosa volete realizzare, perché questo paese possa continuare, come noi abbiamo fatto nei cinque anni precedenti, a cambiare e a guardare con positività al suo futuro (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
AURELIO SALVATORE MISITI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, condivido i contenuti essenziali dell'esposizione del Presidente del Consiglio e ciò mi consente di intervenire soltanto al fine di sottolineare, e - per quanto mi sarà possibile - arricchire tre punti delle dichiarazioni programmatiche che questo alto consesso ha ricevuto. Essi sono: le infrastrutture, il sud e la ricerca scientifica e tecnologica.
In merito al primo punto, il breve ragionamento che lei fa, signor Presidente del Consiglio, non solo è apprezzabile per il contenuto, ma merita di essere sviluppato ed attuato in tutto il suo significato. Connettere il nostro paese al sistema delle grandi reti infrastrutturali, che nel resto d'Europa si sta realizzando, è per noi un imperativo categorico, se si vuole mantenere il passo dello sviluppo del continente, impegnato a sua volta nella competizione globale. Su questo vorrei segnalare i significativi passi avanti che l'Italia ha compiuto nell'ultimo decennio.
Per comodità, ricordo che le reti infrastrutturali, oltre a quelle informatica e di telecomunicazione, divenute ormai essenziali e indispensabili anche per il futuro sviluppo del pianeta, consentono la movimentazione di merci e di persone con quattro mezzi diversi: aereo, nave, treno e autoveicolo. È vero che durante questo secolo si avrà una profonda trasformazione dei mezzi di locomozione e, in particolare, dei motori, incentivata dalla necessità di avere bassi consumi energetici e ridottissimi prodotti inquinanti. Si avrà certamente la fine del motore a scoppio e sempre di più sarà utilizzata l'energia alternativa rispetto a quella attualmente preponderante derivata dal petrolio. Gli attuali aeroplani diverranno oggetto da museo e, per ragioni legate ai consumi energetici, la movimentazione di merci e di persone avverrà sempre di più per via aerea. Tuttavia, le infrastrutture fisiche come i porti, le ferrovie e le autostrade avranno ancora un'importanza strategica. Vi sarà sempre di più integrazione tra i quattro diversi modi di viaggiare, e quindi risulta indispensabile rinnovare il sistema delle infrastrutture di trasporto, tra cui assume particolare importanza il completamento del quadruplicamento del collegamento ferroviario, che in genere si definisce come treno ad alta velocità (TAV), tra Salerno e Palermo, che i passati Governi non hanno mai autorizzato. Solo per inciso, voglio ricordare che gli investimenti in infrastrutture, non richiedendo significative importazioni nette, incidono positivamente sulla crescita del PIL in modo rilevante.
Sul secondo punto, relativo al sud, signor Presidente del Consiglio, condivido la sua pur concisa e breve analisi e le relative conclusioni ma, nello stesso tempo, mi permetta di essere un tantino scettico sui risultati che si potranno ottenere in un quinquennio di Governo. Certo, il suo ragionamento sembra segnare una discontinuità rispetto alla retorica meridionalista del passato, che era basata sull'assistenzialismo, ma non posso non rammentare che dall'unità d'Italia in poi ogni Governo, ed anche ogni opposizione, ha Pag. 65messo in agenda l'obiettivo del superamento del gap tra nord e sud, eppure la forbice si è allargata paurosamente. E tale stato di cose non può non alimentare la sfiducia dei giovani del sud verso le istituzioni. Ancora oggi, su quattro laureati, tre emigrano verso il nord e verso altri paesi; e non può essere considerata generalizzabile la pur generosa ed esemplare reazione alla illegalità dei giovani studenti della Locride, che pure rappresenta una grande novità positiva, da non strumentalizzare, però, come qualcuno incautamente tenta di fare.
Tutto questo costituisce un evidente fallimento della politica della nazione verso il sud. Oggi, lei può dire finalmente, in nome del paese, che il Mezzogiorno non costituisce più un problema da risolvere ma una reale opportunità di sviluppo per l'intera nazione. La posizione geografica lo presuppone: la ricchezza proveniente dall'Asia passa per il sud e, in particolare, per il porto di Gioia Tauro. Il Governo e il Parlamento, allora, consentano con opportuni provvedimenti legislativi di intercettare tale ricchezza e porla a base del futuro sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.
Il terzo punto è relativo all'università e alla ricerca scientifica e tecnologica. Condivido in pieno quanto illustrato da lei, signor Presidente del Consiglio, relativamente al grande salto in avanti necessario nell'impiego di consistenti risorse economiche e finanziarie per raggiungere gli obiettivi quantitativi di alcuni paesi che sono all'avanguardia in tale settore. Ciò risulterà oltremodo utile per elevare la competitività del nostro paese. Posso assicurare tuttavia che, in base alla mia esperienza, i nostri giovani laureati, nonostante tutto, resistono ancora ai primi posti nella considerazione degli esperti internazionali. Voglio ricordare con orgoglio soltanto l'ultimo successo scientifico dei giovani scienziati romani.
PRESIDENTE. Onorevole Misiti, concluda.
AURELIO SALVATORE MISITI. Concludo, Presidente. A questo riguardo, ricordo la recente progettazione e costruzione delle apparecchiature dell'antenna, che sono state determinanti per scoprire la presenza di tracce di acqua sul pianeta Marte. Con tristezza e, perché no, anche con rammarico, ho dovuto constatare che negli altri paesi protagonisti del grande evento scientifico vi è stata una notevole, generale e quasi popolare manifestazione di gioia, mentre nel nostro paese l'episodio è passato del tutto inosservato.
Convengo, quindi, in primo luogo con il Presidente Napolitano e con lei, signor Presidente del Consiglio, che l'Italia possiede la forza economica e intellettuale per riprendere il cammino. Su questo occorre, però, l'unità del Parlamento e del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cordoni, alla quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente del Consiglio, colleghe, colleghi, enormi sono le aspettative del paese, che guarda a noi con grande attenzione e viva speranza.
Come deputati, oggi abbiamo la responsabilità di consegnare al Governo la fiducia che ci è stata accordata dagli italiani e dalle italiane, una fiducia ricostruita con fatica nelle piazze e nelle case, nel corso di una lunga e difficile campagna elettorale. Abbiamo potuto toccare con mano per mesi l'esasperazione e lo scoramento germogliati sulla consapevolezza della crisi del paese, e da lì siamo partiti per definire un progetto credibile di rilancio economico e di riequilibrio sociale.
Abbiamo chiesto ai cittadini italiani di dare fiducia ad un progetto di cambiamento profondo, in grado di segnare una discontinuità necessaria con la cultura che ha guidato le scelte di questi anni, e loro ce l'hanno data. Da qui dobbiamo partire per definire l'agenda dell'azione di Governo.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha dimostrato di cogliere appieno il clima di Pag. 66attesa che circonda i nostri primi atti, utilizzando più volte la cifra dell'urgenza per esprimere la natura del suo approccio ai problemi dell'Italia.
È urgente la verifica degli importi reali della spesa corrente, per stroncare quella che lei chiama l'incipiente sfiducia dei mercati internazionali, ma anche per rendere conto ai cittadini della fine che hanno fatto i loro denari.
È urgente il bisogno di far ripartire l'economia del paese; non possiamo permetterci di esitare nell'imprimere al mondo produttivo quella scossa che può gettare alle nostre spalle anni di immobilismo negli investimenti, che ci sono costati quote di mercato e posti di lavoro; ma è altrettanto urgente creare le condizioni perché la ripresa non sia effimera e neppure congiunturale. Occorre raccogliere la sfida rappresentata dallo sviluppo dei settori industriali generati dalle nuove scoperte scientifiche e dalla ricerca di nuove fonti energetiche, così come occorre saper dare il giusto peso alle esigenze e ai bisogni di quelle persone in carne ed ossa che fanno ricerca o impresa innovativa.
È urgente il ripristino di un'etica condivisa, che restituisca al paese la capacità di combattere le furbizie private, su cui si è costruito in questi anni l'indebito vantaggio di pochi a danno del benessere di molti. Il patto che ci lega in un'unica comunità nazionale deve essere equo e trasparente, per ciò che chiede e per ciò che offre a ciascuno di noi. Dobbiamo impedire che le politiche di solidarietà si arenino nelle secche dell'evasione fiscale, la più indecente d'Europa.
Voglio però soffermarmi nel mio intervento soprattutto sulle urgenze che più corrispondono alla mia esperienza e ai mondi che sento di rappresentare. Penso al mondo del lavoro, a quelle lavoratrici e a quei lavoratori che hanno creduto alle nostre promesse di una più equa distribuzione della ricchezza e degli oneri sociali. A loro dobbiamo non solo la loro parte di riduzione del cuneo fiscale, ma la restituzione di quel fiscal drag dimenticato.
Dobbiamo poi mettere subito mano alla riforma degli ammortizzatori sociali, perché sarà estremamente complesso disegnare un corpo di tutele capace di rispondere in modo flessibile ai differenti bisogni di tutti i lavoratori. Non basterà decidere la cancellazione delle forme più stravaganti del lavoro precario, né incoraggiare i virtuosi processi di stabilizzazione dei contratti di lavoro; occorrerà prendere atto delle nuove esigenze di tutela imposte dalla rapidità delle trasformazioni produttive.
È urgente riaprire dunque il confronto con le parti sociali, per ricostruire le condizioni di uno sviluppo equilibrato e senza scosse, capace di premiare il lavoro qualificato e l'impresa lungimirante. Solo così potremo vedere crescere ad un tempo redditi, imprese, consumi interni ed esportazione.
Penso anche al mondo di chi non lavora più, che ha speso un'intera esistenza nel mondo del lavoro e oggi vede inesorabilmente eroso il suo potere di acquisto da un sistema di rivalutazione delle pensioni che è inadeguato.
Concludo, signor Presidente, con la questione della rappresentanza di genere, che ha riguardato il dibattito di questi giorni. C'eravamo tutti, lei in prima persona, ma anche noi, impegnati a garantire almeno un terzo di donne nei ruoli di Governo; non erano i numeri di Zapatero, né quelli cileni, ma molte donne l'avevano considerata una proporzione simbolicamente apprezzabile, soprattutto come risposta al triste spettacolo offerto dalle destre sulle quota rosa a fine legislatura.
È una constatazione triste quella di non avere raggiunto l'obiettivo. Adesso, però, voglio affrontare l'argomento e proporle, signor Presidente del Consiglio, proprio per evitare il ripetersi di atteggiamenti di quel tipo, che, oltre alla legge sulle quote rosa, il suo Consiglio dei ministri, nella prossima riunione, approvi un provvedimento che vincoli il comportamento del Governo - nelle numerose e complesse nomine alle quali dovrà provvedere Pag. 67nelle prossime settimane - a fare in modo che la rappresentanza di genere sia assunta come principio.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Cordoni.
ELENA EMMA CORDONI. Più in generale, come ha detto lei stesso, Presidente Prodi, per rimotivare la società e per dare un segnale forte di cambiamento di clima sul piano etico non sono sufficienti regole e regolatori. È mia convinzione, però, che occorrano anche gli esempi: l'azione del Governo, più visibile di ogni altra, può dare al paese, in questo campo, un esempio davvero autorevole.
Noi abbiamo promesso che avremo la forza di cambiare il paese. Per farlo davvero abbiamo soprattutto bisogno di coerenza e di coraggio. Sono certa che sapremo dimostrare di averli entrambi. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cordoni.
È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia, al quale ricordo che dispone di dieci minuti. Ne ha facoltà.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghe, colleghi, non vi nascondo una certa emozione nell'intervenire per la prima volta alla Camera, dopo essere stato per dodici anni al Senato, e per avere avuto la possibilità di partecipare al dibattito in corso, cosa alla quale tenevo in maniera particolare.
Mi rivolgo a lei, signor Presidente del Consiglio, e faccio riferimento al suo reiterato invito, peraltro ripetuto più volte, a pacificare il nostro paese - sono le sue parole -, a unire, a superare le divisioni che hanno caratterizzato, e che ancora oggi caratterizzano, il dibattito politico ed il confronto tra le forze politiche, all'interno del Parlamento, e tra i partiti.
Credo che, in questo momento, vadano fatte alcune precisazioni. Mi riferisco, per un verso, alla serietà - della quale non abbiamo titolo per dubitare -, alla serietà degli intenti nel fare proposte e, per altro verso, alla buona fede che li deve necessariamente accompagnare.
Vede, signor Presidente, ho la sensazione che il suo invito abbia trovato un momento di appannamento allorquando, subito dopo la campagna elettorale, il Presidente Berlusconi propose un esame complessivo della situazione politica che si era venuta a determinare con la divisione al 50 per cento del nostro paese. Non notammo, in quella circostanza, una sufficiente attenzione, forse perché molti di coloro i quali si cimentarono in dichiarazioni abbastanza dure - direi sgarbate - per respingere la proposta non si erano realmente resi conto delle difficoltà che potevano nascere in questa maggioranza, uscita nel modo che sappiamo dalle urne, con riguardo ai singoli regolamenti delle Camere (mi riferisco, in particolare, a quello del Senato).
A questo proposito, ma quasi soltanto per una leziosa precisazione, la pregherei, signor Presidente, di riferire al ministro D'Alema, che con tanta albagia faceva mostra di conoscenza dell'aritmetica, che se è vero che 165 meno 7 fa 158, che è più di 156, è altrettanto vero che 156 più 7 senatori a vita (se si fossero astenuti) al Senato avrebbe fatto 162, che è certamente più di 158 (Commenti del deputato Carbonella)! Ma era soltanto una leziosità, che mi premeva comunque precisare per la lettura aritmetica, naturalmente non per quella politica (su di essa ci siamo già espressi in altra circostanza).
Signor Presidente del Consiglio, non può esserci un invito al dialogo che non sia anche comprovato da una linearità di intenti. Presidenza della Camera, Presidenza del Senato, Presidenza della Repubblica hanno dato dimostrazione che, quando avete i numeri - anche se stentati con riferimento al Senato - per poter fare le vostre scelte, non vi siete neanche lontanamente proposti l'obiettivo di quel dialogo e di quel confronto. Quando, invece, vi trovate in condizioni di difficoltà nel definire la composizione e la direzione Pag. 68delle Commissioni parlamentari, in quel caso parlate di possibilità di dialogo, perché qui ci sorregge l'aritmetica, signor Presidente.
Al Senato le Commissioni sono quattordici; ammesso e non concesso che i sette senatori a vita volessero ripetere le loro performance, con i due di maggioranza che avete fanno nove; quattordici meno nove fa cinque - credo che questo sia assolutamente incontestabile, parlo anche per i colleghi della sinistra -, il che significa che almeno cinque Commissioni in ogni caso non potrebbero essere a voi assegnate con un rapporto equo di maggioranza. Allora, il dialogo, quando vuole esser fatto, deve esser svolto con linearità, serietà di intenti e buona fede.
Voglio insistere proprio sull'aspetto della buona fede. L'ho sentita parlare e ho letto le sue dichiarazioni al Senato - ancora una volta sembra che continui la campagna elettorale nel suo ragionamento - della nostra presenza in Iraq con riferimento ad un'azione militare bellica. Non è così, signor Presidente del Consiglio, e lei lo sa bene: noi siamo andati in Iraq dopo la chiusura dell'evento bellico per una missione di pace. Sento dire, e si legge anche nel vostro programma, di unioni civili e non si pronuncia la parola Pacs; peraltro, lo stesso ministro Bindi ha avuto occasione di precisare recentemente, in un'intervista, di che cosa stiamo parlando. Io credo che i cittadini italiani abbiano il diritto di sapere dietro l'espressione unioni civili che cosa si nasconda, perché la buona fede si accompagna alla linearità delle proprie affermazioni e anche alla capacità di rendere comprensibili queste affermazioni ai cittadini italiani che vi hanno dato il loro sostegno.
Ancora, per quello che riguarda il progetto TAV, così strategicamente importante nel nostro paese, assistiamo ad una straordinaria contrapposizione di posizioni all'interno dello stesso Governo: probabilmente, i cittadini italiani vorranno sapere qual è la posizione finale. Non basta il richiamo generico alle 281 pagine del programma; oramai bisogna andare nel dettaglio operativo della gestione quotidiana e anche della prospettazione strategica degli interventi in termini strutturali nel nostro paese. Lo stesso con riferimento - a me, peraltro, molto caro - al ponte sullo stretto di Messina. Io ho motivo di ringraziarvi.
La prossima domenica ci saranno le elezioni regionali in Sicilia, e non immaginate quanto sconcerto questo abbia provocato in quella regione, non potete neanche immaginare quale sarà l'effetto negativo di queste affermazioni, stante che per noi l'attuazione e la realizzazione del ponte sullo stretto è una scelta strategica di sviluppo che va ben oltre la Sicilia e la Calabria, ed investe l'intero sistema di trasporti del nostro paese, in collegamento con l'Europa e in attuazione del corridoio 1 Berlino-Palermo-Trapani.
Certo, la tanto decantata posizione che lei, signor Presidente del Consiglio, ha tenuto in Europa non ne avrebbe un beneficio nel momento in cui lei dovesse smentire una decisione presa dal suo Governo, poi confermata dal nostro e sostenuta nelle procedure che riguardano le scelte dell'Unione europea. Ma voglio attirare la sua attenzione su un aspetto - dopo peraltro avere letto le dichiarazioni del senatore Bassanini con riferimento all'incredibile, veramente incredibile, miscuglio di competenze, separazioni e accorpamenti che si è operato nella distribuzione delle deleghe di Governo -, cioè la non più realizzabile, dopo il vostro intervento, riforma Bassanini, la cancellazione della riforma Bassanini.
Ricordo bene il grido allo scandalo che, da parte di tanti di voi, si levò quando noi procedemmo, razionalmente, a «resuscitare» il Ministero della salute e quello delle comunicazioni, «in deroga» alla stessa riforma Bassanini. Che cosa dire, allora, di ciò che è accaduto adesso? O forse la divisione di competenze e di deleghe rispondeva a ben altro criterio che non a quello della buona e sana amministrazione, al quale dovrebbe rispondere con la sua azione, nonché come suo primo atto - e, direi, atto duraturo -, qualunque Governo?Pag. 69
Allora, signor Presidente del Consiglio, cosa ne è dell'invito al dialogo?
PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, la prego di concludere.
ENRICO LA LOGGIA. Ma come è possibile immaginare - mi avvio a concludere, signor Presidente - di instaurare un dialogo concreto quando le nostre riforme più significative - dalla legge Biagi alla legge Moratti, dalla legge Gasparri alla legge obiettivo, e via di seguito -, vale a dire tutto ciò che è stato realizzato per far crescere questo paese, viene da voi messo in discussione? Allora, bisogna pacificare ed unire, ma prima di tutto occorrono serietà di intenti e buona fede.
Le ricorderò, signor Presidente del Consiglio - e su questo punto concludo il mio intervento -, come sia per noi impossibile accordarle la nostra fiducia: anzi, è esattamente il contrario. Vede, nel 1861 i siciliani furono chiamati ad esprimersi, con un «sì» o un «no», sul referendum istituzionale, e risposero con entusiasmo «sì». Tuttavia, manifestarono anche un altro «sì»: quello per ottenere l'autonomia speciale. La storia ci insegna, purtroppo, che fu necessario aspettare altri 86 anni, poiché lo Stato di allora negò tale possibilità al popolo siciliano. È scritto ne Il Gattopardo: «Quella notte fu uccisa la buona fede».
PRESIDENTE. La prego di concludere...!
ENRICO LA LOGGIA. È quello che lei sta facendo, oggi, nei confronti degli italiani: e gli italiani non lo dimenticheranno, signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frigato, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, i tempi a mia disposizione mi costringono a formulare, semplicemente, tre «telegrammi» all'indirizzo di questo Governo, che saluto con attenzione e con speranza.
Si tratta della nascita del nuovo esecutivo, che rappresenta la scelta che gli italiani hanno compiuto con il voto del 9 e 10 aprile. È il Governo che rappresenta una svolta, quella svolta di cui ha bisogno il paese sul piano etico, culturale, sociale e politico. Non a caso, signor Presidente del Consiglio, ho voluto mettere in questo ordine le mie parole: ciò perché credo anch'io, come ha voluto ricordare lei, Presidente Prodi, che si tratti essenzialmente di iniziare proprio da una svolta di natura etica.
Sottolineo positivamente la presenza, in quest'aula, sua e di numerosi componenti il Governo per seguire il dibattito sul programma che è stato presentato. Si tratta certamente di un buon inizio, di uno stile nuovo, che mi auguro continui per l'intera legislatura, al fine di realizzare un rapporto fecondo tra esecutivo e Parlamento, tra forze politiche che sostengono il Governo e forze politiche che esprimono posizioni critiche.
Troppe volte, nel corso della scorsa legislatura, il Parlamento è stato infatti sminuito nelle sue funzioni ed offeso nel suo ruolo. Dobbiamo scrivere tutti, allora, una pagina nuova nella vita parlamentare, e credo che anche il Governo debba e possa fare la propria parte.
Il secondo «telegramma» riguarda l'Europa. Nella giornata di ieri, il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto rendere omaggio, a vent'anni dalla scomparsa, alla figura di un grande europeista, Altiero Spinelli, il quale insieme ad Alcide De Gasperi, in forme diverse, ha contribuito a gettare le fondamenta della casa comune europea ed a costruirla.
Su questi temi, abbiamo sentito parole forti e chiare rispetto all'Europa. Si tratta di parole che abbiamo apprezzato e condiviso, poiché l'Europa rappresenta davvero il nuovo, grande orizzonte della politica in ordine alle questioni della pace, della democrazia, dello sviluppo, della sicurezza e della solidarietà. L'Italia ha bisogno di più Europa, e dobbiamo riprendere Pag. 70la strada dell'apertura e dell'ascolto, della integrazione e della sintesi.
Dopo le difficoltà legate al risultato referendario di Francia e Olanda, vi è bisogno di un'iniziativa forte; fanno ben sperare le parole del primo ministro tedesco, signora Merkel, per riprendere insieme un cammino virtuoso di rafforzamento dell'Unione europea. In questa delicata fase, in questa iniziativa politica, l'Italia deve tornare ad essere in prima fila, perché come l'Italia ha bisogno di più Europa, è vero anche che l'Europa ha bisogno dell'Italia, quell'Italia positiva, aperta, trainante, ambiziosa nelle scelte di politica comunitaria.
Il terzo «telegramma» è più legato alla mia esperienza nel territorio polesano, ma non vuole essere solo lì. Vi sono problemi, signor Presidente del Consiglio - dall'energia alle infrastrutture, allo smaltimento dei rifiuti -, che sappiamo essere oggetto di grandi progetti, grandi discussioni e che producono spesso anche grandi comitati contro. In tale quadro, in molti casi, le autonomie locali subiscono scelte e decisioni nazionali e riescono, con difficoltà, a realizzare una trattativa per negoziare qualche risarcimento, ma si tratta spesso di trattative difficili, che vedono da una parte piccoli comuni e dall'altra la forza di società ormai tutte multinazionali. Il paese, a mio avviso, può chiedere ad un territorio la soluzione di un problema, ma quel territorio che si fa carico di un problema di natura nazionale ha diritto ad una attenzione in più a beneficio di quello stesso territorio, a favore di quella comunità, a sostegno di chi si è fatto carico di risolvere un problema di tutti; vi sono esempi in tal senso per quanto riguarda la produzione di energia idroelettrica e di energia eolica. Occorre una riflessione seria, anche in termini legislativi, perché questi esempi non siano isolati o lasciati al caso, ma diventino una modalità nuova di approccio ai problemi per dividere equamente i pesi e condividere insieme e meglio le opportunità.
Presidente Prodi, concludo con un augurio sincero di buono e proficuo lavoro per il bene dell'Italia, come più volte abbiamo detto in campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bezzi. Ne ha facoltà.
GIACOMO BEZZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, colleghe e colleghi, il partito autonomista trentino-tirolese ha, con gli amici dell'SVP, preso atto con grande piacere delle dichiarazioni del Presidente Romano Prodi e, in particolare, di un passaggio, che cito testualmente: «Noi abbiamo sempre lavorato per un'evoluzione dinamica delle autonomie speciali, proprio perché fa parte della nostra cultura politica, del nostro concetto di pluralismo, della nostra democrazia».
Personalmente, credo che le autonomie speciali non siano dimensioni statiche da preservare in modo acritico e rivolto solo al passato. Sono, quindi, perfettamente d'accordo sul concetto di autonomia dinamica intesa come capacità di utilizzare le particolari prerogative riconosciute alle regioni e alle province a statuto speciale, non solo per governare al meglio i rispettivi territori, ma anche come laboratori di modelli più evoluti di governo locale. In particolare, l'esperienza maturata dalle due province autonome di Trento e di Bolzano dal secondo statuto in poi, cioè dal 1972, ha evidenziato la possibilità concreta di gestire le nostre comunità in modo responsabile, oculato, aperto al mondo, ma anche attento alle peculiarità culturali e linguistiche che derivano dalla nostra storia.
Noi intendiamo proseguire su questa strada condividendo i grandi obiettivi che oggi si pone il paese, ma rivendicando sempre e comunque la nostra autonomia e, quindi, la libertà di individuare i modi e gli strumenti più idonei a perseguirla. Ed è appunto in questa libertà che si configura la nostra disponibilità a sperimentare nuovi ed originali modi di conciliare la crescita dei bisogni sociali con il calo delle risorse pubbliche, la necessità di essere competitivi con la solidarietà, il dovere primario di aprirci al mondo con la salvaguardia Pag. 71delle nostre radici, la tutela dell'ambiente con l'esigenza di sviluppo. Su questo terreno il Governo ed il Parlamento troveranno in noi interlocutori responsabili, impegnati non a difendere privilegi, ma a rivendicare una specialità istituzionale che deve essere irrinunciabile strumento di autogoverno e, insieme, opportunità di crescita per l'intero paese.
A questo proposito, mi permetto di esprimere un forte rammarico per la mancata nomina di un sottosegretario alla montagna, che ha creato preoccupazione, ed invito il Presidente Prodi a ripensarci.
Chi vive in territori decentrati, ad altitudini medio-alte (ero sindaco di Ossano, un comune della Val di Sole), sa quanto sia grave il rischio dello spopolamento e dell'impoverimento delle comunità e degli ambienti montani. Uno spopolamento ed un impoverimento che comportano la perdita di una ricchezza collettiva che è parte integrante della nostra identità locale, come dello straordinario patrimonio naturalistico italiano.
Come province autonome, abbiamo compiuto in questa direzione investimenti eccezionali, con risultati sicuramente apprezzabili e confortanti. Basti considerare l'alta percentuale di popolazione che vive in quota e il costante presidio dell'habitat che questa presenza quotidianamente assicura. Un esempio tra tutti è il Parco nazionale dello Stelvio, in cui convivono, in modo esemplare, la valenza naturalistica e quella produttiva, così da non isolare il parco dalla comunità, ma da farne un fattore pregiato di sviluppo e di crescita integrata.
Vorrei toccare un'ulteriore questione, cruciale per le province autonome di Trento e di Bolzano: quella dell'energia idroelettrica. Sul territorio regionale viene prodotto quasi il 20 per cento del totale dell'energia idroelettrica prodotta a livello nazionale. Centrali di grandi dimensioni hanno inciso ferite profonde al nostro territorio ed hanno impoverito i nostri corsi d'acqua. Oltre a quanto ci è garantito dalle norme di attuazione e dalle leggi in materia, anche per questa ragione, non possiamo in alcun modo condividere le scelte del Governo Berlusconi, che hanno privilegiato gli ex monopolisti a scapito delle comunità locali. Basti pensare alle richieste di proroga delle durate delle concessioni, che esautorarono di fatto le competenze e le prerogative delle province autonome e dei loro comuni. Confido che il Governo Prodi inverta decisamente la rotta, aprendo un dialogo costruttivo in ambito comunitario e concertando le scelte conseguenti con i territori interessati.
Vorrei concludere con un augurio ed un auspicio. L'augurio è che il nuovo Governo, pur nelle difficoltà note, sappia affrontare con coraggio i grandi problemi del paese, dal disavanzo dello Stato alla riforma della pubblica amministrazione, dalla tutela dello stato sociale al rilancio della competitività economica, dall'equilibrio tra i poteri pubblici alla nostra credibilità internazionale, non cedendo ai compromessi o ai ricatti che non risolvono i problemi. Per far crescere l'Italia, ci vuole coraggio e la capacità di fare emergere non l'opportunismo, ma il senso di responsabilità e la visione di lungo periodo.
L'auspicio è che Romano Prodi, forte della sua esperienza di Presidente della Commissione europea, sappia promuovere quello spirito di cooperazione che non faccia dell'Unione europea un aggregato di interessi economico-finanziari e lobbistici, ma una comunità di ideali, di culture, di progetti realmente condivisi dai popoli e dalle regioni.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Mascia che ha dieci minuti a disposizione.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha voluto sottoporre al Parlamento un'idea di riforma generale per una società in crisi. È l'approccio con cui abbiamo scritto il programma dell'Unione, la ragione del nostro stare insieme. È la risposta alla forte domanda di cambiamento che ci affida, ma non ci delega la responsabilità di governare il paese per cinque anni.Pag. 72
Il programma che abbiamo condiviso traccia un'idea della cittadinanza che si sottrae a due derive opposte - quella del totalitarismo, che ne fa dei sudditi, e quella del mercato, che ne fa dei clienti - per tentare di contrapporre la via della comunità costruita a partire dalle libertà, un equilibrio delicato tra diritti e doveri, passioni e progetti.
In questi anni si è consumato un esperimento gigantesco di dissoluzione dell'idea di bene comune, dal conflitto di interessi alla devolution, dalla subordinazione servile in politica estera alla svendita dell'ambiente, alla spartizione privatistica delle risorse pubbliche, alla privatizzazione del sapere, alla precarizzazione della vita che rende subalterni: non solo un accumulo di ingiustizie, ma il tentativo di cancellare la democrazia.
La riforma costituzionale del centrodestra è, tra l'altro, il tentativo di espropriare i poteri del Parlamento per affidarli all'esecutivo e, in particolare, al premier. Una sola persona al comando: il contrario di quanto ha bisogno un paese in cui la crisi politica è anche crisi delle istituzioni. Per questo motivo, l'abrogheremo con il referendum di giugno.
Signor Presidente Prodi, lei ha fatto riferimento ai principi universali della nostra Costituzione, che vorremmo anche nella Costituzione europea: sono d'accordo. Ma perché i valori dell'uguaglianza e della libertà, della solidarietà e della pace prendano il sopravvento sulle logiche di mercato, che, invece, ispirano l'attuale Trattato costituzionale, è necessario che lo stesso possa essere riscritto con il contributo vero dei popoli europei e che ci si avvalga di quella partecipazione democratica che vorremmo segnasse il Governo dell'Unione in Italia.
Tra gli impegni complessivi richiamati in quest'aula vi sono due priorità che, a mio avviso, dovranno caratterizzare il nostro lavoro: la lotta alla precarietà e la lotta all'autoritarismo, al proibizionismo. Dunque, insieme alle condizioni materiali, dobbiamo cambiare la cultura politica del paese. La precarietà è il cuore delle politiche neoliberiste in Europa e nel mondo. Le lotte che attraversano ogni paese europeo e che la cosiddetta generazione Cpe ha fatto vincere in Francia sono l'espressione del loro fallimento. Precarietà sono i lavori umili, mal pagati, senza alcuna prospettiva di avere una casa, un'autonomia economica, una possibilità di scelta per i propri affetti o desiderio di avere figli. Precarietà è la vita di migliaia di migranti, clandestini o chiusi nei CPT. Lotta contro la precarietà è l'idea di una nuova cittadinanza contro ogni forma di esclusione, è l'idea di uno Stato non invasivo che non intende normare la tua vita privata, non pretende di dettare legge alle tante forme di affettività, di amore, di sessualità ma, al contrario, riconosce e garantisce a tutte ed a tutti il diritto di costruire una propria autonomia ed identità. Si tratta di uno Stato che certamente respinge le culture razziste di tante destre - e perciò cancelleremo la legge Bossi-Fini - ma che rifiuta, nel contempo, le logiche mercantili che selezionano gli stranieri sulla base della loro utilità al mercato o al benessere dei nativi.
La nostra politica dell'accoglienza è altro: è rispetto della persona, è dare valore alla vita ed alla dignità umana, alla volontà di abrogare le guerre, cancellare la fame e le povertà, le ingiustizie sociali che costringono milioni di persone a vagare per il mondo per sopravvivere; ma è anche riconoscimento del diritto di migrare, del valore dell'incontro, è la demistificazione del concetto di sicurezza fondato sulla militarizzazione delle nostre città e sulla criminalizzazione dell'immigrato. Scrive Bauman: le città sono diventate discariche di problemi generati a livello globale. Del tutto indifese contro il terremoto globale, le persone si attaccano a se stesse e, quanto più si attaccano a se stesse, tanto più tendono a diventare indifese e impotenti a decidere i significati e le identità locali e, dunque, anche i loro stessi significati e le loro stesse identità. Ma - aggiunge Bauman - la città è anche un fondamentale campo di addestramento in cui è possibile ricercare, sperimentare, imparare e adottare i mezzi per placare e dissipare quell'incertezza e quell'insicurezza. Pag. 73È nella città che gli estranei che nello spazio globale si affrontano tra loro in veste di Stati ostili, civiltà nemiche o rivali militari si incontrano come singoli esseri umani, si osservano a distanza ravvicinata, si parlano, imparano reciproci usi, negoziano le regole di vita in comune, collaborano e, prima o poi, si abituano all'altrui presenza e sempre più spesso traggono piacere dalla reciproca compagnia.
Ecco, dunque, che il nostro programma, che propone vere politiche di accoglienza e parla di superamento dei CPT, non è il libro dei sogni, è semplicemente la convinzione che, se è vero che in un paese civile il carcere deve essere l'ultima ratio quale pena per chi commette un reato, tanto più è necessario eliminare ogni forma di limitazione della libertà in forza del mero provvedimento amministrativo. Il Presidente Prodi ha fatto riferimento al carcere ed alle insostenibili condizioni di vita di migliaia di persone. Un provvedimento di amnistia e di indulto è ormai ineludibile, ne va della credibilità delle istituzioni: tocca al Parlamento definire i criteri, ma è evidente che dovrà rappresentare un presupposto per modificare in maniera sostanziale il rapporto tra carcere e società. Si tratta di un provvedimento necessario per non far fallire la riforma del codice penale prevista dal programma e per indirizzare efficacemente le risorse finanziarie al recupero ed al reinserimento sociale del detenuto, come prevede la Carta costituzionale.
Tuttavia, se è necessario modificare la concezione della pena, lavorare per un diritto penale minimo e mite, è altresì necessario affermare una cultura antiproibizionista, offrire a tutte ed a tutti una possibilità di scelta in ogni ambito della vita basata sulla conoscenza e sull'opportunità. Ciò vale anche per questioni delicate come quella della droga: in attesa di produrre un percorso democratico che porti a politiche di riduzione del danno e depenalizzazione, è urgente cancellare la legge Fini, che già miete le sue vittime tra ragazzi colti a fumare uno spinello.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, finalmente sui giornali e nel Parlamento è entrata con forza la questione della presenza femminile nel Governo e nelle istituzioni. È un problema di grave deficit di qualità della democrazia e della politica, anche se non esaurisce in questo il problema della rappresentanza. Non serve palleggiarsi le responsabilità tra partiti e Presidente del Consiglio; è tempo di affrontare la questione anche sul piano legislativo, ma è necessario andare oltre: se in famiglia gli uomini - tutti - sono ben felici di affidare alle donne la gestione dell'economia domestica, vi è da chiedersi perché, anche in questo nuovo Governo dell'Unione, le donne sono poche e senza portafoglio. È indubbio che il tema rimanda al conflitto sul potere, all'attaccamento al potere come tale; ma se possiamo dire che non vi sia - o non vi sia ancora - un corrispettivo attaccamento al femminile, ciò si deve all'esperienza del movimento femminista, alle pratiche di relazione e di riflessione tra donne.
È un tema, quello del potere, su cui non si è mai riflettuto abbastanza. Noi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, che abbiamo attraversato le strade del mondo con e nel movimento altermondialista, e che abbiamo accettato - abbiamo deciso di accettare - la sfida del governo del paese proprio nel tentativo di rendere efficaci le lotte del movimento, ora vorremmo proporre a tutte e a tutti di provare a considerare il Governo non il fine, ma uno strumento per conseguire risultati, per dare risposta a un lungo cammino di domande di cittadinanza, di diritti di eguaglianza non formale, proveniente da generazioni e da forme di autorganizzazione diverse. Conflitti diretti che producono e hanno prodotto, in questi anni, spazio politico e che devono entrare nel dizionario della politica.
Le rivolte giovanili di questi anni pongono domande che vanno al di là delle condizioni materiali e riguardano il rapporto tra governanti e governati, cioè la democrazia. Perciò, ci interessano e ci riguardano, perché per noi l'uguaglianza è l'unificazione dei diritti nel rispetto delle Pag. 74differenze; la fraternità sta insieme alla sorellanza; per noi, libertà è libertà dai bisogni, è libertà di scelta nella vita privata come in quella pubblica. Perciò, anche dal Governo, vogliamo provare a conquistare tanti spazi pubblici, un grande spazio pubblico europeo in cui far vivere l'autonomia dei movimenti sociali e percorsi di partecipazione diretta; per far vivere in Italia e in Europa una nuova stagione dei diritti e far vincere la cultura delle libertà. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, noi dell'Italia dei Valori senz'altro le accorderemo il nostro voto di fiducia. Vogliamo contribuire, in qualche modo, al suo programma, che riteniamo valido, ma che ha bisogno di alcuni perfezionamenti.
Lei intende realizzare una manovra attraverso il cuneo fiscale, e quindi ridare fiato all'economia. Io rappresento l'economia italiana come un organismo fisico attaccato da una patologia che dà la febbre alta. Il cuneo fiscale, signor Presidente, servirà ad abbassare la febbre, ma non ad eliminare la patologia. Quest'ultima è la mancanza di competitività che, a livello di Unione europea, abbiamo individuato come maggiore ricerca, maggiore innovazione, maggiore formazione. A livello comunitario, quindi, abbiamo un'indicazione precisa di come dovremmo comportarci. Il problema è che, certamente, mancheranno le risorse.
Il Governo Berlusconi ha portato il paese in una situazione di precarietà economica, di mancanza di coesione, nonché di indubbia valenza morale (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia), quindi in una situazione complessiva negativa e di sfascio.
Dobbiamo recuperare tutto quanto, lavorando attentamente. Occorre, pertanto introdurre - come fece lei, signor Presidente, prevedendo una tassa per l'Europa (non mi vergogno a dirlo, anche se so che molti non sono d'accordo al riguardo) - una tassa per lo sviluppo ed il risanamento di questo paese. Tale tassa verrà restituita, ma servirà a sviluppare la competitività.
Certo, oggi prevedere l'introduzione di determinate tasse diventa un problema e ci dovremmo vergognare, anche se non è proprio così, perché le suddette tasse devono essere introdotte proprio a carico di quei ceti che possono pagarle e non sicuramente nei confronti dei ceti medio-bassi.
Non possiamo, pertanto, prevedere una politica dei due tempi: risanamento prima e sviluppo dopo. Dobbiamo fare in modo che il risanamento e lo sviluppo avvengano contemporaneamente, chiedendo a chi più ha di dare, per risolvere i problemi del paese.
La seconda questione che vorrei evidenziare al Governo attiene al grande ruolo rappresentato dall'economia cooperativa (purtroppo, non è stato ricordato, ma è contemplato nel programma del centrosinistra).
Le imprese cooperative nel 2005 hanno permesso a questo paese di non entrare in recessione. Nel 2005, cari colleghi, abbiamo avuto una crescita zero, mentre la crescita delle imprese cooperative è aumentata, a seconda dei settori, dal 5 al 7 per cento. Chiunque sappia fare un po' di conti si renderà conto che l'economia cooperativa, in base ai dati ufficiali, ha salvato questo paese dalla recessione.
Pertanto, signor Presidente, noi le chiediamo, come lei senz'altro farà e come è previsto nel programma del centrosinistra, di mostrare più attenzione all'economia cooperativa, perché la stessa riuscirà a dare un contributo fondamentale alla ripresa.
Quindi, le auguriamo, signor Presidente, i migliori successi: noi saremo sempre presenti, ma anche stimolanti rispetto al programma di Governo!